L'epopea del design Made in Italy

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POLITECNICO DI TORINO

Dipartimento di Architettura e Design Corso in Design e Comunicazione Visiva Indirizzo Prodotto Tesi di Laurea Triennale:

L’EPOPEA DEL DESIGN MADE IN ITALY Contenuti, strategie d’immagine e di mercato dal dopoguerra a oggi Relatrice:

ELENA DELLAPIANA Candidata:

GIULIA CASTELLI Stampato nel settembre 2018


L’epopea del design Made in Italy

Contentuti, strategie d’immagine e di mercato dal dopoguerra a oggi

Giulia Cas lli



Sommario 8

Introduzione

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Made in Italy

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Contesto storico

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Nascita e sviluppo delle piccole e medie imprese

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Collaborazione tra architetti e designer

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Nuove dinamiche di consumo

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Made in Italy e globalizzazione

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Diffusione del progetto italiano all’estero

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Mostra Campionaria Itinerante

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Handicraft as a Fine Art in Italy

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Twentieth-Century Italian Art

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Italy at Work: Her Renaissance in Design Today

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Le mostre della rivista Dumus

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Italy: The New Domestic Landscape

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Approfondimento: Firma Italia

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Mostre sulla storia e sulla cultura italiana

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Anni 2000: ICE e le mostre itineranti italiane

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Prospettive future


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Azioni istituzionali

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ICE

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MAECI - Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale

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MiSE - Ministero dello Sviluppo Economico

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SACE

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Simest S.p.a

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Ceipiemonte S.c.p.A

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Geografia del Made in Italy

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Distretti industriali

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Distretti industriali e distretti tecnologici: definizione e confronto

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Cluster Tecnologici Nazionali

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Cluster Tecnologico Nazionale Made in Italy

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Industrie Culturali e Creative

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Clust-ER Industrie Culturali e Creative Emilia Romagna

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Conclusioni

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Bibliografia

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Sitografia

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Videografia

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Referenze fotografiche

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Ringraziamenti



Introduzione Questa tesi ha lo scopo di indagare e ricostruire il processo evolutivo che ha caratterizzato le modalità di promozione del Design Made in Italy dai primi del Novecento ad oggi. In primo luogo occorre definire il concetto di Made in Italy, quali valori evoca e quali sono i suoi elementi di eccellenza. Esso viene inserito nel suo contesto storico per comprendere meglio il processo che ha consentito il suo sviluppo e affermazione, andando ad analizzare il tessuto industriale da cui ha avuto origine: le piccole e medie imprese. In seguito si cercherà di approfondire il tema della promozione del prodotto italiano all’estero, in particolar modo il design, attraverso le più note mostre ed esposizioni interna-

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zionali, passate e future. Particolare attenzione verrà data al ruolo dello Stato. Si parlerà di enti pubblici e di enti privati grazie ai quali una azienda può chiedere aiuto per permettersi una presenza internazionale. Verrà messa in evidenza la mancanza di una politica nazionale unitaria nel confronti del Made in Italy, con a capo una singola istituzione che se ne occupi. Di contro verranno approfonditi i cluster, gruppi di operatori misti a sostegno del Made in Italy nascenti nelle Regioni italiane. Partendo dai distretti industriali, dalla loro evoluzione in distretti/cluster tecnologici, divisi nei 12 Cluster Tecnologici Nazionali da parte del MIUR, si approfondirà quello del


Design, Creatività e Made in Italy. Si analizzerà la bozza del suo Piano Strategico triennale presentato quest’anno (2018), soffermandosi sulla sua complessità e sulla difficoltà nel trovare un linguaggio comune per l’Europa e per l’Italia riguardo a questi temi.

la mancanza di un’istituzione pubblica che si occupi di promuovere e finanziare il design italiano, mettendo a confronto il nostro caso con quello francese e olandese.

Il cluster più vicino al tema della del design oggi è quello delle Industrie Culturali e Creative (ICC), un fenomeno recente che nel corso del tempo è diventato sempre più importate dal punto di vista economico sia in Europa che in Italia. Nello specifico vedrà preso come esempio il caso di un cluster regionale italiano nato in Emilia Romagna nel 2017, Clust-ER Industrie Culturali e Creative. In conclusione si cercherà di capire verso quale direzione si sta muovendo il design italiano e quale sia la figura del designer oggi, caratterizzato da molteplici sfaccettature. Si riprenderà il problema del-

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Made in Italy Alta qualità, artigianalità, cura nei dettagli, creatività, eccellenza, innovazione, tradizione. Quando si prova a definire il Made in Italy ci si rende conto che, pur essendo intuitivamente chiaro, è molto difficile darne una definizione univoca. L’unico elemento comune è d’idea di un prodotto simbolo delle qualità artistiche, manifatturiere, enogastronomiche e culturali dell’Italia riconosciute e apprezzate a livello mondiale. Letteralmente il termine indica l’insieme delle merci il cui processo produttivo viene svolto principalmente in Italia, ma in realtà molti prodotti possono portare questa denominazione anche quando sono quasi interamente realizzati all’estero. Infatti, secondo l’articolo 24 del Codice Doganale Europeo

(Reg. CEE 2913/1992) un prodotto che è stato realizzato in due o più paesi è considerato originario del paese in cui la trasformazione finale o lavoro sostanziale ha avuto luogo1. Oggi, però, conta più il contesto e l’identità di un paese rispetto al prodotto, il cosiddetto country effect. Secondo i sociologi Bucci, Codeluppi e Ferraresi, il Made in è costituito dall’effetto sull’immagine che un prodotto o una marca possono ricevere dal fatto di essere prodotti in un certo luogo. In Italia, le merci che beneficiano in misura maggiore del country effect sono quelle che vengono definite come le “quattro A” del Made in Italy2: Abbigliamento-Moda, Arredo-Casa, Automazione-Meccanica e comparto Alimentare.

A. Bucci, V. Codeluppi, M. Ferraresi, Il Made in Italy, Roma, Carocci, 2011. M. Fortis, Le due sfide del Made in Italy: globalizzazione e innovazione. Profili di analisi della Seconda Conferenza Nazionale sul commercio con l’estero, Bologna, Il Mulino, 2005. 1

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A queste quattro eccellenze se ne aggiungono altre sei, grazie al progetto L’Italia in 10 selfie realizzato da Assocamerestero e Fondazione Symbola nel 2017. Questo progetto illustra i talenti del sistema produttivo italiano sui mercati mondiali: competitività nell’uso delle risorse, farmaceutica, design, agroalimentare, moda, cultura e legno per l’arredo3. Questi talenti sono stati definiti selfie per renderli comprensibili e farli conoscere dato che molti di questi sono ignorati sia in Italia che all’estero. Come si è potuto notare, il punto di forza del Made in Italy è la varietà e l’eterogenei-

tà di settori coinvolti, orientati verso attività tradizionali manifatturiere che differenziano l’Italia dagli altri Paesi, grazie alla presenza di piccole e medie imprese e distretti industriali che nel corso degli anni hanno saputo evolvere in chiave industriale andando a costituire il fulcro del Made in Italy. Per comprendere meglio il processo che ha consentito lo sviluppo e l’affermazione del Made in Italy, da questo punto in avanti andrò ad analizzare lo sviluppo e la costituzione del tessuto industriale da cui ha avuto origine.

Per dettagli si veda: Assocamerestero, Fondazione Symbola, L’Italia in 10 selfie, in symbola.net (Internet), http://www.symbola.net/assets/files/Symbola_10selfie2017_ONLINE_DEF_170117_1484816663.pdf 3

1. Prodotti nei quali l’Italia detiene le prime posizioni al mondo per surplus commerciale, 2014 (Indice Fortis-Corradini, Fondazione Edison©).

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Contesto storico

Il Made in Italy nasce in un contesto costituito da imprese di piccole e medie dimensioni nel corso dei decenni si sono evolute e adattate per operare in un mercato soggetto a rapidi cambiamenti.

Nascita e sviluppo delle piccole e medie imprese

Dopo l’Unificazione, l’Italia ebbe una crescita dal punto di vista industriale e produttivo grazie allo sviluppo, da un lato, della grande e media industria con l’impiego di nuove fonti energetiche, macchinari all’avanguardia e di una moderna strutturazione e divisione del lavoro, dall’altro, di piccole e medie imprese raggruppate in

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distretti4. Quest’ultime sono imprese e laboratori a conduzione familiare specializzate in una determinata tipologia di produzione e concentrate su base locale. La loro attività manifatturiera si basa su abilità manuali e artigianali, flessibilità nelle lavorazioni e la trasmissione delle conoscenze. Questo tessuto di piccole imprese trae le proprie origini dalle attività artigianali svolte a livello locale che col tempo si trasformarono e svilupparono in forme di impresa allargando la loro produzione, ma lasciando inalterata la loro attenzione per la qualità dei prodotti, delle lavorazioni e delle materie prime. Nel processo verso l’industria-

F. Bulegato, E. Dellapiana, Il design degli architetti italiani 1920-2000, Milano, Electaarchitettura, 2014, p. 33. 2. Ceramisti al lavoro, Stabilimento Lago, anni ‘30.

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lizzazione i distretti iniziarono prenditori iniziarono a collaad adottare criteri di divisio- borare con artisti e architetti ne del lavoro, nuovi canali di per realizzare pezzi unici per i vendita come negozi e grandi progetti di arredo. Tra le collamagazzini; per la commercializ- borazioni più famose abbiamo zazione manifesti pubblicitari quella fra Richard-Ginori e Gio e cataloghi di vendita e per la Ponti (1923-38), fra la Società loro promozione iniziarono a Ceramica Italiana di Laveno partecipare a esposizioni loca- (Sci) e Giudo Andlovitz (1923li e internazionali, di cui par- 61) e fra la Vetreria Venini di lerò in modo approfondito nel Murano e Carlo Scarpa (1932prossimo paragrafo. 47)6. Dal punto di vista del progetto, queste piccole e medie imprese sono avviate e seguite dall’imprenditore, di frequente ingegnere, tecnico industriale o, in alcuni casi, autodidatta. L’azienda prende avvio dalla capacità del proprietario di conciliare gli aspetti relativi al prodotto – in primis le innovazioni tecniche – con la struttura manifatturiera e manageriale necessaria a renderlo concreto5. Per conciliare la necessità di un linguaggio moderno che risponda alle richieste commerciali del pubblico, gli im-

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Collaborazione con architetti e designer

Dopo il secondo conflitto mondiale, l’economia italiana ebbe una grande fase di espansione data sia dalle possibilità di esportazione seguita all’adesione alla Comunità economica europea (CEE) nel 1957 e sia dagli aiuti provenienti dal Piano Marshall. Lo sviluppo della grande impresa e delle piccole e medie imprese procedette quasi di pari passo fino agli anni ’70, periodo in cui l’economia fu attraversa da grandi cambiamenti come lo shock dei petroliferi, rivendicazioni salariali e aumenti dei costi

A. Bassi, Design. Progettare gli oggetti quotidiani, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 76. F. Bulegato, E. Dellapiana, op. cit., p. 37.


3. Carlo Scarpa (a destra) con il vetraio Arturo Biasutto nello stabilimento di Venini, Murano, 1943.

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produttivi7. Mentre le grandi imprese arrancavano, le piccole e medie imprese continuarono a registrare performance positive poiché godevano di alcuni vantaggi rispetto alle grandi imprese. Le loro dimensioni contenute permettevano di avere una manodopera a basso costo perché, in molti casi, a lavorare era la famiglia dell’imprenditore; gli investimenti erano modesti dato che la maggior parte delle produzioni mantenevano il loro carattere artigianale senza l’investimento di macchinari costosi; importante anche è il loro legame tra il sistema di imprese e il territorio in cui esse operano8 e infine il rapporto con gli architetti – designer che continuano a operare per queste aziende per ovviare alle carenze per affrontare cambiamenti come l’aggiornamento tecnologico e produttivo e l’utilizzo di nuovi materiali.

4. Ritratto di Gio Ponti in fronte alle decorazioni ceramiche Richard Ginori da lui realizzate per un bar, presentato su “Domus” nel 1931.

F. Cappelli, Made in Italy: dalle origini alle nuove sfide, Tesi di laurea, Facoltà di Economia Luiss, 2014-2015, p. 15. 8 Ivi, pp. 16-23. 7

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Nuove dinamiche di consumo

La fortuna di cui i distretti industriali hanno goduto durante gli anni Settanta non è dovuta soltanto dalle loro caratteristiche intrinseche, ma anche dal cambiamento nelle dinamiche di consumo. Con l’aumento dei redditi e l’affermarsi di un benessere diffuso, i consumatori hanno cominciato ad avvertire nuovi tipi di bisogno, come la tendenza a cercare prodotti di qualità più elevata e personalizzati. Le imprese distrettuali italiane si ritrovarono così avvantaggiate rispetto alle altre, poiché già offrivano prodotti che rispondevano a quei bisogni nuovi e furono più pronte a inserirsi in questa nuova nicchia di consumo, dove riuscirono a conquistarsi una posizione di leadership non risentendo della concorrenza dei prodotti a basso costo9. Grazie a questi cambiamenti, le imprese manifatturiere italiane, riuscirono a inserirsi nelle dinamiche dei mercati mondiali sfruttando

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i loro naturali punti di forza: la qualità dei loro prodotti e l’attenzione verso il cliente. In questo contesto il termine Made in Italy diventò sinonimo della qualità, dell’artigianalità e della ricercatezza del prodotto italiano e questo ha permesso ai distretti italiani di affacciarsi sullo scenario mondiale e di costruirsi una posizione tale da permettere loro di registrare performance positive sino alla fine degli anni Novanta.

