Ai sogni. Ai luoghi che hanno ispirato questa storia. A Gabriele, Elisabetta, Chiara e Arminto, se mai siano esistiti davvero. Ma, soprattutto, a loro. Sempre, comunque, dovunque‌ Fuoco e Aria.
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Giulia Nicora
LA STORIA DI FUOCO & ARIA Pietro Macchione Editore
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Copertina di Valentina Conte PIETRO MACCHIONE EDITORE
Via Salvo d’Acquisto, 2 - 21100 Varese (VA) Cell. 3385337641 e-mail: macchione.pietro@alice.it Sito: www.macchionepietroeditore.it ISBN 978-88-6570-........................................
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Questa storia non ha un titolo. Strano, vero? E dire che il titolo è la parte più importante, in un libro, è quell’elemento che deve attirare l’attenzione, va scelto con cura… Eppure, scegliere un titolo è un passaggio obbligato? Cioè, senza titolo non esiste la storia? No, io non credo. Questa storia non ha un titolo perché a me piace pensarla così, come la storia di Fuoco e Aria, due elementi naturali ma anche due persone che, in questo racconto, ci hanno messo il cuore, i sogni, la fantasia, che si ritrovano nelle parole dei personaggi. Fuoco e Aria, Aria e Fuoco, due strani individui che si sono conosciuti per caso, o per Destino, chi lo sa?, che hanno unito le loro forze e si sono scoperti in grado di affrontare tutto, insieme. Anche controllare la natura. La storia di Fuoco e Aria non può avere un titolo, non adesso, perché non è finita, non lo sarà mai.
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All’inizio, pensavo fosse un sogno… un sogno fantastico dal quale non mi volevo svegliare, che mi teneva ancora imprigionato a lui, che non mi voleva lasciare andare… Poi mi resi conto che non stavo sognando. Tutto quello che stavo vivendo era realtà. E credetemi, non c’è mai stata realtà più bella di qualsiasi sogno.
1 UNO STRANO POMERIGGIO Tutto cominciò un noioso pomeriggio di fine settembre. Avevo deciso di concedermi una breve pausa dallo studio che, in quei giorni, stava occupando ogni mio pensiero. “Basta”, pensai dopo ore ed ore trascorse sui libri, “devo uscire da questa stanza. Un altro minuto qua dentro e rischio di impazzire”. Non che non mi piacesse l’argomento, anzi, la progettazione, l’organizzazione, degli eventi come della vita hanno sempre avuto per me un fascino particolare, l’idea di poter avere il controllo del tempo, pensare di avere un potere tale mi ha sempre dato un’energia inimmaginabile. Alcune persone vivono alla giornata, si abbandonano a quella forza misteriosa che è il destino, io no; io devo sapere con esattezza quello che mi aspetta, quello che deve accadere, dove mi porterà la mia corsa, e sì, certo, so che il rischio mi aspetta comunque dietro l’angolo, che, prima o poi, posso inciampare e cadere… ma l’importante è sapersi rialzare e continuare il proprio cammino. Quello che mi accadde quel giorno, però, non l’avevo previsto. E come avrei potuto? Volevo semplicemente andare ad un bar a rigenerarmi con un buon caffè, ma la mia attenzione fu attratta da un piccolo parco poco lontano da casa mia. “Strano”, mi dissi, “vivo qui da più di un anno e non mi sono mai accorto che ci fosse… ma non è di certo spuntato per magia, no?”. Risi da solo per la mia battuta, e incuriosito, mi diressi verso quei sentieri alberati che, ero sicuro, mi avrebbero regalato un po’ di sollievo, in una giornata così
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calda come quella; prima di entrare, mi fermai un istante al cancello vedevo, in lontananza, una fontanella, e pensai che un sorso d’acqua poteva rigenerarmi... e poi, avvertivo inspiegabilmente il bisogno di sentire l’acqua fresca sulle mani. Mentre camminavo, avevo la curiosa sensazione di trovarmi in un sogno, l’aria attorno a me era rarefatta, ferma, i contorni degli alberi, delle foglie indefiniti, i colori confusi, non mi sembrava nemmeno di poggiare i piedi a terra, ma su una superficie ovattata. “Strano”, pensai per la seconda volta in pochi minuti, “non capisco cosa mi stia succedendo… di solito, il caldo non mi fa questo effetto, speriamo che non mi stia ammalando”. Non riuscivo a trovare una spiegazione per quella situazione, trovavo tutto non solo assurdo, ero infastidito, arrabbiato, quasi, per quello stato, volevo, dovevo trovare un motivo, una ragione, ma qualcosa me lo impediva, uno strano torpore mi stava sopraffacendo, sentivo che dovevo proseguire nel mio cammino, anche se non era la mia mente a volerlo, anche se le mie gambe non rispondevano più alla mia volontà, ma, semplicemente, c’era qualcosa che mi spingeva, una forza ignota era il mio motore. All’improvviso, inspiegabilmente, riuscii a ritrovare un po’ di lucidità e, istintivamente, prima di tornare di nuovo in quello stato di incoscienza dal quale ero appena uscito, decisi di tornare indietro, iniziavo a preoccuparmi, “non mi starà venendo davvero la febbre… come se non fossi già abbastanza in ritardo con lo studio…”; in realtà, sapevo che lo studio era solo una scusa, volevo solo andare via da quel posto, c’era qualcosa che non mi convinceva, in quel luogo, anzi, quasi mi spaventava. Mi voltai, per ripercorrere il vialetto fino all’ingresso, ero quasi arrivato a metà strada verso il cancello, quando si alzò un vento fortissimo, dandomi un non troppo piacevole brivido, ed un colpo d’aria mi spinse indietro. “Sembra quasi che questo giardino non voglia farmi uscire… Com’è possibile che un secondo prima tutto è calmo, fin troppo calmo, e, appena decido di andare a casa, ecco che si alza il vento, gli alberi si agitano, volano le foglie…? ”. Così, anche se continuavo a non capacitarmi di ciò che stava accadendo, mi arresi alla natura, mi abbandonai all’abbraccio dell’aria e mi lasciai condurre fino alla fontana.
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2 LA PIETRA BLU Mi avvicinai lentamente, vidi il mio riflesso in un’acqua così pura, pulita, limpida che sembrava uno specchio. Non feci in tempo a bagnarmi le mani che qualcosa mi distrasse: un luccichio. Mi chinai, accanto alla base della fontana c’era una piccola pietra, lucidissima, blu, scintillante, come se al suo interno ci fossero miliardi di microscopiche stelle. La sete, però, non mi dava tregua, nemmeno una pietra dai poteri magici avrebbe potuto distrarmi; finalmente, bevvi una lunga sorsata di quell’acqua sorprendentemente fresca, ma, nonostante tutto, non riuscii a godermi quella sensazione, la mia mente era, stranamente, ancora attratta da quella strana pietra. Quando finii di dissetarmi, non soddisfatto come mi sarei aspettato, la raccolsi e la osservai più attentamente. “Ma guarda che graziosa”, pensai, “potrebbe diventare il mio portafortuna, se a casa scoprirò che non sono malato”, giocherellandoci per un po’ – quando ho in mano un oggetto, non riesco a fare a meno di farlo - prima di infilarmela in tasca. e, quando alzai la testa, mi resi conto che qualcosa era cambiato: il vento era diventato brezza leggera, gli alberi, le foglie, la natura si era calmata, tutto era tornato alla normalità, riuscivo a sentire di nuovo i rumori della strada, vedevo anche il cancello dal quale ero entrato. “Strano, è vicinissimo, eppure a me prima è sembrato di camminare per chilometri… Vuoi vedere che sto davvero iniziando a soffrire il caldo? O forse è il troppo studio che mi dà alla testa…. A proposito… Chissà quanto tempo sono stato qui, ormai sarà quasi sera”. Irritato per aver perso tempo a girare per uno stupido giardino, per il caldo e per la situazione in cui mi ero trovato – dai, come avevo fatto a perdermi su un sentiero ed immaginarmi di essere entrato in una specie di mondo magico? “Cavoli, quanti anni ho, 10?” – percorsi frettolosamente e nervosamente i pochi metri che mi separavano dal cancello. Appena fuori, mi voltai per dare un’ultima occhiata a quel giardino così strano. “Eppure, da qui sembra così normale”… non era invece normale che fossero trascorsi solo cinque minuti da quando ero uscito di casa. “Ok, va bene, sto impazzendo. Ora me ne vado a casa, chiudo i libri, mi faccio una doccia e prima di cena
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cerco di dormire un po’”. Ero ancora perso nei miei pensieri, quando il cellulare squillò, facendomi sobbalzare – non ero ancora tornato del tutto alla realtà - «Buonasera, mamma», risposi trafelato, «No, non credo di sentirmi molto bene, penso di aver preso un colpo di sole… no.. mamma… mamma… non urlare, stai calma, non è successo niente, ora mi metto a letto e mi riposo un po’… sì, se non mi passa prendo qualcosa… però tu stai tranquilla, va bene? Sì, dopo ti chiamo… Ciao, eh, ciao!» “Aaah, una bella dormita ci voleva proprio, ora mi sento molto meglio. Bene, prepariamo la cena, e speriamo che non ci siamo discussioni… stasera non avrei la forza di sopportarlo”. Invece, mi trovai a mangiare da solo, i miei coinquilini erano tutti fuori ed io non avevo voglia di raggiungerli. «Stasera no… Sono stravolto, non ho i superpoteri, ogni tanto ho bisogno anche io di riposarmi», avevo risposto seccamente al loro invito. Non volevo essere scortese, ma la mia mente non funzionava molto bene, non riuscivo più a pensare razionalmente, avevo ancora la testa a quel giardino ed all’atmosfera opprimente che mi aveva lasciato addosso uno strano torpore. Decisi di andare a dormire presto, quella sera. Di certo, la mattina dopo mi sarei sentito molto meglio.
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3 LA SCOPERTA E così fu. Mia mamma mi consigliò di prendere qualche vitamina, forse ero solo un po’ spossato, e, tempo qualche giorno, mi sentii di nuovo pieno di energie, non era mai stato così facile e veloce studiare, sembrava quasi che solo toccando le pagine dei libri apprendessi il loro contenuto, ogni parola si collocava automaticamente nella mia testa, mi ricordavo tutto. “Dovrei prenderle più spesso, queste vitamine… se continuo così, qui mi prendo la lode”. Ero contento di aver trovato la causa del mio malessere, quel giorno nel giardino, se qualche pillola mi aveva fatto sentire meglio era stato davvero un problema di salute; questo mi rendeva tranquillo, rilassato, affatto nervoso o preoccupato per l’esame imminente – come se non bastasse, anche il mio aspetto era notevolmente migliorato. È incredibile quello che riescono a fare due pilloline arancioni… Per festeggiare il buon esito dell’esame, i miei coinquilini decisero di organizzare un piccolo party a base di pizza e alcool; da tutto il pomeriggio, il cellulare continuava a squillare, tra chiamate e messaggi di parenti ed amici – ed amiche, soprattutto - che mi facevano i complimenti. Ero così soddisfatto ed entusiasta che, dopo qualche bicchiere di troppo, iniziai a lanciare in aria le bottiglie vuote e prenderle al volo. «Avete visto che bravo? Ed ora attenzione…», volevo spingermi oltre, dimostrare la mia abilità aumentando il numero di bottiglie, ma ad un tratto una sfuggì dalla mia presa e, per non lasciarla cadere a terra, allungai la mano, persi l’equilibrio, caddi dalla sedia e picchia le testa contro la gamba del tavolo. Subito, tutti si agitarono, mi aiutarono ad alzarmi. «Ti sei fatto male? Va tutto bene? Sei ferito?» «No, ragazzi, tranquilli, non ho sentito niente. Vedete, non ho nemmeno un graffio. Lo sapete che io sono una roccia». Quando lo spavento fu passato, decidemmo che, forse, era arrivato il momento di mettere in ordine la cucina e concederci qualche minuto di pausa dall’alcool, giusto per far riposare il nostro fegato ed evitare altre acrobazie potenzialmente fatali. Andai in bagno a sciacquarmi il viso, mi sentivo la pelle in fiamme; davanti allo specchio, studiai il punto in cui mi ero
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scontrato con il tavolo “Strano… è stata una bella botta, com’è possibile che io abbia picchiato contro il legno e non abbia sentito niente, nemmeno un piccolo doloretto?”. Con attenzione, tastai tutta la testa, ma non avvertivo nulla, se non la cute stranamente più spessa del solito. “Dovrebbe diventare la mia testa un pezzo di legno, così almeno potrei cadere quanto voglio senza farmi male… Ho decisamente bevuto abbastanza, per stasera”. Mentre mi immaginavo trasformato in una specie di Pinocchio adulto, con la mia faccia di legno ed il naso pieno di foglie, mi resi conto che, nonostante l’acqua stesse scorrendo, io non la avvertivo sulla pelle. “Ma cosa…?!?”, semplicemente l’acqua passava attraverso le mie mani, anzi, ne veniva assorbita, toccai le dita ed erano inconsistenti, come l’acqua. Spaventato, chiusi con il gomito il rubinetto. Le dita avevano improvvisamente, magicamente riacquistato il loro stato originale, erano nuovamente fatte di ossa e carne. “Ok, sto ufficialmente impazzendo. Ma quanto alcool ho bevuto? O mi sto ammalando ancora?”. Poi, avvertii un calore provenire dai miei jeans: era la pietra blu che avevo raccolto nel parco e che avevo dimenticato in tasca. Era diventata bollente, ancora più luminosa di quanto mi ricordassi, sembrava una piccola stella in esplosione, iniziò anche a tremare. Il lampo di vita che l’aveva animata si spense dopo qualche secondo, tornò fredda, ferma. Non riuscivo a capacitarmi di quello che avevo visto, e, ne ero certo, non stavo male o ero ubriaco, anzi, non ero mai stato così lucido. Trascorsi la notte a fare ricerche in Internet, avevo assistito ad un fenomeno non dico miracoloso ma di sicuro fuori dall’ordinario... ma le mie ricerche furono a vuoto, non trovai nulla che potesse essermi utile, sembrava che quella pietra, con tutti gli effetti che provocava, non esistesse.
