Librino: un presente, per quale futuro?

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QUADRO COMPLESSIVO DELLA RICERCA .......................................................................................... PRESENTAZIONE ..........................................................................................................................................................

1 LA CITTÀ DI CATANIA E L’AREA METROPOLITANA 1.1 La città di Catania ...................................................................................................................................... 1.1.1 Evoluzione urbanistica ........................................................................................................... 1.1.2 Vicende urbanistiche contemporanee ...................................................................... 1.2 L’area metropolitana di Catania ..................................................................................................... 1.2.1 Riferimenti geografici e popolazione ........................................................................ 1.2.2 La rete delle infrastrutture ................................................................................................. 1.2.3 Lo scenario economico attuale ........................................................................................

2 NASCITA DEL QUARTIERE E DESCRIZIONE DELLA SUA STRUTTURAZIONE 2.1 I quartieri di periferia delle grandi città .................................................................................. 2.2 Analisi storica................................................................................................................................................. 2.3 Struttura urbanistica e condizioni abitative..........................................................................

3 LA STRUTTURA DELLA POPOLAZIONE DEL QUARTIERE 3.1 Scomposizione per fasce d’età ......................................................................................................... 3.2 La tipologie delle famiglie .................................................................................................................. 3.3 I ruoli all’interno della famiglia ...................................................................................................... 3.4 Differenze e tensioni all’interno del quartiere ................................................................... 3.5 Linguaggi e lingue.....................................................................................................................................

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4 L’ECONOMIA DEL QUARTIERE 4.1 Introduzione generale. E’ già difficile parlare di un’economia a Librino .................................................................................................................... 4.2 Il quadro economico di Librino: dati e tentativi di interpretazione .................................................................................................. 4.2.1 Occupazione ................................................................................................................................... 4.2.2 Attività economiche e incidenza sui consumi, sul commercio e le attività produttive....................................................................... 4.2.3 Per tentare di capire ................................................................................................................ 4.2.4 Il denaro pubblico ...................................................................................................................... 4.3 Il quadro economico di Librino: dati e tentativi di interpretazione...................... 4.3.1 L’esperienza di Fiumara d’Arte ........................................................................................ 4.3.2 Il recupero degli antichi mestieri artigianali .........................................................

5 GLI UNIVERSI CULTURALI 5.1 Ripresa degli elementi descrittivi delle diversità culturali a Librino .................. 5.1.1 Le diverse culture di provenienza ................................................................................. 5.1.2 E tuttavia nasce una certa omologazione .............................................................. 5.1.3 La scuola agenzia culturale e non solo ..................................................................... 5.1.4 I vissuti culturali a Librino .................................................................................................... 5.1.5 La religiosità, tra tradizioni e feste ..............................................................................

6 SICUREZZA E INSICUREZZA 6.1 Premesse per non scadere negli stereotipi............................................................................. 6.2 La sorgente della presenza mafiosa a Librino ..................................................................... 6.3 Il fascino della mafia sulle nuove generazioni .................................................................... 6.4 Come vive chi subisce la presenza mafiosa ............................................................................ 6.5 Abusivismo .......................................................................................................................................................

7 I MONDI ASSOCIATIVI 7.1 Breve mappa delle associazioni operanti a Librino.................................................................... 7.1.1 Associazioni che nel passato hanno avuto una presenza significativa .............................................................................................................. 7.2 Le presenze religiose................................................................................................................................. 7.2.1 Il mondo cattolico 7.2.2 Altre confessioni..........................................................................................................................

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8 LE RISORSE ISTITUZIONALI 8.1 Le istituzioni nel quartiere ..................................................................................................................

CONCLUSIONI ................................................................................................................................................................. BIBLIOGRAFIA MAPPE

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LA CITTÀ ABBANDONATA Dove sono e come cambiano le periferie italiane Il quadro complessivo della ricerca A cura di Caritas Italiana e dell’équipe di ricerca del progetto “Aree Metropolitane”

PREMESSA « Da tempo le Caritas diocesane hanno posto a servizio della Chiesa e della società luoghi particolari di accoglienza e dialogo con i poveri: i Centri di Ascolto. Progressivamente diffusi su tutto il territorio nazionale –se ne contano oggi circa 3.000 – i Centri di Ascolto rappresentano, con gli Osservatori delle Povertà e delle Risorse, uno dei più capillari e dettagliati sistemi di osservazione e monitoraggio delle dinamiche sociali di povertà ed impoverimento, e soprattutto un presidio di relazione costante con le persone costrette a vivere in tali condizioni. È attraverso i Centri di Ascolto che, negli ultimi anni, sono arrivati dalle grandi città segnali inequivocabili di un mutamento sensibile e preoccupante delle forme del disagio in aree della metropoli coincidenti in parte con le tradizionali “periferie”, in parte con zone non ritenute periferiche ma sottoposte comunque a forti transizioni.

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Donne e uomini, intere famiglie, anziani e giovani che sino a pochi anni fa non erano considerati potenziali destinatari per i Centri di Ascolto ed i servizi delle parrocchie hanno cominciato ad affacciarsi con le proprie storie, i bisogni, domande sempre più complesse e incalzanti. Per le Caritas delle aree metropolitane assumere la cura di queste persone ha significato anche farsi carico del loro disorientamento dinanzi alla «città difficile» - come l’ha definita il Card. Carlo Maria Martini - che è diventata la metropoli globalizzata contemporanea. Un disorientamento divenuto presto anche nostro, da cui è maturata l’esigenza di ricorrere alle scienze sociali per capire e discernere. Non è sufficiente, infatti, abbandonarsi alle sole suggestioni. È necessario provare ad indagare i fenomeni e a strutturare con competenza e serietà percorsi e proposte che possano incidere sul loro corso, specie se si tratta di contrastare povertà materiali ed esistenziali che costringono le persone in situazioni di progressiva dis-umanizzazione. La capacità di svelamento della sociologia, con l’affidabilità garantita dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è parsa la chiave di lettura migliore per affrontare la «questione delle periferie». Un problema non certo recente, ma che assume forme e modi che richiedono approcci e risposte nuove. Alla base, il radicamento in un’antropologia precisa, qual è il personalismo cristiano, e in un metodo di ricerca e azione che ha nel Magistero Sociale della Chiesa Cattolica la sua guida fondamentale. É cominciato così un ampio progetto, denominato «Aree Metropolitane» e sostenuto dalla Conferenza Episcopale Italiana con i fondi derivanti dall’otto per mille. Si tratta principalmente di un’indagine vissuta sul campo dai ricercatori e dagli operatori delle Caritas diocesane; un viaggio nella «città abbandonata» che è dentro le nostre città, per progettare e cominciare ad agire percorsi di umanizzazione e cambiamento.»1 Come bene mette in evidenza Mons. Nozza, Direttore di Caritas Italiana, nella sua postfazione al volume “La città abbandonata”, che raccoglie il frutto complessivo del lavoro svolto, Un lungo viaggio ci ha portato dentro quartieri contrassegnati da molti problemi e molte assenze, posti sotto tensione dalle spinte contraddittorie tra il globale e il locale. Si tratta di quartieri non omogenei, come potrebbe sembrare a prima vista guardandoli dall’esterno: periferie geografiche e sociali, collocate talvolta ai margini della città, talaltra prossime al suo centro, eppure marginali rispetto a quest’ultimo. Il lavoro sui quartieri di periferia ha preso le mosse dalla constatazione del condensarsi, nei contesti urbani, dei risvolti maggiormente problematici delle trasformazioni globali in atto, nei termini di una crescita delle forme di povertà, dell’a1 Vittorio Nozza, Dentro la città abbandonata, postfazione in “La città abbandonata”, Bologna, Il Mulino 2007 pagg 503-504

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cutizzarsi del processo di frammentazione dei territori con spazi e popolazioni sempre più eterogenee, dell’incrinarsi dei legami sociali, del rafforzarsi di marginalità di vario tipo. Si tratta di processi che contrassegnano le periferie, ma che riguardano, più in generale, la stessa città e che ritroviamo con sorpresa anche nei quartieri più centrali. Begato (Genova), Zen (Palermo), Scampia (Napoli), Librino (Catania), San Paolo (Bari); e ancora, Barriera di Milano (Torino), Isolotto e le sue nuove zone di espansione (Firenze), Esquilino (Roma), ex-zona 13 di Milano con le aree di Forlanini-Taliedo-Ponte Lambro, Navile (Bologna): questi sono i nomi dei quartieri oggetto di un impegnativo lavoro di ricerca che rappresenta il frutto di una felice collaborazione tra Caritas Italiana e Università Cattolica di Milano. L’intero percorso di ricerca – della durata di due anni - è stato messo a fuoco e condiviso, oltre che da Caritas Italiana e dall’équipe dei ricercatori dell’Università Cattolica2, dalle Caritas diocesane delle città interessate3 insieme ai ricercatori locali4. L’équipe dell’Università Cattolica e i ricercatori locali hanno svolto insieme le ripetute visite etnografiche in ogni periferia, utilizzando contemporaneamente diverse tecniche di ricerca: lunghe osservazioni e interviste in profondità agli abitanti dei quartieri e ai rappresentanti di enti, gruppi sociali e istituzioni locali; innumerevoli dialoghi informali nei luoghi meno consueti e nei tempi più impensati; interviste mobili per ascoltare la descrizione del quartiere da chi ci abita e ricostruire il legame tra gli spazi del proprio contesto e le esperienze soggettive; raccolta di materiale statistico e documentario su ogni area; focus group con gruppi diversi; attraversamenti del territorio realizzati in orari diversi e in modi diversi. Per ogni realtà è stato successivamente redatto un Rapporto di Ricerca da parte dei ricercatori locali. Sulla base di questi elaborati e delle ricognizioni sul campo è stata inoltre elaborata una analisi comparativa da parte dell’èquipe di Milano5.

2 L’équipe dell’Università Cattolica è composta da Mauro Magatti, che ha diretto e coordinato il lavoro scientifico della ricerca, Patrizia Cappelletti, Chiara Giaccardi, Monica Martinelli, Simone Tosoni. 3 La ricerca è stata infatti accompagnata anche dai lavori interni a Caritas Italiana del “Tavolo Aree Metropolitane” composto dai Direttori delle Caritas diocesane. 4 I ricercatori locali sono: Tiziana Ciampolini (Torino), Francesca Angelini e Lucia Foglino (Genova), Meri Salati (Milano), Elena Rossini (Bologna), Annalisa Tonnarelli (Firenze), Fabio Vando (Roma), Giuseppe Vanzanella (Napoli), Fausta Scardigno e Francesca Bottalico (Bari), Giuliana Gianino (Catania), Giuseppe Mattina (Palermo). 5 Il volume che presenta l’analisi nazionale nel suo insieme è curato da Magatti M., La città abbandonata. Dove sono e come cambiano le periferie italiane, Il Mulino, Bologna, 2007. Al volume è allegato un Cd-Rom che contiene i testi dei dieci Rapporti di Ricerca locali completi di un’ampia selezione di grafici, tabelle e del materiale fotografico raccolto nei quartieri visitati.

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L’IMPORTANZA DI OCCUPARCI DELLA CITTÀ Il lungo viaggio che abbiamo compiuto stimola alcune riflessioni che cerchiamo di sintetizzare in queste pagine ripercorrendo, a grandi linee, i temi di fondo emersi dalla ricognizione sul campo. Si tratta di riflessioni che possono aiutare a definire modi di presenza e linee di azione. Anzitutto ci sembra utile sottolineare che guardare le periferie significa guardare la città: la vita urbana sta subendo un profondo mutamento. La città – intesa come luogo in cui si incontrano e si confrontano le macro trasformazioni con la vita delle persone e dei gruppi – costituisce oggi la nuova questione sociale. Se guardiamo poi a molti paesi del mondo, i processi di trasformazione delle città appaiono così radicali da creare aggregazioni urbane, come le megalopoli, che palesemente contraddicono l’idea stessa di città, almeno nel senso in cui è stata pensata nella tradizione occidentale. In Italia, la situazione rimane ben diversa. Nei centri storici delle città del nostro paese sono ancora ben riconoscibili le tracce (anche materiali) di un passato nel quale la città è stata un luogo di incontro e di scambio, un grande laboratorio nel quale si sono create condizioni favorevoli alla convivenza e alla convivialità. Tracce che danno ancora oggi un contributo essenziale per sostenere elevati livelli di socialità e qualità della vita. Concentrandosi sulle dieci città più grandi del nostro paese, la ricerca ha preso avvio proprio dalla preoccupazione circa il futuro di questa storia: il destino che ci aspetta è quello di una radicalizzazione delle disuguaglianze e di una spaccatura sempre più profonda tra ricchi e poveri, tra aree residenziali e zone impenetrabili – come sta avvenendo in molte realtà urbane del pianeta - oppure possiamo sperare in una evoluzione differente che fa leva sulla capacità integrativa della città e sulla sua storia? Nel momento in cui si è andata concretizzando l’ipotesi di un lavoro di ricerca nelle periferie di dieci grandi città italiane, non era ancora scoppiata la nuova ondata di rivolte giovanili nelle banlieue parigine e, di conseguenza, non si erano ancora accesi i riflettori sulle periferie italiane: queste ultime, al pari del caso francese, possono divenire dei focolai di tensione e conflitto al di fuori di ogni controllo? Come ricercatori abbiamo cercato di prendere sul serio tali interrogativi, a partire dall’ipotesi che se, da un lato, la situazione italiana è meno esplosiva di quanto avviene altrove, dall’altro, essa non è certamente meno preoccupante: le “città-mondo” del nostro tempo – città che riflettono cioè al loro interno le caratteristiche di quanto avviene su scala più ampia - sembrano riprodurre continuamente al loro interno processi di periferizzazione che dividono i quartieri e gli interi contesti urbani. Tali dinamiche ridisegnano disuguaglianze e divaricazioni sociali, formano nuove dipendenze, acuiscono l’incrinarsi della socialità, rafforzano marginalizzazioni e impoverimento di pezzi di società.

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Certe tendenze interessano sia le periferie che il centro delle città, tanto che il termine “periferia” è inadeguato per cogliere quanto sta accadendo. La ricerca ha dimostrato che la scelta di non limitarsi a studiare le periferie in senso classico – ossia le aree che sono geograficamente distanti dal centro - si è rivelata fertile: facendoci entrare nel corpo vivo della città contemporanea, questa scelta ha consentito di confrontarsi con l’intensità e multidimensionalità dei mutamenti in atto e, in alcuni casi, la loro drammaticità. Si tratta infatti di processi trasversali alla città stessa, che si possono ritrovare un po’ ovunque. Tuttavia è proprio nei quartieri che abbiamo definito “sensibili” – come diremo tra breve che quanto non riesce a salire sul treno veloce dei flussi globali viene raccolto ed ammassato ed è qui, pertanto, che tutti gli effetti e le contraddizioni si fanno più evidenti e leggibili.

DALLE “PERIFERIE” AI “QUARTIERI SENSIBILI” Le trasformazioni che attraversano le città contemporanee possono essere, più in particolare, sintetizzate con riferimento a due grandi processi: crescente mobilità (di persone e di informazioni, di capitali e di merci) e crescente connessione con l’esterno. Di conseguenza, alcune aree urbane che sono maggiormente collegate con altre città e altri contesti si trovano ad essere giustapposte ad altre zone che rimangono invece isolate. Alcune aree, cioè, vedono cambiare le funzioni esercitate in passato: in certi casi, per esempio, le vecchie fabbriche, ormai dismesse e collocate perlopiù nelle periferie, divengono oggetto di ingenti investimenti che collocano all’interno dei vecchi capannoni nuove funzioni (centri commerciali, show-room di moda, alberghi, centri congressi, ecc.) e attirano nuove popolazioni che transitano nel quartiere senza tuttavia sostarvi. Altre aree, magari attigue, subiscono al contrario un impoverimento e vengono ancor più marginalizzate, finendo per essere dei concentrati di gruppi problematici, di categorie che sono disfunzionali rispetto alla vita sociale contemporanea e come tali scarsamente o per nulla integrate. Tutto ciò modifica, a poco a poco, il volto della città. L’aspetto forse più importante è, come abbiamo già evidenziato, la crisi del tradizionale schema “centroperiferia”. Con tale affermazione non si vuole dire che non esistano più centri o che le periferie non siano più ben riconoscibili. Basta fare un giro dentro una qualunque realtà urbana per rendersi conto quanto sarebbe azzardato sostenere una tale tesi. Ma il punto è che nei centri come nelle periferie si sperimentano le stesse patologie. Inoltre, l’idea di un centro socialmente integrato e di una periferia pericolosa e disgregata coglie con sempre minore precisione la realtà contemporanea. Quest’ultima è sempre più fatta di isole, disordinatamente messe una di fianco all’altra a pochi metri di distanza, in una totale incomunicabilità.

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Per questo sarebbe sbagliato limitarsi a studiare “le periferie”, cioè quelle zone costruite ai margini della città moderna sulla base di programmi di sviluppo urbanistico più o meno viziati dalle proiezioni utopistiche dei decenni ’60-‘70. Capire cosa accade in questi quartieri è senz’altro importante, soprattutto per verificare se essi sono destinati ad essere soltanto dei contenitori di popolazioni residuali e di problemi. Ma, detto questo, occorre essere consapevoli che i processi di marginalizzazione, impoverimento, segregazione, disgregazione, si stanno verificando anche altrove, in quartieri “più centrali”, dove non ci aspetteremmo di incontrare questo tipo di dinamiche. Nell’insieme, abbiamo quindi definito questi quartieri come “quartieri” o “aree sensibili” che si caratterizzano, a prescindere dalla loro collocazione topografica sulla pianta della città di appartenenza, per la presenza simultanea, anche se variabile, di una molteplicità di fattori di debolezza: dal punto di vista abitativo, con quote elevate di edilizia popolare; da quello sociale, con un’alta incidenza di gruppi deboli e collocati al margine per il grado di disagio esperito; da quello culturale, con la concentrazione di popolazione a basso titolo di studio; da quello infrastrutturale, con una scarsa dotazione di strade, trasporti e istituzioni pubbliche; da quello economico, con la diffusione di economia informale e illegale. Per condurre la ricerca sono stati quindi individuati dieci quartieri sensibili in altrettante città italiane, a loro volta raggruppati in due sottoinsiemi: il primo costituito da periferie in senso classico – aree situate lontane dal centro, sviluppatesi tra gli anni ’60 e ’70 sulla base di un progetto insediativo unitario6; il secondo costituito da aree più diversificate, meno caratterizzate dal punto di vista spaziale, ma considerate particolarmente problematiche nella fase storica contemporanea7. Nello studiare queste realtà ci si è sforzati di non dimenticare l’importanza della storia delle singole città, delle loro culture, delle politiche messe in atto dalle istituzioni pubbliche, del contributo dei vari attori sociali. In particolare, si è tenuto conto del fatto che sul campo le persone che vivono in questi quartieri cercano di trovare delle strategie di mediazione tra le trasformazioni che accadono intorno e la vita concreta, strategie che possono dar vita a forme di autoorganizzazione sociale (come le forme associative, i comitati di quartiere, le forme di auto-aiuto, la presenza delle comunità ecclesiali) oppure a momenti di aggregazione (quali la festa o la protesta).

6 Si tratta dei quartieri di Begato, Genova; Scampia, Napoli; San Paolo, Bari; Librino, Catania; Zen, Palermo. 7 Barriera di Milano, Torino; ex-zona 13, Milano; Navile, Bologna; Isolotto, Firenze; Esquilino, Roma.

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Obiettivo della ricerca è stato quello di verificare se, al di là delle tante differenze, siano riscontrabili delle tendenze generali che interessano tutte queste aree e soprattutto se è possibile riscontrare una convergenza tra i vari quartieri sensibili attorno ad un modello comune.

CENNI DI STORIA: DALL’UTOPIA RAZIONALISTA ALLA CITTÀ A PROGETTO La costruzione delle nuove periferie in Italia, nei decenni del secondo dopoguerra, è stata influenzata da progetti che concepivano la pianificazione urbana sulla base di un’utopia, quella di realizzare nuovi quartieri modello, autosufficienti, simbolo di un progresso che avrebbe dovuto scalzare tutti i segni di arretratezza economica e tutte le tracce di tradizionalismo culturale. Lo stato nazionale, attraverso il suo potere di indirizzo e di azione, gestiva questa pianificazione secondo una logica che dal governo centrale distribuiva risorse e compiti agli enti locali e agli istituti delle case popolari allo scopo di realizzare i nuovi insediamenti urbani in tempi brevi e a costi il più possibile contenuti. Ma un tale approccio ha progressivamente mostrato segnali di debolezza a motivo di contraddizioni interne e trasformazioni esterne. Internamente, la realizzazione dei grandi progetti degli anni ’60 e ’70 ha infatti tradito le promesse: la pretesa utopica di plasmare la realtà a partire da un modello ideale ha spesso prodotto dei mostri, con i quali peraltro si dovrà fare i conti ancora per molti anni: le idee passano, i palazzi rimangono. Tanto più che, in Italia in modo particolare, la regia istituzionale forte del governo centrale è spesso rimasta poco più di una pia aspirazione; il che ha generato ampi spazi vuoti divenuti campo di conquista per poteri illegali contrapposti allo stato. Ma, al di là dei risvolti più deteriori, rimane il fatto che quel periodo lascia una pesante eredità: quelli che avrebbero dovuto essere quartieri-modello, funzionali e autosufficienti, pensati per popolazioni socialmente integrate, con il tempo hanno visto invece concentrarsi popolazioni accomunate solo dal disagio. Esternamente - anche in reazione a tali fallimenti - gli ultimi due decenni hanno visto il ridimensionamento del ruolo della politica del governo centrale a vantaggio di altri attori, soprattutto economici che hanno trovato, in diversi contesti periferici, interessi ad investire per trasformare vecchie aree industriali o zone vuote in bacini per nuove forme di economia non legate al contesto ma a reti globali. Ciò ha provocato, tra le altre, due conseguenze. La prima è che l’indirizzo e il controllo di quanto avviene nella città non vengono più dati dal governo centrale, ma passano nelle mani di una pluralità di soggetti: si diffonde l’ipotesi che il sistema urbano possa funzionare meglio superando le relazioni di tipo gerarchico e rendendo flessibili le collaborazioni tra vari attori, stimolando così la diversità e la creatività. E, infatti, sono diversi

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gli attori che entrano in scena per governare la città: oltre ai comuni (che guadagnano centralità, come diremo tra breve), vi sono imprese e multinazionali, società private e singoli imprenditori, con il risultato che le decisioni sono spesso solo debolmente coordinate e non sempre prese da coloro che rappresentano democraticamente i cittadini, ma appunto dislocate in altri contesti e sulla base di calcoli e interessi di altro genere. La seconda conseguenza è che le città vedono crescere i loro compiti e le loro responsabilità: se prima era lo stato a dover mediare tra il livello sovralocale (globale o nazionale) e quello locale - soprattutto mediante la distribuzione delle risorse dal centro alla periferia – sono ora i municipi a guadagnare autonomia. In questo quadro, agli amministratori locali è chiesto di rilanciare la propria città posizionandola dentro uno scacchiere internazionale e, per far ciò, di diventare imprenditori capaci di stringere alleanze per attirare capitali pubblici, ma soprattutto privati (collegandosi ad attori economici extralocali), di formare agenzie per stimolare la riqualificazione delle aree dismesse, di costruire nuove infrastrutture o ristrutturare il patrimonio immobiliare. Dalla pianificazione razionalista e centralizzata, con pochi e ben definiti attori, si è passati così ad una logica più fluida e negoziale. In questo nuovo scenario, le istituzioni perdono il loro ruolo di guida per divenire meri facilitatori dell’interazione flessibile e temporanea tra attori sovranazionali (in primis, l’Unione Europea con i suoi programmi di sostegno allo sviluppo locale), governi nazionali, enti regionali e locali, imprenditori tradizionali e nuovi attori economici flessibili (inseriti in reti internazionali), associazioni e organizzazioni non governative. Finita l’epoca della pianificazione urbana e delle periferie immaginate come città-satellite imponenti e autonome, la fase contemporanea si caratterizza per insediamenti che divengono disorganici, pensati secondo la logica del progetto. Questa logica immagina realizzazioni puntuali, diversificate e disorganiche, pensate non tanto a partire dalle esigenze di una località ma con riferimento a collegamenti esterni (per esempio, i nodi globali del consumo o dell’economia, ecc.) e a esigenze contingenti, legate agli interessi emergenti dell’uno o dell’altro interlocutore che intende investire in una area urbana per riqualificarla. Quello che accade all’interno della città oggi non è quindi né pianificato né riconducibile ad una logica unitaria. Per definizione, la “città per progetti” rinuncia ad ogni disegno integrato, divenendo la sommatoria di tante decisioni plurali, orientate da scopi e interessi variegati. A diventare centrale per lo sviluppo urbano è la sua capacità di connessione nei sistemi della produzione della ricchezza globale, cioè la capacità di un territorio di stabilire legami funzionali con altri contesti. Per i temi di cui ci siamo occupati nella ricerca, ci sono almeno due implicazioni che meritano di essere sottolineate. La prima è che l’idea stessa di connessione sposta il baricentro fuori dalla città

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e ne lega i destini ad attori e interessi che la trascendono. La seconda è che le connessioni attuali, legate a funzioni particolari (es. produzione di servizi, consumo, ecc.), prescindono da un luogo e quindi non favoriscono la costruzione di legami sociali dentro una località, mentre tendono a mobilitare flussi di popolazione mobile e differenziata che transita senza radicarsi. Il che significa che tali connessioni stabiliscono una scarsissima relazione con il territorio in cui sorgono. Il risultato è – lo ribadiamo ancora - l’indebolimento del tradizionale schema centro-periferia, che – per alcuni aspetti almeno – appare troppo rigido per dar conto di quanto sta accadendo nelle città contemporanee. Ci sono pezzi di periferia che diventano dei nuovi centri e ci sono aree centrali che rischiano la marginalizzazione. Per questa ragione, i quartieri studiati non hanno potuto essere considerati territori semplicemente “satellitari” nei confronti del rispettivo centro-città. In qualche caso – come a Begato (Genova) – questo collegamento sembra non esserci addirittura più, quasi che il quartiere sia lasciato andare alla deriva, senza legami né sociali né funzionali con il resto della città; in altri casi, il punto di gravità rispetto al quale il quartiere ruota non è più il centro, ma realtà geograficamente distanti, che stanno in altre parti del mondo: si pensi alla exzona 13 di Milano, dove le trasformazioni di alcune porzioni del quartiere sono il portato del loro collegamento con i circuiti dell’economia globale, o a Scampia, la cui vita quotidiana è plasmata dalle reti criminali con alleanze e scambi su scala internazionale. E tutto ciò nel quadro di un più generale processo di disgregazione dei territori e delle loro comunità che, pur se in forma lieve rispetto ad altri contesti geografici, tende a manifestarsi anche in Italia.

TIPI E RAGGIO DELLE CONNESSIONI CON L’ESTERNO Il bilancio di questa nuova fase, almeno per i territori che abbiamo preso in considerazione, risulta essere problematico. In termini generali, l’evoluzione recente si traduce per lo più in una semplice dislocazione dei processi decisionali in sedi lontane dalla negoziazione pubblica: come abbiamo già messo in luce, le decisioni sul destino di quei pezzi di città che sono le periferie e i quartieri sensibili vengono prese spesso altrove rispetto al contesto politico tradizionale. Di fatto, a guadagnare spazio d’azione sono soprattutto gli attori economici, gli unici in grado di mettere in circolazione quelle risorse di cui le amministrazioni locali vanno in cerca. Il che vuol dire che diventa più difficile rappresentare gli interessi delle popolazioni e delle aree più fragili e marginali. Peraltro, nei confronti di molti dei quartieri che abbiamo considerato, rischia di non esserci mai un interlocutore interessato ad investire, perché non esiste un interesse economico capace di sostenere la trasformazione. E

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d’altra parte, da sola, l’iniziativa pubblica rischia di non avere risorse sufficienti per impostare programmi adeguati di riqualificazione urbana. In questo modo, nella maggior parte dei casi, se da una parte ciò protegge queste aree dalle spinte disgregative che attraversano le periferie ove tali interessi invece si condensano, dall’altra le condanna ad una marginalità sempre più spinta. Questa tendenza si aggrava laddove molte zone dopo il declino dell’industria stanno subendo uno svuotamento delle funzioni svolte un tempo (quando erano periferie operaie) e delle popolazioni che le abitavano, senza che, nella maggior parte dei casi, si sviluppino nuove opportunità legate all’individuazione di una qualche nuova funzione che il territorio potrebbe svolgere. In effetti, la ricerca mostra chiaramente che alcuni dei quartieri studiati – specie le periferie classiche – stanno perdendo progressivamente contatto rispetto alle zone più dinamiche della città. Quanto più elevato è il grado di disconnessione con la città, tanto più alto è il rischio di assumere le sembianze di quartieri-ghetto. Forse il quartiere che più si avvicina a questa realtà è quello di Begato dove la separazione dal resto del mondo produce una realtà totalmente disgregata all’interno e dove persino la violenza è puramente casuale: non vi sono motivi per andare a Begato e da Begato si esce poco, per cui questa intransitività interna ed esterna sembra determinare l’impoverimento di qualunque forma di socialità. Tuttavia, si deve sottolineare che, anche quando le cose vanno meglio e questo effetto di esclusione non si produce – con l’integrazione, almeno parziale, dei quartieri nei processi di mutamento – affiorano altri tipi di problemi. Vi sono prima di tutto connessioni di segno negativo: un caso emblematico è soprattutto quello di Scampia, al quale si possono aggiungere però anche il San Paolo, lo Zen e il Librino, dove la connessione garantita dai gruppi criminali all’interno dei circuiti internazionali della droga genera mondi illegali che tendono a produrre una propria organizzazione autonoma e impenetrabile dall’esterno. Vi sono poi connessioni che non incidono sul territorio circostante. Non è raro aver trovato nuovi insediamenti che non producono nulla sulla vita del quartiere, cattedrali nel deserto che potrebbero essere dislocate ovunque: come nel caso degli studi (di moda, high tech, strutture convegnistiche) di via Mecenate a Milano (nella ex-zona 13), che costituiscono un mondo a parte rispetto alla zona di edilizia popolare della Trecca, situata a poche decine di metri, ove si concentrano i casi di marginalità e disagio. In situazioni di questo genere, la nascita di nuove funzioni si limita a punteggiare il territorio di presenze estranee. Le cose vanno peggio quando i quartieri sono investiti da ristrutturazioni che hanno un effetto disgregativo sulle comunità abitative, con una sistematica sottovalutazione del loro impatto sociale. Il problema in questi casi è che gli abitanti sono semplici recettori passivi, oltre che, in buona parte, impreparati a beneficia-

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re delle opportunità che si vengono a creare. Questo effetto è visibile soprattutto nei cinque quartieri meno segregati, nei quali l’individuazione di nuove funzioni tendono a determinare proprio una forte disgregazione culturale e sociale. Abbiamo rilevato ciò a proposito delle trasformazioni indotte dall’esterno e che si sono prodotte nelle varie parti della già richiamata ex-zona13 di Milano, trasformazioni che hanno determinato lo smembramento dell’identità del quartiere senza alcun lavoro di ricucitura. O a quanto sta accadendo a Bologna, Firenze o Torino, dove i quartieri studiati sono investiti dalla riorganizzazione urbana senza un’adeguata mediazione tra le ragioni di tali decisioni e la vita delle comunità abitative. Il che finisce col generare incertezza e perdita di identità. Anche laddove le politiche urbane si sforzano di adottare un approccio integrato, che espressamente coinvolge i gruppi della società civile locale e i singoli cittadini nelle decisioni sul quartiere, si incontrano comunque molte difficoltà. E ciò non solo perché le forme comunicative volte a collegare i vari settori interessati risultano spesso inefficaci, ma anche perché le procedure di rappresentanza vengono di solito avviate in ritardo rispetto agli interventi urbanistici, economicamente più allettanti (come è avvenuto nel caso dei diversi forum sociali o laboratori di quartiere, costituiti dopo l’avvio di azioni di ristrutturazione su immobili o di costruzione di nuove aree nel quartiere). Il che sfilaccia la già precaria fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Il quadro si complica ulteriormente tenendo conto che la disponibilità di una determinata risorsa di connessione non si traduce immediatamente e automaticamente in un coinvolgimento di tutte le popolazioni del quartiere. Si pensi, ad esempio, a Palermo e a Catania. Il quartiere Zen, da un punto di vista logistico, è oggi connesso al centro città attraverso un’ampia arteria stradale a scorrimento veloce, ma al tempo stesso poveramente servito dal trasporto pubblico: in questa situazione, la disponibilità di un’automobile di proprietà è l’elemento che definisce concretamente il livello di connessione dei residenti rispetto alla città, mentre la cattiva fama del quartiere deprime qualunque flusso dal centro della città verso questa zona. Allo stesso modo, al Librino di Catania la disponibilità di un lavoro fisso (che distingue gli occupanti di case di proprietà, localizzate in aree riconoscibili del quartiere, rispetto agli inquilini delle case popolari o agli abusivi) disloca in modo opposto queste due popolazioni: la prima proiettata all’esterno del territorio (non solo per il lavoro o lo studio, ma anche per le reti di socialità, tanto che il quartiere viene utilizzato solo come dormitorio); la seconda popolazione segregata al suo interno, quasi incatenata ad un luogo senza possibilità e prospettive di uscita. Se vogliamo leggere i quartieri sensibili delle nostre città e le dinamiche che si producono al loro interno è dunque necessario tenere presente il tipo e il raggio delle connessioni che esistono tra il quartiere, il resto della città e altri centri dislocati nel mondo e la composizione interna tra le diverse popolazioni.

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Nell’insieme, la ricerca giunge alla conclusione che i quartieri considerati sembrano soffrire di una deprivazione di spazialità (e relative opportunità): tanti gli spazi vuoti e anonimi, senza verde o luoghi in cui incontrarsi; pochi gli spazi con cui ci si riconosce e si possa identificarsi; allontanamento dai luoghi di origine; scarse opportunità di mobilità fisica e sociale; confinamento nella località; senso di segregazione.

L’ARRETRAMENTO DELLA MEDIAZIONE ISTITUZIONALE E LA PERCEZIONE DELL’INSICUREZZA Le deboli e incerte connessioni di cui dispongono i quartieri studiati non sono l’unico fattore di debolezza. Il quadro infatti sarebbe incompleto se non si prendesse in considerazione anche l’arretramento della capacità di mediazione offerta dalle istituzioni pubbliche. Persino nelle periferie che presentano una storia di partecipazione e collaborazione tra cittadini e istituzioni politiche, lo spazio pubblico scarseggia e più che in luoghi specifici (come la piazza ove ci si incontrava e si facevano le assemblee di quartiere, le sedi del partito o del sindacato, i circoli del dopo-lavoro, i luoghi aggregativi, ecc.) si colloca in alcune relazioni, ossia nella capacità di mediazione politica di alcuni personaggi “storici” che hanno incarnato l’istituzione dentro il quartiere. La loro uscita di scena, legata al ricambio generazionale, genera un senso di incertezza e il timore di uno sgretolamento delle conquiste del passato. Al di là di questi casi, la situazione è persino peggiore. Su questo tema la ricerca ci dice che gran parte degli abitanti dei quartieri studiati non ha l’idea di vivere in un contesto strutturato attorno a una rete di istituzioni presente nel territorio, bensì in un luogo in cui tutto viene invece destituito: persino quando viene nominato uno spazio (per esempio, un palazzo, erigendolo a sede del comando delle forze dell’ordine, o a una piazza, destinandola al mercato settimanale) non sempre vi è la corrispondenza tra il nome dato a quello spazio e la realtà, rafforzando quindi l’assenza delle istituzioni, del loro ruolo di guida e orientamento alla vita collettiva, e la percezione, da parte degli abitanti, della loro distanza. In queste zone, la debolezza delle istituzioni pubbliche – a partire da quelle deputate alla sicurezza - ha un’implicazione precisa, e cioè che la propria vita è esposta all’ignoto, senza alcuna mediazione o protezione istituzionale. L’indebolimento dell’intermediazione istituzionale ha diverse conseguenze negative, tra cui il fatto che chi vive in questi quartieri ha la sensazione di essere superfluo, cioè privo di interlocutori e quindi privo di voce. La debolezza delle agenzie e dei soggetti di mediazione istituzionale comporta inoltre una caduta di interesse per il bene comune e la vita pubblica, caduta

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alimentata dalla assenza di luoghi pubblici dove ci si possa riconoscere come cittadini. In questa situazione non stupisce che la partecipazione politica sia praticamente nulla, tenuto conto che tra la popolazione è molto forte la convinzione che i politici si occupino di periferie solo in campagna elettorale e che le loro promesse siano regolarmente disattese. Ciò alimenta prima di tutto la disillusione, il che rende più difficile l’attuazione di qualunque azione positiva: prima ancora di costruire la fiducia occorre, infatti, contrastare la diffidenza degli abitanti, ormai abituati a essere illusi da promesse, annunci, operazioni di immagine e strumentalizzazioni elettoralistiche. Inevitabilmente, questa crisi di fiducia alimenta un diffuso senso di insicurezza che costituisce uno degli aspetti più evidenti della vita nei quartieri studiati. La paura degli altri si accentua in un contesto nel quale si ritiene che le istituzioni non sappiano o non vogliano fare il loro dovere. Come dimostra l’ambivalente atteggiamento verso le forze dell’ordine, viste come l’ultimo baluardo di fronte al degrado che avanza e insieme entità enigmatiche, di cui sfugge la logica d’azione, alle quali quindi contrapporsi. In questo panorama deprimente, merita di essere sottolineato il fatto che la scuola venga in molti casi segnalata come una realtà positiva, che riesce ancora a creare forme di aggregazione allargata e a promuovere iniziative che coinvolgono gli abitanti. Avvantaggiandosi del suo diffuso radicamento nel territorio, la scuola è spesso l’unico punto di tenuta e l’unico anello di collegamento tra le popolazioni rinchiuse nel quartiere e le istituzioni pubbliche. Anche se non sempre riesce ad assolvere questo difficile compito, la ricerca mostra che, nelle aree più diseredate del paese, proprio questa è considerata l’istituzione pubblica per eccellenza. Da questo punto di vista, la scuola continua a costituire una risorsa preziosa sulla quale occorre contare e dalla quale è comunque indispensabile partire per qualunque progetto che voglia davvero prendere a cuore i destini di chi vive nei quartieri sensibili. In alcune aree, il ritiro dello stato è arrivato al punto da creare le condizioni ideali per il rafforzamento di vere e proprie contro-istituzioni che si fondano sul potere illegale e la violenza organizzata che si esprime in tante forme. Soprattutto nelle periferie del Sud, segnate dalla grave questione della mancanza del lavoro, le reti dell’illegalità costituiscono un mondo istituzionalizzato parallelo e sostitutivo rispetto a quello ufficiale, capace di fornire anche garanzie di sicurezza, opportunità di “carriera” e di miglioramento delle condizioni esistenziali, e perfino una sorta di “welfare sociale alternativo” in grado di provvedere, anche economicamente, al sostentamento degli orfani, delle vedove, delle famiglie di chi è in carcere. E’ triste dover riconoscere che nei quartieri dominati da organizzazioni malavitose regna un certo ordine, per quanto criminoso, capace di assicurare qualche tipo di garanzia a chi vi si sottomette.

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VERSO UN MODELLO COMUNE ALLE DIVERSE REALTÀ La ricerca ha constatato che tra periferie tradizionali e quartieri storici c’è una convergenza verso un modello che è caratterizzato dalla crescita dell’eterogeneità della popolazione e dell’illeggibilità del territorio. Dentro qualunque realtà - tanto quelle dure di Genova, Palermo, Catania, Napoli, Bari, quanto quelle dotate di maggiori risorse e per certi versi meno critiche come Torino, Milano, Firenze, Bologna, Roma - è possibile osservare profonde differenziazioni interne. In quasi tutti i quartieri studiati, esistono differenze legate al tipo di abitazione di cui si dispone (da un lato, vi sono gli abitanti delle case popolari e, dall’altro, quelli delle case private o costruite dalle cooperative), alla fascia generazionale (giovani, anziani, adulti), alla provenienza territoriale d’origine e alla appartenenza etnica. Uno dei principali risultati della ricerca è la crisi dell’omogeneità interna ai vari quartieri che, pur se in modo problematico, era stata storicamente un elemento distintivo delle periferie del secondo dopoguerra. Al contrario, quello che emerge è il dissolvimento delle culture omogenee e la giustapposizione delle culture dei diversi gruppi che si spartiscono il territorio: anziani, giovani, comunità etniche, zingari, gruppi criminali. Gli effetti di questa eterogeneizzazione si vedono più chiaramente nei quartieri che dispongono di una loro storia e di una loro identità, da sempre quartieri “di passaggio” e quindi compositi e plurali (soprattutto il Navile e l’Isolotto), ma non per questo incapaci di comporre questa pluralità attorno a centri di aggregazione forti (la fabbrica e la chiesa). Oggi la caduta dei tradizionali fattori di integrazione, l’innesto di nuovi elementi funzionali (come ad esempio una tangenziale, un centro commerciale, una stazione), l’ingresso di popolazioni “estranee” (gli stranieri, chi viene da fuori solo perché i prezzi sono bassi, le nuove generazioni che non sanno raccogliere l’eredità e l’identità storica), rendono difficile la riproduzione del modello integrativo consolidato, facendo esplodere l’eterogeneità. Ciò spinge anche questi quartieri in spirali di degrado impressionantemente simili a quelle registrate nelle periferie che hanno un retroterra storico molto più debole: il venir meno dei luoghi e delle risorse per la produzione o riproduzione di un capitale culturale locale, i processi di disintegrazione delle culture, il rapido mutamento e l’irriconoscibilità del quartiere sotto la spinta dell’arrivo di popolazioni straniere insieme al senso di esproprio del territorio da parte dei residenti storici, sono tutti fenomeni che fanno convergere le aree studiate verso comuni processi di marginalizzazione e invisibilizzazione. La seconda componente del modello emergente consiste nella crescente illeggibilità interna dei quartieri. Da un lato, i quartieri studiati risultano poco leggibili, perché totalmente immanenti a loro stessi, iperlocali: si sa muovere al loro

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interno solo chi ci vive; difficile per chi viene da fuori capire il territorio, attraversarlo con disinvoltura (in alcuni casi non esistono nemmeno i nomi delle vie, i numeri civici, una piazza di riferimento, ecc.). Questi territori sono come dei testi che nascono già prevedendo di non avere lettori. Dall’altro lato, essi rappresentano “frammenti dispersi”, sempre più isolati e tendenzialmente alla deriva, o comunque disomogenei e disconnessi persino al proprio interno. Tale mancanza di leggibilità e la deriva dell’autoreferenzialità sono visibili in una serie di aspetti evidenti a chi percorre i quartieri (quando è possibile farlo). Nelle aree osservate, lo spazio urbano è pieno di segni che ne scoraggiano la lettura o che la indirizzano verso significati negativi. Per esempio, in molti quartieri, soprattutto quelli più connessi funzionalmente e storicamente meno problematici, sono sempre più evidenti i segni della progressiva estraneità del quartiere a se stesso: lingue estranee e sconosciute, insegne rivolte solo a chi le sa leggere, comportamenti e usanze esotiche - tutti segni che accrescono la percezione di una violazione del proprio spazio vitale da parte degli abitanti. In altri quartieri, ossia nelle periferie classiche, i segni di una deriva crescente sono visibili nell’abbandono di molte aree, utilizzate a discariche di oggetti di ogni tipo, assenza di spazi in cui incontrarsi, impersonalità dei luoghi, difficoltà ad orientarsi.

LA QUESTIONE DELLA POVERTÀ: STRATI DI DEPRIVAZIONE E SENSO DI INGABBIAMENTO La ricerca ci ha consentito di approfondire l’analisi su un altro aspetto che viene sempre enfatizzato quando si parla di periferie, e cioè la questione della deprivazione e della povertà. Essa ha mostrato il peso delle variabili di contesto, permettendo in particolare di distinguere cinque diverse dimensioni della povertà, variamente combinate nelle realtà indagate: povertà economica (scarsità di lavoro regolare, di un reddito sicuro, ecc.), urbanistica (assenza di abitazioni adeguate o in buono stato, assenza di spazi urbani comuni, ecc.), istituzionale (assenza o scarsa presenza delle istituzioni sul territorio e/o una presenza invece di reti mafiose di vario genere), socio-culturale (livelli di istruzione bassa, dispersione scolastica diffusa, arretratezza culturale e riproduzione di schemi ormai superati), relazionale (assenza di un capitale sociale fatto di relazioni di fiducia su cui poter contare, solitudine esistenziale, disgregazione famigliare o legami famigliari opprimenti, ecc.). Nascere e crescere in un contesto dove si concentrano tutti questi fattori problematici non è solo un obiettivo svantaggio dal punto di vista delle opportunità, ma espone anche a conseguenze significative sul piano più personale, incidendo sul sistema delle percezioni e delle aspettative. Il riconoscimento dell’importanza del contesto presenta alcune implicazioni che meritano di essere sottolineate.