Made in Italy e globalizzazione

Durante la Prima Conferenza Nazionale sul Commercio con l’Estero del 1992 il Made in Italy divenne ufficialmente argomento di discussione a livello istituzionale. L’intento era quello di delineare la posizione dell’industria italiana nel mondo, capire quale fosse la percezione dei consumatori internazionali e delineare una politica ad hoc volta al suo mantenimento e rafforzamento10. Le soluzioni proposte, tut-

Ivi, p. 25. Ivi, p. 31.

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tavia, non ebbero vita lunga in quanto si stava rinforzando il fenomeno della globalizzazione dei mercati sia nel contesto italiano che globale. Questo portò a una serie di cambiamenti che modificarono in maniera irreversibile il sistema economico e competitivo, come la delocalizzazione delle produzioni in paesi con basso costo di lavoro, l’introduzione di nuove tecnologie e di nuove vie di comunicazione, l’abbassamento dei dazi doganali e l’entrata di nuove nazioni emergenti (Brasile, India, Russia e Cina) che si sono affermate a livello mondiale per i loro prodotti a basso costo. Un altro fattore determinante fu, nel 1994-95, la nascita della World Trade Organization (WTO), organismo che favorì l’integrazione commerciale, favorendo l’abolizione di molti dazi doganali e la stipulazione di accordi commerciali tra i paesi aderenti11.

in Italy e i prodotti a esso collegati sono riusciti a crescere e a mantenere le proprie quote di mercato. Le imprese hanno iniziato a tenere in considerazione gli aspetti legati all’effetto Made in a cui i consumatori abbienti sembrano dare maggior peso e, rispetto agli anni del boom economico dove la produzione era basata su prodotti di massa a basso costo ma di qualità, hanno spostato il loro focus sul mercato di nicchia fatto di prodotti differenti tra loro, raffinati, ricercati e di alta qualità.

Nonostante le conseguenze della globalizzazione, il Made

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Oggi a questo organismo aderiscono 157 paesi. 5. Lavorazione metalli per gioielli, Gioielleria Cervelli, Roma.

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Diffusione del progetto italiano all’estero

Come già detto nel capitolo precedente, le aziende per promuovere i propri prodotti, in Italia e all’estero, iniziarono a partecipare a numerose mostre ed esposizioni, soprattutto negli Stati Uniti grazie a un’intensa attività di scambio e al forte interesse da parte dei consumatori americani e delle istituzioni museali del prodotto italiano dopo il primo conflitto mondiale. Ho deciso così di indagare su alcune mostre ed esposizioni chiave, della loro evoluzione e prospettive future sulla promozione del Made in Italy.

6. Catalogo mostra 1950-2000 Theater of Italian Creativity, 2003.

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MOSTRA CAMPIONARIA ITINERANTE La diffusione del progetto italiano all’estero si avviò durante gli anni ’20 del XX secolo con la Mostra Campionaria Itinerante del 1924. In quel periodo il regime fascista, appena insediatosi al governo della Nazione, volle far sentire la sua presenza nei Paesi americani, per mostrare i progressi dell’industria nazionale, la rinascita dell’Italia e stabilire partnership commerciali con i mercati emergenti dell’America Latina. Sotto il patrocinio di Benito Mussolini e Gabriele D’Annunzio venne organizzata una crociera in America Latina, la Crociera della Regia Nave Italia, che partì il 18 febbraio 1924 da La Spezia per un viaggio di otto mesi in dodici paesi latino – americani. La nave accolse al suo interno una mostra di prodotti dell’industria, dell’arte e dell’artigianato italiano, una prima esposizione

del Made in Italy che mostrava la modernità e l’inventiva dei produttori italiani. Alcuni dei prodotti delle industrie italiane più rappresentative furono le armi da fuoco Beretta, la Società anonima FIAT, la Bitter di Campari Davide e Co., le ceramiche della Società Richard Ginori, il cioccolato La Perugina, il Fernet della Società Fratelli Branca, i filati della Società Generale Italiana della Viscosa, le macchine da scrivere Olivetti, le maioliche artistiche Giuseppe Cantagallo, i prodotti farmaceutici Carlo Erba, i siluri del Siluruficio italiano, i telefoni della S.I.T.I., i tessuti artistici della Società anonima Mariano Fortuny, il torrone Sperlari e Stefano Pernigotti, i vetri artistici Cappelin Venini e della Cristalleria Murano. Inoltre la nave trasportava 500 dipinti e sculture di artisti delle scuole regionali artistiche italiane12.

C. Tassini, Regia Nave Italia. Tra ideali di patriottismo e creazioni di nuovi mercati, in InStoria (rivista online) http://www.instoria.it/home/crociera_regia_nave_italia.htm 12

7. Cartolina commemorativa della “Crociera italiana nell’America Latina” spedita da Talcahuano (Cile) il 19 giugno 1924, realizzata da Marcello Dudovich.

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HANDICRAFT AS A FINE ART IN ITALY Dopo il secondo conflitto mondiale, l’Italia oriento la sua produzione verso prodotti per l’esportazione attraendo paesi con una forte economia, come gli Stati Uniti da cui arrivava una grande richiesta di prodotti ceramici. In questo le piccole e medie imprese erano aiutate da enti pubblici e privati dedicati alla promozione dei settori artigianali italiani, come l’organizzazione Artigianato Produzione Esportazione Milano, l’Ente Nazionale per l’Artigianato e le Piccole Industrie e l’Istituto Nazionale per il Commercio Estero13. Un personaggio importante che in quegli anni si occupò del recupero delle industrie artigianali italiane fu il teorico politico Max Ascoli. Per rilanciare l’economia italiana, rimborsare gli Stati Uniti dei sui prestiti e stimolare il consumo in entrambi i paesi nel lungo

periodo, Ascoli fondò due associazioni senza scopo di lucro, l’Handicraft Development Inc. (HDI) a New York e il Comitato Assistenza distribuzione Materiali Artigianato (CADMA) controparte italiana dell’HDI. Entrambe le fondazioni aiutavano gli artigiani nel recupero di materiali per il lavoro e allo stesso tempo influenzavano le loro produzioni a seconda delle richieste del pubblico americano. Per facilitare la conoscenza dei prodotti italiani nei confronti dei consumatori americani, nel 1947 Ascoli decise di aprire un centro espositivo permanente a New York, House of Italian Handicraft (HIH). Nello stesso anno insieme a Carlo Ludovico Ragghianti, presidente della fondazione CADMA, organizzò una mostra intitolata Handicraft as a Fine Art in Italy, il cui obiettivo era quello di “perfezionare la qualità dell’artigianato italiano attraverso la collaborazione tra artisti e artigiani”14. Ragghianti descrisse la mostra

G. Lees-Maffei, K. Fallan, Made in Italy: Rethinking a Century of Italian Design, Londra, Bloomsbury Academic, 2014. 14 B. Munari, C.L. Ragghianti, Preface a Handicraft as a Fine Art in Italy, New York, Handicraft Development, 1948. 13

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come “parte di un più ampio piano di azione dedicato alla rinascita e allo sviluppo dell’artigianato italiano e [...] all’armonizzazione della produzione artigianale italiana con requisiti stranieri e soprattutto americani”. L’esposizione includeva ceramiche, mobili, argenteria e tessuti disegnati da artisti come Renato Guttuso, Fontana, Melotti, Giorgio Morandi e una scultura astratta dell’architetto Sottsass.

nazione europea e fu un’occasione per il pubblico americano per ammirare un vasto numero di opere di artisti italiani contemporanei dal futurismo all’astrazione del dopoguerra, accompagnata da un catalogo di 144 pagine. Fu presentata come la dimostrazione del “nuovo rinascimento italiano” nell’arte, nell’artigianato e nel design e nella cultura dopo la caduta di Mussolini nel 194515.

TWENTIETH-CENTURY ITALIAN ART Nel 1949, il MoMA promosse la mostra Twentieth-Century Italian Art a cura di James Thrall Soby e Alfred H. Barr Jr. in collaborazione con i nuovi funzionari italiani, pubblicizzata come prima indagine sull’arte italiana moderna negli Stati Uniti. Dopo la seconda guerra mondiale, fu la prima mostra a concentrarsi su una singola

8. Visitatori non identificati alla mostra Twentieth-Century Italian Art.

R. Bedarida, Operation Renaissance: Italian Art at MoMA, 1940-1949, articolo in Oxford Art Journal, giugno 2012, pp. 147-169. 15

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ITALY AT WORK: HER RENAISSANCE IN DESIGN TODAY Progettata per attraversare gli Stati Uniti dal 1950 al 1953 facendo tappa in dodici città statunitensi, Italy at Work: Her Renaissance in Design Today fu una mostra itinerante che rientrava nel programma di sostegno economico degli Stati Uniti all’Italia previsto dal Piano Marshall, finalizzata e promossa dalle istituzioni culturali statunitensi, la fondazione HDI di Ascoli e il governo italiano e statunitense. Dal titolo, l’esposizione mirava a mostrare la ripresa della produzione italiana in seguito agli anni della dittatura e della guerra, un paese e una cultura che apparivano ancora in contatto con la tradizione rurale e artigianale, il lavoro manuale, l’utilizzo di materiali locali e la produzione su piccola scala familiare e regionale. Italy at Work fu tanto una fiera commerciale quanto un even-

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to culturale per stimolare l’interesse dei consumatori statunitensi, rinsaldare le relazioni commerciali e allo stesso tempo aiutare l’economia italiana e americana. Il curatore della mostra fu Meyric Reynold Rogers, responsabile delle arti decorative all’Art Institute of Chicago, che già all’inizio del 1949 era interessato ad allestire una mostra sul design e l’artigianato italiano. La sua idea incontrò immediatamente l’incoraggiamento del governo italiano e si recò in Italia per un’indagine. Visitò studi, fabbriche, scuole e negozi a Roma, Napoli, Firenze, Bologna, Milano, Bergamo, Venezia, Murano e Faenza ed entrò in contatto con importanti architetti e designer italiani. Per la mostra selezionò circa 2.500 oggetti che divise in dieci categorie: Mobili, Ceramiche, Vetri, Metalli, gioielli e accessori, Tessuti e ricami, Paglia e giocattoli e Design industriale. La categoria più grande fu quella delle Ceramiche dato


9. Copertina del catalogo della mostra Italy at Work: her Renaissance in Design Today.

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che era un prodotto apprezzato particolarmente dai consumatori americani e comprendeva sculture da tavolo, oggetti religiosi e dell’iconografia italiana, piastrelle e stoviglie. La piÚ piccola fu quella del Metalli, gioielli e accessori dato che la produzione di oggetti di lusso era ostacolata dalle condizione economiche italiane del dopoguerra. I designer italiani non avendo a disposizione materiali pregiati, fecero uso fantasioso di ma-

teriali disponibili come ottone, rame, smalto e pietre semipreziose per realizzare oggetti di alta qualitĂ . Vi era inoltre un piccolo gruppo di oggetti industriali a rappresentare il futuro del design italiano con la Lambretta, la Vespa, le macchine da scrivere Olivetti e la Caffettiera Atomic. Oltre alle dieci categorie di oggetti, Italy at Work ha presentato cinque progetti di interni: il Marionette Theater Foyer di Fabrizio Clerici, la Terrace Room di Lui-

10. Ingresso Italy at Work: Her Renaissance in Design Today, Brooklyn Museum, 1950.

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gi Cosenza, la Private Chapel di Roberto Menghi, il Living-Dining Room di Carlo Mollino e la Dining Room di Gio Ponti. In questi tre anni, la molte riviste americane come il New York Times, Interiors e House and Garden hanno scritto e pubblicizzato più volte sulla mostra e sui designer italiani e gli organizzatori dell’esposizione crearono collaborazioni con i grandi magazzini per rendere disponibili all’acquisto riproduzioni degli oggetti espostiti. Nel 1951 il grande magazzino Macy’s organizzò una grande vendita di prodotti italiani nella sede di New York intitolata “Italy in Macy’s, U.S.A.”, con un allestimento che scandalizzò gli intellettuali ma entusiasmò il pubblico: prodotti italiani di ogni genere collocati intorno a una vera gondola e una replica della Basilica di San Pietro del peso di sei tonnellate. Bonniers, una società europea di importazione di design, nell’ottobre del 1952 ha tenuto

un’esposizione sull’artigianato italiano nel suo showroom di New York. Sempre nel 1952, il produttore americano di mobili Singer & Sons ha invitato quattro italiani designer - Gio Ponti, Carlo di Carli, Carlo Mollino e Ico Parisi - per sviluppare una nuova linea di complementi d’arredo per consumatori americani16.