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4 NUOVI POTERI Per giorni cercai una spiegazione, non potevo non capire, dovevo trovare un senso a tutto questo, anche se apparentemente stava accadendo qualcosa che andava contro ogni logica, ogni previsione, ogni schema. La pietra era lì, immobile, mi affascinava ma anche mi intimoriva, era un oggetto per me ignoto e non volevo fare nulla di pericoloso. Non so se i miei coinquilini si accorsero mai del mio stato d’animo, con gli anni ho imparato ad indossare una maschera, a sorridere anche se, dentro, sono disperato, a fare battute che celano amarezza ed insofferenza, a non fidarmi, mai, di nessuno, sarei troppo vulnerabile, altrimenti, e non posso, non devo esserlo, perché se ti mostri fragile gli altri non stanno più attenti per paura di spezzarti, anzi, vedono che tu sei una persona come le altre, e ti trattano di conseguenza, si prendono gioco di te. No. Meglio essere rispettati e non essere se stessi che essere se stessi e soffrire. Anche in quei giorni, soprattutto in quei giorni, mi nascosi dietro una parete di fittizia spensieratezza, non volevo mostrare la preoccupazione che mi accompagnava costantemente in università, in biblioteca, in piscina, al supermercato. Non smettevo mai di pensare, pensavo, pensavo, pensavo, dovevo, in qualche modo, capire, e non riuscirci mi stava facendo impazzire… oltretutto, mi stavo sempre più rendendo conto del fatto che, ogni volta che toccavo legno, acqua o altri elementi della natura, la parte del corpo che ne era entrata in contatto diventava anch’essa di legno, acqua, o altro. Devo ammettere che, dopo i primi momenti di preoccupazione e perplessità, iniziavo a provarci gusto, mi incuriosiva questa nuova capacità che derivava, evidentemente, dalla pietra. Nonostante non volessi confidarmi con gli altri, diventai sempre più consapevole del fatto che, se proprio non potevo trovare una spiegazione logica a ciò che aveva originato quella situazione, potevo almeno capire il limite fino al quale ero in grado di spingermi e cosa fossi esattamente in grado di fare; una strana energia si stava impadronendo di me, per quanto cercassi di controllarmi, ogni volta che avevo la pietra tra le mani avvertivo un brivido, istintivamente il mio corpo reagiva, sapeva già cosa fare. Così, nei rari momenti in cui ero solo a casa,
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cominciai a fare esperimenti, a provare i miei nuovi “poteri”, come, ormai, li consideravo, e ne compresi sempre più il meccanismo: semplicemente, il mio corpo poteva toccare i vari elementi naturali, assimilarne le caratteristiche, farle sue e gestirle, e più provavo, più sentivo di migliorare e più mi piaceva possedere quelle nuove abilità; se avvicinavo una mano ad un accendino, subito la pelle assorbiva la fiamma, diventava fuoco e le dita generavano fiammelle, se mi toccavo una pianta dai miei polsi nascevano liane. Non riuscivo, però, a resistere a lungo, dopo qualche minuto tutto tornava alla normalità. “È solo questione di allenamento”, pensavo, continuando ad esercitarmi di nascosto: mi divertivo a giocare con l’acqua, sotto la doccia, a far volare i tovaglioli, quando entrava un soffio d’aria dalla finestra. Mi ricordo che, un giorno di pioggia, stavo camminando per la città, quando agitai involontariamente la mano in direzione di una pozzanghera, l’acqua iniziò a vorticare, orientai il getto verso una piazza e, come per magia, vidi il livello dell’acqua salire sempre di più… fortunatamente, riuscii a fermarmi prima che l’intera città venisse allagata!
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5 LE PRIME INSICUREZZE Per quanto fossi soddisfatto dei progressi che, ogni giorno, notavo, non lo ero ancora del tutto, ero consapevole del fatto che quello che stavo facendo avrebbe potuto essere pericoloso; quante volte l’entusiasmo sfrenato si alternava al timore di poter far del male a chiunque mi fosse accanto durante un temporale, o anche solo mentre cucinavo, all’irascibilità che dimostravo nei confronti degli altri, proprio perché avevo paura di metterli in pericolo. Non era giusto che qualcuno pagasse le conseguenze della mia inesperienza, non sapevo ancora controllare le mie abilità e non volevo, inavvertitamente, ustionare qualcuno, o peggio. No, dovevo stare molto attento, ma questo mi rendeva ancora più intrattabile… da una parte, avevo un potere straordinario che volevo, dovevo imparare a controllare, dall’altra praticarlo avrebbe potuto comportare tante spiacevoli conseguenze. Non sapevo cosa fare, non sapevo se lasciar perdere i miei nuovi poteri e sforzarmi di vivere in modo normale oppure non preoccuparmi degli altri e continuare a mettermi alla prova. Sono sempre stato un ragazzo molto sicuro di sé e delle sue scelte, quella situazione di incertezza, di instabilità, di insicurezza, per me era del tutto nuova, inaspettata e mi lasciava perplesso, a fine giornata ero sempre stanco e nervoso, per non aver potuto esercitarmi o per aver rischiato che qualcuno mi vedesse. Se fino a qualche settimana prima ero stato mosso dall’idea della novità, da quel brivido, quella sensazione inebriante, delirante, quasi, che si prova quando si assapora un nuovo gusto, si annusa un nuovo profumo, si intraprende qualcosa di nuovo, ad un tratto quello stimolo non c’era più, non avevo più voglia di fare esperimenti, di mettermi alla prova, e quello stato peggiorava continuamente. La pietra stava sopra la mia scrivania, ogni giorno la guardavo, prima di andare a lezione, e mi chiedevo cosa sarebbe successo se mi avesse accompagnato in università, e cosa avrei potuto evitare lasciandola a casa… alla fine, erano rare le volte in cui la infilavo in tasca e la portavo come durante la giornata. Con il trascorrere dei giorni, iniziai ad avvertire meno quel legame che avevo da subito percepito con la pietra, quel filo che mi aveva condotto da lei, nel parco… stavo perdendo fiducia nelle
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mie capacità, in ciò che era accaduto, non credevo più che la situazione potesse migliorare, anche se avessi continuato ad esercitarmi. Ero svogliato, mi era anche passata la voglia di studiare, di solito l’idea dell’esame, della sfida, della pressione, era un motore eccezionale, mi caricava… avrei dovuto preparare un altro esame, ma, in quel momento, le pagine che dovevo leggere mi sembravano infinite, non le capivo, nonostante gli aiuti dei miei compagni. Tutto era diventato un ostacolo insormontabile, anche la proposta di mia mamma di tornare a casa per qualche giorno non mi era dispiaciuta, avrei avuto modo di riflettere anche sulla possibilità di fermarmi per un po’ e rimandare gli esami. «Non so se ridere o darti una sberla» mi disse, un pomeriggio, Elisabetta, la mia migliore amica, l’unica a cui avevo raccontato il mio malessere. «Sei impazzito? Non è proprio da te arrenderti. Dai, insomma, sei riuscito a preparare esami impossibili in pochissimo tempo, a lavorare, ad andare a dormire alle 4 e svegliarti alle 9 per studiare… Questo sei tu. La persona più piena di energia che io conosca, che non si ferma mai, che riesce a fare mille cose insieme. Tu non molli, mai. Non farlo adesso, solo perché stai attraversando un periodo un po’… così. Se vuoi tornare a casa per riposarti, fai bene, ma non lasciare tutto, non ne vale la pena. Ti ho conosciuto in movimento, non sono ancora pronta a vederti fermare». «Cosa devo fare?» sussurrai. «Non posso dirti io come vivere la tua vita. Devi scegliere. E devi farlo così, istintivamente, perché solo il cuore, e non la testa, ti potrà indicare ciò per cui vale davvero la pena rischiare. Corri il rischio, anche a costo di farti male, ma fallo, perché se lo fai, e poi sbagli, almeno ci hai provato. Se non ci provi, se ti fermi solo per paura di quello che puoi trovare dopo l’ennesima curva, lo rimpiangerai per sempre». Fu difficile, molto, ascoltare quelle parole così dure, eppure così vere. Per un attimo, mi arrabbiai, mi aspettavo che reagisse diversamente, o forse che mi dicesse cosa fare, perché io non lo sapevo. Stavo naufragando nel mio mare di incertezze ed avevo bisogno di un’ancora di salvezza. Ringraziai Eli, in quel momento avevo solo bisogno di riflettere, da solo. Avevo perduto la mia bussola, ma dovevo riuscire a ritrovare la giusta rotta e tornare a terra.
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6 GABRIELE È TORNATO… LA PAURA ANCHE Le parole di quel pomeriggio mi accompagnarono durante la mia breve visita a casa, da quando salii sull’aereo, pronto per partire, a quando chiamai un taxi, al rientro, un po’ meno pronto a tornare alla mia vita quotidiana. Non avevo mai smesso di pensare alle scelte, alle rinunce, ai sacrifici che avevo fatto per arrivare fino a dove ero arrivato, guardandomi indietro mi resi conto che non potevo arrendermi così. Aveva ragione lei, non ero ancora pronto a fermarmi. Dovevo solo riacquistare fiducia in me stesso. Non potevo permettere che una caduta frenasse per sempre la mia corsa. La mattina successiva al mio ritorno, mi svegliai con un’energia che non mi sentivo addosso da tempo, che non ricordavo più di avere. Davanti allo specchio del bagno, fissai a lungo il mio riflesso, la persona che avevo di fronte non era la stessa che avevo lasciato, la sua espressione era decisa, sicura, pronta a ricominciare. I libri che avevo abbandonato per pochi giorni ora non mi facevano più paura, sapevo di essere in grado di affrontare ogni ostacolo, le mie scelte mi avevano condotto a quel punto e non potevo non proseguire il mio cammino, ero lì, in quella città, per un motivo e dovevo fare di tutto per raggiungere la mia meta. “Bene”, pensai, preparandomi per andare in università “Signore e signori, tremate… Sono tornato”. Ero, ormai, tornato da una settimana, la mia vita aveva ripreso un ritmo regolare, università, studio, piscina, palestra, aperitivi a qualsiasi ora… eppure, mi mancava qualcosa. Non ero contento, non ero soddisfatto, sentivo come se mancasse una parte di me. Inutile negarlo, mi mancavano i miei poteri, non avevo ancora il coraggio di riprovare ad esercitarmi con la pietra. Tra me e me, cercavo di giustificarmi, “Troppe lezioni e troppo poco tempo”, ma non c’è nulla di più deprimente che mentire a se stessi… sapevo perfettamente cosa stava accadendo e non riuscivo ad ammetterlo: c’era ancora un ostacolo, l’ultimo, da superare, ed era quello, l’unico, che mi faceva davvero paura, dovevo solo trovare il coraggio di ricominciare. Vedere la pietra sulla mia scrivania diventava ogni giorno più faticoso, una mattina provai a
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metterla in un cassetto, ma me ne vergognai, non potevo essere così codardo, insomma, era soltanto un sassolino colorato…. Un piccolo, innocuo sassolino che mi dava il potere di accendere un falò gigante e fare una bella grigliata. Non potevo continuare così, andando a letto ogni sera pensando a tutto quello che sarei stato in grado di fare con la pietra e svegliandomi ogni mattina con il timore di aver fatto davvero ciò che avevo immaginato. A volte, la prendevo in mano, la osservavo attentamente, mi sembrava addirittura più opaca rispetto a quando l’avevo trovata, aveva perso, come me, la sua lucentezza, non riusciva più a brillare come prima, vederla in quello stato mi intristiva, ma non osavo metterla, e mettermi alla prova, per la prima volta nella mia vita compresi cosa voleva dire non correre il rischio, e quella sensazione non mi piaceva. Avevo tra le mani una piccola fiamma che stava diventando sempre più lieve; non volevo che si spegnesse, ed io con lei, ma, ormai, sentivo che era inevitabile. Cercavo di distrarmi in ogni modo, di non fermarmi a riflettere sul brivido che avevo provato sentendo il potere nelle mie mani, l’adrenalina che mi scorreva nelle vene ogni volta che vedevo cosa ero in grado di fare, “Basta”, mi dicevo, “Basta pensarci, non puoi permetterti di correre un rischio, non questa volta”. La voce nella mia testa aveva ragione… a giocare con il fuoco troppo a lungo, ci si brucia. Nel mio caso, letteralmente. Dopo qualche tempo, mi ero illuso di esserci riuscito, non uscivo più di casa con il rimpianto di non avere con me la pietra, sentivo che tutto stava tornando al suo posto, per una volta ero riuscito a non mettermi davvero nei guai. Fino a quando, un giorno, non ricevetti una visita.
