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POLITECNICO DI TORINO II Facoltà di Architettura
Corso di Laurea Magistrale in Architettura per la sostenibilità
Tesi di laurea di secondo livello a.a.2011-2012
ARCHITETTURA PARASSITA I MURI CIECHI DI TORINO SI POPOLANO DI NUOVI SPAZI DA VIVERE
Relatore: Prof. Arch. Davide Maria Giachino Correlatori Prof. Arch. Riccardo Bedrone Prof.ssa Arch. Sara Marini (IUAV Venezia)
Dicembre 2012
Giorgio Rolando
A Tiziana, Giuseppe, Renzo, Simona e a chi mi vuole bene.
INDICE INTRODUZIONE Nuove terre in città. Muri ciechi a Torino. 1. L’INCESSANTE CONSUMO DI SUOLO
p.11 p.15
Perdita della gerarchia Lo sprawl urbano Un’Italia dispersa
2. NUOVE CONDIZIONI DI URBANITÀ
p.25
Imparare a densificare la città Città più dense Principi di densificazione Crescere senza consumare: i vuoti urbani L’architettura del riciclo
3. ARCHITETTURA PARASSITA
p.43
Etimologia del termine Parassita Strategia parassitaria: densificazione più riciclo urbano Il parassita architettonico non è un virus Agopuntura parassitaria Limiti della strategia: normativa e tecnologia
4. STATO DELL’ARTE: I CASI STUDIO
p.57
Santiago Cirugeda – Casa Insecto – Siviglia – Spagna - 2001 Stefan Eberstadt - Rucksack House - Lipsia – Germania – 2004 Atelier d’Architecture Atuogérèe – Passage 56 - Parigi - Francia – 2006 David Close – Auditorium nel Convento di San Francesco – Spagna -2011 Drexler Guindand Jasulin Architects – Impact Minimum House – Francoforte - Germania -2008 Casi nazionali ed internazionali
5. QUESTIONI NORMATIVE: DALLA SCALA NAZIONALE A QUELLA REGIONALE
p.79
In Italia necessitano nuove regole Legge urbanistica nazionale n. 1150 del 1942: una norma antiquata L’abusivismo edilizio I nuovi obiettivi per la salvaguardia del territorio La regione Piemonte e la tutela del territorio Il sottile confine tra il parassita e l’ampliamento
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6. TORINO
p.97
Più riciclo meno CO2 L’architettura Parassita ospite a Torino 7. IL PROGETTO
p.111
Il potere del muro cieco: introduzione alle scelte progettuali Inquadramento normativo: PRGC 7A. PERCORSI PROGETTUALI
p.125
Riferimenti progettuali Centro storico: riconfigurazione urbana Perfieria: sovvertimenti spaziali 8. CONCLUSIONI Il ritorno in città
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p.139
Il parassita è un espressione di continuità e conversione di spazi urbani il parassita è chiamato in causa per mantenere la diversità della città il parassita è un alternativa allo sprawl urbano che invade le aree naturali il parassita è una esigenza per l’uso sostenibile del centro città il parassita è la dissoluzione dei confini degli habitat urbani il parassita è una chiamata per un’appropriazione creativa dell’aree metropolitane il parassita è l’espressione di un atteggiamento positivo alla vita urbana il parassita è un’ ispirazione e una stimolazione per nuovi stili di vita
INTRODUZIONE NUOVE TERRE IN CITTÀ. MURI CIECHI A TORINO
Questo percorso di tesi nasce dalla volontà di riflettere e soprattutto far riflettere sulle modalità di crescita della città. Viviamo in una società che preferisce gettare prodotti per crearne di nuovi, in sostituzione a quelli esistenti. Oggi si ritrova però a dover fronteggiare problemi di iperconsumo e iperspreco, vestendosi di rifiuti e spogliandosi di risorse naturali. “A questo punto si è arrivati a prendere decisioni alternative, quasi obbligate, che hanno permesso di virare drasticamente la nave prima di andare a schiantarsi contro il più grande degli iceberg convincendo i passeggeri a non salire su scialuppe di salvataggio in modo chiassoso e prematuro.” 1 Chiara Martellucci Dovendo fronteggiare una decadenza e un declino così ripido e rapido, a livello urbanistico, è doverosa la scelta di modificare il paesaggio urbano attraverso una rigenerazione urbana derivante da una consapevolezza che il territorio non costituisca una risorsa infinita e che le città debbano essere capaci di ricostruirsi al proprio interno, anche al fine di garantire un habitat che assicuri la massima qualità di vita ai propri cittadini. Occorre iniziare ad immaginare dispositivi capaci di coordinare il disegno della città e il riciclaggio dell’architettura, strategie orientate alla costruzione di paesaggi condivisi e di società inclusive, modelli che siano stimolo e impulso per l’innovazione tecnologica e sociale. La città sembra presenti, dunque, la necessità di tornare a rigenerarsi crescendo su se stessa, come in fondo è stato sempre nella storia urbana. Ragionare sulla ricompattazione delle città, sulla densificazione e sul riuso dei nostri centri urbani è quindi lo scenario che fa da sfondo a questo lavoro. La volontà è di ispirarsi ad un’architettura della necessità, ad una maniera di pensare il progetto senza aggettivi superflui, puntando sull’effettiva opportunità dell’intervento evitando il rischio di ridondanza, utilizzando la massima economicità di mezzi espressivi e al tempo stesso puntando su qualità e innovazione. Ciò non implica necessariamente una decrescita, ma implica cambiare prospettiva imparando a lavorare con più difficoltà ed ostacoli, avvalendosi in maniera più cosciente e ambiziosa di risorse e tecnologie, cominciando così a pensare ad un nuovo tipo di progresso.
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Chiara Martellucci (2012) Architettura Parassita , E-Zine.
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Se l’architettura si trova ad operare nell’orizzonte complesso e stratificato della città compatta, le operazioni progettuali possibili nel tessuto urbano saranno allora la densificazione o il diradamento, il trasferimento di densità edilizie, la sostituzione/trasformazione di manufatti esistenti, il riuso e la conversione funzionale di infrastrutture, il progetto del suolo pubblico. Tutte strategie urbane a consumo di suolo zero. In risposta alle necessità di densificazione, rigenerazione e riuso della città si è deciso di proporre, come strategia smart-growth, un approccio di tipo parassitario, intervenendo su specifici elementi della città. I muri ciechi. Si pone quindi l’attenzione su quelle facciate degli edifici che non presentano un disegno definito, che sono mute e sono nella maggior parte dei casi, conseguenza delle dinamiche legate alla legislazione civile o rappresentano la mancanza di un ulteriore sviluppo edilizio. Il parassita concentra la sua attenzione sulle facciate cieche che si affacciano in spazi strategici che hanno perso il loro valore urbano, cercando di offrire a questi una nuova identità che sovverta e alteri le tradizionali regole di fruizione e percezione. L’ipotesi progettuale è infatti quella di utilizzare queste pareti come terreni “verticali” edificabili e di “attaccare”, “aggrappare” ad esse volumi e architetture come parassiti che non sono da intendere nell’accezione negativa del termine bensì come elementi che arricchiscono il valore urbano della città. L’obiettivo è quello di progettare una struttura che tenti di trasformare le vuote superfici verticali in spazi pubblici e/o privati vivibili, attraenti e innovativi. Il parassita è un elemento che si relaziona con le preesistenze, con le quali costituisce un legame di dipendenza spaziale e/o strutturale ma non necessariamente funzionale, il parassita è distinto dall’opera iniziale, la sfrutta, la traduce in uno stato di necessità. Arriva senza essere invitato, comportando, a livello architettonico, problemi di carattere identitario, tecnologico e strutturale, ma allo stesso tempo favorisce un cambio, una evoluzione del sistema che essendo “attaccato” è obbligato ad evolvere il suo “sistema immunitario”. Viene istigato a migliorare. Si vuole dimostrare quindi che la strategia d’inserimento di nuovi corpi architettonici parassitari nell’esistente si prospetta come un possibile modello di crescita urbana e ristabilisce un rapporto tra azione e crescita della città. L’architettura parassita mostra un interesse progettuale per la piccola scala, praticando un’operazione di agopuntura e non di “tabula rasa”, prediligendo la cura e l’implementazione dell’esistente. Non si tratta di concepire un’architettura isolata ma d’innescare e costruire connessioni, di sistemizzare lo spazio trovato sfruttandone le opportunità. Si tratta infatti di un’architettura che dà forma a delle potenzialità inespresse o che completa l’organismo architettonico su cui si innesta, fornendo ad esempio spazi necessari alla popolazione che non erano stati previsti o che con il passare del tempo diventano necessari. Lo scarto diventa quindi implementazione dell’urbano e contemporaneamente materia per le nuove architetture.2
2 p.36.
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Sara Marini, Architettura parassita strategia di riciclaggio per la città, Quodlibet, 2008,
“ Il parassita viene chiamato in causa e usato per ricordare a chi disegna la città che i limiti esistono solo perché disegnati come tali e che la Città è prima di tutto un organismo denso, in trasformazione, perché strumento in mano ai cittadini ma anche madre capace di accogliere chiunque con i suoi spazi vuoti, bianchi, pubblici.” Sara Marini La normativa, rappresenta un grande limite per questa filosofia architettonica, purtroppo in Italia ci si deve confrontare con una realtà ammnistrativa che tende a preservare e a crescere poco, sia nell’ambito di un patrimonio edilizio storico che nel moderno. Si pensi che si fa ancora riferimento ad una Legge Urbanistica Nazionale del 1942. L’architettura parassita è priva di statuto autonomo, ma sottostà a delle regole basilari, come quella di non essere più grande dell’edificio che la ospita, evitando così un sovvertimento delle gerarchie3. Una crisi di identità si scatena invece nel momento in cui viene a confondersi la divisione tra ciò che appartiene alla collettività e ciò che è proprio dell’individuo, favorendo così un conflitto tra pubblico e privato. Il privato, con un contenuto di denuncia nei confronti dei limiti dell’architettura e della città, si espande e acquista nuove prospettive, lo spazio pubblico si trova ad essere invaso, anche ad una quota differente dalla quota zero. Il parassita può essere percepito quindi come un intruso la cui presenza è un’anomalia. Il suo intromettersi viene infatti assimilato alle modalità trasformative abusive in quanto si parla di nuovi corpi che si appropriano di parti di costruzioni esistenti che, indipendenti per forma e stile, necessitano di supporti impiantistici, strutturali. Solitamente a livello normativo siamo abituati a distinguere secondo il dualismo legale/illegale ciò che rispettivamente ci è consentito o vietato fare, ignorando le sfumature giuridiche e i cosiddetti vuoti legislativi. Per questa tipologia insediativa, non ancora normata da leggi specifiche ma nemmeno vietata, semmai vincolata, sarebbe utile far riferimento al termine alegale4 che è riferito a questa sfera di incertezza normativa e si pone come termine interstiziale tra legalità ed illegalità. L’obiettivo di questa tesi, attraverso due ipotesi progettuali, una in un’area periferica della città di Torino e una nel cuore del centro storico, è quello di effettuare un’operazione di protezione del suolo, e, allo stesso tempo, di dimostrare che un nuovo corpo che si pone come commento critico al disegno urbano trovato, che sfida la normativa e sovverte le logiche spaziali, non sia da considerare come un elemento di disturbo. Si tenga presente che si tratta di un processo reversibile, cioè che, come in termodinamica, può essere invertito: le condizioni iniziali possono essere ristabilite quasi senza comportare danni o richiedere modifiche. 3 Giovanna Astolfo (2011) Parasite Blues intervista con Alessandro Zorzetto, AR Architetti Regione, n.47, pp. 24-31.
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Con tale termine s’intendono quelle forme di contrasto verso il “regime” che scelgono vie non esplicitamente disciplinate dalle norme. Leonardo Morlino (1993) Dissenso, Enciclopedia delle scienze sociali.
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L’intervento sollecita il sistema e lo commenta, si propone come strumento concreto per la crescita della città. Questa alterazione, chiede un’evoluzione. Attraverso il coinvolgimento della progettazione urbanistica, della progettazione architettonica e dell’innovazione tecnologica si è cercato di disegnare un panorama necessario per definire un sistema nel quale costruire nuove prospettive urbane e per chiarire come queste possano tradursi in strategie, dispositivi, nuovi campi di lavoro: realtà. Il contributo delle tre discipline è stato quindi fondamentale per poter definire un edificio tecnologicamente avanzato, formalmente rispettoso del contesto e stimolante per la normativa urbanistica, in una strategia complessiva di renovatio urbis. L’obiettivo strategico di questo percorso, attraverso una soluzione parassitaria di densificazione, è quello di voler convincere che si può riuscire a vivere in una città contemporanea che non neghi i valori, le forme o le costruzioni del passato, ma che le faccia vivere e crescere pensando al proprio futuro senza paura.
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1. L’ INCESSANTE CONSUMO DI SUOLO
“Oggi il mito del consumo illimitato sostituisce la fede nella vita eterna.” Ivan Illich
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Soffermiamoci a pensare alla forma che stanno assumendo le nostre città e a quanto il loro sviluppo possa essere decisivo per il consumo del suolo. Probabilmente non siamo abituati a fare questo tipo di considerazioni. In Italia solo negli ultimi tempi sta venendo alla luce il problema dell’elevato consumo di suolo, nelle realtà europee è però diventato d’importanza fondamentale già da molto tempo. Il consumo di suolo deve essere generalmente considerato come un processo dinamico che altera la natura di un territorio, passando da condizioni naturali a condizioni artificiali, di cui l’impermeabilizzazione rappresenta l’ultimo stadio.1 Il fenomeno riguarda gli usi del suolo che comportano la perdita dei caratteri naturali producendo una superficie artificializzata. Il suolo è una risorsa non rinnovabile, indispensabile che supporta numerosi processi naturali e consente lo svolgimento di molteplici attività umane ma purtroppo, sempre più spesso tali attività umane entrano in competizione tra loro generando conflitti tra i possibili diversi usi della risorsa suolo, causando una dispersione insediativa tipica dei processi di metropolizzazione e non solo. Il monitoraggio del suo utilizzo e quello del suo stato, rappresentano degli elementi fondamentali per l’analisi della situazione. Aprire un dibattito su questo argomento vuole porre l’attenzione sugli aspetti problematici della crescita incontrollata e frammentaria della aree urbanizzate e vuole indurre ad un confronto con il patrimonio costruito.
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European Enviroment Ambient (EEA), 2004.
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Perdita della gerarchia In questi ultimi anni le città contemporanee si sono espanse, e si stanno espandendo tuttora molto rapidamente e soprattutto in un modo spazialmente complesso, non sempre lineare; in passato invece le città sono cresciute lentamente ma in modo abbastanza “compatto” e secondo un modello definito a “anelli progressivi”. Ora, le nostre metropoli, prendono dimensioni sempre più ampie e disperse a causa delle “spinte” immobiliari, ma è bene tenere in considerazione che il suolo è sempre una risorsa finita e non riproducibile. Da un punto di vista ecologico, e non solo, questo tipo di espansione sconfinata porterà a una rapida e disordinata crescita degli insediamenti causando la scissione e la perdita su larga scala degli habitat naturali. Negli anni è venuto meno un principio di urbanità chiaramente leggibile all’interno della città consolidata, uno specifico rapporto tra spazio aperto e tessuto costruito, in cui il primo è l’elemento di connessione del secondo attraverso strade, piazze e altro ancora, i quali, erano e sono gli elementi dal carattere collettivo riconoscibile, in cui si svolgono i rapporti sociali più importanti. Oggi le stesse regole di connessione non sono più sufficienti a definire un principio insediativo che non sia debole e marginale, ma portano ad un risultato di un processo di accumulazione e frammentazione. Questo risultato è l’esito, da alcuni anni indagato con crescente preoccupazione, di un modello insediativo che ha raggiunto una precisa configurazione già negli anni ’80 dello scorso secolo, grazie all’affermazione di nuovi stili di vita e di mobilità, e a tendenze localizzative delle attività economiche che hanno privilegiato territori periurbani sempre più dilatati; ciò è accaduto grazie anche a una deregolamentazione urbanistica che ha avuto, un po’ ovunque, per tutti gli anni Ottanta/Novanta un discreto successo. L’Europa per sopperire a questo sfrenato consumo di suolo ha espresso tre principi strategici: limitare, mitigare e compensare. La Gran Bretagna ha stabilito che il 60 % delle nuove urbanizzazioni dovrà avvenire su aree dismesse, in Germania invece dal 2020 non si potranno urbanizzare più di 30 ettari al giorno e una politica del genere per l’Italia significherebbe ridurre i propri consumi ad 1/5 di quelli attuali.2 A fronte di questa breve carrellata di dati le azioni utili a contenere la crescita delle aree urbanizzate si possono riassumere nella densificazione delle aree già urbanizzate, sfruttando suolo già impermeabilizzato ma non utilizzato dalla società, andando così a definire dei nuovi limiti della città.
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2A+PA, Angelo Grasso, TSPOON. 5 minuti di recupero. 2012
Lo sprawl urbano “Appena l’aeroplano vira verso sud e poi ancora verso est, appaiono le luci del bacino di Los Angeles. Anche per le persone che l’hanno già vista cento volte, questa visione può togliere il fiato [...] Forse la cosa più straordinaria di questo panorama è la sua dimensione. Anche a quattrocento miglia l’ora l’aereo ci mette quindici minuti pieni per volare dalla spiaggia, a Redondo, fino a dove le luci della Città si interrompono nel deserto, oltre Palm Springs. L’immensa città di oggi è così grande e complessa che sfida i nostri tentativi di descriverla, figuriamoci di comprenderla. “3 Robert Bruegmann L’autore osserva come ogni volta che si sorvoli la zona di Los Angeles non si possa non rimanere sorpresi. Ma non occorre andare così distanti per poter provare lo stesso stupore: atterrando di sera in un aeroporto del nord Italia (e non solo), sotto di noi la visione è, altrettanto impressionante. Si ammassano in tutte le direzioni delle luci dense, in un continuo disordine di case, strade, fabbriche, parcheggi, centri commerciali e quant’altro, che contribuiscono a formare quell’infinito, indistinto e caotico suburbio che è divenuto gran parte del nostro territorio. Possiamo affermare con una certa sicurezza che il consumo di suolo vede la sua causa maggiore nella dispersione della popolazione, meglio conosciuta come sparwl urbano. Lo sprawl urbano, ha avuto la sua prima manifestazione e di più lunga durata nel modello suburbano realizzato negli Stati Uniti, sostenuto e legittimato da una precisa combinazione di fattori: le preferenze abitative individuali, gli incentivi federali all’accesso alla casa in proprietà e il finanziamento, sempre federale, del sistema autostradale. Il modello americano è diventato prodotto di esportazione culturale, sia pure in fasi successive e con marcate differenze, anche in Europa. Lo testimonia il geografo francese Pierre Merlin che nel 2009 pubblica un volume significativo dal titolo l’esodo urbano4. Alcuni dati utilizzati da Merlin, reperiti dal registro nazionale dei consumi di suolo, aggiornato annualmente, mettono in risalto come le abitazioni unifamiliari e le infrastrutture stradali siano i maggiori consumatori di territorio aperto. Il dato ancora più preoccupante è che nel periodo da lui analizzato, l’80% del territorio utilizzato per realizzare le abitazioni francesi era precedentemente dedicato alla produzione agricola. Il caso citato della Francia, un paese tradizionalmente “ben pianificato”, ci conferma che la dispersione insediativa ha una grande forza propulsiva e che si tratta di un fenomeno complesso le cui cause sono molteplici: dipende dalla crisi e dai costi crescenti delle città dense; è alimentato dalla crisi fiscale dei comuni che tendono a fare cassa con gli oneri di urbanizzazione; è certamente anche il prodotto di preferenze individuali di famiglie e di imprese.
3 Robert Bruegmann, Sprawl: A Compact History, Paperback edition, 2005, pp. 223-224. 4 Il termine “esodo’”sottolinea che ciò che è avvenuto in Francia negli ultimi decenni rappresenta per l’autore una sorta di fuga epocale dalla città, simile, anche se specularmente opposta, a ciò che avvenne quando l’industrializzazione determinò il grande esodo rurale.
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Tutte queste ragioni sono veritiere ma è anche vero che molti dei fenomeni indesiderabili di suburbanizzazione residenziale, che vediamo all’opera in paesi come il nostro, sono soprattutto push ovvero dettati dalle tensioni del mercato abitativo nelle aree urbane centrali, più che pull, dettati cioè dall’irresistibile attrazione per l’abitare “a contatto con la natura”. Un ruolo decisivo l’ha svolto anche la pianificazione urbanistica e territoriale poiché, come ha sottolineato il sociologo e filosofo francese Pierre Bourdieu, la dispersione insediativa è anche l’esito di una costruzione sociale a cui lo Stato e le politiche pubbliche di accesso al credito per l’acquisto dell’abitazione, hanno contribuito in maniera determinante. In Europa non solo per i francesi il problema del consumo di suolo ha assunto una grande rilevanza problematica ma anche per la popolazione tedesca, si pensi infatti che a fronte di un consumo rilevato a livello nazionale di 120 ettari al giorno, nel 1996, Angela Merkel, allora ministro dell’ambiente del governo, propose al Governo Federale di approvare la direttiva citata nel paragrafo precedente, ovvero ridurre il consumo di suolo a 30 ettari al giorno entro il 2020; approvata dal Parlamento, la direttiva fu immediatamente trasmessa ai Länder e alle amministrazioni locali, con l’invito a definire le strategie e le politiche più idonee per raggiungere l’obiettivo. Gli esempi citati ci fanno notare come gran parte dell’Europa abbia reagito a questo problematica del consumo di suolo. In Italia, nonostante ogni giorno nel nostro paese il consumo di suolo sia pari alla superficie di 150 campi da calcio 5, fino ad ora il problema è stato ignorato. 5 Giovanna Maria Fagnani, L’Italia che scompare: è il consumo di suolo il nemico numero 1 dell’ambiente, Corriere della sera , 17 febbraio 2012.
Fig.1.1 Rielaborazione del concept ideato dall’architetto Cedric Price. The ancient city is boiled egg... The industry city is poached egg...The modern city is scrambled eggs...
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Solo in questo ultimo anno iniziano ad intravedersi i primi provvedimenti volti a sostenere una politica territoriale più sostenibile. Per rendersi conto della dispersione odierna, sarebbe quindi opportuno, forse, dare uno sguardo dall’alto. Gioverebbe a coloro che si occupano di urbanistica: politici, amministratori, architetti e urbanisti che attraverso le politiche, le pratiche, i piani ed i progetti dovrebbero contribuire a dare forma allo spazio ed efficienza alle attività che esso ospita, al fine di garantire le migliori condizioni di vivibilità alle persone che lo abitano e vi lavorano. Con i nostri comportamenti tutti contribuiamo a modificare lo spazio ed il suo uso e dunque una maggiore consapevolezza degli effetti collettivi, originati dalla somma di tante scelte individuali, che le nostre azioni producono sul territorio, rappresenta l’indispensabile passo nella direzione di uno sviluppo più sostenibile.
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Un’Italia dispersa Gli anni ’80 e ’90 italiani hanno visto nella dispersione la predominante tendenza urbanistica e si sono svolti all’insegna della campagna urbanizzata, della città diffusa. Purtroppo ancora oggi si assiste drammaticamente al fenomeno che i comuni urbanizzano sempre più nuove aree libere per introitare i relativi oneri di urbanizzazione. Più oneri più guadagni. Negli ultimi decenni, l’Italia ha dato il via libera ad un incontrollabile fenomeno di sprawl urbano, figlio dell’individualismo capitalistico e dell’indifferenza nei confronti dell’ambiente, che ha modellato la città estesa come uno dei simboli del processo di appropriazione illimitata dello spazio. L’Italia è tra i paesi che hanno consumato più risorse territoriali per dare agio ad un’ urbanizzazione inefficiente, estesissima e sparpagliata; e a insediamenti non pianificati e privi di qualità. È come se ogni anno si costruissero tre nuove città della dimensione di Milano.6 L’equilibrio tra contesto urbano e rurale si è spezzato da lungo tempo, ed è soprattutto in anni recenti che il consumo di suolo ha registrato una ulteriore accelerazione rischiando di passare dalla campagna urbanizzata alla città infinita, con la preoccupazione di poter legittimare l’attrazione per uno sviluppo di contenitori vuoti e infrastrutture che li collegano inteso come primario obiettivo di una politica di governo del territorio. Il territorio italiano, considerato paesaggisticamente rilevante nella sua totalità, è iper-edificato. L’edilizia sia abusiva che legale tende ad invadere territori prima non toccati. Negli ultimi sessanta anni si è costruita una cubatura in misura pari a quella realizzata in tutte le epoche storiche precedenti. Si pensi al caso emblematico della Lombardia dove le aree urbanizzate sono cresciute del 235% tra il 1955 e il 2007, e che dal 1990 al 2005 sono scomparsi tre milioni di ettari di superfice agricola pari all’estensione di Lazio e Abruzzo, oggi in Italia la superficie agricola è scesa al 42%.7 In Italia, amministrazioni comunali e governi, sia pure su scale diverse, si trovano quindi di fronte a una scelta: lasciar avanzare un’ evoluzione spontanea, talvolta selvaggia, dell’occupazione dei suoli e della ripartizione delle diverse componenti dei complessi urbani, o prevenire la proliferazione delle città e pianificarne lo sviluppo in maniera logica e intelligente? Contrastare lo sprawl è una sfida epocale che non può essere affrontata con semplici misure di “contenimento”, ma richiede un vero e proprio cambiamento culturale, per riorientare tutte le forze e gli attori pubblici e privati, verso un modello di città compatta che cresce e si rigenera soprattutto attraverso il riuso dello spazio già urbanizzato evitando così la speculazione edilizia e una cementificazione selvaggia del suolo. Per una serie di esigenze di vario tipo, dal risparmio energetico ai risparmi nella fornitura di servizi urbanistici e sociali e ancora alla salvaguardia e tutela del poco spazio inedificato residuale, risulterebbe molto conveniente minimizzare l’espansione al di fuori delle zone già edificate, con l’ovvia eccezione delle infrastrutture di trasporto e logistica. Vi sarebbero altre molteplici ragioni che dovrebbero indurre ad opporsi con forza alla crescita scomposta degli insediamenti: la scarsa efficienza complessiva, gli elevati costi collettivi di tipo economico, ambientale e sociale, la compromissione del 6 7
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paesaggio e dell’ambiente, anche in contesti particolarmente delicati. Ciò non significherebbe depotenziare l’industria edilizia ma solamente riconvertila verso il recupero delle numerose zone che necessitano di sostituzione, ristrutturazione o riorganizzazione all’interno delle enormi aree urbanizzate esistenti. È necessario iniziare a pensare a dei piani urbanistici a crescita zero, sarebbero una soluzione vantaggiosa per la salvaguardia dell’ambiente e contribuirebbero ad avere dati più esaustivi sul patrimonio edilizio esistente e non utilizzato. Si tratterebbe sostanzialmente di un grande programma di riqualificazione dello spazio urbanizzato, che chiami il governo, gli enti locali e gli attori del mercato delle costruzioni a collaborare ad azioni di trasformazione e recupero del patrimonio edilizio esistente e quindi di riciclo del territorio. Sarebbe uno sforzo capace di conseguire, nel giro di alcuni anni, una catena di effetti virtuosi sull’economia e sul paesaggio del nostro Paese. La salvaguardia, la cura e la riqualificazione di determinati spazi e determinati vuoti è una soluzione che molti urbanisti e architetti dovrebbero adottare come punto di partenza di una riqualificazione dei paesaggi contemporanei focalizzata sul progetto di suolo, su un’architettura a volume zero, del riuso e del riciclo. Il contenimento dello sprawl, è quindi considerato un obiettivo cruciale, da affrontare prioritariamente attraverso riforme legislative, strategie e strumenti rinnovati di pianificazione territoriale ed urbanistica. Per rispondere ai problemi pregressi e alle esigenze di oggi, riorganizzando e riqualificando gli insediamenti esistenti, servono politiche molto più incisive di quelle attuali in quanto la frammentazione amministrativa e la deregolamentazione urbanistica hanno costituito una causa decisiva dell’elevata dispersione insediativa. Il modo in cui sono cresciute e tuttora si espandono le città, riflette un’idea anonima e volgare della modernità, assai poco attenta alle specificità locali, alla qualità, all’innovazione. Per questi motivi, e per quelli sopra spiegati, è evidente la necessità di porre un freno a questa crescita sregolata. In sintesi possiamo affermare che da un lato sarebbe necessario porre l’attenzione su un’operazione di protezione dello spazio ancora libero e anche residuale, come baluardo di difesa verso l’espansione edilizia, dall’altro sarebbe anche necessario e utile ripensare a modalità differenti per ricomporre i frammenti di spazi a scala minore al fine di favorire un processo di rigenerazione urbana, attraverso la rivisitazione di luoghi esistenti e un’ attenta progettazione di nuovi oggetti architettonici ad essi connessi. Questi spazi, abbandonati a se stessi all’interno della città consolidata, sono riconoscibili come luoghi ambivalenti e interstiziali, che inducono ad essere ripensati come luoghi adatti a sviluppare almeno in parte un nuovo principio di urbanità. Sono da considerare come una risorsa spaziale, sia nell’ottica di un nuovo progetto di suolo, che ricostituisca i bordi e la superficie, sia nelle riconfigurazione di nuovi interventi architettonici.