11. New York Times Abraham & Straus advertisement, December 1, 1950.

W. J. Carpenter, Designing Freedom and Prosperity: The Emergence of Italian Design in Postwar America, Tesi di Laurea Magistrale, Parsons The New School For Design, 2006, https://repository.si.edu/handle/10088/8788 16

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LE MOSTRE DELLA RIVISTA DOMUS Anche la rivista Domus ha avuto una grande importanza nella promozione del design italiano, organizzando una serie di mostre dal titolo Eurodomus, mostra internazionale della casa moderna ispirata alla rivista Domus, curate da Gio Ponti, Giorgio Casati e Emanuele Ponzio. Queste rassegne erano progettate per attirare il pubblico estero ma anche quello italiano, infatti la prima mostra fu organizzata a Genova nel 1966 a cui seguì quella di Torino nel 1968 dove, per entrambe, erano messi a confronto oggetti d’arte e di artigianato con le più avanzate ricerche sulle applicazioni dei nuovi materiali. All’estero fu organizzata a Parigi nel 1967 alle Galeries Lafayette con l’esposizione Presénce d’Italie al cui interno trovava posto la sezione Domus Formes Italiennes dove visitatori erano accolti da una

pedana che presenta Les trois expressions, vale a dire i temi della mostra: la produzione in serie – rappresentata dalla Superleggera bicolore di Ponti e dalla Four-line di Zanuso – la produzione artigianale di serie – incarnata dalle ciotole e dai piatti delle Ceramiche Melotti – e i pezzi unici – figure e piastre in ceramica di Melotti e vasi di Zauli17. Episodi simili seguirono a Zurigo e a Rotterdam, rispettivamente nel 1969 e nel 1970, con la mostra analoga Domus design con la quale si intendeva presentare all’estero gli esempi del design italiano più attuale, nei vari settori industriali, che toccavano tanto l’universo domestico, con elettrodomestici, mobili, complementi e accessori, comprese piastrelle e tendaggi, quanto quello dell’ufficio, oltre che il mondo dei trasporti, con le vetture concepite dal Centro Stile Fiat, o dall’industria automobilistica Bertone18.

E. Dellapiana, Dalla “Casa all’Italiana” all’Italian Style – La costruzione del Made in Italy, saggio in Ceramica ed arti decorative del Novecento. vol. 2, 2017, p. 71. 18 S. Scopelliti, Il design degli anni Sessanta e Settanta : un nuovo modo di intendere l’utenza, tra progetti di utopia radicale e impegno sociale, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, 2011-2012, http://dspace. unive.it/bitstream/handle/10579/1711/825991-126302.pdf?sequence=2 17

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12. Cartellone pubblicitario Eurodomus Genova 1966.

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ITALY: THE NEW DOMESTIC LANDSCAPE Nel 1972 fu presentata al MoMA la mostra Italy: The New Domestic Landscape che, oltre a risultare una nuova occasione di promozione del prodotto italiano all’estero, ha rappresentato i nuovi fermenti ideali in campo progettuale che risentivano molto dell’inquieto clima politico e sociale che si stava vivendo in Italia. Infatti, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, in Italia il design non era più visto solo come un prodotto di produzione ma anche come uno strumento di critica alla società, un fatto nuovo per i consumatori americani che consideravano il design solo sotto il profilo della produzione industriale. Il catalogo fu realizzato in Italia prima della mostra e all’interno si possono trovare fotografie, saggi e i nomi degli sponsor industriali tra cui Abet Laminati, Alitalia, Fiat, Olivetti

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e Kartell. La mostra fu curata da Emilio Ambasz, in quegli anni curatore del design al MoMA, che mise insieme i maestri del design italiano con le nuove generazioni (movimenti radical e di avanguardia) e le voci positive con le voci critiche della cultura progettuale italiana, illustrando gli atteggiamenti del design italiano degli ultimi dieci anni: conformista, riformista e contestatario. I designer conformisti, proprio dal

13. Copertina catalogo mostra Italy: The New Domestic Landscape.


loro nome, si conformavano ai cambiamenti, presentando soluzioni funzionali che rispondevano alle esigenze della vita domestica tradizionale; i riformisti riprogettavano oggetti conosciuti con nuovi riferimenti socio-culturali ed estetici in modo ironico, mentre i contestatari ritenevano che un oggetto non potesse essere visto solo come un’entità isolata, ma che dovesse essere flessibile in funzione e avere a disposizione diverse modalità d’uso. La mostra si divideva in oggetti e ambienti. Gli oggetti erano esposti nella parte esterna del museo all’interno di 60 container di legno grezzo alti sei metri con una parte vetrata alla base che permetteva di vedere gli oggetti al loro interno. In totale vi erano 160 oggetti tutti realizzati durante gli anni ‘50 e ‘60 che erano stati divisi in tre categorie: formali e tecnici (Plia, Blow, Eclisse, Arco, Radio Brionvega, Grillo, Valentine,...), radical (Sassi, Up 5, Pratone,

Cactus, Capitello, Mezzadro, Toio, Tappeti Natura, Divano Safari,...) e flessibili all’uso (Poltrona Sacco, Superonda, Abitacolo,...). I 12 ambienti, posti all’interno del museo, furono affidati da Ambasz a 12 progettisti: Ettore Sottsass, Joe Colombo, Gae Aulenti, Mario Bellini, Alberto Rosselli, Studio Zanuso e Sapper, Gaetano Pesce, Ugo La Pietra, Gruppo Strum, Archizoom, Superstudio e Gruppo 9999. Un’ampia sezione era dedicata al Radical – rappresentata da Gaetano Pesce, Ugo La Pietra, Archizoom e Superstudio – con provocatorie installazioni sulle problematiche dell’abitare. I progettisti più affermati invece proponevano soluzioni per l’abitare con utopici abitacoli industriali. Come gli oggetti, anche gli ambienti erano divisi in tre categorie: design come postulazione, design come commento e controtendenza come postulazione.

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14. Gruppo Strum, Pratone, 1971.

15. PubblicitĂ Poltrona Blow, 1970.

16. Gaetano Pesce, Poltrona Up 5, 1969.

17. Archizoom, Superonda, 1966.


18. Joe Colombo, Total Furniture, 1972.

19. Ugo La Pietra, Cicerone elettronico, 1972.

20. Ettore Sottsass, Living Container, 1972.

21. Superstudio, Microevent-Microenvironment, 1972.

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APPROFONDIMENTO FIRMA ITALIA Nel 1977 fu esposta al Museo di Arte Moderna di Rio de Janeiro Firma Italia - Arte, cinema, grafica, pubblicità e televisione nella comunicazione industriale italiana dedicata alle grandi industrie italiane di quegli anni19 presentate attraverso messaggi grafici, fotografici e cinematografici. La mostra intendeva esprimere l’importanza dell’interconnessione tra industria e gli artisti della moderna comunicazione visiva. Alla fine del XIX secolo poche erano le aziende italiane che chiedevano aiuto ad artisti e designer nella realizzazione di pubblicità o della loro immagine coordinata (come ad esempio Dudovich e Cappiello), ma dalla fine del secondo conflitto mondiale queste richieste diventarono costanti e molte aziende iniziarono a chiamare artisti di grande importanza.

Secondo Gillo Dorfles, curatore della mostra, in Firma Italia “possiamo vedere che è proprio l'attività para-artistica richiesta dalla pubblicità, dai mass media e dall'industria, a favorire la creazione di opere che altrimenti non sarebbero mai state idealizzate”. In mostra sono stati presentati libri, opuscoli, lettering, brochure, stampati, marchi, campagne pubblicitarie, opere plastiche che possono essere divisi in due categorie: “la prima costituita da quelle opere dove la partecipazione del designer entra nel gioco fin dall'inizio della maniera diretta; il secondo, in cui l'artista non è più utilizzato come editore, cercapersone, autore di manifesti o volantino, ma è impiegato dall'impresa, esplicitamente per le sue attività artistiche”20.

Le aziende presentate alla mostra erano: Acciaierie di Piombino, Aeritalia, Alfa Romeo, Alitalia, AMN – Impianti Termici Nucleari, Ansaldo, ATI – Linee Aeree Nazionali, CMF – Costruzioni Metalliche Finsider, Confinustria, Dalmine, Edindustria, Enel, Ferrovie dello Stato, Fiat, Fiat Settore Automobili, Fiat Settore Veicoli Industriali, Fiat Trattori, Finmeccanica, Finsider, Innocenti Sant’Eustacchio, IRI – Istituto per la Ricostruzione Industriale, Italimplianti, Italsider, Montedison, Montubi, SACIS – Rai Radio Televisione Italiana, Siderexport, Terni. 20 G. Dorfles, Firma Italia - Arte, cinema, grafica, pubblicità e televisione nella comunicazione industriale italiana, Genova, C.M.C. Genova, 1977. 19

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APPROFONDIMENTO

22. Landor Associates, Costruzione e combinazione del marchio Montedison, 1967. 23. Francesco Casorati, FIAT 600, 1955. 24. Autore sconosciuto, PubblicitĂ Alitalia, data incerta.

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MOSTRE SULLA STORIA E SULLA CULTURA ITALIANA Durante gli anni Ottanta furono realizzate esposizioni prevalentemente sull’arte e sul design italiano: Identitè Italienne. L’art en Italie depuis 1959 (1981, Centre Pompidou, Parigi), Italian Re-Evolution: Design in Italian society in the eighties (1982, Museo di Arte Contemporanea di La Jolla, California, USA), Il Modo Italiano (1984, Los Angeles Institute of Contemporary Art, Los Angeles) e Creativitalia. The Joy of Italian Design (1990, Shiodome, Tokio). Nello stesso anno di Creativitalia, venne organizzata a Torino la mostra Profilo Italia. Un certo stile Made in Italy promossa dall’Associazione Italiana Made in Italy Design Arte Creatività che si occupava di diffondere il Made in Italy in Italia e nel mondo. L’esposizione, curata da An-

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drea Branzi, intendeva evidenziare l’iter creativo e la politica imprenditoriale di operatori e di aziende che nel corso degli anni Ottanta si sono affermati in Italia e all’estero per l’immagine di marca, la qualità della forma e del contenuto, l’originalità e la genialità nelle strategie commerciali intraprese21. La mostra ha avuto un taglio diverso rispetto a quelle precedenti poiché era una meditazione sul passato ma anche su futuro del prodotto industriale italiano e fu esportata nel 1991 in Giappone, nel 1992

25. Catalogo mostra Profilo Italia.

B. Vallois, Profilo Italia. Un certo stile Made in Italy, Milano, Berenice, 1990, p. 9.


negli Stati Uniti e nel 1933 nei paesi della Comunità Europea in modo da veicolare all’estero un’immagine compatta del “fatto in Italia” e, in senso inverso, sollecitare un flusso turistico verso l’Italia focalizzato sulle eccellenze locali: non solo arte, ma anche industria (mobili d’alta gamma, oggettistica in argento, gioielli, moda, automobili, barche, biciclette e attrezzatura sportiva, complementi d’arredo, finiture, tessuti, profumi, caffè, vini, ristoranti e chef)22. Nel 1994 al Guggenheim Museum di New York si tenne la mostra itinerante The Italian Metamorphosis 1943-68 che nel 1995 si trasferì alla Triennale di Milano e al Kunstmuseum di Wolfsburg. L’esposizione che copre l’arco cronologico che va dalla caduta di Mussolini all’avvio della stagione contestataria, fu affidata a Germano Celant che non volle dare solo di una lettura informativa della storia arte e della cultura italiana in

quegli anni, ma volle anche creare delle stanze dedicate al design, all’architettura, al cinema, ai gioielli, alla moda, alla fotografia e alla letteratura tutto ciò che, secondo il curatore, serviva per far comprendere appieno la complessità della cultura italiana23.