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7 LA VISITA Era la fine della giornata di un venerdì di una settimana a dir poco stressante: tra lezioni, studio intenso e poco tempo per rilassarmi, non c’era da stupirsi che mi trovassi alle cinque del pomeriggio sul letto, senza nemmeno la forza di muovermi, non ero nemmeno riuscito a raccogliere le energie per farmi un caffè. Ero in casa da solo, e, quando qualcuno suonò il campanello, mi svegliai improvvisamente, agitato “Mi sono addormentato”, mi resi conto “ed anche per un bel po’“. Driiiiin, sentii ancora e, per un attimo, pensai di non andare a vedere chi fosse, di lasciarlo fuori dalla porta e tornare a dormire, accidenti a lui che mi aveva svegliato. Driiiiin, ancora, ancora e ancora. Alla fine, l’educazione – e la preoccupazione che i vicini chiamassero la polizia, se non avessi aperto la porta – prevalse: aprii la porta. Davanti a me, un signore anziano, una lunga barba bianca, con un abito d’altri tempi; senza offesa, sembrava uno di quegli stregoni dei cartoni animati, gli mancava solo il cappello a punta. «Buonasera… Guardi, non ho bisogno di niente, mi scusi». Ma, mentre chiudevo la porta, lui mi bloccò «Invece credo proprio di sì, giovanotto. Hai bisogno di aiuto». «Senta, la ringrazio, ma davvero non ho bisogno di nulla, neanche di aiuto, una pacca sulla spalla o altro. Al massimo, ho bisogno di dormire. Ora mi scusi». «Tu hai bisogno di aiuto. So che anche tu ne hai una». «Adesso mi sto stancando davvero. Ne ho una di che? Di donna? Di sigarette? Di pagine da studiare? Perché allora no, ne ho decisamente più d’una. Arrivederci». «Non fare lo spavaldo con me, ragazzo. So che tu hai una pietra». Mi fermai. «Una… che? Una pietra, dice?» «Sì». Chi era quello? Cosa voleva da me? Come faceva a sapere? Ero confuso, mi sembrava che tutta la preoccupazione che avevo tenuto nascosta fosse tornata, sentivo un calore che iniziava a crescere, ad invadere il mio corpo, le mani tremavano. «Mmmm no, non so di cosa..» «Non mentire. So che ce l’hai, te lo leggo in faccia. Ora fammi
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entrare, è tutto il giorno che aspetto di trovarti da solo. Fammi entrare e metterò fine a tutte le tue paure». Queste parole mi fecero calmare, i brividi si attenuarono, mi sentivo anestetizzato. Mi feci da parte. Non sapevo cosa pensare, ma, per qualche assurdo motivo, ero sicuro di quello che stavo facendo. Il suo tono era severo, ma, appenai lo guardai negli occhi, vidi la comprensione, il dolore, la dolcezza, le fatiche di una vita intera. «Posso offrirle qualcosa?» «No grazie. Non voglio rischiare che arrivino i tuoi amici». «Non si preoccupi, non rientreranno prima di un paio d’ore». «Bene. Allora possiamo iniziare».
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8 IL RACCONTO «Tanto per cominciare, mi presento: mi chiamo Arminto, sono nato nella Firenze del 1260…» Scoppiai a ridere. «Ahahaha mi sta prendendo in giro, vero? Ottimo scherzo, comunque, pensi che stavo anche per crederci». «Non è uno scherzo. Cosa vuoi, che te lo dimostri?» «Ma guardi, se non le dispiace…» «Molto bene. Chiudi gli occhi». «Perché?» «Tu chiudili e stai zitto». Lo ammetto, quel tipo non mi ispirava troppa fiducia, ma feci quello che mi chiese. Avvertii le sue mani sulle mie tempie e, un secondo dopo, nella mia mente vidi scorrere immagini che avevo trovato solo nei libri di storia… guerre, malattie, e… quello chi era, Luigi XIV? «Cos’è stato?», chiesi, alla fine di quella carrellata di immagini. «I miei ricordi. Ti ho fatto visitare la mia mente, hai potuto guardare tutto ciò che i miei occhi hanno visto in molti secoli». «No, no, un attimo… Quanti anni ha?» «754». Mi dovetti sedere. «7… 754?» «Precisamente». Nella mia testa, iniziarono a vorticare numeri, date, la storia intera, e non bastava ancora. Certo, era anziano, non pensavo fosse antico. «Mi scusi ma come ha fatto? Beve qualche pozione, assume qualche medicina, mangia in modo particolarmente sano?» «No. Non sono un personaggio dei cartoni animati, di qualche mondo magico, o altro. Se smetti di fare domande, ti spiegherò tutto». «Sì, scusi». «Allora, come dicevo, 1260… ricordo ancora alcuni momenti della mia infanzia, quando inseguivo il piccolo Dante per le strade». «Dante?» «Sì, Dante Alighieri… e chi, sennò?» «Ok, un secondo. Cioè, io sto ospitando nel mio salotto uno che ha conosciuto Dante Alighieri?»
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«Sì, perché? Sembri pensieroso… so che sono tante informazioni, è normale che tu ti senta frastornato, ma..» «No, stavo solo immaginando la reazione di una mia amica, se la incontrasse… credo che ci scriverebbe un romanzo, sulla sua storia... Scusi, prosegua». «Grazie. Come hai potuto vedere tu stesso, ho vissuto a lungo e, anche se non tutti i miei ricordi sono precisi, non ce n’è uno che non sia impresso nella mia mente. Ho visto cose che tu hai letto solo sui libri, ho visto Michelangelo dipingere la Cappella Sistina, assistito alle battaglie di Napoleone, conosciuto Mozart, danzato con bellissime dame durante le feste barocche, ho compreso i segreti della prospettiva insieme a grandi architetti del Rinascimento, e, se non fosse stato per un mio piccolo aiuto, forse i bambini di oggi non potrebbero vedere i cartoni animati di Walt Disney. Cominci a capire?» «Sì, in pratica lei ha visto di tutto. Ma ancora mi chiedo come abbia fatto?» Sorrise. Si alzò, infilò una mano in tasca e tirò fuori qualcosa. Mi mostrò una piccola pietra, come la mia, ma tutta bianca, così bianca che sembrava una nuvola. «Anche tu ne hai una così, vero?» «Sì, blu». «Vedi, ogni pietra ha un colore, una propria caratteristica, un proprio potere. Come avrai notato, non sei tu che la trovi, semplicemente sei destinato ad incontrarla. Dimmi, tu hai una ragazza, una donna, sei innamorato?» «Guardi, cambiamo argomento... » «Comunque, quando incontrerai questa persona, ti renderai conto che qualcosa ti ha portato lì, perché voi dovevate incontrarvi, era stato predetto. Tra di voi ci sarà un legame indissolubile. Così è per la pietra. La pietra che ti ha trovato diventa parte di te, se si è mostrata a te è perché tu sei predestinato, hai in te il dono». «Che dono?» «Il controllo». «Il controllo?» «Sì. Del tempo, dello spazio, della natura. Ogni pietra dà al suo possessore un potere particolare. La mia, come avrai capito, mi permette di dominare il tempo, mi ha concesso di vivere per tanti, tanti anni, interi secoli sono trascorsi davanti ai miei occhi, quante volte sono stato tentato di buttarla, dimenticarmene, non
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potevo più sopportare il fatto di non potermi affezionare a qualcuno, perché, comunque, nessuno sarebbe riuscito a starmi accanto. Ma non potevo. Te ne sei accorto anche tu, presumo. Non puoi cancellare il legame che c’è con la pietra, una volta che è nato». «Sì, ma perché?» «Perché se sei stato scelto dalla pietra c’era un motivo, la pietra ha riconosciuto in te una somiglianza, avverte che in te c’è qualcosa di suo. Per questo non puoi liberartene, sarebbe come negare una parte di se stessi, e non si può, anche se magari fa paura. La nostra personalità ha tanti lati, non possiamo sceglierne solo uno, tutti ci rendono quello che siamo, e così è la pietra, uno di questi infiniti aspetti di cui non possiamo fare a meno». «È per questo che mi sento strano, in colpa, se non la porto con me?» «Esatto. Quando vai all’università, tutto il tuo essere viene con te, poi sei tu a scegliere quale lato di te mostrare. Tu hai tutte le carte in mano, giocherai solo con alcune, ma non puoi gettare via le altre, puoi solo metterle in tasca. Riesci a seguirmi?» «Credo di sì. Ma ancora non capisco come mai lei è venuto qui». «Per spiegarti cosa puoi fare con la tua pietra, come usarla e per invitarti a non perdere mai fiducia in lei, come stai facendo adesso. Perché hai smesso di crederci?» «Perché avevo paura di fare del male a qualcuno». «Questo è normale, accade a tutti, anche a me, quando ero appena stato scelto, ricordo che, all’inizio, la utilizzavo per impedire che le pergamene volassero via. Ma ti prometto che, se ascolterai in miei consigli, capirai il dono che ti è stato fatto, potrai fare davvero del bene. Puoi avere fiducia in me, questa è la mia missione, ho aiutato tanti giovani, prima di te, persi lungo un cammino che non sapevano dove portasse: io li ho trovati, ho insegnato loro l’arte del controllo e li ho avviati lungo la direzione giusta. Permettimi di aiutare anche te». «D’accordo. Quando iniziamo?» «Non avere fretta ragazzo, devo ancora spiegarti alcune cose: innanzitutto, come ti dicevo, non esistono solo queste due pietre, ma altre cinque, ognuna di un colore e con le proprie caratteristiche. Non è tuo compito trovare gli altri possessori, sarà la pietra, in caso d necessità, a condurti da loro, quando
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sarai vicino ad uno lo sentirai, percepirai una particolare affinità; potrete unire i vostri poteri, ma state molto attenti, hai visto tu stesso cosa può accadere se si perde il controllo, non vorrai di certo rischiare di trovarti dall’altra parte del mondo e scatenare una tempesta, vero?» «Mmmmm… direi di no». «Ecco, bravo. C’è una pietra in particolare alla quale devi prestare attenzione ed è l’unica dalla quale la tua non sarà attratta: la pietra nera». «Perché?» «Perché è la pietra del male. È la sola che consente, a chi la possiede, di controllare tutto, spazio, tempo, natura, è una concentrazione di potere e, come tale, è estremamente pericolosa, la persona scelta da lei ha già in sé un’anima cattiva e la pietra si nutre di questo, la malvagità la rende più forte. Capisci da solo che una pietra con un potere simile ed una persona con un carattere difficile rappresentano un pericolo notevole. Ma di questo ci occuperemo se e quando si presenterà l’occasione, presta solo molta attenzione se, all’improvviso, dovessi sentirti freddo, debilitato, triste… vorrà dire che la pietra nera è vicina e che il suo possessore è pronto a rubare i tuoi poteri. Ti tenterà, ma tu resisti, sei abbastanza forte per farlo». «Va bene, ma… come sono nate le pietre?» «Domanda molto interessante: nessuno lo sa, nessuno l’ha mai saputo, una leggenda racconta che, all’inizio, fossero semplici sassolini con cui un giovane mago, re della antica terra del Fuoco Ventoso, si dilettava. Nonostante egli cercasse di governare il più saggiamente possibile, egli si creò nemici, invidiosi della pace che caratterizzava le sue terre, e, un giorno, il suo regno iniziò a subire attacchi. Il re, prima di perdere tutto, decise di salvare almeno le sue abilità nascondendole in un oggetto comune, ma, poiché temeva che uno tra i suoi nemici avrebbe potuto trovare questo oggetto e, così, avere accesso a tutto il suo potere, preferì dividerlo in sei parti: il tempo, lo spazio, la natura, gli astri, la longevità ed i sentimenti. Purtroppo, il processo dovette avvenire in fretta, così lo stregone scelse come scrigni del suo potere quegli oggetti che lo avevano accompagnato durante la sua vita, ovvero i sei piccoli sassi colorati che aveva sempre con sé». «Ma le pietre sono sette, ha detto».