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Un primo aspetto riguarda la dimensione economico-materiale che, per quanto rilevante, non può essere mai considerata isolatamente. L’analisi etnografica ci ha condotto a vedere la presenza di situazioni gravissime di miseria e abbandono. Ma l’osservazione ha anche mostrato che ampie quote di queste popolazioni riescono, per una strada o per l’altra, ad avere accesso ai consumi. In tutti i casi, l’aspetto economico non può essere considerato a prescindere dalle altre dimensioni; e questo perché, nei quartieri studiati, la povertà assume la forma del nodo: essa si presenta come una combinazione negativa che, per essere affrontata, deve essere sciolta, cioè rimessa in movimento mediante un intervento che tocchi contemporaneamente diversi aspetti. Questa affermazione trova conferma nella varietà delle condizioni di vita e dei livelli di povertà che la ricerca ha rilevato, con la compresenza di strati di povertà di diversa gravità che sembrano convivere anche a pochi metri di distanza senza nessuna relazione l’uno con l’altro. Tali strati sono: • i “respinti”, ossia gruppi che occupano nicchie di povertà estrema, che assommano un po’ tutte le dimensioni della deprivazione: da quella economica a quella socio-culturale; da quella relazionale a quella abitativa sino a quella istituzionale, il tutto aggravato da un contesto ambientale debole e sfrangiato; • i “viaggiatori di seconda classe”, quote di popolazione marginale che, da un lato, dispongono di risorse economiche e relazionali tali da poter avere un discreto accesso ai consumi, grazie soprattutto alla combinazione di opportunità offerte dall’attività informale, precaria, irregolare e in qualche caso delinquenziale; e che, dall’altro, hanno un capitale culturale e istituzionale così limitato da essere confinato all’interno di questi circuiti, con una crescente separatezza dal contesto circostante; • gli “eredi del welfare”, gruppi ad elevata vulnerabilità, costituiti da anziani, da percettori di rimesse pubbliche (pensioni di anzianità o di invalidità, sussidi, ecc.), adulti disoccupati. Si tratta di persone che dispongono di risorse limitate dal punto di vista economico (di solito la combinazione famigliare di lavoro precario e pensioni pubbliche), abitativo (con disponibilità di casa popolare), socioculturale (con problemi di accesso all’istruzione) e una calante protezione istituzionale. Questa condizione di precarietà non impedisce la ricerca di equilibri esistenziali sensati, che però restano costitutivamente fragili, anche a causa di un contesto ambientale negativo e della riduzione delle protezioni pubbliche; • gli “alloggiati”, gruppi solo relativamente deboli dal punto di vista economico e socio-culturale e che cercano di sfruttare la deprivazione del territorio – come, ad esempio, i minori costi della casa - per seguire strategie individuali o famigliari di benessere economico o mobilità sociale. Spesso questi gruppi tendono a isolarsi dal contesto verso il quale si sentono solo debolmente obbligati, utilizzando il quartiere perlopiù solo come dormitorio.

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La povertà di chi abita nei quartieri sensibili si acuisce per il fatto di essere associata con l’immobilità, che costituisce un vero e proprio moltiplicatore di deprivazione. In alcuni casi – si pensi agli anziani – si tratta di vera e propria immobilità fisica; più spesso, di immobilità sociale, cioè dell’impossibilità di uscire dalla situazione nella quale ci si trova intrappolati. La concentrazione spaziale di tutta una serie di condizioni negative, unitamente alla modificazione di tutta una serie di condizioni istituzionali intervenuta nella società nel suo insieme (si pensi prima di tutto alla flessibilizzazione del mercato del lavoro e alla privatizzazione del mercato della casa), fanno sì che il quartiere spesso si trasformi in una sorta di prigione, un destino dal quale non si può scappare. L’ipotesi di emigrare avrebbe bisogno di disporre di appoggi esterni – come, ad esempio, un lavoro regolare e a tempo indeterminato - che sono sempre più difficili da trovare soprattutto per una popolazione che soffre di una grave debolezza costitutiva. Il risultato è il diffondersi di un cinismo adattivo, che esprime il senso di imprigionamento che molti abitanti così fortemente avvertono.

LA VIA DI FUGA IMMAGINARIA: I CONSUMI E I MEDIA E’ interessante osservare che, rispetto alla diffusa percezione di immobilità, l’unica dimensione che sembra capace di attenuare – ancorché in modo solo apparente e ambivalente – lo stato di disagio è quella dei media e dei consumi. Si tratta di ambiti che più diffusamente consentono l’accesso al mondo esterno, con la definizione di un qualche tipo di legame e senso di appartenenza. A chi vive in quartieri difficili, questi due canali danno inoltre la sensazione di poter colmare la distanza che li separa dagli altri. In effetti, nella vita quotidiana delle persone che abbiamo incontrato, il mercato e (soprattutto) i centri commerciali sono due luoghi essenziali per la socialità e la riproduzione culturale. Ma sono solo i secondi che riescono a infondere in chi li frequenta un senso di sicurezza e a produrre, per il solo fatto di sentirsi circondati da persone (per quanto sconosciute) con cui si condivide uno stesso tipo di azione, una pur tenue idea di collettività e appartenenza. Per chi può permetterselo, poi, l’atto del consumo contribuisce alla gratificante duplice sensazione dell’azione individuale (l’acquisto è comunque una forma di azione) e della partecipazione a un’attività collettiva, per quanto svolta individualmente, favorita dalla simultaneità e dalla compresenza di altri consumatori. In mancanza di spazi pubblici che favoriscano una partecipazione basata sull’azione collettiva finalizzata a un bene comune, l’accesso ai luoghi di consumo è un surrogato di un riconoscimento sociale che su altri piani è completamente assente: come dire che è solo nel momento in cui si è consumatori che è davvero possibile sentirsi uguali agli altri.

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Un analogo discorso può essere svolto per la televisione, uno spazio pubblico virtuale che produce l’illusione di essere comunità. La televisione scandisce il tempo vuoto delle periferie più deprivate e fornisce risorse simboliche accessibili e in un certo senso consolatorie. I programmi più seguiti (come i reality show) riproducono, su un palcoscenico più grande e in forma più accattivante, quelle stesse condizioni di segregazione che gli abitanti dei quartieri più isolati vivono quotidianamente sulla propria pelle: “pubblico” è, in questo caso, ciò che amplifica i vissuti individuali (compreso il desiderio di diventare protagonisti di quegli stessi programmi) e li rappresenta su un palcoscenico illuminato, facendoli uscire dall’invisibilità e, soprattutto, trasformando lo stigma del recluso in apprezzamento e in motivo di interesse per altri. Nell’insieme, i consumi e i media offrono una via di fuga (virtuale più che reale) dal quartiere. Via di fuga dalle sue brutture e dall’immobilità sociale che produce. Il che, da un lato, permette di ridurre la tensione e creare una qualche parvenza di integrazione e legame sociale con l’esterno. Al contempo, però, questi stessi canali erodono le culture locali, che pure, in molti casi, hanno costituito e costituiscono ancora un fattore di integrazione. Ma media e consumi hanno anche un altro effetto sui quartieri sensibili, a causa della stigmatizzazione dei loro abitanti che di continuo riproducono. Nel sistema dei media, i quartieri sensibili sono stati, in qualche caso, messi sotto i riflettori con fine spregiativo: le parti negative e problematiche del quartiere sono state presentate come il tutto, a discapito quindi di chi, al suo interno, cerca di sollevare la testa. Nel regime dei consumi, invece, i quartieri appaiono anche agli occhi dei propri abitanti come luoghi dell’assenza e dell’arretratezza, perché mancanti appunto di possibilità in grado di mettere nelle condizione di disporre di beni di consumo ad ampio raggio. Tutto ciò costringe gli abitanti a doversi confrontare con un dilemma: o negare la propria identità (come, in effetti, molti cercano di fare) oppure esagerarla e radicalizzarla, rendendola una cattiva identità. Paradossalmente, il misurarsi con un tale dilemma rischia di diventare l’unica risorsa culturale con cui confrontarsi.

GLI ESITI INTERNI: SOFFERENZA ANTROPOLOGICA E ESILIO DELLA SOCIALITÀ L’esclusione dai processi di connessione funzionale e strutturale, la crescente debolezza delle istituzioni, la concentrazione di deprivazione e povertà, l’evasione surrogatoria attraverso i media e i consumi, contribuiscono a spiegare il collasso della socialità, dei legami sociali, che la ricerca ha registrato in molte delle realtà osservate. Storicamente, la forza e la specificità della città europea sono derivate dalla sua

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capacità di articolare le diverse sfere della vita personale e collettiva – politica, religiosa, economica, artistica, abitativa ricreativa – all’interno di un humus comune che rendeva possibile la partecipazione e rafforzava la socialità. E’ per questa ragione che i contesti urbani sono sempre stati un terreno particolarmente fertile per la produzione e la riproduzione delle relazioni sociali, pubbliche oltre che private: al di là dei tanti problemi, la città ha generato forme stabilizzate ed integrative di prossimità e di solidarietà. Forme che divenivano poi riferimenti per la costruzione dell’identità, nonché concreti sostegni nei momenti di fragilità e canale di formazione dei gruppi sociali della società civile (di natura religiosa e laica) in grado di raccogliere le esigenze individuali in una domanda collettiva. All’interno dei quartieri studiati, la dinamica della frammentazione, di cui si è detto nei paragrafi precedenti, erode questa tradizionale funzione di habitat della socialità tipica della città. La mobilità di beni, persone, capitali, idee, progetti, che transitano in alcune aree osservate, senza tuttavia creare benefici per chi vive in quelle aree; la trasformazione, in altri quartieri, della sedentarietà in una chiusura che cerca riparo dall’illeggibilità dell’ambiente esterno; gli effetti della globalizzazione che scaricano proprio nei contesti urbani le contraddizioni sistemiche (ad esempio, migrazione di popolazioni in eccesso, pluriuniversi culturali che si trovano semplicemente giustapposti senza possibilità di comunicazione e comprensione reciproca, trasformazioni del mondo del lavoro che concentrano nelle città gli eccessi di povertà e ricchezza), sono tutti fattori che concorrono ad ostacolare la possibilità dell’incontro tra persone e a complicare la convivenza, soprattutto in assenza di una mediazione istituzionale in grado di costruire dei percorsi di integrazione per i gruppi che vivono in un territorio. Il che si traduce in una sofferenza antropologica, di cui molte delle persone che abbiamo incontrato portano evidenti segni. Tutto ciò contribuisce a determinare una sorta di “collasso della socialità”. Di fronte ad un contesto illeggibile e minaccioso, sul quale non si ha alcun potere e verso il quale si è completamente esposti senza istituzioni in grado di offrire qualche protezione, è forte la tentazione di sprofondarsi in un microcosmo regolato da codici conosciuti, un universo ristretto dentro il quale ci si immerge, accettandolo così com’è. Traditi dalle istituzioni tradizionali che avevano garantito percorsi di vita prevedibili, legge e ordine, coesione e solidarietà sociale; isolati in un contesto di vita respingente, in un orizzonte di precarietà crescente e di dipendenza da interventi assistenziali altrettanto precari; privati della prospettiva di una qualunque mobilità sociale e in molti casi anche fisica, si sopravvive ricreando microclimi di socialità tra uguali, dove la complessità e l’eterogeneità del mondo vengono escluse dalle proprie esperienze di vita. Quando ciò accade si assiste alla nascita di vere e proprie isole ad alta densità simbolica e relazionale, incapaci, tuttavia, di relazionarsi con l’esterno.

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Un tale adattamento nasce anche dal non riuscire più a condividere il proprio mondo vitale con quello di coloro che vivono sullo stesso territorio, con i quali ormai c’è ben poco in comune. Di fronte ad un contesto altamente problematico, l’adattamento più diffuso è quello dell’estraneamento, che porta a evitare qualunque coinvolgimento con l’ambiente circostante. L’obiettivo è quello di non venire contaminati: quando si può, si lavora fuori, si mandano i figli a scuola in un altro quartiere, ci si barrica nel proprio condominio recintato. Il che porta fino a negare di abitare nel quartiere che ha uno stigma negativo – come la ricerca ha documentato, è assai diffusa la tendenza a nascondere il proprio domicilio o semplicemente a usare strategie comunicative volte alla dissimulazione – oppure a rifiutare di vedere i problemi presenti nella situazione in cui si vive, come è capitato incontrando abitanti che si stupivano dell’immagine negativa del quartiere o della presenza di ingenti sacche di povertà nelle vie o nei palazzi poco distanti da casa propria o dalla propria parrocchia. La logica dell’estraneamento produce due possibili esiti che si ricollegano a vere e proprie strategie di suddivisione in micro-zone del territorio, fino a che quest’ultimo rischia di frammentarsi ancora di più e di spezzarsi su se stesso. La prima strategia tende a creare una differenziazione interna per blocchi, per aree di grande o medio taglio percepite come omogenee e i cui confini, rinforzati simbolicamente dagli abitanti, sembrano separare i destini di chi è chiamato ad abitarvi: tipicamente, si tratta del tentativo di definire “zone riconoscibili” che possono essere tali per la diversa natura proprietaria degli immobili – ad esempio, con la netta distinzione tra i blocchi ad edilizia privata o convenzionata, le aree funzionalmente connesse con il mondo esterno, i nuclei insediativi originari (dove esistenti), nettamente differenziati anche a livello architettonico rispetto al resto del quartiere dove sono diffuse le abitazioni popolari o abusive – oppure per la presenza di gruppi della criminalità organizzata in grado di controllare intere porzioni di territorio – con la netta distinzione, in questo caso, di zone non penetrabili, considerate come ricettacolo di tutti i mali del quartiere. La costruzione di tali blocchi porta a tracciare una mappa cognitiva condivisa, lungo confini invisibili ma perfettamente operanti, che segmenta il quartiere e che arriva sino a definire percorsi personali – di vita quotidiana e di destino sociale – del tutto separati e tra loro incompatibili: chi vive nelle case private o a edilizia convenzionata prende le distanze da chi vive nelle case popolari; chi ha la possibilità di connettersi con il mondo esterno (attraverso un lavoro, un impegno, reti amicali, ecc.) non si identifica né con il quartiere né con il suo destino. In alcuni casi, ciò dà luogo ad una “contiguità disconnessa”, con “isole” di differenza (come gli spazi impenetrabili dei portici a Bari, per esempio) o di estraneità totale (come i campi Rom un po’ ovunque, con la parziale eccezione di Firenze; la comunità cinese con le sue attività a Roma, Torino, Bologna; le ville con piscina subito fuori lo Zen 2).

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La seconda strategia consiste, invece, in una vera e propria polverizzazione che tende a spezzare il territorio in zone a grana ancora più fine, con tagli che vanno dalla via ad un angolo di strada, da un palazzo alla presenza di particolari luoghi di incontro sul territorio. Il senso di isolamento, l’estraneità per ciò che sta intorno, la percezione di un’insicurezza o, talvolta, il desiderio di sottrarre alla visibilità i propri traffici (leciti o illeciti), producono molteplici segni di auto-segregazione e sfiducia: inferriate, filo spinato, cancelli e lucchetti sui pianerottoli, citofoni dietro griglie murate (in particolare a Bari, Palermo, Genova, Napoli). In generale, si registra un progressivo ritrarsi della socialità, i cui spazi, quando ci sono, appaiono come sprofondati in micro contesti locali, privi di legami sia rispetto alla vita sociale (al lavoro, alla scuola, ecc.) sia rispetto al mondo più ampio (tutto ciò che sta fuori dal quartiere). I rapporti tra le persone – comunque difficili e avvelenati dalla diffidenza - si riducono per lo più in spazi interstiziali (il privato, l’informale) e tendono a diventare quasi superflui. Così, contrariamente ad alcune fasi del passato, quando la solidarietà di vicinato e la cultura di quartiere erano in grado di rappresentare una scialuppa di salvataggio nei momenti difficili dell’esistenza, oggi per gli individui che vivono nei quartieri sensibili sembrano venire meno anche queste risorse: l’atomizzazione e la solitudine pervadono tutte le pieghe della vita quotidiana e in modo macroscopico intaccano il benessere e la qualità della vita. Nelle situazioni più gravi, l’esito è la completa residualità, con quartieri che arrivano a diventare zone morte, di pura sopravvivenza, dove persino la socialità quotidiana del faccia-a-faccia fatica a radicarsi e a riprodursi, tanto ostile è il contesto in cui si dovrebbe sviluppare.

SULLA RELAZIONE DENTRO FUORI: SOSPENSIONE, RISENTIMENTO, VIOLENZA Allo stato attuale, i quartieri sensibili delle città italiane più che contenitori di rabbia e disperazione – da cui possano emanare conflitti urbani violenti e organizzati – sembrano depositi di sfiducia e depressione, nei quali il rischio è quello di una deriva di microconflittualità interna e violenza diffusa. Il tessuto sociale appare così sfilacciato e i mondi di vita così poveri da rendere improbabile il sorgere di qualche conflitto organizzato. Lo sfaldamento dei territori e la loro disconnessione con l’esterno – costanti dell’intera ricerca – espongono chi vive nei quartieri di periferia a una situazione di sospensione dove diventa difficile riuscire a disporre di qualche tipo di ancoraggio o di riferimento. Questa condizione di sospensione significa stare contemporaneamente in due regimi diversi: con un piede nel disagio del mondo

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reale nel quale si vive la propria vita quotidiana e con l’altro nello spazio estetico dei media e dei consumi, i quali peraltro contribuiscono a ributtare addosso un’immagine stigmatizzata del quartiere e dei suoi abitanti che imprigiona ancora di più in una situazione senza via d’uscita. La ricerca ha anche messo in luce la presenza di condizioni di vita che superano l’immaginabile e, più in generale, un’evidente difficoltà di interi gruppi sociali a pensarsi dentro una comunità più ampia della quale sentirsi parte. Questa condizione tende a creare una frattura che chiede di essere ricomposta se non si vuole accettare di imboccare una strada che rinnega la nostra storia e che rischia di essere senza ritorno. Rispetto a queste contraddizioni, a prevalere è un diffuso risentimento nei confronti sia di coloro con cui si condivide la sorte – specchio della condizione precaria e impresentabile da cui si vorrebbe fuggire - sia della società nel suo insieme – luogo di un desiderio che non potrà mai essere soddisfatto. Tale risentimento si manifesta sotto una duplice modalità. La prima è quella protettiva e nostalgica: anche se deprivato, il quartiere diventa un piccolo nido, il mondo accogliente nel quale si può sopravvivere, in contrapposizione al mondo esterno, verso il quale si sviluppa un atteggiamento di crescente distanza e strumentalità. Quando ciò accade, nel quartiere sensibile si può sviluppare una cultura della marginalità che fa del localismo la sua bandiera. La seconda assume invece i tratti dell’esibizione provocatoria di un’identità negativa che, in mancanza di altre risorse, diventa un mezzo di auto-affermazione. E ciò sia all’interno del quartiere – con l’adozione di comportamenti provocatori che cercano di stabilire un ordine locale alla realtà – sia all’esterno – con la contrapposizione tra gli abitanti del quartiere e il resto del mondo. A partire da tutto ciò diventa poi possibile spiegare anche gli scenari della violenza che possono essere associati a tre dinamiche principali. La prima ha a che fare con la chiusura del rapporto con l’esterno e la formazione e il radicamento di poteri criminosi, di solito collegati a traffici internazionali, in grado di controllare il territorio e di detenere una sorta di monopolio della violenza. Quando ciò avviene – come nel caso esemplare di Scampia – il quartiere tende a produrre un’organizzazione autonoma, con una propria cultura, una propria economia, una propria protezione sociale. La violenza in questo quadro è controllata e per lo più rivolta verso l’esterno (le organizzazioni criminose hanno tutto l’interesse a tenere tranquillo il territorio dove comandano), salvo nel momento in cui si scatena una lotta di potere. La seconda dinamica è anch’essa segno di una distanza crescente tra il dentro e il fuori, distanza che si traduce in una disgregazione del tessuto e dei suoi rapporti così radicale da generare una violenza casuale, priva di qualunque logica. Quando ciò avviene, ci si ritrova di fronte a una situazione che genera un senso di terrore, dato che si vive in un territorio dove non si sa che cosa ci si possa

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aspettare. Si esce di casa e si può incappare in una guerra tra bande, in un atto di bullismo, in una rissa occasionale. Begato, a Genova, è l’esempio più impressionante di questa situazione. La terza dinamica ha a che fare con una improvvisa connessione con i flussi su scala globale, siano essi di persone, di informazioni o di culture. Di fronte a ciò, anche laddove vi è una storia alle spalle che è stata capace di integrare, a certe condizioni, le popolazioni locali provenienti da contesti eterogenei, ci si trova senza risorse sufficienti per affrontare la nuova condizione. Il più recente arrivo di portatori di una storia diversa, di culture altre o di interessi che nulla hanno a che fare con il quartiere genera pertanto disagio e smarrimento insieme alla sensazione di una violazione del proprio territorio e della propria identità. L’eterogeneizzazione culturale diviene un ingombro quotidiano impossibile da ignorare, cosicché – come mostra il caso emblematico dell’Esquilino a Roma – al sentimento di invasione segue quello della paura da cui un allarme, non sempre realmente giustificato, per la sicurezza: se il conflitto non è palese, ciò non significa assenza di violenza, costellata da atteggiamenti e gesti di indifferenza, costruzione di confini, non riconoscimento e negazione dell’altro che - occupando vie, piazze, case e scuole - spinge alla periferia del proprio spazio vitale. In tutte queste dinamiche, i punti spaziali e simbolici di contatto tra il dentro il fuori producono specifiche forme di violenza. Tra questi punti di contatto che uniscono i quartieri sensibili al mondo circostante, vi sono soprattutto la scuola – che mette in relazione i criteri di giudizio esterni con la realtà dei quartieri - e i mezzi di trasporto - che fisicamente uniscono questi mondi a parte con il resto della città. Questi punti hanno la caratteristica di essere confini, soglie che rendono visibili le differenze, ma al tempo stesso ambienti che confermano la distanza tra il dentro e il fuori: la scuola perché rende manifesta l’inadeguatezza dei ragazzi rispetto alle richieste del mondo circostante; i mezzi di trasporto perché ricordano che, se da un lato i media e i consumi sembrano abbattere la distanza con l’esterno, dall’altro, la realtà concreta mostra invece che tale distanza è tutt’altro che inesistente. In quanto soglie, questi luoghi permettono altresì di imporre, anche se solo per un attimo, la propria esistenza al mondo circostante che sistematicamente ignora gli abitanti delle periferie. Tutto ciò può spiegare perché la violenza che si concentra in questi luoghi ha la caratteristica della rabbia e dell’esibizione. Il San Paolo di Bari è il quartiere dove questa dinamica si manifesta più nitidamente.

LA SPIRALE DELL’ABBANDONO Se la natura e l’impatto delle connessioni con l’esterno sono elementi centrali della vita urbana contemporanea, la ricerca ci dice che, nei quartieri sensibili, quello che viene fatto in tale direzione è insufficiente.

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La gran parte dei quartieri studiati mostra, infatti, uno scarso livello di integrazione nei circuiti funzionali sulle diverse scale spaziali (che sia quella cittadina, quella nazionale o quella internazionale). Dagli aspetti infrastrutturali (strade, metropolitane, ecc.) a quelli strutturali (lavoro e economia) siamo di fronte a mondi che rimangono molto marginali, a volte esclusi. L’eredità del passato pesa come un macigno, perché la lontananza dal centro e la povertà urbanistica e sociale rendono queste aree scarsamente attrattive e precludono quella transitività e bidirezionalità – in uscita e in entrata - dei flussi di popolazione che è uno dei principali indicatori della vitalità urbana. Il fossato tra chi vive nelle zone più evolute e chi è bloccato nei contesti degradati tende ad allargarsi. Ciò finisce con l’alimentare quella che possiamo definire una spirale di abbandono. Per capire di cosa si tratta occorre andare per un attimo alla radice di questo termine che, come ci ricorda Nancy, è contenuta anche nella parola francese banlieue. Giocando sul fatto che in francese la radice del termine banlieue è la stessa di banal (banale), il filosofo francese ci dice che la disgregazione dei quartieri rimanda all’idea di banalizzazione del luogo che diviene cioè luogo senza alcuna originalità, luogo della frammentazione, dell’indifferenza, ove mettere al bando – abbandonare - intere categorie sociali. La spirale dell’ab-ban-dono è quella in cui sono avvitate tante città nel mondo e nella quale rischiano di avvitarsi le grandi città italiane. Da una parte, l’ab-ban-dono è soggettivamente vissuto da chi vive in queste enclave come il sentirsi prigionieri, nel non avere via di scampo, nel cogliere dallo sguardo esterno l’idea che si è solo un problema, nel vedere concretamente che le istituzioni hanno sempre minore interesse nei confronti di chi vive nei quartieri difficili. Nell’indebolirsi dei legami istituzionali, nella immobilità fisica e sociale degli abitanti, nell’irrilevanza dei propri mondi vitali rispetto ai contemporanei, diventa difficile conservare un minimo senso della propria vita oltre che di appartenenza ad una comunità politica più grande; ma questo non può non erodere il fondamento di qualunque senso di lealtà, di responsabilità, di bene comune. Dall’altra parte, per chi è esterno (sia dal punto di vista abitativo che dell’investimento soggettivo), l’ab-ban-dono significa la presa di distanza e la separazione dei destini propri da quelli altrui. Un atteggiamento che alla fine determina indifferenza e indisponibilità a farsi carico dei problemi della vita comune e a porre le questioni sociali nell’unica chiave di lettura della sicurezza. Anche da questo punto di vista si genera una crisi dell’idea di spazio pubblico e una sottrazione alla responsabilità del bene comune. Quando queste due dinamiche si combinano l’una con l’altra, esse danno vita ad una spirale negativa che fa sì che l’ab-ban-dono si traduca in una vera e propria “messa al bando” di questi quartieri e soprattutto dei gruppi che vi abitano, a prescindere dalla loro effettiva condizione.

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Ma ciò costituisce un boomerang, perché ban-dire interi gruppi e intere aree urbane significa accettare di creare dei ban-diti, cioè persone che agiscono al di fuori di un sistema di riconoscimento e di obbligazione reciproche. Assottigliare il substrato di significati e valori comuni non può che peggiorare le condizioni di vita di tutti. E’ proprio la distanza crescente tra chi sta dentro e chi sta fuori che spiega l’ampliarsi del risentimento e il diffondersi della violenza. Il fatto che, in questa situazione, venga messo sotto scacco l’idea di città come luogo della socialità e della cittadinanza ha come conseguenza la messa in discussione anche del senso di ciò che è o non è umano.

LEGATURE CHE TENGONO Il grado di avvitamento nella spirale dell’abbandono dei vari quartieri è naturalmente diverso. Ci sono differenze nei percorsi storici, nel patrimonio culturale, nella capacità delle istituzioni di svolgere comunque una funzione, nella presenza di connessioni funzionali con altri contesti esterni al quartiere. Inoltre, ci sono risorse interne e esterne che concretamente contribuiscono a “tenere” queste zone e, faticosamente, a ricostituire il senso di uno spazio pubblico e di bene comune. Ci sono ancora legature che contrastano la spirale dell’abbandono: pezzi di istituzione pubblica, come la scuola, che funzionano; amministrazioni locali che attivamente combattono il degrado; gruppi sociali che mantengono un forte radicamento nei territori e lavorano al suo interno per un riscatto e una valorizzazione; segmenti dell’opinione pubblica che rimangono attenti ai problemi dei quartieri sensibili. Sempre presente, anche se con forza e significati diversi, è la chiesa cattolica, l’unica realtà che conserva un suo radicamento capillare e che, proprio per questo, riesce a garantire una qualche forma di intervento significativa in tutti i quartieri. La ricerca mette in luce come la religione costituisce, in realtà, forse l’unico linguaggio – insieme a quello dei media e dei consumi - ancora in grado di intercettare le popolazioni che vivono in questi quartieri. Riproponendo le questioni fondamentali dell’esistenza, ricollegando gli elementi della tradizione alla vita quotidiana, indicando valori e norme di comportamento, offrendo la vicinanza e la testimonianza di persone dedicate e disinteressate, la chiesa costituisce spesso l’unico concreto segno di speranza in una realtà disperata. Da questo punto di vista, essa svolge un ruolo fondamentale perché garantisce una vicinanza che spesso è l’unico elemento di aggancio con il mondo esterno. E, tuttavia, anche questa preziosa presenza non è esente da debolezze. In primo luogo, vi sono difficoltà di ordine organizzativo, a causa della fragilità del tessuto parrocchiale e soprattutto della scarsa abitudine a lavorare in

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rete, sia a livello orizzontale – tra i vari operatori pastorali presenti sul territorio – sia a livello verticale – con gli uffici e le risorse che la diocesi potrebbe mettere a disposizione. La valorizzazione di questi legami è essenziale per rafforzare la capacità della chiesa di essere presente nei quartieri sensibili e di riuscire a svolgere in modo adeguato la propria opera. In secondo luogo, di fronte ad una realtà così disgregata, la stessa chiesa incontra serie difficoltà a continuare ad essere un fattore universalistico capace di ri-stabilire legami sociali al di là del microcosmo locale della parrocchia o del singolo gruppo. L’isolamento nel quale talora si trovano le comunità religiose attive sul territorio rischia di provocare il rifugio consolatorio nella dimensione emozionale di uno spiritualismo e di un ritualismo disincarnati o il cedimento alle strumentalizzazioni dei sistemi di potere radicati nei territori locali. Quando ciò accade, la chiesa perde se stessa e rinuncia alla propria missione. In terzo luogo, il discorso religioso deve misurarsi con la forza disgregatrice dei media e dei consumi, forza che, da un lato, sgretola le tradizioni culturali e che, dall’altro, le recupera in forma strumentale, considerandole come mera risorsa per soddisfare un’ansia di identità che offre l’impressione di dare delle risposte placando però solo momentaneamente quelli che sono in realtà bisogni più radicali. Anche in questo caso, è difficile per la chiesa trovare una misura che le permetta di difendersi dagli opposti estremismi di un relativismo radicale e di un fondamentalismo reattivo. Il discorso sulla chiesa introduce quello sugli altri soggetti della società civile e del terzo settore, spesso emanazione proprio del mondo ecclesiale. Una prima osservazione è che la debolezza delle istituzioni e la precarietà delle condizioni di vita si traducono in una fragilità anche della società civile. In effetti, la ricerca mostra che le forme di auto-organizzazione (che si esprimono in associazioni, cooperative, gruppi di volontariato, movimenti, ecc.) sono in genere fragili, eccezione fatta per i residui di precedenti forme sociali (come a Firenze e Bologna, dove il tessuto associativo riflette la fase storica precedente) o per le espressioni del mondo cattolico (Caritas parrocchiali o gruppi di volontariato). La ricerca mostra altresì che anche i soggetti del terzo settore riflettono la stessa debolezza ed estemporaneità che caratterizza queste aree. Se è vero, infatti, che il privato sociale riesce ancora a creare luoghi e iniziative vicine ai bisogni sociali inascoltati o insoddisfatti, d’altro canto, la frammentazione diffusa depriva queste risorse della potenziale forza delle reti collaborative e le trascina in azioni contingenti e improvvisate. Risucchiate in forme di collaborazione prevalentemente verticale - in cui il pubblico è il solo interlocutore per via dei finanziamenti – queste realtà non sono sempre immuni da una logica di puro accomodamento che consente al pubblico di giustificare il proprio arretramento dalle politiche di lotta alle povertà e alle organizzazioni non-profit di operare in grande autonomia, fino

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- in qualche caso - alla completa discrezionalità nell’utilizzo delle risorse pubbliche erogate. D’altro canto, le forme di collaborazione orizzontale tra gli stessi attori della società civile sono ancora poche, il che riduce la capacità di trovare soluzioni cooperative ai problemi comuni. In questo modo, il potenziale interno alla stessa società civile diminuisce notevolmente, disperdendo energie preziose dentro azioni particolaristiche e difensive, che rischiano di divenire non solo socialmente irrilevanti, ma anche poco civili. Peraltro, la debolezza del lavoro di rete, che accomuna organizzazioni di diversa ispirazione, impedisce alla società civile di avere una qualche influenza sul sistema politico e quindi di contribuire a innescare percorsi duraturi di cambiamento sociale.

FERMARE LA SPIRALE DELL’AB-BAN-DONO Se la situazione è quella che abbiamo cercato di delineare nel lavoro di ricerca condotto, occorre allora un salto di qualità nell’impostare gli interventi e la presenza nei quartieri sensibili. Per affrontare i problemi che abbiamo riscontrato occorre ri-creare connessioni e rifondare la socialità: per questo, il quadro che affiora ci porta a parlare dell’emergere di una questione antropologica. Non cambiano solo gli aspetti materiali delle città e delle periferie, ma viene messo in discussione anche il senso della vita personale e la natura dei rapporti sociali. C’è dunque bisogno di lavorare per ricostruire quel tessuto relazionale, istituzionale e culturale che appare, almeno in parte, compromesso dal processo di mutamento in atto. Inoltre, anche se la trasformazione che abbiamo registrato è solo all’inizio, non è da sottovalutare il fatto che, in quanto diretta espressione delle forze sistemiche che muovono il nostro tempo, il suo impatto potenziale è molto grande. Di fronte a realtà sociali già infragilite e con poche risorse, il processo di ricucitura dentro e fra i quartieri delle grandi città è un compito urgente che va però realizzato con gradualità, costanza e attenzione. Tenendo conto che, come l’esperienza del passato insegna, sarebbe sbagliato invocare interventi rigidi, imposti dall’alto, debitori della pretesa di modellare il reale. Concretamente, nel quadro storico in cui viviamo, occorre disporsi a utilizzare al meglio – in relazione alle questioni sollevate – la logica del progetto. E questo perché, di fronte alla complessità e alla frammentazione, la ricomposizione che il progetto è in grado di realizzare – temporanea e parziale - può rappresentare una strada percorribile, forse l’unica, soprattutto se si intende mobilitare le diffuse, anche se disperse, risorse esistenti. Tuttavia, come documenta la ricerca, se lasciata a se stessa, la logica del progetto determina tutta una serie di conseguenze negative, soprattutto nelle aree più fragili.

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Per evitare, o almeno attutire, tali effetti negativi, è essenziale che l’idea di progetto non sia ridotta a logiche meramente private o attente ai soli aspetti materiali, che non fanno altro che aggravare il problema della frammentazione, ma divenga uno strumento di ricomposizione della dimensione collettiva, anche se in forma dinamica e relativa. Per muoversi in questa direzione occorre rispettare alcune condizioni. Prima di tutto, è essenziale la capacità di definire obiettivi chiari e condivisi, in grado di adattarsi agli sviluppi che via via si definiscono. Il che significa, da un lato, evitare di prefissarsi obiettivi irrealistici o eccessivamente limitati, di solito riflesso degli interessi degli attori più potenti o esterni al quartiere. Dall’altro, evitare di irrigidire troppo i programmi, in modo tale da ridurre la possibilità che gli esiti siano diversi da quelli previsti. Si tratta piuttosto di individuare questioni unificanti che possano fungere da lente comune mediante cui filtrare esigenze e aspettative diverse e mobili. In secondo luogo, per potere raggiungere i suoi obiettivi, ma soprattutto per potere attivare dinamiche di partecipazione, il progetto deve riuscire a coinvolgere diversi tipi di attori – pubblici e privati, locali e extralocali, economici e sociali. L’elemento fondamentale per contrastare sia la marginalizzazione sia la frammentazione è la mobilitazione dei gruppi che vivono o che sono interessati ad un territorio o ad una sua parte: dato che la solidarietà di luogo non si dà più come fatto spontaneo, essa va ricreata di continuo ricostruendo le ragioni che possano giustificarla nel contesto attuale. Particolarmente importante è il ruolo giocato dai soggetti organizzati e, soprattutto, la loro capacità di essere mediatori tra più sfere istituzionali, flussi economici e luoghi sociali, al fine di ricomporre i mezzi e le risorse con la storia e le esigenze dei quartieri e dei suoi abitanti. In terzo luogo, occorre rifuggire progetti monotematici (incentrati su un solo obiettivo, vuoi la protezione sociale o la sicurezza, il lavoro, gli interventi urbanistici, ecc.), definiti solo dalla loro dimensione tecnico-funzionale o materiale. Nelle realtà che abbiamo studiato è impossibile stabilire la priorità logica di una dimensione (economica, abitativa, infrastrutturale) rispetto alle altre; così come è fuorviante assecondare esclusivamente i saperi esperti a scapito di quelli comuni. La scelta di fondo deve essere invece a favore di progetti che introducano elementi di connessione tra i diversi aspetti senza dimenticare la necessità di lavorare per ricucire la trama sociale, culturale, relazionale e istituzionale dei territori. Per ridurre i loro effetti disgregativi, i progetti vanno fatti dialogare con le agenzie e i luoghi della produzione del senso, che rimane un orizzonte ineludibile della vita sociale. Ecco perché va sottolineata in modo particolare l’importanza della dimensione simbolica nella definizione e realizzazione del progetto. Si tratta di cogliere l’importanza di riuscire a trasmettere, a partire da azioni concrete, simboli in grado di sostenere identità in movimento e un clima adatto alla

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cooperazione. Questo aspetto è fondamentale, perché la trasformazione in corso, come si visto, tende a lacerare qualunque realtà: per combattere tali esiti negativi occorre usare sapientemente le risorse simboliche, accompagnando le popolazioni a dotarsi, prima di tutto, dei criteri di comprensione di quello che sta accadendo e dei suoi significati e, in secondo luogo, ad acquisire le competenze sufficienti per far parte di una nuova dinamica sociale. Secondo quello che abbiamo cercato di mostrare in tutto il lavoro, la questione dei quartieri sensibili in Italia coincide, insomma, con la capacità di interrompere la spirale che tende a radicalizzare il senso reciproco di ab-ban-dono, il quale implica crisi della socialità, indebolimento dello spazio pubblico, perdita dell’idea di bene comune, confusione dei significati. La ricostituzione delle condizioni di una socialità positiva e l’impegno continuo volto a riconnettere i quartieri sensibili alla vita delle nostre città sembrano le due condizioni perché questo obiettivo possa essere raggiunto. Ci è parso utile premettere a ciascuno dei report locali queste considerazioni generali, che tentano di sintetizzare i contenuti emersi dal percorso di ricerca e possono essere utili per meglio inquadrare il lavoro di ciascun ricercatore locale, dai materiali prodotti dal quale l’elaborazione è dipesa. Il lettore, specie ove abbia a disposizione anche il volume de “La città abbandonata”, potrà trovare in questo rapporto locale non solo l’occasione di approfondire e comprendere meglio le dinamiche qui descritte entro un territorio particolare, ma, se avrà la bontà di considerare l’esperienza di ascolto e presenza diretta compiuta dai ricercatori, potrà anche provare ad “entrare” nel quartiere con una prospettiva nuova e particolare. Caritas Italiana ha intrapreso questo percorso per motivi essenzialmente pastorali, ed il progetto in cui la ricerca si colloca prosegue da essa con la realizzazione di opere segno ed azioni concrete per promuovere un cambiamento nei “quartieri sensibili”. E’ un’azione in cui Caritas e la Chiesa nel suo complesso non possono e non debbono essere sole, ma ricercare la compagnia di donne e uomini di buona volontà per camminare insieme a chi vive il disagio nelle tante “periferie” della contemporaneità. L’auspicio è quindi che con questo rapporto locale non termini un viaggio, ma ne cominci uno ancora più ricco, articolato e partecipato, che le Caritas Diocesane certamente sapranno assumere ed animare come loro compete.

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Presentazione

Sono lieto di presentare il report dal titolo “Librino: Un presente,per quale futuro?” che è frutto della scelta di Caritas Italiana di “fornire un quadro approfondito delle realtà periferiche italiane al fine di evidenziare i problemi della città a partire soprattutto dai processi di emarginazione e degrado, rischio e vulnerabilità”. La Caritas Diocesana di Catania, incoraggiando la pubblicazione di questo testo, ha inteso fornire uno strumento di riflessione attorno al quale la Chiesa e le istituzioni locali possono pensare le periferie non più come spazi di cemento e asfalto abitati da gente modesta da escludere, ma come luoghi in cui le persone amano, sperano, sognano, faticano e si disperano contro una città che li “accantona” e che spesso li tratta come “tubi digerenti” da riempire e bocche da cucire. Esso è anche la base scientifica sulla quale fondare la progettazione di un’opera segno che la Caritas, insieme a tutte le comunità parrocchiali e le forze sociali, promuoverà per consegnarsi ai nuovi scenari che il Signore vorrà disegnare a Librino. La presente pubblicazione si inserisce nel progetto di animazione della comunità ecclesiale al senso di carità. Questo significa educare a esprimere la propria fede scegliendo di vivere l’amore come solidarietà ai deboli, accoglienza, ascolto e capacità di “vedere” cosa accade nel proprio territorio. Testimoniare la carità è ripresentare l’amore di Dio ai fratelli, attraverso le parole, le scelte e i comportamenti. Parlare della vita che scorre a Librino contribuisce a chiarire che non è sufficiente vivere l’esperienza di Dio tra le mura della chiesa, ma nel territorio, dove incontriamo l’uomo che soffre, gioisce e spera. Le pagine di questo libro ci ricordano che le strade delle nostre periferie non sono meno Chiesa delle mura degli edifici di culto, ma anch’esse luoghi dove annunziare il Vangelo, spazi in cui incontrare il fratello “colpito dai briganti”, territori nel quale aiutare la gente a pregare. “Il

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Presentazione

tempio deve essere per il territorio, per mettere la comunità cristiana nelle condizioni di saper dire una “parola” fatta di immersione amorosa nelle pieghe della vita; di condivisione che scaturisce dal duplice ascolto continuo della vita e della Parola, dallo sguardo amoroso dei volti e dall’intuizione dei drammi, delle domande inespresse”( Cf. S. FERDINANDI, Radicati e fondati nella carità, 2006 EDB). I destinatari principali di questo libro sono tutte le comunità parrocchiali e in particolare i consigli pastorali parrocchiali. Attraverso questo strumento che non presenta soltanto dati numerici ma soprattutto storie della vita della gente che abita il territorio di Librino, ogni comunità potrà analizzarsi su alcune attenzioni: • Lo stile di prossimità: è bene interrogarsi sul grado di conoscenza dei “lontani”, dei poveri che vivono nel territorio e come vivere la legge dell’incarnazione: Dio che raggiunge l’uomo attraverso relazioni di prossimità e legami fino alla kenosi, che rivelano il suo amore di totale donazione; • La cura delle relazioni: come i battezzati che frequentano la parrocchia vivono i rapporti familiari e di buon vicinato? come aiutare la comunità a stabilire relazioni costruttive di dialogicità armoniosa? • L’attenzione alla cittadinanza territoriale: costruire una rete di relazioni con la società civile per rispondere, ognuno per la propria parte, alle istanze della gente che abita nel territorio. I cristiani diventano così ricostruttori sociali di legami forti, ricollocando al centro i più deboli, superando pietismi e assistenzialismi e puntando decisamente alla promozione della persona. Concludo ringraziando la carissima Giuliana Gianino per la passione con la quale ha condotto la ricerca e la progettazione pastorale dell’opera segno che seguirà. Ho letto spesso nei suoi occhi il dolore per le vite segnate dalla sofferenza, la speranza perché in Cristo si ricapitolano tutte le cose (Cf. Efesini 1,10), la voglia di esserci al servizio della gente semplice che sempre incoraggia e spinge a guardare verso orizzonti nuovi in cui il cielo è sempre più blu. Padre Valerio di Trapani Direttore Caritas Diocesana di Catania

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CAPITOLO 1

LA CITTÀ DI CATANIA E L’AREA METROPOLITANA

1.1 LA CITTÀ DI CATANIA 1.1.1 Evoluzione urbanistica Catania è posta sopra il lido verso la metà del lato orientale della Sicilia, sorge nelle estreme falde meridionali dell’ Etna che torreggia a sinistra alla distanza di venti miglia innalzando, e diminuendo progressivamente la sua massa isolata fino all’acuta e fumante cima che porta nelle regioni delle nuvole…8

Scriveva così, ai primi dell’Ottocento, il naturalista Francesco Ferrara, e già nel suo immaginifico linguaggio si possono cogliere due caratteristiche geografiche fondamentali che influenzarono l’impianto della città dal suo primo sorgere: la presenza del vulcano (e quindi la natura dei terreni che si estendono alle sue falde, resi estremamente fertili dalla erosione e trasformazione delle rocce di origine eruttiva avvenute nel corso delle ere geologiche), e quella del mare. In effetti il vulcano, che pur si presentò talvolta come un elemento di distruzione, ebbe influenza così favorevole sulle caratteristiche dei terreni che si estendono alle sue falde, che, insieme con la vicinanza del mare rese il sito adatto all’insediamento umano sin dalle epoche più antiche. In epoca greca questo si sviluppava attorno alla grandiosa Acropoli di Montevergine, la collina che formava la parte alta della città antica. Nonostante le numerose distruzioni subite dalla città a causa di sismi ed eruzioni laviche esi-

8 FRANCESCO FERRARA, cit. in SANTI CORRENTI, La città semprefiorente ed. Greco, 1976 Catania.

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La città di Catania e l’area metropolitana

stono ancora oggi alcuni monumenti che testimoniano l’importanza della Catania Greca9, così come numerosi sono i resti dell’epoca romana10 e del periodo medievale11. Fatta eccezione per questi monumenti isolati, testimoni di un importante passato, quasi nulla rimane dell’impianto viario della città antica e medievale: la Catania che conosciamo oggi è infatti una città settecentesca, in quanto il terribile terremoto del 1693 la rase al suolo completamente; essa fu ricostruita in situ per volere del duca di Camastra inviato dal vicerè Uzeda, che fissò le linee guida della ricostruzione12. Dopo il terremoto il piano di Camastra unisce l’esigenza di creare un impianto urbano che risponde ad esigenze pratiche di protezione dal sisma, (numerose piazze, strade che per quell’epoca erano molto larghe, rispettivamente di sedici, dodici e otto metri circa, a seconda che si trattasse di “strade maestre” o altro tipo di strade), con l’esigenza di dare un’immagine scenografica e grandiosa della città. Dal punto di vista tipologico, la qualità della città deriva essenzialmente dai caratteri di modernità del suo piano, concepito in modo unitario, su modello di base ortogonale, ma in cui si inscrivono grandi assi viari, che non rispettano in pieno la regola dell’ortogonalità, laddove si trovavano delle preesistenze che vengono integrate nella ricostruzione. Si può infatti ritenere che questa sia l’epoca che definisce in modo prevalente il continuum dell’ambiente della piazza, della via e degli edifici, in cui anche le preesistenze e le ristrutturazioni successive realizzano un’insieme perfettamente integrato. I notevoli capitali impiegati e alcuni provvedimenti governativi consentono ambiziosi programmi costruttivi, che determinano non solo il fasto dei nuovi edifici nobiliari e religiosi, ma anche le loro straordinarie dimensioni: un solo edificio viene a coincidere con un unico isolato, dando alla città un ulteriore carattere di singolarità.

