IL CASENTINO DA AMA A ZENNA di Giovanni Caselli
Il Copyright di questo libro e esclusiva proprietà dell’Autore
Per mio figlio Enrico Orwell e per tu3i bambini che come lui vogliono conoscere e fare.
Proge7o grafico, impaginazione, inconografia: Giovanni e Kenneth Caselli Testi di Giovanni Caselli Illustrazioni ©Giovanni Caselli Universal Library Unlimited se non specificato altrimenti in didascalia. www.giovannicaselli.com www.giovannicaselli.it Ringrazio in particolar modo il Dr. Marco Bicchierai per avermi consentito di a3ingere profusamente alla sua tesi di do3orato per il capitolo su Poppi.
ISBN ----------------------------
©Giovanni Caselli 2008 © di questa edizione: Rotary Club del Casentino Stampato e pubblicato da Grafica Casentinese www.graficacasentinese.it
Giovanni Caselli
Il Casentino da Ama a Zenna
Rotary Club del Casentino
4
SOMMARIO Prefazione.........................................Pag. 7 Introduzione.....................................Pag 9 L’unicità del Casentino.................Pag. 19 Il paesaggio del Casentino..........Pag 23 Il mistero che non c’è....................Pag. 41 Il divenire del Casentino..............Pag. 53 Poppi e il Casentinbo dei Guidi....Pag. 61 I nomi e i luoghi del Casentino....Pag. 113 Indice dei contenuti........................Pag. 198
5
6
Il passato è mutevole
Carta Generale della Toscana della Litografia Militare Granducale 1858
Poche sono le cose che accadono al momento giusto, molte cose non accadono per niente; lo storico coscienzioso rettificherà questi difetti. (Erodoto)
Cos’è la storia? Lo esprime letteralmente la parola stessa: è una narrazione di fatti presumibilmente accaduti come intesi dallo scrivente. Pretendere che sia altro è non solo erroneo ma anche pericoloso. Mentre lo storico, nel momento in cui scrive, deve credere che la sua storia sia verità comprovata, chi legge deve diffidare di chi sostiene che un libro di storia sia altro che una narrativa. E’ raro, se non improbabile che un libro di storia rimanga valido, come tale, per più di qualche anno. Un testo vecchio di cinque anni non può contenere altro che le idee di chi ha scritto così com’erano cinque anni fa e che adesso potrebbe averle modificate alla luce di nuove informazioni; non si tratta quindi più di un libro di storia ma di una fonte storiografica. Quale ricercatore non progredisce nelle proprie ricerche? Forse un ricercatore morto. Guai allo storico che non è costantemente alla ricerca di nuovi documenti che rettifichino la sua storia. Quando vedo studenti di università intenti nello studio di testi vecchi di oltre vent’anni, mi viene da dir loro che stanno solo studiando storiografia, non storia: la storia com’era intesa vent’anni fa da chi ha compilato quel libro. Qualcuno ha detto che la storia è, infatti, sempre contemporanea. Allora che farsene di un libro che “scade” dopo quattro o cinque anni? Il suo valore non diminuirà ma sarà una cosa diversa. Un altro punto da tenere in seria considerazione è quello dell’ideologia dello storico, quindi della sua impostazione metodologica ed i suoi eventuali aggiornamenti. Diffidate di chi sostiene di non avere una ideologia. L’archeologia e l’antropologia hanno una durata più lunga poiché si occupano l’una di oggetti tangibili come sassi, ossa, mattoni, cocci ed altri manufatti che tuttavia sono muti, e di valore documentario soggettivo; la seconda di fenomeni di lunga durata a livello sociale, collettivo e non individuale, ed è per questo che da molti anni ormai, chi scrive fa parte di quella schiera di divulgatori che adottando un metodo multidisciplinare, mischiano, senza peraltro confonderle, la storia all’archeologia e all’antropologia. Questo approccio multidisciplinare, ritenuto, solo qualche decennio fa, un gravissimo errore metodologico, è invece risultato essere assai produttivo. I peggiori fra gli storici del passato anche recente, erano coloro che si illudevano della possibilità di una “storia scientifica”. Per quanto ne sappia io questo tipo di storia è, nella migliore delle ipotesi, demagogia e nella peggiore -e la più attendibile- di queste ipotesi, trita propaganda politica. Questa storia, la mia storia, non si occupa di individui e di ciò che loro anno detto o fatto, ma delle vicende di lunga durata dell’umanità vista per culture e per nazioni, o anche come nel caso specifico del Casentino, per regioni e per valli. L’individuo è il prigioniero del mondo in cui vive e della cultura del luogo e del momento in cui egli vive. Gli individui sono il prodotto della cultura del luogo e del momento in cui vivono e sono quindi queste le cose che contano per chi si accinge ad analizzare le vicende umane. G.C.