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«Esatto. Egli ne creò sei, ma un nemico capì il suo inganno e cercò di estrarre tutto il potere da ogni pietra per crearne una unica, la pietra nera. Non si rese conto, tuttavia, che lo stregone era stato molto abile ed egli era riuscito ad estrarre solo una piccola parte di tutto ciò che le pietre contenevano. Il re fu sconfitto, e, quando il suo regno cadde, tutto venne disperso, anche quei sassolini che, ormai, erano creduti vuoti, inutilizzabili. Da quel giorno, sei giovani vengono scelti dalle sei pietre raminghe, perse, alla ricerca soltanto di qualcuno che sia in grado di accoglierle nella propria vita, proprio come, allora, aveva fatto lo stregone. Tu sei uno di questi». «Ho ancora un dubbio». «Dimmi pure». «Lei ha detto che la pietra ha percepito la mia presenza, per questo si è illuminata ed ha catturato la mi attenzione. Ma come faceva ad essere precisamente nel punto in cui io sarei passato? Come poteva essere già lì?» «Bene, questa è una questione complessa ma cercherò di spiegartela: come vedrai tu stesso, se accetterai di seguire me ed i miei insegnamenti, io diventerò il tuo mentore e ti aiuterò ad affrontare un percorso di crescita tuo e dei tuoi poteri, come è successo a tutti coloro che possiedono o hanno posseduto le pietre, trovandole, come è accaduto a te, per volontà delle pietre stesse. Tuttavia, la pietra è un essere vivente, non è perfetto, non è raro che, anche dopo alcuni mesi, non riesca a stabilire un profondo legame di fiducia con il suo proprietario, avverte che l’empatia iniziale non esiste più: in quel caso, il mentore chiede al proprietario di restituirgli la pietra, o è il proprietario stesso che gliela rende. A quel punto, spetta al mentore il compito di cercare un nuovo proprietario per la pietra: si mette in viaggio, attraversa città, interi paesi, fino a quando la pietra, illuminandosi, gli fa capire che la ricerca è finita: quello è il luogo in cui, in un momento non ben definito, verrà trovata dal suo nuovo proprietario. Deve solo essere lasciata lì, dove attenderà, con pazienza, l’arrivo della persona a cui cambierà la vita. O, almeno, ci proverà. Ecco come hai fatto a trovarla: lei sapeva che tu, un giorno, saresti passato in quel punto, e l’avresti vista. Era destino, e lei l’ha sempre saputo. Ora sai tutto. Adesso devi solo rispondere a questa domanda: accetti di ascoltare i mie consigli,
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di eseguire tutti i compiti che ti assegnerò e di fidarti completamente di me?» Ancora non riuscivo a capacitarmi di quello che stava accadendo, sembrava assurdo che la pietra avesse scelto proprio me – ecco, stavo iniziando a parlare come quel vecchio matto -, mi concessi qualche istante per assimilare tutte le informazioni che avevo ricevuto, folli, troppo folli per essere accolte dalla mia mente, eppure non potevo negare la potenza del legame che avevo percepito da subito. Avvertivo lo sguardo penetrante del mio ospite, mi sentivo sotto pressione, ma, per la prima volta dopo tanto tempo, non era una situazione spiacevole, anzi, era tutto talmente strano che poteva anche essere vero. La parte razionale di me pensava “Cosa mi costa dare credito alle parole di quel signore seduto di fronte a me? Magari riesco a dare un senso a queste ultime settimane”… ma il mio istinto non ebbe bisogno di fermarsi a riflettere, mentre il cervello era rimasto indietro a valutare i pro e i contro, il mio cuore sapeva esattamente cosa fare. Non ci fu bisogno di tante parole, solo di un semplice «Sì». «Sono contento che tu abbia accettato. Capirai che non puoi allenarti qui, ti sarai reso conto che è troppo pericoloso. Ti aspetto domani a casa mia, sarà la pietra a guidarti, devi solo affidarti a lei». «Lo farò». «Bravo. A domani». Quando Arminto uscì dalla porta, avvertii un brivido. Andai in camera mia, dovevo sedermi. Le mille informazioni che avevo ricevuto stavano lottando per trovare il loro posto nella mia testa, eppure mi sentivo bene. Ero confuso, ma sapevo anche di aver imparato molto di più in quelle poche ore che nelle settimane precedenti, ero contento che ci fosse qualcuno con cui potevo parlare liberamente, che poteva comprendermi pienamente, che sapeva esattamente ciò che stavo passando. Forse era quello il motivo per cui il mio istinto aveva reagito, il mio cuore aveva capito prima di me quale fosse la strada da seguire. Ed era proprio quella che volevo cominciare a percorrere. “Domani”.
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9 CHE IL GIOCO ABBIA INIZIO «Sono lieto di vedere che sei riuscito a raggiungermi, significa che hai riacquistato fiducia in te stesso, nelle tue capacità e, soprattutto, in quelle della pietra». «Decisamente sì». Non stavo mentendo, quella mattina mi ero sentito diverso, per la prima volta dopo settimane avevo provato di nuovo il brivido dell’adrenalina, avevo preso in mano la pietra ed era diventata calda, più lucida, come quando l’avevo trovata, o lei aveva trovato me. Avevo capito che erano state sufficienti le parole di Arminto per eliminare il blocco che era dentro di me, avevo solo bisogno che qualcuno mi dimostrasse che non ero solo, in quell’avventura. Finalmente quel sassolino blu aveva riacquistato il suo splendore, era bello sentire ancora il suo calore, avvertire il suo potere nelle mie mani, mi stavo godendo quella sensazione quando, all’improvviso, la pietra aveva iniziato a tremare. Capii che mi stava dicendo qualcosa, forse era giunta l’ora di raggiungere Arminto; così, mi preparai velocemente, inforcai la mia bicicletta... «… e mi sono lasciato guidare, ho notato che, finché la pietra era calda, ero sulla strada giusta». «Esatto. Sai perché?» «No». «Questa è la prima lezione. La pietra è legata a te, alla tua anima, al tuo cuore, e proprio il tuo cuore voleva che tu giungessi qui, la pietra non ha fatto altro che mostrarti la strada. Ricorda che, finché seguirai il tuo cuore, il tuo istinto e non ti farai frenare dalla razionalità, allora la pietra ti risponderà. Il vero controllo deriva dalla nostra volontà, non dalla ragione, quella si può perdere, mentre ciò che vogliamo no, perché fa parte di noi, dipende dal nostro modo di essere. Tu avevi smesso di credere in te stesso, avevi perduto la tua volontà, per questo la pietra non ti rispondeva più». «Ok, ho capito». «Ottimo. Allora, possiamo iniziare. Prima di tutto, non preoccuparti se vedrai comparire sul tuo corpo alcune cicatrici, sono segni che la pietra ti lascia per provarti che i tuoi poteri esistono e sono stati usati nel modo giusto. Se queste cicatrici
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inizieranno a bruciare, allora stai facendo un uso sbagliato delle tue capacità». «A lei è mai successo?» «Sì, una volta. Vedi questo segno, dietro il collo? Tanti anni fa, ho tentato di regalare alcuni anni in più di vita ad una persona alla quale volevo bene, ma non è in nostro potere andare contro la natura, ricordalo. Possiamo intervenire, ma non mutare radicalmente il corso della vita, se qualcuno è in fin di vita non possiamo strapparlo al suo destino; io, a quel tempo, avevo appena preso coscienza del mio potere e credevo di essere capace di fare ciò che volevo. Ho dovuto sentire tutto il mio corpo in fiamme per capire che non era così e, fidati, non è una sensazione piacevole. Possiamo continuare?» «Sì, per favore». «Benissimo. Mostrami che cosa sai fare». «Cosa?» «Mostrami il tuo potere». Non mi aspettavo di essere messo subito alla prova, ma, di certo, non volevo tirarmi indietro. Ero intimidito, ma non temevo il suo giudizio, dovevo ancora imparare. Mi guardai intorno, ricordai quanto avevo immaginato dove potesse vivere Arminto – già pensavo ad una caverna, una grotta sotterranea, un castello – e mi ero ritrovato in una villa in mezzo alle colline, isolata da tutto e da tutti. Notai, in un angolo della stanza, un secchio pieno d’acqua; erano settimane che non ci provavo, avevo paura di fallire, di non essere più in grado di farlo, sentivo l’ansia crescere, «Non pensare», mi sussurrò e non pensai. Allungai la mano, toccai la superficie trasparente, invitante e subito avvertii un brivido, quel brivido che mi era mancato, le dita erano diventate insensibili, la magia stava facendo effetto, eccoli, i miei poteri, “quanto mi siete mancati”, ero appagato da quella sensazione, mi sentivo di nuovo forte, capace di tutto, per qualche istante assaporai ancora la dolcezza del potere. «I miei complimenti, ragazzo», la voce di Arminto mi riscosse dal torpore in cui ero caduto «non credevo avessi capacità già così sviluppate». «Cosa intende?» «Non te ne sei accorto?» «Mmmmm no… di che?»
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«Tutto il tuo corpo è diventato acqua. Non ti era mai successo?» «No, finora solo la parte che entrava in contatto con acqua o fuoco si trasformava, non tutto… Come ho fatto?» «Probabilmente il fatto di non esserti esercitato per tanto tempo ha messo i tuoi poteri in pausa, ora li hai risvegliati ed hanno manifestato tutta l’energia che era stata assopita. Come ti senti?» Come mi sentivo? Bene… potente, forte, pieno di energia e adrenalina. «Mi sento che ho solo voglia di cominciare». «Ottima risposta. Allora, come hai potuto vedere tu stesso, riesci ad assorbire le proprietà dei vari elementi che tocchi. Questo, però, è solo il primo livello di apprendimento: con il trascorrere del tempo, sarai in grado di trasformarti in quello che vuoi, aria, acqua, pietra senza entrare in contatto con qualcosa, solo attraverso la forza del pensiero. Potrai controllare la natura, utilizzare le tue capacità per risolvere problemi, aiutare le persone. Tutto chiaro?» «Sì, signore». «Per fare questo, ovviamente occorrono allenamento, forza di volontà e pazienza. So che questa non è una tua virtù, ma dovrai imparare ad aspettare, ad accontentarti di ogni progresso, anche se ti sembra minimo». «D’accordo». «Ottimo. Cominciamo». Trascorsi le due settimane seguenti a recarmi da Arminto ogni sera, mi allenavo per un paio d’ore, mi accorgevo che stavo diventando sempre più forte e riuscivo ad avere sempre più il controllo di me stesso, dei miei poteri, iniziavo anche a capire l’importanza di esercitare bene le mie nuove abilità. Arminto mi insegnò a far danzare l’acqua, ad incendiare una stanza e poi a domare il fuoco, trasformando le fiamme in foglie, a creare un turbine d’aria e farmi sollevare, appresi le proprietà dei fiori, le caratteristiche dei venti, imparai a leggere la mappa stellare, a diventare di pietra per resistere alle cadute, a rinfrescare le piante soffiando e creando una leggera brezza. Stavo cambiando, lo percepivo ogni giorno di più, quando giungeva l’ora di tornare a casa mi sembrava di essere appena arrivato, i minuti correvano veloci, la mia mente assorbiva informazioni e sul mio corpo
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iniziavano a comparire i primi segni. Erano impercettibili, ma c’erano. Mi sentivo bene, finalmente avevo ritrovato me stesso, il mio posto, la mia identità, solo lì, in quella casa potevo togliere la maschera di cordiale indifferenza che mi copriva il volto per tutto il giorno e tornare ad essere me. Ogni sera, aggiungevo un pezzo a quel puzzle immenso che era il potere che la pietra mi regalava, ormai non uscivo più senza di lei, non potevo credere che, fino a qualche settimana prima, non riuscivo nemmeno a prenderla in mano. «Grazie per avermi raccontato tutto, ti vedevo strano, avevo iniziato a preoccuparmi». «Figurati, Eli, grazie a te per avermi ascoltato. So che è tutto un po’ confuso, non me lo so spiegare bene nemmeno io, vuoi che ti faccia vedere cosa so fare?» «Certo». Mi accertai che nessuno stesse guardando, afferrai la bottiglietta d’acqua che avevo nello zaino, ne versai qualche goccia sulla mano e, subito, le mie dita divennero trasparenti. «Acci…» «Ci sono tante altre cose che posso fare e tante che devo ancora imparare. Comunque, per ora sono soddisfatto. Eli, so essere stato intrattabile, in questo periodo, mi dispiace». «Non ci pensare, ormai ti conosco, so che, se mi vuoi dire qualcosa di importante, aspetti il momento giusto, e di certo non me lo dici per telefono». «Già… che ne pensi?» «Penso che sia incredibile, tutto quanto. Posso vederla?» «Che, la pietra?» «Sì». «Eccola». «Wow». Eli afferrò la pietra delicatamente, la studiò per qualche secondo. «È bellissima, tieni. Mi raccomando, fanne buon uso». «Tranquilla… Vuoi sapere quale momento preferisco, durante gli allenamenti?» «Certo, quale?» «Quando Arminto mi racconta la sua storia, è affascinante ascoltarlo, vederlo raccontare ed emozionarsi come se stesse avvertendo davvero tutto ciò di cui mi parla. Sai, Eli, mi sto rendendo conto che, in fondo, il mio maestro non mi sta insegnato solo a controllare i poteri, ma anche cosa voglia dire vivere».
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10 QUALCOSA IN PIÙ «Sai», mi disse Arminto, una sera. «Ritengo che tu sia pronto». «A cosa?» «A fare qualcosa in più». «Che vuoi dire?» «Dunque, in queste settimane hai appreso come controllare gli elementi. È giunta l’ora che tu impari a diventare questi elementi». «Cioè, diventare d’acqua? Ma non è già successo?» «Sì, ma allora ti trasformasti perché eri entrato in contatto con l’acqua. No, io voglio portarti ad essere acqua solo pensandolo». Il mio cervello non riuscì a formulare alcuna parola, dal troppo stupore. «Mi stai dicendo che basterà pensare che voglio essere fuoco e lo sarò?» «Con il dovuto allenamento, sì». «E che stiamo aspettando?» Ero emozionato, non credevo possibile un cambiamento simile… mi immaginai diventare d’aria, avrei potuto andare in bicicletta in mezzo alla strada senza paura di essere investito! E poi… e poi se mi fossi trasformato in roccia in palestra avrei potuto sfidare chiunque! «Frena la fantasia, ragazzo, non ti insegno come diventare di fuoco perché tu possa far sentire caldo alle ragazze e costringerle a rimanere in magliette e canottiere…». – Idea grandiosa… perché non è venuta in mente a me? – «… Le capacità che intendo farti acquistare ti renderanno davvero in grado di fare del bene, ed è bene che tu sia preparato». «In che senso?» «Ho ricevuto stamattina una telefonata da un altro possessore di pietra, quella gialla, che controlla gli astri: mi ha raccontato di aver avvertito la presenza della pietra nera. Ti ricordi, ti avevo spiegato che quando il male si sta avvicinando, si provano emozioni precise?» «Certo». «È successo a questo ragazzo, e mi ha avvisato immediatamente. Per questo ho deciso di farti fare un piccolo passo in avanti».