26. Catalogo mostra The Italian Metamorphosis.

E. Dellapiana, op. cit., pp. 80-81 Trascrizione di Lezioni di arte contemporanea del 25/08/2012 - La scrittura delle mostre da Identité italienne 1981 a The Italian Metamorphosis di Germano Celant, in Rai Radio 3 (Internet), http://www.radio3.rai.it/dl/ radio3/programmi/puntata/ContentItem-e9428a51-92bf-4aa4-9626-9a789764cbca.html 22

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ANNI 2000: ICE E LE MOSTRE ITINERANTI ITALIANE Durante gli anni 2000 continuano le mostre e le esposizioni per promuovere il Made in Italy all’estero. Nel 2003 Ice-Istituto per il Commercio Estero con il suo programma Italia – Life in I Style, ha promosso una serie di mostre all’estero a sostegno del valore, della qualità e dello stile del prodotto italiano nel settore della moda, dell’abitare e del cinema: iMade – i modi del produrre, mostra itinerante sul settore dell’abitare; 1950-2000 Theater of Italian Creativity, mostra sulla moda, cinema, architettura e design industriale italiano dell’ultima parte del XX secolo; Fashion, Italian Style, mostra sul settore moda. Nel 2006, come omaggio alla storia del design italiano, il Design Museum di Gent ha realizzato la mostra Compasso d’Oro. 50 years of Italian de-

sign, una panoramica cronologica degli oggetti della collezione del Compasso d’Oro dal 1954 al 2004. L’anno seguente fu presentata alla Triennale di Milano la mostra Il paesaggio mobile del nuovo design italiano nata dal risultato del censimento The New Italian Design lanciato dalla Triennale nel 2006. “Il censimento prima e la mostra poi hanno permesso di effettuare una ricognizione sullo stato dell’arte del design attuale attraverso l’analisi del nuovo design italiano come fenomeno con caratteristiche proprie e autonome rispetto alla grande tradizione dei maestri del design italiano. Un design che si lega indissolubilmente ai cambiamenti economici, politici, tecnologici e motivazionali del nuovo secolo”24. Il nuovo design italiano messo in mostra non si limita solo più al design di prodotto ma anche alle nuove forme di comunicazione del XXI secolo (food, web, graphic, fashion,

Redazione ARCHITETTO.info, New Italian Design Il paesaggio mobile del nuovo design italiano 20 gennaio – 25 aprile 2007 Triennale di Milano, in ARCHITETTO.info (Internet), http://www.architetto.info/news/eventi-e-formazione/new-italian-design-il-paesaggio-mobile-del-nuovo-design-italiano-20-gennaio-25-aprile-2007-triennale-di-milano/ 24

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multimedia, design del gioiello,…) con oggetti che vanno dalle autoproduzioni alle produzioni seriali, da oggetti d’arte a oggetti industriali. Del 2017 è la mostra Builders of Tomorrow - Immaginare il futuro tra design e arte, realizzata al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (MIC). Una raccolta di opere di celebri artisti che intende esplorare la collaborazione tra arte e design in linea con le esigenze del nuovo millennio, sempre più orientato alla produzione di oggetti come esperienza estetica ed etica del mondo. I costruttori del mondo di oggi affondano le radici nelle avanguardie artistiche di un secolo fa: tra Dadaismo, Bauhaus, De Stijl e Costruttivismo gli artisti, gli architetti e i progettisti rivoluzionarono il modo di pensare le arti e il loro ruolo nella società, ideando un’arte che avesse applicazioni nel quotidiano, capace di creare forme, oggetti, strumenti, esperienze,

relazioni in grado di cambiare i modi di abitare il mondo, le città, migliorando la vita delle persone. Oggi come allora lo scambio d’idee, visioni, pratiche, progetti tra artisti e designer sta tornando a essere il modus operandi di una progettualità del futuro che apre i confini di entrambe le discipline a sconfinamenti, contaminazioni, influenze reciproche25.

27. Copertina catologo Builders of Tomorrow.

Per dettagli si veda l’articolo Builders of Tomorrow. Mostra tra design e arte a cura di Giovanna Cassese e Marinella Paderni sul sito del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, http://www.micfaenza.org/it/ mostre/372-builders-of-tomorrow.php 25

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PROSPETTIVE FUTURE Queste sono alcune delle mostre su Made in Italy esposte all’estero in questi ultimi anni, insieme a importanti eventi che si svolgono ogni anno come il Salone del Mobile di Milano, le Design Week, la Giornata del Design Italiano nel mondo, l’Expo del 2015, Vinitaly, Vivere all’Italiana, e altri organizzati da agenzie per l’internazionalizzazione del prodotto italiano. Un progetto futuro è Italian Luxury in the World, un’iniziativa di promozione delle eccellenze produttive italiane sui principali mercati mondiali del lusso. Promosso nel 2013 e non ancora realizzato, il programma prevede un aereo-showroom itinerante nel quale esporre i prodotti di 100 aziende italiane selezionate e suddivise nelle diverse categorie produttive caratteristiche del Made in Italy: qualità, ricerca, innovazione, design, creatività e tradizione. Emira-

28. Rendering Italian Luxury in the World.

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ti Arabi, Russia, Cina, Corea, Giappone, India, Brasile e Stati Uniti sono i mercati del lusso selezionati per l’esposizione all’interno dei loro aeroporti, dove, per un’intera giornata, le aziende italiane potranno esporre i loro prodotti sotto una tensostruttura esterna di circa 1000 metri quadrati. Il progetto ambizioso doveva partire nel 2015 in concomitanza con L’Expo di Milano, nel 2016 trasformarsi in uno showroom su rotaia raggiungendo le principali capitali europee del lusso e nel 2017 in uno showroom galleggiante in viaggio per i porti del Mediterraneo. Abbiamo visto come, in passato, le mostre e le esposizioni siano state una forma di promozione all’estero del Made in Italy che oggi viene ancora utilizzata. Oggigiorno però come e grazie a chi un’azienda può permettersi una presenza internazionale?


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Azioni istituzionali La promozione del Made in Italy all’estero

Se il Made in Italy evoca aspetti di qualità, creatività, innovazione ed eccellenza, per la sua promozione occorre fare in modo che essi siano percepiti correttamente sia nel contesti locali sia in quelli esteri. Oggi molte aziende, soprattutto le piccole e medie imprese e le imprese di nuova generazione, hanno difficoltà nella complessa scelta di internazionalizzarsi che comporta la valutazione di una corretta strategia di promozione, di risorse finanziarie, di informazioni e di una o più figure all’interno dell’azienda che si occupino di tutto questo. Nasce quindi la necessità, da parte delle imprese, di ricorrere a enti capaci di dare una

risposta a queste esigenze. In Italia sono molte le reti che hanno programmi promozionali e strumenti finanziari a sostegno dell’internazionalizzazione e il loro ruolo può essere assunto in modo diverso in base al livello di complessità dell’operazione. Tra questi enti ne ho voluti riportare cinque per spiegare meglio di cosa si occupano e come possono aiutare un’azienda nel lungo e difficile processo di internazionalizzazione.

29. Internazionalizzazione Prodicex.

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ICE

Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane Istituito nel: 1926 Sede principale: Roma Attività: servizi di assistenza, consulenza, informazione e formazione Sito web: www.ice.gov.it L’ICE rappresenta la principale fonte di informazioni in Italia per il commercio con l’estero dalla fine degli anni ’20 del XX secolo fino ai giorni nostri. È un istituto che ha sempre operato a fianco delle aziende per promuovere le loro strategie di internazionalizzazione.

30. Sede ICE.

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Storia

Al termine del primo conflitto mondiale con la ripresa del commercio internazionale, l’Italia decise di dar vita un ente pubblico a sostegno dell’esportazioni, prima nel 1926 come INE–Istituto Nazionale per l’Esportazione e poi nel 1936 come ICE–Istituto nazionale fascista per il commercio estero. I primi ad aver avuto l’idea di questo ente, ma con scarsi risultati, furono nel 1919 Dante Ferraris e Meuccio Ruini, ma solo al termine di un convegno tra industriali e governo alla fine del 1925 nacque l’INE–Istituto Nazionale per la Esportazione. Il compito principale di questo istituto era di ristabilire la bilancia commerciale, il riequilibrio dei conti con l’estero e potenziare le esportazioni per lo sviluppo nazionale. Il primo presidente dell’INE fu Alberto Pirelli che per l’unico anno in cui ne resto alla guida, insieme a Felice Gaurnieri, individuò le linee guida e gli obiettivi dell’Istituto: un servizio infor-

mazioni sulle caratteristiche dei mercati esteri e sulla legislazione doganale26; un ufficio per l’organizzazione di mostre ed eventi e la creazione di un marchio nazionale per l’esportazione. Per le mostre e gli eventi, l’Istituto si occupava di individuare le ditte da coinvolgere, i prodotti da esporre, l’allestimento e la pubblicazione di opuscoli informativi e riviste27. Venne istituito dall’INE, inoltre, un marchio nazionale per l’esportazione per certificare la qualità dei prodotti italiani contro la concorrenza estera che già usufruiva di strumenti simili28.

31. Marchio INE.

Un servizio informazioni che raccoglieva informazioni da otto uffici situati in diverse aree geografiche. A partire dal 1931 INE curò una rivista bimestrale dal titolo “L’Italia esploratrice” per la diffusione dei prodotti italiani. 28 Il marchio utilizzato solo per alcuni prodotti alimentari, era rappresentato da un cerchio con all’interno la dicitura INE. Inizialmente il suo utilizzo era facoltativo e riservato a coloro che erano iscritti a organizzazioni sindacali dell’agricoltura e del commercio. 26 27

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La caduta della Borsa di Wall Street nel 1929 segnò un’altra fase negativa nei rapporti commerciali internazionali che portò i paesi a una politica di protezionismo e a restrizioni per la circolazione di merci, persone e capitali. Il governo italiano rafforzò le barriere tariffarie per le importazioni verso i paesi che avessero ostacolato le esportazioni o si rifiutassero di stringere accordi con l’Italia29. Nel 1934 l’Istituto si trasformò in ISE–Istituto nazionale fascista per gli scambi con l’estero il quale estese le proprie competenze anche sulle importazioni. Per le esportazioni l’istituto si spostò verso Stati Uniti, Germania, Austria, Ungheria e Brasile e stimolò la aziende a vendere i propri prodotti all’estero introducendo sovvenzioni e premi. L’Istituto cambiò ancora nome nel 1936 in ICE–Istituto nazionale fascista per il commercio estero che si occupò non tanto della promozione degli scambi commerciali, ma delle

pratiche relative ai controlli imposte dal governo sui flussi commerciali con l’estero. La novità dal punto di vista organizzativo fu il passaggio da uffici geografici a uffici merceologici per la raccolta e l’elaborazione dei dati30.

32. Catalogo mostra Arti decorative dell’artigianato e delle piccole industrie in Italia (1938).

Durante la guerra l’attività dell’Istituto cessò per poi riprendere nel 1944, quando la Commissione alleata gli affidò il compito di gestione e con-

S. Nocentini, Alle origini dell’Istituto nazionale per il commercio estero, in Passato e presente (rivista di storia contemporanea), Milano, Franco Angeli, 2005. 30 Furono create dieci sezioni di cui quattro per il settore alimentare, due per il settore moda e arredo e le ultime quattro per i settori che a quel tempo erano poco conosciuti come l’industria metallurgica, meccanica, elettrica, chimica e farmaceutica. 29

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tabilizzazione delle merci importate dagli Alleati, abbandonando poi l’incarico alla fine degli anni ’40 per dedicarsi allo studio e alla promozione delle esportazioni italiane. Furono aperti uffici in città europee ed extraeuropee e aumento’ la partecipazione a fiere, mostre ed iniziative internazionali.

33. Marchio Istituto per il commercio estero (1976) realizzato da Mimmo Castellano.

Dopo 85 anni di attività, il Ministro Tremonti chiude l’Istituto nel luglio del 2011 con il pacchetto taglia-enti (dl 98/2011) trasferendo le sue competenze al Ministero per lo Sviluppo Economico e al Ministero degli Esteri. A causa di questa scelta, molti degli eventi promozionali che erano stati

programmati furono annullati o pagati a spese delle stesse aziende che da quel momento erano rimaste prive di un ente a supporto della loro promozione internazionale. Il nuovo Governo Monti, consapevole dell’importanza di fornire alle imprese italiane un sostegno pubblico per l’internazionalizzazione, decide di riaprirlo nel dicembre dello stesso anno, con il decreto Salva-Italia, istituendo la nuova ICE–Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane che riprese i propri poteri il 1 gennaio 2013. Nell’anno di transizione (2012) si è intrapreso un percorso di restyling ridimensionando la rete Italia con la sede a Roma e l’Ufficio di Milano, e all’estero con 65 uffici operativi, snellendo il personale e ottenendo un sostegno finanziario grazie ai fondi del Ministero dello sviluppo economico (MiSE) da altri committenti pubblici come Cassa depositi e prestiti, Sace e Simest. A partire dal settembre 2013

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34. Logo ITA-Italian Trade Agency.

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l’ICE–Agenzia ha cambiato il proprio logo in ITA–Italian Trade Agency che diventa la nuova immagine dell’agenzia in tutto il mondo. Oggi l’ICE-Agenzia conta 2 uffici in Italia, la sede centrale a Roma e l’Ufficio di Milano, e 79 presenze tra uffici e punti di corrispondenza in 67 paesi. La sua attività è fortemente integrata, orientata verso il cliente e si muove in modo circolare con servizi di informazione, consulenza, promozione, formazione e assistenza per conoscere i mercati esteri, individuare nuove opportunità, consolidare le relazioni internazionali. Il portale ice.gov.it è primo strumento per le aziende dove è possibile avere informazio-

ni dirette e gratuite sui servizi offerti riguardo all’approccio con i mercati esteri e i settori di riferimento. Un altro è italitrade.com, sito diretto più agli operatori esteri che ricercano imprese italiane. L’ICE offre inoltre corsi di formazione diretti per le imprese e per i giovani e da quest’anno è anche online con un programma formativo multimediale dal nome “Export Tips. L’export in pillole”: video di circa tre minuti sulle principali tematiche legate ai processi di internazionalizzazione d’impresa e relativo materiale di approfondimento.

35. Export Tips - L’Export In Pillole.

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MAECI

Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Istituito nel: 1848 Sede principale: Roma Attività : rapporti politici, economici, sociali e culturali con l’estero Sito web: www.esteri.it

36. Sede Farnesina.

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Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) o Farnesina, è uno degli apparati amministrativi del governo italiano che ha funzioni e compiti in materia di rapporti politici, economici, sociali e culturali con l’estero che ha sede a Roma. È un organo con diversi settori di intervento che vanno dalle relazioni e i rapporti internazionali, l’integrazione dell’Italia nell’Unione Europea, la promozione della cultura e della lingua italiana nel mondo, gli italiani all’estero, l’unità di crisi, i visti di ingresso, ai rapporti con il Parlamento. Si occupa inoltre del sostegno alle imprese italiane anche che vogliono investire all’estero e per questo tipo di servizio la Farnesina offre alle aziende una rete integrata di 126 ambasciate, 80 consolati, 79 uffici ICE, 75 Camere di Commercio italiane all’estero e 10 uffici Sace, una rete integrata che si è rafforzata nel corso degli anni grazie al coordinamento tra i diversi attori per crea-

re delle sinergie e operare in maniera efficace senza duplicazioni inutili e costose.