7
La bellezza è insopportabile, ti fa disperare, orendoti per un a3imo la visione di una eternità che vorresti far durare per sempre...
(Albert Camus)
IL CASENTINO
Molto si è parlato e molto si è scritto sul Casentino, perché scriverne e parlarne ancora? Perchè troppo poco si è detto.
Il Casentino non è solo una terra dantesca o una terra guidigna, o ancor meno una piccola valle appenninica a ridosso della Romagna, come a volte si legge. Il Casentino è molto altro e molto di più. Qualcosa di altro e qualcosa di più lo troverete in questo libro.
9
10
LE CULTURE, I LUOGHI, I MOMENTI
La capacità di riempire il tempo libero con intelligenza è un prodo3o della civiltà...
Per ironia della sorte ho scoperto il Casentino nel momento in cui per motivi pro(Arnold Toynbee)
fessionali e di studio avevo deciso di trasferirmi all’estero. Fu una separazione dolorosa, anzitu7o quella dalle persone care, ma non meno di questa dolorosa la separazione da Firenze e sopra7u7o dalle amate valli montane a nord e ad est della mia ci7à. Tu7avia, mi consolava il pensiero che la Toscana non meritava più i suoi abitanti che stavano allora assassinandone l’unicità, sia con le ruote dei loro sempre più devastanti veicoli, sia con la loro scellerata ostentazione di un benessere appena raggiunto, solo apparentemente raggiunto o addiri7ura fi7izio. Tu7avia la Toscana era ancora la terra dell’agricoltura “promiscua”, delle case coloniche più belle del mondo, delle ville-fa7orie padronali, borghi rustici d’altura, delle solitarie torri scapezzate, dei bianchi buoi che lenti incedevano sulla terra bruna. Era quella la mia la Toscana dai teneri verdi delle primavere montane, dalle cupe selve di castagni fru7iferi, dagli sterili dirupi adombrati da austere faggete, dai gelidi torrenti partoriti dai vasti pascoli montani. Mia non era la Toscana arida e torrida, dai quercioli stenti, degli scopeti e dei ginestreti sterpigni, né quella delle polverose crete senesi o dei soffocanti forteti maremmani, mia era invece la Toscana interna, quella appenninica, quella delle generose acque chiare, dei ventosi crinali e delle oscure selve, dei monasteri e dei castelli guidigni. La Toscana che portavo con me, ignota ai più, agli studiosi come ai turisti casuali, era l’Arcadia dell’Etruria. Sapevo che senza conoscere questa Toscana, non sarebbe stato possibile capire l’altra, forse più grande, ma sua mera appendice. Occorre tu7avia uscire dal proprio nido per poterlo vedere e paragonare ad altri. Un comune de7o inglese recita: “non vede il bosco a causa degli alberi”, che nel caso specifico è come dire “non ha capito la Toscana perché ci vive dentro”. Questo è purtroppo il caso di numerosi scri7ori che trovandovisi dentro, poco hanno capito della Toscana.