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«Quindi, non è perché sono bravo?» «Tu sei bravo, hai fatto progressi straordinari in pochissimo tempo, stavo solo aspettando il momento giusto. Fidati, non ti avrei proposto nulla se non avessi la certezza che tu sei in grado di farcela». «D’accordo». «Perfetto. Allora iniziamo. Che cosa vorresti essere?» Non poteva esserci domanda più semplice. «Voglio essere fuoco». «Lo immaginavo. Concentrati. Pensa alle fiamme, al caldo… immagina il tuo corpo fatto di fuoco, una fiamma che divampa, arde, concentrati… Tu puoi essere fuoco». Mentre Arminto parlava, io cercavo di visualizzare quello che mi stava dicendo… sì, riuscivo a vedermi fatto di fuoco, ma non capivo come potessi diventarlo. Dopo alcuni minuti in cui non succedeva nulla, iniziavo a scoraggiarmi. «Inutile, non ci riesco, forse sono troppo stanco, forse è troppo difficile». «No, ce la puoi fare, devi solo non perdere fiducia in te stesso. Chiudi gli occhi, non pensare più di essere di fuoco, sii il fuoco». Seguii il suo consiglio, non dovevo sforzarmi di immaginare come diventare una torcia umana, semplicemente dovevo sentire di esserlo. All’improvviso, avvertii qualcosa nel mio stomaco, un caldo intenso mi stava avvolgendo. «Apri gli occhi», la voce di Arminto era lontanissima, aprii gli occhi e vidi il mio riflesso in uno specchio: ero fuoco. Non ero soltanto coperto di fiamme, la mia pelle era fiamma, ogni movimento che facevo generava fiammelle danzanti, sentivo, vedevo il mio corpo emanare calore, credevo sarebbe stata una sensazione spiacevole, invece sentivo solo un leggero brivido, non stavo più pensando, mi stavo semplicemente godendo quel momento. Non avevo paura di quello che vedevo, anzi, mi sentivo potente come non mai, il mio riflesso non mi preoccupava, ammiravo quel ragazzo nello specchio che aveva letteralmente il fuoco nelle sue mani, lo guardavo meravigliato, sorpreso delle sue, delle mie capacità. «Ora ritorna in te». Mi voltai verso Arminto: era serio, ma soddisfatto. Respirai profondamente, chiusi gli occhi e, quando li riaprii, ero tornato normale. Rimasi in silenzio per qualche minuto, dovevo metabolizzare, comprendere ciò che era accaduto, quello che ero stato in grado
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di fare. «Tutto bene, ragazzo?», Arminto mi porse un bicchiere d’acqua. «Sì… insomma, credo di sì. Ancora non mi capacito di quello che ho appena fatto». «Come vedi, ci sei riuscito perfettamente, te l’avevo detto che era solo una questione di fiducia in se stessi. Sei riuscito a diventare fuoco, ora puoi essere qualsiasi elemento tu voglia». «Anche… Aria?» «Certo». «Ci provo». Mi concentrai, immaginai di essere vento, quel soffio che si avverte ma non si vede, si percepisce con il tatto, ma non con la vista, eppure c’è sempre, è lì e questa è una certezza. Immaginai di diventare aria e sentii i miei piedi non toccare più terra, stavo volando!, le mie mani non c’erano più, le sentivo, ma non potevo vederle, ogni parte del mio corpo era sparita. Ci ero riuscito, ancora. Osservavo la casa di Arminto dall’alto, mi divertii a fare un paio di capriole, a correre sulle pareti, a nascondermi dietro le tende. «Basta, per stasera. Torna giù». Il divertimento era finito, era ora di tornare a casa. Sulla porta, Arminto mi fissò a lungo negli occhi. «Che succede?», chiesi, preoccupato. «Non te lo dico spesso, ma sono molto fiero di te, sei un ragazzo pieno di capacità e stai facendo un ottimo lavoro. In queste settimane, non hai fatto crescere solo i tuoi poteri, anche tu sei diventato più grande, più maturo, hai imparato a controllarti, a conoscere i tuoi limiti e a superarli. Rivedo molto di me stesso in te, per la tua energia, la voglia di fare, di metterti sempre alla prova, per l’entusiasmo e l’impegno con cui affronti le nuove sfide. Bravo, Gabriele». Non mi aveva mai chiamato per nome, di solito nessuno lo faceva, solo i miei genitori, quando li facevo arrabbiare… eppure, in quel momento, non mi diede fastidio, anzi, compresi che Arminto non era più solo il mio mentore, era diventato anche un amico. Arrivato a casa, appoggiai delicatamente la pietra sul comodino accanto al mio letto e, prima di addormentarmi, mi accorsi di aver sempre pensato che quel sassolino mi aveva regalato soltanto i poteri magici. In realtà, mi aveva donato molto di più.
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11 IL POTERE DEI SENTIMENTI Una mattina, all’inizio di dicembre, al mio risveglio mi aspettava una sorpresa: stava nevicando. Tanti piccoli, fragili fiocchi bianchi scendevano silenziosi dal cielo. Appena uscii di casa per andare in università, venni investito da quei minuscoli concentrati di freddo e, non so perché. «... Ma a me questo mondo solo bianco e grigio mette tristezza», mi lamentai con Elisabetta durante la lezione. «Sì, però… ascolta il silenzio. Quando nevica, è come se tutto si fermasse, anche i rumori, e non esiste nulla di più bello del silenzio da neve, è puro, pulito, morbido, tutto da assaporare». «Se lo dici tu». «Fidati. Dopo ascoltalo. Ora stai attento e prendi appunti». «Tanto ci sei tu che li prendi», le risposi scherzosamente. Per tutta la lezione, pensai al consiglio della mia amica e, tornando a casa, deviai verso il giardino in cui avevo trovato la mia pietra. Raggiunsi la fontana, chiusi gli occhi e ascoltai. Aveva ragione, quel silenzio era quasi magico, strano, accogliente, assoluto. La neve, la coperta bianca che si posa su tutto, attutisce i rumori del mondo e io, in quel momento, mi sentivo rigenerato. “Per fortuna, ho imparato a controllarmi, altrimenti starei già volteggiando nell’aria insieme a questi piccoli fiocchi”; pensai, sorridendo. Quella sera, mentre stavo studiando, tossii e dalla mia gola uscirono sette piccoli cristalli di neve. Due giorni dopo, la neve non aveva ancora smesso di scendere. Tutte le strade erano bianche, impraticabili, gli autobus passavano raramente, era impossibile andare da qualunque parte se non camminando. Ero annoiato, non riuscivo nemmeno ad andare da Arminto, e questo mi rendeva ancora più irritato, nervoso, la mattina aprivo il libro per studiare ma subito lo chiudevo, non mi concentravo; per fortuna, un pomeriggio, mi chiamò Elisabetta, proponendomi una buona cioccolata calda «... e qualche acquisto natalizio». «E va bene, tanto non ho niente da fare. Però un’ora, non di più, sai che non mi piace fare shopping».
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«Sì, sì, lo so, che noioso che sei. A più tardi». Non abitavamo lontani, mi era facile raggiungere casa sua a piedi. In fondo, non era stata una cattiva idea uscire, anche se dovevo controllarmi, non volevo scatenare una tempesta o peggio. «Va bene, la tua ora di punizione è finita. Se vuoi, puoi andare a casa», mi disse Eli, ridendo, esattamente un’ora dopo. «Ma no, dai, almeno beviamoci un caffè, prima». «D’accordo». Entrammo nel nostro solito bar, poco lontano da casa sua. «Ma… un buon tè caldo no?» «Buona idea… allora, ci porta due tè caldi, per favore, e qualche biscottino». Stavamo chiacchierando, quando la porta si aprì ed entrò una ragazza. Carina, capelli lunghi scuri e… stava venendo verso di noi. «Ciao Eli!» «Ciao Chiara, come stai?» «Tutto bene, grazie, tu? Che ci fai da queste parti?» «Devo andare a prendere un libro in biblioteca, stavo passando, ti ho vista e sono entrata a salutarti. Spero di non avervi disturbati». «Assolutamente no, figurati. Ti presento Gabriele, un mio collega e mio carissimo amico. Lei è Chiara, ci siamo conosciute al corso che ho frequentato ad ottobre, ti ricordi?» «Ah sì, come no. Tanto piacere», le dissi, stringendole la mano. «Piacere mio», sorrise lei. «Quanto che non ci vediamo! Cosa stai facendo ora?» «Eh, sto finendo le ore di tirocinio…» Le osservavo parlare, per qualche motivo non riuscivo a distogliere lo sguardo dall’amica di Eli, iniziai a guardare Facebook sul cellulare per evitare che pensasse che la stavo fissando. C’era qualcosa che mi impediva di guardare altrove, il suo sorriso, una calamita, e i miei occhi, umili pezzi di ferro senza più una propria volontà. «Ora scappo, altrimenti diventa sera e io non ho ancora combinato niente. Ci vediamo settimana prossima all’esame». «Certo, va bene. A settimana prossima». «Ciao ciao… ancora piacere di averti conosciuto», disse a me, prima di uscire
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«Sì…. Piacere», dissi con un filo di voce. «Allora, che stavamo dicendo?... oh ma… che hai? Stai male? Terra chiama Fuoco, Terra chiama Fuoco», Eli mi sventolò una mano davanti alla faccia. «Ssssì va tutto bene… perché?» «Boh, hai una faccia… » «Che faccia?» «Come se avessi… che ne so, una visione». «Ma smettila, che dici?» «Dico che secondo me Chiara ti ha colpito». «Ma che, se l’ho vista per due secondi». «Mmmm sarà…» «Ti dico di no». «Vaaa bene. Che stavamo dicendo?» Mi svegliai all’improvviso. Erano le tre del mattino. Mi alzai, avevo sete e mal di stomaco. Camminai fino alla porta della cucina, percorrendo il corridoio in punta di piedi per non svegliare nessuno. Mentre bevevo, mi affacciai alla finestra: fuori, il panorama era incredibile. Stava nevicando come non mai, i fiocchi sembravano sempre più grossi, per un attimo credetti di vedere un fulmine squarciare il cielo “Ma siamo in dicembre… Che succede? Non è che il tè mi ha fatto male?”. Il mio stomaco si rivoltò e la neve iniziò a scendere ancora più forte. “Ok, ora ho paura davvero…”. In quel momento, sentii il telefono vibrare. Era Arminto. «Pronto?» «Gabriele, devi venire qui immediatamente, sta succedendo qualcosa». «Sì, me ne sono accorto, ma come faccio a venire? Hai visto che bufera c’è?» «Usa la pietra, lei sa cosa fare». «Sono le tre del mattino». «Lo so, ma non si può aspettare». «Arrivo». Mi vestii in silenzio, presi la pietra e uscii di casa facendo attenzione a non svegliare nessuno. In strada, la neve mi oscurava la vista; afferrai la pietra. «Vediamo cosa sai fare», le dissi. Iniziò a tremare, divenne
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bollente, mi resi conto che neve attorno a me si stava sciogliendo, “ma certo”, pensai, “la pietra sta scaldando il mio corpo”. Chiusi gli occhi, mi concentrai per qualche secondo, respirai profondamente e avvertii i miei piedi staccarsi da terra. Finalmente potevo volare, Arminto mi aveva vietato di farlo, ma in quel momento la strada era deserta. Era bellissimo osservare il mondo dall’alto, circondato da una bolla di colore, non sentire alcun rumore, solo l’appoggiarsi della neve su ogni superficie. Arrivai a casa di Arminto in pochi minuti, e lo trovai che mi aspettava sulla porta, aveva un’aria preoccupata, pensierosa. «Entra, ragazzo, entra». «Aminto, che sta succedendo? È per la pietra nera?» «No, no, non penso sia quello. Ascoltami bene, ti è successo qualcosa, oggi pomeriggio?» «Qualcosa cosa? E poi, perché proprio oggi pomeriggio?» «Perché ho avvertito un cambiamento nel tempo, e non intendo la bufera. Vedi, chi possiede una pietra bianca, è vero, non ha un vero e proprio potere, ma avverte un legame molto forte con i possessori delle altre. Oggi pomeriggio ti è accaduto qualcosa, ho sentito che qualcosa in te era cambiato. Dimmi, hai superato un esame, ricevuto un dispiacere…?» «No, veramente ho solo conosciuto una ragazza». «Una ragazza? Che ragazza?» «Eh, un’amica di Eli». «Ah, sì, la tua amica che sa della pietra. E che effetto ti ha fatto?» «Che ne so, è una bella ragazza, simpatica, ma niente di più». «Sei sicuro?» «Ma che, tu ed Eli vi siete messi d’accordo? Sì, sono sicuro, perché me lo chiedi?» «Perché, indirettamente, tu sei la causa della bufera che si sta scatenando là fuori». «Cooosa? Mi avevi detto che non potevo cambiare la natura, nessuno lo può fare». «È vero, ma quando una persona prova emozioni forti, che lei lo voglia o noi, qualcosa in lei, nel suo corpo, nel suo modo di vedere il mondo cambia. Tu ti sei sentito poco bene?» «Sì, avevo mal di stomaco». «E scommetto che la causa era una certa bella ragazza conosciuta nel pomeriggio». «Boh, che ne so, può essere… ma scusa, e se anche fosse?»