9 Il Teatro Greco, rimaneggiato in epoca romana, e l’Odeon, che è il monumento antico catanese meglio conservato, più grande dell’Odeon di Atene. 10 L’Anfiteatro, inferiore per grandezza solo al Colosseo di Roma, le Terme della Rotonda, le Terme dell’Indirizzo, le Terme Achilliane (sotto piazza Duomo). Altri monumenti romani erano la Naumachia, il Circo ed il Ginnasio, di cui abbiamo testimonianza in alcune vedute seicentesce e che furono distrutti dalla colata lavica del 1669. 11 Al periodo medievale risalgono l’abside della cattedrale, il Castello Ursino fatto erigere a partire dal 1239 da Federico II, e alcuni resti dei baluardi e delle antiche mura costruite intorno alla metà del XVI sec. per volere del vicerè Giovanni Vega. 12 Consiglio ed istruzioni fatte dal vicario generale duca, che fu di Camastra, col voto dell’ill.mo senato e corpo ecclesiastico, per la nuova riedificazione della città di Catania. 18 Aprile 1694. Documento trascritto in: FRANCESCO FICHERA, Una città settecentesca, Società ed. d’Arte Illustrata, Roma 1925.

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1.1.2 Vicende urbanistiche contemporanee Catania, come molte altre città è segnata da una lunga storia di piani, di progetti e di proposte urbanistiche che ha inizio con la proposta del piano di ampliamento e di risanamento della città elaborata da Gentile Cusa e pubblicata nel 1888, prosegue attraverso i progetti elaborati per i piani regolatori del 1931 e del 1954 e termina con l’approvazione del piano di Luigi Piccinato nel 1969. All’interno di tutti questi progetti emergono alcune idee guida. Tra queste, il tema del risanamento e sventramento dei quartieri storici degradati e l’idea della “grande Catania”, inizialmente proposta da Gentile Cusa, che ipotizza un ampliamento costituito da un nuovo impianto urbano innestato su quello preesistente ed organizzato da un nuovo cardo – decumano (la via Etnea e l’asse dei Viali) e ripresa nel bando di concorso del 1931, il quale fa riferimento ad una dimensione metropolitana. La questione della nuova scala del fenomeno urbano e l’esigenza di una pianificazione che travalicasse il confine comunale e fosse in grado di dare forma insediativa alla grande conurbazione urbana, in una città la cui crescita appare scandita da ritmi convulsi ed insostenibili, diventeranno preponderanti negli anni Cinquanta, quando si inizia un processo di crescita caotico mediante la saturazione della scacchiera di strade, il riempimento di ogni interstizio disponibile e la massiccia costruzione di quartieri “ghetto “ alla periferia della città. Tale fenomeno è dovuto al fatto che in questi anni la speculazione edilizia si rivela, per il Sud, l’unica attività veramente redditizia, poiché consente lo sfruttamento intensivo del lavoro in ragione della relativa necessità di qualificazione della manodopera che al Sud è sovrabbondante. La stessa legge n° 43 del 28/2/1949 (piano Fanfani) sull’edilizia pubblica è intesa come provvedimento atto ad incrementare l’occupazione operaia agevolando la costruzione di case per lavoratori ed all’inizio degli anni Cinquanta l’Amministrazione riesce ad avviare la costruzione di circa 5000 nuovi alloggi. Inoltre, è proprio in questi anni che cominciano a crescere spontaneamente dei quartieri marginali nelle vecchie frazioni rurali di Librino e S. Giorgio a sud della città; questi agglomerati spontanei sono recuperati alla logica assistenziale della politica di quegli anni, che si premura di dotarli di alcune attrezzature in vista di creare i presupposti di future urbanizzazioni per iniziativa privata, e di acquisire consensi elettorali. Nel 1952, a questo scopo, borgo Librino viene dotato di un ambulatorio, di un edificio scolastico, di case ESCAL (Ente Siciliano per le Case ai Lavoratori). Il piano Mancini del 1954 raccoglie tutte queste tendenze al rafforzamento dell’attività edilizia, prevedendo una rilevante espansione delle aree edificabili, sia per residenze che per attività produttive, basata sul supporto di una rete stradale sovradimensionata, costituita da un’ampia tipologia di percorsi (radiali, circonvallazioni, assi di penetrazione) ed indici di edificabilità incredibilmente elevati. In questi anni è in auge la teoria socio – urbanistica dell’unità di vicinato, in cui

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l’individuo del quartiere si muove dalla dimensione familiare a quella collettiva attraverso il centro sociale, la scuola, la chiesa. In realtà, la vera natura del ghetto – dormitorio dei nuovi insediamenti popolari non tarderà a manifestarsi nella misura in cui l’aumento dei costi di trasporto e l’accentuato processo di polarizzazione nelle aree centrali urbane, e delle attività di lavoro e scambio, renderanno socialmente vantaggiose le residenze della città storica. Il problema delle nuove espansioni sarà preponderante anche nel piano Piccinato, che, pur riducendo fortemente gli indici di edificabilità previsti dal piano Mancini, si baserà su un dimensionamento di circa 700.000 abitanti di cui 150.000 da insediare nelle diverse zone di edilizia popolare previsti nelle periferie. Il piano Piccinato propose, come soluzione ai problemi della riqualificazione delle masse urbane informi, l’individuazione di nuovi poli urbani tramite la costruzione di una struttura urbana “aperta” fondata su una rete viaria raccordata ad un asse attrezzato, capace di orientare lo sviluppo della città verso un sistema policentrico. L’asse attrezzato13 in direzione nord-sud nella parte ovest della città doveva contribuire alla rottura del sistema monocentrico, mettendo in comunicazione i due nuovi poli urbani di Cibali e Picanello con la grande area di nuova espansione di Librino per la quale si sarebbe poi redatto il piano particolareggiato per l’Edilizia Economica e Popolare (legge 167). Oggi la città è cresciuta rispetto agli anni del piano Piccinato, ma ciò è avvenuto in direzione e con logiche Fig. 1 - PLANIMETRIA DELLA ZONIZZAZIONE DEL PRG DEL 1964 d’intervento che hanno A sud ovest è evidente il nuovo insediamento per l’edilizia economica e popolare (LIBRINO) che in seguito fu progettato dal gruppo TANGE – URTEC poco a che fare con gli indi13 Scrive Piccinato: “Fanno capo a questa specie di urban Highway, da nord, le provenienze dell’autostrada da Messina e le comunicazioni con la regione Etnea; vi si annodano le provenienze da ovest ed est ( viale Rapisardi, viale XX Settembre), vi fanno capo da sud e da sud-ovest le comunicazioni con l’aeroporto, con il porto, con la zona industriale, con le strade per Siracusa, Palermo, Gela. Tutte queste direttrici, convogliate sull’asse, vengono da questo raccolte e ridistribuite lungo il suo tracciato e, attraverso molteplici nodi, nel corpo urbano.”. L.PICCINATO, G.V.CONSOLI, Piano Regolatore Generale della Città di Catania, in Tecnica e Ricostruzione, n° 11-12 novembre – dicembre 1963.

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rizzi e le intenzionalità di quel piano, e le questioni che allora erano state affrontate si ripresentano ampliate. In alcune zone vincolate dal Piano (Librino, S.Giorgio, Pigno) hanno avuto libero corso numerosi insediamenti abusivi che hanno raggiunto una tale consistenza da “giustificare” il “riordino urbanistico – edilizio” previsto dalla legge regionale n° 71 del 27/12/1978. Si è dunque realizzato uno sfasamento fra lo sviluppo reale della città e quello previsto dal PRG, sfasamento, leggibile con evidenza drammatica nelle aree deboli, la cui crescita è avvenuta per accumulo caotico ed informe di abitazioni e sub-abitazioni, sfuggendo a qualsiasi programma e controllo da parte della città. Questa “sub-città” che si aggiunge in proporzioni rilevanti alla città ufficiale, pur costituendo una cospicua parte della Catania attuale, viene di fatto ignorata dagli amministratori e dai cittadini stessi. Il degrado, la prevaricazione dell’interesse personale su quello collettivo, l’abusivismo hanno minato profondamente la qualità dell’insediamento urbano sfavorendone al tempo stesso lo sviluppo. In queste condizioni, l’effetto città si verifica solo per gli aspetti negativi come inquinamento e congestione, mentre permane un effetto campagna nella mancanza di servizi sociali ed assistenziali, trasporti, istruzione. Un caso esemplare è a questo proposito quello di Librino, quartiere che presenta una lottizzazione abusiva con un processo di urbanizzazione spontanea che paradossalmente risulta più efficiente di quella comunale! Il progetto del piano particolareggiato del 1973, coperto dall’illustre nome di Kenzo Tange, rappresenta una delle più grandi mistificazioni (o ingenuità) immaginate dalla classe dirigente catanese. L’approvazione di tale piano particolareggiato fu oggetto di numerosi contenziosi fra l’Amministrazione - che vedeva nella costruzione della città satellite l’unica valvola di sfogo alla crisi dell’attività edilizia, capace di stimolare l’iniziativa delle grandi imprese con l’uso del denaro pubblico - e lo Stato Maggiore dell’Aeronautica che osservava come le costruzioni previste nel piano di zona di Librino avrebbero superato le altezze massime imposte dalla legge n° 58 del 4/2/1963 per gli edifici vicini alle zone aeroportuali. La questione venne risolta con una situazione di compromesso riducendo le cubature previste originariamente. Ciò nonostante la “città satellite” è un insediamento di proporzioni così vaste da non giustificarsi affatto rispetto al reale fabbisogno di abitazioni: si registra infatti uno spreco edilizio dovuto a edifici sottoutilizzati o non utilizzati affatto. L’ubicazione dell’intervento della “città satellite” ricade oltre la dividente geologica Nord-Ovest – Sud-Est, che separa i terreni privilegiati per le espansioni speculative private (lavici, agrumentati e stabili) a nord ed ad est di Catania,

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da quelli a Sud-Ovest di Catania (argillosi, improduttivi ed instabili). Tutti questi terreni hanno una stessa matrice argillosa. Tuttavia, mentre i primi hanno avuto un’antica ed abbondante copertura di rocce vulcaniche che, nel tempo, hanno generato un soprassuolo vegetale fertile, per i secondi, la ricopertura è avvenuta con croste di rocce laviche non ancora degradate, e di conseguenza sono sterili, solcati da fiumare instabili, in dissesto idrogeologico per la scarsità di vegetazione, per natura intrinseca e per l’intervento umano. Queste caratteristiche geofisiche sono alla base del basso valore di mercato dei terreni stessi, per i quali la domanda di edificazione qualificata è bassissima. Proprio il modesto valore di mercato ha determinato l’alienazione da parte dei proprietari attraverso la cessione agli istituti per l’edilizia popolare o per lottizzazioni abusive e polverizzate, ai nuovi immigrati in cerca di alloggio, concorrendo di fatto a trasformare l’intero agglomerato in una sorta di cintura residenziale – dormitorio. Il piano di Tange non si preoccupò della realtà intrinseca di questi insediamenti, ma si limitò a proporre una struttura alternativa della città, basata sugli assi attrezzati (che fra l’altro non vennero mai realizzati), sulla grande viabilità di scorrimento e sull’espansione per edilizia economica e popolare, confermando la tendenza ad indirizzare questo tipo di edilizia verso i terreni di sud-ovest improduttivi e a minor costo di mercato. In realtà, soprattutto la zona Sud di Librino che è la meno abitata ma, al contempo, quella dove maggiore è il peso del patrimonio edilizio non occupato, essendo proiettata verso l’Oasi Naturalistica del Simeto, presenterebbe grandi potenzialità di valorizzazione ambientale e per servizi per il tempo libero, che il piano non ha saputo cogliere e che andrebbero valorizzati come punto di partenza per la definizione di una nuova centralità municipale, oggi del tutto inesistente.

1.2 L’AREA METROPOLITANA DI CATANIA 1.2.1 Riferimenti geografici e popolazione Il territorio della provincia di Catania si estende su una superficie di circa 3.550 kmq nella parte orientale dell’isola; esso ha una forma irregolarmente allungate da nord-est a sud-ovest e confina a nord con la provincia di Messina, a sud con le province di Siracusa e di Ragusa, ad ovest con le province di Enna e Caltanissetta, ad est con il mar Ionio. Il territorio a nord – ovest della città è dominato dall’immensa mole dell’Etna che, con i suoi 3.300 m di altezza, è il più alto vulcano d’Europa. Quest’area, detta anche area pedemontana, comprende numerosi comuni ed ha un’estensione di circa 1.400 kmq e densità media di popolazione pari a circa 200 abitanti per kmq. La parte centrale del territorio è quella che ci interessa maggiormente in quan-

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to comprende la città di Catania ed include la cosiddetta area metropolitana formata da 27 comuni14. Catania sorge nella cosiddetta “piana di Catania”, ai piedi del vulcano e vicino al fiume Simeto e si affaccia direttamente sul Mar Ionio. Essa è capoluogo di provincia ed ha una superficie comunale di 180,880 kmq e densità di 1809 abitanti per kmq, mentre l’estensione di tutto il territorio comprendente l’area metropolitana è di circa 770 kmq e presenta densità media di circa 759 abitanti per kmq. Infine la parte meridionale della provincia è costituita dall’area del calatino che occupa il diversificato e vario teatro eruttivo ibleo che a causa della disgregazione ed erosione degli agenti atmosferici ha perso gli originali caratteri morfologici distintivi, lasciandoci testimonianza della sua origine vulcanica solo nella natura e struttura dei suoi terreni. Tale territorio, che con i suoi 1550 kmq di estensione copre circa la metà della superficie provinciale, presenta una densità media di soli 100 abitanti per kmq. I comuni facenti parte dell’area metropolitana presentano complessivamente una variazione percentuale positiva della popolazione. Il peso della città di Catania è rappresentato da una popolazione di 305.773 residenti al 2004, mentre i comuni gravitanti hanno nell’insieme una popolazione di 376.021 residenti. Globalmente questi ultimi crescono del 21,83% nel decennio 1981/91 ed il capoluogo decresce di 47.254 unità nello stesso periodo di tempo e presenta una variazione percentuale negativa del 12,42%. Questo comporta l’ipotesi di una forte mobilità interna all’area metropolitana, con una crescente domanda di trasporti a scala territoriale oltre che urbana. Questa mobilità interna della popolazione induce una crescita dei rapporti tra capoluogo e comuni gravitanti e, inoltre, differenzia ampliamente la domanda di tipologie abitative incidendo, di conseguenza, sulle abitudini sociali dell’area. 1.2.2 La rete delle infrastrutture La rete delle infrastrutture e dei trasporti appare ancora inadeguata e gli ultimi interventi hanno teso a risolvere più le necessità di scavalcamento di Catania che le relazioni interne fra i vari centri. Per quanto riguarda i principali assi di mobilità stradali e ferroviari, risulta evidente che la loro allocazione nasce dall’esigenza di collegamento fra le tre aree metropolitane di Catania, Palermo e Messina. Si è venuto a formare un “triangolo“ di percorrenze i cui lati corrispondono ai tre tronchi autostradali (A18 Messina 14 I 27 comuni facenti parte dell’area metropolitana di Catania sono i seguenti: Aci Bonaccorsi, Aci Castello, Aci Catena, Aci Sant’ Antonio, Acireale, Belpasso, Camporotondo Etneo, Catania, Gravina di Catania, Mascalcia, Misterbianco, Motta Sant’ Anastasia, Nicolosi, Paternò, Pedara, Ragalna, S. Giovanni La Punta, S. Gregorio di Catania, San Pietro Clarenza, Sant’ Agata Li Battiati, Santa Maria di Licodia, Santa Venerina, Trecastagni, Tremestieri Etneo, Valverde, Zafferana Etnea.

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– Catania, A19 Catania Palermo, A20 Palermo Messina), l’ultimo dei quali non ancora del tutto completato, e a tratte ferroviarie di lunga percorrenza (Messina – Catania – Palermo). I collegamenti verso la parte interna e meridionale della Sicilia sono costituiti da strade statali (SS 114 in direzione Siracusa), da alcuni assi viari a servizio delle aree interne e da tratte ferroviarie regionali locali. L’autostrada A29 Catania - Cassibile è attualmente in costruzione ed è in funzione il breve tratto che va da Cassibile a Siracusa. L’Assemblea Regionale Siciliana non ha mai approvato un Piano Regionale dei Trasporti. Dal 1980 sono state redatte infatti solo varie bozze di piano. Dall’esame di questi e di strumenti pianificatori realizzati da altri Enti (comuni, province) risultano comunque delle chiare tendenze compendiabili nell’obiettivo di carattere generale consistente non solo nel miglioramento delle singole componenti del sistema di trasporto, ma nel raggiungimento di un sistema di trasporto integrato basato sulla possibilità di interscambio fra i vari mezzi (ferro – ferro, ferro –gomma). In quest’ottica si iscrivono gli interventi per la costruzione della nuova metropolitana che attualmente ricopre un’area della città molto ristretta ma che riveste importanza fondamentale per il collegamento del capoluogo con i comuni etnei grazie alla possibilità di scambio con la ferrovia circumetnea. Inoltre, si prevede entro un decennio di realizzare il collegamento con l’aeroporto e una serie di parcheggi scambiatori posti nei punti nevralgici della città. Per quanto riguarda il trasporto marittimo il porto di Catania riveste attualmente un’importanza fondamentale soprattutto come scalo merci. Tuttavia, sarebbero necessari una serie di interventi - come la realizzazione di infrastrutture di protezione (allungamento del molo foraneo), operative (nuovo bacino) e per il turismo (nuovo porto turistico e stazione marittima) - per il rilancio di alcune attività dello scalo quali il turismo crocieristico, il diportismo nautico e il trasporto di merci a mezzo di semirimorchi e container. E’ importante notare che con la Lg. 240/90, si sono definiti i criteri di realizzazione per il nuovo interporto, basato sull’integrazione intermodale ferro-gomma con la realizzazione di un’aggregazione di strutture logistiche attorno ad un terminale di trasporto ferroviario che aumenterebbe di molto le potenzialità e la qualità dei servizi offerti dallo scalo portuale. Per quello che riguarda il trasporto aereo, l’aeroporto Fontanarossa di Catania gestisce il traffico aereo dell’intera Sicilia con l’aeroporto Punta Raisi di Palermo; esso ha quindi un bacino d’utenza molto vasto comprendente le province di Catania, Ragusa, Siracusa, Enna, e parte delle province di Messina, Caltanissetta ed Agrigento per un totale di popolazione residente nel bacino di circa 3.054.178 di abitanti.15 Alcuni studi eseguiti dalla Austin16, hanno ipotizzato uno scenario di sviluppo 15 Dati ISTAT 2001 16 Austin italia S.p.A. - Pre-studio di fattibilità , 1998.

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per la domanda del bacino d’utenza in linea con lo sviluppo storico degli ultimi dieci anni, prevedendo un incremento della popolazione del bacino fino a circa 11.736.015 abitanti nel 2019. Ciò porterebbe alla necessità di gestire una grandissima mole di passeggeri incrementando le partenze ad almeno 42 aerei per ora nelle ore di punta. Questi studi hanno evidenziato la necessità del potenziamento dell’aeroporto; un primo ampliamento basato sull’avveniristico progetto dell’architetto S. Salat è già oggi in costruzione. Tuttavia ci sono alcuni ostacoli che si frappongono ad una prospettiva di notevole sviluppo del traffico aereo dovuti principalmente a problemi di inquinamento acustico nei centri abitati di S. Maria Goretti, S. Giuseppe la Rena e Librino, e della difficoltà di reperire spazio per l’allungamento delle piste esistenti e la creazione di piste nuove. Se è infatti possibile costruire una nuova pista parallela alla prima, molto più difficile sembra la possibilità di allungare quella già esistente, opzione necessaria per l’atterraggio e il decollo di alcuni tipi di aeromobili (b 747..), a causa dell’ubicazione della pista che è contemuta fra la battigia e la linea ferroviaria Catania Siracusa. L’interramento dei binari comporterebbe un totale ripensamento del sistema ferroviario e dell’asse dei servizi, mentre l’allungamento della pista verso la spiaggia della Plaja, sarebbe incompatibile con importanti investimenti riguardanti la politica del turismo. 1.2.3 Lo scenario economico attuale • Commercio ed esportazioni Oggi la provincia di Catania si presenta come una delle aree economiche più importanti della Sicilia. Negli ultimi anni la provincia ha registrato un notevole sviluppo grazie, da un lato, a un risveglio di una serie di attività a cui l’area è stata sempre “tradizionalmente vocata”, quali il turismo ed il commercio, dall’altro, grazie allo sviluppo del settore tecnologico, soprattutto in campo microelettronico. Dall’inizio degli anni Novanta, la provincia etnea si è trovata coinvolta in un processo di crescita delle esportazioni con tassi di incremento quasi sempre costantemente superiori ai livelli nazionali. All’inizio, questo settore ha riguardato tutti i reparti merceologici; successivamente, a partire dalla fine degli anni Novanta, vi è stata una notevole impennata dovuta ad i prodotti della meccanica a medio – alta tecnologia. Altro settore di rilievo è quello agroalimentare che pesa complessivamente per oltre il 17% del totale esportato. • Attività artigianale L’artigianato rappresenta una quota importante per l’economia del territorio di Catania. La quota del valore aggiunto prodotto dal comparto è superiore alla

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media regionale (7,16 %). Data, comunque la non forte incidenza del comparto a livello nazionale, l’artigianati siciliano è considerato rispetto al resto d’Italia un “artigianato debole”. Durante il 1999 si è avuta una diminuzione nelle iscrizioni delle imprese artigiane presso l’Albo del Commercio; il totale delle imprese artigiane di Catania è di 19.003 unità rispetto ad un numero di imprese complessive in altri settori di 88.491 unità. In tutta la Sicilia le sole imprese artigiane sono 85.879 (rispetto ad un totale nazionale di 1.382.149), mentre le imprese complessive in altri settori sono 431.215 (rispetto ad un totale nazionale di 5.595.363). 17 • Attività turistica Negli ultimi anni la Provincia sta registrando un forte rilancio nelle strategie di sviluppo legate all’industria del turismo. Tuttavia, i dati nell’offerta ricettiva mettono in risalto un ritardo della provincia se confrontata con il livello nazionale. L’offerta ricettiva della Provincia di Catania è costituita da oltre 9,5mila posti letto alberghieri e 7,6mila extra alberghieri.18 La maggior parte delle strutture ricettive è distribuita nell’area Catania – Acicastello. La scarsa ricettività alberghiera è confermata dal rapporto fra posti letto e popolazione che evidenzia un valore di circa 1 posto letto ogni 100 abitanti, valore al di sotto della media regionale (1,4 posti letto ogni 100 abitanti) e nazionale ( 3,1 posti letto ogni 100 abitanti).19 Le strutture ricettive della provincia sono per la maggior parte di qualità medio – bassa: solo il 15% degli alberghi è a quattro stelle, il 66% è a tre o due stelle ed il 19% ad un stella.20 In generale manca un’offerta adeguata di posti vendibili per i Tour Operator, che sono particolarmente attenti alla qualità dei servizi offerti. Nella provincia di Catania sono presenti oltre 120 agenzie di viaggi (di cui 65 operanti solo nel comune). Esse rappresentano il 20% delle agenzie di viaggio distribuite in tutta la Sicilia. Per quello che riguarda la domanda turistica, essa è stata caratterizzata da un trend di crescita positivo. In generale si tratta di una domanda con punte di stagionalità elevate soprattutto nei mesi estivi e che registra una permanenza media di circa tre giorni, al di sotto della media nazionale. Questo dato è attribuibile ad una scarsa fruizione delle risorse turistiche presenti nel catanese.

17 Fonte: dati Iinfocamere – 2000. 18 Fonte: Istat, 2000. 19 Fonte: Elaborazione AEGI su dati Istat 2000 e Osservatorio Turistico. Come indice di ricettività è stato utilizzato il tasso semplice della funzione ricettiva alberghiera (T.S.R.A.), dato dal rapporto tra il numero dei posti letto destinati all’ospitalità dei turisti e la popolazione residente nella stessa area. 20 Fonte: Elaborazione AEGI su dati Istat 2000.

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L’analisi delle risorse del territorio ha tuttavia evidenziato l’esistenza di un’offerta variegata di prodotti turistici con ampi margini di crescita nei prossimi anni: – Turismo d’affari: grazie alla vicinanza dell’aeroporto ed alla presenza del polo tecnologico, esso è il segmento trainante dello sviluppo turistico della città. – Turismo balneare: è il segmento più consistente in Sicilia; in base al Patto Territoriale per l’Occupazione, l’area della Playa di Catania è oggetto di una riqualificazione e riconversione turistica. – Turismo naturalistico: è un settore a potenzialità elevata grazie alla presenza del Parco dell’Etna. Il vulcano è infatti meta giornaliera di elevati flussi di visitatori. – Turismo culturale ed entertainment: L’area offre un patrimonio culturale rilevante e variegato, che presenta delle potenzialità di sviluppo elevate, con un’ alta offerta di servizi culturali e di intrattenimento, bene attrezzato e facilmente accessibile. Soprattutto l’entertainment rappresenta uno dei prodotti a più alta potenzialità. Una programmatica politica di eventi può infatti fungere da anello di congiunzione fra i diversi prodotti turistici dell’area. In conclusione, l’interesse per il settore turistico nasce dalla consapevolezza che il territorio è in grado di offrire un portfolio di prodotti capace di soddisfare richieste variegate, che fanno pensare alla concreta possibilità di potenziamento del settore. • Occupazione Nonostante la posizione di spicco all’interno dell’economia isolana, i dati relativi al mercato del lavora non appaiono positivi. Il tasso di disoccupazione è fra i più elevati in Italia; nel 2003 il tasso di disoccupazione della provincia di Catania è risultato pari al 29,03%. Il dato è costante per tutte le fasce di età, ma alcune di esse, in particolare quelle che riguardano i giovani, esprimono valori particolarmente consistenti. Infatti, il tasso di disoccupazione per la fascia di età compresa fra i 25 ed i 29 anni e pari a ben il 48,5% mentre si riduce al 19,3 % per la fascia d’età compresa fra i 30 ed i 64 anni. Occorre tuttavia puntualizzare che questi sono dati ufficiali che non tengono conto del lavoro sommerso, fenomeno largamente diffuso soprattutto fra i giovani , che trovano lavoro con forme più o meno flessibili di part-time, soprattutto nel settore dei servizi, e che sfuggono alle rilevazioni ufficiali del mercato del lavoro. L’alto tasso di disoccupazione è in parte dovuto alla crisi delle attività tradizionali dell’area, ed in particolare allo sfaldamento della produzione edilizia e dei comparti ad essa correlati. Dati più confortanti provengono dallo sviluppo delle attività terziarie (quasi i tre quarti della popolazione lavorativa è impiegata nel settore dei servizi) che sono invece caratterizzate da un trend positivo. La maggior parte dei dati si riferisce al settore del commercio, ma è anche in forte sviluppo un terziario più evoluto, lega-

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to al mondo finanziario e di consulenza delle imprese ed al settore tecnologico, soprattutto nel campo della microelettronica. L’attività imprenditoriale è molto fervida: nel Catanese si concentrano infatti più del 20% del totale delle imprese presenti in Sicilia, con un tasso di natalità / mortalità imprese positivo e significativo rispetto al resto del paese21. In definitiva, si può affermare che il commercio risulta l’unico settore in cui Catania presenta dei valori di spicco rispetto al resto del territorio nazionale, dove occupa i primi posti per il numero di imprese commerciali. Inoltre, uno dei caratteri più rilevanti, di questo settore è la varietà di imprese che investe quasi tutte le categorie merceologiche

21 Fonte: Istituto Tagliacarta. 2000

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CAPITOLO 2

NASCITA DEL QUARTIERE E DESCRIZIONE DELLA SUA STRUTTURAZIONE

2.1 I QUARTIERI DI PERIFERIA DELLE GRANDI CITTÀ: UNA TERRA PROMESSA, DOVE SCORRE L’ACQUA DAL RUBINETTO E LA CORRENTE ELETTRICA NEI FILI Credo sia necessario, quasi come premessa della descrizione complessiva sui quartieri di periferia nati negli anni Settanta un po’ in tutta Italia, partire da questa parafrasi del ritornello biblico che accompagna la promessa della terra buona, e l’avvio verso un futuro migliore rispetto alla schiavitù in Egitto. Spesso, oggi, soprattutto dinanzi al degrado delle periferie, ci si accontenta di considerarle una “disgrazia”. E, soprattutto nelle nostre città del sud, ci si ferma a constatare che sono diventate una specie di somma di tutti i coinvolgimenti delle mafie e delle loro attività. Quando negli anni Sessanta, finita l’emergenza del secondo dopoguerra, si cominciò a far fronte alla questione della casa, nacquero le cosiddette “case Fanfani”: quelle strutture popolari che ancora oggi sono riconoscibili perché innalzate con mezzi non sofisticati e con dimensioni ancora a misura d’uomo. Le famiglie, numerose, pur vivendoci strette, erano contente di esservi arrivate poiché provenivano da condizioni d’indigenza estrema. Ma la questione casa continuava a rimanere un’emergenza, perché oltre alle famiglie depresse c’erano quelle che si trovavano in condizioni di povertà più estrema. A Catania, ma non solo, c’era tutto un concentrato di persone che riempivano la città perché bisognose di casa: tra questi c’erano quelli che vivevano in baracche; c’erano quei figli che si sposavano, ma rimanevano presso la famiglia d’origine di uno dei due coniugi o presso parenti; c’era la gente che viveva da anni

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Nascita del quartiere e descrizione della sua strutturazione

in case, alberghi, ex scuole a spese del Comune, perché con la guerra avevano perso tutto ed erano ancora “sfollati” oppure per la mancanza di lavoro, che è stata sempre una piaga diffusa, e infine c’erano coloro che erano stati attratti dalla città, anche per la politica dell’abbandono del settore agricolo. Le cosiddette “167”22 nacquero con l’intento di tentare di dare una risposta a questa massiccia richiesta di casa e con l’intento di farlo con concezioni più moderne, frutto di teorie urbanistiche che si confrontavano a livello mondiale. A Catania, oltre a tutto questo, bisogna sottolineare che ha giocato anche un altro fattore: in quegli anni, anche rispetto ad altre città della Sicilia, era molto cresciuta l’economia, soprattutto grazie al commercio e ai trasporti che, mentre in un primo tempo erano di produzioni agricole locali, man mano sono diventati lo strumento della modernizzazione. Nascevano i primi supermercati e le ditte di trasporti catanesi che avevano quasi il monopolio degli arrivi delle merci per tutta la regione. La vivacità economica che ne nasceva aveva fatto gridare al miracolo catanese: Catania era la Milano del Sud. In tutto questo sembrava che la mafia, la cui influenza pareva più evidente in altre città siciliane, a Catania non la si volesse vedere, forse anche perché non aveva generato le faide che altrove erano divenute cronaca quotidiana. Questo ha fatto chiudere gli occhi sul ruolo che essa giocava sulla costruzione (e spartizione) delle periferie e soprattutto sulla funzione che la mafia assegnava ad esse sino ad arrivare a renderle una sorta di zona franca per le proprie attività23. In questo contesto, “l’assenza dello Stato” finiva per diventare presenza di un vero e proprio “antistato”: a partire dalla gestione degli appalti, sino all’influsso per l’assegnazione delle case, alla possibilità di aprire esercizi commerciali … e sino al fallimento del progetto originale del quartiere.

2.2 ANALISI STORICA Il quartiere di Librino24 sorge su di una collina da cui si apre un’ampia vista sul paesaggio circostante. A sud est il mare ed una panoramica sul porto di Catania 22 Cosiddette per la legge che fece nascere questi nuovi quartieri di periferia. La legge 167/62 ha disciplinato la formazione dei Piani di Zona, destinati alla costruzione di alloggi a carattere economico o popolare, e relativi servizi complementari, su aree già di proprietà dei Comuni od espropriate allo scopo. Secondo la legge gli immobili in questione vengono assegnati in "diritto di superficie" attraverso una Convenzione stipulata tra l'operatore che costruisce e l'Amministrazione, la cui durata può variare da 40 a 60 o 99 anni. Allo scadere della concessione il Comune rientra nella piena proprietà delle aree e quindi degli immobili su di esse edificati. 23 Si pensi al fatto che a Librino, p. es., sono stati ritrovati – in occasione di una visita del Presidente Scalfaro – due dei quattro lanciamissili che si sapeva che la mafia aveva acquistato sul mercato internazionale del terrorismo. 24 Il nome “Librino” deriva dal labbro leporino (in siciliano “librino”) del proprietario delle terre della zona.

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e l’aeroporto “Fontanarossa”, a nord ovest il vulcano Etna ed il verde della piana di Catania. Una simile cornice visiva non solamente incanta l’occhio di chi si sofferma a contemplarla, ma altresì può offrire una sintesi perfetta delle connotazioni caratteriali proprie degli abitanti di Catania: questi sono infatti legati alla terra ed alla realtà insulare cosi fortemente rappresentata dall’imponente vulcano, ma al contempo vivono proiettati verso tutto ciò che è altro e prospettiva di nuove conoscenze che la linea dell’orizzonte disegnata sul mare permette di immaginare. Fino a circa quarant’anni fa, l’intera area sulla quale oggi si articola il quartiere (pari a 420 ha), era coltivata ad agrumeti e vigneti in grado di offrire raccolti abbondanti. Questi erano gestiti in linea con la concezione del latifondo, nell’ambito del quale alcuni terreni venivano concessi “a mezzadria”. Accanto alle colture più tradizionali se ne trovavano poi altre, certamente più esotiche, che i contadini ed i braccianti locali portavano avanti al fine di assecondare le stravaganti richieste dei ricchi aristocratici ed insieme il loro desiderio di perpetuare le antiche tradizioni familiari come la produzione di conserve, amaretti e liquori così come di avviarne di nuove, ad esempio la manifattura di profumi. Molti appezzamenti, infine, erano destinati al pascolo per gli allevamenti, soprattutto di ovini, che alimentavano la produzione casearia ed il mercato delle carni. I terreni acquisiti per la realizzazione del quartiere di Librino appartenevano, originariamente, alla nobiltà della Catania dell’800: le famiglie Recupero, Castagnola, Sisinna, e in particolare ad una delle più antiche famiglie nobiliari di Catania, quella dei Principi Moncada. Verosimilmente di origine spagnola, i Moncada avevano conosciuto nobiltà e benefici fin dall’epoca dei Borboni ma, dal dopoguerra in poi, avevano visto sfumare gran parte delle loro ricchezze e fortune a discapito di un titolo nobiliare conservatosi intatto nella sua apparenza formale. Per esempio si conserva ancora una villa estiva ed i ruderi di alcune masserie rurali: la prima è stata ristrutturata con i proventi della vendita delle terre in favore della nascita del quartiere ed è quindi rimasta di proprietà dei Moncada, le masserie rurali sono state invece acquisite dall’amministrazione pubblica. Il ricordo e la testimonianza della presenza delle famiglie nobili è ricavabile oggi dalla topomastica dei viali di Librino. L’area territoriale destinata alla costruzione di Librino viene quindi definita dal piano regolatore generale (PRG) agli inizi degli anni sessanta. Il PRG viene adottato nel 1964 ed approvato nel 1969 prendendo il nome di ”Piano Piccinato”. Con esso si conferma l’ubicazione del nuovo quartiere residenziale nella zona dell’area industriale a sud dell’aeroporto e si prevede l’aggiunta, nella parte periferica meridionale della città, di un gran numero di attrezzature di interesse urbano e di una vasta area di edilizia residenziale pubblica. Al fine di invertire la caotica espansione residenziale della città di Catania verso nord, il Piano prevede di insediare il più grande quartiere di edilizia pubblica nel-

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l’area collinare di S. Giorgio, S. Teodoro e Librino, ove si registrava già la presenza di borgate semi agricole. Il progetto, destinato ad una popolazione di circa 60.000 abitanti prevedeva l’attraversamento da parte di un asse attrezzato. Nel 1970, il Comune di Catania incarica l’architetto giapponese Kenzo Tange25 di progettare la veste architettonica del quartiere di Librino, identificandolo con quella che, nell’immaginario collettivo, avrebbe dovuto costituire la “nuova città”. A quel tempo, Tange ideava e realizzava i nuovi “concepts” della residenzialità in tutto il mondo e venne scelto proprio per la sua capacità progettuale che rappresentava la nuova frontiera in materia di urbanistica. In particolare, si apprezzava la sensibilità dell’architetto giapponese e la sua capacità di tendere verso un design urbanistico in grado di fondere insieme spazi residenziali e verde, in una composizione spaziale moderna ed armonica. E se allora la città di Catania doveva affermarsi nel contesto nazionale ed internazionale come la “Milano del sud”, ed approfittare di questa immagine per incrementare i suoi scambi commerciali, ecco che l’incarico a Tange costituisce un passo importante verso il raggiungimento di un tale ideale. Esso riflette la posizione ufficiale delle istituzioni rispetto ad un’idea di città in cui è giusto misurare il meglio della sperimentazione urbanistica propria di una società aperta al mondo. L’ideazione progettuale di Tange, che nel 1976 si reca a Catania per visitare la zona di Librino, prevede la possibilità di “fondere l’ambiente naturale con quello umano”26, realizzando una “struttura collettiva, consistente in un asse verde centrale, dal quale si diparte una rete verde che organizza tutto il complesso”. Ciò attraverso l’edificazione di un sistema stradale ad anelli, costituiti da strade a due carreggiate, che avrebbero dovuto circondare i nuclei residenziali. Questi ultimi sarebbero stati capaci di ospitare, ognuno, circa 7000 abitanti. Al sistema stradale veicolare se ne sarebbe affiancato uno pedonale, immerso nel verde, costituito da un grande parco centrale e da alcune “lingue” di verde, chiamate spine, che avrebbero permesso di ricucire le residenze alle attrezzature pubbliche, agli uffici, agli impianti sportivi ed alle strutture religiose. Il tutto in armonia con il territorio presente: “Cominciammo a pensare al verde come un modo per fondare una struttura urbana”.

25 Tra le opere realizzate e quelle solo progettate in Italia da Tange ci sono le seguenti: il piano funzionale di massima per il comune di Jesolo; il progetto di recupero del complesso termale di Acqui Terme e la biblioteca cittadina; il disegno della facciata della centrale termica di Torviscosa (Udine); l'edificio che ospita il quartiere generale della Bmw Italia a San Donato Milanese, dove realizzò il progetto urbanistico del quartiere affari e la Torre Agip; il piano funzionale di massima per gli uffici amministrativi dell'Eni; il progetto di recupero delle acciaierie Falck, il piano funzionale per le tre torri di Milanofiori 2 e le due Torri del quartiere fieristico di Bologna. 26 Dalla relazione di Kenzo Tange in occasione della presentazione del progetto di Librino al Comune di Catania, 1971.

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Il sistema veicolare, inoltre, sarebbe dovuto scorrere lungo il perimetro di ciascun nucleo del quartiere, in modo da permettere collegamenti agevoli tra le diverse aree. In ciascuna di tali aree si sarebbero differenziate le presenze scolastiche, le attività commerciali e produttive, quelle sanitarie pubbliche e private e le sedi delle amministrazioni pubbliche. Al centro di ogni nucleo sarebbero stati edificati, inoltre, centri religiosi e di socializzazione, impianti sportivi ed infine attrezzature collettive distinte in attrezzature di vicinato e di socializzazione. Infine, al centro del complesso di nuclei, sarebbero sorte delle strutture al servizio dell’intero quartiere, come ad esempio un grande centro culturale attrezzato di teatri, museo, zona congressi ed altro.27 Il progetto prevedeva quindi la realizzazione di un quartiere/città completo ed autonomo, con servizi e strutture adeguate.

Fig. 2 - LIBRINO: PLANIMETRIA DEL PIANO. PICCINATO

27 Cf. didascalia della figura n.4

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Fig. 3 - IL CENTRO URBANO MODELLO DEL "MASTER PLAN", KENZO TANGE E ASSOCIATES E S.T.A. PROGETTI In esso sono previsti: centro amministrativo; centro commerciale; centro religioso; centro culturale, teatri, museo, scuole d’arte; centro congressi; albergo; stazione intermodale, metropolitana, autobus urbani e extraurbani; impiantisportivi;residenza.

L’idea originaria e futuristica di Tange non trovò purtroppo, mai esecuzione28. Al contrario, il peso di diversi fattori concomitanti, sia politici che strutturali, ne impedirono anche la più embrionale realizzazione in favore del risultato opposto, il fallimento. Se nel 1976 ci si era spinti fino a progettare il decentramento di strutture pubbliche – quali locali universitari, ospedali, uffici comunali – e la destinazione a verde pubblico con aree attrezzate di vaste zone del comprensorio di Librino – il progetto venne di fatto stravolto da insabbiamenti burocratici proficuamente messi in atto da una amministrazione incompetente e corrotta. I lavori di edilizia vennero appaltati ad una rete di imprese che abilmente evitò di seguire le linee del “Master Plan originario, discostandosene a tal punto da realizzare unicamente dei palazzoni di cemento privi di spazi a verde su di un

28 Nonostante sia stato presentato, nel corso di un Congresso internazionale di urbanistica, come già attuato e, con grande fantasia si sia raccontato, per esempio, che a Librino ci sia un’avveniristica raccolta differenziata dei rifiuti: a ogni famiglia verrebbero distribuiti sacchetti per i rifiuti, con magnetizzazioni differenziate e, poiché da ogni casa partirebbe un collegamento con nastri trasportatori magnetici, i sacchetti arriverebbero in appositi centri di trasformazione (della carta, del metallo, dei rifiuti alimentari, …). Inoltre, in ogni casa ci sarebbe un terminale di un super cervello elettronico, cui le persone possono rivolgersi per regolare i propri movimenti per e dalla città, o all’interno del quartiere… cfr ZAPPALÀ SABINA, Librino: ai confini della città, in Atti del convegno “La crescita della città e la periferia urbana”, ed. CIAC , Catania 1989.