L’Arcadia d’Etruria
Se la Toscana ha un “nucleo culturale”, questo si trova indubbiamente l’area montana al cui centro è il Casentino ed è di questo Casentino che ancora voglio parlare. Tu7avia il mio non è il patetico canto di un romantico naif, bensì la riflessione di uno studioso cosmopolita che ha osservato la sua terra, per oltre 40 anni, da lontano e da vicino, paragonandola ad altre terre ugualmente osservate dall’interno e dall’esterno. L’o7ica anglosassone mediante la quale ho esaminato spassionatamente il mio antico “io” toscano e il seme che lo generò, mi consente di fare osservazioni presumibilmente inedite che per alcuni saranno inaudite, ma che sono generate dalla realtà vissuta, analizzata con l’occhio rigoroso del ricercatore che non solo nulla afferma che non sia in grado di provare o in cui non creda a ragion veduta, ma che ha sopra7u7o capito ciò che costituisce “documento” avendo afferrato i meccanismi di causa ed effe7o. Nel 1970, giunto in Inghilterra, potei finalmente eccedere, senza essere so7oposto ad alcun supplizio burocratico, a una vasta fonte di informazioni archeologiche e antropologiche concernente anche l’Italia. Potevo ad esempio prendere in prestito dalla biblioteca dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Londra, la rivista “Studi Etruschi” per me inaccessibile quando ero a Firenze.
Qui accanto, in un acqarello di Dora Noyes, una contadina casentinese dell’inizio del ‘900, con il tipico cestone di vimini sbucciati ed intrecciati sul capo.
So3o, il viaggiatore inglese Montgomery Carmichael su una treggia in gita al Prato al Soglio agli inizi del ‘900. I buoi sono di razza romagnola. So3o, un carro a trascico del Casentino. Uno stadio intermedio fra la treggia e il carro. Nella pagina accanto un disegno di Dora Noyes e una foto di un contadino di Romena pressappoco dello stesso periodo. Arch. Gore3i de’Flamini.
Carrotreggia del Casentino
11
12
Le Culture i Luoghi i Momenti
Non solo, potevo ora studiare su testi mai trado7i in italiano ma anche su altri appena pubblicati che sarebbero comparsi in lingua italiana solo 20 anni più tardi. Le pubblicazioni di antropologia delle University Presses americane e britanniche giocarono un ruolo importante nella mia formazione e mi muovevo a mio agio fra opere fondamentali di antropologia nei se7ori che più mi interessavano. Tenni conta7i dire7i ed epistolari con tu7i i più grandi archeologi anglosassoni dell’epoca, imparando da loro che i veri studiosi non disdegnano comunicare anche con dei neofiti, sia in persona che per le7era. Mi resi conto che la regola vigente in Italia di fare l’esa7o contrario ha le sue radici nell’insicurezza, nella superbia e nel “classismo” del ceto intelle7uale del nostro paese. Tu7avia il problema dello storico dell’archeologo o dell’antropologo non è quello del difficile accesso alle fonti bibliografiche, ai documenti o all’evidenza, bensì quello di capire cosa costituisca “documento” e cosa costituisca “evidenza” ed infine di porsi quesiti significativi. Nulla si trova se non si sa cosa si cerca ed il metodo, in questa branca del sapere come del resto in tante altre, è fondamentale. E’ lo studio di opere fondamentali (allora inaccessibili a chi non aveva una perfe7a conoscenza della lingua inglese e doveva quindi inconsapevolmente rifarsi a fonti obsolete) che mi chiarì quelle idee portate dall’Italia in forma embrionale. Anzitu7o incominciai a comprendere quali fossero i processi che regolano la presa di possesso di un territorio
Sopra, un contadino di Castelfocognano incontrato nel 1972 durante la mia prima ispezione nella valle del Soliggine. Foto Silvano Guerrini A destra il glorioso aratro “sementino”, tipico deòl Casentino. Serviva, come suggerisce il nome, a fare un solco nella tarra lavorata a vanga e zappe3ata, per seminare una serie di prodo3i che andavano dalle graminacee ai legumi, ai tuberi e alle radici.