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«E se anche fosse… ti sei dimenticato che la pietra è legata a te?» «No, ma…» «Se tu stai male, la pietra sta male, se tu sei felice, lo è anche lei, e se il tuo corpo è in subbuglio perché ti sei innamorato, beh, è confusa anche la pietra, e quando la pietra è confusa lo è anche la natura. Ogni rapporto, ogni legame, è ambivalente, non esiste la tua persona, la pietra e la natura come entità separate, siete tutti uniti, una cosa sola. Tu non puoi cambiare la natura, ma sei comunque legato a lei, e lei dipende da te. Non vuol dire controllarla, solo riflettere, sfogare in lei le tue emozioni. Hai capito, ora?» «Sì… e quindi come devo fare per far smettere tutto questo?» «Devi cercare di calmarti, di dare un nome a questa tua emozione, a imparare a conviverci, non puoi permetterti di mandare in confusione la pietra, è pericoloso». «Ok, d’accordo. Ci provo». Restai con Arminto fino all’alba, e, parlando, riuscii ad ammettere che sì, Chiara mi aveva lasciato addosso una sensazione strana, che l’avevo trovata interessante, molto carina, che non riuscivo a non pensare a quel pomeriggio, iniziai a camminare attraverso la stanza, non mi capacitavo di quello che stava accadendo, ma le fitte allo stomaco diminuirono, raccontai della sensazione che avevo provato quando l’avevo vista, quando le avevo stretto la mano, non ero stato in grado di distogliere lo sguardo da lei. «Che mi ha fatto, un incantesimo?», chiesi, ridendo. «In un certo senso sì. Ma credo che sia arrivato il momento di farti un ultima domanda, anche se so che l’hai vista solo una volta: questa ragazza ti piace?» «Sì, potrebbe. Di sicuro, mi ha mandato in confusione». «Ho visto. Ma penso che tu sia pronto per aprire la porta». Fuori, il mondo era cambiato. Era tutto bianco, scintillante, silenzioso. Uscii lentamente dalla casa, mossi con cautela alcuni passi nella neve. Mi sentivo stanco, ma stavo molto meglio, rispetto a ieri sera, certamente ero più calmo e sereno… era ancora buio, ma non volevo trattenermi, avevo già disturbato Arminto a sufficienza.
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A casa, mi accorsi, nella foga di stanotte, di non aver portato con me il cellulare e, soprattutto, di non aver letto un messaggio ricevuto ieri sera molto tardi. Era di Eli. Chiara mi ha chiesto se le posso dare il tuo numero. Posso? Per la prima volta in tre giorni, quella mattina comparve il sole.
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12 LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA «Hai visto che bel sole?» «Sì, Eli… prego, eh». «Tu cosa c'entri?» «Storia lunga, poi ti racconto. Che succede?» «Eh, hai letto il messaggio?» «Che messaggio? – finsi noncuranza, non volevo mostrare troppo un sentimento che non aveva ancora nome e di cui volevo essere sicuro - Ah sì sì... boh, che ne so… sì, daglielo pure. Ma ti ha detto perché vuole il numero?» «Ehm… per scriverti?» «Sì, in effetti… sì sì, fai pure». «Dai, non dirmi che ti ha lasciato indifferente, ho visto come la guardavi ieri». «Non è vero». «Sì, come no. Comunque, io glielo scrivo, staremo a vedere». «Sì sì… vedremo». Vrrr. Vrr. Vrr. “Ma chi è che mi manda messaggi a raffica e, soprattutto, interrompe il mio pisolino? Uff…. È un numero che non conosco, e mi ha mandato tre messaggi. Speriamo almeno che non siano lunghi, non sopporto i messaggi che assomigliano a poemi epici, inizio a leggerli e poi mi passa la voglia”. Comunque, li aprii. Non ci potevo credere. - Ciao Gabriele, sono Chiara, l’amica di Eli, ci siamo conosciuti ieri - Scusa se ti disturbo - ti andrebbe un caffè nel pomeriggio? Ok, respira. Inspira, espira, lentamente. Una volta, due, tre, cinque, dieci. Calma e controllo. - Ciao Chiara, certo, quando vuoi Ci sta, essenziale, educato, breve. - Alle 4, al bar dove eri ieri? Le quattro. Ok, ho due ore per cercare di essere un ragazzo normale e allenarmi a non prendere fuoco se bevo un caffè bollente.
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Va bene, a più tardi Continua a respirare, ricorda che cosa ha detto Arminto, “se tu stai male succede un disastro”, mi dissi, “non è niente, devi solo andare a bere una caffè, ce la puoi fare. Perfetto. D’accordo. Va tutto bene, io posso trasformarmi in fuoco, io sono fuoco, posso fare tutto. E allora andiamo”. Incredibile, eravamo seduti da un’ora e mi sembrava passato un secondo. Chiara era simpatica, divertente, allegra, mi trovavo benissimo con lei, riuscivo a parlare di tutto senza problemi e lei mi capiva subito, sentivo che potevo essere me stesso, con lei, ed era strano, perché, di solito, non avverto questa sensazione con una persona appena conosciuta. Mi piaceva stare insieme a lei, mi sentivo bene, a mio agio, e mi dispiacque quando mi disse che doveva rientrare a casa, ormai si era fatto tardi. Avevamo scoperto di abitare vicini, per cui fu ovvia la proposta. «Ti accompagno». Mentre camminavamo, le presi la mano, non perché dovessi, ma perché lo volevo, volevo provare quale sensazione mi avrebbe scatenato, ma, nonostante fossi nervoso, non accadde nulla. Iniziai a preoccuparmi, questo significava che mi ero sbagliato, che, in realtà, non provavo nulla? Un po’ deluso, deviai con Chiara verso il parchetto vicino a casa, non volevo che il pomeriggio finisse, volevo regalarci qualche minuto in più, anche per capire che cosa provassi davvero. Il sentiero era interamente coperto di neve, sembrava davvero di entrare in un altro mondo, in un’altra realtà, in cui qualsiasi cosa poteva accadere. Mi sarebbe piaciuto condurla fino alla fontana, ma la strada era impraticabile e di certo non potevo sciogliere la neve davanti a lei, così mi limitai ad avanzare di pochi passi. Mentre camminavo a fatica, un ramo secco sfiorò il mio braccio, mi voltai per controllare che non avesse rovinato la giacca e… vidi spuntare un fiore. Proprio lì, davanti ai miei occhi, in mezzo a quel paesaggio bianco, freddo, morto sbocciò un piccolo fiore rosso, un minuscolo segno di una vita che era nascosta, in attesa di riemergere in tutta la sua bellezza. Ma com’era potuto succedere?
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«Gabriele, vieni a vedere guarda che strano, qui dove tu sei passato e hai lasciato un’impronta c’è un fiore! Non te ne eri accorto? E ne stanno crescendo altri!! Ma è normale?» Eccolo, il segno che aspettavo. Non era questione di caldo o freddo, inverno o primavera, ero io, la mia felicità, un sentimento che era nascosto, ma che, pian piano stava emergendo, come i fiori che stavano spuntando dalla terra. Ero meravigliato, il manto di neve era punteggiato di piccole macchie rosse, tante, sempre di più. «Gabriele?» «Sì?» «Che succede?» «Niente, è tutto normale». «No, stai sorridendo in modo strano». «È perché sono felice di essere qui. Vedi, fino a questo momento non mi ero reso conto di quanto sia stato bene con te, questo pomeriggio, ora me ne sto accorgendo, qualcosa sta emergendo, come questi fiori». «Molto poetico… Anche io mi sono trovata molto bene con te». «Sono contento». Eravamo vicini, sempre più vicini, le sue mani nelle mie, i suoi occhi nei miei, io mi ero completamente scordato di pensare o respirare, niente poteva rovinare quel momento, era tutto perfetto… quando avvertii una strana sensazione nel petto. Non sapevo cosa fosse, era una fitta, mi mancò il fiato per qualche secondo, mi inginocchiai a terra, tossendo, mi veniva da piangere, mi sentivo triste, sfiduciato, e poi, subito dopo, di cattivo umore, stanco, stremato... il vento iniziò a soffiare, sibilando, più freddo che mai, invece di delicati fiocchi di neve stavano cominciando a cadere pesanti granelli di ghiaccio. «Gabriele, che ti succede? Stai male? Perché fa così freddo?», domandò Chiara, spaventata. Prima che potessi risponderle, il mio telefono squillò. Era Arminto «Questa volta non è colpa mia». «No, lo so. Sai cosa sta arrivando, vero?» «Penso di sì». «Allora, vieni, vieni qui subito. Lascia perdere quello che stai facendo, devi volare, e hai capito bene, volare, qua». «D’accordo – Chiara, perdonami, dobbiamo andarcene da qui».
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«Chi era?» Ebbi un momento di esitazione. Non potevo raccontarle la verità, ma dovevo trovare una scusa plausibile per andarmene e farla stare tranquilla. «Era… uno dei miei coinquilini, a quanto pare c’è un problema con la caldaia a casa, mi dispiace, devo scappare». «Non ti preoccupare, e poi mi sa che tra poco si scatenerà un’altra bufera», mi tranquillizzò, accarezzandomi la mano e sorridendo, nonostante tutto. «Eh, temo anche io». «Andiamo». Corremmo fino a casa sua. «Appena in tempo, guarda con che violenza la neve ha ricominciato a scendere». «Già… allora, io scappo, ci sentiamo più tardi, d’accordo?» «Certo, se hai qualche problema, chiamami». «Va bene, grazie e… ricordati che abbiamo lasciato un discorso in sospeso...» «Non ti preoccupare, le cose importanti non le dimentico facilmente. A più tardi». Mi sfiorò la guancia con un delicatissimo bacio, prima di rifugiarsi dentro il palazzo, al sicuro. Mi voltai a guardare il cielo. «E va bene, cara bufera. Vediamo chi di noi due è il più forte». Afferrai la pietra e mi alzai in volo.
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13 LA BUFERA, IL PERICOLO E L’AMORE Era trascorso un mese da quel giorno con Chiara. Era stato il mese più bello, divertente e… freddo della mia vita. Nevicava, poi pioveva, poi ancora nevicava, ma le gocce di pioggia e i fiocchi di neve mi rimbalzavano addosso. Era trascorso un mese da quando Arminto mi avvisò che il pericolo stava arrivando. Quando, quel giorno, mi chiamò e mi ordinò di raggiungerlo immediatamente, capii subito il motivo della sua agitazione; mi aspettava sulla porta di casa, appena arrivai non mi diede nemmeno il tempo di togliermi il cappotto, mi condusse subito in salotto e mi spiegò quello che stava succedendo: «Allora, la situazione è questa: ti sei accorto che, ormai, sta nevicando da troppi giorni e non dipende da te, è vero, ma nemmeno dalla natura». «Cosa vuoi dire?» «La natura non si può controllare, te l’ho sempre detto, ma hai visto tu stesso che chi possiede le pietre ha un legame particolare con gli elementi naturali». «Sì, e allora?» «Allora c’è solo una persona che ha il potere di far scatenare una tempesta di neve, far sollevare un tornado o non far tramontare mai il sole. Sai chi è?» «Il proprietario della pietra nera». «Esattamente». Deglutii. Non osavo esprimere a voce alta la domanda che mi stava vorticando nella mente. «Sta… sta arrivando?» «Per ora è ancora lontano, questa tempesta è solo un avviso, come quando tu mandi un messaggio ad un amico per informarlo che andrai a trovarlo, ma non sai ancora quando. Ecco, la tempesta è il suo messaggio. Cioè, è il suo messaggio per noi, per le persone comuni altro non è che un inverno particolarmente rigido». «Ok, cosa posso fare?» «Nulla, temo. Stai solo molto attento, ricordi le sensazioni che ti ho descritto qualche tempo fa?» «Sì, il freddo, la tristezza…»
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«Esatto. Solo quando le avvertirai, dovrai essere pronto a combattere, per il momento stai in guardia». «Rischio di mettere in pericolo le persone che stanno insieme a me?», il pensiero correva a Chiara, la mia famiglia, i miei amici, Eli, tutti quelli con cui mi incontravo, con cui ero abituato a bere un caffè, me li immaginavo già trasformati in ghiaccioli per colpa mia. «Per ora no, ma, in ogni caso, stai attento, non andare troppo in giro e, soprattutto, non mostrare i tuoi poteri. Esercitati, ma solo qui, e ritengo che sarebbe anche prudente ridurre la frequenza delle tue visite, non posso metterti in pericolo facendoti venire tutti i giorni. Ora vai a casa, ci rivediamo mercoledì». «Ma Arminto, oggi è domenica!!» «Lo so, ma per qualche tempo è meglio non vedersi spesso. Fidati, lo faccio per te». «D’accordo». «Bravo, adesso vai». Le seguenti due settimane mi ero allenato solo quattro volte, quella situazione mi stava facendo impazzire, mi rendeva nervoso, non potevo esercitarmi e accumulavo energie che, poi, si trasformavano in rabbia e tristezza. Cercavo di sfogarmi andando in piscina, ma nemmeno percorrere settanta vasche mi aiutava a rilassarmi. Per fortuna, un paio di giorni dopo il mio incontro con Arminto aveva smesso di nevicare, “buon segno”, pensai, “forse il pericolo si sta allontanando”. Quel pomeriggio, finalmente, riuscii a rivedere Chiara, avevo preferito non uscire fino alla fine della tempesta; per fortuna, non si era dimenticata del… discorso lasciato in sospeso, al primo bacio ne seguì un secondo, mai come in quel momento mi sentii forte, riuscivo a dimenticarmi delle pietre, blu, bianche, nere, dei miei poteri, potevo tornare ad essere un ragazzo normale che usciva con una ragazza, e, per una volta, la normalità non mi dispiaceva affatto. Come durante il nostro primo appuntamento, facemmo una passeggiata nel parco e, di nuovo, al mio passaggio la neve si scioglieva, rivelando un bellissimo prato pieno di fiori coloratissimi. «Ok, questa volta però mi spieghi cosa sta succedendo». «A cosa ti riferisci?» «A questo. Guarda, dove passi tu spuntano fiori!»