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Fig. 2.1 “Quanto sono cresciute le città dal 2001 ad oggi”. Grafico pubblicato il 25 gennaio 2012, tratto dal sito www. Linkiesta.it/consumosuolo rappresentante variazione della superficie delle località abitate (centri urbani, nuclei abitati e località produttive)
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2. NUOVE CONDIZIONI DI URBANITÀ
“ La città va denisficata e rifunzionalizzata. Lavorare sui buchi.” Propup
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La tendenza dello sviluppo urbanistico degli ultimi decenni ha portato sempre più ad uno smisurato consumo di suolo: le amministrazioni devono fermare questa tendenza e far prendere coscienza ai cittadini che la “terra” è un bene esauribile ed insostituibile. Le possibili soluzioni all’arresto di consumo di suolo potrebbero essere risolvibili tramite: la densificazione della città prediligendo uno sviluppo urbano verticale, oppure scegliendo di recuperare i vuoti urbani, le aree degradate e dismesse. Perché non prediligere uno sviluppo verticale, che sfrutti i vuoti urbani? La prima strategia comporta un risparmio di suolo finalizzato alla realizzazione di servizi e una diminuzione della spesa relativa alle reti dei sotto servizi quali acqua, fogne, elettricità e gas e un minore impatto dei trasporti. La realizzazione di edifici che si sviluppano in verticale comportano un’alta qualità progettuale e costruttiva che utilizzi tecnologie il più possibile avanzate e innovative. Notevoli vantaggi si ottengono anche con il recupero di aree degradate ed aree dismesse: dal punto di vista sociale, significa “risarcire”, attraverso un approccio integrato socio/economico e progettuale, l’emarginazione di tali aree urbane e delle persone che le abitano. Sul piano economico, rappresenta l’opportunità di favorire un’azione di recupero, trasformazione e/o sostituzione, generatrice di nuovi fattori di sviluppo; sul piano urbanistico, significa la possibilità di produrre “qualità urbana”. La strategia parassitaria, riuscirebbe ad unire la prima e la seconda ipotesi regalando così alla città meno costi e una maggiore qualità urbana, uno spiraglio di crescita sostenibile. La politica urbanistica strategica da adottare è quindi quella ispirata al principio del risparmio di suolo, indirizzandosi verso la ricostruzione, il recupero e l’eventuale densificazione del patrimonio edilizio esistente e attribuendo una nuova identità ai luoghi che l’hanno persa.
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Imparare a densificare la città Con densificazione urbana si intende un aumento della densità edilizia delle aree urbane, ottenuta andando a riempire vuoti di aree marginali già urbanizzate, oppure demolendo e ricostruendo, oppure ristrutturando, con incentivi volumetrici per ottenere una maggiore superficie. L’obiettivo è quello di non “consumare” nuovo suolo e di razionalizzare la vita all’interno della città in termini di servizi pubblici di ogni genere, a partire dai trasporti. La densificazione se vista come mero dato numerico e funzionale, e non come una possibilità di crescita per la città, ci porta a domandarci cosa ci sia di nuovo, di utile, di positivo in questa strategia. Dal secondo dopoguerra si è fatta strada la speculazione edilizia più bieca che rappresenta in qualche modo una sorta di densificazione, è però una densificazione non governata che assume un’accezione negativa che trova l’origine molto indietro nel tempo, alle insulae romane, che nonostante i divieti imperiali crescevano in altezza. Se la città resta qualitativamente com’è, e anzi replica e moltiplica i suoi difetti ma con molti metri cubi in più, quali sarebbero le conseguenze? È certo che una densificazione urbanisticamente sbagliata diventerebbe un’aggravante e non un vantaggio per la città. La parola densificazione è una parola che possiede la capacità di farsi capire da tutti. Il fatto che però tutti la riescano a capire e a coglierne le volontà non significa che tutti la vedano con un’accezione positiva. Per la scuola di pensiero più conservatrice, densificare la città risulta una scelta infelice che nuoce alla stessa, che pone le basi per il collasso della città per congestione da traffico, inquinamento, ipertrofia funzionale del tessuto urbano e altro ancora. Questa strategia è considerata una sorta di tendenza che viene giustificata con la filosofia della città compatta, ottenuta attraverso la nuova edificazione, la sopraelevazione o ampliamento, come l’unica possibilità per la salvaguardia del territorio ma che in realtà si traduce in una cementificazione sistematica di tutti gli spazi liberi o di dismissione, senza minimamente salvaguardare nessuna parte del territorio. Per questa categoria il concetto di densità offre la possibilità di demolire e/o ricostruire con un premio volumetrico, lasciando così libero spazio alla costruzione selvaggia. Secondo il mio punto di vista, a fronte della situazione urbana in cui oggi ci troviamo, densificare è necessario ma non è sufficiente, quella che conta è la qualità con cui si decide di densificare una città. Vi è la necessità di buone intenzioni tradotte in regole ben definite che ovviamente spettano al buon senso delle amministrazioni, che devono imporre un’idea nuova di città con determinati confini. Per riuscire ad attuare un buon piano di densificazione si deve sicuramente tenere in considerazione che la città oggi ha allargato i suoi confini, le nostre aree urbane hanno subito uno sviluppo che deriva dalla sovrapposizione dell’espansione dei centri urbani alle infrastrutturazione del territorio, generando un fenomeno di ridefinizione della scala della città.
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Le periferie urbane che si sono sviluppate nel secondo dopoguerra, in molti casi senza un progetto preciso, ma come contenitori della popolazione, diventano ora parte integrante delle aree metropolitane. Partendo dalla comprensione di questo aspetto è possibile la formulazione di nuove strategie di densificazione. La visione pessimistica del concetto di densificazione, è comprensibile, una città compatta non ben pianificata può collassare ed essere invasa da una situazione di caos incontrollabile. Ma vorrei invitare a ragionare sul fatto che se la città di oggi dall’essere diffusa tornasse ad essere una città compatta, dove si favorisce la pedonalizzazione delle aree perché le distanze da percorrere sono minori e minori sono così anche gli inquinamenti, i guadagni sarebbero sicuramente maggiori delle perdite. Densificare non deve solo significare un aumento spropositato della popolazione in una porzione limitata di territorio. Quando si decide di densificare una città occorre tenere in considerazione una molteplicità di fattori che scatenano una riflessione sulla struttura della città stessa e sulle capacità che quest’ultima ha di assorbire un numero sempre crescente di popolazione. In definitiva il concetto di densità non deve essere visto con un occhio diffidente, può, e deve, assumere una nuova accezione legata all’efficienza, alla qualità e alla sostenibilità; densificare in base a opportune linee guida e in relazione agli standard di qualità, sfruttando al meglio le risorse esistenti all’interno delle città, risparmiando territorio, ricucendo le fratture in grado di generare situazioni di pericolo sociale e ambientale e, ultimo ma non ultimo, trasformare degli spazi interstiziali inutilizzati e dismessi in nuovi poli attrattivi promuovendo una nuova immagine architettonica connessa a nuove funzionalità. Tale operazione di densificazione sostenibile è caratterizzata da numerosi vincoli e problematiche di carattere funzionale, spaziale, normativo, compositivo, costruttivo e tecnologico che richiedono al progettista di saper scegliere un’azione in grado di equilibrare molteplici aspetti. Tutto ciò comporta quindi una riformulazione di nuovi paradigmi del pensiero dell’architettura e dei parametri innovativi per le città ad alta densità, per le quali oggi si avverte la necessità di un impellente cambio di rotta, alla luce delle nuove istanze ecologiche, adottando una politica di riciclo di spazi dimenticati e abbandonati a loro stessi che attendono di essere reinterpretati.
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Città più dense Il tema della densità della città contemporanea va al di là, della contrapposizione tra città densa e città diffusa, della matrice ecologica e dell’obiettivo di consumare meno suolo. La densificazione, nella sua accezione positiva, è un’opportunità che si può cogliere nel tessuto della città costruita per sperimentare dei modi di corrispondere ad una nuova condizione di urbanità, che investe sia la forma fisica della città che le relazioni tra le persone che la abitano. La società in cui viviamo viene spesso descritta facendo riferimento al concetto dei flussi e delle reti, alludendo alla velocità delle comunicazioni, all’interconnessione tra realtà diverse spesso fisicamente lontane, alla mobilità delle persone e degli stili di vita. La città, che è la forma spaziale della società, rispecchia tale condizione nella dimensione della città-territorio, la città espansa, dai confini in perenne crisi, in cui lo spazio è percepito come ostacolo, e il tempo è il principale parametro di riferimento. Tuttavia la dimensione del locale non può essere ignorata. Nella realtà, nuove forme di localismi e fenomeni di auto-organizzazione, riportano all’attenzione la resistenza dei luoghi alla dissoluzione spaziale. Spesso si presenta il bisogno di protezione che si traduce nella tendenza a rifugiarsi in luoghi sempre più chiusi, configurando così lo spazio urbano come insieme di frammenti isolati.1 1 Signore V., Densità e intensità nella città da ristrutturare. Tesi di laurea in Progettazione Architettonica, Politecnico di Bari, a.a. 2010/2011
Fig. 2.1 Immagine creativa che rappresenta la necessità dell’uomo di esporsi al mondo esterno. Sottolinea il fatto che ciò non avviene più attraverso le classiche dinamiche spaziali urbane legate all’interazione fisica ma attraverso un interazione di tipo immateriale, garantendo il minimo coinvolgimento.
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Tali luoghi chiusi ed autosufficienti non solo creano una protezione fittizia, ma escludono anche la possibilità di una interconnessione, che invece può esserci ed acquistare valore laddove i luoghi sono disponibili al confronto e densi di significati. Questa condizione ambivalente rivela da un lato l’esigenza dell’uomo di esporsi al mondo, e allo stesso tempo il suo bisogno di radicamento e protezione. Le comunità virtuali promettono di conciliare entrambe queste necessità: esse offrono contemporaneamente il massimo della connessione, con la garanzia del minimo rischio e coinvolgimento. Al contrario, il carattere casuale degli incontri sulla scena pubblica urbana rappresenta un’esposizione naturale a realtà diverse e non programmate grazie alla semplice compresenza fisica delle persone nel medesimo spazio. In questo progetto, densificare significa attivare quell’ intensità e varietà di persone, usi e significati, capace di valorizzare i luoghi, e così potenziare il senso di una loro interconnessione. Riducendo le distanze tra le persone si aumentano le possibilità dei contatti tra esse. Ritornare a discutere di densificazione testimonia un cambiamento di fase del processo di urbanizzazione basato sul ritorno dell’attrazione delle grandi metropoli globali, sia per la concentrazione delle attività economiche che per la vita urbana con la sua intensità di relazioni e sviluppo culturale. La densificazione è un tipo di politica urbanistica che mira ad ottimizzare lo sfruttamento del territorio, per ridurne il consumo e per evitare l’espansione incontrollata della città. La sua progressiva affermazione, è il segno di un cambiamento di fase del processo di urbanizzazione. Densificare quindi la città già costruita, e valorizzare le sue aree permeabili che ne formano la rete ecologica rappresenta la base di nuovo modello di sviluppo urbano e sociale. La spinta alla densificazione coincide inoltre con una rivalutazione dei suoi vantaggi in quanto sembrerebbe permettere agli abitanti un genere di vita più libero, una maggiore mobilità e più tempo libero. Le misure maggiormente adottate per queste finalità sono lo sviluppo verticale degli edifici, la riduzione della dimensione delle unità abitative per aumentarne le quantità e la riduzione della dotazione di standard. Dove la città è più densa, e quindi l’altezza degli edifici è in media più elevata, oltre a ridursi il tasso di occupazione del suolo, è possibile far vivere e lavorare più persone a breve distanza dalle stazioni e dalle fermate dei mezzi pubblici. Nelle “città dense” il mezzo privato è spesso meno competitivo e meno usato rispetto al mezzo pubblico, agli spostamenti a piedi o in bicicletta. Anche da un punto di vista energetico, i condomini a parità di fattore di forma , sono più efficienti delle villette; allo stesso modo, con il crescere delle dimensioni di un edificio, le dispersioni termiche, e quindi i costi di riscaldamento e climatizzazione sono minori. Si può pensare, a queste soluzioni come politiche o processi da mettere in atto sulle città esistenti per indirizzarne il cambiamento e ottenere dei notevoli miglioramenti dell’attuale situazione abitativa.
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Fig 2.2 Illustrazione grafica della congestione in una cittĂ frenetica che fa da padrona in un contesto cittadino antropizzato.
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Principi di densificazione A rafforzare la strategia della densificazione si stanno diffondendo esperienze internazionali di grandi aree metropolitane che provano a concentrarsi su loro stesse utilizzando gli spazi abbandonati, o mal adoperati, al loro interno, dalle aree dismesse alle infrastrutture in disuso. Spazi urbani non utilizzati che vengono visti strategicamente, come delle risorse da utilizzare per costruire nuovi parti di “città dentro la città” e non più come punti di debolezza, e che possono essere utilizzati per “recuperare” i cittadini dispersi negli ultimi decenni dalle grandi città a favore dei centri limitrofi minori. Densificare la città già costruita per ridurre al minimo l’ulteriore estensione di un’area metropolitana alle limitrofe zone rurali, ma anche valorizzare le aree permeabili che formano la rete ecologica, rappresenta la base di nuovo modello di sviluppo urbano e sociale che sta caratterizzando le recenti scelte delle grandi metropoli.2 Le politiche di “smart-growth” diffuse negli anni ‘90, hanno ripreso piede nel nuovo millennio e sono sistemi di regole pensate per ridurre lo sprawl suburbano e governare la crescita, tendono a incoraggiare le persone ad abitare più vicine, a distanze percorribili a piedi da negozi e uffici. Uno degli scopi, apparentemente banale, di queste politiche è la riduzione dell’uso dell’automobile ma anche di raggruppare gli abitanti entro densità maggiori per mantenere ampie zone di spazi aperti. Un esempio significativo ce lo offre la città di Londra con il piano del febbraio del 2004 3: è il documento che ha lanciato la densificazione come strategia prioritaria urbana per il soddisfacimento del fabbisogno abitativo secondo un sistema sostenibile. Il piano, andando più nel dettaglio, prevede delle linee guida per la progettazione della “città compatta”, articolate secondo i seguenti punti: massimizzare il potenziale dei siti; creare o potenziare la sfera pubblica; creare o potenziare gli usi misti; essere accessibile, usabile e permeabile per tutti gli utenti; essere sostenibile, durevole ed adattabile; essere sicura per gli occupanti e per i passanti; rispettare il contesto locale, il carattere e la comunità; essere pratica e leggibile; essere attraente alla vista; rispettare l’ambiente naturale; rispettare il patrimonio storico della città;
2 Moccia F.D., Coppola E. (2009) Densità e densificazione, Urbanistica Informazioni, n. 226, p. 29-30 3 Moccia F.D. (2009) Densificazione nei piani di Londra e New York, Urbanistica Informazioni, n. 226, p. 35-36
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La proposta di “città compatta” è la soluzione urbanistica sostenibile e, perciò, deve includere anche i seguenti elementi: riutilizzare il suolo urbanizzato e gli edifici dismessi; conservare l’energia, i materiali, l’acqua e le altre risorse; assicurare che la progettazione faccia ricorso a sistemi naturali sia all’interno che all’intorno degli edifici; ridurre l’impatto del rumore, dell’inquinamento, delle esondazioni e degli effetti microclimatici; assicurare trasformazioni urbani confortevoli e sicure per gli utenti; conservare e migliorare l’ambiente naturale, particolarmente in relazione alla biodiversità; promuovere comportamenti sostenibili per la gestione dei rifiuti nelle zone vecchie e nuove della città, incluso il supporto per sistemi integrati di riciclo locale. Anche il documento di piano “A Greener, Greater New York” del 22 aprile 2007, a cui si arriva dopo circa un anno di consultazioni, si fonda sul concetto chiave che la forza della città è nella concentrazione, nell’efficienza, nella densità e nella diversità; oltre che soprattutto nel ruolo attivo della comunità, su cui si basano generalmente le politiche di sviluppo statunitensi. Uno dei maggiori problemi affrontati nel documento di piano è quello inerente alla domanda di alloggi per un milione di persone, è un programma che deve assicurare la messa a disposizione di case a basso costo, più sostenibili ed assicurare che ciascun cittadino non abiti ad una distanza maggiore di 10 minuti da un parco. Per riuscire ad effettuare una strategia di densificazione funzionate è utile definire una gerarchia di intervento. Ipotizzando una serie di livelli, il primo sarebbe quello dell’indagine e definizione delle condizioni tecnico-urbanistiche che regolamentano l’intervento, sottoponendo un’ipotetica area di progetto ai vincoli urbanistici e edilizi. Un secondo livello lo si può identificare con l’analisi dei flussi, presta attenzione soprattutto agli spostamenti pedonali, connettendo luoghi interni all’area, ma anche esterni ad essa. L’area ipotetica si può configurare come un vuoto urbano interno al tessuto della città consolidata, difficilmente attraversabile, ma con la particolare caratteristica di essere in una posizione strategica.
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Densificare quindi significa, innanzi tutto dare valore all’interconnessione esistente con il resto della città, e al contempo progettare e costruire le ragioni e la possibilità del suo attraversamento da parte degli abitanti dei quartieri limitrofi. Infine, il terzo livello concerne l’individuazione di alcuni principi di base nel configurare la qualità dello spazio compreso tra l’edificio e il resto della città: l’introspezione dentro-fuori, la varietà funzionale, l’attenzione all’arco temporale quotidiano di funzionamento dei servizi, la tipologia in grado di favorire la mixitè sociale e l’articolazione degli spazi, da quelli privati, interni all’alloggio, a quelli esterni. Nell’insieme, questi tre livelli si configurano come prodotti volti a chiarire i diversi elementi che si possono intrecciare nel progetto di densificazione di una città e che include il riciclo di un brandello di città. A fronte delle problematiche fin qui affrontate possiamo sostenere che il miglioramento dell’ambiente urbano e, in particolare, della qualità di vita degli abitanti delle città sono diventati una questione di notevole rilievo nello scenario globale, finalizzato al raggiungimento di uno sviluppo sostenibile. Gli abitanti dei centri urbani sono chiamati ad affrontare il sovraffollamento e i problemi ad esso connessi quali il traffico, la congestione, l’inquinamento, i rifiuti e gli effetti che questi fattori inducono sulla salute e sulla società. In questo senso, è vero che la densità urbana può assumere una connotazione negativa, che associa l’uso intensivo e indiscriminato del territorio alla scarsa qualità di vita riscontrabile in esso. Ma è anche vero che le città del presente devono essere in grado di reagire a tali sollecitazioni, dimostrandosi incubatrici di nuove idee per il miglioramento di questa complessa situazione ambientale in cui siamo intrappolati.
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Crescere senza consumare: vuoti urbani “Siamo parti di una società di consumo che è dominata da un’economia della crescita, la cui logica non è crescere per soddisfare le necessità, ma crescere per crescere.”4 La maggior parte dei beni sono progettati per smettere di funzionare o cadere in disuso, costringendo i fruitori di cercarne uno nuovo perché, nella maggior parte dei casi la riparazione di un oggetto potrebbe risultare più costosa, occorre però prendere conoscenza anche del fatto che in un futuro, non molto lontano, potrebbe costare di più lo smaltimento che la riparazione. Il primo, a causa delle disarmanti quantità di rifiuti prodotti, avrà delle conseguenze di impatto ambientale notevoli. Sul piano urbanistico questa continua evoluzione e crescita sregolata dei processi economici, che caratterizza il nostro sviluppo, oggi più che mai, genera sistematicamente vuoti urbani: un’occasione che la città a sua insaputa offre riducendo le esigenze di edificare nuove aree, ma che non tutti purtroppo sanno cogliere. Facciamo parte di una realtà in continua evoluzione che però presuppone un processo di piano più attento alla valorizzazione di tali ambiti urbani anche incentivando un loro riuso funzionale che assecondi le esigenze della popolazione. L’utilizzo attento dell’insieme dei vuoti urbani e degli ambiti sottoutilizzati può costituire un elemento di rilevante interesse e altamente qualificante per una progettazione urbanistica innovativa, una progettazione che sappia coniugare le necessità disciplinari e culturali dell’urbanistica più avanzata con le esigenze delle diverse attività e la crescente domanda di qualità della vita da parte della collettività urbana. È in questo contesto che i vuoti urbani hanno assunto un ruolo di sempre maggiore rilievo. Il vuoto urbano aveva un’accezione completamente differente per la città storica, si basa su una relazione fisica tra pieni e vuoti, una relazione definita in termini di proporzioni e qualità percettive. Nella città aperta del moderno questa relazione è, invece, concepita come intervallo e distanziamento tra gli edifici. Nella città moderna, dunque, lo spazio vuoto è stato interpretato come elemento astratto al negativo: il vuoto come risultante dei pieni dell’architettura. Ai moderni è mancata quella sensibilità topologica che ha contraddistinto la pianificazione della città storica. Oggi domina l’isolamento dei volumi, posti a buona distanza gli uni dagli altri e distribuiti uniformemente sul terreno, un terreno spesso trattato, ovviamente nei limiti del possibile, come un piano quasi astratto. Questa scelta deriva dalle teorie igieniste della scuola urbanistica tedesca, che fanno dipendere una vita sana da aria, luce, separazione delle vie di comunicazione pedonali e veicolari. Lo spazio di azione è interpretato come quel “vuoto” che sta tra i “pieni”.
4 Santos Balvin K., Riciclaggio urbano: strategie per la riqulificazione dello spazio pubblico nel centro di Lima, Perù. Tesi di Laurea in Architettura, Politecnico di Torino, a.a. 2011-2012.
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L’architettura del riciclo Riciclare significa rimettere in circolazione, riutilizzare materiali di scarto, che hanno perso valore e/o significato. È una pratica che consente di ridurre gli sprechi, di limitare la presenza dei rifiuti, di abbattere i costi di smaltimento e di contenere quelli di produzione del nuovo. Riciclare vuol dire, in altri termini, creare un nuovo valore e un nuovo senso. Un altro ciclo è un’altra vita. In questo risiede il contenuto propulsivo del riciclaggio: un’azione ecologica che spinge l’esistente dentro il futuro trasformando gli scarti in figure di spicco. L’architettura e la città si sono sempre riciclate. Perseguire la strade del riciclo fa si che si prendano in qualche modo le distanze dal filone di pensiero che caratterizza il restauro: l’idea della conservazione tende a imbalsamare l’immagine dello spazio architettonico o urbano attribuendo valore all’immutabile. Per gli interventi di riciclaggio il cambiamento è il valore. L’aspetto innovativo risiede nel considerare strategica questa politica per l’architettura, per la città e per i paesaggi derelitti. Il paradigma del riciclo si contrappone a quelli della nuova edificazione. Si ricordi che la pratica del riciclo degli spazi e dei tessuti urbani è necessariamente contestuale e adattiva, non si può attuare con tecniche stereotipate o con strumenti tradizionali. Ogni luogo e ogni caso prevedono un progetto diverso. Vi sono alcuni casi che si fanno portavoce di una politica basata sul riciclo urbano come ad esempio la città di Monaco di Baviera dove nel 2008 l’Amministrazione, in contemporanea con la presentazione della variante allo strumento urbanistico generale bandisce un concorso, Open Scale, e chiede ai giovani architetti di immaginare la Monaco degli anni 2020-2030. Vinse il progetto Agropolis, che contrappone alla logica dello sviluppo metropolitano, un’occupazione temporanea degli spazi in attesa di nuova edificazione, con aree agricole per la produzione del cibo nella città.5 Un altro caso, di natura più provocatoria rispetto al precedente si trova Bruxelles dove Gilles Clement realizza un piccolo progetto che diviene una sorta di manifesto. Si tratta dell’Escalier Jardin che consiste in un’ operazione di demonumentalizzazione e nasce come sfregio alla città tradizionale, dove una struttura monumentale inutile ai tanti viene lasciata invadere dalla natura spontanea. In Italia queste strategie, provocatorie o meno, sono poco utilizzate. Un intervento che si può forse annoverare tra gli esempi italiani di riciclo, può essere quello delle Officine Grandi Riparazioni. Come afferma Mosè Ricci, docente di urbanistica presso la facoltà di Architettura di Genova, è probabilmente quello che meglio interpreta il senso del tempo con un progetto aperto e in parte non finito che trasforma questa apparente incompiutezza in valore estetico aggiunto nella città.