37. Logo Farnesina.

MAECI offre per le aziende che vogliono investire all’estero due tipi di sostegno, istituzionale e informativo. Il sostegno istituzionale è utile per l’inserimento nel mercato (soprattutto nei mercati complessi e protetti, per contatti con le autorità locali e l’accompagnamento nello sviluppo del business), la partecipazione a gare di appalto e problemi burocratici. Il sostegno informativo, invece, è utile per l’orientamento

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generale sull’andamento dei mercati (visione complessiva delle dinamiche economiche, politiche, di sicurezza e di rischio del Paese) e per il marketing intelligence, cioè informazioni specifiche sulle opportunità di business il cui valore aggiunto è dato dalla rete di contatti privilegiati che hanno gli ambasciatori e i consoli. Oltre al contatto diretto vi sono due piattaforme online che le imprese possono consultare. La prima è infoMercatiEsteri alimentata dalle ambasciate che curano la pagina del Paese di accreditamento. Contiene informazioni sia per paese che per settore per le opportunità di export e investimenti: quadro macroeconomico, la presenza italiana, fiere ed eventi in quel Paese. La seconda è ExTender alimentata dalle ambasciate, dagli uffici ICE e le camere di commercio all’estero contiene informazioni sulle gare di appalto internazionali. Non si occupa di consulenza

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come indagini di mercato, studi di settore e fattibilità ma, come detto precedentemente, di: •

servizi informativi e di orientamento al mercato;

organizzazione di contatti e incontri con le autorità locali;

assistenza alla partecipazione a gare di appalto;

assistenza per problemi burocratici con i partner locali.


MiSE

Ministero dello Sviluppo Economico Istituito nel: 2006 Sede principale: Roma Attività : politica industriale, energetica, per le comunicazioni e per l’internazionalizzazione Sito web: www.sviluppoeconomico.gov.it

38. Sede Ministero dello Sviluppo Economico.

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Il Ministero dello Sviluppo Economico è un dipartimento del governo italiano istituito nel 2006 che a livello di competenze è molto vasto poiché si occupa di politica industriale, energetica, per le comunicazioni e per l’internazionalizzazione. Il sostegno pubblico all’internazionalizzazione dato da MiSE ha il timone e il motore nella Cabina di Regia per l’internazionalizzazione, strumento istituito nel 2011 con l’obiettivo di coordinare le politiche e strategie del Paese in tema di export con iniziative univoche di promozione, penetrazione dei mercati e strumenti di analisi. Essa è co-presieduta dal Ministro dello Sviluppo Economico e dal Ministro degli Esteri, con la partecipazione anche dei principali attori governativi ed economici nazionali e regionali.

il via al Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy, un piano triennale che nasce nel 2015 dalla base di uno dei tanti temi toccati del decreto Sbocca Italia31e i cui principali obiettivi sono individuare i mercati di attacco, attrarre investimenti dall’estero, aumentare il numero di risorse finanziarie32, Voucher Temporary Export Manager33, utilizzare strumenti innovativi come l’e-commerce, la grande distribuzione organizzata e la comunicazione strategica, razionalizzare gli strumenti della promozione pubblica con sistemi di ordinamento (Cabina di Regia) e individuando un ente attuatore unico (ICE).

Come intervento pubblico per rilanciare il Made in Italy sui mercati esteri, il Ministero dello Sviluppo Economico ha dato

Decreto legge 133 adottato dal governo il cui obiettivo era quello di individuare le piste fondamentali per consentire la ripresa dell’economia italiana e tra queste vi era anche l’attività promozionale (Sbocca Export). 32 Prima senza il Piano erano finanziati solo 30-40 milioni di euro l’anno, mentre durante il triennio 2015-2017 sono stati finanziati 170 milioni di euro annui. 33 Lanciati nel 2016 dal Ministero per aiutare quelle aziende che hanno bisogno di un accompagnamento, aiuto e che per la prima volta si affacciano sui mercati internazionali. 31

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SACE

Istituto per i servizi assicurativi del commercio con l’estero Anno fondazione: 1977 Sede principale: Roma Attività: servizi assicurativi Sito web: www.sace.it SACE è una società che per l’estero offre un’ampia gamma di prodotti assicurativi e finanziari. Nata nel 1977 a Roma, nel corso degli anni si è all’allargata con diversi uffici sia in Italia che all’estero e oggi opera in 198 paesi. Insieme a Simest, nel settembre 2016 ha acquistato il pacchetto azionario di Cassa Depositi e Prestiti di cui ne fa parte al 100%. Sace offre alle aziende gli strumenti per conoscere i clienti e i mercati, per finanziare la loro crescita all’estero e per ottenere protezione negli investimenti esteri, garanzie finanziarie e cauzioni. Uno stru-

mento base che Sace offre alle aziende è la Country Risk Map, un mappamondo interattivo che permette di individuare i Paesi a rischio, dannosi per iniziare attività di business.

39. Logo SACE.

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SIMEST S.p.a.

Istituto per i servizi finanziari del commercio con l’estero Anno fondazione: 1991 Sede principale: Roma Attività: servizi finanziari Sito web: www.simest.it SIMEST è una società per azioni nata nel 1991 che offre alle aziende un pacchetto di strumenti e servizi per affiancarle nel processo di internazionalizzazione, attraverso finanziamenti agevolati e partecipazione all’Equity. Nel primo caso gestisce fondi per conto del Ministero dello Sviluppo Economico rivolti alle aziende di qualsiasi dimensione che voglio vendere in mercati fuori dalla comunità europea con strumenti che vanno dalla partecipazione a fiere all’insediamento commerciale con struttura (apertura showroom, corner, accordi con gestori locali per la commercializzazio-

ne dei propri prodotti,…) al finanziamento per la redazione di uno studio di fattibilità collegato a un investimento commerciale e produttivo. Nel secondo caso partecipa insieme alle aziende agli investimenti (produttivi o commerciali) all’estero e in alcuni casi si può essere affiancati da un partner locale34.

40. Logo Simest.

Con la partecipazione all’Equity l’azienda detiene sempre quote di maggioranza (51%) rispetto a Simest e al partner locale. 34

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CEIPIEMONTE S.c.p.A

Centro Estero per l’Internazionalizzazione Piemonte Istituito: 2006 Sede principale: Torino Attività: favorire la crescita dell’innovazione, della competitività e dell’attrattività del Piemonte Sito web: www.centroestero.org Ceipiemonte è il primo organismo regionale italiano dedicato all’internazionalizzazione del territorio, nato nel 2006 da un’iniziativa di Regione Piemonte. È un società senza scopo di lucro che è stata creata dall’accorpamento di enti preesistenti e questa unione consente di coordinare le attività, monitorare gli andamento e le situazioni locali, individuare e analizzare esigenze e opportunità di intervento. I soci promotori sono Regione Piemonte, Unioncamere Piemonte e le Camere di Commercio Piemontesi e insieme a loro enti, organismi associativi, fondazioni bancarie e soggetti

pubblici del Piemonte35. Ceipiemonte opera in diversi settori economici per favorire la crescita del Piemonte attraverso iniziative e servizi come la Business Promotion, Agrifood, Marketing, Foreign Trade Training e Invest in Torino Piemonte. Dal 2013 gestisce alcune attività del Piano strategico per l’internazionalizzazione del Piemonte varato da Regione Piemonte e dal Sistema Camerale Piemontese, tra cui i Progetti integrati di filiera36 e le agevolazioni per le imprese.

ABI, Camera di Commercio di Aosta, Casa Piemonte, Confartigianato Piemonte, Confcommercio Piemonte, CONFINDUSTRIA Piemonte, Provincia di Torino, Unione Province Piemontesi, Politecnico di Torino, Università degli Studi di Torino, Università del Piemonte Orientale. 36 Questi progetti sono rivolti alle PMI che si occupano di aerospazio, automotive, meccatronica, chimica verde, salute e benessere e del Made in Piemonte (Abbigliamento, Tessile, Alta Gamma, Design e Agrifood) attraverso percorsi collettivi o individuali. Sono cofinalizzati dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale. 35

41. Logo Ceipiemonte.

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42. Locandina Roadshow per l’internazionalizzazione.

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Dal 2014 questi enti pubblici e privati cooperano insieme attraverso un progetto itinerante sul territorio italiano, il Roadshow per l’internazionalizzazione, per illustrare i servizi per le imprese che vogliono fare ingresso nei mercati esteri, servizi che possono essere tra loro correlati poiché ognuno in questo campo offre competenze diverse.

in Italia si sono evoluti a partire dai distretti industriali già presenti in determinate aree geografiche, ma per spiegare meglio di cosa si occupano ritengo opportuno spiegare nel prossimo capitolo la loro origine.

Tuttavia anche se si sta cercando di accordarsi per trovare un modo condiviso per promuovere e diffondere il prodotto italiano all’estero, in Italia non esiste ancora una politica nazionale sul Made in Italy ne di tipo top down, con un’unica istituzione che se ne occupi, ne di tipo bottom up, nata in collaborazione tra le imprese. In questi ultimi anni, si sta tentando di organizzare gruppi di operatori misti (imprese, ricerca, enti locali) a supporto e sostegno dei settori del Made in Italy. Questi vengono definiti Cluster Tecnologici che

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Geografia del Made in Italy

I distretti industriali

I primi studi sui distretti industriali si svilupparono durante gli anni Trenta del XX secolo e tra questi il primo contributo innovativo fu quello di Alfred Marshall il quale fece riferimento all’esperienza industriale delle zone tessili di Lancashire e Sheffield in Inghilterra. “Quando si parla di distretto industriale si fa riferimento a una entità socioeconomica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte delle stesso settore produttivo e localizzate in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione ma anche concorrenza”37.

Marshall definisce così i distretti industriali, un sistema locale di imprese con una comune specializzazione produttiva dove, all’interno delle catena produttiva locale, le imprese cooperano dividendosi il lavoro ma allo stesso tempo competono dato che operano sugli stessi mercati. Notò anche che la presenza di imprese operanti nello stesso settore e nella stessa area creasse un’“atmosfera industriale” che sosteneva e favoriva il sistema industriale locale e allo stesso tempo era determinante per lo sviluppo economico nazionale. In Italia le teorie di Marshall furono reinterpretate e appro-

A. Marshall, Industry and Trade. A Study of Industrial Technique and Business Organization, Londra, Macmillan & Co, 1919. 37

43. Copertina rapporto L’Italia che verrà. Industria culturale, made in Italy e territori

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fondite dall’economista Giacomo Becattini applicandole all’analisi dei distretti italiani. In un suo primo scritto del 1989, definisce il distretto industriale “come un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali”38 e in un altro scritto come “la forma concreta, definita su due dimensioni – l’industria e il territorio – del principio dei rendimenti crescenti all’ampliarsi della domanda, in ambiente concorrenziale”39. Nella concezione di Becattini le caratteristiche determinanti del distretto industriale sono un’attività dominante di natura industriale specializzata in una determinata produzione di beni, una comunità locale costituita da una comunità di persone e da un sistema istituzionale che difendono e diffondono valori e un gruppo di imprese che cooperano tra di loro poiché ciascuna è spe-

cializzata in una singola fase del processo produttivo del distretto. Una nuova unità di analisi in quanto rappresenta un’entità economica a metà strada tra la singola impresa e l’intero settore, che tiene conto dei luoghi produttivi, delle comunità produttrici nelle loro specializzazioni e despecializzazioni40. I distretti industriali italiani sono nati come diretta conseguenza dell’evoluzione e dello sviluppo di un’attività artigianale localizzata in un determinato territorio; cresciuti grazie alla propagazione e alla condivisione delle conoscenze e delle esperienze da parte dei membri del distretto e per la posizione, il clima, la vicinanza delle risorse e i bassi costi di produzione e di trasporto. Quello che caratterizza questi distretti è la presenza di una popolazione di imprese che coopera e allo stesso tempo compete, di una comunità locale e di una specificità produttiva territoriale legata

G. Becattini, Modelli locali di sviluppo, Bologna, Il Mulino, 1989. G. Becattini, Il calabrone Italia: ricerche e ragionamenti sulla peculiarità economica italiana, Bologna, Il Mulino, 2007. 40 D. Schilirò, I Distretti Industriali in Italia quale Modello di Sviluppo Locale: Aspetti Evolutivi, Potenzialità e Criticità, Milano, Vita e Pensiero Editrice, 2008. 38 39

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ai settori tradizionali strettamente legati al Made in Italy (agroalimentare, arredo-casa, abbigliamento-accessori moda, automazione-meccanica). I distretti industriali ancora oggi contribuiscono in maniera significativa allo sviluppo produttivo ed economico del nostro paese, emergendo e adattandosi ai cambiamenti provenienti dall’esterno. Nonostante ciò, con l’avvento della globalizzazione hanno avuto difficoltà nel riposizionarsi nell’economia mondiale con l’avvento della nuova concorrenza (Cina) e per la poca ricerca e sviluppo in campo tecnologico. Come risposta alla pressione competitiva sui mercati internazionali, il MIUR con la predisposizione delle “Linee Guida per la Politica Scientifica e Tecnologica” nel 2002 e successivamente con il “Programma Nazionale della Ricerca 2005-2007”, ha stanziato importanti risorse finanziarie per la creazione dei

distretti tecnologici o cluster, attraverso la realizzazione di Protocolli d’Intesa ed Accordi di Programma che coinvolgessero regioni, enti locali, università, centri di ricerca, istituzioni finanziarie e imprese. Nasce così una “nuova geografia economica” con caratteristiche comuni e differenti ai distretti industriali che andrò di seguito a illustrare.