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«Ti giuro che non me ne ero accorto». «Non fare il simpaticone con me, dimmi la verità. È forse un trucco per conquistarmi?» «No, no, dai, ragiona, com’è possibile che io faccia spuntare fiori, non sono mica un mago… forse sto trascinando un po’ i piedi, sollevo la neve e si vede l’erba sotto… dai, non ci pensare, a volte la natura gioca brutti scherzi, hai visto che bufera ha fatto in questi giorni? Sarà qualche fenomeno strano, tempo qualche giorno e ne parleranno i telegiornali», “Ti prego credici ti prego credici ti prego credici non so più cosa inventarmi non posso dirti la verità non ancora ti prego ti prego…” «Mah, potresti avere ragione tu… magari si potesse avere il controllo della natura…» «Fidati, non ti piacerebbe», sussurrai a mezza voce. «Che hai detto?» «Niente niente, stavo pensando ad alta voce. Allora, vuoi continuare a interrogarti sui misteri del mondo oppure andiamo a berci una bella cioccolata calda?» «Andiamo, andiamo, se stiamo qui ancora un po’ magari ci trasformiamo anche noi in fiori». «Ahahah», sorrisi, chiedendomi se fosse possibile un fenomeno simile. “Dovrò chiederlo ad Arminto la prossima volta che lo vedo”. Mentre stavamo uscendo dal giardino, sentii una risata. «Perché ridi?» «Io? Non ho riso, perché?» «Mi era sembrato di sentire qualcosa». «Avrai sentito il tuo stomaco avvisarti che è ora di fare merenda». «Sì, certo…»
- Eli ho bisogno di te - È successo qualcosa? Con Chiara? - No - Ah, ecco, ero già pronta ad arrabbiarmi. Vuoi che ti chiami? - No, vediamoci, se puoi - Ok, facciamo tra mezz’ora. Mi stai facendo preoccupare - Lo sono già io per tutti e due a dopo «Non era un risata di Chiara, Eli, era… cattiva, proveniva da lontano, dal cielo, sembrava un tuono, da brividi». «Ne hai già parlato con Arminto? E secondo te cosa vuol dire?»
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«No, non ancora… è solo una sensazione, ma credo che sia un segno, penso che qualcuno mi stia tenendo d’occhio e si stia prendendo gioco di me». «Ma chi?» «La persona che ha la pietra nera». «Vuoi dire che può controllarti, può vedere dove sei, con chi sei?» «Evidentemente sì. E questo non mi piace». «Non dovrebbe piacere a lui, chiunque sia, non sa che sta prendendo in giro la persona sbagliata». «Hai ragione. Sai che ti dico, anzi, che dico al caro possessore della pietra nera? Che deve imparare una lezione preziosa: se ride, vuol dire che si sta divertendo, che sta giocando… ma deve stare attento, perché a giocare troppo con il fuoco ci si brucia».
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14 PICCOLI CAMBIAMENTI D’UMORE «Buonasera principessa, come stai? È tutto il giorno che non ci sentiamo». «Ti sembra il caso di telefonarmi a quest’ora?» «Chiara, sono le nove e mezzo, ti ho chiamata altre volte, anche più tardi. Che succede?» «Cosa vuoi che mi succeda? Niente, perché?» «Ti sento nervosa». «No. Ciao, ci sentiamo». Tu-tu-tu-tu. Ma che…. Ha riattaccato? Che novità è questa? “Magari c’è qualcosa che la preoccupa”, pensai, “ma perché non parlarmene? Che strano comportamento, in queste settimane ci siamo sempre raccontati tutto… forse ha qualche problema in famiglia… dopo proverò a mandarle un messaggio”. In quel momento, il cellulare iniziò a vibrare. Eli. «Buonasera cara, come stai?» «Bene grazie, tu? Disturbo?» «Tu non disturbi mai. Io… lasciamo perdere, guarda. Dimmi, che succede?» «Ti chiamavo per chiederti se potevi controllare di avere il mio quaderno beige, ché lo sto cercando dappertutto ma non lo trovo, o ce l’hai ancora tu, o l’ho lasciato a casa. Perché lasciamo perdere?» «Aspetta, fammi controllare. Sì, ce l’ho io, era nello zaino, domani te lo porto. Perché cinque minuti fa ho chiamato Chiara e mi ha risposto malissimo». «Cioè?» «Che ne so, era molto nervosa e mi ha sbattuto il telefono in faccia». «Ha fatto bene». «Cosa?» «Ha fatto bene, di te non ci si può fidare». «Eli, ma che stai dicendo, sei impazzita?» «No. Sei un tipo inaffidabile, lo sei sempre stato, non voglio più parlare con te». Tu-tu-tu-tu. Ancora? Anche lei? Ma che avevo fatto a quelle ragazze? Però non era normale, quell’atteggiamento. E poi, il tono di Eli.... era diventato freddo all’improvviso. Troppo all’improvviso per essere un caso. C’era una sola persona che poteva sapere.
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«Arminto», gli telefonai «Ho bisogno di chiederti un consiglio. So che stasera non dovrei venire, ma è successo qualcosa di strano». «Va bene, vieni ». «Allora, che succede? Non è da te telefonarmi così tardi la sera». «Arminto, è successa una cosa che non mi so spiegare». «Accomodati e raccontami». Mi sedetti sulla mia solita poltrona. «Ok, per tutto il giorno è andato tutto bene, ho studiato, sono andato in piscina, insomma, quello che faccio sempre. Circa un’ora fa, ho voluto chiamare Chiara, era da stamattina che non la sentivo. Mi ha risposto malissimo, era nervosa, sembrava che fosse arrabbiata con me per un motivo che non so». «Gabriele, lo sai che le donne sono complicate, mi hai preso per un consulente di coppia? Avrà avuto qualche pensiero che la rendeva agitata». «È quello che ho pensato anche io, ma poi mi ha chiamato Eli, Elisabetta, la mia amica». «E quindi? Hai litigato anche con lei?» «Sì, no, con lei è stato ancora più strano, è stata la conversazione con lei a farmi venire qualche dubbio, a farmi capire che qualcosa non andava». «Che vuoi dire?» «Stavamo chiacchierando normalmente, mi chiamava per un suo quaderno che non le ho restituito, ad un certo punto le racconto della telefonata di Chiara e lei, così, all’improvviso, cambia tono, mi dice che sono un tipo inaffidabile e mi attacca il telefono». «Gelosia?» «No, no, non avrebbe senso. Mi è sembrato proprio di avvertire qualcosa, una specie di stacco, come quando spegni la musica per un secondo e poi la riaccendi ma, per sbaglio, hai cambiato canzone, cioè, lo senti quando una persona non è se stessa, sta parlando con una voce diversa… capisci?» «Poco, ma il senso credo di averlo afferrato. Mi stai dicendo che due persone diverse, per motivi che tu non conosci, ti avrebbero risposto con un tono e in modo diverso dal solito, e che per una di queste hai avvertito il cambiamento durante la conversazione?» «Esatto». «Se tu escludi al cento per cento che potresti aver scatenato tu queste reazioni… » «Sì, ne sono sicuro».
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«… Allora credo che la soluzione del problema sia solo una, e credo anche che tu la conosca bene». «Ma lo può fare?» «Non penso lo faccia volontariamente, è come la tempesta del mese scorso, sono tutti effetti collaterali della sua vicinanza». «La tempesta posso anche capirla, ma perché i cambiamenti d’umore?» «Vedi, Gabriele, non è facile da spiegare, ma lui fa di tutto per renderti vulnerabile. Ti avevo detto che il suo scopo è rubare le altre pietre, ma, per faro, deve mettere coloro che le possiedono nelle condizioni di non nuocere. Se tu sai di poter contare non solo su te stesso, ma anche sulle persone a te più care, ti senti più forte, sai che queste persone hanno fiducia in te e questa consapevolezza ti rende capace di fare qualsiasi cosa, giusto?» «Sì, certo». «Ma se tu ti ritrovi da solo, perdi tutto. Se non hai più accanto le persone che ti hanno sempre sostenuto, aiutato, o sulle quali hai sempre potuto contare, non hai più nulla, nemmeno la fiducia in te stesso, e questo ti rende estremamente vulnerabile, manipolabile e, forse, non ti sembra un’idea così sbagliata cedere a qualcun altro il fardello della pietra, perché, ormai, non sai più che uso farne, inizi a vederla solo come un sasso che ti ha reso la vita difficile. Cominci a capire perché Chiara ed Elisabetta ti hanno risposto in quel modo?» «Sì, sì… cosa posso fare per farle tornare com’erano? Per quanto si comporteranno così?» «Non lo so, spesso è solo questione di ore, è probabile che domani mattina saranno normali, anche se non credo ricorderanno qualcosa di stasera, per loro sarà stata una serata come le altre. Forse avranno ancora queste reazioni in futuro, non posso dirtelo con certezza». «Mi interessa solo sapere che non resteranno così per sempre». «No, questo no. Però se succede di nuovo, avvertimi, e, soprattutto, stai attento, a loro e a te stesso». «Non ti preoccupare. Ora è meglio che torni a casa. Grazie per avermi ascoltato». «A presto».
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«Non so se ho fatto bene a dirtelo, Eli». «Invece sì, e, anche se non me lo ricordo, mi dispiace di averti risposto male. Lo sai che non ti considero affatto inaffidabile». «Lo so, anzi, dispiace a me di metterti in pericolo». «Non sono in pericolo». «Invece sì». «invece no, avrò sempre fiducia in te». «Grazie». «Ehi, piano, così mi rompi», mi sussurrò mentre la stringevo in un abbraccio, ma sorrideva. «Con Chiara hai già parlato?» «No, ci dobbiamo vedere tra un paio d’ore». «Allora, caro Signore della natura, ci sentiamo più tardi. Vedrai che capirà». «Speriamo. A dopo». Aspettai che Eli entrasse nel cancello del suo palazzo, poi tornai sui miei passi e mi diressi verso il bar lì accanto. Mi sentivo assonnato, intontito, avevo bisogno di un caffè. Quando, qualche minuto dopo, mi incamminai verso casa, vidi una grossa nuvola nera oscurare il cielo.
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15 UNA PIOGGIA DI GUAI «Ciao, Chiara». «Ciao», si protese verso di me per salutarmi con un bacio, ma io mi scansai. «Ehi, che succede? Da quando rifiuti un bacio?» «Scusami, ma ho bisogno di parlarti con urgenza. Vieni, sediamoci su quella panchina», le proposi. «Ok, allora, dimmi tutto. Ti vedo preoccupato, c’è qualche problema?» «Sì Chiara, e più grave di quello che tu pensi. Purtroppo non ho molto tempo e non è facile spiegarlo». «Non ti agitare, raccontami, capirò. Però possiamo andare sotto i portici, che sta iniziando a piovere?» «Certo». Ci rifugiammo in un bar con tre tavolini e nessun cliente, ordinai velocemente due succhi di frutta. «È strano». «Cosa?» «È una bella tempesta, eppure stamattina c’era il sole e faceva caldo». «Lo so, è proprio di questo che dobbiamo parlare». «Del tempo?» «Sì, esatto. Per favore, ascoltami». «D’accordo». Così, iniziai a raccontare. Tutto, dal primo giorno, da quando trovai la pietra nel giardino. Le parlai dei momenti di sconforto, di Arminto, dei miei poteri, delle abilità che ero riuscito a sviluppare, le spiegai la storia delle sette pietre, lei ascoltò ogni mia parola senza interrompermi, mi guardava con occhi che esprimevano perplessità e sorpresa, ma, mi sembrava, anche sollievo. Forse, finalmente riusciva a dare un senso ad alcuni miei comportamenti, a capire le stranezze che ci erano accadute. Stavo per affrontare il discorso più difficile, l’arrivo imminente del nemico, quando, all’improvviso, la pioggia cadde con più violenza, poi si udì un tuono, un boato, la porta del bar si spalancò, una violenta, feroce, fredda folata di vento ci investì e io non riuscii a resistere, mi sollevai dalla sedia e volai all’esterno. Mi ritrovai a
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volteggiare sopra una piazzetta senza essere capace di fermarmi, di scendere a terra, vidi Chiara correre fuori dal bar, spaventata. «Resta dentro», le urlai, «e chiudi la porta». La pioggia non mi dava tregua, avevo i vestiti fradici, non vedevo bene, percepivo solo alcune figure indistinte, non riuscivo nemmeno a pensare lucidamente, il mio cervello era anestetizzato, non ero più in grado di prendere una decisione, mi sentivo impotente, pensai che non sarei più sceso da lì, che la tempesta sarebbe andata avanti per sempre e avrebbe sommerso il mondo, poi mi sentii triste, immaginando la mia famiglia, i miei amici dispersi in quel nuovo oceano che si sarebbe formato, la tristezza divenne malinconia, depressione, sentii le lacrime scendermi lungo le guance e portarsi via tutta la mia forza, la mia energia, la debolezza stava prendendo il sopravvento, gli occhi non riuscivano a rimanere aperti, il mio corpo era dominato da sensazioni che non riuscivo a controllare. «Fuoco!» Un urlo squarciò il silenzio, ruppe la bolla di depressione che mi circondava, mi risvegliò dal torpore. Non sarei mai riuscito a capire se qualcuno avesse gridato davvero o se il mio inconscio avesse reagito, ma, in quel momento, non importava: ero tornato in me. A fatica, riaprii gli occhi, cercai di ritrovare un po’ di forza, mi guardai intorno, la pioggia stava cessando, ma io sapevo perfettamente quello che stava accadendo, avevo riconosciuto ogni sensazione che Arminto mi aveva descritto. Feci appena in tempo a scendere a terra che ebbi la conferma dei miei timori.