5 Buonanno D., Nuovi paesaggi. interventi di natualizzazione urbana, Planum the Journal of Urbanism, maggio 2012.
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In Italia, per riuscire ad applicare una politica del riuso, è bene ispirarsi all’architettura contemporanea europea, che non affronta semplicemente il semplice tema del riuso, bensì del riciclo, come strategia utile per l’architettura, la città e il pianeta. I luoghi del lavoro del passato, ormai abbandonati e inseriti nel tessuto urbano, sono “rovine” che parlano di un passato importante, ma senza un futuro stabilito, rappresentano occasioni da sfruttare per le pressanti necessità dei centri urbani in crescita. Sfruttando e reinventando gli spazi già esistenti possono nascere nuovi parchi, nuovi servizi, nuove abitazioni e/o nuovi spazi collettivi. A volte accade anche che questo processo di riqualificazione non avvenga con azioni predisposte, ma che avvenga in maniera spontanea: gli abitanti si riappropriano degli spazi abbandonati (quartieri, strade, edifici, fabbriche) e li reinventano. L’obiettivo che ci dobbiamo porre è quello di scommettere sulla capacità di questi spazi di entrare a far parte delle dinamiche urbane, di essere cioè un nuovo sistema di relazione, capace di ospitare una molteplicità di usi, grazie alla loro flessibilità e soprattutto grazie all’indeterminatezza di uso. Lo scenario di densificazione e riciclo fin ora evocato, da un lato presuppone un aggiornamento delle politiche e delle tecniche in uso (pianificatorie, urbanistiche, normative e finanziarie, architettoniche e costruttive, produttive e gestionali), dall’altro implica un miglioramento dell’assetto territoriale che si indirizzi verso una razionalizzazione delle risorse disponibili e del patrimonio esistente, orami datato, per il quale urgono delle ipotesi di trasformazione e di rinnovo. Ci si deve muovere verso un riciclo urbano che inizi un nuovo ciclo da un qualcosa che già c’è e segue la spirale evolutiva di uno spazio architettonico. I territori contemporanei si presentano con caratteristiche completamente differenti da quelle sopra descritte. Presentano due condizioni tra loro contradittorie: l’insostenibile consumo delle risorse, termine che tende ad abbracciare la sfera ambientale, delle energie sociali per arrivare a quelle economiche, e l’inutilità in cui versano alcuni, e sempre più numerosi oramai, brandelli di città anche recentemente costruiti.6
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Marini Sara (2012) Lo spessore della città, Hortus.
Figg. 2.3, 2.4 e 2,5 Collectif Etc “Faîtes vous une place!” Saint-Etienne Francia. Progetto di valorizzazione di uno spazio incolto e abbandonato nel centro di Saint-Etienne all’angolo de la rue Cugnot e de la rue Ferdinand. Sfrutta un vuoto urbano per creare un vero e proprio luogo fisico per abitare la città in modo informale, sociale ed ecostostenibile. Un edificio a zero cubatura che vuole essere il primo step per la realizzazione di un vero e proprio edificio.
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La risposta a questa contraddizione sta nel dover riformulare il concetto di nuovo, che investe anche l’idea di spazio; occorre quindi porsi con un nuovo atteggiamento verso l’esistente. Si devono andare a definire strategie di stratificazione progettate in funzione dello scenario culturale, architettonico, normativo, economico e tecnologico italiano, per tornare ad insistere su un nuovo senso di urbanità più sostenibile. Ciò significa non tanto dilatare i volumi della città ma soprattutto ridefinirne i caratteri, densificando servizi e qualità, estendendo partecipazione e accessibilità, significa incentivare un settore economico verso direzioni di sviluppo alternative a quelle sperimentate, capaci di intercettare le differenti esigenze e significa intervenire sul piano fisico con una finalità sociale. La valorizzazione e il riuso dell’esistente non solo è una scelta culturale, ma diventa tale come condizione necessaria alla sopravvivenza urbana. Si tratta sostanzialmente di costruire o meglio restituire aree urbane e di scambio utilizzando i luoghi dimenticati o abbandonati, fornendo così nuove prospettive all’interno di un disordine caotico e permette di ipotizzare nuovi utilizzi e assegnare nuovi significati a queste aree. Individuando elementi che nascondono nuove funzioni, si offre così alla città la possibilità di autorigenerarsi. Per una “crescita intelligente” sembra oggi indispensabile la messa in campo di sistemi integrati di azioni, alle diverse scale, mirate contemporaneamente alla riqualificazione della città esistente ed alla promozione dell’addensamento, delle spinte insediative nelle aree già urbanizzate e sottoutilizzate. Una “crescita intelligente” perseguibile ricorrendo a modelli insediativi compatti e a basso consumo di suolo, fondati su elevati mix funzionali e su intensità di uso del suolo adeguate ai caratteri dell’edificato esistente ed al contesto ambientale e paesaggistico in cui si inseriscono.
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Fig. 2.6 Reduce-Reuse-Recycle. Manifesto del padiglione tedesco alla biennale di Venezia 2012
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3. ARCHITETTURA PARASSITA
“Il parassita, per sua natura trae vita dal rapporto con l’ospite, e da qui segue la sua accezzione negativa di chi non è autosuffciente; ma tale rapporto implica non una totale soppressione del preesistente quanto una strategia di relazione capace di dare significato ad entrambe le parti, di dare un significato in “prestito” per il parassita e di risignificare il corpo ospite. […] Il parassita non fonde ma scopre, osserva e mette in evidenza tratti paradossali della contingenza.” “Il parassita viene guardato e adottato da chi cerca risposte concrete per la crescita della città non solo per offrire un modello che potrebbe, anche per sua natura, essere solo e semplicemente contingente, ma per sollecitare il sistema, per commentarlo, per ricordare la definizione di città a chi, costruendo quotidianamente confini, se ne è dimenticato.” “Il parassita viene chiamato in causa e usato per ricordare a chi disegna la città che i limiti esistono solo perché determinati come tali e che la città è prima di tutto un organismo denso, in trasformazione, perché strumento nella mani dei cittadini, ma anche madre, capace di accogliere chiunque con i suoi spazi bianchi, vuoti e pubblici.” “Non si tratta semplicemente di concepire un’architettura isolata ma di innescare e costruire connessioni, di sistematizzare lo spazio trovato colmandone le lacune e sfruttandone le opportunità.” Sara Marini 43
Etimologia del termine parassita “parassita s. m. e agg. (raro parassito, ant. parasito, come s. m.) [dal lat. parasita o parasitus, gr. παρàσιτος, comp. di παρà«presso» e σàτος «alimento, sostentamento»] (pl. m. -i).” In origine, denominazione in uso nell’antica Atene per designare funzionari cultuali di alcune divinità, con attribuzioni non ben chiare, che avevano come caratteristica di partecipare alla divisione della vittima sacrificata alle divinità stesse; più tardi (almeno dal sec. 4° a. C.) il termine assunse il significato di scroccone sfrontato, amante della buona cucina, spesso incaricato di allietare con buffonerie gli invitati a un banchetto. Nell’uso odierno, anche come s. f., chi mangia e vive alle spalle altrui: attorniarsi di adulatori e parassiti. Più genericamente , persona che vive senza lavorare, sfruttando le fatiche altrui, o che vive alle spalle degli altri, senza alcun contributo personale sul piano del lavoro e della produttività: è un p. della società; vivere da p., fare il parassita. Come aggettivo: un individuo p.; un ente parassita. In biologia, ogni animale o vegetale il cui metabolismo dipende, per tutto o parte del ciclo vitale, da un altro organismo vivente, detto ospite, con il quale è associato più o meno intimamente, e sul quale ha effetti dannosi; frequente come aggettivo: insetti p., organismi p.; piante parassite. Si distinguono ectoparassiti, che vivono sulla superficie esterna dell’ospite (come pidocchi, zecche, pulci per gli animali, e funghi, cocciniglie per le piante), e endoparassiti, che vivono all’interno del corpo dell’ospite dove possono avere le più diverse localizzazioni (sangue, cavità interne, organi varî)[…]. In teratologia1, nel caso di anomalie fetali doppie asimmetriche, è così detto il gemello incompleto portato dall’individuo bene sviluppato (autosita), al quale è unito nella Regione cefalica, o cervicale, o toracica o addominale. In aeronautica, velivolo p., il velivolo dotato di propulsione a getto, […], che può essere rilasciato, dopo la messa in funzione del propulsore, per la missione da compiere, e che può, eventualmente, tornare ad agganciarsi al velivolo con una manovra opportuna. In radiotecnica, disturbi p. (anche parassiti s. m.), i disturbi di diversa natura e origine (p. atmosferici, p. industriali, ecc.) che possono perturbare la ricezione dei radiosegnali. […]. In elettrotecnica, correnti p., correnti elettriche, generate nelle parti conduttrici di un apparecchio dalle forze elettromotrici indotte da campi magnetici variabili, che in genere costituiscono una inutile dissipazione di energia; […]. In metrologia, coefficiente p., il coefficiente che compare nelle relazioni tra grandezze fisiche quando si usano unità di misura incoerenti tra loro […].
1 La teratologia è lo studio delle mostruosità corporee congenite, ossia la scienza che studia i difetti presenti fin dalla nascita, ovvero le malformazioni del neonato.
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Cercando la definizione del termine sull’ Enciclopedia Treccani si può notare come il termine parassita si riferisca a tre grandi sfere principali: all’abitudine di mangiare, ad una tipologia nociva di organismi e ad un interferenza del suono. Sorge spontanea una domanda, come mai in architettura non ha assunto ancora nessun riconoscimento ufficiale nonostante sia una pratica molto diffusa, specialmente nel Nord Europa? Anche se in architettura il termine parassita non è ufficialmente riconosciuto, la strategia del parassita è una pratica molto diffusa in altri peasi europei. La Germania e l’Olanda, paesi in cui l’amministrazione territoriale, come dimostrato nei capitoli precedenti, ha focalizzato per tempo il problema dell’incessante consumo di suolo e quindi ha aperto i propri orizzonti a nuove logiche insediative. Nel primo paese il parassita è utilizzato per attuare una “densificazione debole” della città, risponde a richieste ben specifiche inerenti alla mancanza di abitazioni, mentre in Olanda il parassita nasce proprio con l’intento di diventare una possibile risposta alle domande di crescita e di trasformazione della città, si propone come modello. La strategia parassitaria può quindi assumere diverse sfaccettature in funzione delle necessità. Nelle immagini che seguono vedremo come le due filosofie dei due paesi prendono forma rispettivamente attraverso la mostra Pasrasite Paradise a Utrecht del 2003 e il progetto Las Palmas Paradise a Rotterdam del 2001. I progetti rappresentano i capi saldi del movimento. Nell’immaginario collettivo, il concetto di parassita architettonico è legato ala figura di piccoli edifici costruiti sui tetti, negli anfratti, appesi, ancorati, infilati e incastrati tra altri edifici. Rincoducibile al progetto Las Palmas Parasite. Ma quello che è bene sottolineare è che il nuovo corpo immesso nel sistema, si differenzia dal corpo ospite, ne sfrutta solo alcune determinate componenti, prevalentemente quelle strutturali, tra i due manca un intreccio spaziale diretto. Potrebbe sembrare un elemento di disturbo, invece questa alterazione si presta a raccontare un problema, chiede un evoluzione dell’esistente. “La strategia del parassita con tutte le sue implicazioni disciplinari e progettuali si pone molto vicino alle dinamiche della realtà contemporanea fatta di stratificazioni, innesti e trapianti, relazioni complesse; trova il suo punto di forza in “cadaveri” che non cedono del tutto e corpi nuovi che da soli non riescono a vivere.” Pippo Ciorra
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Figg 3.1, 3.2, 3.3 e 3.4, Immagini raffiguranti la mostra Paradise Parasite che rientrava in una serie di esercizi nel campo dell’arte, dell’architettura e dell’urban planning in atto sul territorio. Il tema centrale per i tre campi era la residenza, articolata sulle tendenze del temporaneo e del mobile. Il termine parasite viene adottato con il sottotitolo Manifesto for a Temporary Architecture and lexible Urbanism.La mostra è documentata nel testo Parasite Paradise di J.Allen e H. Ibelings. L’autore delle foto è Ralph Kamena.
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Figg. 3.5,3.6,3.7 Las Palmas Parasite è stato progettato dagli architetti Korteknie e Stulmacher in occasione della mostra “ Rotterdam cittĂ della culturaâ€?. Al suo interno accoglieva la mostra intitolata Parasites. The city of small things . La mostra raccoglieva opere che rappresentavano possibili declinazioni di strutture abitabili, mobili e leggere pensate per colonizzare luoghi urbani residuali.
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Fusione di densificazione e riciclo urbano L’unione di una politica di densificazione della città associata al riciclo degli spazi urbani scartati dalla società trova una possibile risposta nell’architettura parassita. Questa strategia permette di compiere dei ragionamenti non indifferenti sulla città e sul suo sviluppo, offre l’opportunità di attivare un processo che consente di poter migliorare l’ambiente urbano riducendo i consumi del suolo ma aumentare la densità urbana. Permette inoltre, addizionando un nuovo corpo, di interagire con un corpo architettonico esistente ma purtroppo dimenticato, ragionando così a livello progettuale sui suoi limiti e sui suoi nuovi confini e sul ruolo che questo assumerebbe nel quotidiano. Il tema della densificazione urbana in Italia fino ad oggi, e ancora oggi, ha rivestito un ruolo molto attivo all’interno dei dibattiti del movimento contemporaneo ma senza riuscire a produrre reazioni, esperienze concrete, fatto salvo alcuni casi, che possano essere assunti come modello. Solo in questi ultimi anni si è iniziato a percepire i primi passi verso una politica più sostenibile e siccome siamo solo al principio di questo tipo di ragionamento perché non fare riferimento ad un modello di crescita come quello dell’architettura parassita? Il parassita architettonico chiede una riflessione sul senso del progetto dello spazio, non nell’ ottica di un incremento incondizionato di esso ma di una sua ottimizzazione. Il parassita viene preso in considerazione da chi è in cerca di risposte concrete e sente la necessità di sollecitare, commentare il sistema e per ricordare la definizione di città a chi, costruendo ogni giorno nuovi confini, se ne è dimenticato. Vuole cambiare le regole in gioco e sovvertire la logica spaziale ponendosi come commento allo spazio dato. Chi si serve di questa modalità di implementazione debole della città, applicando un agopuntura, cerca negli scarti di un’economia fondata sulla realizzazione di grandi complessi fatiscenti, a volte vuoti, possibilità, tecnologie per dar luogo a piccole presenze che accolgono servizi e spazi in più. I tempi e gli spazi di questa strategia sono minuti, cercati meticolosamente tra le carte che regolano le modalità costruttive della città e dei territori e trovati in architetture spesso banali, quotidianamente abbandonate.2 A fronte di questi principi, nonostante si ponga con un atteggiamento provocatorio, non si può certo negare che l’architettura parassita non possieda tutte le caratteristiche per potersi trasformare in un modello intelligente di crescita urbana che contrasti le tendenze negative di sviluppo della nostra società fondata sul consumismo. Essa si deve porre come risposta a quei paesi, come l’Italia, che cercano ancora una risposta alla città diffusa e iniziano solo ora a sensibilizzarsi riguardo all’esteso consumo di suolo.
2 104.
Sara Marini, Architettura parassita strategia per il riciclaggio della città, Quodlibet, 2008, pp103-
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Il parassita architettonico non è un virus In architettura, un parassita è identificato come un’aggiunta discontinua, incoerente e di natura diversa ad un altro corpo, è parzialmente o totalmente dipendente, ma spesso e volentieri indipendente, dalla costruzione sulla o con la quale si lega. Si tratta di un approccio metodologico che parte dal concetto di interventi minimi, ridotti, controllabili e sostenibili economicamente, capaci di aggredire l’esistente, di sovrapporsi ad esso e di suggerire nuove potenzialità prima non previste dalla realtà costruita. Prendendo spunto da esempi emblematici come Ponte Vecchio a Firenze e da fenomeni di progettazione spontanea, diffusasi in modo capillare, come accade per le altane veneziane o le verande abusive, si viene a delineare una modalità di progettazione che reinterpreta l’esistente, sfruttandone impianti, struttura e suolo esattamente come un parassita sfrutta la linfa vitale di un altro corpo vivendo a sue spese. Il paragone con la medicina è immediato, in campo biologico però, il parassita non assume solamente un’accezione negativa come si è soliti credere. In quanto entità esso costruisce una relazione con un altro organismo, lo attacca ma riveste anche il ruolo di componente capace di stabilizzare un sistema per poi far evolvere la materia attaccata in una nuova configurazione più forte di quella precedente. Sono molti gli esempi di reciproco aiuto tra esseri viventi diversi, dove ciò che conduce un’esistenza parassitaria a scapito di qualcos’altro in realtà svolge un servizio utile, risolve una parte dei problemi dell’organismo aggredito. Superando l’accezione biologica e in parte negativa del termine, attraverso le ipotesi progettuali si cercherà di dimostrare che l’essenza rivitalizzante del parassita in architettura è in grado di dare nuovo senso e nuova vita ad architetture esistenti dimenticate oppure non sfruttate per la funzione che dovrebbero svolgere, per creare una città che non si cancelli, ma che sedimenti l’esistente arricchendosi con nuovi segni. Questi nuovi segni, in quanto catalogati come parassiti, tendono ad essere inseriti in qualche modo contrastando la normativa vigente, ma questo non deve spaventarci perché al loro interno possiedono un potere di rigenerazione urbana. Si può dunque imparare anche dalle pratiche spontanee e a volte illegali per fare una progettazione innovativa, fresca e significativa. Si fa strada il principio del costruito sul costruito o del costruito nel costruito, di qualcosa di autonomo e identificabile nella sua natura materica e formale rispetto l’esistente. Tale corpo vuole suggerire la possibilità di operare rispetto a tessuti e manufatti fortemente degradati, non attraverso una loro totale trasformazione o addirittura eliminazione, bensì attraverso l’inserimento di nuove entità indipendenti e autonome che restituiscano alla città nuove possibilità d’uso e di fruizione, di comprensione e di lettura. L’ inserimento può avvenire secono differenti logiche, tutte con la capacità di dare nuovi significati e ruoli all’esistente.
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Fig.3.8 Immagine estratta dall’articolo “Parasite Architecture” di Marco Stojcic pubblicato sul magazine on line Arithekton il 2 Aprile 2012. L’immagine rappresenta , a mio parere, l’emblema del parassita in architettura. Una “macchia” sul sistema edilizio/urbano esistente che sovverte le dinamiche spaziali a cui l’individuo è abituato.
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Agopuntura parassitaria Gli interventi parassitari non necessariamente sono confrontabili con la scala del preesistente, a volte si tratta di aggiunte minime, oggetti che prediligono la scala umana più che la scala dello spazio urbano, nonostante questo sono in grado di modificare sostanzialmente le ragioni stesse del luogo. Si tratta di un’ intervento di agopuntura. È una strategia che paragona le città a degli organismi viventi, individuandone aree che esigono interventi di riqualificazione, la città viene vista non come un semplice agglomerato di edifici ma come un organismo vivente che funziona meglio se tutte le parti che la compongono lavorano sinergicamente. All’interno della città vi sono luoghi che sono ricchi di elementi da rinnovare, diventano quindi terreno fertile per l’innesto di progetti sostenibili, il cui scopo, come gli aghi utilizzati nella pratica dell’agopuntura, è quello di apportare benessere all’intero organismo e, una volta guarite le parti da rivitalizzare, scatenare un effetto positivo a tutta l’area circostante: interazioni che sviluppino risorse condivise, funzioni nuove del vivere comune e rapporti sociali virtuosi. Questo nuovo corpo architettonico che viene aggiunto, inizialmente estraneo all’organismo che lo accoglie, suggerisce una modificazione concepita in modo che le diverse fasi della stratificazione siano tutte leggibili e, soprattutto, che l’integrità dell’originale possa, almeno teoricamente, in ogni momento essere recuperata e che, inoltre, sia in grado di alterare il metabolismo dell’organismo abbandonato cercando di risolvere le cause che hanno portato all’obsolescenza del manufatto. La piccola scala può agire sulla grande scala senza stravolgere, ma sapendo infondere principi sani, ridotti all’essenziale, meno attaccabili, con essi si può riuscire a risvegliare le relazioni sociali spente da tempo per quel luogo abbandonato e, essendo un elemento che non occupa grandi dimensioni, se pensato in una forma modulare, si può espandere in altri luoghi che necessitano di una riattivazione dando vita ad un processo di rigenerazione urbana in grado di coinvolgere la comunità, per fornire, anche in un frangente di ristrettezze economiche e di risorse limitate, un rifugio urbano a chi abita la città. L’architettura parassitaria si pone il fine di “vaccinare” l’esistente in modo da farlo reagire alla situazione di degrado irrisolvibile in cui si è collocato, avvicinandosi sempre più dal desiderio elementare dell’uomo di costruire semplicemente luoghi in cui vivere bene assolvendo le proprie necessità. Attraverso il “parassitismo” il piccolo vince la sua sfida di poter intervenire a modificare la realtà costruita e la realtà sociale che la circonda, la città ha bisogno di numerosi progetti a piccola scala, poco costosi e legati al contesto locale, finalizzati al recupero e che indirizzino ad un rinnovamento urbano. La piccola scala dell’architettura parassita offre diverse possibilità di crescita urbana ma presenta dei vincoli di carattere distributivo: lo sviluppo verticale della struttura, con una manica poco generosa, permette di consumare meno suolo, ma non permette di avere spazi di grandi dimensioni. Questi limiti, legati alle “piccole” dimensioni non ci devono spaventare, devono anzi spronarci ad una progettazione più intelligente degli spazi in cui non vi sia uno spreco di superficie e vi sia però una disposizione degli ambienti nello spazio che permetta l’accessibilità da parte di tutti i fruitori.
Fig.3.9 Cedric Price. The capcity for Linkages . Definizione delle relazioni che il parassita può costituire con il corpo ospite.
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Limiti della strategia: normativa e tecnologia “Il rapporto con la norma è così talmente serrato e contradditorio da risultare determinante come una macchina a controllo numerico capace di restituire un modello esattamente rispondente al campo d’azione permesso o vietato.” Sara Marini Sebbene in differenti paesi europei, come già sappiamo, siano in vigore norme, piani, che limitano la sfrenata edificazione del suolo e promuovono invece la trasformazione dell’esistente, accendendo così la volontà da parte di numerosi architetti contemporanei di trovare nuove soluzioni che si muovano verso il riciclaggio degli spazi, per l’architettura parassita, che come già detto si rispecchia in questi due principi, la normativa italiana rappresenta un grande limite. L’architettura parassita, spesso e volentieri, si muove sul filo della legalità essendo una pratica che ha la capacità di essere inclusa e allo stesso tempo esclusa dal sistema, il principio per cui viene utilizzata è per dare spazio all’esigenze del singolo riciclando zone obsolete permette che si venga a creare un conflitto d’interessi tra lo spazio pubblico e lo spazio privato, il confine tra i due assume una certa ambiguità: un microcosmo privato s’insedia in uno spazio pubblico. Un altro aspetto gioca a sfavore del parassita, essendo un elemento che si “intrufola” e muta l’equilibrio di un edificio, e può essere quindi interpretato in maniera equivocabile, è che può essere inteso come una costruzione abusiva, non regolata da delle leggi specifiche, ma e bene ricordare che i corpi che vengono immessi nelle o sulle strutture esistenti, nonostante siano indipendenti dal punto di vista formale e spaziale, in quanto parassiti, sfruttano una struttura già urbanizzata nonchè gli impianti del fabbricato che li ospita i quali sottostanno a precise norme, influenzando così anche i parassiti. Per questo motivo il parassita non si trova in una posizione del tutto illegale. In qualche modo l’architettura parassita sfida e provoca l’immobilità prodotta dal continuo crescere della burocrazia nella richiesta di permessi governativi, comunali, di sicurezza, di soprintendenza e altri enti. La normativa rappresenta uno step con cui è necessario confrontarsi, ma sono dell’idea che le norme andrebbero snellite per non ridurre l’architettura ad un fatto puramente burocratico piuttosto che progettuale. Vi sono numerosi architetti che lavorano sui “buchi” normativi per riuscire a dimostrare che non è invincibile e che la pratica parassitaria non è nociva per la crescita della città, anzi. Un architetto tra i tanti che lavora sulle pieghe della normativa è Santiago Cirugeda, di origine andalusiana, egli sperimenta e mette in pratica progetti che hanno l’obiettivo di inserirsi come commento critico alla norme vigenti, chiede una maggiore capacità di revisione e attualizzazione delle norme. Ricava nuove unità abitative grazie ad un’ ingegnosa interpretazione del sistema legislativo, tali unità prendono forma attraverso l’affitto di spazi di distribuzione di edifici esistenti o nelle strutture cantieristiche.
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In Italia questo sistema parassitario non ha ancora preso piede, il governo del territorio è caratterizzato da una lunga storia di sovrapposizioni e di stratificazioni, che scivolano reciprocamente, l’una sull’altra, e che determinano, nel loro assestarsi, grandezze difficilmente immaginabili. Ad un primo modello fondato attraverso la Legge urbanistica del 1942 n. 1150 in cui le valutazioni e i procedimenti locali venivano attribuiti all’autonomia di un pianificatore, lo stato, si è lentamente sovrapposto un modello totalmente differente, dove al singolo si è sostituito la massa ovvero le regioni per rendere il sistema più elastico e allo stesso tempo più consenziente agli “strappi alla regola”. Quest’ultimo modello nella legislazione urbanistica post anni Sessanta ha assunto una forte rilevanza dando il largo a nuove costruzioni per ottenere maggiori compensi economici aumentando spropositatamente il consumo di suolo e un grande numero di strutture che sono divenute dei veri e proprio fossili. Non di minore importanza è il fatto che sia stata favorita una complicazione costante e continua delle leggi che regolamentano l’urbanistica edilizia. La città in questo modo è stata, e lo è tuttora, esposta strutturalmente al pericolo di non trovare mai una direzione metodologica sufficientemente stabile. È evidente come un’amministrazione rapida, snella e opportunamente incentivante a nuove pratiche, e non solo, sia un presupposto fondamentale affinché si sia disposti ad accettare di buon grado eventuali restrizioni. Oltre a coloro che si occupano principalmente di urbanistica, l’architettura parassita suscita interesse in chi si occupa di tecnologie costruttive. Il parassita mette insieme le diverse competenze alle rispettive scale. L’aspetto tecnologico gioca sicuramente un ruolo importante in questa pratica progettuale, richiede ricerca e una grande innovazione da parte dei progettisti. Essendo strutture che sovrastano, che si aggrappano o appoggiano a seconda delle necessità, richiedono una realizzazione intelligente, la loro massa non deve gravare eccessivamente sull’ospite altrimenti si potrebbero dare vita a problematiche di tipo strutturale.
Fig. 3.10 L’immagine ironizza sul concetto di agopunutura urbana. Nella sua semplicità riassume un concetto fondamentale: tanti piccoli parassiti sarebbero in grado di scatenare nuove dinamiche all’interno della città.