Distretti industriali e distretti tecnologici: definizione e confronto

In letteratura vi sono molti scritti sui distretti industriali come quelli di Marshall e Becattini41, che però propongono modelli non applicabili alla realtà, mentre solo da poco gli studiosi hanno iniziato ad avere un reale interesse e a scrivere dei distretti tecnologici. I primi vengono definiti come agglomerazioni spontanee di imprese di piccola e media dimensione caratterizzate e specializzate in una singola produzione e in grado di sfruttare economie esterne di

In questa sede mi limito a fornire indicazioni su alcuni scritti sui distretti industriali, come A. Marshall, The Economics of Industry, Londra, Macmillan and co., 1879; G. Becattini, Modelli locali di sviluppo, Bologna, Il Mulino, 1989; C. Trigilia, Sviluppo locale: un progetto per l’Italia, Roma, GLF Editori Laterza, 2005; M. Fortis, I distretti produttivi e la loro rilevanza nell’economia italiana: alcuni profili di analisi, Bologna, il Mulino, 2006. 41

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scala e fortemente radicate sul territorio42. I secondi, invece, si definiscono come progetti, attività ad alta intensità tecnologica che nascono grazie alla presenza di operatori pubblici e privati. La specializzazione è ciò che li distingue: da una parte vi è una forte concentrazione nei settori manifatturieri (labour intensive) dall’altra una forte matrice tecnologica e produttiva (knowledge intensive). La localizzazione è un’altra caratteristica che li differenzia: i distretti industriali hanno confini territoriali chiusi e la vicinanza tra le varie imprese permette di avere uno scambio di informazioni, conoscenze ed esperienze; i distretti tecnologici hanno una struttura aperta con lunghe reti di collaborazione che hanno lo scopo di promuovere e diffondere conoscenze e nuove tecnologie. Le caratteristiche che accomunano entrambi sono la concentrazione geografica e

le dinamiche relazionali (cooperazione e competizione) e la distinzione delle competenze tra i vari attori coinvolti.

44. I numeri dei distretti industriali italiani nel periodo 2012-15. Grafica a cura di Angelo Palumbo. (Dati Intesa Sanpaolo - Direzione Studi e Ricerche).

L. Bottinelli, E. Pavione, Distretti industriali e cluster tecnologici. Strategie emergenti di valorizzazione della ricerca e dell’innovazione, Milano, Giuffrè Editore, 2011. 42

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CLUSTER TECNOLOGICI NAZIONALI I distretti tecnologici o cluster, come detto precedentemente, nascono in Italia in risposta alla pressione competitiva sui mercati internazionali che hanno reso le piccole e medie imprese non più in grado di sostenere da sole lo sviluppo produttivo ed economico del nostro paese. Sono una nuova modalità di aggregazione che trova uniti soggetti pubblici e privati che operano nel campo della ricerca industriale, della formazione e del trasferimento tecnologico (imprese, università, istituzioni pubbliche e private di ricerca, incubatori di startup e soggetti attivi nel campo dell’innovazione) e che dialogano con le amministrazioni nazionali, locali e regionali. Sono strumenti di coordinamento, consultazione e riferimento nell’elaborazione di proposte e strategie per accelerare i processi di innovazione e per aumentare la

competitività industriale di un paese e ognuno è focalizzato su uno specifico ambito tecnologico e applicativo.

45. Logo Cluster Tecnologici Nazionali.

In Italia si sono formati nel 2012 quando il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), in linea con le priorità delineate nel programma Horizon 2020 per la ricerca e l’innovazione dell’Unione Europea, ha promosso la nascita dei primi otto cluster ai quali, nel 2016, ne sono stati aggiunti quattro, raggiungendo così il numero di dodici: Aerospazio, Agrifood, Chimica verde, Fabbrica

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intelligente, Mezzi e sistemi per la mobilità di superficie terrestre e marina, Scienze della Vita, Tecnologie per gli ambienti di vita, Tecnologie per le Smart Communities, Tecnologie per il patrimonio culturale, Design, Creatività e Made in Italy, Economia del Mare, Energia. Questi dodici cluster rappresentano le nostre eccellenze italiane e il loro obiettivo è quello di: •

43

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mobilitare simultaneamente le eccellenze del sistema industriale, del mondo della ricerca e la pubblica amministrazione regionale e nazionale su tematiche condivise, ritenute prioritarie e strategiche per il Paese a medio e lungo termine; promuovere la condivisione e il trasferimento di conoscenze e competenze specialistiche tra i diversi attori del sistema indu-

striale e della ricerca; •

ottimizzare l’uso delle risorse economiche pubbliche disponibili, evitando una eccessiva frammentazione;

migliorare la capacità di attrarre investimenti e talenti, anche attraverso processi di internazionalizzazione;

favorire la crescita economica sostenibile dei territori e dell’intero sistema economico nazionale;

assumere un ruolo rilevante nel panorama europeo ed internazionale in tema di ricerca ed innovazione;

valorizzare le eccellenze del Made in Italy43.

In coerenza con l’iniziativa del MIUR, gli istituti che hanno il diritto esclusivo di manifestare il proprio interesse, sostenere e aderire a uno o più

Per dettagli si veda: MIUR, Cluster Tecnologici Nazionali, sito MIUR (Internet), http://www.miur.gov.it/cluster


Cluster Tecnologici Nazionali sono le Regioni, con progetti proposti dalle aziende, università e centri di ricerca presenti sul territorio di cui verrà valutata la fattibilità e potenzialità dal MIUR44. Dopo questa breve panoramica sui Cluster Tecnologici Nazionali, ho deciso di focalizzarmi su uno in maniera approfondita poiché prettamente legato al tema della mia tesi: Cluster Design, Creatività e Made in Italy.

Aerospazio

Agrifood

Cultural Heritage

Blue growth

Chimica verde

Design, creatività e Made in Italy

Energia

Fabbrica Intelligente

Mobilità sostenibile

Salute

Smart, Secure and Inclusive Communities

Tecnologie per gli Ambienti di Vita

Per dettagli si veda: MIUR, Avviso per la presentazione di progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale nelle 12 aree di specializzazione individuate dal PNR 2015-2020, sito MIUR (Internet), http://www. ponricerca.gov.it/media/390347/miur.aoodpfsr.registro_decreti.0001735.13-07-2017.pdf 44

46. I dodici Cluster Tecnologici Nazionali (rielaborazione grafica).

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CLUSTER TECNOLOGICO NAZIONALE MADE IN ITALY Presentata la sua candidatura al MIUR nel 2016, approvata all’inizio del 2017, costituito nel novembre dello stesso anno e riconosciuto a livello giuridico nel gennaio 2018, il Cluster Design, Creatività e Made in Italy è un cluster complesso rispetto agli altri poiché al suo interno contiene settori diversi che in passato sono stati indipendenti e che ora hanno l’opportunità di collaborare tra loro per raggiungere un obiettivo comune. Rispetto all’inizio il cluster ha cambiato nome perdendo i primi due termini, Cluster Tecnologico Nazionale Made in Italy (MinIt). Attraverso questo cluster si vuole sostenere la crescita economica e sostenibile dei settori tessile - abbigliamento, calzature, pelli e pellicce, occhiali e gioielli, arredo, meccanica e agrifood tenendo conto dello

A oggi aderiscono al MinIt 8 Associazioni nazionali, 8 Cluster regionali, Poli di innovazione e Centri Tecnologici e 19 Università e Enti di Ricerca45 che hanno il compito fornire informazioni e contenuti per definire il Piano di Azione triennale richiesto da MIUR. Per assistere al sistema del Made in Italy, aumentando la sua competitività e definendo il suo posizionamento sui mercati internazionali per il cluster sono state definite 4 aree di Intervento: •

Capacità Creativa: competenze, metodologie, skills, asset e infrastrutture strategici per progettare e sviluppare prodotti e servizi del Made in Italy;

Processi: processi manifatturieri e non, hard e soft,

8 Associazioni: SMI – Federazione Tessile e Moda, Federlegno Arredo, Confartigianato, CNA, Assocalzaturifici, AIMPES – accessori in pelle, AIP – pellicce, ANFAO – occhiali; 8 Cluster regionali, Poli di innovazione e Centri Tecnologici: Aster, Cluster Arredo Sistema Casa cnsrt, Cluster Made in Marche Città Studi/Pointex, Next Technology Tecnotessile, Centrocot DID – Cluster Arredo Toscana, ANCI servizi srl (CIMAC); 19 Università e Enti di Ricerca: Università di Bologna, Consorzio INSTM, LIUC – Università di Castellanza, Università La Sapienza di Roma, Università di Firenze, Università Federico II di Napoli, Università della Calabria, Politecnico di Milano, Università di Siena, Stazione Sperimentale per l’industria delle pelli e delle materie concianti srl, Università Politecnica delle Marche, Università Suor Orsola Benincasa, Università di Perugia, Università della Campania, ENEA, CNR, Politecnico di Bari, Università Iuav di Venezia, Università della Basilicata (dati della presentazione del Cluster Tecnologico Nazionale Made in Italy all’Università La Sapienza di Roma del 10 aprile 2018). 45

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sviluppo regionale, nazionale e internazionale e avendo anche una particolare attenzione ai territori del Mezzogiorno.


strategici per progettare e sviluppare materiali, prodotti e servizi del Made in Italy; •

Materiali: materiali/substrati abilitanti per progettare e sviluppare prodotti e servizi del Made in Italy;

Immateriali: asset organizzati, integrati e fruibili in forma di knowledge base, strategici per progettare e sviluppare prodotti e servizi del Made in Italy46.

Per ognuna di queste aree sono state definite 25 Traiettorie tecnologiche che rappresentano i principali filoni di ricerca, innovazione e integrazione inter-settoriale su cui si vuole investire e, alcune di queste, presentano alcune sinergie con alcuni dei cluster già esistenti con i quali si vuole collaborare. Il 10 aprile 2018 è stato presentato all’Università La Sapienza di Roma la prima bozza della struttura del Piano Strategico

triennale del Cluster Tecnologico Nazionale Made in Italy, diviso in sei capitoli: 1. Made in Italy - Overview (mercati/aree geografiche, competitività, valore brand) - Profilo produttivo (struttura, analisi SWOT) - Innovazione e Made in Italy - Benchmarking principali competitor internazionali 2. Agende strategiche del Made in Italy - Internazionali ed europee - Nazionali 3. Strategia per il Made in Italy - Visione strategica di lungo periodo, SWOT - Linee strategiche competitività e posizionamento atteso 4. Roadmap tecnologiche e di sviluppo innovative, obiettivi, action plan - Capacità creativa, Processi e Materiali e Immateriali - Sinergie con le politiche nazionali e regionali

Per dettagli si veda: A. Paccanelli, L’innovazione della filiera tessile, presentazione Confindustria Lombardia (Internet), file:///C:/Users/Utente/Downloads/Innovazione%20Tessile%20-%20Paccanelli.pdf 46

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- Sinergie con Strategia Nazionale e di Specializzazione intelligente - Sinergie con S3 regionali 5. Cluster Tecnologico Nazionale MinIt - Visione strategica - Governance e struttura organizzativa - Piano strategico e di azione triennale 6. Il Made in Italy nelle regioni del Mezzogiorno - Overview del Made in Italy nel Mezzogiorno - SWOT analysis - Piano di Azione A oggi solo alcune delle linee guida sono complete poiché per le altre vi è carenza di materiale o mancano materiali e contenuti dati da alcuni settori industriali, accademici e delle regioni47. Anche se le idee sono buone tuttavia è difficile trovare un linguaggio comune per questo Cluster che vada bene per

l’Europa e per le imprese italiane. Da una parte si sta lavorando di più per il Ministero che ha richiesto con urgenza un piano di azione che tiene conto dei temi internazionali e delle esigenze dei mercati da ora e per il futuro e per questo è richiesto un linguaggio più alto e avanzato, dall’altra però vi sono le imprese italiane a cui manca formazione e comunicazione su questi temi. Il Cluster, come ha affermato Aldo Tempesti, “deve essere una specie di cinghia di trasmissione fra una parte che guarda orizzonti lontani avanzati, ma che non può lasciare perdere il resto del settore dietro. Quindi dovremmo articolare le nostre azioni per riuscire a trovare quegli strumenti che non lasciano indietro nessuno, anche con tempi diversi, forme di coinvolgimento diversi ma che diano a chiunque il senso di essere parte di questo cluster”48. Il cluster più affine al tema

I contenuti disponibili sono quelli del settore tessile – abbigliamento e Legno – Mobile – Arredo. È in preparazione il Design. 48 Trascrizione della presentazione del Cluster Tecnologico Nazionale del 10 aprile 2018, citazione di Aldo Tempesti, https://www.youtube.com/watch?v=tzlVvbyMZL0 47

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della produzione culturale e creativa del Made in Italy è il Cluster Industrie Culturali e Creative, un fenomeno recente e un oggetto di ricerca sviluppatosi nel XIX secolo durante i processi di industrializzazione, modernizzazione e sviluppo della tecnologia che nel corso del tempo sono diventate sempre piÚ importanti dal punto di vista economico in Europa e in Italia.