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territorio rimasto orfano, ancora oggi, di opere di urbanizzazione primaria e di strutture pubbliche decentralizzate. L’ideale del quartiere futuristico immaginato dagli occhi di un avveniristico architetto giapponese, si era trasformato in uno dei tanti, inospitali e grigi quartieri di periferia già comuni sia in Italia che all’estero. In questa precaria cornice istituzionale, Librino diviene facile preda di una selvaggia edificazione abusiva, che rende presto necessaria l’adozione di una variante al PRG, tale da permettere di inglobare gli insediamenti costruiti. Con essa, la densità territoriale aumenta a discapito delle aree destinate ad uso pubblico con un conseguente incremento sostanziale del numero di abitanti che, dalla cifra originaria di 62000, passa a quella di 70000. Secondo i dati forniti dal Comune di Catania, alla data del febbraio 2006 la popolazione di Librino si attesta attorno ai 43.599 abitanti contro i 70.000 effettivi che non risultano dalle stime ufficiali e che, ciò nonostante, continuano a popolare palazzi privi di allacci fognari e carenti di una rete elettrica adeguata. La nuova città, modello ed espressione di una Catania moderna e versione italiana delle grands ensembles realizzate in Francia agli inizi degli anni ‘60, si è trasformata da un lato, in un mero quartiere “dormitorio” per coloro che qui trovano una abitazione a costi più contenuti rispetto al resto della città, gravitando tuttavia su quest’ultima quotidianamente, e dall’altro lato, un ghetto circoscritto dal quale è bene tenersi distanti ed ignorarne la sorte di tutti quei soggetti già ai margini della società che vengono assemblati nei palazzoni popolari in cui vi rimangono isolati e schiacciati. Il quartiere ancora oggi è percepito da gran parte della popolazione di Catania come una sorta di terra di nessuno. Il sentimento di rifiuto verso la realtà di Librino cresce nella coscienza collettiva anche a causa di una induzione guidata delle informazioni per come vengono veicolate da parte delle testate giornalistiche locali e delle piccole emittenti televisive private. Nel corso degli anni, il quartiere di Librino si è visto infatti assegnare gli onori della notorietà in numerosi casi di cronaca nera, criminalità, abusi e malversazioni. Cosi facendo, si è agevolata l’identificazione del quartiere con una sorta di realtà “altra”, estranea, ostile e pericolosa per l’uomo comune dotato di buon senso. Chi risiede stabilmente a Librino si riconosce “diverso” e percepisce addosso il peso dell’etichetta che lo distingue: “Io conosco ragazzi di un altro ambiente e mi hanno detto una volta una parola, dice – tu che conosci solamente acchiappatine e a sparare? – io ci sono rimasto male, a me piacerebbe essere di un altro ambiente”29.

29 Parla un ragazzo di diciotto anni, disoccupato, residente in viale Grimaldi.

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In molti modi, persone di buona volontà hanno cercato di creare iniziative e occasioni per diffondere e cercare di realizzare un Librino più presentabile. Recentemente, per esempio, s’è tentato di opporre, all’immagine di quartiere dormitorio, a rischio, al ghetto far west, una iniziativa intitolata “500 spot pubblicitari per Librino”. Sono stati realizzati dai ragazzi della scuola comprensiva Campanella Sturzo: cinquecento spot di trenta secondi l’uno, con i quali dire cinquecento motivi per poter affermare che “Librino è Bello” con la convinzione che è anche dal riconoscimento della propria bellezza che nasce il diritto alla cittadinanza. Essi sono andati in onda per un anno e mezzo su tutte le televisioni regionali e sono stati ripresi dalla tv nazionale.

2.3 STRUTTURA URBANISTICA E CONDIZIONI ABITATIVE L’insediamento urbanistico di Librino oggi si compone di sette nuclei residenziali complessivi30. A questi devono aggiungersi poi le costruzioni abusive, realizzate in piena violazione della normativa esistente, che sorgono all’interno di quello che potremmo definire una sorta di borgo antico del quartiere, comunemente indicato sotto la denominazione di “Librino vecchio”. Secondo il piano di zona, tre tipologie edilizie avrebbero dovuto svilupparsi all’interno dei diversi nuclei. In particolare, assecondando l’andamento del terreno, gli insediamenti abitativi, per come previsti, si sarebbero dovuti articolare nelle forme e dimensioni di case a torre, in linea e a gradoni. Sotto il profilo dell’edilizia residenziale, questa è stata affidata in parte all’Istituto Autonomo Case Popolari ed in parte a cooperative ed imprese convenzionate nel rispetto del PRG il quale prevedeva un piano di zona di tipo PEEP (L. 167/62), con edilizia sovvenzionata e convenzionata. La distinzione tra un’edilizia popolare ed una di tipo cooperativo o convenzionato ha prodotto, sin dalle origini, una frattura profonda che si riflette sia nell’assetto urbanistico all’interno del quartiere che nella diversa connotazione socioeconomica dei suoi abitanti. In questo quadro, la realtà del quartiere ghetto conosce, al suo interno, due distinte zone che godono di standard di vivibilità differenti: Gli stabili in cemento armato, alti, grigi ed imponenti, circondati da altre strutture e consumati dall’usura del tempo che solo la mano bendata della casualità e della buona sorte permette di mantenere in piedi nella loro struttura originaria; 30 Castagnola, Bummacaro, Moncada, Bonaventura, Nitta, Grimaldi, S. Teodoro. Nel piano di zona “Librino” sono inglobati altri tre nuclei che di fatto, per la loro storia e il loro sviluppo, oggi rappresentano due quartieri a sé stanti: San Giorgio (S.Giorgio ovest e S. Giorgio est) e il Villaggio S. Agata.

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ESEMPI DI EDILIZIA POPOLARE

I complessi residenziali realizzati dalle cooperative, secondo dimensioni pi첫 graduali ed in armonia con il territorio circostante, visivamente delimitati da aiuole a verde e cancelli di sbarramento ad attivazione elettronica.

ESEMPI DI EDILIZIA COOPERATIVA

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I primi, ovvero i “giganti senz’anima”, gli enormi palazzoni monocolore, conoscono al loro interno una particolare ricchezza e vivacità di generi umani, di cui si parlerà in seguito nella ricerca, nonostante l’anonima e degradata facciata esterna non lascia invece affatto immaginare. I nuclei familiari che vi trovano alloggio oscillano tra i centocinquanta ed i centosettanta. Le famiglie mono-parentali rappresentano una percentuale elevata, soprattutto nella misura in cui tale tipologia familiare viene estesa fino a comprendervi anche i nuclei in cui uno dei due coniugi stia temporaneamente scontando una pena detentiva in carcere, mentre l’altro coniuge è di conseguenza lasciato solo a gestire le sorti della famiglia. Simili detenzioni coatte, legate alla commissione di crimini più o meno gravi, possono coinvolgere anche i membri più giovani del tessuto sociale residente nei palazzoni di Librino, come nel caso di ragazzi non ancora maggiorenni che si rincorrono in un’altalena di ingressi ed uscite dalle strutture di detenzione. Ancora, la natura di “case popolari” propria di tali edifici, ed in particolare di quelli che sorgono lungo il Viale Moncada, fa registrare la presenza di numerose persone indigenti, di portatori di handicap, di anziani, di ex terremotati, di disoccupati di lunga data, di famiglie che abusivamente si sono installate all’interno degli appartamenti, ed ancora di tutti quanti vivono la loro precaria quotidianità ai confini del contesto sociale. Il disagio economico che accomuna i residenti sembra poi costituire una concausa determinante dello stato di incuria in cui versano gli spazi destinati all’uso comune, sia all’interno che all’esterno degli stabili. Spesso infatti, e per lunghi archi di tempo che possono anche sfiorare la durata di anni, ascensori fatiscenti si alternano ad altri assolutamente non funzionanti. Il servizio di pulizia e di igiene delle scale di uso comune è assente, così come insufficiente è la copertura elettrica. Tale ultima carenza, capace di impedire il regolare funzionamento del vano ascensore e di lasciare la seconda via di accesso agli immobili, ovvero le scale, nella totale oscurità, rappresenta una vera e propria barriera alla normale fruizione degli appartamenti da parte dei rispettivi residenti. Non è raro che inquilini del sesto o del settimo piano, mancando l’ausilio di ascensori funzionanti, rinuncino ad uscire di casa soprattutto quando affetti da gravi patologie quali per esempio: cardiopatia, flebiti ed asma. A fronte di una situazione simile, non stupisce poi l’assenza di strutture adeguate per quanti sono portatori di handicap fisici gravi. Di seguito le parole di una mamma che per anni è stata costretta a fare le scale più volte al giorno, su e giù dal quinto piano a lume di candela: “Un pezzo di nove anni, salivamo co ‘e cannile, e c’aviamu ffari? chi c’avia aggiustari ‘e luci? Soddi non ci nn’è! Ca’ è daccussì, quannu si rumpi na cosa… avoglia di spittari…” 31. 31 Traduzione in italiano: “per nove anni, salivamo con le candele, cosa avremmo dovuto fare? Chi ci doveva aggiustare la luce? Soldi non ce n’è! Qui è così, quando si rompe una cosa… puoi aspettare molto…”

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Ancora oggi i citofoni non funzionano e, allora come oggi, le famiglie dello stabile non dispongono di risorse economiche sufficienti per pagare il lavoro di un elettricista qualificato. Insufficiente è stata negli anni l’attenzione dell’amministrazione pubblica dimostratasi incapace, ad esempio, di assicurare un normale servizio di nettezza urbana e di attrezzare l’area di Viale Moncada degli indispensabili allacci fognari. L’incapacità di cogliere l’urgenza di pressanti situazioni di disagio registratesi sul territorio di Librino può rilevarsi anche dalla risposta dell’amministrazione comunale ad un’interrogazione avanzatale nel 2000 rispetto alla situazione di particolare degrado di una palazzina sita proprio in Viale Moncada. Di seguito un estratto: Per una strana casualità, pare che gli abitanti della suddetta palazzina amino tutti vivere al di fuori di ogni contesto civile. Essi hanno infatti l’hobby di lanciare e lasciare la spazzatura all’interno delle scale dove lasciano anche imputridire carogne di gatti precedentemente impiccati; si abbandonano a gratuiti atti vandalici (…) gli abitanti non hanno né interesse né volontà di partecipare alle spese di gestione delle parti comuni per le pulizie e la manutenzione degli ascensori (…).

Ancora, l’ex presidente della IX Municipalità intervistato così lamenta: Ci sono zone che sono state da molti anni abbandonate, c’erano delle aree circostanti ai palazzi considerate private, erano al buio totale. Se già queste case popolari le danno a gente che non ha possibilità economiche e loro poverini sono costretti a fare i conti con la sopravvivenza, come puoi immaginare che possa farsi carico di curare condominio, la luce pubblica, le serrature … e di pagare un giardiniere che curi gli spazi esterni? Dovresti avere un sacco di soldi… Ecco, vengono abbandonate per questo motivo qua. Deve essere il comune a curare il tutto!.

L’assetto urbanistico di questa zona particolarmente degradata che gravita intorno a Viale Moncada si connota, come previsto dalla concezione iniziale per tutta la città satellite, per la presenza di ampie carreggiate destinate alla viabilità che si estendono in parallelo agli abitati residenziali. Tali stradoni di grandi dimensioni permettono un veloce scorrimento del flusso automobilistico e riducono sensibilmente l’impatto del traffico sul nucleo abitato. Altresì, soddisfano efficacemente il bisogno di spazi destinati al parcheggio. Se quindi può affermarsi che il traffico, in quanto tale, non costituisca una primaria fonte di stress per gli abitanti di Librino, è altrettanto vero però che il tasso di incidenti stradali registrati lungo i viali che costeggiano gli alti edifici grigi, è in grado di pesare gravemente sulla percezione di vivibilità e sicurezza minima che gli abitanti della zona sperimentano quotidianamente. Il numero di vittime di incidenti stradali registrati nel quartiere, soprattutto in prossimità delle rotatorie

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(molte delle quali non ancora completate), è testimoniato dalle diverse lapidi con fiori poste a ricordo di quanti hanno perso la vita sul manto asfaltato, anche in pieno giorno. Le cause di un tale alto tasso di incidenti stradali sono da individuarsi sia nel mancato completamento delle carreggiate, per come originariamente previste, e nella conseguente concentrazione su di un’unica corsia di entrambi i sensi di marcia, sia nelle dimensioni ampie di tali viali che troppo facilmente vengono percorsi a velocità eccessivamente elevate. Nonostante la vicinanza dei nuclei residenziali, strade come viale Moncada vedono sfrecciare moto di grossa cilindrata e motorini condotti da giovani spericolati che ignorano il rispetto dei limiti di velocità e mettono a rischio la vita propria e quella altrui. Paradossalmente, proprio l’eccessivo dimensionamento di queste strade limita l’effettiva e sicura mobilità dei pedoni. “Qui corrono come se fossero al circuito di Monza; non capiscono niente; i motorini ce li hanno i bambini, i grandi, tutti…. Non c’è un semaforo, sti bambini quannu annu attraversare, c’annu a taliari? Nenti, spunnanu da tutti i lati, a strada è pericolosa e chiddi ca guidano sunnu chiu periculusi da strada!”32

Le disfunzioni che gravano sulle persone sono da addebitarsi, per lo più, all’incuria dell’amministrazione che non ha dato attuazione ad un progetto urbano che in origine prevedeva passaggi pedonali ad un livello superiore rispetto a quello del manto stradale. Inoltre, ancora oggi è particolarmente insufficiente, se non addirittura assente, il servizio dei vigili urbani. Diversa, invece, è la situazione dei nuclei residenziali realizzati attraverso le cooperative, come il nucleo di viale Castagnola che al suo interno, anche quanto alla viabilità, è più razionale, ed è adeguatamente illuminato. In tali nuclei sono stati costruiti complessi residenziali che appaiono ben curati da un punto di vista strutturale, vi sono al loro interno spazi di verde, aiuole e piccoli giardini che favoriscono l’incontro e la socializzazione. Negli ultimi anni alcune botteghe sono state sfruttate per piccole iniziative economiche: sala parrucchiere, piccole botteghe di alimentare, qualche panificio. A fronte di una struttura urbanistica di tipo residenziale che, nonostante le carenze rilevate, é stata ciò non di meno realizzata, mancano invece nel quartiere aree destinate all’aggregazione sociale. La problematicità socio-urbanistica è infatti aggravata dal ritardo nell’attuazione, e spesso dall’assoluta carenza, di spazi destinati a verde pubblico, di piazze e di aree attrezzate per favorire i momenti di gioco ed aggregazione dei bambini. Questi ultimi, ad esempio, si ritro32“Non c’è un semaforo, questi bambini quando devono attraversare dove devono guardare? Niente, le macchine spuntano da tutte le parti, la strada è pericolosa e quelli che guidano sono più pericolosi della strada”. Così parla una mamma di 32 anni.

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vano piuttosto a giocare nelle aree adiacenti ai palazzoni e nei campetti di terra pieni di detriti dove spesso scaricano le fogne a cielo aperto. Fra le strutture presenti, la Piazza dell’Elefante33 (fig.4) è l’unico spazio pubblico attrezzato che è stato realizzato in conformità e secondo le previsioni del PRG. Eppure, nonostante tale sua speciale “unicità”, da oltre un anno la Piazza è stata riconvertita da area ad uso pubblico in zona residenziale di emergenza. Essa infatti ospita le roulotte della Protezione Civile in cui sono state temporaneamente accolte alcune famiglie senza casa in attesa dell’assegnazione di un alloggio adeguato promesso loro dall’Amministrazione comunale34.

PIAZZA DELL’ELEFANTE

Nel 2004 sono stati finalmente stanziati i fondi35 per iniziare la realizzazione della prima parte del “Parco Urbano di Librino” che, a distanza di più di vent’an-

33 Il nome “piazza dell’Elefante”, ricorda simbolicamente ai cittadini, la piazza Duomo della città, in cui si erge il simbolo di Catania: un elefante di pietra lavica. 34 Nel dicembre 2004, 39 famiglie senza tetto, occuparono la cattedrale della città. Esse riuscirono a coinvolgere con la loro protesta anche l’opinione pubblica, per cui i nuclei familiari furono alloggiati nelle roulotte collocate a piazza dell'Elefante a Librino in attesa del completamento dei lavori di ristrutturazione di un edificio appositamente identificato. A tutt’oggi, e con tempi lunghi, non sono stati consegnati tutti gli appartamenti. 35 Con il decreto dell’assessorato regionale ai Lavori Pubblici (DDG n° 141 del 9-2-2004 – P.O.R.. 5.2.1.) sono stati erogati 5.681.025,89 Euro.

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ni dalla sua ideazione originaria, dovrebbe comunque portare alla realizzazione di un’area verde, polmone per la zona di Librino e luogo di svago per tutta la città di Catania. Il progetto originario prevedeva di attrezzare circa 31 ettari di terreno a verde pubblico e di realizzare una serie di impianti sportivi ed infrastrutture varie per il tempo libero. Inoltre, si immaginava di creare, nella zona di San Teodoro, un laghetto36 (fig. 4) circondato da nove ettari di verde e destinato alla pratica di sport acquatici oltre che all’utilizzazione come bacino per la raccolta dell’acqua di irrigazione ed ancora come risorsa idrica accessibile per il contenimento e la prevenzione di eventuali incendi. Per gli arbusti e le piante ad alto fusto che avrebbero dovuto arricchire i nove ettari di terreno circostante, se ne pianificava l’acquisto, da parte della Pubblica Amministrazione, nel quadro delle previsioni di cui alla legge 113/92 che prevedeva l’acquisizione di un albero per ogni nuovo nato.

Fig. 4 - VISTA DALL’ALTO: NUCLEI SAN TEODORO E MONCADA (tratta dal sito www.earth.google.it)

Proprio quest’opera progettuale è stata la prima ad essere finanziata nell’ottica di riqualificare la qualità di vita dei residenti e creare uno spazio fruibile ed un luogo importante per l’intera città. Nonostante lo sprint iniziale che, in piena campagna elettorale per le elezioni amministrative del 2005, aveva visto fluire i finanziamenti da parte della Regione Sicilia ed aprire il cantiere per l’avviamento dei lavori, già all’indomani del voto la macchina operativa si è arrestata. Ed intanto: 36 Il laghetto dovrebbe essere lungo 150 metri, largo 120 e con una profondità di 10 metri.

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“Una zona rurale è stata devastata, centinaia di tonnellate di fertile terra sono finiti chissà dove, e alcuni ulivi secolari (che dovrebbero essere vincolati) sono spariti”37.

Va segnalato, inoltre, che a meno di cento metri dall’area sulla quale dovrebbe sorgere il futuro laghetto, si trova uno stabile che, dalla gente del luogo, viene comunemente indicato come il “palazzo di cemento” .

SCORCI DEL “PALAZZO DI CEMENTO”, VIA MONCADA

37 Parla un operatore del Centro Iqbal Masih.

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Si tratta di una struttura fatiscente, già occupata da famiglie di abusivi nonostante sia privo di infissi, ascensore, impianto di luce, acqua e fognature. Anche le vie di accesso all’immobile risultano precarie come la scala principale che permette l’accesso agli appartamenti la quale non è più praticabile da quando è andata a fuoco divenendo discarica di immondizia e di rottami di elettrodomestici usati. I pilastri esterni sono cadenti e consumati dall’acqua che scorre abbondante lungo le fenditure. Tale immobile è divenuto, inoltre, centro catalizzatore di attività criminose praticate lontano dal senso di comune legalità. Il civico 5 di viale Moncada è un edificio molto noto oltre che per le particolari condizioni di degrado architettonico, per le attività criminali condotte dai numerosissimi pluripregiudicati che vi dimorano, molti dei quali si trovano agli arresti domiciliari. Nel mese di ottobre del 2005, ad esempio, a seguito della segnalazione da parte di alcuni abitanti dello spaccio di droga e della “vendita” di ciclomotori 'taroccati' (truccati), è stata avviata un'operazione antidroga da parte della squadra mobile della Polizia di Catania38: “Ogni tanto fanno delle retate. Non prendono mai quelli che devono prendere. Qui ci sono i meccanismi di controllo del territorio e, quando sta per arrivare la colonna della polizia, già si sono avvisati. Nascondono le cose più importanti e scompaiono”39.

Fra le poche strutture aggregative presenti, ed alle spalle del palazzo di cemento, sorge un teatro polivalente che dispone di cinquecento posti a sedere. Consegnato al quartiere nell’anno 2000, il teatro è stato lasciato privo di adeguata custodia divenendo luogo abituale di saccheggi e di atti vandalici. Nonostante sia più volte stato ufficialmente inaugurato, non è mai divenuto effettivamente funzionante sebbene la struttura si presterebbe, invece, ad operare come luogo socialmente e culturalmente significativo40. Infine, vi sono poche altre potenzialità strutturali che non vengono pienamente sfruttate e che giacciono, spesso, in stato di abbandono. Fra queste:

38 Nell’ottobre 2005, durante un blitz sono stati rinvenuti circa 30 kg di marijuana, sequestrati anche una pistola, un giubbotto antiproiettile e una pressa per costruire artigianalmente proiettili di vario calibro. Nei sotterranei dello stesso stabile, sotto cumuli di rifiuti, la squadra mobile ha anche trovato un revolver calibro 22 col caricatore rifornito, centinaia di munizioni dello stesso calibro e di altri calibri, una carcassa di un fucile, e altro mezzo chilo di marijuana già confezionata in 'stecche', pronta per la vendita, e cinque radio ricetrasmittenti. In un'intercapedine dell'ingresso di un altro palazzo sono state sequestrate due canne di fucile, due paia di manette, una paletta e due lampeggianti del tipo in uso alle forze di polizia, (Quotidiano “La Sicilia” del 20 Ottobre 2005). 39 Quarantenne impegnato socialmente nel quartiere. 40 “Pare sia stato utilizzato per le lotte clandestine di cani”; stralcio d’intervista ad una donna residente in un palazzo di fronte al teatro.

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Nascita del quartiere e descrizione della sua strutturazione

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• la vecchia masseria Villa Fazio di recente ristrutturata ed attrezzata come sede sportiva polifunzionale di cui, attualmente, viene utilizzato soltanto il campetto impiegato dalla scuola calcio (in stato di abbandono, vi sono due campi per calcetto e pallamano e due campi da tennis in sintetico, è previsto un impianto di illuminazione per gare notturne. ); • il Pala Nitta (Area di gioco 38x20 mq. polivalente. Altezza 10 m. tribuna con 600 posti a sedere. Parcheggi scoperti previsti di 3.000 mq.) che è rimasto incompleto.; • un vecchio palmento che è oggi sede della Chiesa Evangelica e che, insieme ad un circolo didattico, occupa la zona denominata “Case Castagnola”; • la Masseria Bonaiuto che è affidata in gestione alle cooperative “Il Solco” e “Marianela Garcia” e che viene utilizzata come centro di incontro per giovani tra i 14 e i 18 anni che qui possono usufruire di una sala computer e di ampie zone di lettura.

PIAZZA DELL’ELEFANTE, PANORAMICA

Librino: un presente, per quale futuro?



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CAPITOLO 3

LA STRUTTUA DELLA POPOLAZIONE DEL QUARTIERE

3.1 SCOMPOSIZIONE PER FASCE D’ETÀ La IX Municipalità di Catania, che comprende le zone di San Giorgio e di Librino, è una delle municipalità a più alta densità demografica della città. Come si è già avuto modo di anticipare nel primo capitolo, non è agevole conoscere il numero effettivo degli abitanti del quartiere di Librino. Secondo i dati ufficiali prodotti dal Comune di Catania per l’anno 2006, la densità demografica della Municipalità in questione rappresenta il 12,65% dell’intera popolazione della città, ma è verosimile che tale percentuale sia da raddoppiare. Con riferimento a tale dato, l’aspetto più interessante che si evince anche dal grafico n. 1, è rappresentato dall’alto tasso di incidenza della popolazione giovanile presente, e questo non solo rispetto al dato complessivo nell’ambito della stessa municipalità, ma anche rispetto all’intera area urbana. Infatti, alla classe modale compresa tra i 14-19 anni appartiene un abitante su dieci del quartiere che rappresenta il 17,29% dei coetanei di tutta Catania. Ma il dato della popolazione che possiamo considerare ancora giovane, di individui che raggiungono al massimo i 33 anni, conta addirittura il 54,7% rispetto alla popolazione dell’intera Municipalità laddove invece, per giungere a questa stessa percentuale rispetto all’intero territorio di Catania, dobbiamo comprendere e sommare anche gli abitanti delle fasce di età comprese fino ai 40 anni. Se poi esaminiamo i dati relativi alla popolazione anziana, la quale incide all’incirca per il due per cento, possiamo trarre una prima considerazione. Men-

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tre oggi in tutto il Paese, ed ormai anche in buona parte del Sud, l’incidenza della popolazione anziana è tanto elevata da richiedere prioritariamente una politica sociale che li attenzioni particolarmente, in questa periferia del Sud, invece, l’alta percentuale di giovani richiederebbe un investimento in politiche sociali maggiormente orientate in loro favore. Questo, d’altronde, significherebbe anche scommettere sul futuro di Catania: un investimento sulle nuove generazione sarebbe in grado di generare un percorsi positivi per la città. Al contrario, se tale fascia della popolazione locale non dovesse ricevere l’attenzione e le risorse economiche opportune, le problematiche sociali per il momento circoscritte nell’ambito dei quartieri periferici, potrebbero estendersi a macchia d’olio fino a comprendere l’intera area metropolitana. Grafico 1

CATANIA - MUNICIPIO IX: DISTRIBUZIONE PER CLASSI DI ETÀ

FONTE: Centro Elaborazioni Dati - Sistemi informativi del Comune di Catania, 2003. ELABORAZIONE: Facoltà di Scienze Politiche - Università degli Studi di Catania,2005.

3.2 LA TIPOLOGIA DELLE FAMIGLIE Come si diceva nel primo capitolo, è necessario tener presente che a Librino convivono due tipologie ben distinte di abitazioni: quelle delle cooperative e quelle dell’edilizia economica e popolare. Questo dato concretizza, al di là di ogni possibile descrizione, una sorta di compresenza di due universi sociali, culturali ed umani che hanno ben poco in comune tra loro, a tutti i livelli. A tal punto da arrivare ad affermare che sussistono due percezioni del vissuto cosi diverse da indurre a credere che si viva in due realtà lontanissime ed incomunicanti. Gli abitanti della Librino popolare provengono da diverse zone di Catania. In gran parte, si tratta di persone che, originariamente, risiedevano nei quartieri

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popolari del centro storico41 di Catania e che sono diventate poi assegnatarie “regolari” delle case di Librino. Sono molti, però, anche gli “abusivi”. Fra questi rientrano sia coloro che hanno occupato le case, anche non completate, prima che venissero assegnate ai veri titolari, sia quanti sono venuti a costruire essi stessi strutture residenziali abusive, prive di regolare permesso di abitabilità, e realizzate su terreni acquistati a poco prezzo ma destinati ad uso diverso rispetto a quello abitativo. Sono molti, inoltre gli abitanti che hanno ricevuto la casa per rispondere ad urgenze di diverso tipo: antichi sfollati di guerra, terremotati. Una delle accuse che l’opinione pubblica muove ai rappresentanti delle istituzioni, che nel tempo si sono avvicendati nell’amministrare l’assegnazione delle case, è quella di “aver voluto ripulire la città e di aver allontanato e messo insieme chi viveva contesti di povertà, di disagio o di devianza”42, concentrandoli tutti a Librino.

PALAZZO DI EDILIZIA POPOLARE. PARTICOLARE

41Quando a Catania viene chiamato alla redazione del piano regolatore l'architetto giapponese Kenzo Tange, che disegna uno sviluppo urbanistico equilibrato, mirato a valorizzare i quartieri periferici e dell'area sud della città, superando il monocentrismo, si porta a compimento il cosiddetto “sacco di San Berillo” (lo sventramento di una parte significativa del centro storico). “Il quartiere di San Berillo di Catania, agli albori degli anni cinquanta, è la pustola infetta, la piaga da risanare, o meglio ancora il tumore da estirpare. Così i politici di allora lo sventreranno, scaglieranno colpi mortali all’urbanistica e agli abitanti della città, creando una manovalanza crescente per la nuova criminalità. Gli abitanti del vecchio quartiere saranno deportati nel nuovo San Berillo, e lì, quelli, diventeranno dei disadattati, senza tessuto sociale ed economico”(Domenico Trischitta, Cosa fare di San Berillo Vecchio?, in Il Dito,periodico online catanese, 29 giugno 2006. 42Intervista ad un residente nel quartiere.

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Tra coloro che abitano nelle strutture delle cooperative, troviamo in genere impiegati e dipendenti pubblici, molti appartenenti alle forze dell’ordine (polizia, carabinieri, finanza…). Ancora, oltre a molti catanesi, sono presenti anche emigranti provenienti da diverse città d’Italia, comprese le province del nord, i quali spostatisi per motivi di lavoro verso Catania, vi hanno poi formato il proprio nucleo familiare decidendo di risiedervi stabilmente. Nell’antico borgo, che si colloca ai bordi del quartiere nuovo, le famiglie sono invece originarie soprattutto dei paesi della provincia, giunte a Catania nel secondo dopoguerra a seguito del fenomeno di urbanizzazione. I primi ad arrivare si stabilirono appena fuori le mura della città per non vivere più da pendolari ed incominciarono a costruire cosi le prime case abusive. Per questo motivo, ancora oggi il borgo antico è un rione molto personalizzato quanto alle abitazioni, ed ha l’identità di un piccolo rione che ha resistito all’intervento delle ruspe. Sono presenti quindi diversi contesti culturali, proprio a ragione del fatto che il quartiere, di per sé, ha una storia breve e chi lo abita proviene da contesti sociali e culturali eterogenei. D’altronde, le strutture non favoriscono la comunicazione e, mancando le occasioni d'incontro e socializzazione all'interno del quartiere, risulta evidente come non sia ancora iniziato un processo identitario e di scambio, laddove prevale invece l’isolamento e la chiusura. “Questo è un quartiere che non ha storia, non avere storia significa non avere socialità, le persone che sono venute ad abitare qui sono state spostate da altri luoghi, non hanno nessuna relazione con il territorio, non hanno relazione di tradizioni, di famiglia ecc.. Ci sono abusivi, assegnatari di case popolari e persone che hanno costruito in cooperative le case. Sono tre gruppi socialmente diversi e in conflitto tra di loro. Nel quartiere ci sono tante isole, la gente non si conosce, non ha modo d’incontrarsi, non c’è un centro”43..

Il quartiere oltre ad essere “marginale” rispetto al resto della città, è quindi anche socialmente disgregato al suo interno e percorso da risentimenti e conflitti causati dalla mancanza di comunicazione tra le diverse zone, dalla differenza tra le componenti sociali presenti sul territorio oltre che dalle diverse tipologie di insediamento abitativo (cooperative, case popolari, case occupate abusivamente…). Se è vero che l’appartenenza al quartiere connota la gente locale che, rispetto alla più ampia dimensione della città, si sente pur sempre di "u Librino", è altrettanto vero che numerose differenze si registrano però all’interno degli stessi viali, differenze favorite dalla struttura urbanistica: "Tra di loro si relazionano dicendo: ah io sono di Moncada, sono cchiu spettu! Io sono di Grimaldi sono più… No, io sono di Castagnola, e sono più … Ci sono sottogruppi e, per ogni viale, c’è una vita a sé stante.”44 43 Operatore sociale, quarantenne, presente a Librino da dieci anni. 44 Volontario, 28 anni, da dieci anni educatore nel quartiere.

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Questo, tra i bambini ed i ragazzi, è più vivamente sentito e fortemente esplicitato anche nei dialoghi e nelle interviste che abbiamo condotto realizzando più visite etnografiche all’interno del quartiere, laddove gli adulti, invece, fatto salvo il caso di chi è impegnato nel sociale, vivono spesso solo il loro condominio e non raggiungono mai neanche fisicamente il resto del quartiere. Un ultimo dato significativo è quello relativo alla presenza di immigrati. La città di Catania accoglie un forte flusso migratorio anche in considerazione del fatto che le coste della Sicilia sono divenute, negli ultimi anni, terra di approdo per numerose imbarcazioni di scafisti dediti al trasporto di migranti. Le dimensioni della città e le occasioni di lavoro che essa offre l’hanno resa non solo meta di arrivo e di transito del flusso migratorio, ma anche luogo di dimora permanete dove si sono sviluppate nel tempo le associazioni di stranieri che si adoperano in azioni di aiuto ed accoglienza verso i propri connazionali. Tuttavia, nonostante tale dato, la presenza di stranieri a Librino è molto bassa. I dati forniti dalla Questura di Catania45 riportano una popolazione straniera regolare nella IX municipalità pari al 5% del dato complessivo calcolato sull’intera città. Questo deve poi scomporsi come segue: 3,76% cittadini membri di Paesi dell’Unione Europea, e 1,24% cittadini extracomunitari. I Centri d’Ascolto Caritas46 non registrano alcun colloquio con stranieri e le associazioni di volontariato della città, affermano che non vi è presenza di stranieri, neanche irregolari, nella zona47. Il flusso migratorio è dunque insediato quasi esclusivamente nei quartieri del centro e della zona storica di Catania, per cui è ipotizzabile che Librino venga con-

45 Questura di Catania, dati del 04/05/04. Il Comune di Catania ha rilevato nel 2005 la presenza di 353 stranieri regolari residenti nella IX municipalità , il 6,86 % rispetto al resto della città; di questi, un numero più alto risiede nel quartiere di san Giorgio adiacente a Librino (IX municipalità). 46Nel quartiere di Librino sono presenti due Centri d’Ascolto Caritas presso le parrocchie: Nostra signora del Santissimo Sacramento e Resurrezione del Signore. Entrambi i Centri d’Ascolto fanno parte del progetto a rete della Caritas Nazionale in cui “è stato attivato un coordinamento tra i referenti regionali dei Centri di Ascolto e i referenti diocesani (per i momenti formativi) con l’obiettivo di monitorare il sistema di rete, offrire momenti di approfondimento e aggiornamento sui temi dell'ascolto. Un coordinamento le cui riflessioni partono dall’esperienza maturata in questi anni, dall’esigenza di rinnovare in modo sistematico motivazione e formazione di quanti sono impegnati nell’ascolto, dall’esigenza di sostenere quanti a livello diocesano hanno il compito di collegare i Centri di Ascolto del territorio e dall’opportunità di rinforzare e di facilitare il compito di chi, a livello regionale, svolge un ruolo di coordinamento”(Caritas Italiana, www. caritasitaliana. it). 47 Singolare l’evento avvenuto nel novembre del 2005, quando immigrati provenienti dall’Est europeo che vivevano in condizioni disumane, in tre fossati che costeggiavano un Corso centrale di Catania, abbattute con le ruspe le baraccopoli dove abitavano, sono stati in un primo momento trasferiti a Librino, in una palestra dimessa di viale San Teodoro, che si è trasformata in un luogo di detenzione per i migranti i quali in seguito sono stati trasferiti nei Centri di Permanenza Temporanea. Immediata è stata la reazione di rifiuto della popolazione, “ora hanno portato anche gli stranieri, cosa siamo la spazzatura di Catania?” così commentava una giovane donna con l’assenso di molti vicini.

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siderata dagli immigrati come una zona troppo lontana e “marginale”, sia da un punto di vista spaziale che economico. Ma è verosimile anche che non sia possibile per loro trovare spazi abitativi. E’ infatti molto difficile, anche e soprattutto alla luce della normativa attualmente in vigore in materia di immigrazione, che cittadini stranieri presenti sul territorio italiano possano divenire destinatari di case popolari. Se gli abitanti delle cooperative sono sufficientemente integrati nella cultura post industriale della nostra epoca, per chi vive nelle case popolari il vissuto è quello tipicamente arretrato degli ambienti dei paesi o dei quartieri tradizionali, con l’aggravante che l’urbanizzazione ha determinato uno sradicamento da quelle tradizioni che avevano un effetto positivo e tranquillizzante proprio di una vita ancorata a più solide radici e ad un destino più certo. Per quanto riguarda la fisionomia delle famiglie del quartiere, occorre osservare anzitutto che, soprattutto all’interno delle case popolari, queste presentano un alto numero di componenti rispetto alla media della città. Secondo i dati del Comune di Catania, il 27,5% delle famiglie della IX municipalità è composto da quattro persone contro il 18,4 di Catania. Inoltre il 30% delle famiglie catanesi composte da più di sei soggetti risiede nella IX Municipalità. Questi dati vanno integrati con le rilevazioni dei Centri d’Ascolto della Caritas, secondo cui il 24,32% delle famiglie degli utenti è composto da 5 componenti e le famiglie composte da sei o più persone costituiscono il 32,44% (tab. 1). Le percentuali delle famiglie della città con un numero così elevato di componenti sono di molto inferiori. TAB. 1 – DISTRIBUZIONI RELATIVE PER NUMERO DI CONVIVENTI. CENTRI D’ASCOLTO ZONA LIBRINO

Numero dei conviventi

%

0

0,00

1

2,70

2

2,70

3

16,22

4

21,62

5

24,32

6

8,11

7

10,81

8

8,11

9 TOTALE Dati Caritas Diocesana Catania, 2005.

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5,41 100,00


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Questi dati hanno anzitutto una spiegazione strutturale. Tra i criteri dei punteggi per l’assegnazione degli alloggi, infatti, quello che ha una maggiore incidenza è senz’altro il numero dei componenti delle famiglie. Quest’ultime non sono composte solo da padre, madre e figli, ma nell’ambito dello stesso nucleo convivono genitori anziani od altri parenti, spesso portatori di handicap, od ancora figli sposati e nipoti secondo una particolare concezione di famiglia allargata. In particolare, quest’ultimo dato è caratteristico soprattutto delle famiglie con difficoltà economiche originarie del vecchio centro storico di Catania (ma questo avviene anche nel resto della Sicilia e, meno accentuatamente, in altre zone del sud). I giovani, non solo vivono nella dipendenza economica dai rispettivi genitori, ma sono altresì culturalmente dipendenti da pratiche che si ripetono nel tempo quale quella della tradizionale “fuitina”. La fuga dei due innamorati sopravviene, in alcuni casi, per risolvere il problema economico legato alla carenza di denaro sufficiente ad offrire un matrimonio sfarzoso. Così, pur di non sfigurare agli occhi di parenti ed amici, le famiglie dei due giovani (in genere in età da matrimonio) concordano tra loro la “fuitina” a seguito della quale diventa impellente celebrare il matrimonio in chiesa e sufficiente offrire solo la torta nuziale ed i tradizionali confetti benaugurali. Successivamente, e sin quando i novelli sposi non disporranno delle possibilità economiche per vivere da soli, questi prenderanno dimora presso l’una o l’altra delle due famiglie d’origine, secondo la maggiore convenienza del caso. Altre volte, invece, soprattutto quando la ragazza coinvolta non ha ancora raggiunto la maggiore età, si ricorre alla “fuitina” per motivi sociali piuttosto che economici. Infatti, scappando via insieme per qualche notte, la coppia cerca di affermare sia presso la collettività che presso le rispettive famiglie d’origine, la propria convivenza di fatto e di imporre l’accoglienza di entrambi, questa volta generalmente nella casa della ragazza. Se ciò non dovesse avvenire, la ragazza rimarrebbe disonorata e non potrebbe più sposarsi. Il matrimonio legale e/o religioso rimarrà invece un obiettivo, e spesso un sogno irraggiungibile, capace di concretizzarsi solo dopo dieci, a volte quindici anni dalla fuga originaria e solo se, economicamente, sarà allora possibile poter acquistare un abito bianco ed offrire agli invitati una cena o un pranzo nuziale al ristorante. Il fenomeno della “fuitina”, però, non è l’unico motivo del permanere dei figli sposati nella propria famiglia d’origine. A differenza di altre regioni italiane, quando i giovani non hanno la possibilità economica di metter su famiglia, generalmente vi rimangono presso il nucleo familiare originario anche dopo essersi sposati e fino a quando non avranno la possibilità di andare a vivere per conto loro. In alcuni casi, poi, si arriva anche a contrarre debiti (talvolta anche con usurai), pur di consentire ai figli di celebrare un matrimonio in piena regola.

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In conclusione possiamo dire che se, come altrove, l’aiuto e la solidarietà familiare rimangono tra le risorse più importanti per contenere le difficoltà economiche dei giovani, a Librino, ma in genere anche altrove (a Catania che nel resto della Sicilia), questa forte dimensione della famiglia allargata permette anche di non dover attendere a lungo, rinviando il momento giusto per costituire una famiglia. Ed in questo senso possiamo riconoscere che la famiglia non finisce per diventare un rifugio che protrae la dimensione protettiva della figliolanza, ma diviene valore positivo capace di generare possibilità di aiuti reciproci e dove è ancora possibile sperimentare la gratuità.

3.3 I RUOLI ALL’INTERNO DELLA FAMIGLIA Come è stato già più volte sottolineato, anche la definizione dei ruoli all’interno della famiglia si presta ad una duplice disamina destinata ad essere differente tra le famiglie delle cooperative e quelle residenti negli alloggi popolari. E poiché i nuclei familiari presenti nelle cooperative sono descrivibili secondo il quadro culturale delle famiglie moderne, forse è bene soffermarsi piuttosto sulle altre perché si presentano con uno specifico che probabilmente non è riscontrabile altrove. Se è vero che nel Sud vige ancora lo schema della famiglia tradizionale, dove l’uomo lavora e la donna si occupa della casa, Librino non smentisce tale aspettativa in quanto vive, in maniera ancora molto accentuata, lo stereotipo tradizionale dei ruoli intrafamiliari assegnati secondo un automatismo che sembra concretizzare un destino già scritto nella natura. Secondo alcuni, l’affermazione di un tale schema culturale tradizionale deve ricercarsi in fattori di tipo economico: poiché le donne non svolgono un lavoro indipendente, non riescono a riscattarsi dal ruolo di subordinazione rassegnata che vivono rispetto alla figura maschile. Se questo è reale in molte situazioni, si deve però anche constatare che non si tratta della sola causa determinante, soprattutto se si considera che spesso la donna di Librino è attiva da un punto di vista lavorativo al punto da contribuire, spesso in maniera esclusiva, a mantenere con il proprio reddito da lavoro l’intera famiglia. Sono molte, infatti, le donne che vanno a servizio presso famiglie abbienti del centro urbano, e che lasciata la casa alle prima ore del mattino per tornarvi soltanto nel primo pomeriggio. E però, anch’esse, nonostante l’impegno lavorativo, continuano a mantenere il ruolo che viene loro assegnato, in quanto donne, dal sistema familiare tradizionale. Si può dunque affermare che in questo tipo di famiglia, i ruoli siano parte di schemi culturali tradizionali i quali impongono percorsi di vita che si svolgono secondo il testo di copioni gia recitati e che si perpetuano, inesorabili, di generazione in gene-

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razione. A questi sembra impossibile sfuggire, per cui non rimane che adeguarsi con spirito di rassegnazione. Alla donna, vera vittima di tale sistema sociale, viene riconosciuto un valore positivo solo in quanto madre: seppur giovanissima (14 –15 anni), sarà lei a badare a tutte l’esigenze della famiglia, dall’educazione dei figli alla spesa, dalla cucina alle “faccende”. Tutto questo unito alla necessità di dover sopportare in silenzio tradimenti, violenze ed il peso prodotto dalla conoscenza di azioni inconfessabili, spesso malavitose, commesse dai mariti: “Gli uomini non fanno niente, fanno ma fanno cose storte, si procurano i soldi per campare nella maniera più disperata, sembra che si muovono, ma poi in effetti si dedicano al male affare”48. “Ca’ si nasciti masculi, nasciti na’ un minuto; si nasciti donna è tutto divessu, la donna non scinni da sutta a iucari, a fare e a diri, è u maschiu chiddu ca scinni e ma manu ca crisci si va alluntanannu. E na stu quartieri vuoli diri non dormiri e anzi irici darreri”49.