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In Italia le tecnologie costruttive sono ancorate alle prassi costruttive tradizionali, difficilmente si vedono edifici costruiti con tecnologie particolarmente innovative. La sfida quindi che l’Italia dovrebbe cogliere è quella di riuscire a superare i propri limiti e diventare capace di governare le problematiche del progetto e dell’innovazione, con la consapevolezza del fatto che il progetto debba essere costruito per diventare architettura e che la tecnica debba superare il ruolo di supporto che tradizionalmente le viene assegnato, per diventare occasione di rinnovamento linguistico e formale. Occorre quindi fare interagire efficacemente le componenti legate al linguaggio architettonico con quelle legate alla tecnologia e alla qualità dell’ambiente costruito nonostante non sia sempre semplice confrontarsi con nuovi usi di manufatti esistenti che impongo un profondo ripensamento di alcune delle ragioni sulle quali il progetto si era tradizionalmente basato. La tecnologia può essere capace di incidere sulle forme, i codici e i linguaggi dell’architettura contemporanea. L’approfondimento della ricerca su queste tematiche, a fronte di questi motivi, risulta doveroso per superare i limiti tecnicistici che spesso caratterizzano il parassita. I parassiti “gravano” su di un’altra struttura, il problema strutturale è, infatti, un elemento che suscita preoccupazione quando si discute di architettura parassita, ma attraverso tecnologie differenti dall’esclusivo utilizzo del comune calcestruzzo armato, come il legno, o l’acciaio si può riuscire a sopperire a questa problematica. Gli edifici in legno e acciao, dispongono di una minore massa e coniugano meglio i sistemi costruttivi a secco, garantendo un’elevata riciclabilità delle singole componenti.
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4. STATO DELL’ARTE
“il parassita è un operatatore differenziale del cambiamento” Michel Serres
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Attraverso l’analisi approfondita di sei progetti, ritenuti significativi in quanto rappresentativi delle dinamiche tipiche dell’architettura parassita, si cercherà di dimostrare che tale filosofia non lascia nulla al caso. È un insieme di forze, una cospirazione di nuovi requisiti e nuove aspettative, che richiede la collaborazione tra le parti e il suo successo risiede proprio nella qualità di questa collaborazione. 1 Questa pratica, infatti, non vuole coinvolgere solo il mondo legato alla progettazione, ma si attua con l’inclusione dell’intera società: da chi commissiona a chi regolamenta e soprattutto abita gli edifici e la città. Attraverso queste ipotesi progettuali non si vuole effettuare un gesto isolato o alla moda, ma si vuole prendere parte ad una ricerca intellettuale, sociale e fisica ricca e continua che trova il suo senso nel desiderio di dare un contributo significativo al nostro mondo fisico. Tramite l’architettura parassita è possibile reinventare una struttura e donarle un nuovo potenziale. Con questa pratica, servendosi di una spiccata progettualità, è possibile creare valore laddove sembrava perduto, celebrando l’architettura esistente, attribuendole nuove qualità e aprendola a nuovi utilizzi. L’architettura parassita Infonde nuova vita a vecchie fondamenta. I sei progetti analizzati ci fanno capire che il patrimonio edilizio esistente deve essere riconosciuto come importante risorsa energetica, culturale, sociale e architettonica per la realizzazione del nostro futuro. Il prendere seriamente l’esistente, il povero, l’insolito e l’usuale in quanto risorsa architettonica schiude le nuove possibilità in termini di agire architettonico. Il fil rouge che accomuna i casi studio è la capacità di sovvertire le regole della logica spaziale e di eludere l’identificazione convenzionale degli oggetti. Si mettono in crisi i limiti di confine dello spazio privato e dello spazio pubblico, in funzione della situazione che s’intende commentare. I casi presentati, tutti realizzati, sono un insieme d’interventi che nascono come critica, alcuni sono installazioni temporanee che girano il mondo altri sono invece permanenti. Certi progetti sono più evocativi di altri, alcuni più provocatori, ma in ognuno di essi vi è una forte matrice parassitaria. La qualità di questi progetti non va ricercata in interventi formali spettacolari, ma piuttosto in strategie intelligenti.
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http://parasitic-architecture.webs.com/ (Novembre 2012)
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Figura 4.1 Inquadramento geografico dei casi studio analizzati. Si noti come i parassiti si concentrino tutti nel nord Europa.
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Santiago Cirugeda, Casa Insecto, Siviglia, Spagna, 2001 Santiago Cirugeda opera nella realtà urbana con progetti poco, o praticamente per nulla, convenzionali che fondono finalità estetiche e sociali. I suoi progetti, mai fini a se stessi, nascono dalla necessità di un confronto diretto con le esigenze della cittadinanza, verso la ricerca di soluzioni che attivino protocolli di lavoro e favoriscano la creazione di gruppi non professionali. È la rivendicazione al diritto allo spazio pubblico e all’accesso alla costruzione da parte di tutti: una forma di critica dei meccanismi di controllo politico e culturale che governano la città contemporanea. Il progetto analizzato si trova a Siviglia, nel quartiere di Alemada. Il quartiere ospita uno dei pochi spazi verdi esistenti nel centro storico di Siviglia, ed è un luogo vivo che organizza mercati, feste e attività popolari. Nel 2001 il consiglio comunale decise che questo viale alberato, tanto amato dalla comunità ,non dovesse più esistere, approvando un parcheggio sotterraneo per il riassetto urbanistico del quale i cittadini non furono mai stati informati. Per contrastare tale azione la popolazione forma il gruppo Alemada Viva, composto dai gruppi sociali e culturali del quartiere, che studia un piano di sovversione urbana per evitare la deforestazione dell’area: una struttura metallica, in acciaio, monoposto, studiata per essere agganciata agli alberi del viale, strategicamente scelti senza che questi subiscano danni, e posta ad un’altezza abbastanza elevata, 4,5 metri, così da non ostacolare la normale attività di campeggio. 2 La struttura, denominata casa insetto, una volta montata è pronta ad ospitare il cittadino che protesterà attivamente al contrasto dell’abuso urbanistico. Prevede uno “stomaco” che accoglie il cittadino e un “guscio” superiore che lo ripara dalle intemperie. Siccome nata come strumento di rivolta è stata studiata per resistere agli idranti della polizia e ai proiettili di gomma ed è stata prevista inoltre una feritoia per consentire una “difesa attiva” del cittadino occupante. Rappresenta in tutto e per tutto un parassita. Alcuni membri del Consiglio Comunale sono stati chiamati in causa per cercare di raggiungere un accordo. Dopo numerosi incontri, i funzionari promisero di fermare i lavori e rivedere il piano ma purtroppo approfittarono della pausa estiva per riprendere i lavori, ma furono comunque obbligati a bloccare l’intervento a causa della mancanza di fondi.3
2 Buccoli Matteo, Abitare la crisi. Tesi di Laurea in Ingegneria Edile, Università degli studi di Cagliari, a.a. 2008-2009. 3 Recetas Urbanas. Estrategias Subersivas de Ocupaciòn Urbana. http://www.recetasurbanas.net (Luglio 2012)
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La forza della Casa Insecto sta nella sua facilità di montaggio e nella sua velocità di colonizzazione di uno spazio garantendo un comfort interno, proteggendo da un eventuale sgombro violento e inducendo al dialogo delle parti. La “casa” può essere letta come un elemento architettonico di guerriglia urbana, progettato per una resistenza pacifica a lungo termine che in quanto parassita intacca l’elemento a cui si sostiene ma non ne altera le proprietà, anzi, ne protegge le qualità, le potenzia. Le rappresentazioni più “artistiche” rappresentano, anche rispetto al rapporto come le normative, lo strumento di tramite e di traduzione delle pratiche spontanee illegali e anarchiche in risvolti progettuali realizzabili legalmente; ma anche il veicolo di amplificazione delle problematiche che attraversano la città.
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Fig 4.2 R a p p re s e n t a z i o n e del parassita da cui si evince la consistenza dei materiali di realizzazione e da cui si capisce il sistema costruttivo che le permette di agganciarsi all’albero senza intaccare il suolo, lasciando libertà di movimento ai flussi creati dalla popolazione. Fig.4.3 Vista dall’interno del parassita. La conformazione permette al fruitore di stendersi orizzontalmente nonostante le esigue dimensioni.
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Rucksack House, Stefan Eberstadt, Lipsia, Germania, 2004 Il bavarese Stefan Eberstadt ha voluto trasmettere un euforico entusiasmo costruttivo con la realizzazione della Rucksack House, la casa zaino.4 La casa è un’aggiunta architettonica di nove metri quadrati che è stata “agganciata” a diversi edifici in Germania. L’installazione testimonia la protesta dei cittadini nei confronti della mancanza di spazio nelle loro case, in questo progetto si identifica sia la critica agli elevati costi delle case sia la volontà di rivalutazione degli spazi domestici. La realizzazione della struttura è avvenuta in sole quattro settimane. L’idea dell’architetto è nata a causa delle claustrofobiche condizioni di vita che ha sperimentato in megalopoli come Londra o New York, abitando in piccoli appartamenti in cui a volte c’era una sola finestra. Invece di limitarsi a guardare attraverso quella singola finestra, ha immaginato che lo spazio di fronte diventasse un autentico “walk in space”. Ha cercato di ottenere questo risultato progettando una superficie nuova agganciata a una preesistente usando un metodo semplice chiaro e comprensibile. La costruzione sfida la percezione abituale poiché una scatola che si “intrufola” nella strada, rompendo la ritmicità della facciata e “infastididendo” l’osservatore.L’idea e la realizzazione rimettono rimette in moto l’idea della casa sull’albero auto-costruita, in questo caso “l’abitazione” viene però progettata in maniera più accurata dal punto di vista strutturale, attraverso un sistema costruttivo a zaino. La gabbia di acciaio termosaldato è stata fissata alla struttura esistente tramite un sistema a zaino ovvero tramite spessi cavi di acciaio che vengono fatti passare sopra la copertura dell’edificio preesistente e ancorati alla facciata posteriore. L’assortimento di materiali è stato fatto con l’intenzione che la realizzazione fosse rapida e a buon mercato. All’esterno è stato applicato un rivestimento metallico scuro mentre il rivestimento interno è stato realizzato invece con del compensato impiallacciato con betulla bianca. Le finestre sono di vetro acrilico. L’interno è stato progettato in maniera che potesse essere sgomberato di tutto per lasciare soltanto i muri lisci frammentati dal ritmo delle finestre. È un luogo luminoso e vuoto per meditare, libero da connotazioni e aperto alle esigenze del fruitore. In caso di necessità, alcuni elementi dell’arredamento possono essere estratti dalle pareti e diventare bassi ripiani su cui stendersi, tavoli o sgabelli, oppure ci si può sedere semplicemente sul pavimento e godersi lo spazio aperto e luminoso, fondendosi con il mondo esterno che entra dalle varie aperture situate in ogni lato. Il grande punto di forza di questo progetto è che si può restare in un’atmosfera privata e si può contemporaneamente fluttuare nello spazio pubblico.5 Il progetto tende a ridefinire lo spazio, le funzioni sociali e i confini intellettuali. Mette in forte discussione il confine tra spazio pubblico e spazio privato, si ha una nuova percezione dello spazio esterno: “ho la strada sotto i piedi.” Creando un nuovo modello spaziale si sovvertono quindi le logiche che contraddistinguono la pianificazione ordinaria della Città. 4 5
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ivi 16 www.convertiblecity.de (Settembre 2012)
Figg. 4.4 e 4.5 Le immagini raffigurano la rucksack house sospesa. Le due immagini messe l’una accanto all’altra vogliono sottolineare il fatto che il parassita sia un corpo mobile. La sua struttura di ancoraggio a zaino gli permette di variare formalmente le facciate architettoniche da parassitare.
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Fig. 4.6 Il parassita in veste notturna. l ’i l l u m i n a z i o n e artificiale enfattizza i pieni e i vuoti dell’elemento sospeso. Fig. 4.7 Visione dell’interno. Il materiale di rivestimento interno è in legno e si nota come vi siano degli elementi, sedute o piani di appoggio, a scomparsa. Lo spazio nonostante le piccole dimensioni è flessibile, varia la sua conformazione spaziale a seconda delle necessità. Fig. 4.8 Vetrata fissa che si affaccia sullo spazio pubblico. il privato si insinua nel pubblico.
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“Passage 56”, Atelier d’Architecture Autogérée, Parigi, Francia, 2006 “La nostra architettura è al tempo stesso politica e poetica in quanto il suo scopo è quello di creare un relazione tra diversi mondi” AAA La traduzione di AAA (Atelier d’Architecture Autogérée) è studio di architettura autogestito. In altra parole questo studio è una piattaforma collettiva che conduce ricerche, esplorazioni e studi nel mondo delle azioni urbane, culturali, sociali in continuo cambiamento. AAA utilizza tattiche urbane per incoraggiare gli abitanti di un quartiere ad autogestire gli spazi urbani in disuso che compongono alcuni quartieri. Il loro metodo, che trovo estremamente interessante, propone di passare sopra le contraddizioni e stereotipi proponendo dei progetti nomadi, temporanei e reversibili per esplorare le potenzialità della città contemporanea. Un esempio del loro lavoro e delle loro idee rivoluzionarie lo si può trovare nel progetto Passage 56. Passage 56 è un progetto partecipato per la gestione di un terreno che si trova tra due abitazioni, non edificabile e prevede la sua trasformazione temporanea in uno spazio culturale-ecologico gestito dagli abitanti del quartiere. Si trova nell’area di Saint Blaise e passa attraverso il 20° arrondissement di Parigi, un quartiere conosciuto per la sua densità e la sua eterogeneità culturale nella parte orientale della città. Questo passaggio, oggetto di analisi, si trova al numero 56 della strada ed è stato chiuso nel 1980, a causa della costruzione di un blocco residenziale. Il processo di abbandono subito negli ultimi anni da questa via pedonale, un tempo molto trafficata, ha portato ad un declino dell’uso pubblico di questo luogo, la chiusura dei negozi, un aumento della segregazione sociale e del senso di insicurezza. Gli architetti vogliono risollevare l’area da questo stato di abbandono e insicurezza, e attraverso questo progetto decidono di esplorare la possibilità di trasformare un interstizio urbano in uno spazio collettivamente autogestito. Le 56 fu avviato nel 2006, e prevedeva la collaborazione delle strutture di governo locali, delle organizzazioni locali, degli abitati della zona e di un’associazione specializzata sull’eco-costruzione. Il progetto, infatti, è stato realizzato favorendo il riciclaggio dei materiali, garantendo una minima impronta ecologica nell’ambiente e la massima autonomia energetica possibile.
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Il progetto, prevede un semplice parallelepipedo, “incastrato” tra le due pareti laterali degli edifici esistenti e sorretto da una struttura lignea. I solai si presume che siano stati realizzati in legno anch’essi. Le facciate lasciate aperte non sembrerebbero tamponate con delle vetrate ma semplicemente rivestite con un materiale plastico trasparente. Il terreno non edificabile per legge, è stato utilizzato come orto urbano, creando così le condizioni per rivitalizzare questo spazio. Sulla copertura della struttura, che funge da deposito all’orto urbano, è stato installato un sistema fotovoltaico.6 È interessante notare come parallelamente alla costruzione dello spazio fisico, essendo un progetto che coinvolge direttamente l’uomo, si siano sviluppate differenti reti sociali e culturali che coinvolgono le differenti categorie di partecipanti al progetto. Ma, ai fini del progetto, un altro aspetto, ancora più interessante, è quello che mette in discussione i confini degli spazi che si trovano a gestire, però con condizioni differenti dall’esempio precedente, le pareti degli edifici si trasformano in dispositivi interattivi, che invece di separare fanno si che si moltiplichino scambi e le connessioni tra gli utenti.
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http://www.abitare.it (Settembre 2012)
Fig 4.9 Visuale del progetto Passage 56 dalla strada principale. Il parassita, posto tra i due muri lascia intravedere che al di là del suo “corpo” si sviluppa un’altro ambiente all’aperto. Figg. 4.10 e 4.11 Le due immagini rappresentano l’orto urbano che si sviluppa in questo spazio interstiziale. Spazio esistente ma che grazie al parassita si rigenera e prende vita diventando un catalizzatore sociale e culturale.
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Zaha Hadid, Spittelau Housing, Spittelau, Vienna, 2005 Zaha Hadid ha dovuto trovare un modo di rispondere al suo desiderio di libertà e allo stesso tempo di rispettare il vincolo di mantenere l’esistente inalterato. La struttura tripartita che interagisce giocosamente con il viadotto, generando una moltitudine di differenti rapporti tra spazi esterni ed interni, sovrascrive l’esistente è un “parassitoide”. 7 Il progetto consiste nella realizzazione di tre strutture che ospitano residenze studentesche che, attraverso un sistema spaziale elevato da terra articolato e complesso, vengono sovrapposte sopra il viadotto ferroviario della Stadtbahn di Otto Wagner. L’infrastruttura storica è un bene sottoposto a tutela, nei confronti del quale è necessario sviluppare un atteggiamento progettuale di rispetto, che oggi viene sfruttata dalla comunità come pista ciclabile e pedonale. Le strutture parassitarie che lo sovrastano, scavalcando il viadotto ferroviario, fungono anche da collegamento tra l’argine del canale del Danubio e le arcate del viadotto ferroviario, i tetti invece sono stati pensati come aree private dalle quali è possibile osservare il panorama circostante. Ecco che emerge una nuova definizione dello spazio pubblico e privato, aspetto su cui il parassita gioca spesso e volentieri. L’architettura di Zaha Hadid, fatta di numerosi compromessi, opera sulla compresenza di molteplici sistemi che tagliano l’area e immettono nuove connessioni. La struttura cerca e trova spazi di risulta dove innestarsi e dà luogo alla convivenza di un progetto di architettura contemporanea evitando trasformazioni dell’esistente, che però si trova a suo malgrado modificato. Più che sulle dinamiche di realizzazione che hanno contribuito alla costruzione del progetto, vorrei focalizzare l’attenzione più sulle conseguenze del progetto. Il parassita, in quanto tale, ha sovvertito le logiche spaziali precedenti. La presenza di questa struttura aerea altera lo spazio sottostante, modifica il paesaggio circostante e le modalità d’uso dello spazio. Si vengono a creare nuove relazioni tra lo spazio pubblico e lo spazio privato, generando nuovi flussi. Il parassita qui si pone come l’elemento primario, pur vivendo in simbiosi con l’esistente e dovendo ad esso la qualità e la complessità dei propri volumi.
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http://www.zaha-hadid.com (Settembre 2012)
Fig 4.12, 4.13 e 4.14 Le immagini riprendono tre prospettive differenti ma da tutte e tre si può cogliere come il parassita si interfacci con la preesistenza. Il parassita si eleva attraverso dei pilastri in cemento andando a generare delle nuove dinamiche spaziali e nuovi percorsi. Rivitalizza l’ex viadotto ferroviario. L’identità originaria del corpo ospite non viene mutata radicalmente ma appena modificata dall’immisione del corpo parassita. La nuova spazialità immessa interagisce con quella originaria ma non la stravolge strutturalmente. Il registro architettonico dichiara la sua contemporaneità.
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Alsop Architects, Sharpe Centre for Design, Toronto, Canada , 2004 Il progetto di Alsop Architects nasce da riflessioni intorno allo spazio pubblico e alla città. Il progetto dell’ampliamento dell’Ontario College of Art e Design prevedeva l’occupazione dello spazio pubblico vuoto antistante l’edificio. Esso viene visto dai progettisti come un elemento molto importante di connessione con la città e per questo motivo decidono di non sfruttare la superficie di quello spazio ma scelgono di posizionare l’edificio per il Sharp Centre for Design ad un’altezza di 26 metri da terra, lasciando libero il suolo. L’edificio poggia su 12 pilastri e la struttura, che ricorda un tavolo, si sviluppa su due piani dedicati allo studio e alla didattica. L’approccio utilizzato è molto simile al caso precedentemente analizzato. Anche qui vi sono notevoli punti che caratterizzano il parassita, infatti, questo nuovo corpo di forma rettangolare viene immenso nel disegno urbano senza alcun rimando formale alle architetture esistenti, inoltre modifica la percezione dello spazio agendo da elemento attrattivo e generando uno spazio molto interessante che è aperto ma allo stesso tempo coperto. L’edificio è accessibile attraverso una revisione e un ampliamento dei sistemi di distribuzione presenti nella struttura esistente e una volta all’interno della nuova struttura, grazie alla sua elevata altezza, è possibile accedere visivamente ad un grande parco retrostante lo spazio parassitato e cogliere una nuova prospettiva della città. Anche in questo caso, come a Vienna, il progetto non modifica l’esistente, sollevandosi cerca nuove connessioni, sovverte le gerarchie e modifica le relazioni tra gli elementi esistenti, modificando lo skyline della città. Il parassita urbano si mette in mostra, divenendo l’elemento principale di tutto il complesso universitario e s’impone come un nuovo landmark cittadino. Un landmark cittadino che vive anche nelle ore notturne attraverso un sistema di illuminazione che incidendo sulla superfice pixelata permette di trasformare completamente l’aspetto del palazzo. Il caso studio precedente dell’architetto Zaha Hadid e il progetto di Alsop si possono considerare due progetti innovativi, che permettono di focalizzare in maniera più forte e immediata l’attenzione sul tema della riappropriazione, anche identitaria, dei luoghi pubblici da parte della comunità, nella consapevolezza del vincolo storico e con la consapevolezza che le caratteristiche dello spazio pubblico determinano la misura in cui la Città sa essere innovata, inclusiva, aperta e dinamica.
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Figg. 4.15 e 4.16 Nelle immagini si vede il rapporto che ha la struttura con il contesto e nei confronti all’individuo. Si nota come l’intervento sia un fuori scala e come attraverso la sua tecnologia costruttiva, in acciaio, e la sua forma architettonica si distingui palesemente dal contesto.
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Fig. 4.17 Immagine da cui si percepisce come il parassita avanzando vada a creare uno spazio aperto/ coperto. Il vuoto urbano precedente assume una nuova conformazione spaziale attraverso anche l’inserimento dei pilastri. Fig.4.18 Immagine che contestualizza il parassita all’interno del disegno urbano e che ci fa intuire la sua quota altimetrica. Quota da cui è possibile godere di una nuova prospettiva della città. Fig. 4.19 Visione notturna dell’architettura. Il parassita giocando con le luci notturne fornisce una nuova dimensione allo spazio, differente da quella diurna.
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Impact Minimum House, Drexler Guindand Jasulin Architects, Francoforte, Germania, 2008 La Impact Minimum House, è stata progettata per essere una soluzione sostenibile per poter vivere a basso costo nel centro urbano. È una tipologia che funge da prototipo in quanto non è mai stata sperimentata prima: ha un minimo ingombro all’interno di uno spazio residuo urbano, e l’obiettivo dei progettisti è quello di dimostrare che nonostante le piccole dimensioni è possibile costruire uno standard elevato di casa passiva nel cuore della città. Così facendo lo studio di progettazione favorisce le basi per la creazione di una città compatta, evitando così il fenomeno della dispersione urbana, comune a molte città europee, e inoltre, attraverso gli accorgimenti energetici, riescono a ridurre l’inquinamento ambientale, in particolar modo le emissioni di CO2. Vogliono sottolineare che c’è bisogno di una crescita nelle aree urbane dove le infrastrutture si sono già insediate, espandere la città sarebbe controproducente a livello ambientale, ecologico, economico e molti altri. A livello urbano, come già detto, favorisce il ritorno in città e in più utilizzando un suolo già urbanizzato riduce il consumo dello stesso e in secondo luogo permetterebbe la riduzione degli investimenti effettuati per le infrastrutture. Si può convenire che se si attuassero più interventi di questo tipo, che, viste le dimensioni, permetterebbero ad un’intera famiglia e non solo al singolo di insediarsi all’interno della città, si aumenterebbe sicuramente, le possibilità di favorire un processo di ridensificazione intelligente della città e sarebbe possibile auspicare una riduzione del traffico e di conseguenza degli inquinamenti che esso comporta. Questi non sono gli unici aspetti positivi di questo intervento, attraverso la progettazione della Impact Minimum House vi è una rivitalizzazione dello spazio, si crea un nuovo spazio pubblico, con nuove dinamiche, rinforzando così la struttura sociale all’interno della città stessa. Scendendo alla scala architettonica la Impact Minimum House è una casa costruita con la tecnologia del legno, materiale proveniente da risorse rinnovabili e riciclabile che permette di raggiungere più facilmente le prestazioni energetiche rispetto all’acciaio e al cemento. La casa si sviluppa lungo l’asse verticale, l’altezza massima che raggiunge è pari a quella di cinque piani fuori terra, e raggiunge una superficie di 150 metri quadrati su un lotto di appena 29 metri quadrati. Al piano terra troviamo il locale che ospita gli uffici mentre i locali più intimi come la cucina, il bagno e la camera da letto si trovano ai piani superiori. Nonostante le esigue dimensioni le camere da letto si affacciano su un giardino pensile, che funge da terrazzo.
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La casa, una scatola di legno, è un parassita che si aggancia, appoggia ad una struttura già esistente, per la precisione su un fronte cieco, come nel nostro caso, figlio della seconda guerra mondiale, che si affaccia su un spazio urbano residuo, andando a completare l’elemento esistente e andando a fornire, anche qui, una nuova percezione dello spazio. Ogni camera dispone infatti di una specifica relazione verso l’esterno, la città e la strada. Lo spazio privato si insinua nello spazio pubblico. Lo studio DGJ, attraverso questo progetto dimostra di cogliere un altro importante aspetto della filosofia parassitaria: lavorare sulle fratture della città. Per loro sono rappresentate dagli spazi residui della città e li considerano come i sintomi di una malattia inconscia che vanno “curati” facendoli ritornare alla luce e scontrandosi con la filosofia di pensiero opposto che prevede la progettazione di nuove città ideali, favorendo così la possibile creazione di nuovi vuoti urbani. Lo trovo un intervento davvero affascinante sotto differenti punti di vista, compositivo, tecnologico, sociale e normativo. A parere dello studio sembrerebbe essere infatti un intervento che colpisce molto di più il pubblico che i colleghi architetti, forse perché smentisce molti pregiudizi e molti limiti burocratici.
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Fig. 4.20 Prospetto esterno della Impact Minimum House. dall’immagine si percepisce il modo in cui l’edficio parassitario si inserisce all’interno del contesto. Si distingue dalla preesistenza. Fig. 4.21 Fronte cieco che viene parassitato dall’edificio e che viene lasciato a vista all’interno del nuovo edificio. L’edificio ospite e il parassita condividono un elemento strutturale. Fig.4.22 Le grandi aperture vetrate permettono di avere una visuale molto interessante sullo spazio pubblico, la strada. Nuovamente il confine tra pubblico e privato si assottiglia p re p o t e n te m e n te. A separare i due ci pensano le quote altimetriche e non più delle barriere ben definite.
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Fig. 4.23 Vista del parassita dalla strada. Si noti come l’edificio sia molto compatto. Fig.4.24 Vista interna dell’edificio. La pavimentazione in vetro strutturale permette una percezione dello spazio interno ed esterno diversa dall’ordinario. Fig. 4.25 Copertua. Giardino pensile che è possibile vivere nelle belle giornate e sviluppandosi a due quote altimetriche diverse permette di percepire la città con due prospettive differenti. Fig. 4.26 Accesso interno giardino pensile.