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INDUSTRIE CULTURALI E CREATIVE Storia delle Industrie Culturali e Creative in Europa Il termine (singolare) “industria culturale” fu coniato per la prima volta nel 1944 in Francia con una connotazione negativa: “strumento dell’elite capitalista che priva sia l’artista che l’opera d’arte del loro valore intrinseco e che trasforma il consumatore in pseudo-individuo”. Questa descrizione fu data da due esponenti della Scuola di Francoforte, Adorno e Horkheimer, con l’intento di sottolineare l’irruzione della società dei consumi (mass-media) nelle produzioni culturali, deprimendone le arti e la cultura tradizionale. Solo negli anni ’70 si raggiunse a una connotazione positiva data da alcuni sociologi francesi (Huet, Miège, Lacroix e Girard) i quali lanciarono il termine “industrie culturali” al plurale, con lo scopo di sottolineare il fe-

nomeno della cultura come la manifestazione di un vero e proprio processo economico che, in campo sociale influenzava pesantemente i comportamenti di consumo e gli stili di vita e in quello economico dimostrava di possedere una certa rilevanza ai fini produttivistici49. A partire dagli anni ’80 questo diventò oggetto di studio per molti economisti, infatti nel 1984, il ricercatore Myerscough effettuò la prima mappatura delle industrie culturali nei principali paesi europei e il relativo impatto sull’economia.

47. Adorno e Horkheimer.

Alla fine degli anni ’90, il primo

M.Pini, A. Rinaldi, Una valutazione della creatività nelle regioni italiane, in Dossier Tagliacarne 2010, http:// www.tagliacarne.it/files/uploaded/Generale/Studi/Valutaz_creativ_regITA.pdf 49

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contributo decisivo fu l’indagine del Dipartimento Governativo della Cultura, dei Media e dello Sport (DCMS) del Regno Unito sulle performance economiche registrate dalle industrie creative, il Creative Industries Mapping Document. La scelta da parte del DCMS è stata quella di includere, insieme alle industrie culturali, anche le industrie creative che considera come “quelle attività che hanno la loro origine nella creatività, nelle capacità e nel talento individuali, e che hanno il potenziale per la creazione di benessere attraverso la generazione e lo sfruttamento della proprietà intellettuale” (DCMS 1998). Considerata la creatività come nuova leva dello sviluppo economico, molti paesi intrapresero degli studi per misurare il peso delle loro attività creative in ambito economico, portando a diverse interpretazioni del termine condizionate dalla loro tradizione storica, dalla struttura economico – sociale

e da aspetti diversi come innovazioni tecniche, sviluppo del mercato, aspetti giuridici e norme sul copyright. Questa debolezza di fondo si ripercuote sulla individuazione dei settori che rientrano a far parte delle industrie culturali e creative, infatti il loro numero cambia a seconda dei criteri prescelti e della loro combinazione. Nel 2006 la Commissione Europea ha proposto una prima definizione delle Industrie Culturali e Creative, poi formalizzata nel Libro Verde del 2010, trattando i due termini come due aggregati distinti. “Le industrie culturali sono le industrie che producono e distribuiscono beni o servizi che, quando vengono concepiti, sono considerati possedere un carattere, un uso o uno scopo specifici che incorporano o trasmettono espressioni culturali, quale che sia il loro valore commerciale (…) Le "industrie creative" sono le industrie che

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utilizzano la cultura come input e hanno una dimensione culturale, anche se i loro output hanno un carattere principalmente funzionale”50. Il Libro Verde si interroga su quali strumenti e strategie utilizzare per dare più spazio e sostegno alle industrie culturali e creative, migliorando l’accesso alle tecnologie e l’uso dei loro contenuti, favorendo reti, incubatori e investimenti. Un secondo obiettivo è quello di accelerare gli effetti indotti dalle ICC sulle altre imprese e sulla società, anche promuovendo “partenariati creativi” tra industrie culturali, scuola e imprese, integrando i piani locali e quelli interregionali (cluster). Un ulteriore focus del testo riguarda la mobilità degli artisti, degli operatori culturali, nonché delle opere, per promuovere la diversità culturale europea. Da questa pubblicazione si ispira il programma Europa Creativa dedicato al settore culturale e creativo per il

periodo 2014-2020 che mette a disposizione 1,46 miliari di euro, nell’arco di sette anni, per rafforzare questo settore in Europa. L’obiettivo è quello di proteggere, sviluppare e promuovere la diversità culturale e linguistica europea e rafforzare la competitività dei settori culturali e creativi. Oltre a questo in Europa vi sono altri programmi di finanziamento come Erasmus+, Horizon 2020, COSME ed i Fondi strutturali.

48. Locandina Europa Creativa.

Il 13 dicembre 2016 il Parlamento Europeo ha approvato la richiesta e la relazione per una politica dell’Unione Europea per le Industrie culturali e creative realizzata da Luigi Morgano (membro delle Com-

Commissione Europea, Libro Verde. Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare, sito Commissione Europea (Internet), http://ec.europa.eu/internal_market/company/docs/modern/com2011-164_it.pdf 50

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missioni per la Cultura al Parlamento europeo) e Christian Ehler (membro della Commissione per l'industria, la ricerca e l'energia). Nel rapporto viene data una puntuale e aggiornata definizione di industrie culturali e creative: "le industrie culturali e creative sono le industrie che si basano su valori culturali, diversità culturale, creatività individuale e/o collettiva, competenze e talento, e che hanno il potenziale per creare innovazione, ricchezza e occupazione generando valore sociale ed economico soprattutto dalla proprietà intellettuale”51. Nella definizione le industrie culturali e creative presentano un doppio valore, da un lato hanno il ruolo di preservare e promuovere la diversità culturale e linguistica europea e dall’altro di contribuire all’economia in termini di occupazione, investimenti, crescita e innovazione. L’obiettivo di questa relazione è quello

di creare un piano normativo europeo che possa coordinare le politiche culturali degli stati membri in merito al riconoscimento e al finanziamento delle industrie culturali e creative e far prendere coscienza del loro ruolo fondamentale che possono assumere nel processo di reindustrializzazione dell’Europa. Storia delle Industrie Culturali e Creative in Italia Come è avvenuto per gli altri paesi europei, anche in Italia vari sono stati i tentativi per definire il settore culturale e creativo e tra i primi rapporti abbiamo quello di Bodo-Spada (2004) e quello dell’Istituto Tagliacarne (2009). Il primo divide il settore culturale in quattro categorie: beni culturali, spettacolo dal vivo, audiovisivi, industria editoriale. Il secondo, invece, ha considerato un perimetro più esteso individuando 138 settori di interesse e raggruppandoli in cinque macro-aree: beni e attività culturali, industria cultu-

C. Ehler, L. Morgano, Una politica dell’UE coerente per le industrie culturali e creative, sito Parlamento Europeo (Internet), http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A8-2016-0357+0+DOC+XML+V0//IT 51

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rale (editoria, audiovisivi, multimediale), enogastronomia e produzioni tipiche, produzioni di natura industriale e artigiana, architettura ed edilizia di riqualificazione52. Nel 2009 viene inoltre pubblicato il Libro Bianco sulla creatività53 che distingue le industrie culturali e creative in tre macro settori: patrimonio storico e produzione artistica (patrimonio culturale, musica e spettacolo, architettura, arte contemporanea), produzione di contenuti culturali, informazione e comunicazione (software, editoria, tv, radio, pubblicità, cinema) e cultura materiale (moda, design industriale, artigianato e industria del gusto). Il rapporto più conosciuto a livello nazionale è quello sviluppato da Symbola e Unioncamere in occasione dei suoi rapporti annuali. “L’Italia che verrà. Industria culturale, made in Italy e territori” (2011) è una rivisitazione della defi-

nizione data dal Libro Bianco che ha portato a una riclassificazione dei settori dell’industria culturale: patrimonio storico artistico, performing arts e arti visive, industrie culturali, industrie creative (in quest’ultima entrano a far parte l’artigianato, il design e produzione di stile).

49. Immagine all’interno del Libro Bianco (capitolo 1).

Quello che accomuna lo studio del Libro Bianco e di Symbola è la scelta di includere nei settori delle industrie culturali e creative la produzione manifatturiera ed artigianale

Per dettagli si veda: C. Bodo, C. Spada, Rapporto sull’economia della cultura in Italia 1900-2000, Bologna, Il Mulino, 2005. 53 Rapporto nato grazie alla richiesta di un rapporto sulla creatività e produzione della cultura in Italia da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT) nel 2007. Il libro fu poi pubblicato due anni dopo dall’Università Bocconi. 52

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(legata al Made in Italy) settore molto importante e di notevole dimensione in Italia rispetto agli altri paesi europei54.

50. Copertina rapporto L’Italia che verrà. Industria culturale, made in Italy e territori.

Lo studio più recente sul valore economico del settore culturale e creativo in Italia è quello voluto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT) e dalla SIAE e realizzato dalla società di analisi Ernst&Young (E&Y): “Italia Crea”. Il rapporto, giunto lo scorso anno 2017 alla sua seconda pubblicazione, offre una visione complessiva delle industrie culturali e creative italiane individuando le mi-

nacce e cosa si potrebbe migliorare, dato che oggi questo settore in Italia non è ancora sufficientemente valorizzato. Le opportunità di crescita, secondo il report Italia Creativa, sono tre: la prima riguarda il tema normativo, con le iniziative volte a rafforzare il dialogo con le istituzioni, sia italiane che europee, affinché accolgano le richieste degli operatori di settore o intervengano per colmare eventuali lacune normative. La seconda è quella fiscale attraverso attività di regolamentazione fiscale e di formazione. L’ultima riguarda l’internazionalizzazione: al momento in Italia non vi è un ufficio o un organo apposito a supporto dell'esportazione all'estero e per questo lo studio si suggerisce la creazione di sinergie con l’ICE, gli Istituti di Cultura, le Camere di Commercio55. Il settore delle industrie culturali e creative in Italia, sebbene abbia buone potenzialità, ha un peso economico meno

Per dettagli si veda: W. Santagata, Libro Bianco sulla creatività, Milano, Università Bocconi Editore, 2009; Symbola – Unioncamere, L’Italia che verrà. Industria culturale, made in Italy e territori, Roma, Quaderni di Symbola, 2011. 55 Per dettagli si veda: Ernst&Young, Italia Creativa. L’Italia che crea, crea valore, 2^ Studio sull’Industria della Cultura e della Creatività (2017), http://www.italiacreativa.eu/wp-content/uploads/2017/01/ItaliaCreativa_SecondaEdizione.pdf 54

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importante rispetto a paesi europei come Regno Unito, Germania, Francia e Spagna e questo può derivare, come già sottolineato dal report Italia Creativa, dalla mancanza di politiche mirate, la piccola dimensione delle imprese, la difficoltà di esportare prodotti culturali e di finanziare l’innovazione. Per quanto riguarda i programmi e i progetti a sostegno delle industrie culturali e creative, lo Stato italiano tende a delegare la competenza alle regioni e alle amministrazioni locali secondo la logica bottom up (dal basso verso l’alto) e, a livello regionale, soltanto alcune Regioni italiane hanno provveduto ad analizzare il settore delle imprese culturali e creative nel proprio territorio. Un esempio è la Regione Emilia Romagna che ha iniziato a interrogarsi su di essere e identificarle come uno dei sistemi potenziale per la crescita regionale.

51. Catalogo report Italia Creativa (2017).

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CLUST-ER INDUSTRIE CULTURALI E CREATIVE EMILIA ROMAGNA Il Clust-ER Industrie Culturali e Creative nasce nel maggio 2017 in Emilia Romagna, insieme ad altre sette Associazioni Clust-ER56, con 25 soci fondatori divisi tra imprese, laboratori, centri per l’innovazione ed enti per la formazione. Esso rappresenta un settore particolare che in questa regione conta 32.000 unità locali (dati rapporto Ervet 2018) dove da una parte vi sono di produttori di prodotti Made in Italy e dall’altra startup, società innovative, imprese, enti pubblici e privati che lavorano nel campo della cultura digitale. Come gli altri cluster, è organizzato in value chain57, obiettivi strategici individuati e sviluppati attraverso il confronto di imprese, enti di ricerca e di formazione: Value Chain Fashion • valorizzazione degli archi-

vi moda pubblici e privati per dare valore alle aziende e al territorio; promuovere la realizzazione di capi moda smart, personalizzati e funzionanti grazie all’utilizzo di dispositivi digitali e materiali avanzati; creazione di filiere con un alto livello di integrazione digitale e di servizio per i clienti nazionali e esteri.