Fin da piccola, dunque, la donna viene preparata a divenire madre: bada ai fratellini od ai nipoti, impara a sbrigare le faccende domestiche e sovente si occupa della pulizia della casa. Nessuna attenzione viene invece prestata per favorire in lei la crescita culturale, relazionale ed affettiva. Gli uomini, al contrario, acquisiscono precocemente autonomia: sei “masculo” quanto più sei “spettu”50 e se non incontri modelli culturali esterni positivi, già dai quattordici anni diventi manovalanza per la criminalità della zona. Anche la pratica della “fuitina”, che nell’immaginario di molte ragazze rappresenta la via per sfuggire allo stereotipo della vita intrafamiliare di dipendenza, ripropone invece, dopo la breve fuga di qualche notte, lo schema della famiglia originaria. Per salvare l’onore, la ragazza dovrà accettare la convivenza nella dipendenza dal suo uomo/marito e, poiché la fuga si consuma spesso tra preadolescenti, la giovane diventa allora succube oltre che della famiglia propria, anche di quella del marito. Questo sistema non rende le giovani donne pronte ad affrontare la vita matrimoniale, rispetto alla quale rimarranno sprovviste, anche nel tempo, della maturità necessaria per vivere una relazione di coppia. Inoltre, seppure nel corso della vita matrimoniale possono emergere numerose problematiche, queste, il più delle volte, non sono destinate a sfociare in rotture, 48 Insegnante di una scuola media statale del quartiere. 49Traduzione :“Qua se nasci maschio nasci in un minuto, se nasci donna è tutto diverso, la donna non scende sotto casa a giocare, a fare e a dire, e il maschio che scende e man mano che cresce si allontana. E in questo quartiere questo vuol dire non dormire e anzi andarci dietro.” 50 Furbo, capace di cavartela.

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separazioni o divorzi. Richiederanno invece ancora una volta da parte della donna, un atteggiamento di fedele accettazione e di rassegnazione. “Da un lavoro che abbiamo portato avanti con 10 mamme usciva fuori irremidiabilmente questo spirito di rassegnazione: io sono donna e questo mio percorso è segnato da quando sono nata, morirò così. Le madri sono quelle che devono badare a tutto, prendono i figli, li accompagnano e… tutto il resto. Soddisfano il marito sessulamente, tutte queste cose… ma questo lo iniaziano già a pensare a tredici anni, tredici anni per uscire da questo schema di famiglia cercando di poterlo fare uscendo dalla famiglia con la fuitina. Ma sulle bambole…? E allora si ripete lo schema. E’ un copione!”51.

3.4 DIFFERENZE E TENSIONI ALL’INTERNO DEL QUARTIERE Più volte abbiamo sottolineato come all’interno del quartiere ci sia una diversità di vissuto e di percezione della realtà che spesso fa pensare a due mondi lontani, anche fisicamente. Vogliamo ora evidenziarne alcuni aspetti che riguardano non solo questi due universi, ma anche la diversa situazione che si vive all’interno delle stesse case popolari, così come abbiamo potuto costatare dalle interviste rivolte in particolare ad alcuni giovani che tentano di resistere all’attrattiva della via facile della delinquenza. I giovani che si incrociano a Librino hanno infatti storie diverse a seconda del nucleo abitativo ove vivono: i ragazzi che, per esempio, scelgono di intraprendere la carriera universitaria o che cercano di farsi strada fra le file della polizia, dei carabinieri o dei finanzieri, abitano quasi esclusivamente negli anelli del viale Castagnola o del viale Nitta, dove si trovano i palazzi delle cooperative. Chi abita invece nelle case popolari di viale Grimaldi, Moncada, Bummacaro, il più delle volte non consegue né il diploma superiore né una qualifica professionale. In genere, si tratta di giovani che rimangono disoccupati o che scelgono la strada del lavoro in nero, per lo più nell’edilizia, con un guadagno minimo, se non addirittura inesistente soprattutto nel caso di quando prestano il loro contributo nell’ambito dell’impresa familiare. “Per chi abbandona la scuola i mestieri sono questi: aiutante ambulante, o barista, o pasticcere, o aiutante fabbro” 52.

Ma è evidente che, alla fin fine, molti ragazzi disoccupati finiscono per (o preferiscono?) spacciare droga nel quartiere e “per loro è un lavoro, come per me è l’imbianchino. Quasi tutti pari s’arrovi51 Insegnante di una scuola media statale del quartiere. 52 Ragazzo diciassettenne, disoccupato, lavora in nero come imbianchino saltuariamente.

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narono oramai. Di chiddi c’hamu cresciuto assieme, noautri ca no facimo sti cosi semu rimasti in tre quattru supra na trentina” 53.

Del resto, questa prospettiva di vita risponde alla forte attrattiva delle possibilità che hanno coloro che fanno parte della criminalità organizzata: è facile, nei viali del quartiere, veder sfrecciare moto di grossa cilindrata e macchine nuove e costose, guidate da ragazzi … disoccupati. TAB. 2 – DISTRIBUZIONI RELATIVE DEI BISOGNI.

Richieste

%

Problematiche abitative

6,75

Detenzione e giustizia

0

Dipendenze

0

Problemi familiari

8,11

Handicap / disabilità

0

Bisogni in migrazione / immigrazione

0

Problemi di istruzione

1,35

Problemi di occupazione / lavoro

25,68

Povertà / problemi economici

45,95

Problemi di salute

1,35

Altri problemi

2,70

Altri problemi, Solitudine – PRO06

8,11

TOTALE

100,00 PRO06 = Solitudine delle donne con coniuge / patner detenute

Dati Caritas Diocesana Catania - 2005

Ancora, un altro dato rimarca la presenza di questi due universi presenti nel quartiere ed è rappresentato dalla diversa percezione che i distinti tessuti sociali ed urbanistici, paralleli ed estranei, generano nei loro abitanti. Dalle interviste emerge chiaramente la totale diversità d’interpretazioni che le persone, soprattutto i giovani, hanno dei luoghi in cui vivono, luoghi che sono lontani fra di loro di appena una manciata di metri. “A Librino la vita è tranquillissima, si sta benissimo, l’aerea è pulita, c’è molto verde, non c’è confusione, nessuno ti disturba”54: questa è la percezione condivisa che ripetutamente è emersa da un focus group condotto con abitanti adulti di viale Castagnola (zona cooperative). Ma i sentimenti di una mamma residente in viale Moncada (edilizia popolare) 53 Traduzione in Italiano: “…quasi tutti quanti si sono rovinati ormai. Di coloro che siamo cresciuti insieme,tra noi che non facciamo queste cose siamo rimasti in quattro su una trentina”. “Su trenta ragazzi di una palazzina solo quattro non spacciano.” 54 Donna di 56 anni, casalinga, residente in viale Castagnola.

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rispecchiano l’altro volto di Librino: “Vorrei vivere in un altro posto, qui non c’è niente, solo brutti sogni per i figli che crescono, spazzatura, spaccio … Autru ca spine verdi. È trazzera! 55”. Di fatto, oggi, i nuclei di edilizia popolare sono contenitori di popolazione appartenente alle fasce più deboli e povere della città. Sono quest’ultimi gli utenti dei Centri d’Ascolto Caritas che hanno registrato attraverso l’elaborazione dei dati raccolti nei colloqui nel 2005 (tab. 2), il 45% di richieste relative a bisogni economici ed il 25% invece relative alla problematica della carenza di lavoro.

3.5 LINGUAGGI E LINGUE Il quadro socio demografico di Librino fin qui descritto, con la forte disgregazione che genera e la mancanza di luoghi, modalità e tempi dove creare un senso di appartenenza ad un’identità comune, produce ripercussioni anche sul piano linguistico, sia rispetto alla comunicazione attraverso il linguaggio comune, che sul piano dei significati che si sogliono trasmettere con i linguaggi. Questo, come abbiamo notato, avviene anche per la diversa percezione della realtà in cui si vive. Vengono a crearsi, di conseguenza, stratificazioni interne anche rispetto alla modalità della lingua parlata. Nelle zone delle cooperative è facile sentir parlare, soprattutto tra i giovani, un italiano scolarizzato laddove invece, nelle zone popolari dell’edilizia economica, è di uso comune l’impiego del dialetto. È possibile però tracciare alcune linee di tendenza all’interno questo secondo ambiente. In generale possiamo dire che il dialetto viene utilizzato soprattutto laddove le relazioni sono di tipo meno formale e quindi, prima di tutto, nei contesti familiari e nelle relazioni amicali, ovvero ancora all’interno delle “bande” giovanili e non. E” importante però sottolineare che la forma pura del dialetto viene conservata ormai solo dalle poche persone anziane del quartiere. Queste lo utilizzano, ad esempio, con i figli più giovani i quali però, pur comprendendolo, non sono più in grado di esprimersi con lo stesso linguaggio. Il dialetto che si parla comunemente è piuttosto un qualcosa di ibrido, una forma di commistione tra le espressioni originarie pure e quelle che vengono riprodotte secondo sonorità proprie della lingua italiani e significati dialettali. In collaborazione con il Centro Studi Filologici Linguistici Siciliani, all’interno del progetto di produzione di un Atlante Linguistico della Sicilia56 si è svolto uno studio57

55 “…altro che spine verdi. È una strada di campagna abbandonata!”. Il riferimento è al progetto originale di Kenzo Tange che prevedeva la realizzazione di percorsi addibiti a verde pubblico denominate “spine vedi”. 56 G. RUFFINI (a cura di), Atlante Linguistico della Sicilia, Centro di Studi Filologici Linguistci Siciliani, Palermo 1994. 57 M.GIULIA MAMMANA, Lingua e dialetto a Librino: una ricerca socio linguistica sui giovani, tesi di laurea, Università degli Studi di Catania,1994.

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sulla realtà linguistica di Librino, in particolare concentrando l’attenzione sull’evoluzione ed i cambiamenti che si producono sul linguaggio dialettale in seguito al trasferimento della persona all’interno di un contesto urbano con conseguente sradicamento dall’ambiente d’origine (zone rurali o zone popolari di Catania). Lo studio è giunto proprio a questa conclusione: si può dire che talune forme dialettali rimangono quasi solo nelle frasi fatte, nei proverbi e in alcuni intercalari, dove il linguaggio televisivo sta diffondendo un italiano stereotipato e di genere. Nei contesti e nelle situazioni che richiedono la pratica di relazioni formali (con gli insegnanti, il parroco, negli uffici, dal medico ed anche con gli intervistatori) “si cerca” di parlare in italiano. Questo sforzo porta a risultati diversi legati al diverso grado socio culturale delle persone, con varie forme di regionalismi trasferite dal dialetto alla lingua. I giovani, infine, sono sempre più incapaci di parlare il dialetto, ma allo stesso tempo costruiscono una lingua più intima dove l’italiano si mescola a retaggi dialettali.

ANTENNE PARABOLICHE

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CAPITOLO 4

L’ECONOMIA DEL QUARTIERE

4.1 INTRODUZIONE GENERALE. E’ GIÀ DIFFICILE PARLARE DI UN’ECONOMIA A LIBRINO Librino è un quartiere che si estende su un territorio vastissimo, con grandi spazi vuoti tra i gruppi di palazzoni. È fornito di viali larghissimi ed è attraversato da arterie altrettanto larghe che lo collegano con la città di Catania e con luoghi strategici, come l’aeroporto58, la zona industriale e l’intero hinterland; ma di per sé avrebbe buoni collegamenti anche con il centro della città. Ci si può domandare, allora, come mai non sono nati, ad esempio, quei grossi centri commerciali che, in genere, in altre città sono sviluppati proprio in contesti simili. E come mai non sono sorte strutture ricettive, come alberghi, ristoranti, di cui una città in genere si dota in zone così prossime ai gangli vitali dei collegamenti, per ricevere turisti, viaggiatori, imprenditori? C’è un dato eclatante che sbalordisce immediatamente: solo circa il 4% delle attività produttive della città di Catania è presente in questo quartiere. E, ancora

58 L'aeroporto di Fontanarossa serve un ampio bacino di utenza rappresentato da più di 3 milioni di abitanti di 7 province della Sicilia centro-orientale. La determinazione delle aree di attrazione, basata sulla vicinanza dell'aeroporto alla città di Catania , sui tempi di percorrenza e sulla quantificazione della popolazione residente, evidenzia come Fontanarossa serva oltre il 60% del totale bacino della Sicilia. L'Aeroporto di Catania ha avuto negli ultimi 10 anni tassi di crescita superiori alla media. Il tasso medio annuo di crescita 1994 – 2003 dell'Aeroporto di Catania è stato del 9.5% contro una media nazionale pari al 6.7%. E’ diventato il 4° scalo nazionale con oltre 5 milioni di passeggeri trasportati nel 2004 e il secondo scalo regionale italiano con quasi il 5% del traffico totale e con il miglior trend di crescita tra gli aeroporti della sua categoria.

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oggi, un grande insediamento commerciale59, che sta sorgendo nell’area metropolitana di Catania60, è stato costruito nella zona di Belpasso, che è un comune molto più decentrato rispetto a Librino, sia in rapporto alla città, che alle vie di collegamento per l’arrivo delle merci. Prima ancora di questo insediamento erano già sorti numerosi ipermercati nel comune di Misterbianco, che è anch’esso molto decentrato e che non si può dire che sia più sicuro rispetto a Librino quanto all’influsso e alla presenza mafiosa. D’altronde, si sa bene che alcuni degli ipermercati e degli insediamenti industriali e commerciali di Misterbianco sono frutto di investimenti portati avanti per riciclare denaro sporco. Allora, come mai neanche la mafia ha trovato interessante investire in attività commerciali, industriali od alberghiere a Librino piuttosto che a Misterbianco? È evidente che questi interrogativi sono solo retorici. Ma sarebbe sbagliato ritenere che le risposte vadano ricercate nelle solite lamentele sulla mafia, che vengono evocate in questo tipo di questioni. Si tratta di individuare quali sono le difficoltà specifiche per lo sviluppo economico del quartiere, dal momento che le anomalie a cui accennavamo sono riscontrabili in tal misura solo lì.

4.2 IL QUADRO ECONOMICO DI LIBRINO: DATI E TENTATIVI D’INTERPRETAZIONE 4.2.1 Occupazione Il primo dato oggettivo che deve essere esaminato per poter considerare lo sviluppo economico di un territorio è quello riguardante l’occupazione. Bisogna anzitutto osservare che gli unici dati che abbiamo a disposizione in materia sono frutto dell’elaborazione che la Facoltà di Scienze Politiche di Catania ha operato su dati dell’Amministrazione comunale. Tuttavia, la loro presentazione in un documento ufficiale61 risulta, diciamo così, un po’ approssimativa. Vi si legge infatti: “Il tasso di disoccupazione della nona Municipalità risulta del 29%, rispetto al 22% di tutto il territorio catanese”. Tuttavia, presso il Comune, seppur non con dati ufficiali riguardanti Librino, diverso personale della pubblica amministrazione da noi incontrato parla addirittura di un tasso di disoccupazione del 50 59 Etnapolis è un grande insediamento commerciale realizzato nel territorio di Belpasso, lungo la SS.121 Catania - Paternò, ed è davvero una "città del commercio". Ecco i dati più significativi: 270.000 mq di superficie, 1 ipermercato di oltre 18.000 mq., 110 negozi, 10 locali di ristorazione, 1 cinema multisala con 14 sale, 6000 posti auto, parchi e giardini. Si prevede che, a pieno regime, vi lavoreranno circa 3.280 persone con varie qualifiche professionali. 60 Il quindicesimo! ricordiamo che il bacino di popolazione che potrebbe essere interessato alla loro presenza è di circa ottocentomila abitanti! 61 La fonte di questi dati e dei successivi è l’Osservatorio Socio Economico – XVI Direzione – Comune di Catania (RICCO 2002), elaborati dall’Università degli Studi di Catania, Facoltà di Scienze Politiche.

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%. Ma il motivo di questa enorme disparità di cifre non è di facile comprensione. Il secondo dato che fa riflettere, è quello relativo al lavoro delle donne: in riferimento alla stima ufficiale degli uomini (17%), il tasso di disoccupazione delle prime è maggiore (39%). Ciò nonostante il numero delle donne che svolgono attività lavorative non è affatto trascurabile e si conferma che, come si diceva precedentemente, il loro lavoro spesso rappresenta l’unica fonte di reddito familiare. Per quanto riguarda l’occupazione giovanile, gli unici lavori che i giovani riescono a trovare sono quelli nella manovalanza dell’edile, nella pesca, nel commercio ambulante e simili. Anche il dato del “ricambio generazionale” delle poche attività industriali, ha proporzioni enormi rispetto ad altri luoghi: per ogni posto di lavoro che si libera per via del pensionamento, ci sono 226 giovani che vi ambiscono. Nel computo di questi dati, inoltre, si deve tenere in debito conto la differenziazione esistente all’interno del quartiere – e che più volte abbiamo già riscontrato – tra i residenti delle cooperative e i residenti dell’edilizia economica: è verosimile che questa diversità abbia una ricaduta anche nella disparità tra il tasso di disoccupazione tra uomini e donne, e soprattutto i giovani. Evidentemente, anche qui non ci sono riscontri ufficiali che scompongono i dati per le due zone, ma in generale possiamo dire che, per via della scolarizzazione degli abitanti della prima, il tasso di disoccupazione, nella zona dell’edilizia economica, dev’essere molto più elevato. All’interno dei dati che disponiamo non è possibile calcolare la percentuale di coloro che lavorano in nero, percentuale che comunque la frequentazione del quartiere ci consente di ritenere elevatissima, soprattutto tra i più giovani: “Ma quale messa in regola! Io mai sono stato messo in regola! Mi dicono ti metto in regola ma poi non mi ci mettono mai…”62.

Così come è ricorrente il fenomeno del precariato: “Questo lavoro è d’accussì: dicchè c’è e dicchè non c’è più!”63. “Io si, sono messa in regola ma nella busta paga, guardi le faccio vedere… nella busta paga c’è scrito che prendo 800 euro al mese, ma il datore di lavoro mi dà 450 euro al mese. Qui è così bisogna accettare altrimenti non lavori. Queste sono le buste paga a Catania…”64 “Mio filgio, se ne va la mattina e torna la sera, in busta paga c’è scritto che fa il part- time, prende 500 Euro al mese e lavora tutto il giorno come magazziniere presso (nomina una ditta di produzione di autovetture famosa a livello internazionale).”65 62 Giovane disoccupato, 18 anni. 63 Giovane imbianchino: “questo lavoro è così, un momento c’è e un altro momento non c’è più”. 64 Ragazza di 24 anni residente a Librino. 65 Mamma residente a Librino.

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Il sistema per la ricerca e l’offerta del lavoro è esclusivamente rappresentato dalla conoscenza di qualche santo in paradiso”, o dal passa parola. Qualcuno, al massimo, tenta con Il Mercatino, un settimanale cittadino di annunci, ma manca una sede dell’ufficio di collocamento o di una agenzia interinale dislocata in zona. Ed è ovvio che le reti informali o illegali finiscono per sostituire il vuoto di opportunità lavorative66. Se a tutto questo aggiungiamo che i collegamenti pubblici con altre zone della città sono molto difficili, il quadro si fa più complesso. Gli autobus giungono al massimo sino alla cinta esterna di Catania, in una piazza (Falcone e Borsellino, già detta Alcalà) da cui poi occorre fare almeno un altro scambio e i tempi di percorrenza (per il traffico caotico della città) non sono mai prevedibili. Quanto poi ai mezzi privati, chi è disoccupato – ma anche gli abitanti di Librino che “lavorano” – evidentemente ha poche possibilità di acquistare un auto e possedere un motorino è quasi impossibile, perché i furti dei ciclomotori sono sistematici67. Il ricorso all’usuraio, allora, anche per poter sopravvivere – vista l’impossibilità di accedere a qualsiasi forma di mutuo –, finisce spesso per ridurre le famiglie sul lastrico, sino a dover vendere perfino la maniglia della porta di casa… 68 L’aiuto e la solidarietà familiare rimangono l’uniche risorsa per gli appartenenti alle fasce più deboli e povere ma, naturalmente, è una situazione vissuta con sofferenza perché mantiene nello scoraggiamento e nella sfiducia e priva della possibilità di progettare un futuro: “Non voglio i soldi ma almeno un lavoro, come li devo crescere questi picciriddi? Addumannannu a me mamma e a me soggera? Non si possono crescere così 69”.

Per le famiglie indigenti, infine, unica risorsa rimane l’intervento assistenziale degli aiuti materiali da parte di persone generose. In questo senso, va segnalato che oltre ai Centri d’Ascolto della Caritas, ci sono singole persone o gruppi che, così come gli Angels l’Esercito della salvezza degli anni della depressione negli U.S.A., quasi settimanalmente, con una generosità spesso sbalorditiva, portano viveri nelle case e sono pronti a mobilitarsi per rispondere alle richieste urgenti di aiuto che ricevono.

66 Colloquio con un giovane disoccupato: “Come si cerca il lavoro ?””Ma tramite il mercatino oppure qualche amico tuo ti dice sai c’è questo posto là, vai e prova”. 67 Solo pochi coraggiosi o fortunati riescono a portare in casa il motorino in ascensore. 68 Racconto di una volontaria della Caritas Diocesana di Catania. 69 Mamma vedova con due figli minorenni; trad.: “…come li devo crescere questi bambini? Chiedendo soldi a mia mamma e a mia suocera…?”

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SCORCIO DEL QUARTIERE

4.2.2 Attività economiche e incidenza sui consumi, sul commercio e le attività produttive I lavori svolti dagli abitanti del quartiere vengono quasi tutti praticati all’esterno di Librino. Nell’analisi socio demografica che l’Università di Catania ha svolto nel 2005 su cinque municipalità coinvolte nei progetti APQ70, si riscontrano incongruenze rispetto ai dati che sono stati messi a nostra disposizione dal Comune. La loro interpretazione si riduce a poche osservazioni, dal momento che la loro incidenza sul totale della popolazione è ridottissima: non dimentichiamo che la popolazione di Librino, anche se volessimo assumere il solo dato ufficiale, è di oltre trentaseimila abitanti, mentre il totale degli “occupati” riportati nella tabella che segue è di 1.142 persone. Tra questi dati, gli unici che risultano non convincenti sono quelli relativi ai dipendenti della pubblica amministrazione. Conosciamo infatti persone che vi lavorano, quelli del ceto impiegatizio, che abitano nelle cooperative, mentre nelle case economico-popolari vivono netturbini e manovali dipendenti del Comune.

70 Accordo di Programma Quadro.

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Coloro che sono descritti come dipendenti di industrie manifatturiere sono gli operai della Cesame, che produce laterizie per i servizi igienici, i quali, grazie a una convenzione tra l’impresa e l’amministrazione comunale, hanno ottenuto alcuni alloggi dell’edilizia convenzionata proprio a Librino. Altri dati sicuramente sottostimati sono quelli relativi agli addetti al settore edilizio (manovali) e della ristorazione (camerieri, lavapiatti, qualche pizzaiolo e qualche cuoco), e questo probabilmente perché si tratta dei settori in cui il lavoro nero è ampiamente diffuso. Per completare il quadro della situazione economica del quartiere, anche in vista di alcune osservazioni che ci sembra di poter fare, per comprendere la situazione attuale e per immaginare possibili evoluzioni, riportiamo due tabelle che riguardano la scarsa presenza di infrastrutture che incide sul quotidiano e il quadro desolante delle attività economiche e produttive, la cui carenza rende gli abitanti di Librino sempre più diffidenti verso ogni proposta di cambiamento. TAB. 3 – DISTRIBUZIONI ATTIVITÀ ECONOMICHE IX MUNICIPALITÀ – 2002

Agricoltura, caccia, pesca Estrazione di minerali Industrie manufatturiere Energia elettrica, gas e acqua

V.A

% sulla

% sul

98

8,58

4,55

1

0,09

10

143

12,52

3,96

0

0

0

Costruzioni

149

13,05

6,39

Commercio all’ingrosso e dettaglio

508

44,48

3,66

Alberghi e ristoranti Trasporti, magazzinaggio e comunicaz. Intermediazione monetaria e finanziaria;

9

0,79

1,04

119

10,42

9,38

7

0,61

0,88

37

3,24

1,55

Pubblica amministrazione

0

0

0

Istruzione

0

0

0

Servizi

Sanità

7

0,61

2,81

Altre attività dei servizi

25

2,19

1,72

Altre attività non classificate

39

3,42

1,43

1142

100

3,57

Totale

Fonte: Osservatorio Socio Economico – XVI – Comune di Catania si dati TAB. 4 – INFRASTRUTTURE E ATTIVITÀ ECONOMICO PRODUTTIVE PRESENTI NEL TERRITORIO DI LIBRINO.

Infrastrutture

Numero

Cultura Biblioteche, musei, pinacoteche, ecc. Internet point

1 Assenti

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L’economia del quartiere Centri culturali Istituti di istruzione elementare Istituti di istruzione media inferiore Scuole dell’infanzia Istituti di istruzione media superiore Istituti di formazione professionale Sanità Istituti o distaccamenti ospedalieri Pronto soccorso A.s.l. Studi ed ambulatori medici privati Laboratori di analisi privati Consultori Servizi sociali comunali (gli operatori provengono dalla città) Svago Ristoranti Pizzerie (da trasporto) Bar Paninerie, birrerie, pub, wine bar, ecc. Discoteche, sale da ballo, ecc. Sale giochi, ludoteche, centri ricreativi, ecc. Parchi, giardini pubblici, ecc. Palestre, centri sportivi, ecc. Cinema Teatri Stadi (costruito al tempo delle Universiadi, ma abbandonato Circoli Sicurezza, uffici pubblici, ecc. Commissariato di polizia Ufficio postale Attività Economiche e Produttive Banca Abbigliamento Esercizi commerciali (del settore merceologico) Calzature Supermercati Stampa (librerie, edicole, ecc.) Alimentare Ristorazione(il loro numero varia perché hanno breve durata) Ricreazione, sport, ecc. (palestre, sale da gioco, ecc.) Sanità (farmacie, ottici, ecc.) Esercizi vari (profumerie, ferramenta, negozi per l’infanzia, ecc.) Attività industriali Attività artigianali (quelle presenti sono svolte in case Settimanalmente funziona un mercatino rionale

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2 5 4 1 Assenti Assenti Assenti Assenti 1 Assenti Assenti Assenti 1 Assente 1 2 Assenti Assenti Assenti Assenti 2 Assenti Assenti 1 Assenti 1 1 Numero 1 Assente Imprecisato Assente 2Assenti Imprecisato Assenti 1 2 Assenti Assenti

Fonte: Caritas - 2006

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Dagli schemi sopra indicati, emerge con chiarezza l’immagine di un sistema economico fortemente sottosviluppato in ogni sua componente e caratterizzato dall’assenza, pressoché totale, di attività produttive. Il settore industriale è praticamente inesistente in tutto il comprensorio. Lo stesso può dirsi, salvo qualche rara eccezione, anche per quello artigianale. Quanto all’esercizio di attività commerciali, le carenze sono così macroscopiche che è il dato che rende più visibile il fatto che Librino sia solo un quartiere dormitorio o considerato come tale. Gli unici esercizi commerciali presenti all’interno dell’area offrono esclusivamente beni e servizi di prima necessità. Ma si tratta, nella maggior parte dei casi, di imprese al dettaglio, che si presentano in dimensioni assai ridotte (per cui sono molto precarie), sono gestite a livello familiare ed operano essenzialmente nel settore alimentare e di beni di largo consumo. Le carenze sono tali che la quasi totalità della domanda di beni e servizi, anche essenziali, proveniente dalla popolazione, non potendo essere soddisfatta dall’offerta locale, si riversa sulle attività commerciali presenti nel centro e nelle altre aree della città. Ciò anche nonostante sia difficile muoversi ed affrontare le distanze a causa dei cattivi collegamenti. Non meno grave si presenta la situazione per quel che riguarda l’offerta locale di servizi e di infrastrutture in genere. Il settore sanitario, per tutto il comprensorio, è servito da un’unica Azienda sanitaria locale, che, nonostante sia bene attrezzata, è poco fruibile per l’alto numero degli abitanti del quartiere che dovrebbero servirsene. Di conseguenza, molti preferiscono ricorrere ai servizi offerti dai presidi presenti nel centro della città, anche in questo caso affrontando non poche difficoltà di collegamento. Anche il settore dell’istruzione è sostanzialmente deficitario. Se è vero, infatti, che gli istituti di istruzione primaria sono presenti in numero sufficiente rispetto alla domanda, occorre tener presente che per la vastità del territorio di Librino, anche raggiungere le suddette scuole spesso è difficile: non solo per le distanze, ma soprattutto perché i ragazzi devono attraversare strade con traffico veloce e, quindi, pericolose. Invece, sono totalmente assenti gli istituti di istruzione superiore e quelli di formazione professionale. Carenze gravissime si riscontrano, poi, nell’ambito cultura e di svago. Quanto alle strutture ricreative pubbliche, la situazione è vergognosa. Non esiste, infatti, nel quartiere né un parco, né un giardino pubblico (promessi in occasione di diverse elezioni, iniziati, ma mai completati), né attrezzature sportive adeguate (quelle presenti sono in stato d’abbandono), né un qualsiasi altro spazio attrezzato per offrire occasioni di socializzazione. Per quel che concerne, invece, le strutture recettizie private, quelle presenti operano esclusivamente nell’ambito della ristorazione, ma anche in questo caso, offrono solo i servizi essenziali. Al di là di un chiosco, qualche camion di panini e di una pizzeria da asporto, il quartiere non offre nessun altro servizio di questo

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tipo agli abitanti che sono costretti, ancora una volta, a rivolgere la propria domanda verso il centro città. Il settore della cultura è forse quello maggiormente trascurato. A fronte di un’ampia fetta della popolazione che si trova in età scolare, non esiste a Librino nessuna libreria e vi è la presenza di una sola biblioteca nei locali della Municipalità che non è frequentata ed è mal gestita. Le uniche che prestano servizi culturali sono offerte da due associazioni private, una delle quali avviata nell’ambito di una delle parrocchie presenti nel quartiere. Le carenze riscontrate in questo settore si presentano ancora più preoccupanti se si pensa allo stato di grave povertà culturale in cui versa una parte consistente della popolazione. Offrire stimoli per la crescita culturale della comunità dovrebbe rappresentare un dovere per le amministrazioni cittadine, soprattutto nei casi, come quello di Librino, in cui un risanamento del contesto socio-culturale potrebbe rappresentare un’importante politica di sviluppo. Un ultimo elemento che va considerato, quale indicatore del livello di crescita economica di un sistema, è il tasso di disoccupazione. Abbiamo già parlato del fenomeno, ma qui vogliamo richiamarlo per osservare che un tasso tanto elevato non fa che confermare il grave stato di sottosviluppo in cui versa l’area. Quella che emerge, dunque, dalle informazioni raccolte, è una condizione economica gravemente deficitaria, che non risparmia nessun comparto dell’economia librinese. E questo, lo ripetiamo, nonostante non manchino i presupposti perché il quartiere divenga sede di importanti attività economiche: la posizione strategica, o comunque privilegiata, ai fini dell’avvio di attività commerciali e produttive, l’ampia disponibilità di spazio edificabile da destinare a una loro eventuale ubicazione, e soprattutto, la presenza di un ampio bacino di utenza per i servizi o i prodotti che verrebbero offerti all’interno del quartiere. Quest’ultimo aspetto rappresenta un elemento da non sottovalutare, soprattutto se si pensa che tutti gli abitanti dichiarino di risentire fortemente delle gravi carenze riscontrate nel settore commerciale, affermando che preferirebbero poter effettuare parte dei propri acquisti all’interno del quartiere e che sarebbero ben lieti di frequentare le strutture commerciali dislocate nella stessa area. Ciò è particolarmente significativo in quanto fa riflettere sulle potenzialità economiche che derivano dalla presenza, a Librino, di un mercato così vasto ma finora praticamente trascurato. A questa carenza non si pensa di ovviare neanche cercando di utilizzare l’incredibile numero di botteghe, di proprietà del Comune, che sono ubicate sotto i palazzi dell’edilizia economica. Ogni palazzo è costruito su portici sopraelevati, con botteghe, la maggior parte abbandonate e devastate, e dove si incontrano pochissime attività commerciali, insufficienti esse stesse a soddisfare i bisogni di prima necessità. Si arriva all’assurdo di una amministrazione comunale che pretende canoni elevatissimi per la locazione di questi plessi, persino per attività sociali al servizio degli abitanti del quartiere.

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4.2.3 Per tentare di capire La dimensione macroscopica dei problemi economici di Librino, sia quanto all’occupazione, che all’assenza di una qualsiasi prospettiva economica strutturale, costringe a riflettere, perché è impossibile ritenere che essi si possano spiegare solo con i comuni discorsi sui malesseri del sud. Ed anche perché non è possibile accontentarsi delle solite spiegazioni psicologiche o sociologiche cui in genere si ricorre analizzando le situazioni disastrose delle periferie urbane. Ci sembra piuttosto convincente l’ipotesi suggerita dal premio Nobel per l’economia Amartya Sen, che riflette sull’incidenza che il capitale sociale positivo svolge, come fattore di sviluppo economico. Se vi facciamo riferimento, non è perché riteniamo che questa ipotesi interpretativa possa considerarsi esaustiva, ma in vista delle proposte che si possono fare per un cammino di crescita economica delle zone represse che sfugga tanto all’illusioni di esiti facili, quanto alla rassegnazione dell’immobilismo o del parassitismo assistenzialista71. Nella scienza economica si è ormai consolidata da tempo l’idea che il capitale sociale costituisca l’anello mancante nel processo di generazione dello sviluppo economico. Capitale fisico, capitale naturale e capitale umano determinano infatti, solo in parte, il processo di crescita di un sistema perché, assieme alle risorse materiali e a quelle individuali, le relazioni sociali e il contesto locale (il capitale sociale appunto), rappresentano elementi capaci di intervenire attivamente sull’avvio e il successo di ogni attività economica. La presenza in seno a una comunità di determinati caratteri sociali (elevata fiducia interpersonale, forte associazionismo, solide relazioni sociali, ecc.) ed istituzionali (burocrazia e sistema giudiziario efficiente, efficace tutela dei diritti, assenza di tensioni nei rapporti con le amministrazioni locali, ecc.) produce una serie di conseguenze economiche capaci di aumentare l’efficienza complessiva degli scambi e, per tale via, la crescita del sistema. Le ricerche empiriche hanno, in generale, supportato tali congetture teoriche. Il capitale sociale interviene sul prodursi di relazioni economiche sia a livello micro, che a livello macro. A livello micro, il capitale sociale è rappresentato dalla rete di conoscenze personali che ciascun agente può utilizzare per avere informazioni rilevanti, o che può mobilitare allo scopo di raggiungere i propri obiettivi. A livello macro, invece, il capitale sociale consiste nella condivisione di una cultura e di valori, che favoriscono la reciproca fiducia e la cooperazione spontanea e sanzionano, al contrario, comportamenti opportunistici o non conformi al codice di comportamento. Secondo tale definizione le relazioni sociali perverse, quali per esempio quelle mafiose, ricadono nel concetto stesso di capitale sociale. Qui, quando ci riferiremo a qualsiasi relazione perversa che costituisce un disvalore nella società, aggiungeremo l’attributo negativo: “capitale sociale negativo”. 71 A. SEN, Risorse valori e sviluppo, Bollati Boringhieri, 1992.

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Potremmo dire che il capitale sociale si sostanzia di reti di relazioni interpersonali – imperniate sulla fiducia, il rispetto di regole comuni e la cooperazione – che si instaurano tra i singoli membri di una comunità, tra gli agenti economici, e tra questi e le istituzioni. La presenza, all’interno di un sistema locale, di un capitale sociale produce, allora, da un punto di vista strettamente economico, almeno due ordini di effetti favorevoli, di natura sia statica che dinamica. Da un punto di vista statico, il capitale sociale introduce una peculiare capacità di operatività, per gli operatori economici. Un imprenditore, per svolgere la propria attività, deve instaurare una serie di rapporti e contatti con altri agenti economici e non. In tali relazioni l’imprenditore trae vantaggio da un’atmosfera culturale ed istituzionale favorevole e da un atteggiamento diffuso di maggiore fiducia reciproca. Un simile ambiente può, infatti, aumentare le probabilità che si trovino soluzioni cooperative ai problemi dell’azione collettiva. Circostanza che conduce ad un aumento dell’efficienza complessiva (e quindi anche economica) della società. Da un punto di vista dinamico, invece, il capitale sociale rappresenta una importante condizione primordiale capace di favorire gli scambi di mercato e le attività economiche, mediante l’abbassamento dei costi di transazione, che sono i costi che ciascuno scambio comporta. Ogni transazione economica si basa, infatti, sulla stipula di un contratto, per il quale è necessario compiere una serie di operazioni: cercare una controparte, negoziare i termini, redigere il contratto e farlo rispettare. La ricerca implica sforzi; la negoziazione occupa tempo; la redazione richiede competenze tecniche; e l’esecuzione impone il controllo delle prestazioni e la punizione delle eventuali violazioni dell’accordo. Tutto ciò comporta costi, il cui livello condiziona la realizzabilità stessa della transazione: l’efficienza economica richiede, infatti, affinché lo scambio abbia luogo, che il surplus che ne deriva copra i relativi costi di transazione; se così non fosse il beneficio dello scambio risulterebbe negativo e si tradurrebbe in una perdita per almeno una delle parti. Poiché generalmente si commercia solo quando si può guadagnare, questo farà sì che lo scambio non si realizzi, ove i costi di transazione risultassero troppo elevati, o comunque più elevati del surplus atteso. In presenza di un contesto socio-culturale “sano”, ovvero con elevati livelli di fiducia, invece, i costi di transazione si attestano su un livello che favorisce, o comunque non ostacola, gli scambi economici. In società ad alta fiducia, le persone possono spendere meno risorse nel tutelarsi, sia contro comportamenti opportunistici nelle transazioni economiche, sia contro violazioni illegali dei loro diritti. In questi casi, ai contratti stipulati dagli imprenditori – contratti di lavoro, di fornitura, di vendita, ecc. – si aggiunge difatti, una tutela ulteriore, di tipo fiduciario, che rafforza e completa la tutela contrattuale. Alla riduzione dei costi di transazione e alla creazione di operatività positive bisogna aggiungere, come altra funzione economica svolta dal capitale sociale,

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anche l’azione di stimolo nei confronti dell’attività di investimento in capitale fisico ed umano. Un basso livello di capitale sociale può agire da ostacolo per introdurre innovazioni; perché se gli imprenditori devono spendere molto del tempo e delle risorse disponibili per controllare il comportamento di soci, impiegati, fornitori, clienti, al fine di scoraggiare eventuale malafede, avranno meno tempo, risorse, stimoli ad investire in nuovi processi o prodotti. Proviamo ora ad applicare le considerazioni teoriche svolte al caso specifico di Librino. Tutti i dati che abbiamo esaminato hanno evidenziato l’esistenza nel quartiere di una serie di fattori di ordine sociale, relazionale ed istituzionale, capaci – con altri elementi di carattere fisico e strutturale – di inibire, o comunque scoraggiare, la nascita di nuove attività produttive nell’area. Ora, se il capitale sociale rappresenta un’importante risorsa ai fini del raggiungimento di elevati livelli di sviluppo economico, del capitale sociale “negativo” è in grado di agire esattamente nella direzione opposta. Si sostiene in tal modo che a Librino si è decisamente in presenza di un capitale sociale “negativo”. Certo, la misurazione del livello di capitale sociale presente all’interno di un sistema può essere discutibile, a causa della multidimensionalità di tale forma di capitale. In merito, infatti, vengono proposte differenti categorie di indici, a seconda della diversa configurazione di capitale sociale considerata. Possiamo utilizzare, comunque, almeno questi quattro indici di misurazione che alcuni esperti hanno scelto: a) la coesione sociale tra vicini, combinata con la loro volontà di intervenire in nome del bene comune; b) il senso psicologico della comunità, che include: il sentirsi parte di un gruppo, la fiducia che le necessità del gruppo saranno soddisfatte dalle risorse messe in comune da tutti i suoi membri; c) la coesione di vicinato, che si strutturano in organizzazioni di vicinato; d) la competenza di comunità: concepita come la volontà e l’abilità nel risolvere i problemi attraverso uno sforzo collettivo. Vanno, poi, presi in considerazione anche altri indicatori relativi all’ambiente civico, ed in particolare ai rapporti con le istituzioni e all’associazionismo. Ora, possiamo verificare come nessuno degli indici appena menzionati registri, a Librino, valori positivi. Infatti è facile constatare: a) l’assenza di una identità di quartiere, che ostacola il radicamento di una cultura e di valori accettati e condivisi da tutti i membri della comunità; b) un basso livello di coesione interna, la debolezza dei rapporti di vicinato e di quartiere e una scarsa tendenza all’associazionismo; c) la mancanza di senso di appartenenza che, congiuntamente al sentimento di disaffezione nei confronti del quartiere, si ripercuote nell’assenza di una volontà e di un impegno concreto ai fini della valorizzazione e promozione dell’area; d) una grave conflittualità nei rapporti con le istituzioni e perdita di fiducia nei confronti del meccanismo di rappresentanza politica; e) la presenza di un sistema mafioso che controlla il territorio.

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Sulla base di tali elementi possiamo concludere che la presenza a Librino di un capitale sociale “negativo” influisce in maniera consistente sulla vita economica del quartiere in una direzione contraria allo sviluppo. Da tale presenza discendono, infatti, ovvie conseguenze economiche: l’assenza di integrazione e la mancanza di reti di relazioni tra i membri della comunità ostacolano il processo di circolazione delle informazioni e soprattutto la creazione di legami fiduciari e cooperativi tra gli individui. Si può quindi supporre che tutto ciò agisca nella direzione di un innalzamento del rischio connesso alle transazioni economiche e dei relativi costi. Poiché se il livello dei costi transattivi è tale da ridurre significativamente la profittabilità dell’operazione, questa non verrà realizzata, possiamo ritenere che tale circostanza incida pesantemente sull’avvio e lo sviluppo, nel quartiere, di attività economiche. Inoltre notiamo che nella stessa direzione influisce anche la presenza di una serie di situazioni negative, sempre connesse a fattori di ordine socio-culturale, come: a) l’esistenza della mafia, perennemente in azione sul territorio; b) le tensioni sociali presenti all’interno della comunità; c) i rapporti conflittuali e ostili con le amministrazioni; d) la percezione, da parte della comunità catanese, di un’immagine del quartiere assolutamente negativa e priva di qualsiasi prospettiva di riscatto. La considerazione di tali molteplici fattori può dunque farci ritenere che lo stato delle implicazioni sociali ed identitarie riscontrato nel quartiere abbia contribuito a generare negli operatori economici la convinzione che il sistema Librino, complessivamente, non rappresenti un ambiente valido per l’avvio di attività economiche. E ciò, nonostante – come abbiamo più volte segnalato – l’esistenza nell’area di interessanti potenzialità economiche che, in presenza di un diverso contesto locale, sarebbero sfruttate da qualunque imprenditore attento ed efficiente. Dall’esame dei dati e dalla riflessione che ne è seguita è emersa l’immagine di una Librino carica di problemi gravi e ancora insoluti. Accanto a fenomeni “storici” ed “ambientali” - insufficienza dei servizi, degrado urbano, abusivismo, disoccupazione, crescita dell’illecito -, da cui derivano le conseguenze: assenza di una identità di quartiere: mancanza di una cultura e di valori comunemente condivisi imperniati su fiducia e cooperazione reciproca, basso livello di integrazione e coesione all’interno della comunità, immobilismo, sfiducia ed ostilità nei confronti delle istituzioni. La considerazione dell’esistenza di uno stretto legame tra capitale sociale ed esito economico di un sistema ci consente di concludere che, nel caso del quartiere Librino, le condizioni di degrado riscontrate all’interno del contesto socio-culturale e relazionale, hanno inciso, pesantemente, nel determinare il mancato sviluppo economico del quartiere, rendendolo un ambiente poco, o per niente, gradito nella scelta nei confronti di potenziali imprenditori od investitori.