Sopra,Casentino estate 1967. Intervista ad un contadino riguardante lo “sterzo” (taglio periodico) di un querceto. So3o, l’aratro di Sangodenzo. Osservare la differenza fra questo e il “sementino”del Casentino, più so3o. Foto Silvano Guerrini
da parte di una popolazione, quindi gli stadi a7raverso i quali si sviluppano la viabilità e l’insediamento. Capii dove e come era essenziale indagare per analizzare e meglio comprendere l’avvicendarsi delle a7ività umane che avevano forgiato un territorio e quali fossero i segni indicativi lasciati da queste su di esso. A conta7o con studiosi di indubbia competenza potevo continuamente confrontarmi, me7ere alla prova e verificare le mie intuizioni. La mia tesi sulla “treggia”, scri7a in inglese, anche se mai pubblicata per intero a causa della sua
In questa pagina una cartina dell’Etruria eseguita nel 1975 e che serviva come strumento di studio per l’evoluzione della viabilità e dell’insediamento nella regione. Questa metodologia consentiva di ipotizzare l’esistena di centri etruschi in certi luoghi ancor prima che venizze effe3uata l’indagine archeologica. Fu così prevista l’esistenza di Gonfienti, presso Prato e di numerosi altri centri etruschi della Provincia di Firenze. So3o, la treggia e la sua distribuzione nelle provincie di Firenze ed Arezzo.
mole, riceve7e molta a7enzione anche in Italia. Ogni anno dedicavo qualche se7imana alla ricerca sul terreno e non mancavo di venire anzitu7o in Casentino, poiché avevo intuito che questa valle poteva servire da campione (o “paradigma” come direbbero gli studiosi) per ogni indagine che riguardasse la cultura in Toscana. Le foto a colori che feci durante tu7o il corso degli anni 1970 e fino a metà degli 80, illustrano la singolare ricchezza dei “documenti” di cui l’antropologo poteva allora di-
sporre facendo ricerche in questa valle che invece, che io sappia, non è mai stata studiata conalcun metodo. Un’altra cosa fondamentale per me fu quella di imparare ad esprimermi in lingua inglese in modo chiaro, usando frasi concise e paragrafi brevi. Un compianto studioso inglese mi diceva infa7i che chi non sapeva spiegare la semiotica a un contadino era un cretino che nulla aveva capito di semiotica, il quale probabilmente sosteneva che ai contadini la semiotica non interessa. Mi resi conto di quanto fosse paradossale che un qualsiasi “professore” italiano, capace di usare dozzine di neologismi latini e greci, facesse confusione fra lumaca e chiocciola, fra verme e baco, fra àndito e corridoio o fra porta e uscio e non conoscesse il significato dell’80% dei lemmi nel Vocabolario della lingua italiana, Devoto Oli. Scoprii insomma che vi era una grande affinità fra la cultura contadina dalla quale avevo ricevuto l’unica educazione di cui disponevo - non avendo mai frequentato alcuna scuola superiore - e la cultura anglosassone, sopra7u7o per quanto concerne la straordinaria ricchezza e versatilità linguistica, indispensabile strumento del pensiero. Il mio primo conta7o con una università avvenne nel ruolo di docente in visita a Londra nel 1973. Da allora in poi ho rappresentato l’Italia, in veste di antropologo, in numerosi convegni e simposi internazionali, in quanto ele7o da un collegio di antropologi inglesi come “Fellow” (Associato) del Reale Istituto di Antropologia di Gran Bretagna e Irlanda.
13
14
Le Culture i Luoghi i Momenti
Alfredo Cellini del podere “La Casa”, Sangodenzo, con l’ultima treggia con “civèa” da lui costruita nel 1972. So3o, a3rezzi agricoli etrusco romani rinvenuti a Fiesole ed interpretati per quanto riguarda le immanicature, ovviamente non conservatesi.