Value Chain CultTech – Tecnologie per la cultura digitale • progettazione di strumenti analogici e digitali per la diagnosi, la conservazione e la preservazione del patrimonio tangibile; • creazione di una infrastruttura tecnologica per l’accesso e lo scambio dati di archivi, biblioteche, gallerie e musei; • creazione di piattaforme interattive per archivi, musei e siti di interesse culturale creando delle relazioni di significato con il pubblico.

Il 30 maggio 2017 sono state costituite sette Associazioni Clust-ER, settori produttivi chiave per lo sviluppo regionale dell’Emilia-Romagna: Agrifood, Edilizia e costruzioni, Meccatronica e Motoristica, Salute e Benessere, Industrie Culturali e Creative, Energia e Sviluppo Sostenibile e Innovazione nei sevizi. Per queste realtà la Regione offre aiuto a partecipare a bandi della regione, della nazione e internazionali e l’opportunità di conoscere operatori dello stesso settore per condividere pratiche e problemi trovando soluzioni aggregate attraverso il finanziamento di un piano di attività triennale. 57 Per dettagli si veda: Aster, FORUM S3 – Gli obiettivi strategici 2018-2020: la proposta dei Clust-ER, in pubblicazioni Aster (Internet), https://www.aster.it/pubblicazioni/forum-s3-gli-obiettivi-strategici-2018-2020la-proposta-dei-clust-er 56

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Value Chain Addict – Advanced Design & Digital Craft Tecnologies • personalizzazione dei prodotti e shelf innovation58; • valorizzare e promuovere il Made in Italy favorendo l’integrazione tra design e creatività della cultura progettuale attraverso l’impiego di tecnologie e strumenti a supporto dei processi creativi e produttivi. Value Chain Multimodel – Multimedia e new business model • realtà immersiva e nuove piattaforme di realtà aumentata per il settore dello spettacolo; • tecnologie funzionali allo sviluppo cognitivo e ai processi di apprendimento per gli studenti con Bisogni Educativi Speciali (BES). Value Chain Turismo e riattivazione urbana • agevolare la digitalizzazio-

ne della filiera del turismo valorizzando le opportunità offerte dal territorio in termini di “prodotti Made in Italy”; riattivazione urbana attraverso la produzione di una nuova cultura da una parte e la rigenerazione degli spazi dall’altra; co-generazione, diffusione di una cultura collaborativa a supporto dello sviluppo elle imprese culturali e creative.

In questo cluster si è ancora in una fase di analisi poiché mancano dei confini definiti e una realtà regionale forte e per questo è necessario studiarlo per dare una definizione che rispecchi l’identità della Regione. Il Clust-ER Industrie Culturali e Creative offre alle imprese la possibilità di interagire con operatori dello stesso settore per condividere problemi e pratiche trovando soluzioni aggregate e aiuto nella partecipazione a bandi regiona-

Detta anche “innovazione a scaffale”, consiste nella progettazione e sviluppo di nuovi componenti anticipatamente rispetto al momento in cui verranno utilizzati per realizzare i prodotti finiti. 58

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li, nazionali e internazionali, come a esempio i progetti finanziati nell’ambito del POR FESR 2014- 2020 dalla Regione Emilia Romagna: LUME PlannER e SACHER. LUME PlannER è una piattaforma per “illuminare” il patrimonio artistico e culturale della Regione, dalle bellezze più conosciute a quelle meno: luoghi storici, musei, eventi artistici e culturali. Raccoglie dati che un turista necessita quando vuole visitare una città come la mobilità, attività economiche, botteghe artigiane, accessibilità e il meteo. Il progetto coinvolge i soggetti della filiera del turismo culturale (utenti, pubbliche amministrazioni, università e centri

52. Itinerari Lume PlannER. 53. Logo Lume PLannER.

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di ricerca, istituzioni culturali e servizi di trasporto pubblici e privati, aziende di servizi alberghieri e di ristorazione, botteghe e piccole imprese artigiane) per sostenere le attività commerciali e turistiche del territorio.


SACHER (Smart Architecture for Cultural Heritage in Emilia Romagna) è un progetto volto a sostenere la valorizzazione dei beni culturali, mediante una innovativa piattaforma ICT che facilita l’accesso ai dati relativi ai Beni Culturali. Mediante l’uso del Cloud Computing, il progetto vuole fornire un prodotto open source che integri le infrastrutture hardware e software, pubbliche o private, coinvolte nella conservazione dei dati relativi al vasto patrimonio culturale nazionale. Tale piattaforma mette a disposizione servizi personalizzati per l’accesso, l’analisi e la presentazione dei dati BBCC sia a specialisti del settore (restauratori, architetti, storici, archeologi etc.) sia a cittadini e turisti59.

Per dettagli si veda: Ervet, Economia Arancione in Emilia Romagna. Le industrie culturali e creative – Politiche culturali, impresa creativa, impatto sociale: lo stato dell’arte in Emilia-Romagna, ricerca Ervet (Internet), https://spettacolo.emiliaromagnacreativa.it/wp-content/uploads/2018/06/ICC_2018.pdf.pdf 59

54. Roll-Up del Progetto Sacher.

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Conclusioni Il design italiano si è sempre affermato come un sistema ampio, costituito da tante realtà produttive con storie e itinerari diversi: un crocevia di geografie, uomini e oggetti, di industrie grandi e piccole, di artigianato colto e povero, di arte applicata e concettuale, di tecnologia alta e lenta, di sperimentazione di forme e tipi, da una spontanea arte di arrangiarsi60. Oggi però il design italiano da che parte sta andando? In questi ultimi anni si sono affermate nuove forme di design rispetto a quelle tradizionali e tra queste troviamo il fashion design, l’exhibit, il design della comunicazione visiva e multimediale,… Sono nati luoghi con lo scopo di diffondere la cultura del design italiano, indagando e

mettendo in mostra, attraverso convegni ed esposizioni, il passato, il presente e il futuro del prodotto italiano: il Salone Internazionale del Mobile, i Musei d’Impresa, il Circolo del Design a Torino, il Museo del Design Italiano all’interno della Triennale di Milano, la Collezione Farnesina, la Fondazione Valore Italia con l’Esposizione permanente del design italiano e del Made in Italy, la fiera Abitare il Tempo,… È cresciuto inoltre il numero dei designer, docenti e studenti grazie all’introduzione di corsi di laurea in design e di scuole private. Ancora oggi, in Italia e nel mondo il design italiano è riconosciuto per la qualità, la manodopera specializzata, l’artigianato e per prodotti icona del design, soprattutto

V. Cristallo, F. La Rocca, Continuità e discontinuità di un modello unico, in Disegno Industriale (Internet), http://www.disegnoindustriale.net/diid/continuita-e-discontinuita-di-un-modello-unico/ 60

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quelli dei Maestri degli anni ’50 e ’60 del XX secolo. Tuttavia poca attenzione è rivolta ai nuovi progettisti e al nuovo design che investe in territori diversi dalla casa, sia da parte delle aziende sia dalla parte dei consumatori. Se guardiamo indietro, durante gli anni ’60 e ’80 del XX secolo il design italiano era fortemente riconosciuto all’estero per il suo tessuto di distretti industriali, per le grandi aziende e per la loro collaborazione con i designer. Guardando ai giorni nostri, il rapporto tra progettista e industria è cambiato. Da una parte vi sono alcuni designer che riescono collaborare con le imprese, grazie a premi ricevuti, apprezzamenti da parte della critica, pubblicazioni su riviste di settore o progetti proposti dalle stesse aziende. D’altra molti hanno difficoltà a creare questo legame poiché sono le stesse aziende, a causa della crisi economica, a non voler collaborare con i de-

signer, avendo meno propensione al rischio e all’incognita. Oggi la relazione tra il numero dei creativi e il numero di aziende capaci di tradurre idee in prodotti e metterli sul mercato è cambiata. Con la delocalizzazione e la deindustrializzazione di tante attività produttive si ha un surplus di capacità produttive che non trovano sfogo o che lo trovano in vie differenti. Questo ha portato i nuovi progettisti a ibridarsi, a non essere dei designer “puri” ma a cambiare propria natura, trasformandosi ed evolvendosi in altri soggetti come progettisti produttori, progettisti makers o in nuove forme di impresa in grado di produrre e organizzare nuove forme di produzione. Il design italiano contemporaneo ha molteplici sfaccettature: può essere un design partecipato, di autoproduzione e democratico. Quello che lega queste tre tipologie è l’uso del web, dei social network o siti online per condividere i

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propri progetti, per essere di ispirazione ad altri e allo stesso tempo mettersi in vista per ottenere collaborazioni o opportunità di lavoro. Oggi il progettista italiano può collaborare con le aziende su propri progetti, può realizzare oggetti su commissione o può reinventare da se un mestiere. Riguardo al ruolo delle istituzioni, tutt’oggi in Italia non vi sono strumenti a supporto del design italiano. Non esiste ancora un’unica istituzione pubblica che se ne occupi dall’alto, ma tante dal basso, più piccole, private senza finanziamenti e sovvenzioni dati dallo Stato. Rispetto ad altri paesi come la Francia e l’Olanda, siamo un passo indietro. In Francia esiste il Mobilier national, un servizio di competenza dello Stato francese, sotto la direzione del Ministero della Cultura, che ha l’obiettivo di preservare i palazzi della Repubblica francese, conser-

vare e restaurare i loro arredi e raggruppa al suo interno le storiche manifatture francesi61. Per assicurare la conservazione delle sue collezioni, dispone di 7 laboratori di restaurazione e dispone inoltre di un laboratorio di ricerca e innovazione, l’ARC– Atelier de Recherche et de Création62. Nato nel 1964 da un’iniziativa di André Maraux, è un atelier che promuove il design contemporaneo attraverso la creazione di arredi per i luoghi del potere della Repubblica francese. In più di 50 anni sono stati realizzati 600 prototipi da un centinaio di designer e gli oggetti che vengono realizzati al suo interno non hanno alcun effetto sul mercato, poiché si occupa soltanto di commissioni interne. L’obiettivo di questo laboratorio è di riuscire a esporre oltre le proprie mura, mostrando le proprie creazioni all’interno di musei e ambasciate. In Olanda, invece, il Dutch Design (design olandese) è so-

Le Manufactures nationales des Gobelins, di Beauvais, della Savonnerie e gli atelier d’Alençon e di Puy-enVelay. 62 Per dettagli si veda il sito del Mobilier national, http://www.mobiliernational.culture.gouv.fr/fr 61

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stenuto dal governo grazie al Mondriaan Fonds. Nato dalla fusione del Fonds BKVD e della Mondriaan Foundation, è un fondo pubblico – finanziato dal Ministero dell’Istruzione, della Cultura e della Scienza – che offre una vasta gamma di contributi con lo scopo di promuovere la qualità dell’arte visiva contemporanea, del design e dell’architettura nei Paesi Bassi. Ciò può coinvolgere un artista che sviluppa nuovi lavori o una collaborazione tra museo e artista; una galleria che mostra l’arte dei Paesi Bassi in una fiera d’arte all’estero o un curatore che fa ricerca per una mostra o una pubblicazione63. Il Fondo Mondriaan è uno dei sei fondi culturali pubblici dei Paesi Bassi64, infatti gran parte delle sovvenzioni governative per l’arte e la cultura è investita in questi fondi, oltre all’infrastruttura di base che ricade direttamente sotto la responsabilità del ministero.

dar vita a un istituto pubblico che si occupasse della ricerca, della divulgazione, della promozione del design italiano, il Consiglio Nazionale del Design. Purtroppo non ha avuto vita lunga, poiché chiuso nei confronti dei nuovi designer. Ciò che manca ai progettisti italiani oggi è una stabilizzazione strategica: per essere efficienti hanno bisogno di operare con continuità e sicurezza, con strutture e finanziamenti certi. Questo sarà il terreno su cui si giocherà il futuro prossimo della professione.

In Italia nel 2007 si è provato a

Per dettagli si veda il sito del Mondriaan Fonds, https://www.mondriaanfonds.nl/ Fondo per la partecipazione culturale, Performing Arts Fund, Netherlands Film Fund, Dutch Foundation for Literature e Creative Industries Fund. 63

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Ringraziamenti Desidero ringraziare: •

La mia relatrice, Professoressa Elena Dellapiana, per la pazienza avuta nel seguirmi durante questi mesi di sviluppo della tesi e dei consigli dati;

La mia famiglia, i miei genitori e le mie sorelle Marta e Laura che mi hanno sempre supportato in questi lunghi anni di università, incoraggiandomi nei momenti pesanti e spronandomi a fare sempre del mio meglio;

Tutti i miei compagni che mi hanno accompagnati durante il percorso, in particolare: Marilena che mi sopportata e supportata nei mie soliti momenti di ansia, ma anche nei momenti belli. Gaia, Riccardo, Luca e Claudia, compagni di progetti in questi anni di università;

Francesca, amica da sempre con cui condivido quasi tutto della mia vita;

Dani che mi ha sempre supportata durante tutto questo percorso e che mi supporti ogni giorno, grazie Ci.

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