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4.2.4 Il denaro pubblico Prima di tentare qualche considerazione su alcune possibili ipotesi per un cammino di riscatto, anche economico per Librino, è necessario esaminare in che modo il denaro pubblico ha inciso, sino a questo momento, nella vita delle famiglie del quartiere e complessivamente nella loro situazione economica e non dà speranze di cambiamento. Attualmente, il flusso di denaro pubblico ha praticamente pochi sbocchi, tipici dei contesti delle periferie urbane, soprattutto del Sud. Anzitutto ci sono gli investimenti riguardanti l’edilizia del quartiere. Come abbiamo già detto, Librino si presenta ancora come un vasto, infinito cantiere. Si continuano a costruire palazzi, strade… e ciò avviene, oltre che con capitale privato (costruzione di altri palazzi per cooperative), anche con capitale pubblico: locale, regionale, nazionale. Queste stesse risorse vengono anche impiegate per la costruzione di infrastrutture che spesso non sono mai state neanche avviate o talvolta sono state lasciate in sospeso. Inoltre presso le imprese appaltanti lavorano maestranze provenienti da zone della città diverse da Librino o addirittura dal nord Italia. Altra quota considerevole di denaro pubblico è quella che va nella direzione dell’assistenza, per tentare di rispondere ai numerosi problemi – personali, familiari e sociali – del quartiere. C’è da dire che molte volte questo denaro viene assegnato secondo la logica del clientelismo e spesso in favore di soggetti che non versano in condizioni reali prescritte dalla legge per l’assegnazione dei contributi. Di fatto, però, questa forma di assistenzialismo cerca di rispondere soltanto alle situazioni che rivestono il carattere dell’emergenza. Il denaro pubblico, così, esaurisce la sua funzione nel momento stesso in cui viene consumato, senza risolvere alcuna situazione. Gli aiuti infatti non vengono erogati all’interno di un progetto di riscatto delle persone. L’impressione più evidente è che alla base di questa pratica ci sia una visione che non solo non rispetta, ma addirittura non riconosce la dignità delle persone, né intende risvegliarla. Se poi riflettiamo sul fatto che ciò avviene, oggi, all’interno di un progetto che tende a ridurre la presenza dello Stato sociale, secondo la pratica attuale dei tagli agli aiuti alle amministrazioni locali, ci rendiamo conto delle possibili conseguenze: diminuiranno anche gli aiuti che oggi vengono offerti per i provvedimenti speciali per le emergenze e, per i cittadini di Librino, aumenteranno ulteriormente le situazioni di totale ed endemica indigenza. In questo modo, le difficoltà saranno non solo economiche ma, più profondamente, sarà sempre più interiorizzata la percezione che, la sopravvivenza troverà una la sola risposta dall’istituzioni: l’elemosina. I cittadini, cioè, come accade spesso per gli aiuti-elemosina dei privati, dovranno abituarsi all’idea che la loro vita dipenderà dalla “misura” in cui qualcuno di buona volontà vorrà dare. E’ evidente, ancora, che questa situazione genererà sempre più dipendenza e sfiducia e verso le istituzioni di conseguenza verso un loro reale riscatto.

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Altro flusso di denaro pubblico è quello investito per le situazioni di precariato che, anche in altre parti depresse del Sud, diventano situazioni di precariato permanente. Ci riferiamo alla situazione dei Lavoratori Socialmente Utili (qualcuno dice “inutili”, visto che molte volte si trovano nella situazione umiliante di non essere affatto utilizzati), o alle assunzioni trimestrali (che, dato il livello d’istruzione, a Librino riguarda solo gli assunti nella nettezza urbana o nei lavori edili del Comune). Quanto, poi, al denaro pubblico che viene erogato “a Librino”, attraverso stipendi di dipendenti pubblici, c’è da distinguere tra coloro che, a vario titolo, sono dipendenti amministrativi e coloro che sono dipendenti della scuola. In questo secondo caso, è chiaramente percepibile che solo pochissimi sono abitanti del quartiere e che invece quasi tutto il personale dirigente e insegnante viene da fuori.

4.3 DUE IPOTESI DI PERCORSO, PER RISPONDERE ALLA SETE DI SVILUPPO. OLTRE LE EMERGENZE In un quadro così desolante, la risposta più facile è lo scoraggiamento e il tentativo di cercare vie per la sopravvivenza, piuttosto che ipotesi valide di lavoro. Un detto del Burkina Faso dice: “Nel cuore della notte, la fiammella di una candela non splende come il sole di mezzogiorno; ma consente di vedere i passi possibili anche di notte”. Forse quel detto nasce dalla pratica del nomadismo che non è affatto una specie di turismo nel deserto. Il nomade continua a camminare anche di notte e lo fa per condurre le sue greggi dove potranno trovare l’oasi per bere e pascoli buoni per vivere, per questo sa di non potersi stancare. È allora con questo intento non capace di resa, che vogliamo provare a esaminare due ipotesi di cammino che ci sembra possano far fronte alla situazione drammatica testè illustrata. Due ipotesi che nascono dalla consapevolezza di tempi lunghi e una dedizione personale, e che non ha il carattere dell’assistenzialismo, perché nasce dalla spinta ideale della gratitudine e trovano, nelle lacrime delle persone, l’interpellazione alla gratuità. 4.3.1 L’esperienza di Fiumara d’Arte La prima realtà è quella avviata dall’associazione artistico-culturale, Fiumara d’Arte che rappresenta un progetto più rivoluzionario ed ambizioso che sia stato intrapreso nel quartiere al fine di stimolarne l’uscita dal circuito del sottosviluppo. Il nostro obiettivo consiste nel tentativo di darne una valutazione, non solo da un punto di vista sociale, ma soprattutto da un punto di vista economico per l’avvio di percorsi di crescita economica culturale nell’area. Il progetto, denominato “Terzocchio Meridiani di Luce” – finanziato solo con

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contributi e sponsorizzazioni private e avviato senza alcuno scopo di lucro – nasce dall’impegno e dalla volontà del Presidente e fondatore dell’associazione, l’artista e mecenate messinese Antonio Presti. Da anni egli promuove e realizza iniziative “fuori dagli schemi”, in grado di ribaltare la prospettiva usuale sulle cose mediante l’affermazione di una filosofia fondata sul valore e il “potere” della Bellezza e della Cultura, intesi non secondo le loro accezioni più comuni, ma come strumenti di riscatto morale ed etico e come stimoli per la crescita civile e sociale degli individui. Ed è puntando sull’affermazione ed il riconoscimento di tali valori, che Presti ha deciso di intervenire su Librino, allo scopo di mutarne il destino. Per raggiungere tale obiettivo, il progetto si propone di agire in tre direzioni: sul fronte della riqualificazione estetica, della riqualificazione sociale e dell’integrazione del quartiere con il resto della città. Per la riqualificazione estetica, l’obiettivo è rendere attrattivo il quartiere prima di tutto agli occhi dei suoi stessi abitanti, e poi nei confronti di chiunque – turisti, visitatori, investitori, cittadini di Catania – vi giunga attirato dalle forme d’arte che in esso vengono man mano installate. L’iniziativa prevede, a tal fine, di trasformare l’aspetto anonimo e freddo di Librino, mediante la realizzazione di un “Museo Internazionale dell’Immagine”: un grande museo fotografico a cielo aperto, interattivo e multimediale di livello internazionale, capace di fare di Librino un luogo di incontro, turismo, cultura conosciuto in tutto il mondo. Sono stati scelti trenta palazzi del quartiere le cui pareti cieche possano fungere da scenario per l’installazione di gigantografie, rappresentanti il quartiere e i suoi abitanti, realizzate dai più famosi fotografi contemporanei. Inoltre, sono previste anche illuminazioni artistiche, immagini d’autore ed installazioni multimediali. Le rappresentazioni fotografiche selezionate rimarranno esposte per un biennio e dopo faranno parte del Museo, mentre la sostituzione delle opere rappresenterà un momento di riflessione, attraverso incontri, convegni, dibattiti, ecc., che coinvolgeranno artisti, appassionati ed abitanti del quartiere. Le trasformazioni estetiche previste rappresentano, secondo la filosofia di “Terzocchio”, non il fine, ma il mezzo attraverso cui poter agire su una serie di variabili sociali e umane ritenute fondamentali per la rinascita del quartiere. “Non si possono bonificare i luoghi – afferma Presti – senza considerare gli aspetti legati allo spirito più profondo del concetto di società. A Librino occorre prima di tutto trasformare lo stato di malessere della comunità, in fiducia, orgoglio, gioia di vivere e appartenere al quartiere”. Secondo Fiumara d’Arte, la Bellezza impiantata e riscoperta a Librino, potrà agire su tali variabili spingendo gli abitanti stessi a ritrovare il senso di appartenenza al quartiere e la volontà di agire congiuntamente per il bene comune favorendo così una maggiore integrazione della comunità. “Saranno gli stessi abitanti – dice Presti – a far scattare la molla dello sviluppo sociale, quando vedranno i loro ritratti fotografici affissi sulle facciate delle case. Questo gesto costituirà una spe-

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cie di riconoscimento del valore e della piena centralità dovuti al quartiere e alla sua comunità”. Infine, il progetto vuole intervenire anche sull’integrazione con la città, per ridurne la distanza. L’intento è quello di modificare l’immagine negativa che la città percepisce del quartiere. Ancora una volta, sarà “l’apparire della Bellezza” a Librino, che potrà agire in tale direzione, facendo in modo che esso non sia solo il quartiere dormitorio, che ancora oggi i catanesi rifiutano. Il raggiungimento della riqualificazione del tessuto sociale non potrà scaturire solo con la realizzazione di un’opera d’arte, anche se di grande suggestione. Per questo, l’associazione ha predisposto, all’interno del progetto, interventi collaterali, per favorire la partecipazione e il coinvolgimento attivo della comunità librinese e dell’intera società cittadina: a) copertura dell’Asse Attrezzato (parete in cemento che separa Librino dal resto della città) con mattoni di argilla da far realizzare ai bambini delle scuole del quartiere, e da donare anche alla città di Catania come simbolo di unione tra il centro e la periferia; b) organizzazione di feste condominiali, spaghettate di quartiere e manifestazioni artistico-culturali, per stimolare l’integrazione e la socializzazione all’interno della comunità; c) svolgimento di visite, presso le scuole e tra le famiglie del quartiere, da parte di poeti ed artisti di fama nazionale, al fine di sensibilizzare la popolazione nei confronti della cultura anche come strumento per l’elevazione individuale. Nonostante tale ampia ed articolata configurazione, l’intervento di Fiumara d’Arte a Librino non potrà certo costituire - né intende esserlo - una panacea per tutti mali del quartiere. Molti, al riguardo, obiettano che Librino non sarà mai in grado di rinascere veramente finché non saranno colmate le sue gravissime carenze strutturali ed il quartiere non verrà dotato di quei servizi primari - reti fognarie, trasporti, attività produttive - senza i quali non ci può essere orgoglio di appartenenza né sviluppo. A quanti sollevano tali obiezioni Antonio ama rispondere: “Ci hanno sempre detto: prima le fogne, i servizi, i negozi, e dopo, se ci resta tempo e un po’ di soldi, allora parliamo della cultura e dell’arte. E così siamo rimasti senza le fogne, senza i servizi, senza i negozi, e naturalmente, senza la cultura. Io dico allora: stavolta, proviamo a cominciare dall’arte e dalla cultura, e poi vediamo se alla fine, per caso, non arrivino anche le fogne, i servizi, i negozi”.

Da tali parole emerge chiaramente la vera natura del progetto che intende rappresentare dunque solo una “via alternativa” per rimuovere gli ostacoli di ordine sociale e umano che contribuiscono a soffocare ogni prospettiva di crescita. Ascoltando la popolazione, qualche effetto in questa direzione comincia a prodursi, almeno in termini di sensibilizzazione e mobilitazione delle coscienze. Prova ne sono l’entusiasmo e la volontà con cui l’iniziativa di Antonio Presti è stata accolta dalle numerose “forze sane” presenti nel quartiere: dal mondo delle scuole alle forze del volontariato, dalla Chiesa alle istituzioni.

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Lo scetticismo e i dubbi, soprattutto di quanti non prendono parte attiva, sono ancora molto forti e non tutte le iniziative intraprese vengono accolte dalla comunità, così come non tutta la popolazione si sente coinvolta. Malgrado ciò, un certo fermento è già in azione. Speriamo che questo progetto possa avere la capacità di lavorare per la costruzione di quel capitale sociale positivo che, come dicevamo, è premessa indispensabile per un impegno di ricostruzione e per un interessante investimento economico. 4.3.2 Il recupero degli antichi mestieri artigianali Negli ultimi anni diventa sempre più difficile affrontare il problema della disoccupazione che sta divenendo un fenomeno sempre più di massa, ripetutamente si afferma che occorre investire nella “formazione”. Si è utilizzato una enorme massa di denaro pubblico in un carrozzone assistenziale che ha come unico visibile obiettivo quello di favorire gruppi che hanno solidi agganci politici. Gruppi che infatti erano nati per la formazione professionale si stanno riciclando inventando corsi di formazione che non hanno alcuno sbocco lavorativo, col solo obiettivo di continuare a dare stipendi ai propri dipendenti. Ma coloro che li frequentano, attratti dal minimo sussidio regionale che ricevono, di fatto trovano in essi solo un parcheggio inutile. La seconda realtà di cui vogliamo parlare è quella realizzata da Bassolino negli anni in cui fu sindaco a Napoli, dato che era stato chiuso il carcere minorile, pensò di utilizzarlo proponendo l’utilizzo dei locali a vecchi artigiani. Offriva loro spazi per laboratori e finanziamenti per il loro avvio e funzionamento, a patto che ciascuno di loro s’impegnasse ad assumere tre o quattro giovani (alcuni provenienti dall’esperienza carceraria). Impegnava, inoltre, l’amministrazione comunale a sostenere capacità contrattuale per l’acquisto dei materiali e servizi per garantire un mercato per il commercio dei loro prodotti. Questa idea, pratica e operativa, è diventata modello per alcune iniziative in altre città che, nel loro piccolo, hanno avuto successo, sia in termini economici, sia in termini di recupero di dignità personale per coloro che vi si sono lasciati coinvolgere. Tali progetti hanno coinvolto anche le donne del sud, le figure più esplicitamente sottomesse alla scala del destino dei poveri: non contano nulla, non possono contare nulla e “devono tacere, quando gli uomini parlano”72. Al contrario, come abbiamo già detto, molto spesso a Librino sono proprio le donne le uniche fonti di reddito familiare e, in ogni caso, è affidato a loro non solo il compito della gestione della casa e dell’educazione dei figli, ma anche quello dell’economia domestica 73.

72 Detto popolare. 73 Non bisogna dimenticare, inoltre, che persino nel sistema mafioso la donna ha acquisito un ruolo sempre più leaderistico, con capacità organizzative inimmaginabili.

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A questo, s’aggiunge che è proprio la donna (nelle relazioni quotidiane di vicinato, o nei tragitti che conducono a lavorare a servizio in città, o nella vicinanza nei tanti momenti di sofferenza) protagonista di vissuti di solidarietà partecipando personalmente, nei momenti del dolore e delle gioie, alla vita anche dei non familiari. D’altra parte sono scomparse le figure delle artigiane che confezionano prodotti a mano, o comunque non si vedono più commercializzate le loro produzioni, che una volta erano rinomate. Nella seconda metà degli anni novanta, un gesuita che prestava il suo servizio nel quartiere di Librino ha proposto ad alcune donne, lì residenti, di organizzarsi insieme per recuperare gli antichi mestieri artigianali di pregio. Sono stati creati così dei piccoli laboratori coinvolgendo vecchie artigiane che hanno messo a disposizione la propria professionalità, contente del fatto che così non andavano perdute. Questi mestieri, di fatto non richiedono investimenti iniziali di grandi capitali e, pur essendo ristretto il mercato che acquista le loro produzioni, possono trovare acquirenti che le apprezzano e sono disposti a pagare adeguatamente un lavoro così prezioso. Con lo stesso gruppo è nata anche un’esperienza nella quale hanno lavorato sia uomini che donne – un laboratorio artigianale del legno, che produceva piccoli giocattoli di legno, piccoli oggetti decorativi per la casa e bomboniere – che ha avuto le stesse caratteristiche della produzione di qualità con basso costo di investimenti e che ha avuto un qualche successo. La grande difficoltà che s’incontra in esperienze del genere è quella del doversi scontrare con le pratiche burocratiche e con la legislazione che rallentano la commercializzazione. Ma è proprio per venire incontro a queste difficoltà che si dovrebbe pensare a una legislazione più agile e più a portata di mano. Al servizio di quest’esperienza, poi, si potrebbe pensare di avviare, anche in un quartiere come Librino, l’esperienza del micro-credito che, partita dall’India, oggi si va ampiamente diffondendo in Africa e nell’America Latina. Tale esperienza è rivolta a piccoli gruppi già in relazione positiva in cui il rapporto tra i componenti è un valore e garantisce la sanzione di comportamenti scorretti, arricchisce i legami sociali all’interno dei gruppi e può essere una soluzione per l’avvio di piccole attività economiche. Ciò non risolverebbe i macro problemi sociali già descritti. Rimane inoltre fondamentale che queste esperienze possano avvalersi di una consulenza che sviluppi le capacità organizzative, manageriali e commerciali di chi vi lavora e lo supporti e lo incoraggi nel proseguimento del lavoro.

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CAPITOLO 5

GLI UNIVERSI CULTURALI

1.1 RIPRESA DEGLI ELEMENTI DESCRITTIVI DELLE DIVERSITÀ CULTURALI A LIBRINO 5.1.1 Le diverse culture di provenienza Come abbiamo già sottolineato molte volte, nonostante il quartiere di Librino sia nato ormai da oltre vent’anni, siamo ancora ben lontani dall’idea che abbia una cultura unitaria, che consenta di riconoscervi una fisionomia identitaria. Il primo elemento di diversità culturale è quello dovuto alle molteplici provenienze d’origine della popolazione del quartiere. Come già è stato esposto, coloro che si sono insediati a Librino originariamente provenivano da diversi quartieri della Città. Ciò si riteneva avrebbe dovuto favorire un’integrazione almeno all’interno di questa fascia di popolazione. Al contrario, all’interno della città, tra i diversi quartieri, già sussistono notevoli diversificazioni culturali dovute a profondi radicamenti che hanno generato forti identificazioni territoriali. In genere, avviene tutt’ora che, intorno a devozioni, congreghe74, modi di pensare e di agire, o intorno a mestieri (soprattutto artigianali e commerciali), a personaggi e persino a diversi modi di cucinare, si creano tradizioni che,

74 Le congreghe non erano solo luogo d’incontro tra persone dello stesso territorio, né nascevano solo intorno alla devozione verso qualche Santo o mistero della fede, e neanche solo intorno alle diverse professioni, ma provvedevano anche alla formazione umana, cristiana e professionale degli aderenti. Attualmente un loro retaggio lo si può rinvenire nelle cosiddette “Candelore”, che sono monumentali colonne create dall’arte popolare, rappresentanti alcuni mestieri tradizionali di Catania, e che vengono portate sulle spalle al seguito della processione di sant’Agata.

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spesso, da zona a zona si differenziano molto. Se a ciò si aggiunge il forte radicamento territoriale e la rigida spartizione delle famiglie mafiose, si intuisce che la diversificazione tra coloro che sono giunti a Librino dalle varie zone e contrade di Catania ha avuto un peso notevole. Inoltre vi sono abitanti del quartiere che, per tanti motivi, portavano con sé gravi problemi e pregressi – baraccati, sfollati di guerra, sfrattati, abusivi –. Infine molte persone provenivano, che per il fenomeno dell’urbanizzazione,da diverse zone rurali della provincia con abitudini di vita differenti. 5.1.2 E tuttavia nasce una certa omologazione… Anche a Librino, ovviamente, si risente quella omologazione al ribasso che si va diffondendo a causa delle mitologizzazioni create dai mass media, sia a livello delle proposte consumistiche, sia a livello dei modelli da imitare. Da questa “cultura”, inoltre, scaturisce la voglia di competizione che qui si traduce in motivo di ulteriore tensione (molti scippi e molti atti di vandalismo traggono origine dalla voglia di possedere oggetti non acquistabili e dall’invidia verso chi può permetterseli). Questi atti illegali spesso sono compiuti non solo da ragazzi che appartengono alla criminalità, ma anche da chi se ne ritiene autorizzato per il solo fatto di vivere in un quartiere violento. Anche a Librino veline e calciatori sono i miti culturali di riferimento, con la differenza, rispetto ad altri luoghi, anche di Catania, che chi si mette ad imitarli qui lo fa nel circuito degli amici o per mettersi in mostra per strada davanti agli altri coetanei. Nessuno dei ragazzi del quartiere, infatti, si fa l’illusione di poter diventare anche solo velina o persino calciatore: sono di Librino, di questo quartiere dove tutti pensano che vivano dei delinquenti, e si sentono esclusi anche da quelle possibilità. E allora diventano, ancora di più, spettatori passivi, e frustrati, dei reality e delle soap opera che le centinaia di antenne paraboliche sui balconi canalizzano in casa loro. Quelle, infatti, sono le trasmissioni più seguite, insieme agli spettacoli d’intrattenimento delle reti locali. Un altro canale d’omologazione, invece, è tipico di questo quartiere, soprattutto negli ambienti della devianza e della bassa gerarchia mafiosa. Dalle casse acustiche delle autoradio e dai balconi aperti delle case, a tutto volume si sentono quasi esclusivamente canzoni napoletane, dalle quali viene tratto spunto per assumere atteggiamenti sfrontati e violenti che diventano standard soprattutto nel rapporto dei maschi con le “femmine”. Certo, anche i ragazzi di Librino ascoltano musica da discoteca, ma questi sono quasi guardati come troppo intellettuali. Denaro, successo e consumo, sono vissuti come garanti di integrazione rispetto al resto della società: “Il cellulare all’ultimo grido, la macchina … Per loro essere appariscenti è

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molto importante, e poi magari non hanno i libri per la scuola. I soldi sono ciò che conta” 75.

Chi non può raggiungere i beni di consumo a causa della propria difficoltà economica è perdente e frustrato 76. “Voglio fare qualcosa di importante, non per qualcosa però. Io … non so che cosa, ma qualcosa la voglio fare, così non ci voglio rimanere …” 77

La devianza diventa allora una delle alternative che si offrono a chi non può arrivare in maniera legale al successo economico che la società propone. “Il guadagno facile attira, alla fine, questi ragazzini” 78, “Spacciano per soldi e questo è l’unico motivo. Sai quanti ne conosco di ragazzi che di bonu e bonu s’accattanu machinuni, cose, cose … Io ci stava iennu, se non era per me zio che appena l’ha saputo mi stava spaccando le gambe …” 79.

L’alternativa al denaro facile della minicrominalità, rimane qui come altrove (soprattutto da quando sono aumentate in maniera generalizzata le difficoltà economiche) un canale per tentare la fortuna e assicurarsi una forma di guadagno. Quello di “tentare la fortuna” rimane peraltro un canale battuto anche per altre vie: emblematico è per esempio anche se nel quartiere non c’è una edicola né una libreria, il bar che gestisce il gioco del Lotto e vende i biglietti del Gratta e Vinci con uno smercio incredibile. 5.1.3 La scuola agenzia culturale, e non solo Le scuole statali sono le uniche realtà istituzionali presenti nel territorio e di fatto, oggi, sono diventate anche l’unico reale punto di riferimento, non essendoci altri luoghi o centri di aggregazione: “Questa scuola è lo stato. Al di là di questo, qui lo stato è completamente assente. Una scelta nostra è quella di mantenere il sabato aperta la scuola, perché chiudere qui significa mandare una intera giornata i bambini e i ragazzi per strada” 80.

75 Operatrice sociale. 76 Stralcio di intervista ad un giovane educatore: D “Quali sono i valori più importanti per questi ragazzi?” – R “Farsi vedere, essere ‘spacchiusu’ …” – D “Essere spacchiusi per loro cos’è?” – R “Avere la moto, il telefonino, soldi, poi magari hai rubato senza farti azziccare… Perchè se ti fai beccare sei cretino… - minchia si fici azziccari, ma chi è babbu? – (minchia si è fatto riconoscere, ma è stupido?) ”. 77 Ragazzo di 18 anni, disoccupato, in nero lavora saltuariamente come barista. 78 Preside di un comprensivo del quartiere. 79 trad. : “… io stavo andando con loro se non fosse stato per mio zio….” 80 Insegnante scuola media.

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In particolare è il Comprensivo Campanella Sturzo la scuola più attiva in progetti miranti al recupero sociale e culturale non solo dei ragazzi ma anche delle famiglie. Preside e corpo docente sono testimoni di una tendenza diversa, offerta ai contesti sociali quotidiani vissuti dai ragazzi: “Prima c’erano insegnanti che stavano un anno e andavano via, perché il quartiere era fuori controllo, veramente era il ‘Bronx’. Ma la nostra azione, continua e costante, di supporto alle famiglie e di lavoro quotidiano con questi ragazzi, ha fatto sì che ora il corpo docente, ma non soltanto nella mia scuola, in tutte le scuole è molto più stabile. Questo vuol dire tanto: significa che i docenti si trovano bene, lavorano con soddisfazione e serenità” 81.

L’unico problema che rimane aperto è quello dell’assenza totale di istituti di scuola secondaria dopo la media, e anche di quelli di formazione professionale, che potrebbero aiutare i ragazzi a imparare mestieri che potrebbero spendere almeno per crearsi dei lavori autonomi. Le famiglie economicamente più dotate – in genere della zona delle cooperative – cercano talvolta di offrire ai propri figli percorsi formativi al di fuori del quartiere, anche per le elementari e le medie, perché avviene molto di frequente che, anche gli studenti che hanno studiato seriamente nelle scuole di Librino, se riescono ad andare alle superiori, vengono discriminati, o comunque si trovano con carenze dovute alla difficoltà, derivate dal fatto di non aver svolto per intero i programmi scolastici dato che più insegnanti, non di rado, devono tenere insieme classi molto eterogenee. In ogni caso, se per coloro che abitano nella zona delle cooperative è sufficientemente facile continuare gli studi anche sino all’università, per le famiglie e per i ragazzi delle case popolari è quasi impossibile: sono rari i casi di coloro che riescono a comletare gli studi. Abbiamo già in altre parti accennato dell’unica realtà culturale e formativa presente a Librino e che viene svolta anch’essa in collaborazione con la scuola. Si tratta dell’opera svolta nel progetto “Terzocchio Meridiani di Luce”, dall’associazione “Fiumara d’Arte”. 5.1.4 I vissuti culturali a Librino In questo paragrafo intendiamo soffermarci un po’ su alcuni aspetti fondamentali della dimensione quotidiana dell’universo culturale del quartiere che è “scuola di vita”. Il primo aspetto di cui parliamo è quello dei ruoli uomo-donna (ma qui si parla generalmente di “femmina”). Spesso questo aspetto, quando non è trascurato, 81 Preside di un comprensivo del quartiere.

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viene considerato quasi solo come folklore, che si traduce però in uno stile di relazioni avente una grande incidenza nella quotidianità, con conseguenze molto negative. La povertà economica delle famiglie più popolari, che dunque sono culturalmente più statiche, all’interno dei costumi e dell’etica tradizionali, rinchiude in schemi i possibili percorsi di vita eterogenei che finiscono così per essere dei destini segreti. Incontrando le donne, è inevitabile scontrarsi con copioni che sono vissuti con spirito di rassegnazione, perché si perpetuano di generazione in generazione. Alla donna, vera vittima di questo sistema sociale, viene riconosciuto valore solo se madre e, per prepararsi a questo ruolo, sin dalla prima adolescenza le viene chiesto di occuparsi di tutte le esigenze della famiglia. Viene preparata a essere mamma assegnandole il compito di badare ai fratelli e ai nipoti (figli dei fratelli sposati che sono rimasti in famiglia), impara a fare le pulizie nella propria abitazione, viene preparata a essere moglie mettendola alla prova ai fornelli. In genere, in lei non si favorisce, soprattutto nelle famiglie più arretrate, alcun tipo di crescita culturale, relazionale e affettiva: la televisione è l’unico luogo d’aggiornamento “culturale”, e la strada (dove scendono quando rimangono sole e per cercare lo svago) diventa la cattiva scuola per relazioni affettive precoci e vissute tragicamente. All’interno di questa “vita”, come abbiamo già detto, nasce e cresce l’illusione di un riscatto nella “fuitina”, che le condannerà a saltare la fase adolescenziale, perché diverranno “mogli” e “mamme”, senza alcuno cambiamento di status. In questo contesto, dovranno sopportare in silenzio i tradimenti,le botte e il peso dei “segreti” del marito. E tuttavia, paradossalmente all’interno delle famiglie, in molte occasioni è proprio la donna la figura più solida. Il maschio, invece, acquista autonomia precocemente, e ciò avviene con maggiore evidenza se diventa un maschio “spettu”, che significa insieme furbo e “in gamba”:essere pronto, già a quattordici anni, a diventare manovalanza della criminalità della zona. Un altro aspetto, che crea un vissuto culturale particolare è la lontananza dal centro di Catania che favorisce la chiusura e l’isolamento e neppure si riesce a costruire una comunità territoriale, di quartiere, c’è uno scarso grado di coesione interna e un debolissimo sentimento di vicinato 82. L’abitante di Librino si sente “catanese” e non “librinese”. Infatti, anche se nei dialoghi tra abitanti del quartiere, soprattutto tra i giovani, si sente dire: “Io so’ du Bummacaro”, o “du Moncada”, o “du Grimaldi” – per distinguersi dagli altri, o per presentarsi “sperti” e minacciosi –quando gli abitanti di Librino si recano in città, il più delle volte fanno riferimento ancora ai quartieri catanesi di provenienza dei genitori. 82 “C’è il buongiorno e buonasera. Se stai male magari ti fanno una visita, ma niente di più. Ognuno per le sue case. (ognuno sta a casa sua)”. Casalinga.

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Del resto, la maggior parte delle famiglie vive buona parte della propria vita quotidiana fuori dal quartiere. Infatti avviene che gli stimoli culturali provenienti dalla città – che pure sono molteplici e vivaci - arrivano nel quartiere come dall’esterno, come modelli che rimangono solo esteriori purché non siano vissuti a pieno dalle comunità familiari. Solo chi riesce a proseguire gli studi e giungere all’università, legge o è interessato al cinema e al teatro, sviluppa sensibilità e curiosità diverse; ma inevitabilmente vive il quartiere come parcheggio e vive la quotidianità a Librino come fosse un spettatore esterno. “Forse abbiamo più contatti fuori che qua. Infatti posso dire che Librino non lo conosco perfettamente. Già è tanto che sono qua, ma Librino non lo conosco. Preferisco stare fuori di Librino; non è che ci sto male, ma il fato è che Librino non offre niente. E comunque, tutto ciò che è interessante avviene al centro.”83

Il senso di estraneità rispetto alla città, si traduce anche in una vera e propria disaffezione verso il quartiere, con conseguenze psicologiche, sociali e politiche rilevanti. Il sentimento di disaffezione, che in taluni casi è diventato ormai una vera e propria avversione, se non verso il quartiere globalmente considerato, almeno verso alcuni aspetti di esso, viene espresso in maniera esplicita.

AREA DI GIOCO

83 Residente a Librino

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Un’alunna dell’istituto Dusmet di Librino ha manifestato il proprio rifiuto verso il quartiere in maniera così chiara e decisa da non lasciare adito a dubbi: “Se mi piace Librino? È perché ci vivo; se no, non mi piace… difatti, quando mi chiedono dove abito, io mi vergogno a dire a Librino perché Librino fa schifo…non mi piace per niente”.

Sul livello di affezione incidono due ulteriori fattori. L’immagine, assolutamente negativa, percepita dal resto della città e l’impressione che Librino sia sinonimo di ghetto che gli abitanti subiscono senza poter reagire. Bisogna inoltre considerare che non tutti coloro che attualmente popolano Librino hanno scelto liberamente di stabilirvisi. Anzi, il numero di coloro che vi sono stati costretti per necessità, perché destinati agli alloggi popolari del quartiere, si presenta enormemente più elevato: “N’abbiaru o Librino o ni piacìa o nunni piacìa” 84. Quello che la maggior parte della popolazione sembra escludere è la possibilità di agire in prima persona, sotto qualsiasi forma, per mutare lo stato attuale della realtà; il che non porta ad accogliere anche tutta una serie di opportunità già elencate presenti nel quartiere, che potrebbero costituire se ben strutturate un canale di promozione e costituzione di percorsi alternativi. La situazione appare grave anche nella partecipazione politica: poiché la comunità si sente strumentalizzata da politici e amministratori pubblici. Si sentono “cittadini solo in senso formale”, come ha dice con amarezza un abitante del quartiere, le conseguenze di simili stati d’animo sono, nel migliore dei casi, lo scetticismo nei confronti di qualunque intervento pubblico e, nei casi peggiori, la perdita di fiducia verso le istituzioni e verso i meccanismi di rappresentanza politica. Un ultimo aspetto riguarda la memoria storica: le generazioni che hanno fatto in tempo a mettere le proprie radici nelle tradizioni delle zone di provenienza, pur a fronte dei sentimenti problematici vissuti che abbiamo descritto, trovano comunque un supporto e dei modelli di interpretazione della realtà e del vissuto personale; al contrario, le generazioni di coloro che sono nati nel quartiere non riusciranno a trovare in esse una qualche forma di sostegno identitario e di protezione sociale. 5.1.5 La religiosità, tra tradizioni e feste Se guardiamo alle tradizioni religiose solo laddove qualche figura di sacerdote, o di altre persone, anche del popolo, veramente dedite al servizio della gente non si sono risparmiate e hanno vissuto di più per strada o si sono fatte presenti nella vita delle famiglie, s’è potuto assistere alla nascita di piccole comunità di credenti, che spesso hanno fatto passi in avanti in una fede vissuta personalmente. Ma in 84 “Ci hanno spediti a Librino, ci piaccia o non ci piaccia”. Residente in case popolari.

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due parrocchie sulle tre oggi esistenti, si può dire che la vita della comunità è vissuta con la solita prassi del sacramentalismo e la solita riproposizione di tradizioni e devozioni che, qui, non hanno più significato. In genere la gran parte degli abitanti di Librino ha abbandonato del tutto la pratica sacramentale, anche in quei casi in cui altrove ci si rifà vivi in chiesa per tradizione: sono molti i bambini che non ricevono il Battesimo e la prima Comunione o le coppie che non si sposano in chiesa, ma solo in municipio; o che semplicemente convivono. Anche la partecipazione alle feste è ormai solo una pratica esteriore che non significa più nulla nella vita personale e collettiva. Per la tradizionale festa di sant’Agata, p. es., tutta la città rimane interamente bloccata per una settimana e si svolge una processione della durata di circa tre giorni; si tratta della sesta nel mondo per numero di partecipanti ed è il trionfo della parte più popolare della cittadinanza, per le pratiche che l’accompagnano e per le tradizioni che vi sono connesse. Essa viene preparata diverse settimane prima con collette e addobbi, i segni della grande festa vengono riportati a splendore e comincia un commercio incredibile di candele e ceri di tutte le misure. Tutto questo, anche se richiama ancora parecchi abitanti di Librino, di fatto non è più fenomeno di massa, perché è svuotato di significato e non coinvolge più sino al punto da chiamare anche a sacrifici personali: pochissimi rimangono dietro alla processione tutto il tempo (anche per non lasciare soli gli appartamenti di notte), pochissimi vogliono (o si possono permettere di) acquistare i ceri più grossi, collette non si riesce a farne, non nascono addobbi locali, … Si pensi che nel ’95 fu portato a Librino il “Velo di Sant’Agata” 85 e, al suo arrivo, non c’erano più di cento persone e che, durante l’esposizione nelle parrocchie, non si riusciva a riempire le chiese neanche nei momenti proposti a tutte le comunità. Purtroppo, la disaffezione degli ultimi decenni, da parte del clero, verso le processioni ha prodotto la conseguenza che – insieme al giusto abbandono di pratiche spesso divenute solo esteriori – s’è persa anche la capacità di tradurre in segni visibili di pietà la quotidianità della vita delle persone. Solo un anno si è riusciti a organizzare, a livello interparrocchiale, una Via Crucis per tutte le strade principali del quartiere, con soste nei luoghi in cui c’erano stati episodi di mafia e commenti preparati da persone o famiglie del posto. Neanche i movimenti ecclesiali laicali (Sant’Egidio, Comunione e liberazione, carismatici, neocatecumenali), sono riusciti a far presa, sebbene ovunque, altrove, riescono ad attirare numerose persone: si sono create piccole nicchie sin quando 85 Secondo la tradizione, si tratta di un velo “miracoloso”. Si racconta che il cardinale Dusmet, durante un’eruzione furibonda dell’Etna, quando la lava stava per invadere il comune di Zafferana, con il velo in braccio si è inginocchiato a pochi metri dal fiume di fuoco e che questo si è immediatamente fermato.

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alcuni animatori esterni andavano nel quartiere, ma ormai i pochi che vi hanno aderito proseguono la loro esperienza in altre parrocchie di Catania. All’inizio degli anni ’90 erano nati alcuni tentativi di lettura popolare della Bibbia, sul modello di Carlos Mesters, ma il loro percorso si è esaurito nell’arco di tre anni. Da lì erano nate alcune Comunità di base, i cui partecipanti, tutti dei ceti popolari e quasi analfabeti, hanno cominciato una militanza personale di fede, con un coinvolgimento in alcune attività di animazione con i bambini. Purtroppo, però, quasi tutto è morto perché il religioso che li aveva fatti nascere è stato espulso dal quartiere dal parroco nuovo che vi era stato insediato. Anche la tradizionale “Benedizione delle famiglie” è una pratica in genere molto sentita, e tuttavia nel quartiere è poco praticata. Molte volte questo è dovuto alla indisponibilità “intellettuale” dei sacerdoti, che ne criticano le storture magico-sacrali che spesso le accompagnano, ma non tentano neanche di profittarne per farsi vicini alle famiglie. Chi a questa pratica non s’è sottratto, pur avendo chiaro il rischio delle ambiguità che comportava, dinanzi alle numerose richieste, ne ha fatto l’occasione per la costruzione di tutta una rete di relazioni che hanno coinvolto tra loro diverse famiglie, realizzando momenti di preghiera condominiale e di condivisioni di vita che tuttora sono vivi, sia come pratica religiosa, sia come luogo di solidarietà. Non si capisce come mai, pur essendo nata a Catania ed essendosi diffusa in diverse città italiane, l’Associazione Chiesa-Mondo fondata da don Fallico non si sia neanche tentato di impiantarla nel quartiere. Sembra, infatti, che il suo metodo d’organizzazione della parrocchia in Comunità Ecclesiali di Base animate da laici susciti veri risvegli di fede, soprattutto nei ceti popolari, per la sua capacità di coinvolgere personalmente e di far sentire il senso dell’appartenenza comunitaria e per la sua capacità di coinvolgere nel compito missionario dell’evangelizzazione della vita quotidiana. Oltre alla Chiesa cattolica, sono presenti, con proprie sedi, anche alcune chiese evangeliche di stile pentecostale che, pur risultando abbastanza attrattive per il calore che sanno svegliare con i momenti entusiasmanti che organizzano, di fatto molti proseliti, non riuscendo a suscitare adesioni che vadano al di là di quei momenti. Anche i Testimoni di Geova visitano capillarmente le case del quartiere, ma non vi hanno una sede propria e dunque, poiché riescono a provocare adesioni soprattutto di persone sole, costoro non hanno una vita comunitaria e per questo spesso tornano alla chiesa cattolica, chiedendo un sacerdote per la confessione di “questo peccato”.

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CAPITOLO 6

SICUREZZA E INSICUREZZA

6.1 PREMESSE PER NON SCADERE NEGLI STEREOTIPI Una delle cose che, abitando in Sicilia, siamo spesso costretti a subire è constatare è il fenomeno mafioso, si usano analisi e descrizioni standard che si vogliono sempre e dovunque ugualmente capaci di rappresentare la realtà siciliana. Non c’interessa qui fare un esame di queste analisi per smentirle in tanti suoi aspetti. Invece abbiamo scelto di metterci in dialogo con una persona che riteniamo affidabile poiché è stata sufficientemente a lungo nel quartiere di Librino condividendo il vissuto delle persone.. Una seconda premessa che riteniamo utile fare, per inquadrare il contenuto di questo capitolo, è chiarire cosa intendiamo quando parliamo, oggi, della questione della sicurezza. Oggi, quando si parla della “questione sicurezza”, il punto di partenza diviene sempre più l’idea che occorre difendere se stessi e i propri beni, i propri standard di vita, la propria privacy… A prescindere dal giudizio che si potrebbe esprimere su questa impostazione della questione, forse si dovrà, da un lato, prendere coscienza del fatto che il suo principio-guida nasce da un retroterra di “paura” e, dall’altro, che si diffonde sempre più l’idea che l’unico modo per lottare efficacemente contro ciò che genera insicurezza è la scelta (e la legittimazione per legge) di atteggiamenti meramente “difensivi”.

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6.2 LA SORGENTE DELLA PRESENZA MAFIOSA A LIBRINO Si potrebbe partire dal domandarci come sia possibile che la presenza della mafia sia già così radicata in un quartiere che non ha più di venticinque anni. Molti assegnatari degli alloggi popolari provenivano dai quartieri del centro storico della città, appartenenti a famiglie che spesso possedevano una cultura mafiosa, alcuni poi facevano parte della manovalanza di questo tipo. D’altra parte, è tipico dell’organizzazione mafiosa di interessarsi ai miglioramenti di vita anche della bassa manovalanza per generare consenso in seguito alla distribuzione di favori e in contrapposizione all’esercizio del Diritto che è prerogativa dello Stato; e qui s’è trattato di far assegnare case a chi non ne aveva, o viveva in alloggi fatiscenti. Il potere che la mafia riesce ad esercita re si fonda nelle vessazioni, nella capacità di rafforzare l’organizzazione e di influire sugli andamenti della cosa pubblica. Oltretutto di mafiosi ne sono arrivati molti anche attraverso le occupazioni abusive delle case. Coloro, poi, che hanno occupato le case senza appartenere ai circuiti mafiosi, per garantirsi la possibilità di continuare a rimanervi hanno dovuto in tanti modi far ricorso alla loro protezione; ed è stata facile la loro aggregazione, o quantomeno il loro coinvolgimento, in attività illecite, più o meno gravi. Col passare del tempo, la somma dei problemi che il quartiere ha visto accumularsi a tutti i livelli – disoccupazione, angherie quotidiane, capitale sociale negativo, l’attrattiva dei facili guadagni anche dei piccoli pusher che hanno generato processi di imitazione, … – ha prodotto un aumento incredibile anche di nuovi soggetti mafiosi e, accanto a ciò, di diffusione di cultura mafiosa. Agli inizi degli anni ’90, in occasione dell’operazione “Vespri siciliani”86, la mafia cominciò a perdere, in notevoli quantità, il denaro proveniente dalle sue attività criminali, sono stati effettuati alcuni arresti eccellenti87: nell’ordine, Nitto Santapaola e il Malpassotu, a Catania, e Totò Riina, a Palermo. Ora, proprio negli anni 91-94, nella città di Catania ci fu una media di circa 200 omicidi mafiosi all’anno, nei quali persero la vita molti criminali più o meno importanti; cosa che la maggior parte degli esperti ha letto come la classica guerra di mafia per il riassestamento delle gerarchie interne. Ma è importante notare che solo una minima parte di questi morti sono stati uccisi a Librino. Che anzi, proprio alcuni mafiosi del quar-

86 Ricordiamo che, dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino (1992), in Sicilia furono inviati per quest’operazione circa settemila soldati dell’esercito, che assunsero tutti quei compiti di scorta, controllo dei punti strategici, rafforzamento del servizio di sicurezza di carceri, uffici pubblici e persino banche, che precedentemente avevano distolto carabinieri, polizia e finanza dai ruoli investigativi e di contrasto alla criminalità. 87 Qualcuno sostiene che sono stati possibili proprio perché carabinieri e polizia hanno potuto essere resi liberi per i loro compiti investigativi, ma c’è chi continua a ritenere che ciò sia avvenuto per rendere più veloce la partenza dei soldati dalla Sicilia e così consentire alla mafia di riprendere le sue attività.

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tiere pare siano riusciti a fare la scalata ai vertici dell’organizzazione in particolare della “famiglia” del Malpassotu, specie dopo che quest’ultimo ha cominciato a cooperare con gli investigatori. Si può dire, allora, che per tutta questa serie di fattori, a Librino la presenza della mafia è diventata dominio, al punto che ci sono zone dell’edilizia popolare che hanno la fisionomia dell’extraterritorialità. Non solo è difficile per la polizia entrarvi, ma ci sono state occasioni in cui interventi massicci delle forze dell’ordine sono stati impediti dalla protesta di vere e proprie folle88. Nel gennaio 2007 si è verificata una vera e propria guerriglia urbana tra poliziotti, finanziari e i residenti di un palazzo. Vi furono lanci di pietre e bombe carta per impedire l’entrate delle forze dell’ordine89.