Nel se7embre del 1978 Alexander Fenton, dire7ore del Museo Nazionale di Scozia, mi invitò a partecipare al Convegno Internazionale per l’Atlante Etnografico d’Europa e Paesi Limitrofi ad Enniskillen in Irlanda. Per 7 giorni ebbi l’onore di stare in compagnia dei massimi esperti di cultura di ogni paese europeo e di parlare della ricchezza etnografica del Casentino ad un pubblico di personalità illustri nella ricerca etnografica di allora. Il mio contributo alla ricerca antropologica è quello di avere a7ribuito ai manufa7i “spontanei” dei contadini a degli artigiani locali il valore di “segni” dell’ethnos e della cultura tout court e di avere dimostrato che tali segni possono essere analizzati applicando i metodi della linguistica, una metodologia del tu7o nuova. Nel 1975 avevo esposto i risultati delle mie ricerche anche a Bagno a Ripoli, dove intervennero i massimi archeologi, antropologi, storici ed economisti fiorentini. In questa occasione mi aggiornai sullo stato delle ricerche antropologiche in Italia, in questo fu importante un invito, da parte di etnografi dell’Università di Siena, a recarmi in visita in quella università. A parte le mie difficoltà nel comprendere il ragionamento che sta dietro l’impiego di termini quali “demologia” o ”ergologia”, se non quello che vuole tener lontani dalla cultura i non adde7i ai lavori. Francamente non ho mai capito cosa volessero intendere gli antropologi italiani quando esprimevano conce7i quali “culture subalterne” o “dislivelli di cultura” o “civiltà
contadina”, riferendosi alle manifestazioni materiali e intelle7uali del sapere contadino. Poiché il segmento contadino di una società è parte integrante di quella stessa società e sono casomai i ceti urbani ad essergli culturalmente “subalterni” poiché minoritari, cronologicamente posteriori, e dipendenti da quello per la loro sopravvivenza, non aveva senso tale discriminazione. Bollando la cultura contadina come un qualcosa di inferiore (subalterno) o di negativo (conservatrice), ed esaltando nel contempo una sedicente “cultura operaia”,questi studiosi hanno tagliato le radici alla cultura stessa, con le conseguenze che tu7i oggi possiamo osservare. Una cosa è la miseria economica causata peraltro dallo sfru7amento, tu7’altro può essere -e nel caso specifico era- quella culturale. La miseria culturale dei ceti borghesi italiani era ed è ancora oggi, evidente. Non propongo certo una visione romantica o aristocratica esaltante la cultura contadina, ma essendo uno dei pochi che la conoscono e riconoscono come propria unica cultura, la pongo so7o la luce che ritengo giusta. Sarebbe troppo lungo, nonché inutile oggigiorno, entrare nel merito del “metodo marxista” che fra gli anni 50 e 60 ha causato il “cataclisma antropologico” nel nostro paese, cioè la morte delle radici culturali della nazione, delle quali erano soli custodi i contadini. Troppi archeologi, antropologi e sociologi italiani della mia generazione e anche più anziani, ma non pochi anche più giovani, vorrebbero di-
15
Modello tridimensionale del Casentino eseguito nel 1974 per lo studio della viabilità nella valle secondo il metodo MuratoriCaniggia. So3o, aratro del viterbese disegnato nel 1976. Uno strumento analogo a quello degli antichi romani.
50 cm
Nel 1972, All’ombra di una querce assieme ad Alfredo Cellini sulla strada di Sangodenzo. Cellini fu uno dei più grandi costru3ori di tregge e civee della Montagna Fiorentina, la sua opera è stata immortalata da numerose foto e disegni. Foto Silvano Guerrini.