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5. QUESTIONI NORMATIVE: DALLA SCALA NAZIONALE A QUELLA REGIONALE
“ Dalla revisione di una norma prende corpo la possibilità che il colore bianco diventi una scelta e non più semplicemente fatalità, che si palesi la possibilità di tornare a guardare tutto il reale senza inquadrature prestabilite.” Sara Marini 79
In questa capitolo si proverà ad analizzare i motivi legati alla normativa per cui lo Stato italiano si trova in questa determinata situazione di stallo. Un situazione che vede una pianificazione urbana e uno sviluppo edilizio molto lontani dalle linee guida di un progetto di crescita urbana intelligente. Si cercherà di porre l’accento sulla necessità di un nuovo modo di gestione delle complessità, analizzando i nuovi provvedimenti che sono venuti alla luce con l’attuale governo e che mirano ad evitare l’attuale sovrapposizione di competenze amministrative derivanti da una normativa che è in conflitto nella maggior parte dei casi con i differenti livelli di amministrazione dello Stato. L’obiettivo prefissato si cercherà di raggiungerlo analizzando criticamente le principali norme che compongono il quadro normativo del sistema italiano, che regolamentano la pianificazione urbana e territoriale così da poter mettere in risalto i pricnipali limiti del sistema. L’attenzione verrà posta sulla Legge urbanistica nazionale italiana del 1942, attualmente in vigore, mettendola a confronto con le ultime proposte di Legge presentate dal Governo, dimostrando che la pianificazione urbana impone e necessita di un ripensamento dei modi e dei metodi pianificazione per far si che si venga considerati una città contemporanea. Un altro elemento su cui si cercherà di ragionare è quello dell’abusivismo edilizio, che ha favorito il consumo del suolo e che in Italia è arrivato ad assumere una rilevanza sociale ai limiti dell’ordinarietà danneggiando così il territorio, l’economia, il paesaggio e la cultura della legalità e del rispetto delle regole. Il tema dell’abusivismo si intreccia fortemente con il tema dell’architettura parassita, quindi è bene riuscire a scindere i due elementi in modo tale che il primo non intacchi il secondo. La normativa, essendo un grande limite per l’architettura parassita, viene affrontata a livello nazionale e successivamente regionale per poter cogliere quali siano le regole e soprattutto le novità che regolamentano il territorio. L’obiettivo principale è quello di provare a dimostrare che le leggi necessitino di un aggiornamento, così da poter permettere di applicare un miglioramento a livello urbanistico attraverso questa pratica architettonica.
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In italia necessitano nuove regole L’architettura parassita, come affermato fin ora, denuncia in maniera provocatoria uno sfrenato consumo di suolo e vuole incentivare il riutilizzo dell’esistente dando così vita ad una serie di sperimentazioni che assumo le caratteristiche di veri e propri esercizi di densificazione. In paesi come Olanda, Francia, Germania e Austria, come ci confermano i dati, il dibattito sul tema del consumo del suolo e il riutilizzo del patrimonio edilizio esistente ha rivestito un ruolo di notevole importanza, hanno incentivato il “riuso” con la volontà di trovare una modalità di accrescimento urbano che limiti la dispersione territoriale e permetta allo stesso tempo, ai meno abbienti, di vivere all’interno della città. Questa strategia oltre ad incentivare una reintegrazione di tipo sociale favorisce anche il dialogo tra il progetto architettonico e il progetto della città. Architettura e pianificazione tornerebbero così a comunicare. Un esempio concreto lo porta l’Olanda che con il quinto documento di programmazione territoriale, emesso sotto forma di bozza nel 2000, indirizza a massimizzare l’utilizzo di ciò che già c’è e a implementare i sistemi residenziali di servizi permettendo così alla figura del progettista di confrontarsi con una nuova realtà promuovendo per lo più una riqualificazione urbana. Anche la Germania si ribella a questa voglia irrefrenabile di consumare del suolo, decidendo di adottare un approccio ecologico proprio attraverso la norma, con l’obiettivo di un consumo di suolo giornaliero di 30 ettari entro il 2015. Nello stato italiano dall’epoca fascista ad oggi, la produzione legislativa che riguarda il territorio ha spesso sottovalutato le problematiche legate al consumo di suolo e alla densificazione smisurata delle città. L’Italia solo ora, nell’ultimo anno, dimostra di rendersi conto di quanto le leggi che regolamentano lo sviluppo del territorio siano obsolete e necessitino di un aggiornamento e soprattutto di essere strutturate.Uno dei tanti svantaggi che abbiamo rispetto ad altri paesi avanzati come la Germania e l’Olanda è che non disponiamo a tutt’oggi di un registro nazionale dei consumi di suolo. Ma non mancano studi interessanti. Un utilissimo studio recente dell’ ingegnere Paolo Berdini relativo all’intervallo temporale 1996/2005, effettuato utilizzando i dati ISTAT sulle volumetrie realizzate a seguito del rilascio di concessioni edilizie per costruzioni residenziali e per manufatti produttivi e stimando il consumo di suolo per grandi opere infrastrutturali, ha messo in luce una situazione fuori controllo, non solo in termini qualitativi, ma anche quantitativi. Fra il 1995 e il 2006 si sarebbero consumati per urbanizzazione 187 ettari al giorno: una quantità complessiva di spazi aperti pari all’estensione dell’Umbria1.
1 Paolo Berdini svolge attività di pianificazione urbanistica e consulenza per le pubbliche amministrazioni. È un membro del consiglio nazionale del Wwf, collabora con il quotidiano «il manifesto». Lo studio è stato fatto nel 2009 e lo stesso Bedrini afferma che i dati analizzati, sono sottostimati in quanto l’invio da parte dei Comuni non è sistematico e perché i dati non tengono ovviamente conto dei fenomeni di abusivismo edilizio.
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Il fatto che ci siano insediamenti più sparpagliati, fa si che i costi che le amministrazioni locali degli estesi hinterland metropolitani2 devono sostenere, per fornire servizi e infrastrutture adeguate, siano esageratamente elevati, così come i costi sostenuti dalla città centrale per realizzare e gestire servizi di cui beneficiano in maniera parassitaria i “suburbaniti” i quali, nei loro quartieri di ville mono o unifamiliari, trovano soltanto servizi banali e ben poche occasioni di interazione e di svago. Si è sviluppato un sistema che fa si che anche i costi collettivi, quelli che non incidono direttamente sul singolo cittadino, siano spropositati: i costi ambientali ed economici di una mobilità irreversibilmente centrata sul trasporto su gomma, la perdita irreversibile di prezioso suolo agricolo, la crescente impermeabilizzazione dei suoli, la frammentazione degli habitat naturali e delle reti ambientali, la crescente banalizzazione e omologazione del paesaggio rurale, ma anche di quello urbano e rischi di risposta ritardata nelle situazioni di emergenza. L’espulsione di gruppi sociali, per lo più deboli e di giovane età, produce un impoverimento della città che sempre più tende a ospitare ceti e gruppi sociali ed etnici molto polarizzati, e prevalentemente funzioni di direzione avvantaggiando la perdita complessiva di elementi di urbanità e di socievolezza. Questo ragionamento inziale vuole cercare di sensibilizzare e spronare le amministrazioni italiane, di tutti i livelli, a creare dei piani urbanistici che prendano in considerazione gli effettivi bisogni delle comunità locali, delle città. Il piano urbanistico rimane assolutamente lo strumento più innovativo di trasformazione della città a patto però di costruire uno strumento realmente rispondete alle richieste di sviluppo della comunità, così da permettere che la città si presenti con un’ immagine chiara di sé da proporre ad altri soggetti esterni. La tendenza di oggi punta alla realizzazione di nuove strutture che non prendono minimamente in considerazione l’ampia disponibilità edilizia esistente, incrementando il consumo del suolo e gli introiti economici.
Legge urbanistica nazionale n. 1150 del 1942: una norma antiquata Come più volte ripetuto, un grande limite per lo sviluppo urbano italiano è rappresentato dalla Legge urbanistica nazionale italiana n° 1150 del 1942 che attribuisce ai comuni precisi poteri in materia urbanistica. Ha sicuramente rivestito un ruolo di notevole importanza in quanto ha introdotto i piani regolatori comunali e i piani particolareggiati esecutivi permettendo così di garantire uno sviluppo qualitativo e un miglioramento qualitativo degli aggregati urbani, nasce infatti con l’obiettivo di disciplinare lo sviluppo dell’assetto urbano di una città e del suo territorio. La norma rappresenta per lo Stato italiano il primo ordinamento sistematico di organi e mezzi ma è da tener presente che risale a ben settanta anni fa. Proprio nella sua età risiede il suo limite, è oramai una norma datata, negli anni ha sì subito degli aggiornamenti, ma nonostante ciò non risulta aggiornata alle necessità di crescita. Ha favorito purtroppo l’abbandono del legame tra territorio e città, un’apparente assenza di confini e una progressiva decontestualizzazione. 2 Con la parola tedesca hinterland si intende la cintura urbana di una città, un complesso di centri abitati che costituiscono i comuni facenti parte delle aree metropolitane delle grandi città.
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La città di oggi è molto complessa e la norma del 1942 non riesce a rispondere in maniera esaustiva alle sue esigenze. Per rendere più chiaro su quali campi interviene la norma, sono stati esaminati sinteticamente la sua struttura e i suoi aggiornamenti. La Legge è suddivisa in quattro titoli: Ordinamento statale dei servizi urbanistici (art. 1-3) Disciplina urbanistica (art. 4-36) Determinazione dell’indennità di espropriazione (art. 37-40) Disposizioni generali e transitorie (art. 41-45) All’interno del primo titolo vengono enunciati gli obiettivi della Legge e le competenze che rivestono le istituzioni delle sezioni urbanistiche, il secondo titolo prevede due sezioni che permettono di ottenere tutte le informazioni e i passaggi necessari per la creazione di piani regolatori generali comunali (PRGC) e piani particolareggiati esecutivi (PPE), piani necessari per pianificare lo sviluppo urbanistico nel territorio. La Legge oltre a contenere tutte le informazioni per la stesura di questi due piani contiene una terza sezione intitolata “Norme per l’attuazione dei piani regolatori comunali” in cui sono descritte le procedure che servono in determinate occasioni. Un ulteriore e ultima sezione della Legge è “Norme regolatrici dell’attività edilizia”, cioè tutte quelle norme che regolano l’edilizia italiana. La Legge, in vigore da settanta anni, nel corso degli anni è stata arricchita e soprattutto complicata da numerose integrazioni e modifiche parziali che sono state necessarie per poter aggiornare gli articoli originari: Legge 21 dicembre 1955, n. 1354; modifiche a disposizioni della Legge urbanistica 17-8-1942, n. 1150, sui piani regolatori e della Legge 27-10-1951, n. 1402, sui piani di ricostruzione Legge 6 agosto 1967, n. 765; modifiche ed integrazioni alla Legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 degli art. 8–10-11–16–26–27-28-30-31- 35-36-41 Legge 19 novembre 1968, n. 1187; modifiche ed integrazioni alla Legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 art. 7-40 Legge 1° giugno 1971, n. 291;mprovvedimenti per l’accelerazione di procedure in materia di opere pubbliche e in materia urbanistica e per la incentivazione della attività edilizia Legge 22 ottobre 1971, n. 865; programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n.1150; 18 aprile 1962, n.167; 29 settembre 1964, n.847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale agevolata e convenzionata Legge 28 gennaio 1977, n. 10; norme per la edificabilità dei suoli d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito in Legge 25 marzo 1982, n. 94; norme per
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l’edilizia residenziale e provvidenze in materia di sfratti Legge 28 febbraio 1985, n. 47; norme in materia di controllo dell’attività urbanisticoedilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive d.l. 23 aprile 1985, n. 146, convertito in Legge 21 giugno 1985, n. 298; modifiche alla Legge 28 febbraio 1985, n. 47, concernete norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria opere abusive Legge 24 marzo 1989, n. 122; disposizioni in materia di parcheggi Legge 17 febbraio 1992, n. 179 norme per l’edilizia residenziale pubblica. È da tenere in considerazione anche che gli articoli 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23 della presente Legge sono stati abrogati dal DPR 327/2001 limitatamente alle norme riguardanti l’espropriazione per la pubblica utilità e che gli artt. 26, 27, 31, 33, 41-ter, 41-quater, 41-quinquies, ad esclusione dei commi 6, 8 e 9 della presente Legge sono stati abrogati dal testo unico per l’edilizia, a partire dal 30 giugno 2003. Che l’Italia faccia ancora riferimento ad un testo di Legge del 1942 ci fa capire quanto il nostro Paese debba aggiornarsi dal punto di vista urbanistico, visti i dati allarmanti deve trovare dei nuovi metodi di gestione del territorio con una forte capacità organizzativa. La mancanza di un principale piano urbanistico aggiornato che regolamenti i territori è aggravato anche dal fatto che si sovrappongono troppi livelli di potere che si contendono competenze su uno stesso argomento con il risultato di aumentare il grado di incertezza delle indecisioni e di impotenza. Si dà voce più ai conflitti inerenti alle competenze che non alle questioni di merito relative ai diversi ruoli e punti di vista istituzionali. Il risultato che ne consegue è una debolezza del governo pubblico che non riesce ad orientare e influenzare le trasformazione che, sempre più veloci, si succedono nelle città contemporanee. Alla stessa politica territoriale spetterebbe in definitiva un duplice e compito: prima di tutto riformare se stessa e le proprie forme di organizzazione e di azione ed in seconda battuta cercare di agire per compiere una sintesi delle esigenze dei cittadini che rappresentano. Occorre ripensare ad un modo per riuscire a ricomporre il quadro dei valori per il nuovo ruolo della Città che è divenuta oramai di tipo policentrico. I risultati che ci si auspica di ottenere devono essere indirizzati verso un ottimizzazione del livello di integrazione territoriale tra i bisogni, le risorse e prospettive in un orizzonte di pianificazione coerente con la legittimazione dei diritti locali. Solo così, credo, il progetto urbano potrà assumere una prospettiva di lunga durata e solo così può incentivare l’innovazione. Occorre ricordare che la sola speranza di cambiamento non è sufficiente per cambiare questo stato di caos, occorre lavorare molto per ottenere un cambiamento di mentalità tale da favorire la crescita del paese e non la decrescita.
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L’abusivismo edilizio Un altro grande limite, o meglio danno, è l’ abusivismo edilizio, cercato già di reprimere con l’art. 32 della Legge urbanistica nazionale n°1150. L’abusivismo edilizio è un illecito urbanistico che consiste nella realizzazione di opere di costruzione in violazione alle normative urbanistiche che prevedono, teoricamente, uno sviluppo ordinato e razionale del territorio. 3 L’abusivismo è stato a sua volta assecondato in qualche modo dai condoni edilizi che sono stati pensati prevalentemente per integrare le casse dei comuni e dello stato. L’abuso edilizio si è diffuso molto velocemente in Italia, a partire dal secondo dopoguerra. Molti purtroppo, negli anni, hanno confuso il diritto di avere una casa con il diritto a costruire una casa. Lo stato di necessità di alcuni si è trasformato in un abitudine di molti. Spesso si tende a giustificare l’abusivismo in nome del bisogno di tutti di avere una casa, ma per far si che si riesca a percorre una nuova strada occorre considerarli degli illeciti e agire di conseguenza. Come detto l’abusivismo edilizio negli anni è stato assecondato dal condono edilizio promosso dalle diverse legislature in carica. La prima Legge di condono edilizio fu approvata dal Parlamento italiano nel febbraio del 1985, poco prima dell’approvazione della Legge Galasso, Legge sulla tutela del paesaggio, affermando che sarebbe stata la prima e l’ultima. Dopo nove anni, nel 1994, il governo porta in approvazione il secondo condono edilizio. Nel 2003 ci fu la proposta di un altro condono, terzo ed ultimo. Per quanto possa sembrare strano non è stato fornito nessun rendiconto su quante domande siano state presentate, quanti edifici siano stato condonati, quanti ettari di terreno agricolo siano stati divorati dalle costruzioni, quale sia quindi il bilancio economico delle tre leggi. Questo ci fa capire quanto le amministrazioni che governano la pianificazione del territorio e il suo sviluppo abbiano speculato sul frangente dell’abusivismo. Facciamo parte di uno Stato che stenta a far rispettare le leggi, a partire dai piani urbanistici, le regole quindi che disegnano le regole delle città. Dal primitivo abusivismo di “necessità”, quello cioè di un paese povero che faticava a diventare un paese moderno, siamo passati all’iniziativa dello Stato stesso per cancellare ogni regola.4 Paolo Bedrini
3 Ciro Romano, Il goeverno del territorio nella società dell’informazione e per lo sviluppo sotenibile. Tesi di Laurea in Architettura, Università degli studi di Napoli “Federico II”i, a.a. 2009-2010. 4 Paolo Berdini, Breve storia dell’abuso edilizio in Italia, dal ventennio fascista al prossimo futuro, 2010, Donzelli Editore.
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Per far sì che si torni ad una pianificazione intelligente della città e si eviti di costruire nuove costruzioni occorrerebbe, come afferma il presidente dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica), ridefinire la normativa attraverso la consolidazione della perequazione e compensazione urbanistica, una nuova normativa relativa ai diritti edificatori, alla loro trasferibilità e la loro commercializzazione e un riordino della fiscalità locale che riporti al loro uso corretto gli oneri di urbanizzazione. L’abusivismo edilizio, oltre ad essere una delle cause dello spreco di suolo, è un tema strettamente connesso all’architettura parassita. Nell’immaginario collettivo l’architettura parassita viene percepita come un qualcosa di nocivo, la denominazione di questa pratica architettonica di certo non aiuta, ma ci tengo a fa emergere l’accezione positiva del termine. La progettazione di un nuovo corpo che si aggancia, aggrappa, appoggia ad una struttura esistente non viene pensato nell’ottica di favorire una speculazione edilizia ma assume la volontà di dare la possibilità a chi non la possiede di godere di uno spazio all’interno della realtà urbana e non a margine. Oltre a non utilizzare suolo perché solitamente sono strutture sospese o sfruttano suolo già urbanizzato, è una pratica che incentiva l’utilizzo dell’esistente, permettendo di aprire nuovi spiragli alla progettazione e inoltre di allenarsi su nuovi esercizi di densificazione. L’architettura parassita non vuole sfidare o bypassare la normativa, anzi, vuole spronarla a divenire un elemento utile ad attuare pratiche di riuso dell’esistente, ciò non esclude ovviamente che la normativa imponga delle limitazioni, fornendo quindi degli impedimenti, ma allo stesso tempo degli strumenti che è possibile sfruttare in modo creativo.
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I nuovi obiettivi per la salvaguardia del territorio L’analisi compiuta sui nuovi obiettivi che il Governo italiano sta cercando di imporre è stata effettuata sulle nuove politiche territoriali e le novità legate all’edilizia. L’ Amministrazione ha proposto una legislazione che ha l’obiettivo di favorire una crescita intelligente del Paese attraverso aggiornamenti e un taglio radicale con le vecchie abitudini. La prima grande novità riguarda la modifica che l’attuale Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Lorenzo Oranghi, ha proposto di apportare alla Legge Nazionale Urbanistica n°1150/42. La Legge negli anni è stata sempre difesa, nonostante veda le sue origini in un’altra epoca e con un altro Regime con necessità totalmente differenti da quelle odierne, è stata integrata da una miriade di leggi e piani che si sono sovrapposti l’uno sull’altro arrivando ad avere un livello di comprensione poco immediato con la conseguenza che ora l’Italia si ritrova con un paesaggio deturpato, uno altissimo spreco di suolo, una carenza di infrastrutture delle reti urbane e una situazione drammatica del trasporto pubblico. Lorenzo Oranghi Il Ministro ha affermato, con estrema convinzione, che la Legge 1150/1942 è oramai obsoleta e dev’essere rinnovata affrontando una realtà molto più complessa e diversificata, al fine di contenere al massimo il consumo di suolo e di indirizzare le attività edificatorie verso il rinnovamento e la riqualificazione della città. Le superfici artificiali sono aumentate tra il 1956 e il 2011 del 500%, in molte zone, a fronte di un decremento demografico, si è paradossalmente verificato un incremento delle superfici urbanizzate.5 Le cause di tale fenomeno possono essere molteplici, ma il principale è sicuramente quello legato alla volontà di favorire grandi guadagni economici. Per il Ministro un primo passo risiede nel rifiuto categorico del condono edilizio. Un altro importante passo per la tutela del suolo l’ho ha fatto il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Mario Catania, con il decreto Legge annunciato per risolvere il problema della cementificazione dei terreni agricoli. Ha affermato che l’Italia dagli anni Settanta ad oggi ha visto ridurre del 28 % la superficie destinata ad attività agricole. Molti terreni sono stati semplicemente abbandonati ma il più delle volte sono stati coperti da edifici. L’obiettivo del disegno di Legge quadro è quello quindi di rimediare all’eccessiva cementificazione a scapito dei terreni destinati un tempo all’agricoltura6.
5 Dati rilevati dal comunicato stampa del convegno, tenuto il 19 marzo 2012 dal ministro Oranghi: limitare il consumo di suolo, riqualificare le città, tutelare il paesaggio. 6 I dati menzionati sono stati rilevati dal convegno “Costruire il futuro difendere l’agricoltura dalla cementificazione”. La presente legge, detta i principi fondamentali per la valorizzazione e la tutela dei terreni agricoli, al fine di promuovere e tutelare l’attività agricola, il paesaggio e l’ambiente, e per il perseguimento di uno sviluppo equilibrato delle aree urbanizzate e delle aree rurali, al fine di contenere il consumo di suolo.
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In data 14 Settembre 2012 i Ministri si sono riuniti per approvare in via preliminare il disegno di Legge, confermando che l’aumento del territorio edificato in Italia è pari al 166% nel periodo dal 1956 al 2012. L’approvazione, come già accennato, si pone l’obiettivo di garantire un equilibrio tra i terreni agricoli e le zone edificate o edificabili, ponendo un limite massimo al consumo di suolo e stimolando il riutilizzo delle zone già urbanizzate. Questo provvedimento ha ricevuto l’approvazione sia da parte dell’INU che da parte del CNAPPC (consiglio nazionale degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori). L’Amministrazione è arrivata finalmente a prendere decisioni alternative, in un certo senso obbligate, che hanno permesso di offrire uno spiraglio di ripresa al Paese. Il governo iniziando a pensare di mettere in atto politiche finalizzate a tutelare la qualità del proprio territorio e delle proprie città, nell’ottica di ricreare un habitat urbano che consenta alle nuove generazioni di vivere, lavorare e contribuire alla crescita del Paese, potrebbe riuscire a costruire le basi per dar vita ad una rigenerazione urbana. La rigenerazione urbana delle Città italiane è l’obiettivo di un’ altra importante iniziativa lanciata attraverso il programma R.I.U.SO., l’idea è stata del CNAPPC, che insieme ad altri soggetti interessati quali ANCI (Associazione Italiana Comuni Italiani), Regioni, ANCE (Associazione Italiana Costruttori Edili) e Legambiente, propongono di attivare politiche ambientali, strumenti urbanistici e finanziari per realizzare un Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile, attraverso una serie di azioni, studi, ricerche e proposte legislative, finalizzate alla trasformazione e rigenerazione delle aree urbane salvaguardando l’ambiente, il paesaggio e limitando il consumo del territorio. Il tema della rigenerazione urbana sostenibile, a causa dell’esaurimento delle risorse energetiche e delle pessime condizioni del patrimonio edilizio costruito nel dopoguerra è, la questione prioritaria nelle politiche di sviluppo. L’obiettivo è anche per queste organizzazioni quello di frenare il consumo di nuovo territorio, attraverso la densificazione di alcuni ambiti, da trasformare in servizi e luoghi di aggregazione. Secondo tale piano nelle città, sempre più disgregate a causa dell’incontrollata crescita degli ultimi decenni, la riqualificazione delle periferie deve essere il punto di partenza per dar una svolta alla precaria situazione a livello edilizio e ambientale. I partecipanti al progetto affermano che con una Legge urbanistica così antiquata, ferma da 70 anni, integrata da leggi regionali inefficienti, i piani urbanistici nascono vecchi, non in grado di contenere le disfunzioni in atto e di programmare il futuro delle città post-industriali, caratterizzate dalla carenza di servizi indispensabili e in cui le funzioni abitative convivono in una congestione insostenibile con le attività secondarie e terziarie. Per riuscire a smuovere questa situazione di stallo occorre pensare a politiche d’intervento che investano il quadro legislativo, istituzionale e finanziario. L’utilizzo della perequazione urbanistica, strumento indispensabile per il riequilibrio territoriale, può attivare capitali privati più di quanto abbiano fatto gli incentivi volumetrici previsti nei recenti piani casa. È quanto mai urgente una riforma urbanistica.7 7 esistente”.
Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile, sezione “Il patrimonio edilizio
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Il piano casa, sopra citato, rientra all’interno del Decreto Sviluppo DL 70/2011, all’articolo 5 dal comma 9 al comma 14, impone alle regioni di approvare leggi per la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e la riqualificazione di aree urbane degradate. Le leggi regionali dettano le condizioni, possono assegnare bonus volumetrici, consentire la delocalizzazione di volumetrie in aree diverse, modifiche delle destinazioni d’uso o della sagoma necessarie all’armonizzazione con gli edifici esistenti. Questa poteva sembrare una buona strada da percorrere per lanciare un nuovo modello edilizio e il mercato edilizio ma ha generato un notevole sconforto dovuto dal fatto che gli aumenti volumetrici si sono rivelati spesso inattuabili a causa degli eccessivi costi di adeguamento dell’intero edificio ai nuovi criteri antisismici, e perché spesso tali aumenti hanno dato origine a nuovo disordine architettonico ed urbanistico oltre a non avere alcuna incidenza sul “recupero sociale”. Ritornando alla scala urbanistica, la volontà è di governare il territorio con strumenti urbanistici adeguati, in grado di frenare le nuove costruzioni al di fuori di programmi di rigenerazione del patrimonio edilizio inadeguato, e che oltre alla riqualificazione urbanistica ed edilizia favoriscano l’eliminazione del disagio sociale conseguente allo sviluppo che ha caratterizzato il secondo dopoguerra. Queste iniziative, secondo il piano, sono da attuarsi attraverso la sostituzione di parti o interi quartieri costruiti nel secondo dopoguerra, caratterizzati da un’edilizia di scarsissima qualità, inadeguata sia alle norme antisismiche ed idrogeologiche, che a quelle sulla qualità degli impianti e contenimento dei consumi. È un progetto inevitabile in quanto in un futuro, non più rimandabile, un patrimonio di circa novanta milioni di vani costruiti negli ultimi sessant’ anni, sarà inadeguato e dovrà essere sostituito. A favore di quanto fin ora detto e auspicato è stato introdotto e varato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il nuovo Decreto Sviluppo DL 83/2012 che all’art. 12, intitolato Il Piano Nazionale per la Città si esprime a favore della riqualificazione di aree urbane con particolare riferimento a quelle degradate. L’obiettivo è di spronare attraverso degli incentivi statali i comuni a prevedere e mettere in atto il riciclo urbano di determinate aree. Per far si che il progetto venga preso in considerazione dalla Cabina di Regia dovrà porre una forte attenzione sull’ immediata cantierabilità degli interventi, sulla capacità e modalità di coinvolgimento di soggetti e finanziamenti pubblici e privati, sulla riduzione dei fenomeni di tensione abitativa, di marginalizzazione e degrado sociale, miglioramento della dotazione infrastrutturale e infine un miglioramento della qualità urbana. A fronte di queste iniziative possiamo affermare con una certa serenità che vi è la consapevolezza della chiusura di un ciclo storico postbellico, durato oltre sessant’anni, e caratterizzato da un’espansione disordinata che non ci si può più permettere; è per questo motivo che si sta cercando di puntare sul rinnovo dell’esistente per non consumare ulteriore suolo, per tutelare il paesaggio e per rilanciare la sfera economica.