6.3 IL FASCINO DELLA MAFIA SULLE NUOVE GENERAZIONI Il Presidente del Tribunale dei minori di Catania, Giovanbattista Scidà, con grande lungimiranza cominciò ad interessarsi dei giovani di Librino sollecitando una risoluzione effettiva per risolvere quello che sarebbe diventato “il problema della vita quotidiana di tutti”. Tutti i suoi provvedimenti non sono stati mai solo punitivi, poiché ha sempre cercato soluzioni alternative alla carcerazione, battendosi per l’inserimento in famiglie affidatarie (della cui formazione egli stesso s’occupava coi suoi collaboratori), e contro gli istituti rieducativi che, anche quando erano gestiti da religiosi, finivano per diventare simili alle carceri minorili. Secondo le ultime stime dell'Istat, Catania è in cima alle statistiche di invivibilità. All’interno dei dati che stabiliscono questo “primato”, emerge in particolare l'alto tasso della delinquenza minorile. Secondo dati ISTAT, la città di Catania supera del 17% la media italiana di Minorenni denunciati in età 14 –17 anni. Dei 1917 minori arrestati in Italia nel 2005, 257 sono stati arrestati nel distretto catanese, e di questi, 120 sono residenti della città. Di questi, ben 50 hanno dovuto rispondere del reato di rapina. Si tratta in buona parte di ragazzi condannati ai margini della società, i ragazzi che un comico locale ha definito "mammoriani", nome che deriva loro dall'u-

88 A volte, anche dietro alla resistenza verso l’espulsione di occupanti abusivi, è risaputo che s’è cercato di coprire la presenza di ricercati o di “beni” di mafia: droga, denaro, armi. 89In quella occasione furono sequestrati oltre 80 chili di marijuana, un fucile a pompa, una carabina di grosso calibro e una doppietta a canne mozze, perfettamente funzionanti, una sofisticata attrezzatura per la ricarica del munizionamento per armi rigate, varie centinaia di bossoli, inneschi e palle pronti per essere ricaricati, alcuni kg di polvere da sparo e numerose cartucce di vario calibro di provenienza commerciale. Ritrovate inoltre una divisa da sottufficiale dei carabinieri nonché delle "buffetterie" del tipo in dotazione alle polizie municipali. Scoperta una stalla all'interno della quale vi era un cavallo con molte probabilità destinato alle corse clandestine.

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sanza gergale di giurare sulla vita delle proprie madri la “verità” di ciò che affermano: "m'a moriri me ma", letteralmente: "mi deve morire mia madre" (se dico il falso). È questo la sorta di responsorio che risuona nei vicoli di S. Cristoforo, cuore storico della città o nelle strade di Librino e San Giovanni Galermo, i quartieri satellite in cui la città borghese ha esiliato la sua anima popolare e, al contempo, “pericolosa”. In questi quartieri, non essendoci, come abbiamo già visto a Librino, forti punti di riferimento sociali e istituzionali, sui giovani ovviamente ha fatto presa la criminalità organizzata e la delinquenza: la mafia è rimasta l'unico vero referente culturale e … “istituzionale” per le ultime generazioni90. Se poi teniamo conto del fatto che nella IX municipalità vive il 17,29% degli adolescenti e oltre il 40% dei giovani sotto i 30 anni di tutti i giovani catanesi, il fenomeno assume toni allarmanti. Infatti, è nel desolante paesaggio urbano di questa municipalità priva di tutto che avviene la socializzazione e la formazione valoriale e culturale di questi minori, l’esito è quasi inevitabilmente costituito da un tasso di criminalità minorile che pone la Municipalità ai primissimi posti nelle rispettive graduatorie fra le dieci circoscrizioni cittadine. Lo spaccio di stupefacenti è il reato più diffuso. E le zone ove assume la dimensione più eclatante sono certamente quelle più popolari e degradate anche da un punto di vista strutturale, come il nucleo Moncada, Grimaldi, Bummacaro: “Ci sono zone e zone, ogni zona c’avi u so spacciu. Ma tutte le zone sono pesse”91. “Dove siamo noi è una delle zone più brutte, anche perché c’è il palazzo di cemento; questo palazzone occupato dove c’è notoriamente c’è attività criminosa. Notoriamente … cioè tutti in città lo sanno ufficiosamente. Le periferie sono diventate una scelta politica, quasi il luogo per delocalizzare lo spaccio” 92.

L’attività economica criminale più sviluppata in loco è proprio quella della vendita di erba, fumo, cocaina: “A Catania centro se tu vuoi comprarti lo spinello non lo trovi. Invece, devi venire qui o a Monte Po’, San Giovani Galermo… Qui si fa sotto gli occhi di tutti e invece la parte centrale della città è stata ripulita … Molti ragazzini, anche quelli che resistono di più, prima o poi ci cascano, perché si guadagna bene! È così, una volta che loro ne hanno viste di cotte e di crude e hanno, lì

90 “Catania è una città dalle molte mafie contenute l'una nell'altra come in una grassa matrioska russa: mafia culturale, mafia politica, mafia amministrativa”: Registrazione della conferenza di Giovanbattista Scidà il 8-10-2001 a Catania. 91 “Le zone sono diverse ma in ognuna c’è il suo spaccio. Ma tutte le zone sono rovinate”. Ragazzo diciassettenne. 92 Operatore sociale in viale Moncada.

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a cinquanta metri da casa, qualcuno che gli offre un lavoro a trenta euro nette al giorno e se sei bravo di più, un ragazzino come fa a resistere? E poi, se ti succede qualcosa aiutano pure la tua famiglia … Altro che Stato, sono molto più che organizzati. È un sistema!”93.

Da parte loro, gli abitanti del quartiere convivono con lo spaccio di stupefacenti sotto le loro abitazioni, anche se vedono chiaramente che i pilastri esterni dei porticati sotto i palazzi sono spesso il luogo dove viene nascosta la “robba”. L’atteggiamento che rende possibile la convivenza con questo clima di illegalità è certamente omertoso: “ognuno si fa i fatti suoi”, “noi rispettiamo loro e loro rispettano noi. Io non ho mai avuto nessun problema”94. Ma è troppo semplicistico il veloce giudizio negativo verso quest’atteggiamento; l’accusa di omertà se la può permettere solo chi non abita nel quartiere e si guarda dal frequentarlo. E non è solo questione di mancanza di coraggio, ma si tratta dell’esperienza, vissuta in prima persona dai librinesi, del sentirsi d’essere lasciati soli, soprattutto dalle istituzioni 95 ciò spinge le persone che subiscono la presenza mafiosa a cercare altre vie di resistenza. Chi rifiuta questo sistema già si sente fortunato se riesce a far crescere i propri figli lontani dalla strada, a iscriverli in scuole esterne al quartiere e a favorire amicizie nel centro città, semmai vicini alle famiglie d’origine: “Iddu sutta non ci va, mi scantu, ci sono troppi carusi stotti” 96. “I miei figli sono cresciuti nelle scuole della città e li hanno fatto le loro amicizie”97.

6.4 COME VIVE CHI SUBISCE LA PRESENZA MAFIOSA. IN DIALOGO CON UN TESTIMONE. Dicevamo nelle premesse che l’inserimento di questo paragrafo si prefigge di cercare di conoscere alcuni elementi che caratterizzano la presenza della mafia e dello stile mafioso all’interno di Librino. Si tratta di un colloquio amicale che abbiamo fatto con un religioso che è stato presente nel quartiere proprio negli

93 Operatore sociale in viale Moncada. 94 Residente in un palazzo di Librino sotto il quale vi è quotidianamente spaccio di stupefacenti. 95 Quando non avviene che, nelle stesse Istituzioni, ci sono complicità con mafiosi, o addirittura appartenenze a gruppi mafioso, si pensi al fatto che nel ‘97 sono stati arrestati un vicequestore e due agenti della sede della polizia di Librino. 96 Traduzione: “Lui a giocare giù non ci va; mi spavento, ci sono troppi ragazzi deviati”. Una mamma residente nel nucleo Grimaldi. 97 Mamma residente nel nucleo Bummacaro.

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anni di guerra di mafia, e per alcuni anni successivi, e che era diventato di casa presso alcune centinaia di famiglie, soprattutto della zona dell’edilizia economica. Abbiamo voluto raccogliere la sua testimonianza. •

Qual è la tua esperienza della presenza mafiosa a Librino? Mi ci sono voluti due anni per incontrarla, o meglio per rendermi conto che l’incontravo. Ho capito dopo, infatti, la cercavo in stereotipi delle letture, dell’informazione mediatica e con la pretesa di conoscerne i connotati, per una lunga permanenza nella 167 di Napoli; l’attuale Scampia. Arrivai a Catania nel ‘92, dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino, con la missio di verificare una possibile presenza gesuitica a Librino; avrei dovuto lavorare coi giovani e le famiglie, vista l’esperienza di Napoli e all’Isolotto di Firenze. Avevano detto ai miei superiori che volevano affidarci l’animazione di un centro polivalente che era in costruzione (ma non era vero). Due mesi dopo, profittando della presentazione di un libro di una cooperativa che aveva operato nel quartiere, e avendo saputo che un vecchio parroco vi avrebbe partecipato, ci andai e mi presentai a lui, che mi chiese di sostituirlo la domenica successiva per una Messa. Subito dopo mi chiese la disponibilità ad aiutarlo stabilmente: ormai da tempo lui ci andava solo per le Messe domenicali e anche l’ufficio parrocchiale glielo copriva il parroco di un quartiere vicino. Cominciai ad andarci quasi tutti i giorni e, man mano che conoscevo persone e famiglie, di fatto sono diventato l’unico operatore pastorale della zona di viale Bummacaro che, come sai, è uno dei nuclei caldi del quartiere. In breve tempo, insieme a una presenza propriamente sacerdotale, vennero con me adulti e giovani conosciuti fuori del quartiere e, con loro, man mano abbiamo coinvolto, in attività di animazione di strada, anche giovani e famiglie della zona. Nacquero così, in alcune botteghe abbandonate, alcuni laboratori che all’inizio erano occasionali: per preparare il presepe a Natale; per costruire maschere, “strumenti musicali” e carri, per carnevale; per addobbare la bottega della Messa per le prime comunioni... Cominciarono ad assumere carattere di stabilità quando, con alcune famiglie, riprendemmo una tradizione dei quartieri della Catania antica e popolare (e di altre città siciliane): per san Giuseppe, facemmo una lunga tavolata pubblica, invitando tutte le famiglie a cucinare e consumare insieme la “pasta cu maccu” 98. Da allora, infatti, facemmo partire un laboratorio di teatro, uno di danza classica e uno di lavoretti artigianali. E scoprii le potenzialità offerte dal coinvolgimento di un gruppo di donne adulte di lì, che cominciarono a essere le più attive in tutte le iniziative. Sino ad allora non avevo mai avuto a che fare con gente di mafia; solo con qualche delinquentello, che ci creava qualche danno, anche perché le botteghe che utilizzavamo rimanevano aperte. Poi ci fu un episodio che m’ha lasciato il segno profondo. Un giorno, giunto al quartiere, si precipitano a dirmi che

98 Resti di pasta grossa con purea di fave secche, fatta asciugare e fritta a fette. Questa antica tradizione, probabilmente ereditata da riti pagani primaverili, viene chiamata “u consolo di San Giuseppe” (le condoglianze di San Giuseppe): essendo il giorno della sua morte, è come se si andasse dalla Madonna a darle le condoglianze. Ormai questa tradizione rimane solo in qualche piccolo paese dell’entroterra e, solo in via Plebiscito, si fanno ancora tavolate alle quali partecipano i vicini di casa; ciascuno porta la sua “pasta cu maccu” e vengono invitati a tavola anche gli indigenti.

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il giovane idraulico che abitava sulla bottega ove celebravo era stato ucciso. Lo conoscevo: le sue bambine (di sei e otto anni) venivano ai laboratori e a Messa; m’era sembrato sempre un onesto lavoratore, che si dava da fare per guadagnare qualcosa per la famiglia. E così era: l’avevano ucciso sotto casa, al ritorno dal lavoro, perché al mattino “aveva avuto la sfortuna di fare uno sgarbo a uno dei boss locali”. Questi gli aveva tagliato la strada con una grossa macchina, senza rispettare lo stop e lui aveva avuto la dabbenaggine di gridargli una parolaccia: “senza pensare che uno con un’auto grossa, se non rispetta lo stop, voleva dire che se lo poteva permettere”. Dopo qualche settimana, poi, la sua famiglia cominciò a ricevere aiuti economici e materiali, anche oltre il necessario: ricordo ancora la prima bambina felice di mostrarmi la bici e la tuta nuova di zecca e, in inverno, una giacca a vento invidiata dalle altre bambine. Capii per la prima volta una delle realtà più incredibili e terribili che la gente vive a Librino: il controllo del territorio è legge suprema! Chi aveva ordinato l’omicidio doveva aver preso la targa del giovane e scoperto dove abitava, per farlo attendere dai sicari. Dunque sapeva che aveva due bambine, ma “doveva” farlo uccidere, se no perdeva la faccia e non sarebbe più stato “rispettato”! Cambiai, allora, strategia. Riuscimmo a far nascere il Consiglio Pastorale territoriale e diversi abitanti della zona e volontari anche di altri gruppi si fecero coinvolgere nella ricerca di un progetto condiviso: offrire occasioni di socializzazione, ove le mamme potevano portare i propri figli, e anche qualche marito. Sino al punto che siamo riusciti a organizzare alcuni momenti di grosso impatto: un gran corteo di carnevale per le strade del quartiere, Messe celebrate sotto i portici nei diversi punti in cui associazioni diverse operavano … Coltivavo, però, anche la consapevolezza che alcune cose potevo e dovevo farle in prima persona. Come sai, nell’estate del ’94, in incognita feci per una settimana il clown muto, ogni giorno in punti diversi del quartiere, ed ero irriconoscibile perché avevo rasato barbone e capelli. È stata un’esperienza incredibile da tanti punti di vista, soprattutto perché ho potuto vedere, da sconosciuto, le reazioni delle migliaia di persone che mi avvicinavano. Nell’occasione feci anche la seconda scoperta che non avrei mai immaginato. Al termine di una di quelle giornate, mentre mi cambiavo in un rudere, fui circondato da ventinove persone con cattive intenzioni e fui salvato dall’intervento di una delle suore Monfortane di viale Castagnola. Quando lei disse loro che ero un prete, rimasero così sbalorditi che ci facemmo una lunga chiacchierata e mi presero a simpatia; tanto che, con discrezione, cominciarono a farmi quasi da scorta, immaginando che avrei avuto altri problemi. Fu così che due giorni dopo, vistomi in difficoltà, due di loro mi fecero salire in un’auto e mi portarono, per cambiarmi, in una zona che non avevo mai notato. C’erano delle piccole baracche, dalle quali uscirono alcune persone che, avendo riconosciuto chi mi accompagnava e dopo aver confabulato con loro, se ne rientrarono. Circa un anno dopo, per la visita del Presidente Scalfaro a Catania, poiché passava ai margini di Librino, provenendo dall’aeroporto, il quartiere fu setacciato e scoprirono, in quelle baracche, dei ricercati e un grosso deposito di droga e armi99. Librino non era solo controllato dalla mafia; era uno dei luoghi importanti delle loro attività! 99 Ricordiamo che (cfr. nota 16) trovarono anche due dei quattro lanciamissili . S’era scoperto che la mafia li aveva acquistati sul mercato del terrorismo internazionale, ma non si sapeva dove erano nascosti.

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Sembra inverosimile, ma com’è stato possibile che si arrivasse a questo punto? L’idea che mi sono fatto è che, a Librino, oltre alla pratica tipicamente mafiosa del controllo del territorio, vige una specie di extraterritorialità: come una zona franca, nella quale la mafia ha concentrato molti interessi, per le attività delinquenziali e per la presenza di veri e propri boss importanti. E questo sta sotto gli occhi di tutti; o almeno di tutti coloro che hanno occhi per vedere.

Come fai ad affermarlo? Quando iniziammo il laboratorio di danza classica, con una ballerina (vera!), vi partecipavano una ventina di ragazzine e persino ragazzini (a Librino!), entusiasti di ciò che imparavano, e un giorno realizzarono, davanti ai familiari e a molte altre persone,un saggio nella palestra di una scuola. Sapevamo che una ragazzina di dodici anni era figlia di un tipo che riscuoteva il pizzo in un altro quartiere di Catania, ma quel giorno cominciò un fatto che non avrei mai immaginato. La sorella di una bambina di otto anni100, alla fine del balletto attraverso un’animatrice del quartiere, figlia di un pescatore, mi avvicinò dicendomi che voleva darci una mano e naturalmente, subito l’accolsi. Circa un mese dopo, poiché ci riunivamo in una bottega aperta al freddo, ci disse che ne aveva parlato con i suoi e c’invitò a vederci a casa sua; alla fine comparve il padre che volle ci fermassimo a mangiare una scacciata. Chiamò il figlio maggiore e, da un pensile della cucina prese un rotolo di biglietti da centomila lire, per farla comprare. Poi, prima d’andarcene mi disse che sarebbe stato contento di invitarmi a pranzo. Pur abitando una casa popolare, la casa m’era sembrata un po’ elegante, nelle rifiniture di marmo e nei mobili, ma non ci feci troppo caso, perché m’aveva detto che vendeva pesce alla Pescheria; d’altronde il palazzo sorgeva proprio alle spalle della sede locale della questura. Pochi giorni dopo, il papà di… venne a dirmi che quell’uomo era il successore del Malpassotu e che qualche settimana prima s’era “annunciato” acquistando una grossa partita di droga. E mi consigliò di stare attento perché, nel suo palazzo, tutte le case erano di gente sua. Quando finalmente una domenica m’invitò a pranzo, dopo avermi offerto pesce pregiato, mi disse che aveva saputo che ero stato tanti anni a Napoli e che lì lui aveva amici “con cui ci rispettiamo”. E mi mostrò un anello d’oro che uno di loro aveva regalato agli invitati come bomboniera della prima Comunione della figlia. Si mise a cantare le solite canzoni della mala napoletana, di cui sono appassionati e, rimasti soli, mi fece discorsi che, al di là delle neanche troppo velate minacce – “… Ho saputo che lei viene e va in motorino anche di notte, ma è troppo pericoloso, potrebbe farsi male …” –, mi scossero intimamente: in pratica mi annunciò che la sua bambina non sarebbe venuta più a danza, perché dell’educazione dei figli si devono occupare solo i genitori, e sua moglie s’era comportata male a permetterlo. Per me fu la scoperta più scioccante, su Librino, ma anche sulla mafia. Lavorando a Napoli, molte volte, da gente più o meno piccola della camorra avevo ricevuto benedizioni per ciò che facevo per i loro figli: “Grazie, Padre, per quello che fate per i figli nostri. Speriamo che non arrivino a fare la nostra stessa fine”. Per i mafiosi invece – o forse per un mafioso così in alto nella gerarchia? – il fatto che la sua bambina,

100 Sono stati eliminati alcuni nomi di persona dall’intervista.

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di otto anni, potesse sognare una vita diversa era cosa che non si poteva né si doveva fare! Rimasi annichilito, non potevo crederci: la mafia non solo controllava il territorio, né aveva soltanto un suo regno nel quartiere; il suo potere giunge persino a concepirsi come l’unico ordine possibile, anche per i propri figli. Possibile e, mi viene da dire, vissuto come positivo, giusto! •

Ma tu credi che le istituzioni non se ne accorgano? Ti dicevo che il palazzo di quel tipo era proprio alle spalle della questura! Ma ti dirò di più. Quando andai in questura per chiedere l’autorizzazione per un corteo di carnevale, il vicequestore mi disse: “Padre, sono contento di questa occasione. Avevo sentito parlare di lei e che fa tanto bene per i ragazzi del quartiere. Vorrei chiederle un aiuto. Sicuramente qualche persona onesta verrà a dirle qualcosa che vede sotto i palazzi. Perché non dice loro di venire a parlarne con noi, così mettiamo un po’ di ordine in questo quartiere di schifo?”. Gli domandai se abitava nel quartiere e, avendomi detto no, gli chiesi: “Lo sa quante Harly Davidson ci sono nel quartiere? E Honda, Kawasaky, Galera, …? E lei sa che recentemente uno ha comprato e fitta per i matrimoni una Isotta Fraschini giallo canarino, con rifiniture nere?”. Lui mi domandò che c’entrava e io gli rimandai: “Quante persone crede che possano fare questi acquisti nel quartiere?”. Lui mi rispose che certo non ce n’erano e tornò domandarmi cosa c’entrasse. “Se la gente vede che anche voi vedete tutto questo e non intervenite, pensate che verranno mai a dirvi qualcosa, vivendo qui?”. Mi diede dell’irresponsabile e che favorivo la cultura dell’omertà, ma lo lasciai dire … Beh, qualche anno fa (un anno dopo) arrestarono quel vicequestore di Librino e due agenti, per spaccio di droga! L’unico uomo delle istituzioni che ho stimato e amato è stato il Presidente Scidà, con cui ho fatto lunghe e proficue conversazioni, perché era sempre attento ai ragazzi di Librino, come di altri quartieri difficili di Catania: aveva grandi intuizioni, dava saggi suggerimenti, non si stancava di esortare a superare i fallimenti e si prendeva a cuore tante situazioni che gli portavo. Aveva sofferto molto per la morte di una figlia e aveva tradotto il suo dolore in passione per il riscatto dei ragazzi. Quanto alle persone della politica, invece, prima pensavo fossero solo assenti o incompetenti, o che fossero arresi dinanzi alla dimensione dei problemi. Poi, però, ci sono stati due episodi che m’hanno fatto prendere coscienza di qualcosa di più radicato e sfacciato, nel modo con cui i politici considerano Librino. Alle elezioni comunali del ’93, fu annunciato che un politico avrebbe fatto un dibattito televisivo pubblico in una palestra del quartiere; il dibattito fu trasmesso da una televisione locale, ma … non si svolgeva a Librino e le persone che vi partecipavano erano solo alcuni suoi galoppini. L’altro episodio avvenne alle politiche del ’94: nella circoscrizione di Librino, per il senato fu candidato un noto cineasta di Firenze, autore solo di film per persone colte e che più volte ha dichiarato pubblicamente la sua omosessualità. Presentato così, a Librino non sarebbe mai stato eletto 101, invece ebbe il 74% dei voti del quar-

101 Due mesi prima un papà, avendo scoperto che suo figlio era omosessuale, aveva incaricato un picciotto di sparargli nei genitali … nella “machissima” Librino!

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Sicurezza e insicurezza tiere, grazie alla capillare “campagna elettorale” svolta da personaggi notoriamente mafiosi. Da questi (e simili) fatti, e dal modo con cui viene gestito il flusso di denaro pubblico – degli appalti e dell’assistenza sociale –, mi sono convinto che l’intreccio tra mafia e politica a Librino sia il risultato di due atteggiamenti congiunti: da un lato, c’è una specie di disinteresse per le sorti del quartiere (è un problema lontano) e, dall’altro, ci sono i risaputi matrimoni d’interessi, nei quali ognuna delle due parti favorisce quelli dell’altra. •

Ma allora cosa si può fare? Quando venne a Catania Giovanni Paolo II, già qualche giorno prima Librino fu circondata da un cordone di soldati, poliziotti, carabinieri, finanzieri; ogni cinquanta metri c’erano autoblindo, camionette, persino qualcosa che sembravano piccoli carri armati. La sera precedente, all’ultimo controllo delle strade del tragitto dall’aeroporto al quartiere, in un cassonetto della spazzatura fu trovato un ragazzo incaprettato. Chiaro segno di sfida contro tutti! Il Papa, saputa evidentemente la notizia, gridando esortò tutti, la Chiesa in testa, a non arrendersi e a stare dentro a questi quartieri, con Gesù come Maestro della carità e con il modello di Maria silenziosa partecipe della missione salvifica del Figlio. Incitava a lottare con tutte le energie contro la mafia, ma esortava anche a farsi carico delle situazioni personali delle sue vittime di ogni giorno. Gridò contro le responsabilità di chi collabora con loro, ma affidava ai cristiani anche la missione di essere collaboratori nella costruzione del Regno, facendoci carico della sproporzione tra i sogni del Padre e il grido degli oppressi. Molti di coloro che ascoltammo quelle parole abbiamo tentato di tradurle in concreto. Certo, la situazione è così incancrenita che è pura illusione lavorare con l’idea di vedere risultati clamorosi in tempi brevi. Ma ricevemmo il compito di incarnarci nella vita del quartiere, standoci sempre più dentro, e cominciammo a respirare con il fiato dei tempi lunghi. Abbiamo cominciato a pensare progetti con percorsi e obiettivi più chiari, da tradurre anche in microrealizzazioni che si sono tradotte in spazi che, soprattutto grazie alle donne, alle mamme, non sono solo di socializzazione, ma anche di piccole attività produttive. Abbiamo cominciato a mentalizzarci alla rinuncia di attendere il denaro pubblico per iniziare le attività, facendo conto piuttosto sul coinvolgimento delle solidarietà. Sul piano della lotta di contrasto alla mafia, invece, penso che – anche grazie alla pratica delle microrealizzazioni – sia necessario lavorare nella direzione opposta al modo d’agire della mafia: trovare tutte le strategie capaci di “scomporre il territorio”, organizzando una vera e propria resistenza, con una rete di reciproci aiuti tra piccole attività produttive, che da sole facilmente sarebbero distrutte. L’esperienza di p. Bregantini, vescovo di Locri, insegna che si devono cercare coordinamenti anche con città lontane: gemellaggi con altre diocesi o città, cooperazioni con industrie del nord, sponsorizzazioni. Questo, oggi che una delle cooperative nate in diocesi ha subito un attacco tremendo da parte della ndrangheta, con oltre duecentomila euro di danni, ha generato una incredibile risposta di solidarietà che, non solo consente di riparare il danno, ma ha risvegliato anche coloro che precedentemente si limitavano a guardare, a Locri e altrove.

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6.5 ABUSIVISMO Intendiamo ora affrontare una delle questioni che assume a Librino rilevanza particolare, soprattutto per le conseguenze prodotte sul contesto urbano e sociale del quartiere: l’abusivismo. Si tratta di un elemento che ha risvolti sia in termini di insicurezza sociale e conseguente disfacimento dei legami. La presenza di tali spazi abusivi garantisce l’extraterritorialità con l’accezione data precedentemente nei quali l’organizzazione malavitosa opera.102 Il problema delle inadempienze nella gestione della realtà urbana non si ebbe a Librino solo per l’incapacità di dare corretta attuazione al progetto del quartiere, ma cominciò presto a legarsi a quello, dilagante, dell’occupazione abusiva degli alloggi popolari. Negli anni Ottanta, a seguito di diverse vicende (tra cui la chiusura di numerose grosse fabbriche che mandò in Cassa Integrazione centinaia di lavoratori) si verificò, a più riprese, l’occupazione abusiva di numerosi edifici di Librino. Si trattava di interi condomini che, a causa delle lungaggini burocratiche nell’assegnazione degli alloggi popolari da parte delle unità competenti, risultavano non ancora occupati. Negli anni seguenti, il ritardo nella destinazione delle unità abitative agli aventi diritto, aggravò ulteriormente il fenomeno che divenne presto incancrenito. Attualmente – a detta dall’assessore alla cultura della IX municipalità di Catania - Librino ospita circa 3.800 famiglie abusive; il che significa, considerato un numero medio di quattro componenti per nucleo familiare, un totale di circa 15.000 persone. Com’è facile intuire, la presenza di tale fenomeno produce una serie di effetti sulla vita del quartiere. Anzitutto, c’è un problema di legalità, o meglio di assenza di legalità. Il fatto che una grossa fetta della popolazione residente si trovi a vivere nella clandestinità ha provocato, nel quartiere, un clima di precarietà e quasi di anarchia. Tale stato di cose risulta ulteriormente aggravato dal fatto che, accanto alle migliaia di abusivi “onesti”, costretti cioè dal bisogno a vivere al di fuori della legalità ma desiderosi di sanare la propria posizione rispetto alla legge, ci sono anche molti “clandestini per lucro”, i quali, disinteressati a rientrare nel circuito della legalità, “affittano” la “propria” abitazione ad altri abusivi o la destinano ad usi di dubbia natura, diversi da quello abitativo . C’è poi un altro aspetto della questione da considerare: lo stato di abbandono, il degrado e, in alcuni casi, la fatiscenza, degli edifici ove vivono gli inquilini abusivi; degrado determinato, spesso - oltre che dalla mancanza di alcune opere di urbanizzazione primaria - dal mancato rispetto degli obblighi di co-gestione condominiale da parte degli occupanti. Si verifica spesso che gli spazi comuni (interni

102 Cfr. nota 31. SEMINARA E., La Sicilia, 12/09/97.

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ed esterni agli edifici, strade di accesso, aiole, parcheggi) vengano considerati alla stregua di beni pubblici, cioè usati e goduti da tutti senza che ci si adoperi per assicurarne i necessari interventi di manutenzione ordinaria e conservazione. Tale circostanza, coinvolge anche gli assegnatari di diritto costretti, spesso, a dover subire gli effetti di una gestione condominiale scorretta. “Spesso gli abusivi non possono, o non vogliono, pagare le spese condominiali e la manutenzione, per cui, l’ascensore non funziona più, la spazzatura si accumula sotto casa, le scale non vengono più pulite perché non ci sono i soldi”103.

Complice di questa situazione (che, però, non riguarda la totalità degli abusivi e si riscontra anche nei condomini non abitati da abusivi) è anche aver scelto di realizzare condomini di dimensioni eccessivamente elevate, che sono risultati difficili da gestire, soprattutto in considerazione delle precarie condizioni economiche in cui versano alcune fasce della popolazione. Tale questione alimenta da anni una polemica accesa tra abusivi e Pubblica Amministrazione: gli occupanti abusivi reclamano interventi di manutenzione straordinaria sugli edifici, nonché la realizzazione di infrastrutture primarie che assicurino il ripristino di condizio-

SPAZIO INCOLTO SOTTOSTANTE UN PALAZZO POPOLARE

103 Impiegato della pubblica amministrazione.

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ni accettabili di vivibilità; l’Amministrazione, dal canto suo, denuncia il mancato rispetto, da parte di molti inquilini, delle più elementari regole di vita comune e accusa di inciviltà gli abusivi dei condomini più degradati.

VERTICALITÀ E CEMENTIFICAZIONE A LIBRINO

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CAPITOLO 6

I MONDI ASSOCIATIVI

7.1 BREVE MAPPA DELLE ASSOCIAZIONI OPERANTI A LIBRINO La presenza di associazioni all’interno delle periferie urbane ha avuto un andamento che un po’ s’è ripetuto in tutte le città italiane negli anni. Negli anni Ottanta, un gruppo di sacerdoti catanesi aveva chiesto al vescovo di lasciare gli incarichi che investivano – parrocchie borghesi, insegnamento della teologia, uffici di curia – per essere inviati nei quartieri più difficili di Catania. Era il tempo in cui cominciavano a venire alla ribalta, al centro, lo scempio urbanistico di San Birillo Vecchio104 e, nelle periferie, la nascita dei primi quartieri satellite: San Nullo, San Giovanni Galermo, il Pigno, Villaggio Sant’Agata. A Librino giunse per primo don Nino Messina, che proveniva dalla curia e si gettò a capofitto in una capillare azione pastorale territoriale nella parte antica del quartiere e nelle zone dell’edilizia popolare di viale Bummacaro, di viale Moncada e viale Grimaldi. Subito dopo, fu seguito da don Giuseppe Coniglione, che divenne parroco della zona delle cooperative di viale Castagnola e viale Nitta. Intanto anche a Librino, appena i mass media cominciarono a parlare del quartiere per i problemi che sorgevano, iniziarono a giungere aiuti da persone, gruppi e associazioni che provenivano dalla città. Occorre segnalare che a Librino non sono mai nati, prima dell’istituzione dei Consigli di quartiere, quei comitati spontanei di quartiere, che invece erano nati in altre città e anche in altri quartieri di Catania. 104 Si trattò di una delle peggiori speculazioni edilizie degli anni ’60 e ’70 e che produsse (e continua a essere) un vero e proprio quartiere a luci rosse.

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Nell’ordine, dapprima arrivarono i religiosi: due salesiani e alcune suore salesiane che s’avvicendavano in viale Bummacaro; le Figlie della Sapienza (Monfortane) inseritesi nell’area di viale Castagnola (dove, dal loro arrivo, vivono in un appartamento); un gesuita (con i giovani del Movimento Eucaristico Giovanile105 e alcuni adulti di diversa provenienza sono stati presenti nella zona Bummacaro-Moncada; le Piccole suore dell’Assunzione nell’area di Librino vecchi (vi hanno abitato per due anni). Nel frattempo, con costoro, sono arrivati i primi volontari: quelli che prima già lavoravano con loro in città e poi altri, di diverso genere. Poco dopo gli arrivi di queste diverse congregazioni religiose, giunsero altre associazioni, confessionali e non, e movimenti di diverso tipo. Attualmente, a Librino sono presenti iniziative ed interventi significativi promossi da cooperative, associazioni e gruppi di volontariato, al fine di sviluppare il quartiere, spesso valorizzando il patrimonio sociale ed umano presente. Si tratta d’iniziative avviate da soggetti diversi ma accomunati dallo stesso desiderio: progettare e realizzare condizioni per un cambiamento possibile. Al fine di ricostruire tale processo ne enucleiamo sia le peculiarità principali, le attività offerte e i progetti avviati al passato e al presente. 7.1.1 Associazioni che nel passato hanno avuto una presenza significativa Elenchiamo di seguito esperienze che sono state significative nel passato e che ora si sono chiuse o hanno riconfigurato la loro presenza. La prima presenza associativa giunta a Librino è stata, alla fine degli anni ’80, quella del volontariato salesiano che, oltre ad aiutare i due parroci giunti nel quartiere sin dagli inizi, cominciarono a animare i ragazzi e i giovani mediante il Grest e iniziative d’animazione. Un gesuita e il Movimento Eucaristico Giovanile., oltre al servizio pastorale, questi soggetti hanno realizzato attività di animazione di strada, formazione di animatori, laboratori di vario genere (danza, falegnameria, ricamo). L’Arci ha fatto doposcuola, ma ha avuto problemi con gli abitanti del luogo, perché ha ricevuto un appartamento dal Comune, che è stato bruciato quattro volte. In alcune botteghe abbandonate, l’AVULS ha gestito, insieme a suor Natalia, superiora delle Monfortane, un doposcuola frequentatissimo, anche dalle mamme. Questa iniziativa è durata sin quando tolsero loro le botteghe, per consentire la nascita di una terza parrocchia. Le botteghe sono state destinate a cappella, ove si Celebrava solo la Messa. Quella delle suore Monfortane, negli anni, è divenuta una presenza familiare per le strade e nelle case della gente. Il loro lavoro è in stretta collaborazione con la parrocchia Risurrezione del Signore e la Caritas Diocesana. 105 Movimento legato alla Compagnia di Gesù

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Successivamente, e per alcuni anni, arrivarono i giovani della Comunità di sant’Egidio, che nasceva appena a Catania, per attività di doposcuola a Librino. Quest’ultimi non sono più presenti con le loro attività nel quartiere. Anche Comunione e Liberazione è stata presente per qualche anno, con un gruppetto di persone con cui facevano incontri formativi e catechetici. Per alcuni anni è stato presente anche il cammino Neocatecumenale, presso la parrocchia Nostra Signora del Santissimo Sacramento, con il suo impegno e metodo di catechesi. I catechisti venivano da altre parrocchie, così come molti che hanno partecipato alle comunità sorte. Meno di una decina erano i librinesi che vi hanno aderito. 7.1.2 Associazioni presenti a tutt’oggi Merita di essere citata anzitutto l’associazione Sacro Cuore che è nata all’interno del quartiere, per iniziativa della “signora Seria” 106, oggi defunta, e della sua famiglia, originaria di san Cristoforo, quartiere storico del centro, la signora era economicamente modesta ed è riuscita ad organizzare una vera e propria rete di solidarietà. La signora Seria si trasferì a Librino107, dove la sua famiglia oggi vive. Casalinga e con un grado d’istruzione basso, riuscì grazie al suo carisma coinvolgente a stimolare e attivare le famiglie fino a creare, in una bottega abbandonata una piccola chiesetta, che è diventata – ed è rimasta a tutt’oggi riferimento e punto d’incontro per numerose famiglie e ragazzi. Le porte delle famiglie più disagiate e abbandonate erano aperte per la signora, che riusciva a mobilitare risorse di ogni genere per risolvere problemi immediati, sapeva affrontare con forza e dignità le istituzioni ed era anche una presenza educativa per i ragazzi 108. Oggi l’associazione gestisce, in comodato d’uso, alcuni locali del comune, dove i ragazzi possono ricevere un sostegno scolastico e incontrarsi per attività ricreative. Vi è anche un ambulatorio, ove presta il suo servizio un medico volontario, e inoltre da alcuni anni è stata costituita una squadra calcio per ragazzi, che partecipano anche a campionati in trasferta. Un associazione

106 Così ricordata dagli abitanti del rione: “unni puteva idda c’era ( dove poteva andare andava), non c’era un caruso o una famiglia in difficoltà che non conosceva o non aiutava, nna santa va! E idda aveva nna famiglia comu nautri…solo a quinta elementari e sapi comu ci parlava ai politici! (E lei aveva una famiiglia vome noi da mantenere… aveva frequentato solo la quinta elementare e non può immaginare come parlava bene con i politici)”, “lei era la mamma di tutti”, “chiddu ca faceva so mogghi na gnonnu, chinnici parrini e chinnici monachi non c’arriniscevani(quello che faceva sua moglie in un giorno, non riuscivano a farlo quindici preti e quindici suore)”. Interessante notare come il paragone sia fatto rispetto alle figure di religiosi e non rispetto a degli operatori sociali dell’Istituzione Pubblica verso cui c’è un atteggiamento di sfiducia e disaffezione quando non financo nemica. 107 Nel nucleo di viale Grimaldi. 108 “La signora pure ai killer se era necessario ci parlava con i diti negli occhi. Ma nessuno la toccava, era rispettata perché faceva del bene a tutti”. Abitante del rione.

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nata,fin dai suoi albori, grazie alla generosità, al carisma e alla fede semplice e ricca di una donna del popolo, il che conferma ciò che abbiamo più volte ribadito nel corso di questa ricerca: la centralità del ruolo delle donne. È proprio incontrando le famiglie delle fasce più povere che s’incontrano vissuti di dignità e solidarietà. La speranza e la bellezza a Librino s’incontrano lì dove l’iniziativa personale, quando è in grado di mobilitare la solidarietà della gente, non lascia l’ultima parola alle difficoltà e all’isolamento. Un’altra associazione significativa è quella che sorge durante l’estate del 1995, ad opera di alcuni giovani volontari che iniziano a lavorare su un progetto rivolto a minori, facendo nascere il centro sociale autogestito chiamato Iqbal Masih, dal nome del giovane sindacalista pakistano ucciso a soli 12 anni per aver denunciato lo sfruttamento dei bambini lavoratori. Ha sede in viale Moncada. Il gruppo di volontari109 è caratterizzato da una struttura informale, non riconosciuta legalmente, e in alcun modo legata ad istituzioni pubbliche o private, organizzazioni, chiese o partiti. L’attività non è concepita come volontariato e non è finalizzata all’assistenzialismo, ma svolge un’azione diretta sul territorio ed è specificatamente politica. Essa mira alla rivendicazione di un modo di vita più giusto e più equo tra gli individui e le diverse realtà sociali ed economiche della città: “Il nostro non può essere solo un intervento per tappare buchi, ma pensiamo sia importante creare delle coscienze e affrontare dei problemi, discutere con le persone … Questo è il modo migliore per tirarli fuori, per cercare di trovare delle soluzioni”110.

Nel centro sociale, bambini e ragazzi possono studiare, giocare, incontrarsi, sperimentare modalità di relazione diverse da quelle improntate alla violenza e alla sopraffazione; sono aiutati a prendere coscienza delle proprie potenzialità individuali e dei propri diritti così come delle possibilità di crescita collettiva della comunità e di rafforzamento dello spirito di solidarietà tra i suoi membri. Oltre alle attività rivolte ai ragazzi – recupero scolastico e didattica extrascolastica, laboratori di animazione, palestra sociale, scuola di rugby – il gruppo svolge una attività di ricerca e denuncia sociale. Il sito internet da loro realizzato111 con-

109 “Il nostro è un buon gruppo, ci sono delle differenze di età, io ho quarant’anni, sono il più vecchio, qualcun altro vicino a me come età, ci frequentiamo da tanti anni,sai tirare avanti insieme una esperienza avvicina a livello umano in maniera più forte e poi ci sono tutti giovani, la maggior parte studenti universitari, quelli fuori sede. Sai studiare a Catania ti puoi sentire un po’ pesce fuor d’acqua invece questo è un luogo in cui tu conosci persone che un po’, alla fine… ideologicamente, nel modo di fare le cose, sono vicino a te. Un buon posto dove strare insieme. E ci aiutano anche ragazzi adesso grandi del quartiere.” Responsabile del centro. 110 Operatore. 111 http://www.centroiqbalmasih.it

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tiene documenti e offre approfondimenti. Viene anche realizzato un foglio periodico “Viale Moncada 95100”: una sorta di giornale di quartiere112. Il foglio riporta alcuni commenti su quanto avviene nel quartiere e comunica le attività del Centro Iqbal Masih. Interessante la rete che il gruppo mantiene con altre associazioni di volontariato presenti in due quartieri, anch’essi disagiati, di Catania: “Mani Tese”, operante a Monte Pò e il “GAPA”113, nel quartiere di San Cristoforo114. Il centro, peraltro, contribuendo alla diffusione della cultura della legalità, si è scontrato con la realtà mafiosa circostante. Più volte infatti la bottega del centro è stata oggetto di ritorsioni, subendo danni a causa di incendi dolosi. Recentemente si è costituito un “Comitato Librino Attivo”, cui partecipa anche il centro Iqbal Masih. Il Comitato è una associazione di cittadini, la maggior parte del borgo vecchio che, senza legami politico-partitici, persegue lo scopo di migliorare la vivibilità del quartiere: esse raccoglie le istanze ed i bisogni del territorio, valorizza contatti e relazioni, si propone come interlocutore dell’amministrazione comunale, di cui lamenta l’assenza e il disinteresse. Lavorando direttamente con la gente si è attivato un percorso attraverso il dialogo, il confronto civile, la discussione. Lavorando con i cittadini e scavalcando istituzioni e rappresentanze ufficiali, si è avviato un lavoro che in questa prima fase ha portato alla realizzazione di un “Libro Bianco”, in cui sono denunciate le disfunzioni e sono individuate delle proposte concrete per lo sviluppo115. Continuando il nostro “viaggio” nei mondi associativi attualmente presenti nel quartiere, dobbiamo fare riferimento alla realtà delle suore Salesiane, Figlie di Maria Ausiliatrice che da alcuni anni con coraggio e in condizioni di precarietà, scommettono su una “missione difficile”116. Hanno realizzato un oratorio - centro giovanile- e abitano, come comunità religiosa, in una vecchia masseria chiamata “Casa Nazaret” 117. Puntano sull’obiettivo primario della “scommessa educativa salesiana”: stare con i giovani più poveri e in “pericolo”.

112 Per alcuni anni è stato distribuito in forma cartacea, 8 pagine formato quaderno; alla fine del 2003 hanno cominciato a diffonderlo in formato A3 presso gli esercizi commerciali e le fermate dell'autobus. 113 Giovani Assolutamente per Agire. 114 E’ stato chiesto al responsabile del centro Iqbal Masih: “Cosa pensi accomuni questi quartieri?”risponde: “La depredazione, sono luoghi depredati. La periferia è una condizione di chi sta più lontano dal benessere”. 115 Nel 2005 i presidenti delle cooperative edilizie di Librino (in particolare le cooperative Risveglio, Amiconi, Ravennate) insieme alla CGIL e alla Federconsumatori, hanno istituito un coordinamento specifico per l’emergenza acqua all’interno del Comitato Librino Attivo, dando inizio a numerosi reclami e manifestazioni pubbliche, obbligando così ad un maggior interesse da parte dell’amministrazione alla risoluzione del problema. 116 “Scommettiamo sul Vangelo”. Una delle tre suore che vivono a Librino. 117 I locali della struttura sono in comodato d’uso e la loro restrutturazione è ancora in fase di attuazione.