16
Le Culture i Luoghi i Momenti menticare o far scomparire le stupidaggini che hanno scri7o e pubblicato durante gli anni 60 e 70. Sono questi i preziosi “documenti” illustranti un periodo storico che vide in Italia una forma di imbarbarimento politico colle7ivo. Un altro contributo alla conoscenza dello sviluppo della cultura, fru7o del metodo di analisi acquisito mediante la mia immersione nel modo di percepire anglosassone, è stato quello di capovolgere il modo di interpretarne l’evoluzione dell’ambiente “umanizzato” e in particolar modo per quanto concerne la viabilità e l’insediamento in Italia e in Etruria in particolare. Fino agli anni ’70 - ed in casi limite ancora oggi- si è ritenuto che i movimenti dei popoli e quindi le prime vie di comunicazione, si svolgessero lungo le valli dei fiumi e dei torrenti, mentre invece tali comunicazioni si articolavano o per via d’acqua lungo i fiumi maggiori o altrimenti lungo crinali e gli spartiacque. Questo errore di metodo ha impedito a chi lo ha ado7ato la possibilità di comprendere le vicissitudini etniche e culturali che hanno forgiato il paesaggio toscano e non solo quello. Persino alcuni studiosi stranieri che allora si occuparono della storia dell’insediamento in Etruria si fecero influenzare da questa visione “agorafobica” del divenire del paesaggio. Mi riferisco ad una visione scolastica e stereotipa, tipica del sedentario, ossia di chi non cammina e non ha dimestichezza col mondo rurale ed ha quindi una immagine irreale o fiabesca sia dell’ambiente naturale, sia dell’ambiente antropizzato. La ricerca condo7a al centro della vallata casentinese verso la fine degli anni 70 da uno studioso straniero che non nomino poiché negli anni successivi si è ampiamente risca7ato, non portò ad alcun risultato nuovo nella conoscenza del territorio e delle vicende relative alla storia dell’insediamento in Casentino. Fino dalla loro uscita dall’Africa, i nostri antenati hanno goduto di una abilità istintiva di muoversi sul territorio in maniera sicura e razionale. Questo fa7o è ormai confermato dal rilevamento delle dire7rici di diffusione dell’umanità sul pianeta e da recenti studi etologici riguardanti il comportamento animale e quindi umano. Ciò significa che il modo in cui l’uomo delle epoche preistorica e protostorica si muove e si insedia è conoscibile o, se si preferisce, ricostruibile. E’quindi possibile l’elaborazione di un modello per ogni area geografica, da questo
Sopra, capanne rurali del Casentino. In alto a sinistra il “pulaiolo”, a destra la tipica capanna di Calleta. In basso a sinistra, la “california” di Poppi, a destra capanna fienile a due livelli, di Calleta. Questa ricerca fu pubblicata su “Ethnologia Europaea” nel 1980 in un saggio che tracciava le linee metodologiche di nuovo tipo di annalisi antropologica.
Il Podere “Il Verone”, a Candeli, Firenze, fu il modello per uno studio sulla cultura materiale del mondo della “mezzadria” che rimane l’unico nel suo genere negli studi antropologici. A destra, la pianta dello stesso podere mezzadrile che mostra la stru3ura dell’agricoltura “promiscua”.
modello teorico deriveranno indicazioni su dove dovrebbero trovarsi insediamenti e dire7rici di comunicazione. Esplorando quindi l’area con questo modello alla mano, il ricercatore giunge infine ad una plausibile ricostruzione della situazione reale. Occorre puntualizzare che i fa7i di qualsiasi epoca non sono ricostruibili, come dicono gli storiografi seri “il passato non c’è più e non è recuperabile”, si può solo ricostruire quel passato di cui noi siamo fa7i, vale a dire il passato culturale e genetico. L’evoluzione fisica è ricostruibile mediante lo studio biologico o genetico, quella culturale mediante lo studio dell’evoluzione culturale che avviene per stadi conoscibili. Come ho de7o altrove, i reperti archeologici più importanti siamo noi stessi. Lo scavo archeologico è importante, ma può fornire solo elementi di verifica, poiché ciò che consente una qualsiasi ricostruzione del passato non possono essere solo scarsi elementi accidentalmente conservati e parzialmente recuperati. Occorre anzitu7o l’osservazione di ciò che non è un residuo accidentale, ma il risultato nella sua totalità cioè gli effe7i di cause passate nella loro interezza. Perché la gente dovrebbe interessarsi al passato? Perché il passato, anche se non conoscibile, è ciò di cui noi tu7i siamo fa7i.
17
Distribuzione dei tipi di capanna rurale in Toscana e in Umbria. Una tavola del saggio metodologico pubblicato su “Ethnologia Europaea”, nel 1980 e quindi in Italia su “Mondo Archeologico”.
La casa del podere “il Verone”di Candeli.