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La Regione Piemonte e la tutela del territorio L’urbanistica Piemontese, come ogni Regione, ha determinati riferimenti legislativi. All’interno di questa sezione regionale ci contreremo sulla leggi principali che tutelano l’uso del suolo e incentivano la densificazione della città e il riuso di corpi architettonici. Andando ad analizzare come governano il territorio e impongo di agire si cercherà di mettere in luce gli aspetti che andrebbero rivisti. La Regione Piemonte tutela il suolo attraverso la Legge Urbanistica Regionale del 26 gennaio 2007, n.1 e il regolamento n 2/R approvato con D.P.G.R. del marzo 2007. Questi due disciplinano la pianificazione del territorio e modificano e integrano la disciplina degli strumenti urbanistici comunali previsti dalla Legge Regionale del 5 dicembre 1977, n.568 attraverso forme di copianificazione tra Regione, Province e Comuni. La Legge n.55/1977 modificata poi in L.R. 1/2007 la Regione, sostanzialmente, esercita i propri doveri in materia di pianificazione del territorio: tutela e controlla l’uso del suolo e gli interventi di conservazione e di trasformazione del territorio con scopi insediativi. Le finalità della Legge sono specificate attraverso l‘art.1. La tutela del suolo avviene tramite la differenziazione del territorio in quattro livelli di pianificazione. Il primo livello è quello regionale che è regolamentato dal Piano Territoriale Regionale che esplica e ordina gli indirizzi di pianificazione del territorio. Il livello successivo è quello provinciale e di area metropolitana che sono a loro volta normati rispettivamente dai Piani Territoriali Provinciali formato dalle province e dal Piano Territoriale Metropolitano formato dalla città Metropolitana. Questi due piani si pongono l’obiettivo di delineare l’assetto strutturale del territorio e fissano i criteri per la disciplina delle trasformazioni. Un terzo livello è quello sub-regionale / sub-provinciale che si occupano di particolari ambiti territoriali attraverso i Progetti Territoriali Operativi e i Piani Paesistici. L’ultimo livello corrisponde a quello comunale regolato con i Piani Regolatori Generali che hanno per oggetti i singoli territori dei singoli comuni. Altra Legge che risulta importante per i contenimenti del consumo di suolo è la Legge Regionale del 6 agosto 1998, n.21 “Norme per il recupero a fini abitativi dei sottotetti”. Questa Legge rappresenta un approccio sostenibile alla città, oltre ad incentivare la diminuzione dell’uso di suolo incentiva anche la densificazione della città, frena l’espansione abitativa sul territorio favorendo la città compatta. Ma purtroppo questa Legge non viene sfruttata come dovrebbe, nella maggior parte dei casi i più vogliono raggirare la normativa per ottenere più cubatura mimetizzando l’intervento di ampliamento, non tendendo conto dell’aspetto formale che potrebbe scatenare notevoli intrecci su differenti piani.
8 La LR 56/1977 è stata modificata negli anni da: L.R. 04/1978, L.R. 77/1978, L.R. 50/1980, L.R. 17/1982, L.R. 18/1983, L.R. 61/1984, L.R. 62/1982, L.R. 08/1985, L.R. 11/1986, L.R. 18/1986, L.R. 52/1986, L.R. 57/1987, L.R. 41/1988, L.R. 06/1989, L.R. 20/1989, L.R. 79/1991, L.R. 28/1992, L.R. 45/1994, L.R. 43/1995, L.R. 18/1996, L.R. 30/1996, L.R. 72/1996, L.R. 41/1997, L.R. 48/1997, L.R. 19/1999, L.R. 28/1999, L.R. 27/2000, L.R. 01/2007, L.R. 32/2008, L.R. 04/2009, L.R. 20/2009, L.R. 18/2010, L.R. 03/2011.
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“Lo sfruttamento delle superfici di copertura poco o per nulla utilizzate, oltre a presentare nuovi aspetti tecnici e giuridici, costituisce anche una questione formale. Non sempre un ampliamento il più possibile unitario e non appariscente è la soluzione migliore” 9. Un ultima Legge Regionale che favorisce il riciclo di corpi architettonici è la n. 9 del 23 aprile 2003 “Norme per il recupero funzionale dei rustici”. La Regione promuove questa Legge ai fini di contenere, anche qui, i consumi del suolo ma permette il recupero a solo uso residenziale. Con rustici la norma intende le strutture antecedenti al 1 settembre 1967 ed utilizzati a servizio delle attività agricole. Questa Legge rappresenta sicuramente un ottimo punto di partenza per limitare la cementificazione, prevedeva degli stanziamenti annuali per incentivare tale pratica ma i fondi sono finiti ben presto. La Legge più significativa su tutti i fronti è la Legge Regionale n.20 del 16 Luglio 2009, “ Snellimento delle procedure in materia di edilizia e urbanistica”. Pensata e approvata per il rilancio dell’economia, favorisce la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente dal punto di vista della qualità architettonica e dell’efficienza energetica e cerca di migliorare la sicurezza delle strutture e l’accessibilità degli edifici. Non si può certo affermare che il Piemonte non si sia mosso verso una direzione più sostenibile nel corso degli anni.Tuttora si sta muovendo in un ottica più sostenibile attraverso il rinnovo della Legge Urbanistica Regionale. Gli obiettivi che si prefissa la Regione possono risultare un buon inizio, ma la sovrapposizione di una pluralità di competenze istituzionali, che si sostanziano in un eccesso di strumenti di pianificazione che impediscono il rilascio di un’autorizzazione unica e la mancanza di una capacità da parte di un gran numero di professionisti di fare un’architettura di qualità, rappresenta un grande ostacolo che reca danni di notevoli dimensioni alla regione.
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Sara Marini, Architettura parassita strategia per il riciclaggio della città, Quodlibet, 2008, p.147.
Fig. 5.1 Manifesto del bando indetto dal Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori che identifica nelle politiche di rigenerazione urbana sostenibile un’occasione per stimolare concretamente la riqualificazione, architettonica, ambientale, energetica e sociale delle città italiane. L’obiettivo è la sensibilizzazione degli amministratori e delle istituzioni verso la necessità di avviare processi condivisi e coordinati di rinnovamento e di messa in sicurezza dei manufatti urbani, e quindi di procedere verso la definizione di un vero e proprio Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile.
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Il sottile confine tra il parassita e l’ampliamento Sebbene questo sia un discorso che si sarebbe potuto affrontare nei capitoli precedenti, ho trovato più utile effettuare un confronto tra il classico ampliamento e un intervento di tipo parassitario analizzando il principale elemento che regolamenta gli ampliamenti edilizi delle regioni italiane, attraverso la demolizione e la costruzione: il Piano Casa. Il cosiddetto Piano Casa è costituito dall’insieme di provvedimenti regionali contenenti misure per il rilancio dell’economia attraverso l’attività edilizia, principi di densificazione e di riciclo urbano, assunti in attuazione dell’intesa sottoscritta fra Stato, Regioni ed Enti Locali. Le misure e il rilancio dell’economia attraverso l’attività edilizia, definite con il Piano avrebbero dovuto dare luogo, anche loro come i provvedimenti citati in precedenza, a programmi di rigenerazione urbana e di incremento del patrimonio abitativo favorendo una densificazione di qualità attraverso la semplificazione delle procedure urbanistiche ed edilizie e con l’adozione di mirati interventi legislativi coordinati tra lo Stato e le regioni. Le regioni, lasciate in totale autonomia, non risultano assistite dagli organi superiori e nemmeno riescono a ricucire il frammentato quadro della regolamentazione delle politiche territoriali. A tal proposito, la regione Piemonte fa riferimento alla Legge Regionale n.20 del 14 Luglio 2009, chiarita, a fronte dei molteplici dubbi sulle norme a cui è necessario fare riferimento, attraverso la circolare n.7 del 9 maggio 2012. Attraverso La L.R. e la circolare l’obiettivo è di impegnarsi a regolamentare, forme di incentivazione volumetrica, finalizzate a migliorare la qualità architettonica e/o energetica del patrimonio edilizio esistente attraverso il permesso di realizzare ampliamenti entro il 20% della volumetria esistente per quanto riguarda gli edifici residenziali uni-bifalimialri o comunque di una volumetria non superiore ai 1000 metri cubi, per un incremento complessivo massimo di 200 metri cubi, di realizzare interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamento entro il limite del 35% della volumetria esistente e di introdurre delle semplificazione per l’attuazione degli interventi edilizie ed urbanistici.10 Il provvedimento permette anche l’intervento all’interno dei centri storici. Le possibilità che offre il Piano Casa vogliono invogliare ad intraprendere una strada indirizzata verso principi sostenibili di qualità. I provvedimenti assunti richiamano, anche se non apparentemente dichiarato, il problema della necessità di procedere alla densificazione delle aree urbane, per preservare il territorio dalle conseguenze di un eccessiva antropizzazione, che invece di migliorare la qualità della vita crea nuovi problemi da affrontare e risolvere. Nonostante i differenti interventi a livello normativo regionale non sembra esserci nessun intervento che si ponga l’obiettivo di una sostenibilità nell’insediamento antropico. Il processo evolutivo degli standard urbanistici dal dato quantitativo al contenuto qualitativo, seppur avviato, appare bloccato da un apparente disinteresse. 11 10 Gallia R., (2010), Luci e ombre del Piano Casa, Quaderni di legislazione tecnica, n.2, pp. 9-13. 11 Un esempio è reperibile nella L.U.R. n. 1/2005 della Regione Toscana, è riscontrabile il tentativo di supera il concetto “quantitativo” degli standard urbanistici per pervenire ad una definizione della “qualità urbana, ambientale, edilizia e di accessibilità del territorio”.
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Nonostante le buone intenzioni, i provvedimenti assunti per il Piano Casa, non appaiono in grado di trasformare soluzioni di emergenza urbana in misure straordinarie, dalla cui sperimentazione fare derivare procedure di ordinaria applicazione. Contestualmente, pur considerando le inadempienze del Governo centrale, sia per lo specifico provvedimento sia per la necessaria riforma urbanistica, le Regioni non sono apparse all’altezza del compito di introdurre norme straordinarie che tengano conto di un ridisegno coerente del governo del territorio, che era e rimane frammentato in una pluralità di norme specifiche e settoriali, spesso non coordinate tra loro. Gli obiettivi del Piano Casa e dell’architettura parassita sono molto simili, entrambi credono nella densificazione della città e nel recupero dei vuoti urbani. L’ampliamento, regolamentato dal Piano, è generalmente considerato come la costruzione di un manufatto edilizio fuori terra, consiste in una modifica del manufatto tale da determinare un aumento di sagoma; formalmente anche l’architettura parassita prevede un aumento di sagoma, ma distinta dal corpo ospite. Tra i due vi è una grande differenza formale. L’ampliamento normato dal Piano è uno strumento che offre i mezzi al singolo di ampliare i propri spazi vitali senza apportare alcun cambiamento o sovvertimento radicale al sistema spaziale, nella maggior parte dei casi non bada agli aspetti formali e non si distingue materialmente dall’esistente. Il parassita invece, si distingue dall’edificio ospite in forma e materia, sovverte le logiche spaziali, offre la possibilità di modificare il ruolo di uno spazio producendo nuove attività, il parassita in base alla propria natura interpreta l’ospite come un interno nel quale collocarsi o come un pieno di cui occupare la superficie esterna o ancora come un elemento da sfruttare come sostegno.
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6. TORINO
“Torino ha un’anima complessa” Arrigo Levi
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A seguito dell’excursus nazionale e regionale sulle questioni normative è bene scendere a scala locale passando ad analizzare le iniziative della città di Torino, città del progetto sviluppato. Torino ha iniziato a confrontarsi con il tema del recupero urbano e della rigenerazione urbana all’incirca a metà degli anni novanta. A metà degli anni novanta, due sono stati i fattori fondamentali per la trasformazione della città. Da un lato troviamo la crisi della città fordista, che ha lasciato più di sei milioni di metri quadrati di aree industriali dimesse; questo ha scatenato dei ragionamenti non solo sull’identità della città stessa, su cosa sarebbe divenuta dopo essere stata la città delle fabbriche, ma ha anche consentito di ripensare a dei grandi vuoti urbani, permettendo così di avvicinarsi alla politica del riciclo urbano. Dall’altro lato, negli stessi anni emerge una crisi urbana che riguarda la parte densa, abitata, storica della città. Nei quartieri come Porta Palazzo, San Salvario, si fa sempre più acceso il senso di insicurezza dei cittadini, spesso attribuito alla presenza degli extracomunitari, ultimi abitanti in ordine temporale della città. In questo modo, per garantire una maggiore sicurezza, sono stati avviati, seppur con molte diversità, processi di recupero e riqualificazione urbana e ricucitura del tessuto sociale come i Programmi di Recupero Urbano (PRU), i Programmi di Recupero Urbano Integrato (PRIU), i Programmi di Riqualificazione urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio (PRUST) i Contratti di Quartiere (CdQ) e le Azioni di sviluppo locale.
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Più riciclo meno CO2 La politica del riciclo urbano che la città di Torino ha deciso di adottare, nasce soprattutto dalla consapevolezza dei dati allarmanti di consumo di suolo che periodicamente vengono raccolti e diffusi dagli organi competenti per la tutela dell’ambiente. Un elemento fondamentale, che ha l’obiettivo di limitare il consumo di suolo, è il Piano Territoriale Regionale del Piemonte1 che prevede nuove costruzioni in aree non edificate solo se strettamente necessarie e predilige il completamento di aree già edificate. L’ultima versione del piano sviluppa in tre differenti componenti che interagiscono tra di loro: abbiamo una componente conoscitivo-strutturale del piano che effettua una lettura critica del territorio definendo la trama delle reti e dei sistemi locali territoriali che strutturano il Piemonte, una parte più strategica sulla base della quale vengono individuati gli interessi da tutelare e infine la parte regolamentare che definisce ruoli e funzioni dei differenti ambiti di governo del territorio. Questa interazione tra i tre persegue a sua volta tre obiettivi: la coesione territoriale, lo scenario policentrico inteso come il riconoscimento dei sistemi urbani all’interno delle reti e la copianificazione. La messa in pratica delle linee guida di questi piani ha portato a dei primi risultati, lo testimoniano i dati. Nel 2006 l’incremento annuo del consumo di suolo si aggirava intono agli 800 ettari, mentre nel 2010 si è assistito ad un rallentamento. Si è arrivati ad un consumo di circa 200 ettari all’anno. Il consumo del territorio dal 2006 al 2010 si è ridotto di un quarto ma purtroppo, anche a causa della difficile situazione economica, è in crescita il fenomeno dell’allontanamento della popolazione dal centro della città. La popolazione si sposta dal cuore della città alla periferia perché dotata di una maggiore qualità di vita e buoni servizi, lo testimoniano i dati, l’area metropolitana di Torino ha visto un incremento del consumo di suolo del 1,9 % a fronte di un incremento della popolazione del 2,8 %2. La strategia del riciclo e di un minore consumo di suolo dell’Amministrazione torinese, a fronte anche della candidatura a Smart City, trova una risposta nella rigida salvaguardia delle aree ancora libere, cercando di indirizzare le espansioni urbane verso la direzione del riuso o del completamento di aree rimaste incompiute e garantendo così la necessaria tutela dei territori e dei paesaggi oltre a ridurre il rischio di ulteriore dispersione, frammentazione e sviluppo su aree di cui occorre preservare le caratteristiche naturali. Per far sì che ciò avvenga sarebbe bene entrare in ottica in cui è indispensabile passare dall’ambito dell’intervento straordinario alla logica dell’intervento ordinario, non solo perché le risorse straordinarie prima o poi finiscono, ma anche perché è indispensabile che le risorse straordinarie contaminino la cultura della pianificazione, diventando così un modello.3 1 L’ultima versione del Piano Territoriale Regionale del Piemonte è stata approvata dalla Consiglio Regionale in data 21 luglio 2011. La versione precedente risale al 1997. 2 I dati inerenti al consumo di suolo sono stati reperiti dal “convegno Territorio” tenutosi nel Palazzo della Provincia di Torino nel mese di Aprile. 3 Ilda Curti, La rigenerazione urbana a Torino. Ilda Curti è l’attuale Assessore alle politiche per l’integrazione della Città di Torino.
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Fig. 6.1 Grafico con colori arancio che indica l’incremento del consumo di suolo espresso in percentuale nel periodo compreso tra il 2006 e il 2010. Fig 6.2 Grafico con colori verdi che indica il trend di crescita demografico espresso in percentuale nel periodo compreso tra il 2006 e il 2010. Fig 6.3 Grafico con colori blu che indica l’Incremento espresso in percentuale delle abitazioni nel periodo compreso tra il 2006 e il 2010. Grafici prodotti dalla provincia di Torino.
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La Città di Torino, oltre a voler migliorare la pianificazione del territorio, aderendo al progetto del Patto dei Sindaci, si è impegnata a elaborare e attuare un proprio Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile, approvato nel Settembre del 2010 e forse meglio conosciuto con il termine TAPE (Turin Action Plan of Energy), il cui obiettivo è quello di ridurre drasticamente le proprie emissioni di CO2. Gli esperti stimano una riduzione di anidride carbonica di oltre il 40% considerando l’arco temporale che va dal 1991 al 2020. Gli elementi su cui questa strategia si sviluppa, sono principalmente incentrati su un miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici esistenti, su un importante piano sui trasporti per diminuire l’incidenza del trasporto su gomma e su una significativa estensione della rete di teleriscaldamento. Una forte incidenza nelle emissioni di anidride carbonica è quella del settore residenziale, da solo è responsabile del 40% delle emissioni di CO2 dell’anno base 1991. Il comune di Torino possiede un patrimonio edilizio costruito per il 27% prima del 1945 e per più del 50% tra gli anni compresi tra il 1946 e il 1971 i quali presentano alti livelli di consumo energetico soprattutto nel periodo invernale, causa lo scarso isolamento.4 Non a caso l’Amministrazione ha preso numerosi provvedimenti a riguardo, partendo dagli incentivi statali. Un altro importante sistema che il comune ha preso in considerazione dal 2009, è rappresentato dal sistema di valutazione ambientale Protocollo ITACA. Lo strumento di valutazione adottatto dalla Regione è basato sul Protocollo ITACA Sintetico 2009, sviluppato in aderenza alla metodologia SBMethod di iiSBE5, ed è stato contestualizzato alla stessa Regione. Si pone come obiettivo principale lo sviluppo sostenibile in ambito edilizio. Attraverso la sua applicazione consente di stimare il livello di sostenibilità ambientale di un edificio residenziale misurandone la prestazione rispetto ad un insieme di numerosi indicatori che vengono raggruppati in categorie a loro volta organizzate in cinque aree di valutazione: la qualità del sito, il consumo di risorse, i carichi ambientali, la qualità ambientale indoor e la qualità del servizio. I criteri di valutazione sono dotati di una serie di caratteristiche: possiedono una valenza economica, sociale, ambientale di un certo rilievo; sono quantificabili o definibili qualitativamente, ovvero oggettivamente rispondenti a scenari prestazionali predefiniti; perseguono un obiettivo di largo respiro; hanno comprovata valenza scientifica; sono dotati di prerogative di pubblico interesse.
4 Dati reperiti sul Piano d’azione per l’energia sostenibile – TAPE (Turin Action Plan for Energy). 5 SBMethod è una metodologia di valutazione multicriteria sviluppata e gestita a livello internazionale da iiSBE. L’origine dell’SBMethod è riconducibile a un processo internazionale coordinato da iiSBE denominato Green Building Challenge cui nel tempo hanno partecipato più di venti nazioni in rappresentanza di tutti i continenti.
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Per ogni criterio l’edificio riceve un punteggio che può variare da –1 a +5. Il punteggio viene assegnato confrontando l’indicatore calcolato con i valori della scala di prestazione (benchmark) precedentemente definiti. Lo zero rappresenta lo standard di riferimento riconducibile a quella che deve considerarsi come la pratica costruttiva corrente in Regione Piemonte, nel rispetto delle leggi o dei regolamenti vigenti. Una sezione importante per il progetto sviluppato, che fa però riferimento al prtocollo ITACA Nazionale 2011, è rappresentata dalla sezione Consumo di risorse - Materiali eco-bio compatibili. Da questo rapido inquadramento della situazione in cui Torino si trova e presa visione dei principali problemi e degli obiettivi e delle iniziative fissate dall’amministrazione, mi convinco sempre più che la logica parassitaria potrebbe essere una risposta, una strategia utile, da adottare per migliorare la situazione in cui si trova la città. Attraverso l’architettura parassita, “aggrappandosi”, appoggiandosi, agli edifici esistenti, si interviene di conseguenza anche sull’edifico ospite, il quale può beneficiare dei miglioramenti prestazionali soprattutto in campo energetico, dovuti alla presenza del parassita, che altera l’involucro preesistente, mediamente di scarsa qualità. Il parassita non solo migliora le prestazioni energetiche dell’edifico ospite ma, come già più volte ripetuto, non consuma suolo e quando lo utilizza è già urbanizzato, non ne utilizza quindi di libero, e allo stesso tempo si offre alla comunità come un nuovo spazio pronto per essere vissuto, non incentivando così lo sprawl urbano che è tornato di moda negli ultimi anni. Dal punto di vista tecnologico è realizzato solitamente con elementi prefabbricati, strategie a secco e le sue dimensioni non esageratamente grandi permettono che sia una soluzione abitativa economica, accessibile. Così non fosse si andrebbe contro il principio per cui viene utilizzata nella maggior parte dei casi: offrire uno spazio all’interno della città anche ai meno abbienti. Le nuove tecnologie permetterebbero inoltre di utilizzare materiali con un basso impatto ambientale così da non incidere ulteriormente sulle emissioni di gas ed effetto serra. Con l’architettura parassita è possibile “fare città”, si possono scatenare nuove visioni con delle ripercussioni determinanti, che avrebbero effetto sulla vita degli individui che abitano la città. La città dopotutto è già abitata ed è indispensabile lavorare a politiche di “seconda generazione” sulle case esistenti garantendo una maggiore qualità della vita.
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L’architettura parassita ospite a Torino L’architettura parassita come noto sfrutta superfici esistenti, superfici già urbanizzate come i fronti ciechi delle abitazioni, le coperture piane o ancora spazi di risulta tra due muri ciechi che nel mezzo accoglie un basso fabbricato. Queste sono superfici, spazi che danno alla città un senso di incompletezza che però possono essere sfruttate per cercare di costruire un senso di completezza urbana. Torino, come molte altre città italiane, si presta ad essere una buona ospite per l’ architettura parassita, si trova in determinate condizioni che fanno gola alla filosofia parassitaria e inoltre offre gli strumenti per far si che si possano sperimentare numerose ipotesi progettuali. Essendo una pratica non ancora ben definita e normata in Italia, perché si possa prospettare come un modello di crescita urbana, è bene che vengano inizialmente sfruttate superfici verticali o orizzontali che si trovano in particolari condizioni spaziali , burocratiche e in gravi condizioni legate alla qualità urbana, così da poter divenire dei modelli per altre città. In questo lavoro di tesi, come si evince dal titolo, data l’innumerevole presenza di “muri ciechi” all’interno dei confini della città di Torino, specialmente in periferia della città, si è scelto di trasformare questi fronti come terreni edificabili su cui andare a intervenire per ridonare un nuovo senso allo spazio che li circonda. Durante i sopralluoghi tra le vie di Torino, storiche e non, l’attenzione è ricaduta su quei fronti ciechi che permettessero innanzitutto di insediare una costruzione di dimensioni fruibili e soprattutto che fossero parte di uno spazio che avesse la necessità e le potenzialità per essere reinventato. Tali spazi devono essere rissollevati da uno stato di desolazione urbana e strutturale che supera il limite dell’accettabile e che però si trovano in posizioni strategiche della città, quindi assumerebbero un ruolo fondamentale all’interno della dinamiche cittadine quotidiane. Andando a sfruttare i fronti ciechi di un’abitazione già esistente, assume una grande valore la questione legata alla proprietà. Si scatena il conflitto tra pubblico e privato: spazi privati che si insinuano in luoghi pubblici o viceversa. Ecco che le regole spaziali e burocratiche vengono sovvertite, messe in discussione, attraverso il parassita. A rafforzare l’ipotesi progettuale di utilizzare i muri ciechi come strumento per applicare una filosofia parassitaria e produrre una rigenerazione urbana sostenibile concorre la vasta e diffusa presenza di fronti ciechi nella periferia della città di Torino. Nelle aree periferice basta fare un po’ di attenzione e si noterà come vi siano un numero elevatissimo di edifici in linea che variano dai quattro ai dieci piani fuori con il lato corto completamente cieco. La maggior parte di questi fronti derivano dalle dinamiche burocratiche dettate dal codice civile e dalla speculazione edilizia che si è fatta strada negli anni Sessanta. Un’ epoca in cui la popolazione immigrava nelle città obbligando così la città stessa da allargare i propri confini attraverso la costruzione di questi grandi edifici in cui le aperture sui lati corti non sono state progettate perché la costruzione arrivava a filo dei confini di edificazione in adiacenza con un’altra proprietà.