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Le suore salesiane sono una presenza educativa al servizio del quartiere fin dall’origine del quartiere. Poi, dal 1998, con l’associazione di volontariato Vides Ginestra hanno realizzato diverse attività e laboratori nei locali di una bottega di viale Grimaldi, il Centro Giovanile Giovanni Paolo II. Oggi l’oratorio coinvolge ragazzi dai 11 a 17 anni, ai quali offre attività sportive, un laboratorio teatrale, un laboratorio di ceramica e di manualità artistiche, il cineforum, e infine un’attività quotidiana di recupero scolastico. L’Oratorio punta a diventare una casa di accoglienza, aperta non solo ai ragazzi ma anche alle famiglie. Dell’associazione Fiumara d’Arte118 abbiamo già parlato a lungo nel capitolo sull’economia di Librino. Qui ci limitiamo ad aggiungere alcuni dati sulla sua storia e sulle sue iniziative a Librino, ove opera pur non avendovi una sede propria. Nell’ambito delle sue diverse iniziative, l’associazione ha iniziato il progetto, ambizioso e singolare, denominato “Terzocchio Meridiani di Luce”. Esso nasce dall’impegno e dalla volontà del presidente e fondatore dell’associazione. “L’idea è quella di abbattere il limite dell’essere periferia e ridare a Librino una sua centralità all’interno della polis catanese. Centro e periferia non sono legate allo spazio ma piuttosto a condizioni culturali diverse. La mancanza di una crescita culturale parallela genera la lontananza della periferia dalla città. Ignorarla è ignorare l'identità stessa della città. Per visualizzare questa emozione, l’Associazione Fiumara d’Arte invita grandi artisti internazionali a Librino, dove vivranno l’ordinario quotidiano del quartiere per riconsegnarlo, con la loro sensibilità, ad una rinnovata e straordinaria immagine.119”

Oltre alla realizzazione di 500 spot per Librino, già citata nel capitolo III, sono stati organizzati incontri nelle scuole con poeti italiani contemporanei e il progetto auspica la realizzazione del “Museo Internazionale dell’Immagine”. Oltre a questi progetti, che per alcuni appaiono spesso inadeguati rispetto alle priorità del quartiere, sono state invece già realizzate delle iniziative che realmente hanno generato momenti di riflessione e di incontro con la città. Gli allievi di 50 scuole di ogni genere e grado hanno lavorato per mesi sul concetto di etica e il loro lavoro si è tradotto nella realizzazione di 500 bandiere dove i valori sono diventati segno, 118 Associazione nata nel 1983 a Messina per idea di Antonio Lo Presti ,tutto ebbe inizio nel 1985, in seguito all’improvvisa morte del padre, in memoria del quale Antonio ordinò la realizzazione di un monumento all’aperto. Questo fu il passo che segnò l’inizio di una passione crescente nei confronti dell’arte. Da allora la Fiumara, territorio in cui nacque la prima opera, fu arricchita da straordinarie sculture ideate da molti artisti tutti di fama internazionale, e realizzate nella vicina zona dei Monti Nebrodi. Oggi il Centro Internazionale Fiumara d’Arte comprende un Atelier-Hotel, le cui camere sono state progettate dagli artisti coinvolti per trasmettere agli ospiti la sensazione unica di vivere ed essere parte dell’opera d’arte. Oltre alla sezione museale permanente dell’albergo di Castel di Tusa, la Fiumara presenta una sezione adibita a esposizioni temporanee che prende il nome di "Stesicorea" nella città di Catania, dimora del vulcano Etna, cuore pulsante dell’isola. 119 Antonio Lo Presti; nel sito internet dedicato all’associazione si descrive dettagliatamente il progetto: www.librino.org.

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colore, materia. Le bandiere, dopo una temporanea mostra, sono state issate sui piloni dell’Asse dei Servizi. L’iniziativa ha contribuito a favorire la conoscenza e l’incontro della gente del quartiere con ragazzi di diverse zone di Catania. In viale Librino, dal ’98, all’interno della parrocchia della Resurrezione, è nato il gruppo Agesci 18 che, secondo lo stile scout, s’occupa di bambini e ragazzi della zona delle cooperative del quartiere, formandoli all’amore e al rispetto della natura, alla socializzazione e alla buona cittadinanza, all’interno della fede cattolica. Organizza campeggi, uscite, attività manuali e di animazione del quartiere, momenti di preghiera e aiuta nelle opere assistenziali della parrocchia. La nona municipalità è una delle cinque zone scelte per attuare dal 2004 al 2007 un progetto realizzato nell’ambito dell’APQ120, uno strumento innovativo poiché, nell’ambito di una serie di riforme coeve alla legge 328/2000, prevede la creazione e lo sviluppo di reti che coinvolgono diverse tipologie di attori – gli enti pubblici, le parti sociali e il terzo settore – per l’attivazione di processi di programmazione e di costituzione del sistema locale di governo delle politiche sociali121. La progettazione dei cinque interventi è stata integrata grazie alla mediazione del Laposs122 dell’Università di Catania che, con l’elaborazione dei progetti, ha voluto costruire una meta e un livello di analisi comune ai progetti, permettendo in futuro un’analisi comparativa e valutativa degli impatti previsti dalle azioni sull’intero territorio comunale. Laposs ha costruito uno strumento di monitoraggio informativo (web-based). Il progetto finanziato per la IX municipalità è il “Centro Polivalente San Giorgio”123 che ha sede presso la masseria Bonaiuto, in Librino, gestito dalla Cooperativa Marianella Garcia. Nel centro si svolgono attività per giovani dai 14 ai 18 anni; esso propone gruppi di discussione, musica e danza, attività sportive, informatiche e un cineforum. L’ambito d’intervento è il recupero del disagio e della devianza minorile. Il Centro culturale Miriam, in viale Nitta124, è stato creato dai parrocchiani della Chiesa Risurrezione del Signore. Ne è presidente il parroco, don Giuseppe Coniglione. Tale centro si occupa di adulti e particolarmente di anziani di Librino, attraverso attività culturali e ricreative: incontri, seminari, una biblioteca, gite. Realizza ogni anno una Festa della terza età.

120 Accordo di Programma Quadro “Recupero della marginalità sociale e pari opportunità, un documento programmatico che la legge n. 662 del 23 dicembre 1996 ha definito come “l’accordo con enti locali ed altri soggetti pubblici e privati promosso dal governo della Repubblica e dalla Regione Siciliana, in attuazione di una intesa istituzionale di Programma, per la definizione di un programma esecutivo di interventi di interesse comune o funzionalmente collegati”. 121 Università degli Studi di Catania, Facoltà di Scienze Politiche, Laposs - Laboratorio di Progettazione ed Analisi di Politiche e Servizi alle Persone Rapporto attività 2004/2005. 122 Laboratorio di Progettazione Sperimentazione ed Analisi di Politiche e Servizi alle Persone. 123 I partner coinvolti sono: Ass. AVAC, Consorzio Sol.co,Coop., Marianella Garçia, Coop. Sociale Prospettive, comune di Catania, LaPoss – Università degli studi di Catania. 124 Zona in cui vi sono costruzioni di cooperative.

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Per quanto riguarda i partiti, l’unica sede ufficialmente esistente è quella di Forza Nuova che, come nelle altre città in cui è presente, soprattutto nel Sud, sceglie di installarsi nelle zone più sottoproletarie e violente. A Librino, invece, salvo periodici exploit e incursioni verso la città, non riesce a far presa, proprio perché si presenta come proposta di un ordine e di uno stile di vita che contrastano con i veri controllori del territorio. Un altro tipo di presenza dei partiti politici è quella che si sta sviluppando attraverso i C.A.F.: centri di consulenza fiscale gratuita, che sono finanziati dalla Regione gestiti da diverse fazioni politiche. Inoltre va ricordata anche una sede della Misericordia, in viale Castagnola. Tale ente offre agli abitanti di Librino un servizio ambulanza. Ogni anno organizza un Corso di primo soccorso.

7.2 LE PRESENZE RELIGIOSE 7.2.1 Il mondo cattolico Le parrocchie cattoliche presenti a Librino sono tre: Risurrezione del Signore, Nostra Signora del Santissimo Sacramento e Santa Chiara. La chiesa “Resurrezione del Signore” si trova in viale Castagnola. Già dagli anni ’80, quando ancora non esisteva la struttura della chiesa visibile oggi, si celebrava la S. Messa in un garage, la parrocchia è praticamente nata insieme al quartiere; essa appare la chiesa più viva per attività e per partecipazione da parte della popolazione. Negli anni è cresciuto peraltro il senso di appartenenza alla comunità, soprattutto da parte di molti inquilini residenti in appartamenti delle cooperative vicine. “Non mi vergogno a dire che io all’inizio da questo quartiere me ne sarei voluta scappare. Poi, pian piano, ho conosciuto la parrocchia, la comunità… adesso non vorrei andarmene per nulla…”125.

La continuità della presenza del pastore è stata importante per poter attivare una serie di attività: il centro culturale Myriam in viale Librino, dove è stata creata una biblioteca e uno spazio comune per incontrarsi e condividere momenti di incontro e fraternità; il gruppo scout, a cui oggi partecipano una cinquantina di ragazzi tra cui qualcuno disabile; il centro d’ascolto Caritas guidato da una suora monfortana in collaborazione con volontari laici; e laboratori di cucito e danza. La chiesa è frequentata in maggioranza da famiglie che abitano nelle cooperative, questo ha determinato una leggera frattura con quella parte di famiglie del territorio che vivono uno stato di maggiore disagio socio culturale. 125 Parrocchiana residente nel quartiere.

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La parrocchia Nostra Signora del Santissimo Sacramento sita nel borgo Librino antico al contrario, seppur meno frequentata e in possesso di meno risorse, appare più attenta alle interpellazioni delle famiglie più deboli e povere. Negli anni passati crebbe un gruppo di spiritualità neucatecumenale che nel tempo, con il cambio del pastore, dovette sciogliersi. Nell’ultimo triennio la comunità ha creato un gemellaggio con La Diocesi di Kahama, in Tanzania, con cui “si condivide il poco di ognuno” attraverso l’adozione a distanza e permettendo così la realizzazione di diverse opere significative. Oltre alle attività pastorali, alla parrocchia è stata data la possibilità di usufruire del centro polisportivo villa Fazio, dove durante l’anno si svolgono gli allenamenti della scuola calcio e in estate si propongono una serie di attività ricreative ed educative per ragazzi di scuola elementare e medie. Ad attenzionare le famiglie più povere è il centro d’ascolto Caritas attraverso servizi concreti caratterizzati dal rapporto diretto con le persone e ove necessario con un aiuto materiale. La chiesa Santa Chiara è la più giovane delle parrocchie, si trova in una zona molto degradata e isolata del quartiere, in viale Moncada, e ancora non ha una costruzione ma usufruisce di un locale prefabbricato. La chiusura e l’isolamento del territorio pare incidono anche sulla vita della comunità parrocchiale che stenta a crescere e che tutt’oggi non è una presenza o un punto di riferimento per la zona. 7.2.2 Altre confessioni Sono presenti inoltre tre chiese evangeliche a Librino, la chiesa pentecostale ubicata in viale Bummacaro, la chiesa “Gesù Cristo è il Signore”in viale Castagnola, a pochi metri dalla chiesa cattolica, e la chiesa evangelica di viale Grimaldi che svolge da cinque anni anche attività di sostegno e recupero scolastico per ragazzi e bambini a pochi metri dai locali delle suore di Maria Ausiliatrice. Ciò che caratterizza la pastorale di queste chiese è la vicinanza con le persone. Chitarra e microfono sono gli strumenti che utilizzano per strada attirando la curiosità di molti che poi trovano un clima di famiglia e di vicinanza che li motiva a coltivare il rapporto. Spesso il pastore o i fedeli incontrano le famiglie presso le loro case, facendosi vicino a gioie e dolori di ognuno. I Testimoni di Geova, invece, non hanno una sede locale, ma svolgono il loro classico proselitismo porta a porta. Sono relativamente numerosi e fanno proselitismo soprattutto presso le persone sole. Ciò che più colpisce è la mancanza comunicazione tra queste sei chiese cristiane.

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TAB.5 . QUADRO SINTETICO DELLE ASSOCIAZIONI PRESENTI A LIBRINO

ASSOCIAZIONE IQBAL MASIH Sede viale Moncada - http://www.centroiqbalmasih.it/ Origine

Nasce nel 1995 da una decina di volontari che lavorando su un progetto rivolto a minori dell’ARCI, proseguì poi l’esperienza autonomamente.

Componenti e Strutture

Volontari Struttura informale non riconosciuta legalmente. Le decisioni vengono prese in sede d’assemblea. Bambini, ragazzi e famiglie del quartiere Contrasto alla marginalità e all’isolamento del quartiere attraverso attività di arricchimento socio culturali

Beneficiari Obiettivi Attività Progetti

Recupero scolastico; squadra di rugby; laboratorio teatrale e di attività manuali;feste; animazione; palestra sociale.

ASSOCIAZIONE FIUMARA D’ARTE Sede Non ha sede a Librino - http://www.librino.it/fiumara/ Origine Nasce nel 1983 a opera di Antonio Presti, una sorte di mecenate per attività e iniziative d’arte, figlio di un imprenditore realizza un Museo all’Aperto nella Val di Tusa detta “fiumara d’Arte”. Impegnata dal 2002 nel progetto per Librino. Componenti e Associazione culturale Strutture Presidente: Antonio Presti Beneficiari Scuole, bambini e ragazzi del quartiere. Obiettivi Ridare al quartiere centralità e bellezza attraverso la crescita culturale, con il coinvolgimento di famosi artisti. Attività Incontri nelle scuole, laboratori di educazione all’immagine, Progetti disegno e pittura. Spot pubblicitari. Esposizione d’opere d’arte all’aperto. ASSOCIAZIONE CATANIA 18 “AGESCI” Sede Viale Librino - http://www.librino.it/catania18/ Origine Nasce nel 1998 nella parrocchia Resurrezione del Signore in Catania. Il Parroco, P. Giuseppe Coniglione, invitò un capo scout della Zona Etnea-Liotru di Catania, Michele Costanzo, che tenne alcuni incontri in vista dell'apertura di un nuovo gruppo scout nel quartiere Componenti e Volontari, ragazzi e bambini del quartiere. Strutture Gruppo scout. Beneficiari Bambini e ragazzi del quartiere Obiettivi Attività Progetti

Educazione al rispetto della natura, alla socializzazione e formazione religiosa cattolica Campeggi, incontri e gruppi per attività manuali, animazione, preghiera e assistenza alle attività della parrocchia.

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ASSOCIAZIONE VIDES GINESTRA Sede

viale Grimaldi

Origine

Lavora ed opera a Librino dal 1998 al Centro Don Bosco, oggi con le Figlie di Maria Ausiliatrice, presso l’oratorio Centro Giovanile Giovanni Paolo II Volontari Associazione di volontariato ragazzi dagli 11 – 17 anni Costruire percorsi di solidarietà coinvolgendo volontari nel recupero di minori in difficoltà. Laboratori Sportivi, teatrale, ceramico, artistico, informatico. Cineforum. Laboratorio recupero scolastico.

Componenti e Strutture Beneficiari Obiettivi Attività Progetti

CENTRO CULTURALE MIRIAM Sede Viale Nitta Origine Creata dai parrocchiani della Chiesa Risurrezione del Signore. Componenti e Presidente p. Giuseppe Coniglione Strutture Adulti e anziani residenti a Librino Beneficiari Obiettivi Attività Progetti

Adulti, in particolare persone anziane. Accrescere l'orizzonte artistico e culturale di Librino Biblioteca. Festa della terza età. Attività culturali e ricreative. Incontri. Seminari.

COOPERATIVA MARIANELLA GARCIA Sede La cooperative svolge progetti diversi nell’area metropolitana, A Librino la sede è presso la masseria Bonaiuto, viale bummacaro. Origine Componenti e Strutture

Progetto APQ Cooperativa Sociale

Beneficiari Obiettivi Attività Progetti

Giovani trai 12 e 18 anni Recupero del disagio e devianza minorile Laboratorio d’informatica, laboratorio di danza moderna e classica, laboratorio di drammatizzazione. Recupero scolastico

ASSOCIAZIONE SACRO CUORE Sede Viale Grimaldi Origine Componenti e Strutture Beneficiari Obiettivi Attività Progetti

Nasce dall’iniziativa e il carisma della signora Serio, residente nel quartiere. Associazione di volontariato Famiglie, bambini, ragazzi Creare una rete di solidarietà e mutuo aiuto tra i residenti del quartiere Ambulatorio medico. Squadra calcio PGS. Recupero scolastico. Assistenza famiglie indigenti

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MISERICORDIA DI LIBRINO Sede Viale Castagnola Origine Componenti e Strutture Volontari Beneficiari Abitanti del quartiere Obiettivi Soccorso sanitario Attività Progetti Servizio di autoambulanza e organizzazione annuale del Corso di primo soccorso ORATORIO ANSPI Sede Villa Fazio Origine Nasce per volontà di p. Lo Cascio della parrocchia nostra Signora del Santissimo Sacramento Componenti e Strutture Volontari Beneficiari Ragazzi di scuola elementare e media Obiettivi Offrire valide alternative per impiegare il tempo libero in maniera positiva e sana trasmettendo i valori della fede cattolica Attività Progetti Scuola calcio. Centro estivo con attività ricreative ed educative. LIBRINO.IT

- UN QUARTIERE, UN’ANIMA, UNA SPERANZA www.librino.it - sito internet Il sito viene progettato e realizzato nel 2000 da Massimo Nicosia, giovane residente nel quartiere di Librino. Componenti e Strutture Gestisce il sito Massimo Nicosia con la collaborazione di moltissimi utenti Beneficiari Popolazione di Librino Obiettivi Offrire uno spazio online di comunicazione a favore dello sviluppo socio culturale del quartiere Attività Monitoraggio delle iniziative promesse dall’Amministrazione. Progetti Comunicazione informazioni ed eventi del quartiere. Giornale del quartiere ondine. Forum. Chat. CENTRO POLIFUNZIONALE VULCANO Sede Masseria Buonaiuto Origine Progetto gestito dal consorzio il SOLCO Componenti e Cooperativa sociale Strutture Beneficiari Giovani Obiettivi Inserimento lavorativo di minori svantaggiati Attività Sportello informativo Progetti Sede Origine

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CAPITOLO 8

LE RISORSE ISTITUZIONALI

8.1 LE ISTITUZIONI NEL QUARTIERE Nei diversi capitoli che precedono, abbiamo già detto qualcosa circa la “presenza” delle Istituzioni all’interno del quartiere. Proveremo adesso a descrivere, più specificamente, che tipo di ruolo esse vi svolgono, cercando altresì di definire in che modo i residenti di Librino percepiscono tale presenza istituzionale. Dicevamo che il primo intento ufficiale delle Istituzioni, originariamente, era quello di realizzare il progetto ideale di un modello alternativo e moderno di insediamento urbano, in cui l’uomo e la qualità della vita fossero al centro. Si voleva decongestionare l’urbanizzazione orientata al nord della città ed offrire un’alternativa diversa e migliore ai catanesi che abitavano nella zona centrale e più degradata della città. Oggi possiamo dire anzitutto che quelle intenzioni nobili vennero utilizzate come pretesto per perseguire obiettivi diversi: valorizzare i suoli della borghesia fondiaria e dare nuovo spazio alla speculazione edilizia. E forse non è azzardato dire che sono servite anche come copertura per gli interessi della mafia – che spesso hanno “vinto” gli appalti miliardari che erano stati finanziati – e per il riciclaggio di capitali di dubbia provenienza. In ogni caso, oggi si può solo constatare che, all’assenza di qualsiasi forma di presenza economica e produttiva, si accompagna anche la mancanza di strutture e servizi pubblici. Ma gli scempi prodotti da questo modo di concepire l’edilizia pubblica sono anche il teatro di una vecchia e sempre nuova pagina amara della democrazia, che forse nel sud è solo più vistosa. La popolazione ormai da anni registra – col disincanto dei rassegnati – che l’interessamento al quartiere da parte delle amministrazioni pubbliche si manifesta solo a ridosso delle elezioni, a vari livelli.

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Le risorse istituzionali

Così è stato dopo la presentazione del progetto per il nuovo Ospedale San Marco: mai iniziato. Così per l’annuncio del Centro di eccellenza ortopedico “G. Clementi”, per il quale è stata istituita anche una Fondazione: anche questo, mai iniziato. Ed ancora, la promessa di creare un distaccamento dei Vigili del Fuoco: mai adempiuta. Similmente, l’impegno per la realizzazione di un centro servizi in viale Nitta, con annessa biblioteca di quartiere, per la creazione di un posto di polizia municipale, per l’avvio di un centro d'incontro per le associazioni e persino per “la facilissima e velocissima installazione, in questi spazi larghissimi”, di una postazione del 118. Non parliamo poi delle rassicurazioni in merito alla soluzione del problema delle case occupate abusivamente e della costruzione e dell’assegnazione di altre case per coloro che ne avevano il diritto. E intanto si costruiscono marciapiedi in cemento … La situazione è in parte diversa per quanto attiene alla costruzione dello stadio, che, terminato, non è pero mai stato inaugurato. Ad oggi, esso è stato utilizzato soltanto per il concentramento di cittadini stranieri, extracomunitari, privi di validi documenti per il regolare soggiorno sul territorio italiano; essi sbarcati sulle coste siciliana vengono successivamente concentrati all’interno di questa struttura per essere poi espulsi in massa. In parte diversa è anche la situazione relativa alla costruzione del parco, progettato per offrire spazi di verde attrezzato per i bambini ed occasioni di socializzazione: iniziato e fornito di alcune attrezzature, rimane ancora sospeso ed incompleto e, nel frattempo, tutto ciò che è stato fatto è già in stato di abbandono. I tanti progetti mai realizzati e le promesse mai mantenute continuano ad offrire un paesaggio desolante: un eterno cantiere ove i lavori sono sempre bloccati, che vive unicamente su fantastici plastici e dettagliate topografie che però, non fanno più sognare. Ci troviamo, insomma, dinanzi ad una scorreria elettorale, che si tinge di “tanti colori”, e che ha la sua radice nel clientelismo e nella politica assistenzialista126 che anche i quartieri storici di Catania conoscono. In giro è facile sentire che: “Hanno comprato i voti, hanno dato soldi a tutti per comprarsi i voti” 127. “Sembra che la politica ha compreso che centomila voti di persone in stato di necessità sono molto più convenienti di centomila voti in stato di coscienza…” 128. 126 “Se la gente si rendesse conto di come le istituzioni purtroppo ci marciano sul fatto che la gente stia male si, si,ci sono persone che ci marciano, qua vengono durante le elezioni a comprarsi i voti che so io, voi mi capite … si comprano i voti, ma è giusto questo? Le persone riescono a vendere anche una delle cose che sono dell’uomo inalienabili, ma magari ne hanno bisogno e si vendono il voto; e poi io devo vedere la città governata da certuni, il mio sogno è che la gente venga a salvezza sicuramente e che però possa stare un pò meglio anche qui sulla terra, un po’ meglio”. Pastore protestante. 127 Donna, 60 anni, residente a Librino. 128 Presidente associazione Fiumara D’Arte.

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“le istituzioni non fanno niente, non si fanno vedere ed è vergognoso e lo dico anche pubblicamente e non mi vergogno, li affronto in qualsiasi momento: si fanno presenti al momento delle elezioni, e gliel’ho detto in faccia, ho detto che la cosa mi offende e che mi vergogno che siete presenti quando ci sono le votazioni! Gliel’ho detto chiaro e tondo e non mi vergogno di dirglielo e glielo dico sempre. È vergognoso! La gente non so se non lo capisce o fa finta di non capirlo; oppure dice: tantu u fannu, facimuccillu fari (tanto lo fanno, facciamoglielo fare). Tutti dovrebbero dire: ma picchì stati vinennu ora? (perché state venendo solo ora?)” 129.

I servizi sociali ubicati nel nucleo Castagnola sono i referenti dell’azione sociale che viene promossa. Essi portano avanti il lavoro di programmazione per il quartiere, anche se il numero degli assistenti sociali è al di sotto dell’organico130 necessario e, di fatto, insufficiente per rispondere alle esigenze della popolazione locale. Inoltre, non viene assicurata la necessaria continuità di funzioni a causa dei numerosi trasferimenti. Il servizio non ha in dotazione un mezzo che permetta di effettuare le visite domiciliari. Le risorse economiche sono azzerate, al punto che in ufficio si è costretti a scrivere “con la carta carbone”… Privi di mezzi e demotivati, i dipendenti lamentano l’assenza di educatori del comune che possano affiancare il loro lavoro che, nel quotidiano, finisce per ridursi, concretamente, al solo disbrigo di pratiche amministrative. Gli assistenti sociali sono poi guardati dalle fasce meno abbienti della popolazione solo come “quelli che tolgono i figli”. Si evitano quindi i rapporti con loro e sono rarissime le relazioni significative che nascono. I servizi di cui il quartiere usufruisce sono di tipo assistenziale: contributi economici per le famiglie con reddito minimo, assistenza domiciliare per gli anziani. Il servizio, nell’ultimo anno, ha seguito una quindicina di casi di minori in difficoltà, procedendo, per alcuni di questi, ad avviare l’iter che porta all’affidamento. Poiché la scuola costituisce l’unica istituzione presente ed efficace sul territorio, per le famiglie, essa diviene l’unico punto di riferimento e l’unica offerta di cambiamento e sviluppo, sia culturale che sociale. Il merito di questo valore aggiunto è da ricercarsi nella presenza di dirigenti scolastici ed insegnanti che hanno scelto, consapevolmente, di lavorare a Librino e non si accontentano di farsi solo trasmettitori di sapere, ma si impegnano, quotidianamente, in un dialogo fatto di scambi vicendevoli capace di coinvolgere sia i ragazzi che le loro famiglie. Ma è evidente che è necessario l’insediamento in loco di istituti scolastici della secondaria superiore, sia per ridurre le distanze ed i lunghi tempi che gli sposta-

129 Donna residente in viale Moncada. 130 Sono assegnate al servizio di viale Castagnola solo due assistenti sociali,di cui una a tempo pieno e una part -time, il coordinatore e tre dipendenti amministrativi.

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Le risorse istituzionali

menti richiedono sia per offrire valide alternative, capaci di arginare la devianza minorile. Come ad esempio avviene già nel quartiere di Monte Po – altro quartiere della periferia catanese denso di problemi analoghi a quelli di Librino – dove la presenza, nell’ultimo quinquennio, di un istituto statale professionale alberghiero ha fatto registrare dalla Questura di Catania una significativa riduzione del tasso di delinquenza minorile. Uno dei progetti finanziati ed approvati prevede la costruzione della sede centrale della Questura di Catania proprio a Librino. Tale progetto, se realizzato entro il 2007, potrebbe incidere efficacemente sulla sicurezza del quartiere. L’attuale presenza di una stazione di polizia viene invece vissuta dagli abitanti come un ennesimo vuoto istituzionale: “non sono presenti”. La sua assenza viene lamentata persino per totale incapacità di vigilare sugli stradoni del quartiere e, nonostante l’elevato numero di incidenti, ancora non concretizza la volontà di aumentare la presenza di vigili urbani o di volanti della polizia. Polizia e carabinieri, nell’immaginario degli abitanti del quartiere, non vengono assunti a garanti della sicurezza dei cittadini, anzi nei contesti popolari, queste figure istituzionali sono piuttosto viste in posizione antagonista: “quaquaraquà o sbirro” sono i peggiori insulti che si possano rivolgere a qualcuno131. Oltre alle retate, in questi anni, polizia e carabinieri sono stati protagonisti solo di azioni di sgombero delle palazzine occupate illegalmente. Tanto che, spesso, alcuni nuclei familiari hanno opposto resistenza e si sono verificati momenti di forte tensione. Così i valori sembrano rovesciarsi e la legalità viene vista come rottura di un sotto sistema, che invece dà la possibilità di ottenere i beni di cui si ha bisogno. Nel gennaio 2007, poliziotti e finanzieri, durante un normale controllo che stavano per compiere, sono stati oggetto da parte di residenti di Librino di un fitto lancio di pietre e bombe carta, gli uomini delle forze dell'ordine sono stati costretti a ripararsi dietro le auto di servizio.132 Il sentimento di totale abbandono da parte delle istituzioni è comune a tutti i residenti. Vi sono tuttavia alcuni albori di iniziative in cui i cittadini si associano e si pongono come interlocutori critici verso l’amministrazione, come per il caso del Comitato Attivo Librino che è nato proprio dalla sfiducia dei cittadini verso le istituzioni dalle quali non si sentivano sufficientemente rappresentati. Pur se il compito primario per arginare i fenomeni di emarginazione e diffusa sofferenza delle periferie rimane sempre a carico delle istituzioni pubbliche, è

131 Stralcio d’intervista ad un professore di scuola media: D “il rapporto con le istituzioni, le autorità come vengono viste dai ragazzi?” – R “peste! Carabinieri e polizia qua sono sbirri, carabiniere è una offesa. Sono quelli che ti prendono e ti portano in carcere senza problemi. Poi sono i carabinieri che vanno a prendere i ragazzini che sono con la dispersione scolastica…” 132 Dal Quotidiano “La Sicilia” del 24/01/2007.

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necessaria la partecipazione degli abitanti, della gente ed in particolare dei giovani il cui atteggiamento di fuga dal quartiere dovrebbe tramutarsi in desiderio di cambiamento. È pur vero che chi fa parte del comitato sono persone proprietari della loro casa, con un lavoro stabile, con famiglia, figli e un livello culturale medio, quindi in possesso di strumenti che permettono di reagire ma non è la risposta più generalizzata purtroppo. La percezione dell’assenza, dell’incapacità delle istituzioni e le numerose disfunzioni prodotte, hanno contribuito a creare un atteggiamento di sfiducia e disaffezione verso tutto ciò che le rende presenti nel quartiere. Ad esempio, come s’era già accennato, nel nucleo di viale Bummacaro è stato realizzato un efficace distaccamento distrettuale dell’USL, con un consultorio familiare e un poliambulatorio. Nonostante l’offerta fosse ancora insufficiente rispetto al numero dell’utenza potenziale, tale struttura non gode della fiducia che i residenti di Librino riconoscono invece alle grosse strutture ospedaliere della città. In essi prevale lo stereotipo della cattiva gestione, che preclude la possibilità di usufruire dei servizi sanitari messi a disposizione in loco. In generale, insomma, sembra sempre prevalere un giudizio negativo nei confronti di chi lavora per il Comune o per lo Stato, poiché esso appare incapace di risolvere i problemi legati al lavoro ed alla salute. Di conseguenza, anche le realtà positive di efficienza ed impegno da parte delle amministrazioni pubbliche, vengono vissute come situazioni isolate, eccezioni alla regola. Ecco allora che, in una realtà in cui la disoccupazione è diffusa ed i sentimenti acquistano connotati di violenta precarietà, le istituzioni pubbliche finiscono per assumere la fisionomia di entità capaci solo di intralciare il quieto vivere della gente. Forse potremmo arrivare ad interpretare sotto questa luce anche alcuni atti vandalici che accomunano Librino ad altri quartieri considerati “difficili” della città: l’incendio dei cassonetti della spazzatura, i saccheggi di insegne stradali, o come nell caso estremo accaduto nel novembre 2005 quando, probabilmente a causa dell’esasperazione per le lunghe attese, la fitta sassaiola che ha colpito due autobus di linea pubblici133. In questo degrado ambientale e morale, in cui anche l’azione sociale del volontariato o quella pastorale dei vari gruppi religiosi appare insufficiente, si sono insediate con successo le organizzazioni criminali, divenute esse stesse le vere istituzioni, che garantiscono, a modo loro, benessere e sicurezza. 133 Dal giornale La Sicilia del 26-11-2005: Lancio di sassi contro due autobus dell’Amt che collegano Catania a Librino. Una fitta sassaiola, ieri, ha mandato in frantumi il parabrezza di un autobus e un autista della linea 555 è rimasto ferito alle gambe, in maniera non grave, mentre transitava in viale Moncada. Due ore più tardi un altro autobus dell’Amt, percorrendo lo stesso itinerario, nella stessa zona, è stato fatto oggetto di un’altra sassaiola. Questa volta le pietre hanno raggiunto una delle porte laterali. I vetri si sono I vetri si sono infranti ma nessuno dei passeggeri è rimasto ferito.

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Occorre tener presente che questo avviene non solo grazie al loro carattere arrogante, alla loro violenta manifestazione di potere, o ancora grazie alla loro capacità di controllare il territorio. La rete capillare delle organizzazioni malavitose, il loro fitto controllo del territorio e la capacità di muovere e destinare i capitali degli appalti in favore di un concorrente piuttosto che di un altro, ed ancora la capacità di sfruttare amicizie influenti e volti pubblici noti per orientare il libero esercizio del diritto di voto, inducono poi, di fatto, l’uomo medio a tributare loro una forma di timore reverenziale necessaria affinché possano garantirsi il quieto vivere. Se infatti gli appalti miliardari sono “vinti” da loro, se i boss ricevono e danno indicazioni per votare questo o quel candidato (che poi diviene regolarmente consigliere od onorevole), se persino personaggi autorevoli scelgono di benedire iniziative di noti boss e si fanno vedere al loro fianco durante manifestazioni pubbliche (quando non accade che un membro gerarchicamente non secondario della polizia viene arrestato per organizzazione dello spaccio di droga), come potrà una persona residente del quartiere non pensare che è a questo vero potere che dovrà obbedienza, rispetto o sottomissione impaurita, per potersi garantire almeno il quieto vivere?

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CONCLUSIONI

Il nostro lavoro di ricerca sul quartiere di Librino ha consentito di tracciarne un quadro sufficientemente completo. Proviamo qui a sintetizzarlo, delineandone le linee problematiche, in vista di alcune prospettive di cambiamento che si presentano come le più realistiche, almeno a breve termine. Abbiamo analizzato differenti situazioni problematiche, legate alla stessa condizione strutturale del quartiere sin dall’origine, considerando diversi aspetti e variabili, che delineano una complessità di fondo. Richiamiamo anzitutto la densità e composizione demografica. Nato negli anni settanta come tentativo di risposta agli annosi problemi abitativi di Catania, il primo intento fu, come è avvenuto in altre grandi città, quello di costruire grandi palazzi con cui poter risolvere le tensioni sociali generate da chi abitava da gran tempo in baracche, o addirittura era ancora sfollato di guerra, o andava concentrandosi nella città provenendo dai comuni della provincia. Questo dato di partenza veniva ad aggravarsi a causa di due fattori convergenti: mentre il progetto iniziale perseguiva – in maniera avveniristica (vedi l’assegnazione del progetto a Kenzo Tange) – la prospettiva concretizzata nella legge 167 per l’edilizia economica e popolare, di fatto la realizzazione del progetto è stata inficiata costruendo prioritariamente le abitazioni e posticipando ad un passo successivo e secondario la realizzazione delle infrastrutture per la socializzazione previste dal piano iniziale. Contemporaneamente, oltre ad una fattura pressappochista delle abitazioni, spesso le assegnazioni venivano effettuate in assenza delle strutture primarie (assenza di ascensori, degli allacci dell’acqua, delle fognature, dell’illuminazione viaria e delle strade). A questa situazione si sovrappone un fenomeno divenuto per alcuni aspetti insanabile. È alto il numero di abitanti abusivi occupanti appartamenti che, nella

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maggior parte dei casi, non erano ancora completati nella loro costruzione. Specie in alcune zone del quartiere, questo ha comportato la nascita di vere e proprie zone proibite al passaggio di estranei, e da cui parte ogni tipo di criminalità o di affare criminale. Librino oggi è uno dei quartieri con più alta densità demografica della città di Catania, l’aspetto più interessante che si evince dai dati ufficiali è rappresentato dall’alta percentuale di popolazione giovanile. Quasi un quinto della popolazione adolescente catanese vive nel quartiere, considerato frontiera, nonostante nell’immaginario collettivo questa quota sia considerata marginale e non si abbia la percezione e la coscienza che il futuro della città coincida proprio con il futuro di questi giovani. Il quartiere è composto da due tipologie di abitazioni e di popolazione: coloro che abitano le case popolari e gli abitanti delle cooperative. Questo fattore a Librino ha assunto una fisionomia negativa che non s’è affrontata ed ormai appare standardizzata. Si tratta di due mondi sociali e culturali, non solo lontani, ma in continuo conflitto e tra i quali s’esercita, da una parte, una vera e propria guerra di aggressione e, dall’altra, un’attitudine di difesa da barricata. Infine, i tentativi – reali o presunti – d’intervenire sul piano strutturale hanno prodotto sinora risultati insignificanti. Diverse opere – sportive o ricreative – miranti alla socializzazione sono state realizzate in occasione di eventi particolari (per esempio i campionati militari) e, di fatto, rimangono inutilizzate. Legata alla questione abitativa, un’altra situazione gravemente problematica del quartiere è quella dovuta alla particolarità della presenza mafiosa che vi si riscontra. Al di là delle manifestazioni mafiose diffuse anche in altre parti della Sicilia (e della stessa Catania) – organizzazione per famiglie, estorsioni, spaccio della droga, … – a Librino tale presenza ha assunto la forma di una sorta di dominio assoluto del territorio. In un certo senso, altrove il controllo del territorio da parte delle organizzazioni mafiose fonda e regge una specie di regolamentazione delle attività criminali, per cui, ad esempio, nessuno compirebbe atti delittuosi senza che gli siano stati affidati come incarico, o che gli siano stati almeno consentiti. A Librino, invece, pare che la mafia abbia voluto creare un vero e proprio stato di anarchia, come per rendere il quartiere, soprattutto nella zona delle case occupate e in alcune parti delle case popolari, una specie di zona franca, ove creare una centrale operativa e di smistamento di attività e commerci criminali (depositi di droga e di armi, presenza di latitanti …). Di questo fenomeno pare ci si accorga solo oggi, e neanche a Catania, ma a Napoli Scampia. Di fatto, chi conosce Librino (o quartieri di questo tipo anche in altre città) dal di dentro – perché ci abita o vi ha lavorato a lungo e senza remore – aveva chiaro da tempo il fenomeno della concentrazione delle centrali della criminalità nei quartieri di periferia, e le loro denunce, (ritenute esagerazioni politiche), avevano detto con anticipo ciò che oggi si sta sperimentando drammaticamente: qui la

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mafia ha il potere di contrastare persino le forze dell’ordine, tanto grande è l’importanza strategica del dominio di questo territorio. Il terzo ambito fortemente problematico che abbiamo esaminato è quello della condizione economica del quartiere. Abbiamo anzitutto notato che il tasso di disoccupazione degli abitanti di Librino è elevatissimo, anche rispetto al resto della città, ma anche che, tra gli occupati, coloro che lavorano in nero – e dunque che sono sottopagati e precari – sono un’alta percentuale. Insieme a questo fenomeno, abbiamo notato la inesistenza di attività produttive o di grandi imprese commerciali e la minima la presenza di piccoli commerci che, in altre zone della città, consentono comunque la sussistenza. Tuttavia, questo dato contrasta con la presenza di costose automobili e motociclette di grande potenza, come anche con l’arredamento di molte abitazioni. È evidente, dunque, che nel quartiere circola molto denaro, e che si tratta di denaro di provenienza illegale. Questo dato, però, non è accompagnato dal fenomeno, che si constata altrove, dell’investimento del denaro sporco in attività lecite. La situazione culturale del quartiere, nonostante presenti aspetti problematici, ha anche alcune caratteristiche positive che sono diventate dei veri e propri punti di forza. La diversa provenienza degli abitanti, la diversa composizione sociale, con le tensioni che abbiamo evidenziato, rendono incomunicanti dei mondi già culturalmente lontani, per i quali, persino il senso della vita, oltre che la scala dei valori, sembrano provenire da pianeti diversi. A fronte di questa situazione di fondo, non mancano iniziative culturali anche di alto profilo: ad opera di varie associazioni di volontariato e anche di privati, che, senza risparmio, vi profondono energie e realizzano iniziative significative. Inoltre, abbiamo segnalato la presenze delle istituzioni scolastiche che, dopo una fase iniziale altalenante, oggi vedono l’impegno di operatori fortemente motivati. Con queste presenze passiamo ora ad esaminare le risorse su cui il quartiere può contare e che possono costituire un fondamento serio per immaginare possibili prospettive di cambiamento. Abbiamo accennato alla presenza di diverse associazioni di volontariato che, in modi diversi, operano per il riscatto culturale e sociale di Librino. Sono molte le associazioni che operano in diversi campi: da quelle che creano occasioni di socializzazione, a quelle che fanno sostegno scolastico, o animazione di strada, o che cercano di rispondere a varie forme di disagio sociale (al servizio della famiglia, dei bisogni dei poveri, dei giovani devianti o a rischio…). Si nota che sinora si tratta di presenze senza alcun collegamento tra loro e che difficilmente pensano in termini di coordinamento degli obiettivi e delle iniziative da realizzare. Tuttavia non si può non riconoscere che la loro presenza ha saputo, in vario modo, suscitare il coinvolgimento di numerosi abitanti del luogo. In particolare va segnalata l’opera di volontari che lavorano con donne adulte del quartiere: la loro azione, infatti,

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agisce su quella parte della popolazione che più d’ogni altra porta su di sé i pesi delle situazioni di disagio. Accanto all’opera del volontariato, va segnalata la presenza e l’azione di Fiumara d’Arte, che costituisce un tentativo di risposta alle problematiche del quartiere non solo in termini di contrasto, ma anche di promozione costruendo una prospettiva alta di cultura, coinvolgendo artisti e poeti – anche di livello internazionale – che offrano strumenti e possibilità di produrre cultura esportabile con gli abitanti del quartiere. In questo ambito, abbiamo ricordato le iniziative che nascono grazie alle varie presenze religiose nel quartiere: parrocchie, comunità di religiosi/e, chiese cristiane non cattoliche pur sottolineando l’assenza di qualsiasi collegamento o coordinamento tra le varie presenze e iniziative. È senz’altro una risorsa positiva del quartiere la presenza di numerosi operatori scolastici che non si limitano a svolgere il loro ruolo istituzionale, ma offrono diversi tentativi di coinvolgimento delle famiglie dei bambini e ragazzi che frequentano, così come la presenza di tanti volontari. Dinanzi a questo quadro, ci sembra di poter concludere anzitutto riconoscendo che vi sono situazioni nel quartiere ormai incancrenite: sia a causa del loro prolungarsi nel tempo, sia perché chi le provoca e gestisce ha un potere forte. Per determinare un reale cambiamento risulta necessario un lavoro continuativo e realizzato in vista di obiettivi a lungo termine. Per questo, è auspicabile che tutte le forme istituzionali dello stato presenti (non solo quindi quelle locali, provinciali o regionali) prendano coscienza della necessità d’intervenire attivamente per investire in termini culturali tutte le risorse necessarie: economiche, di personale, di sostegno del volontariato locale. Dal punto di vista economico, lo sforzo più urgente appare quello mirante alla creazione di attività produttive e imprenditoriali, che affrontino il problema del lavoro. E’, quindi, necessario lavorare sulla comunicazione per incentivare l’incontro ed il dialogo tra le diverse componenti sociali del quartiere e per favorire la socialità attraverso il sorgere di spazi d’incontro informali, come piazze attrezzate o eventualmente legati ad attività economiche (bar, negozi…). Al contempo appare urgente ovviare alla mancanza di capitale sociale realizzando contesti favorevoli e promuovendo iniziative che sollecitino il dialogo e la fiducia anche tra i diversi livelli culturali presenti. A tal fine occorre che tutte le forze operanti nel quartiere costruiscano una rete di cooperazione in modo che presenze, progetti, percorsi e iniziative convergano verso obiettivi di capillare promozione culturale e sociale degli abitanti; e in particolare dei giovani e degli adulti. Riteniamo che questa è l’unica via per pensare un cambiamento necessario. Il territorio con le sue problematiche e risorse chiede di essere affrontato non in ter-

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mini di promesse, ma di ricerca di risposte serie ad una situazione che ormai ha i caratteri dell’urgenza. Non si tratta solo della questione sicurezza, ma della possibilità di riaffermare ancora il valore della dignità umana, senza il quale, nessun parziale cambiamento avrà senso.

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134 Le mappe incluse nel presente report sono state prese dal sito www.sit.comune.catania.gov.it e quindi parzialmente modificate dall’autrice.

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Mappa 1 LIBRINO NORD

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Mappa 1 LIBRINO SUD

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Mappe di Librino

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