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Quindi per motivi di privacy legati alle disposizioni del codice civile inerenti all’edilizia era impedito aprire delle aperture. Un altro motivo potrebbe essere legato alla speculazione edilizia, l’obiettivo era offrire un tetto a tutti all’interno della città e contenere le spese di realizzazione. Per consolidare l’idea di fondo della tesi, e dimostrare che Torino è un’ottima candidata, è stato eseguito un calcolo espresso in percentuale sulle quantità di muri ciechi presenti all’interno di una piccola porzione di città in periferia. La porzione presa a campione è delimitata a est da Corso Unione Sovieta, a nord Via Monteponi e a sud-ovest dalla Strada del Drosso. In questo stralcio sono state contate empiricamente circa centoquindici unità abitative e ben ventinove fronti ciechi. Tutti potenziali ospiti di un un parassita. Considerando che ogni edificio, se isolato, è costituito da due potenziali pareti cieche contiamo duecentotrenta muri, mettendo a rapporto percentuale questo dato con il numero dei fronti ciechi contati, otteniamo che il ben 12 % di questi è cieco. La porzione di città considerata, rispetto alla dimensione di tutta Torino, ci fa capire quante possibilità ci siano per l’architettura parassita, di insinuarsi e creare nuovi spazi da vivere. Non solo in periferia si possono incontrare muri ciechi sfruttabili. Anche nel centro storico, nonostante sia molto compatto e delimitato da confini ben precisi vi sono alcuni edifici con fronti ciechi, dove la maggior parte sono cicatrici delle vicende storiche che hanno colpito la città. Ed è bello notare come in alcuni casi siano già stati parassitati da installazioni artistiche come il fronte in piazza Andrea Viglione. Fino ad oggi i fronti ciechi sono stati sfruttati per affiggere i cartelloni pubblicitari ma, visti i risultati allarmanti della città, perché non reinterpretarli e sfruttare queste “terreni” verticali per la crescita della c ittà? Si tratterebbe di fare un salto di rilevante importanza, un salto di qualità, che limiterebbe il degrado urbano che si manifesta attraverso grafiti o scritte e si favorirebbe una crescita intelligente della città. Purtroppo l’architettura parassita, come ricerca verso soluzioni nuove dell’abitare, è ancora una strada poco praticata, volta più che altro ad essere più una sperimentazione, più vicina all’arte che non all’edilizia. Nonostante questo gli strumenti per poterla mettere in atto non mancano, le tecnologie che permetterebbero l’applicazione di una logica parassitaria sono oramai assodate ed è possibile esportarle nel nostro paese ma, purtroppo, mancano gli strumenti legislativi. La norma, per quanto orientata alla sostenibilità e all’innovazione, è ancora troppo arretrata per permettere un’applicazione serena dell’architettura parassita. Tende inoltre a generalizzare, i centri storici sono soggetti ad una tutela di tipo categorico e di zona attraverso le norme del Piano Regolatore, che limitano la libertà d’intervento secondo regole scritte per “ famiglie di edifici” senza verificarne l’effettiva necessità di conservazione o la possibilità d’intervenire con ampliamenti o trasformazioni.
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Questa arretratezza normativa non è stata vista come un ostacolo, anzi, è stato un elemento che ha spronato per cercare di dimostrare, soprattutto attraverso le ipotesi progettuali sviluppate, che la città non potrebbe che guadagnare da un intervento di questo tipo. Permettere a nuovi edifici di infiltrarsi nelle smagliature della città, i fronti ciechi ma anche le aree in disuso o da convertire, e di materializzarsi attraverso l’uso di materiali di riciclo e elementi costruttivi prefabbricati, o sistemi realizzati a secco. Si offrirebbe al cittadino la possibilità di vivere la città in un modo nuovo. Con una casa sul tetto o un appartamento con giardino in quota o ancora locali e negozi in quota, parchi e giardini che crescono tra un tetto e l’altro la prospettiva di visione della città muterebbe e ci si slegherebbe dalla monotonia della vita dell’appartamento cittadino.
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Fig. 6.4 Foto scattata all’angolo di corso unione Sovietica e via Monteponi.
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Fig. 6.5 Muro cieco in piazzetta Andrea Viglione a Torino che è stato parassitato da un’ installazione artistica.
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Via Madama Cristina
Corso Sommelier
Via Filadelfia
Via Bologna
Via Nizza
Lungo Dora
Figg. 6.6 Inquadraemnto fotografico di alcuni casi di muri ciechi della città di Torino. I casi riportati risultano interessanti ai fini di ipotizzare la progettazione di un parassita. I fronti presentano differenti dinamiche spaziali ma tutte interessanti. Il parassita si può proporre di riempire un vuoto tra due fronti, oppure modifcare le dinamiche spaziali sfruttando un muro che si affaccia su di un’area pubblica o ancora su di un basso fabbricato a copertura piana.
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7. IL PROGETTO
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Il potere del muro cieco: introduzione alle scelte progettuali “Per te un muro era solo un insieme di mattoni poi, in edicola, hai letto che il muro è un fondamentale della pallavolo e che il crollo di un muro ha fatto finire la guerra fredda, incuriosito, sei andato in libreria e hai letto di un muro che divide due amanti, per saperne di più sei andato in biblioteca, e hai letto di un aereo che rompe il muro del suono, e di un muro lungo oltre 8000 chilometri. Vai oltre, più leggi, più sai leggere la realtà.” Presidenza dei consigli dei Ministri Lo spot ideato per promuovere la lettura ci sprona a saper leggere la realtà, leggere gli elementi che ci circondando non fermandoci al primo pensiero che possono scatenare. Continiumao a soffermarci sul muro, all’interno della realtà architettonica quale ruolo ha rivestito e quale ruolo rivestirà nel futuro? In campo architettonico il muro può essere di varie tipologie, ci si può imbattere in un muro di confine o in un muro di cinta o in muro di fortificazione o ancora in muro cieco di un edificio. Tutte queste tipologie hanno la funzione, la capacità, di sintetizzare lo spazio fisico, la forma, la dimensione e le soluzioni tecniche del proprio tempo. La mia attenzione per le ipotesi progettuali parassitarie, come si evince chiaramente dal titolo della tesi, è ricaduta sui fronti ciechi degli edifici perché, nel futuro, a conoscenza della problematiche legate al suolo e alla densificazione che travolgono le nostre città, potrebbero divenire i nuovi terreni edificabili su cui andare a intervenire per permettere uno sviluppo territoriale innovativo e sostenibile del Paese. Fino ad oggi sono stati considerati come delle semplici facciate su cui dare sfogo all’arte di strada, o su cui appendere cartelloni pubblicitari, ma un domani potrebbero diventare i nuovi terreni di edificazione. È vero che il muro cieco, rappresenta un segno architettonico di un determinato periodo storico, una filosofia costruttiva di una determinata epoca, ma oggi deve poter rappresentare qualcosa di più. Si provi a bandire le funzioni estetiche e pubblicitarie che hanno preso piede fino ad oggi e si pensi a come, attraverso uno sviluppo il più sostenibile possibile, si possa rendere un muro cieco un grande muro. Un muro che non divida, che non impedisca la visuale ma un muro dai significati “altri”.
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Torino, a fronte delle ipotesi di calcolo precedentemente fatte, è una città ricca di muri ciechi. Oggi sono assaliti da cartelloni pubblicitari ma anche da diversi casi di street art che vogliono dare una maggiore visibilità alla polemica, si presta quindi ad essere un’ospite perfetta per l’architettura parassita che sfrutta murature cieche. Dopo il censimento dei casi ritenuti da me più interessanti,(confronta tavola) la mia attenzione è ricaduta su due fronti ciechi che si trovano in punti strategici della città: uno nel centro storico e uno in periferia. Sono stati scelti i due ambiti per dimostrare come, in base all’area, cambino i vincoli normativi, ma anche come cambino le dimensioni spaziali con sui ci si è dovuti approcciare. In entrambe i casi attraverso la progettazione del parassita si è provato a dimostrare come si porterebbero apportare delle migliorie e novità di carattere economico-sociale, energetico e strutturale.
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Piazza della Repubblica
Basilica Mauriziana
Porta Palatina
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Figg. 7.1
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Inquadramento territoriale delle due aree di progetto. L’area nel centro storico in via Pietro Egidi e l’area di periferia in largo Orbassano.
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Inquadramento nomrativo: PRGC PERIFERIA: corso Orabassano/via Romolo Gessi
Le zone urbane consolidate miste sono normate attraverso l’art.12 delle N.U.E.A. che prescrive al comma 1: “Il piano definisce “zone urbane consolidate” l’insieme delle aree edificate con precedenti piani nelle quali si individua l’esigenza di migliorare la qualità urbana e la dotazione di servizi. Le zone consolidate residenziali miste sono individuate nelle tavole di piano in scala 1:5000. Al comma 2, prescrive gli indici di densità fondiaria: “ Nella parte piana gli indici di densità fondiaria che sono pari a 2 mq/mq; 1,35 mq/mq; 1 mq/mq; 0,6 mq/mq; 0,4 mq/mq.” Al comma 3, detta i vincoli urbanistici: “I parametri di trasformazione urbanistici edilizi sono riportati nelle tavole normative. I fili stradali generati dall’apertura di nuove strade, sia pubbliche che private, all’interno di aree normative, costituiscono a tutti gli effetti filo edilizio di fabbricazione obbligatorio.” Al comma 4, prescrive gli eventuali vincoli storici: “ Per gli edifici di particolare interesse storico e per gli edifici caratterizzanti il tessuto storico vigono le norme di tutela ed i tipi di intervento particolari riportati all’art.26 e descritti nell’allegato A” Al comma 5, descrive le modalità di attuazione: “il piano si attua attraverso autorizzazioni o concessioni singole. Gli interventi di ristrutturazione urbanistica, nuovo impianto e sostituzione che richiedono la creazione di nuove opere di
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Fig. 7.2 Stralcio, fuori scala, della tavola di azzonamento del Piano Regolatore Comunale di Torino in cui si indica l’area di progetto in periferia e le sue dinamiche urbanistiche.
urbanizzazione od il coordinamento di operatori pubblici e privati per la realizzazione delle stesse si attuano mediante concessione convenzionata ex.art.49 comma 5 delle L.U.R. come le modalità di cui all’art.6 delle presenti norme.” Al comma 6, si classificano le zone urbane consolidate miste: “ le zone urbane consolidate miste sono classificate di categoria B secondo il D.M. 02.04.68 n.1444, di completamento ai sensi dell’art.13 comma 3 lettera f) della L.U.R. e di recupero ai sensi della Legge 457/78. Non è stato riportato il comma 7 perché inerente al specifico ambito di Villaretto. Le zone urbane consolidate residenziali miste sono classificate dal piano regolatore in Misto M1, Misto M2 e misto MP e vengono normate, oltre che dall’art.12 delle N.U.E.A anche dalla Tavola Normativa N.3.1 Gli interventi ammessi per gli edifici privi di particolare interesse storico e non caratterizzanti il tessuto storico sono: manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, sostituzione, completamento e demolizione. Gli interventi di sostituzione edilizia e di completamento devono rispettare i determinati parametri: sugli edifici ricadenti su aree destinate dal PRG a viabilità sono consentiti unicamente gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria (v art. 6 comma 4quater)2; l’installazione di impianti tecnologici (riscaldamento condizionamento, cabine elettriche ascensori, ecc..) non comporta il rispetto dei parametri urbanistici ed edilizi, gli interventi di ristrutturazione edilizia, la sopraelevazioni di edifici e gli ampliamenti di edifici mono e bifamiliari sono soggetti al rispetto dei parametri edilizi limitate alle lettere a) b) d) e) di cui all’art.2 punto 34 e urbanistici della relativa zona normativa fatti salvi i disposti dell’art.4. gli interventi si ristrutturazione edilizia di tipo d3) nella aree normative M2 e M1 sono soggetti al rispetto dei parametri edilizi limitatamente alle lettere a) b) c) d) e) di cui all’art.2 punto 34 e urbanistici della relativa zona normativa. I cambiamenti di destinazioni d’uso con o senza opere sono sempre consentiti qualora siano indirizzati verso le destinazioni d’uso ammesse al piano.
1 Le zone normative M1, M2 e MP vengono definite e normate attraverso l’art.8 delle N.U.E.A rispettivamente ai punti 8, 9 e 10. 2 Il comma 4 qauter dell’ art.6 delle N.U.E.A così cita: “ analoghe limitazioni di applicano agli edifici ricadenti su aree destinate dal PRG alla viabilità.” Il comma si riferisce a quello precedente che afferma :” Gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sono sempre consentiti anche con la permanenza delle attività in atto, se in contrasto con le destinazioni d’uso previste dal piano, purché legittimamente insediate (v.art.2 commi 10 e 11), fatte salve specifiche norme relative alle singole aree e quanto previsto nell’allegato B delle presenti N.U.E.A..” La L.U.R. definisce alla lettera a) dell’art.13 manutenzione ordinaria: “ le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare, mantenere in efficienza gli impianti tecnici esistenti, purché non comportino la realizzazione di nuovi locali né modifiche alle strutture od all’organismo edilizio.” Lo stesso articolo alla lettera b) definisce le opere di manutenzione straordinaria: “ le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare impianti tecnici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche di destinazioni d’uso.”
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I tipi d’intervento ammessi definiti dall’art.4 delle N.U.E.A sono, come già affermato precedentemente, di sostituzione edilizia, di completamento, nuovo impianto e di ristrutturazione urbanistica. L’area di progetto, evidenziata in colore arancio nello stralcio della tavola di azzonamento, ricade per una parte in un’area normativa M1, normata, oltre che dalla tavola normativa n.3 anche dall’art. 8 delle N.U.E.A., con una densità fondiaria pari a 2,00 mq/mq mentre la porzione rimanente dell’area ricade su un’area destinata dal Piano a viabilità. L’articolo 8 al comma 34 così cita: “ isolati misti prevalentemente residenziali. Le attività nocive o moleste devono essere sostituite con la residenza o convertite ad usi compatibili con la stessa.” Al comma 35 l’articolo invece definisce le destinazioni d’uso: “La destinazione è residenziale (v.art.3 punto 1A). Al piano interrato, terreno e primo sono consentite le attività commerciali al dettaglio, di cui all’art 3 punti 4A1a e 4A1b1 nei limiti e nel rispetto di quanto disposto nell’allegato C, attività per la ristorazione e pubblici esercizi (v.art.3 punto 4A2), attività artigianali di servizio (v.art.3 punto 4A3), attività di produzione (purché compatibili con la residenza in relazione all’inquinamento atmosferico e acustico, in applicazione delle specifiche disposizione normative di settore) (v.art.3 punti 3A1 e 3A2) e di ricerca anche a carattere innovativo, agenzie bancarie, ecc. (v.art.3 punto 5A) e, anche ai piani superiori, studi professionali. A tutti i piani sono consentiti gli usi ricettivi (v.art.3 punto 2A).” I parametri urbanistici a cui attenersi li detta invece la Tavola Normativa n.3: L’altezza massima (Hf) è definita dal R.E. edilizio, che ci dice che la Hf è determinata dalla larghezza delle vie pubbliche o private con le quali confrontano e dalle dimensioni dei cortili o spazi liberi sui quali prospettano; il nuovo fabbricato e il fabbricato devono essere in aderenza o ad una distanza maggiore o uguale a 10 metri; i confini privati possono essere in aderenza o ad una distanza maggiore uguale a 5 metri; è necessario rispettare il filo stradale o il filo edilizio; il rapporto di copertura e pari a ½ del lotto se l’indice fondiario è minore o uguale a 0,6 mq/mq. Per quanto riguarda le modalità attuative è necessario ottenere delle autorizzazione o concessioni singole. Per gli interventi di nuovo impianto (v.art.4.i) e ristrutturazione urbanistica (art.4.g) la concessone è subordinata alla stipula di convenzione ex art.49 della L.U.R., secondo le modalità riportate all’art.6; per gli interventi di completamento, ristrutturazione urbanistica, nuovo impianto si applica l’art.6 comma 10 bis. Per gli interventi di ristrutturazione edilizia di tipo d3) nelle aree normative M2 e Mp, la concessione è subordinata alla stipula di convenzione ex.art49 della L.U.R., secondo le modalità riportate all’art.6. Dopo avere analizzato gli elementi che regolamentano l’area di progetto, sono stati effettuati dei ragionamenti di carattere urbanistico per cercare di dimostrare che il parassita occupa una porzione di suolo minima permettendo però in proporzione una notevole capacità insediativa.
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Il parassita si trova in un’area destinata, secondo il Piano, a viabilità, questo potrebbe rappresentare un limite ai fini di ottenere un ipotetica autorizzazione per la realizzazione. Nella stessa area, di colore bianco, si trovano però altri tre edifici esistenti tra cui l’edificio a cinque piani con il fronte cieco che si sfrutta nel progetto. Il piano burocraticamente prevede che le abitazioni vengano abbattute e i proprietari delle case e/o appartamenti vengano fatti insediare in un’altra area, ma vista la conformazione urabna oramai consilidata credo che questa sia una possibilità remota. La conformazione spaziale è statica dagli anni Sessanta, periodo di realizzazione dei palazzi presi in considerazione. A fronte di qeuesti elementi una nuova costruzione in questo vuoto urbano non dovrebbe essere un ellemento di disturbo, a maggior ragione se la struttura non si sviluppa ad una quota zero ma ad una quota di venti metri, intaccando una quantità minima di suolo (già urbanizzato).
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CENTRO STORICO: via Pietro Egidi
L’area d’intervento, in blu a righe oblique nere, è destinata da PRGC ad Area di trasformazione compresa nella zona urbana centrale storica. Gli interventi e le destinazioni d’uso sono regolati dall’Art.10 delle N.U.E.A e dalla scheda n°2 delle aree da trasformare nella Zona Urbana Centrale Storica. L’articolo 10, comma 34, punto E. Aree da trasformare, prescrive: “Sono le aree (indicate nelle tavole di piano in scala 1.1000) per le quali il piano prevede interventi di riqualificazione dell’ambiente storico attraverso la demolizione di edifici, la costruzione di nuovi edifici, la riplasmazione e il riuso degli edifici esistenti.” I parametri di trasformazione urbanistici ed edilizi e le destinazioni d’uso sono descritti nelle schede allegate. Tali interventi sono definiti di completamento ai sensi dell’art.13, terzo comma, lettera f) della L.U.R..3 I tipi d’intervento che si possono attuare nella Zona Urbana Centrale Storica sono invece normati dal comma 22, punto D. Prescrive: “ all’interno della zona urbana centrale storica, gli interventi ammessi sugli edifici sono indicati nella “Tabella dei tipi di intervento”. Essi devono essere attuati secondo le definizioni dell’allegato A4 riferite alle 4 parti in cui sono stati 3 L’art.13, terzo comma, lettera f) della L.U.R definisce intervento di completamento: “gli interventi rivolti alla realizzazione di nuove opere, su porzioni del territorio già parzialmente edificate, da disciplinar con specifiche prescrizioni relative agli allineamenti, alle altezze massime nonché alla tipologia ed alle caratteristiche planovolumetriche degli edifici.”
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Fig. 7.3 Stralcio, fuori scala, della tavola di azzonamento del Piano Regolatore Comunale di Torino in cui si indica l’area di progetto del centro storico e le sue dinamiche urbanistiche.
contraddistinti gli edifici e alle relative qualità riconosciute e indicate in cartografia, nonché secondo le eventuali ulteriori limitazioni derivanti dalle prescrizioni dell’allegato B alle presenti N.U.E.A.” In particolare per l’area in oggetto, essendo un’area di trasformazione, si fa rifermento alla specifica scheda normativa n.2, inerente all’area, che prescrive: “Si tratta dell’isolato compreso tra le vie della Basilica, Milano, Piazza della Repubblica e Egidi. Riplasmato da interventi succedutosi in epoche diverse, comprende l’antico Ospedale dei SS. Maurizio e Lazzaro e il Palazzo dei Cavalieri, il cui lato est si trova incompleto a seguito degli sventramenti per la realizzazione di via Egidi e per le distruzioni della guerra. Considerata la particolare complessità degli edifici e delle parti da completare e l’immediata vicinanza con la Porta Palatina ed il muro romano, si rimanda la definizione degli interventi ad un piano esecutivo o ad un concorso da elaborare in accordo con la sistemazione dell’area delle Porte Palatine. Eventuali corpi di fabbrica o interventi aggiuntivi dovranno integrarsi con l’architettura esistente e non dovranno avere altezza superiore di quella della casa del Tasso posta di fronte e di quella degli edifici posti all’angolo con corso Regina Margherita. La destinazione d’uso è a servizio pubblico-attrezzature d’interesse generale.” Dalla tavola di azzonamento in scala 1:5000 si osserva che la maggior parte dell’area è destinata dal PRG ad area “R4”, Isolato cellule edilizie residenziali compresi nella zona urbana centrale storica (art.8, p.to 4). L’art.8, attraverso i commi 16, 17, 18 e 20, prescrive: “La destinazione d’uso è residenziale (v. art.3 punto 1A). Ai piani interrato, terreno e ammezzato e primo sono consentite le attività al commercio e al dettaglio, di cui all’art. 3 p.ti 4A1a e 41b1 nei limiti e nel rispetto disposto dall’allegato C, attività per la ristorazione e pubblici esercizi (v. art.3 punto 4A2), attività artigianali di servizio (v.art 3 punto 4A3), studi professionali, agenzie bancarie, immobiliari, ecc. (v.art.3 p.to 5A) e a tutti i piani gli usi ricettivi (v.art.3 punto 2A).Gli interventi edilizi ammessi sono quelli previsti per la zona urbana centrale storica (v.art. 10) con le modalità di intervento specificate nell’allegato A. E’ consentito l’uso a parcheggio al piano terreno degli edifici esistenti e nel sottosuolo. Le suddivisioni in cellule riportate sulle tavole in scala 1:1000 prevalgono sulle indicazione riportate sulle tavole di piano ad altra scala.”
4 L’allegato A definisce, nel dettaglio, i tipi d’intervento nella zona urbana centrale storica indicati all’art.10 e per gli edifici caratterizzanti il tessuto storico e di particolare interesse storico indicati all’art.26. I contenuti degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, demolizione e demolizione e ricostruzione vengono dettagliatamente specificati, per regolare le operazioni di recupero e di trasformazione degli edifici in modo corretto, facendo riferimento alle quattro parti con cui sono stati contraddistinti gli edifici (esterno degli edifici su spazi pubblici – sistema distributivo – cortili, giardini privati e fronti degli edifici su tali spazi - interno dei corpi di fabbrica), secondo quanto prescritto nella tabella dei tipi d’intervento e nelle ulteriori specificazioni comprese negli art.10 e 26.
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Un elemento di rilevante importanza e ai fini progettuali è che in data 11/04/2006 il Consiglio Comunale ha adottato un Piano Particolareggiato in variante al PRG relativo all’area dell’Isolato Santa Croce che prevede modifiche delle aree normative e della scheda. La variante al PRG prescrive: “[...] Il PP è esteso ad un insieme di edifici con relative pertinenze, raggruppati in cinque condomini, i cui elementi più rilevanti sono costituiti dal Palazzo dei Cavalieri di via della Basilica e dalla Galleria Umberto I. [...] L’isolato Santa Croce ha subito radicali trasformazioni nel corso dei secoli. A partire dal Seicento, quando sono stati edificati l’Ospedale Mauriziano e la Basilica dei Santi Maurizio e Lazzaro e rettificata la via Milano (su progetto dell’architetto Filippo Juvarra). Nell’Ottocento, quando è stata realizzata la piazza della Repubblica, fu soppressa la via delle Beccherie e realizzata la Galleria Umberto I. I bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale hanno danneggiato in modo consistente le strutture degli edifici esistenti. Negli anni ‘50 è stata, inoltre, realizzata la via Egidi, che ha permesso la costruzione, nei successivi anni ’60, di edifici moderni come quello dove è ospitato l’archivio Notarile. Attualmente in questo ambito del centro storico si stanno realizzando numerosi interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, come quelli in corso nel vicino isolato di Santo Stefano, la sistemazione del mercato di Porta Palazzo e l’avvio della realizzazione del parco archeologico e , nello stesso isolato Santa Croce, la ristrutturazione degli edifici che si affacciano sulla via Milano e sulla piazza della Repubblica mentre la parte di isolato che non è ancora stata ancora interessata dagli interventi di riqualificazione versa in gravi condizioni di degrado e abbandono.[...] Gli studi e le ricerche effettuate preliminarmente alla redazione del presente PP e, più in generale, gli studi svolti sull’area delle Porte Palatine, hanno portato a proporre qualche variazione rispetto alle indicazioni progettuali del PRG per l’isolato di Santa Croce. In particolare per quanto riguarda il perimetro, si è ritenuto opportuno estendere l’ambito oggetto della proposta progettuale ad alcuni edifici esistenti, per poter meglio intervenire nel disegno complessivo della trasformazione urbanistica dell’isolato in questione.[...] Sotto il profilo progettuale la soluzione proposta dal PP prevede, in sintesi, da un lato la costruzione di nuovi corpi per ridefinire e completare i fronti edilizi distrutti nell’ultimo evento bellico e dall’altro la parziale demolizione di alcuni interventi ottocenteschi che hanno occultato il fronte interno del seicentesco Palazzo dei Cavalieri. Inoltre è prevista la riorganizzazione e la riqualificazione del sistema dei percorsi e gallerie pedonali interne che caratterizzano l’isolato Santa Croce; la riqualificazione del fronte sud del fabbricato, all’angolo tra la via Egidi e piazza della Repubblica e la sistemazione del cortile che prospetta su via Egidi, la cui sezione verrà ridotta, allarga o il limite di fabbricazione dell’isolato, per consentire i completamenti edilizi richiamati.[...] Il PP fissa le altezze massime dei nuovi edifici previsti,(in rapporto agli edifici esistenti all’interno dell’area assoggettata a PP), prevede la demolizione di alcuni volumi ( il basso fabbricato fatiscente affacciato sul cortile e di una parte del ramo secondario della galleria, oltre alla demolizioni relative a parti incongrue o superfetazioni) necessarie per consentire la valorizzazione degli edifici più significativi. Il PP pertanto prefigura il completamento dell’isolato, la rifunzionalizzazione del sistema della percorribilità pubblica e degli accessi dell’isolato stesso, il recupero della funzionalità
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e dell’immagine storica del palazzo dei cavalieri, prevedendone la conservazione e la valorizzazione, fortemente compromessa dallo stato di degrado, il ridisegno e la razionalizzazione delle aree pedonali, delle aree a parcheggio e della sezione di via Egidi.[...]” Trovandoci nella zona urbana centrale storica della città, vi sono determinati vincoli posti dal PRG che vengono espressi attraverso la tavola n.3: “Zona Urbana Centrale Storica. Tipi d’intervento”. Parte dell’immobile interessato dall’intervento progettuale è compreso tra gli “edifici della costruzione ottocentesca della città”, con “fronti di architettura uniforme, fronti di notevole pregio” e “ androni collegati con cortili e con giardini privati” , per i quali vigono le norme di tutela e i tipi d’intervento particolari ripostati all’art.10 delle N.U.E.A. Nello specifico la tabella ammette: sull’esterno degli edifici su spazi pubblici, il restauro conservativo; sul sistema distributivo e nell’interno di corpo di fabbrica, il risanamento conservativo; nei cortili, giardini privati e fronti verso tali spazi, la ristrutturazione edilizia; Le linee guida della variante al Piano Regolatore proposta, sono in linea con i pirncipi del parassita progettato. La variante prevede: il completamento dei due fronti ciechi, la demolizioni di alcuni corpi Ottocenteschi, la sistemazione del cortile che si affaccia su via Pietro Egidi, la riduzione della sezione stradale della via, il ripensamento del sistema dei perocosi e la valorizzazione e la conservazione dello stati di degrado in cui versano gli edifici, specialmente il palazzo dei Cavalieri. Tutti questi obiettivi, che l’mamministrzione si pone di raggiungere, vengono raggiunti attraverso l’inserimento del parassita all’interno del tessuto storico consolidato.Un semplice volume che è in grado di scatenare una rigenerazione urbana. Il nuovo edifico, che si differenzia per forma e materia a differenza di quello previsto dal piano, si insedia e completa l’isolato effettuando un’ operazione di ricucitura urbana. Andando ad ancorarsi all’edificio esistente scatena la necessità da parte dell’ospite di rigenerarsi e di risollevarsi dallo stato di degrado strutturale e conservativo in cui si trova. Al suo interno il parassita insedia nuove funzioni che permettono ai flussi pedonali di amplificarsi permettendo così di dare un nuovo senso al nuovo spazio che si viene a creare all’interno della nuova corte, ottenuta dalla demolizioni delle porzioni delineate sulla tavola di azzonamento. Si può evincere come il parassita riesca ad ottenere i risultati che l’amministrazione comunale si è auspicata di raggiungere attraverso la variante. Tutto questo però avviene attraverso l’inserimento di un corpo di dimensioni esigue, rispetto alle grandi dimensioni dell’isolato. La sua piccola scala architetonica permette di ottenere ottimi risultati dal punto di vista formale, energetico, sociale ed economico.
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7A. PERCORSI PROGETTUALI
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RIFERIMENTI PROGETTUALI CENTRO STORICO
The Nelson-Atkins Museum of art, Kansas City,United States,Steven Holl, 2007.
Steven Holl, attraverso le sue realizzazioni in policarbonato ha offerto lo spunto progettuale per poter riuscire nella volontà di progettare un edificio “sordo” che non si mescoli ulteriormente alle numerose stratificazioni storiche presenti all’interno del lotto.
Horizontal Skyscraper- Vanke center, Shenzhen, China,2009, Steven Holl
Ha offerto anche un aiuto dal punto di vista strutturale attraverso l’horizzontal skyscraper rafforzando le ipotesi effettuate.
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RIFERIMENTI PROGETTUALI PERIFERIA Concorso per gli uffici della camera dei deputati, Roma, 1967, Giuseppe Samonà
GIuseppe Samonà, a Roma, tramite la liberazione del suolo e i grandi pilotis lobati sorreggenti volumi a réaction poétique tra le nuvole e conclusi dalla mano aperta riconquista il vuoto per rivelare l’intima struttura urbana fatta di parti differenti, monumenti e luoghi civili.
Padiglione tedesco, EXPO 2000, Hannover MVRDV Casa per vacanze, Noto,2011 Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
MVRDV EXPO 2000, Si offre da esempio per la realizzazione della struttura reticolare ipotizzata sia in perferia che nel centro storico. Grasso Cannizzo si offre invece come modello per il trattamento di facciata. Pannelli opachi che permettono all’edificio di variare il disegno di facciata e che, una volta chiusi danno all’edificio un senso di monumentalià.
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CENTRO STORICO: RICONFIGURAZIONE URBANA Il centro storico di Torino è molto compatto e denso. In esso, il quale è delimitato a nord-est da Corso Regina Margherita e corso San Maurizio, a nord-ovest da corso San Martino e corso Bolzano, a sud-ovest da Corso Vittorio Emanuele II e a sud-est dal fiume Po, non sono riscontrabili molti casi di fronti ciechi che presentano le caratteristiche per poter accogliere strutture parassitarie. Tuttavia, un edificio, scoperto girovagando per la città, si offre come ospite. La struttura parassitata è quella che si affaccia lungo via Pietro Egidi, via che insieme a via della Basilica, via Milano e Piazza del Repubblica delimita l’isolato Santa Croce. L’edificio in questione è il Palazzo dei Cavalieri, adiacente all’Ospedale dei SS. Maurizio e Lazzaro e alla galleria Umberto I che collega via della Basilica con Piazza della Repubblica. Il lato est del Palazzo dei Cavalieri si trova tuttora incompleto a causa degli sventramenti attuati per la realizzazione della via Pietro Egidi e per le distruzioni dovute all’ultima guerra mondiale. A fronte di questi motivi presenta due fronti ciechi, uno è parte di un edificio abbandonato, mentre l’altro fa parte di un edificio che ad oggi ospita residenze, nonostante ciò entrambi mostrano segni di cedimento strutturale e alti livelli di degrado conservativo. Ospitano casi di street art, cartelloni pubblicitari e aperture finestrate abusive. Si è ritenuto opportuno intervenire su questo edificio perché rappresenta un simbolo storico per la città e il suo sottoutilizzo, in un contesto di sostenibilità e mancanza di risorse materiali, nonché l’alto degrado in cui versa, lo rendono un caso esemplare in cui applicare una strategia parassitaria che lo rivitalizzi, ne sfrutti le potenzialità, lo risani e lo renda un motore di rinnovamento e miglioramento anche per gli edifici adiacenti. Un altro elemento a suo favore è la sua posizione strategica all’interno della città la quale è un’opportunità al fine di moltiplicare e amplificare le ricadute spaziali e sociali in seguito a una sua riattivazione. Si trova infatti nel cuore del quadrilatero romano, una zona caratterizzata da una ricca vita notturna e diurna, che offrirebbero importanti occasioni di sfruttamento e rivitalizzazione dell’intervento. L’edificio ospite ha una conformazione spaziale a corte, tre lati sono edificati e il quarto è delimitato da un muro di cinta che congiunge i due muri ciechi, al quale il parassita vuole aggrapparsi. La fase iniziale del progetto vede la sua nascita proprio da un ragionamento sviluppato sotto forma di commento del disegno trovato in pianta. Il processo proposto è di ricucitura: l’obiettivo è quello di andare a ricreare un disegno più marcato ed evidente della corte attraverso un corpo estraneo a quello esistente, sia formalmente, che spazialmente. Proseguendo nel ragionamento planimetrico, l’edificio deve la sua inclinazione dall’unione degli spigoli più esterni dei due muri ciechi coprendo la distanza che vi è tra i due, la quale è complessivamente di novanta metri. Questa linea di unione viene replicata ad una distanza di sette metri per dare così forma al disegno in pianta del parassita. Il piano, una volta sviluppatosi sull’asse verticale per un’altezza di dieci metri, si trasforma in
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Figg 7.4 Inquadramento fotografico dell’area di porgetto del centro storico. Ăˆ palese lo stato di degrado sociale e strutturale dell’area.
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un volume che concettualmente viene calato dall’alto e che quando incontra la preesistenza si ritrae e si modella sulle forme di questa. Il parassita, da una visione dall’alto appare come un unico volume ma, visto in prospetto, si scorge come nella porzione centrale sia sfondato per lasciare libero sfogo ai nuovi flussi che genera. Il sistema strutturale è semplice. La struttura portante è realizzata in acciaio e calcestruzzo armato, e si materializza andando a sfruttare i fronti ciechi ai quali si ancorano le travi in acciaio che reggono i solai di interpiano e copertura. Queste sono sostenute da pilastri in acciaio, oppure ancorate ai nuovi vani scala progettati, in calcestruzzo armato. In corrispondenza dei muri il parassita tocca il suolo mentre nella porzione centrale se non è sospeso poggia su pilastri di sezione circolare. Il corpo che così appare sospeso è realizzato attraverso una struttura reticolare in acciaio, che consente di avere una maggiore libertà compositiva in pianta e in alzato. L’organismo architettonico opera un salto di scala, determinando nuove tensioni non solo nel contesto urbano ma anche nel sistema sociale, agevolando la creazione di un nuovo sistema culturale di cui la città, in precedenza, era priva. La peculiarità del progetto risiede nelle scelte compositive elaborate. Esse si caratterizzano per l’idea di un unico grande volume compatto rivestito in policarbonato alveolare.
1. CUCITURA
2. REPLICAZIONE
Figg. 7.5 Schemi concettuali che illustrano graficamente il ragionamento effettuato per giungere alla definizione del volume del parassita nel centro storico.
3. PLASMAZIONE
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Il volume vuole essere sordo in modo da contrapporsi alle differenti e innumerevoli stratificazioni storiche che contraddistinguono l’isolato. Un volume snello, compatto, leggero ed elegante che si oppone alla complessità e all’ eterogeneità dei disegni di facciata esistenti. Un volume “arrogante” che dichiara la sua differente natura evadendo dai confini preesistenti, quasi sovvertendo le regole compositive che in un contesto storico sono sempre così rigide e limitanti dal punto di vista compositivo. I pannelli di policarbonato sono assemblati a secco attraverso un incastro maschiofemmina e presentano una struttura alveolare a parete multipla. Progettati con una larghezza pari a 1,40 mt, oltre a garantire il risultato auspicato a livello compositivo, assicurano anche un buon isolamento termico e acustico. Un solo pannello da 4 cm garantisce una trasmittanza pari a 1,1 [W/m2K]. Entrando nel dettaglio della struttura, i controventi della trave reticolare vengono celati all’esterno da un tamponamento semitrasparente formato da un pacchetto composto da due lastre di policarbonato alveolare bianco dello spessore di 4 cm distanziate tra loro da una camera d’aria di 3 cm in cui viene inserito l’isolante aerogel in forma granulare. All’interno, la struttura portante viene rivestita con lo stesso pacchetto murario ma di uno spessore più ridotto. Considerando le caratteristiche termiche di un solo pannello e a fronte di calcoli effettuati, si può affermare con serenità che la parete rispetta i limiti imposti dalla norma. I pannelli sono fissi al fine di marcare l’’immutabilità del volume, la sua compattezza e la sua sordità. Il lato esterno del pannello viene prodotto in modo tale da resistere alle radiazioni solari a cui è costantemente esposto. L’isolante aerogel, invece, è una sostanza solida con una bassissima densità, simile ad un gel in cui il componente liquido viene, però, sostituito con un gas. Per la precisione è composto dal 99,8 % di aria e dal 0,2 % di ossido di silicio, il principale componente del vetro. Nonostante la sua bassa densità garantisce ottimi risultati dal punto di vista dell’isolamento termico. Ha una conducibilità termica pari a 0,018 [W/mK].5 Nella copertura, realizzata sempre in pannelli di policarbonato larghi 1,40 m, la continuità formale e materica che si ha in facciata viene interrotta dall’inserimento di vetri fotovoltaici e pannelli solari termici per permettere al parassita di soddisfare tramite l’energia solare il fabbisogno di acqua calda sanitaria e energia elettrica, garantendo il proprio autosostentamento. Per quanto riguarda invece la ventilazione degli ambienti, si è ipotizzato che nel corpo centrale dove si insedierà il co-working venga installato un sistema di ventilazione meccanica controllata: l’impianto di ventilazione provvederà ad estrarre mediante un ventilatore l’aria interna carica di umidità e di inquinanti per garantire un flusso costante di “lavaggio” dell’aria. Nei due corpi che si ancorano ai muri ciechi, invece, la presenza di aperture permette l’adozione di sistemi di ventilazione naturale. Il parassita oltre ad inserirsi furtivamente tra le differenti stratificazioni storiche, attraverso queste accortezze formali e materiche, diviene un vero e proprio luogo di aggregazione e condensazione della vita sociale. Rappresenta un progetto dove il contesto urbano è onnipresente: rappresenta un catalizzatore della vita urbana. 5
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www.casaklima.it (Ottobre 2012)
Per far si che avvenga la rigenerazione urbana auspicata, il volume accoglierà al suo interno funzioni di carattere pubblico. In una porzione che si appoggia al muro cieco sono stati inseriti laboratori didattici di formazione, pensati per tutte le fasce di età, dai bambini agli anziani, mentre nell’altra sono stati progettati spazi dedicati all’informazione ovvero spazi espositivi, spazi per la condivisone di libri e sale di formazione per il quartiere. Gli ambienti interni non sono definiti da separazioni nette ma sono state previste delle pareti mobili così da poter garantire una forte volubilità degli spazi. Nel corpo centrale, che funge da elemento di unione tra i due corpi laterali, viene ospitata una sede per il co-working, uno spazio dedicato alle aziende, ai professionisti e alle nuove generazioni, per unire autonomia e contaminazione di idee in un ambiente attivo e sostenibile. Lo spazio di co-working offre una varietà di spazi che vanno dalle postazioni di lavoro open space alle meeting-room, comprendendo anche una sala relax, una sala modellini e una sala stampa. È uno spazio flessibile in cui giovani imprese e giovani lavoratori possono portare avanti il proprio lavoro in un’ ottica sicuramente nuova e stimolante. Attraverso la realizzazione del parassita, e la demolizione, prevista dal piano regolatore, di alcune porzioni degli edifici ottocenteschi, si viene a creare uno nuovo spazio pubblico. Una nuova piazza che aspira a diventare un vero e proprio luogo di snodo che stimola l’attraversamento e la presenza delle persone, invogliandole a partecipare alla vita urbana di questo nuovo brano di città. Figlia del parassita la piazza è stata infatti progettata e pensata per far si che i cittadini si potessero incontrare, comunicare collaborare e consolidare un senso di appartenenza alla propria città.
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PERIFERIA SOVVERTIMENTI SPAZIALI In periferia, solitamente la situazione di degrado urbano rispetto al centro storico è molto più accentuata, e data la grande presenza di muri ciechi, è stato più complesso trovare un luogo che si prestasse alla filosofia parassitaria e potesse offrirsi come modello di studio. Dopo una lunga riflessione e ricerca, è stato deciso di ipotizzare un intervento parassitario in Largo Orbassano, per la precisione tra Corso Orbassano e via Romolo Gessi. Vi è un piccolo spazio pubblico, un vuoto urbano, quasi di forma quadrata, che confina per due lati con le vie citate mentre gli altri due lati confinano con due muri ciechi di due edifici la cui costruzione risale agli anni Sessanta/Settanta del 1900. Lo spazio pubblico è di dimensioni minime ma nonostante la sue piccole dimensioni, se rivisitato, può essere in grado di scatenare delle grandi reazioni a livello sociale, economico e urbano. È l’ospite perfetto per il parassita che entra in scena compiendo un agopuntura urbana. Uno dei due fronti, quello più alto, fino a qualche tempo fa, era dipinto arancione e vi erano dei motivi rappresentati uomini. Parlando con i cittadini di Torino è sempre stato considerato un Landmark, una sorta di manifesto artistico. Infatti la facciata fu la prima parete cieca di Torino realizzata nel 2006 dalla Monkeys Evolution in collaborazione con MURARTE, organizzazione che fa parte delle politiche giovanili della città di Torino. Il progetto, denominato “Murarte High” consisteva nel disegnare la facciata per far conoscere ai cittadini la capacità dei writer torinesi andando a porre le basi per creare una sorta di museo all’aperto. Allo stesso tempo volevano far riflettere sull’attuale condizione delle superfici cittadine, spesso coperte di pubblicità o semplicemente dimenticate. L’esperienza ha stimolato la città e le istutuzioni a credere in progetti artistici urbani all’avanguardia facendo nascere il festival PICTURIN nel 2010. Oggi purtroppo l’opera non esiste più, ma ritengo sia un caso interessante che ha permesso, anche se per poco tempo, alla città di crescere e di sviluppare un senso di appartenenza. I principi che hanno smosso i writer per questa iniziativa sono gli stessi che hanno smosso la mia volontà di progettare un parassita in questo vuoto urbani. Permettere alla città di crescere in un’ottica sostenibile e intelligente. Il parassita vuole anche in questo caso cambiare le regole spaziali in gioco, il principio di attivazione è il medesimo del centro storico: cercare di dare un senso ad uno spazio che l’ha perso, ma il modo in cui viene messo in atto è totalmente differente. Qui in periferia, sono altre le priorità. Si vuole offrire un nuovo spazio, con funzioni miste e di natura privata. Uno spazio privato che si eleva sopra uno spazio pubblico. L’elemento progettato nasce come un corpo monolitico che trae origine dal vuoto urbano trovato. Questo, materializzandosi ridefinisce e completa il disegno urbano dell’isolato.
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Dal pieno della massa edilizia, che nasce dalla superficie dello spazio pubblico vengono continuamente erosi dei vuoti generati dalle reti e dai nodi di interconnessione sociale che rappresentano la sede degli eventi pubblici. I vuoti assumono così una priorità logico formale sui pieni, perché è solo nelle cavità che trovano localizzazione gli eventi, gli incontri, ed è attraverso la forza plasmante di queste che il pieno, da semplice massa, diventa forma architettonica. La presenza della piantumazione, cinque alberi alti all’incirca quindici metri, porta il parassita a svilupparsi ad un’ altezza pari a venti metri, permettendo così al fruitore di percepire e vivere la città da un’altra quota altimetrica. Sviluppandosi ad un’altezza così elevata, lo spazio pubblico sottostante muta. Diviene uno spazio aperto/coperto che sarà vissuto e percepito dalla popolazione in maniera differente da quella odierno. Il vuoto, che si è fatto strada attraverso i flussi pedonali, lascia spazio a cinque volumi. A due parallelepipedi in calcestruzzo armato, in cui si snodano i vani scala che permetto di raggiungere le residenze e/o gli uffici, e solo uno dei due permette di raggiungere la copertura dove si insediano i pannelli fotovoltaici e solari temici, e a tre pilastri che svolgono anche loro una funzione strutturale ma che ospitano una terrazza all’aperto che si articola su più livelli. Questa permette al cittadino di raggiungere quote differenti all’interno dello spazio e alle quote più alta di entrare in diretto contatto con la natura. Rappresenta l’ elevazione dello spazio pubblico. La struttura principale è un grosso parallelepipedo dall’aspetto monolitico dell’altezza di 8 metri che ospita al suo interno un ufficio e due residenze a doppia altezza, e due residenze ad un piano. Attraverso la progettazione di questi ambienti all’interno del parassita è stato previsto che si possano insediare tre famiglie composte da tre persone, una famiglia da quattro persone e un ufficio open sapce. Ecco venire alla luce la possibilità di riavvicinarsi al centro urbano. Il parassita possiede inoltre una forte valenza socio-economica, una volta in funzione potrebbe scatenare maggiori flussi, più eterogeni e non statici, perché legati ad un’ulteriore attività di tipo terziario. Insediando anche funzioni terziarie si creerebbero più possibilità per l’economia di quartiere. La struttura è anche qui realizzata attraverso una sistema costruttivo reticolare in acciaio, più articolato rispetto a quello del centro storico. Il sistema si ancora ai nuovi setti in calcestruzzo armato dei vani scala. Le due facciate cieche in questo caso non sono state intaccate dal parassita per sottostare ai vincoli sismici imposti dalla norma. Sono stati realizzati dei contromuri in calcestruzzo armato ad una distanza di 10 cm. Dal punto di vista compositivo e formale, i controventi della struttura reticolare, sul fronte prospiciente via Romolo Gessi vengono tamponanti da sistema costruttivo in cartongesso dello spessore di ventisei centimetri. Il pacchetto murario prevede un pannello esterno, aquapanel, trattato per resistere agli agenti atmosferici, isolante in lana di canapa di due spessori differenti e a chiudere un’ ulteriore lastra di cartongesso.
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Figg 7.6 Inquadramento fotografico dell’area di progetto della periferia. Il vuoto urbano è travolto dalla desolazione e da uno stato di degrado sociale. Lo spazio è di risulta. Il parassita non può che migliorarlo.
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È stato scelto questo sistema costruttivo per garantire un carico più leggero possibile sulla struttura ma che permettesse di rispettare i limiti imposti dalla norma inerenti all’isolamento termico. I controventi che si affacciano su corso Orbassano, dove ci sono gli uffici vengono lasciati a vista, dichiarando la tecnologia costruttiva utilizzata. Totalmente differente da quelle preesistenti. La muratura in cartongesso viene infatti sostituita da una vetrata a tutta altezza che permette una maggiore filtrazione della luce all’interno del grande ambiente degli uffici. Onde evitare abbagliamento all’interno dell’area lavorativa sono stai inseriti in facciata brise soleil, regolabili elettronicamente che permettano di controllare l’incisione della radiazione solare sulla facciata. Il progetto, che nasce come un elemento monolitico, attraverso una progettazione accurata della facciata cerca enfatizzare questa sua monumentalità. Utilizza come rivestimento pannelli opachi metallici modulari, e scorrevoli e brise soleil che ruotano lungo il loro asse verticale, la cui larghezza corrisponde alla metà di quella dei pannelli. Entrambi i sistemi sono regolati da un sistema elettronico. Le schermature non hanno solo il compito di controllare l’ingresso della luce naturale all’interno degli ambienti ma assumo anche una funzione espressiva: cambiare costantemente l’aspetto della facciata. La facciata è pensata quindi come un elemento flessibile nella forma e negli usi. Può assumere differenti scenari compositivi e una volta che tutti i pannelli e tutti i brise soleil si chiudono l’edifico ritorna alla sua monumentalità di partenza.
1. ELEVAZIONE VUOTO URABNO PUBBLICO
2.NUOVO VOLUME PRIVATO CON FUNZIONI MISTE Figg. 7.7 Schemi concettuali che illustrano graficamente il ragionamento effettuato per giungere alla definizione del volume del parassita in periferia.
3. NUOVA ARTICOLAZIONE PIENI E VUOTI
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CONCLUSIONI IL RITORNO IN CITTÀ
L’analisi critica effettuata, sia architettonica sia appartenente ad altre discipline, dagli strumenti urbanistici a quelli socio-politici, vuole porre le basi, attraverso l’applicazione dell’architettura parassita, per una possibile definizione di un nuovo assetto del sistema urbano. Una crescita urbana sostenibile. L’obiettivo, a fronte dello sfrenato consumo di suolo, è stato quello di volere trasmettere un nuovo modo di “fare città” guardando all’esistente e favorendo la densificazione. La definizione di una nuova strategia di stratificazione, di sovrascrittura, dei manufatti esistenti vuole porsi come il nuovo metodo di costruire la città. Ciò può avvenire solamente rimettendo in dialogo gli strumenti urbanistici e quelli dell’architettura, andando a rendere possibile un movimento fondato sul riciclaggio architettonico. Nuovi spazi risignificati, parassitati, doterebbero la città di luoghi e servizi che risponderebbe alle necessità sociali della contemporaneità. Torino, città d’incommensurabile valore storico e allo stesso tempo all’avanguardia sulle tematiche energetiche legate alla smart-city, offre numerosi brani di città dismessi. Attraverso questa tesi si è scelto di andare a sfruttare spazi di ritaglio, al margine del costruito, dove le ipotetiche abitazioni o gli ipotetici spazi comuni possono godere di un impianto infrastrutturale già esistente e ottimale, i muri ciechi. Su questi si è andati a progettare parassiti urbani che ravvivassero la loro conformazione esistente e che fossero capaci di ospitare nuove funzioni in grado di dare nuova linfa al tessuto sociale ed economico compromesso. Attraverso l’inserimento di nuovi corpi autonomi ma non autosufficienti la città può riscoprire le motivazioni che la pongono al centro del territorio. Le ricerca e l’applicazione di questa pratica architettonica guarda a manufatti dismessi e inespressivi come “opere aperte” capaci di assorbire nuovi ruoli. Tramite l’applicazione di questa strategia in due campi specifici, differenti spazialmente e formalmente tra loro, non sono stati solo gli oggetti a essere messi in crisi ma tutti i confini che li riguardano. L’obiettivo delle due ipotesi progettuali è stato infatti quello di mettere in crisi il disegno trovato che definiva i confini tra pubblico e privato per dare un nuovo senso agli spazi della collettività che versano in gravi condizioni di degrado sociale, e non solo. Il protagonista di queste due sperimentazioni, in periferia e nel centro storico, è quindi lo spazio pubblico che ridefinisce i suoi connotati.
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I parassiti si sono sviluppati sui limiti degli oggetti con cui si relazionano, restando distinti dai confini trovati oppure infrangendoli fuoriuscendo, come avviene in via Pietro Egidi. La chiara distinzione tra i due corpi, il parassita e l’ospite, viene sottolineata, oltre che spazialmente, anche attraverso l’utilizzo di tecnologie e materiali differenti da quelli delle preesistenze. I progetti nascono quindi come una revisione dell’esistente, e pur essendo un oggetto indipendente dal punto di vista identitario, l’azione progettuale inerente alla loro creazione acquista un senso nella relazione con l’ospite. Nel centro storico il carattere di dipendenza del corpo parassita si configura nello sfruttamento del sistema strutturale, nonostante ciò l’identità originaria non viene mutata radicalmente ma appena modificata. In periferia, largo Orbassano, avviene invece un totale coinvolgimento dell’oggetto originario, il vuoto urbano viene inglobato interamente nella nuova costruzione. I parassiti oltre ad agire a livello urbano, incentivando la riduzione di consumo di suolo, l’alleggerimento della congestione infrastrutturale e il rinnovo sociale degli spazi hanno cercato di materializzarsi in un’ottica di sostenibilità legata a nuove dinamiche compositive e tecnologie innovative. A livello compositivo si è lavorato sulla volumetria e sulle stratigrafie murarie in modo tale da soddisfare esigenze progettuali e esigenze di carattere fisico-tecnico. Sono stati prediletti volumi compatti in modo tale da limitare l’energia consumata e dispersa e stratigrafie murarie che garantissero il rispetto dei parametri energetici imposti dalla normativa. Nel rispetto della normativa sono stati anche inseriti elementi che permettano di sfruttare l’energia solare, quali pannelli fotovoltaici e pannelli solari termici in grado così di soddisfare i fabbisogni energetici. A livello costruttivo, escluse le murature in calcestruzzo armato, le scelte sono ricadute su sistemi costruttivi a secco e su materiali che durante la loro produzione e il loro smaltimento non emettessero grandi quantitativi di sostanze inquinanti. Materiali riciclabili alla fine del loro percorso di vita. Attraverso le analisi di tipo conoscitivo di carattere urbano e successivamente attraverso le ipotesi di carattere progettuale e tecnologico si è cercato di mettere in evidenza le opportunità relative alle modalità di relazione con l’esistente. L’articolazione delle vicende urbane, sociali, formali, tecnologiche e strutturali assumono il ruolo funzionale di rendere conoscibile, più chiara, la strategia parassitaria di riciclaggio dell’esistente e tracciare un quadro delle trasformazioni necessarie che dovrebbero investire la città contemporanea e aprire nuove riflessioni progettuali per incentivare il ritorno nella stessa. Il parassita in definitiva chiede un cambiamento.
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FONTI ICONOGRAFICHE
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RINGRAZIAMENTI
Giunto al termine di questo percorso, durato cinque anni e conclusosi attraverso un lavoro di tesi sicuramente innovativo e altrettanto stimolante vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno supportato. Ringrazio la mia famiglia, Tiziana, Giuseppe e Renzo per avermi sempre spronato e ascoltato nei momenti di difficoltà e per aver condiviso sempre con me la gioia di un esame andato bene. Il vostro entusiasmo spero sia stato ripagato. Grazie ai miei storici compagni ma soprattutto amici di laboratorio, Simona, Mattia, Pedro, Giorgia e Alice, compagni di avventure che mi hanno sempre reso ogni laboratorio un divertimento. Un ringraziamento speciale va a Simona, che negli anni è diventata fondamentale, non solo a livello lavorativo. Con il suo carisma e la sua passione è sempre riuscita a farmi sorridere, anche le due ore prima di un esame. Un ulteriore ringraziamento va ai miei relatori. Al professor Giachino che ha accettato di seguirmi in questa tesi, un pò fuori dagli schemi, e che è sempre stato disponible a confrontarsi e ad aiutarmi. Alla professoressa Marini, cultrice del tema, che nonostante le distanze, ha accettato di partecipare a questo progetto apportando un contributo fondamentale. Al professor Bedrone che mi ha seguito nelle tematiche urbanistiche. Un ultimo ringraziamento va a tutti coloro che negli anni si sono interessati alle mie vicende universitarie e non. Grazie.
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