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16 IL NEMICO PEGGIORE? LA TENTAZIONE Eccola lì, la tempesta stava arrivando, la vedevo venirmi incontro. Mi voltai verso Chiara, era spaventata, non capiva quello che stava succedendo ed io non avevo fatto in tempo a spiegarglielo, ma almeno stava ancora al sicuro dentro il bar, le feci cenno di rimanere riparata e di non preoccuparsi. Toccava a me risolvere il problema. Il vento aumentò, faceva sempre più freddo, io chiusi gli occhi, sentii il mio corpo scaldarsi, finalmente avevo ritrovato la forza di reagire, le mie gambe diventarono di pietra, volevo rimanere a terra, se mi fossi sollevato in aria sarei stato più vulnerabile. Percepivo il calore espandersi intorno a me, ero avvolto in una bolla, uno scudo caldo e resistente, mi sentivo forte, al riparo, ero pronto a tutto, ma non riuscii a godermi questa sensazione a lungo. «Gabriele, scappa!», urlò qualcuno. Un ragazzo, stava correndo verso di me, non sapevo chi fosse né come facesse a conoscermi, ma mi fu subito chiaro che era in pericolo. Mi mossi per andargli incontro, quando qualcosa lo colpì sulla schiena, urlò nuovamente e cadde a terra. Mi bloccai, immobile davanti a quel corpo apparentemente senza vita, non capivo, cosa gli era successo? Mi sarei ricordato per tanto tempo quel giorno, e non per la tempesta, il freddo o la paura. Quello era il giorno in cui alzai lo sguardo e lo vidi. Vidi il mio nemico. Un individuo in giacca e cravatta avvolto in un manto nero, un naso pronunciato, un accenno di barba e gli occhi più cupi e bui che avessi mai visto, camminava in aria, ad un metro da terra, nella mano destra un oggetto che poteva sembrare una frusta, ma che, compresi poi, quando si avvicinò, in realtà era una fiamma nera. Lo vidi camminare verso di me e fermarsi vicino al corpo del ragazzo che, ora mi era chiaro, era stato lui a colpire, si chinò, infilò la mano libera nella tasca della sua giacca ed estrasse qualcosa. «Cosa gli hai fatto?», chiesi, pieno di rabbia. Mi guardò, con divertimento e compatimento. «La riconosci?», mi mostrò l’oggetto che aveva appena sottratto al
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ragazzo. «È una pietra!» «Sì, esatto, bravo bambino. Quella verde, per l’esattezza, erano mesi che la cercavo, è stato davvero molto bravo a nascondersi. Ma nessuno può scappare a lungo. Eh, povero ragazzo, era così giovane… Comunque, pensiamo a noi. Piacere, sono… ah, ma credo che tu mi conosca già». «Di fama. Tu possiedi la pietra nera». «Errore, io possiedo la pietra nera e la pietra verde, e presto possiederò anche le altre cinque. Sai, mi piacciono i colori, si intonano tutti perfettamente al nero, non trovi?» «Smettila di scherzare, non ti lascerò prendere proprio niente, sono stato addestrato a combattere e ti posso assicurare che non mi arrendo facilmente». «Povero piccolo, ingenuo ragazzo», mi disse l’uomo, avvicinandosi. «Tu non puoi nemmeno immaginare cosa succede a chi mi fa arrabbiare». «Ah sì? E cosa?» Il suo sguardo fu eloquente, mi indicò con gli occhi il ragazzo steso a terra. «Vedi, lui, si chiamava Matteo, è stato un bambino cattivo. Io lo avevo avvisato che se avesse giocato troppo con quei rami si sarebbe fatto male e… diciamo che, ora, la sua compagna ha una bella cicatrice sul volto. Mi ero offerto di prendere io la pietra, di sollevarlo da quel fardello, ma lui continuava a raccontarmi di avere una missione da svolgere, la pietra da proteggere, bla bla bla. Insomma, non mi piacciono le persone che mi dicono di no, come hai potuto vedere». «Non mi interessa quello che dici, le tue minacce non mi spaventano. Non avrai mai la mia pietra. Tu non sai fare niente, sai solo rubare, la tua pietra non ti dà un vero potere, ti rende solo più malvagio». «Ma che carino, così affezionato al suo giocattolo. Forse hai ragione, forse la mia pietra non mi dà nulla, ma devo confessarti un mio piccolo segreto: non ho bisogno di alcun potere, ho già quello che mi serve per vincere». «E cioè?» «Cioè… Gabriele – si fece ancora più vicino, mi afferrò una spalla, la sua mano era viscida – io so che sei un ragazzo giovane, hai
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voglia di vivere una vita normale, guarda, la tua ragazza ti sta osservando, è molto graziosa, non è vero? Pensa… non ti piacerebbe poterle cucinare una cenetta romantica senza il timore che le tue mani prendano fuoco, o passeggiare sul mare senza trasformarti in vento o acqua, non essere costretto a rimanere chiuso in casa se c’è troppo vento, andare in palestra e fare fatica davvero, non riuscire a sollevare cento chili solo perché le tue braccia diventano di pietra… Pensa… sarebbe tutto molto più semplice, molto più normale… immagina… una vita senza più segreti…». E, per un secondo, mi concessi di lasciarmi tentare. Abbassai la guardia, la mia mente fu attraversata da flash… Chiara ed io, felici, seduti sugli scogli, l’acqua si alza intorno a noi, ci bagna i capelli, i vestiti, e noi ridiamo… Eli che non mi guarda più con quegli occhi preoccupati, non teme più che possa succedermi qualcosa… i miei amici mi sfidano a braccio di ferro, io perdo, ma non mi interessa, ci siamo divertiti… sarebbe tutto molto più semplice… «Dammi la pietra, Gabriele, dammi la pietra ed io ti ridarò la normalità». Il calore che mi aveva animato era sparito, avevo freddo, anche la pietra nella mia tasca era fredda, il mio corpo era ancora lì, fermo, non riuscivo a muovermi, solo il mio cervello aveva mantenuto la sua energia, stava vorticosamente cercando di trovare un senso a quello che quell’essere orribile mi stava dicendo. C’era qualcosa che mi sfuggiva, che non andava, nelle sue parole… erano belle, troppo belle... poi, all’improvviso, capii. «No». «No?» «No. So a che gioco stai giocando, non puoi vincere qualcuno con le regole che lui stesso ha sempre utilizzato. La tua abilità è fare leva sul punto debole delle persone, non è vero? È coglierle quando sono deboli, fragili, quando abbassano le difese, non sono abbastanza lucide per pensare razionalmente, è far provare loro una vita migliore, far sfiorare con la punta delle dita un’idea, un’illusione, metterle davanti ad una scelta che, però, è obbligata, perché, ormai, sono state tentate, non sono più disposte a rinunciare a quello che hanno visto, quello che hanno appena assaggiato… non si accontentano più dello zuccherino, vogliono la torta intera, hanno sperimentato un’illusione migliore della realtà, e sono pronte a cederti tutto ciò che vuoi, e chi non lo fa viene
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punito. Ma con me non funziona, le regole di questo gioco le ho inventate io… » «Lo so, lo so, anche tu sei stato un bambino un po’ monello… non ci si comporta così, non con le ragazze… no no no». «Lasciami in pace, ormai non lo faccio più. Mi sono stancato di giocare, ora voglio fare sul serio». «Eppure, mio impavido ragazzo, hai dimenticato una regola fondamentale». «Quale?» «Ogni gioco ha un vincitore». «E allora?» «Allora mettiamola così: devo riconoscere che hai coraggio, non mi è capitato spesso di trovarmi di fronte una persona, un ragazzo, così, per cui ti concedo una possibilità. Hai lanciato il dado, e il dado si è fermato sul lato “ritenta, sarai più fortunato” e dovresti ringraziarmi, ti sto dando l’opportunità di ritentare. Sei un tipo molto forte, mi dispiacerebbe farti assaggiare la mia frusta fiammeggiante, ma sai, non sono un tipo che ama perdere… hai chiesto a molte persone di prendere una decisione, ora tocca a te: o mi cedi la tua pietra e i tuoi poteri spontaneamente, e, in questo caso, io lascerò la città per sempre, oppure vedrai ogni angolo della città, della Terra cadere sotto di me, perché, finché non avrò la tua pietra, utilizzerò tutte le forze in mio potere per distruggere ogni singolo mattone di questo mondo, scatenerò la natura intera contro gli uomini. Certo, non credo che sopravvivrà qualcuno, ma, se tu dovessi riuscirci, puoi sempre dire di aver perso combattendo. Aspetto una tua risposta domani a quest’ora». In un secondo, il vento smise si soffiare, la pioggia non scese più, il freddo cessò, il buio scomparve, ritornò il silenzio, il sole, il caldo, la luce. Percepii il suono della porta del bar che, scricchiolando, si apriva, ma il mio corpo aveva smesso di reagire. Appena Chiara mi posò una mano su una guancia, caddi a terra, svenuto.
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17 IL MOMENTO DELLE SCELTE Quando riaprii gli occhi, mi ci volle qualche secondo per capire dove fossi. Mi guardai intorno. Chiara era visibilmente agitata, ma anche sollevata; accanto a lei c’era Eli e poi… «Arminto», sussurrai, «cosa ci fai qui? Dove sono?» «Shh», mi calmò Chiara, accarezzandomi i capelli, «non ti agitare. Riesci a metterti seduto?» «Credo di sì». Mi alzai, e solo allora mi resi conto che mi trovavo in un luogo a me familiare, l mio rifugio, la mia palestra. Ero a casa di Arminto. «Come ti senti, ragazzo?» «Bene, penso. Che è successo?» «Cosa ti ricordi?» «Solo una tempesta fortissima, c’era tanto vento, ma io ero riuscito a creare una bolla di calore… poi… c’era un uomo, era vestito di nero…oh…», i ricordi si stavano facendo strada lentamente nella mia testa. «La pietra nera… lui ha… ha tentato di rubarmi la pietra!» «Sì, esatto. Ha tentato, ti ha tentato, ma tu sei riuscito a resistere». «Sì è così… però ha detto che distruggerà la terra se non gli consegno la mia pietra entro... domani». Per un minuto, nella stanza cadde un silenzio assoluto. «Come sono arrivato qui?» domandai, per curiosità e per allentare la tensione. «Dopo che avevi incontrato quell’uomo», rispose Chiara, «sei svenuto. Io non sapevo chi chiamare, ma mi avevi detto che Eli conosceva tutta la storia, quindi ho chiamato lei… » «… e, dato che più di una volta mi avevi detto dove abita Arminto, io ho pensato che non ci sarebbe stato un luogo più sicuro per te di casa sua». «Grazie ragazze, davvero. Ma… l’altro ragazzo! C’era un altro ragazzo, credo che sia morto… dobbiamo andare a prenderlo!» «Non preoccuparti, Gabriele, appena Chiara ed Elisabetta ti hanno portato qui e mi hanno raccontato quello che era successo, sono andato subito da Matteo. Non è morto, ma soltanto svenuto. Ecco,
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vedi, è lì che dorme – mi indicò un corpo sdraiato su un letto, dalla parte opposta della stanza – dagli qualche ora e poi si sveglierà». Annuii in silenzio, non sapevo cosa dire, non riuscivo a parlare, era tutto troppo assurdo e spaventoso, era un boccone troppo grande da digerire tutto insieme. Sentii qualcosa bagnarmi le guance, non riuscivo più a controllarmi, mi alzai ed iniziai a camminare su e giù, in preda al nervosismo. «E adesso cosa dovrei fare? No, ditemelo, avanti. Cosa. Dovrei. Fare. Eh, voi cosa fareste? Avanti, parlate!» «Gabriele, per favore, calmati». «Non ti fa bene agitarti così». «Zitte, state zitte, so io cosa devo fare. Anzi no, non lo so, cosa devo fare? Cavolo, ho venticinque anni, voglio preoccuparmi degli esami, non del destino del mondo, non posso prendermi questa responsabilità, sono solo un ragazzo, come posso decidere?» «Gabriele, ascolta…» «No, scusa, Arminto, vorrei parlare io con lui». «Avanti Chiara, parla». La guardai, implorandola in silenzio di aiutarmi. Mi aggrappai a lei, sperando che potesse salvarmi dall’oceano delle mie incertezze. «Gabriele, noi non ci conosciamo da tanto, ma ho capito subito che sei un ragazzo fantastico, eccezionale, e non perché hai questi poteri. Di cosa hai paura?» «Di prendere la decisione sbagliata». «Ma tesoro, non esistono decisioni sbagliate. Possono essere decisioni non condivisibili, ma sbagliate no, mai, perché le prendi tu, e se le prendi vuol dire che ne sei convinto e stai agendo per ciò che tu ritieni giusto». «Ma perdere la pietra significa perdere per sempre i miei poteri». «È questo che ti spaventa?» «Sì». «Scusate se mi intrometto, ma, Gabriele, sei impazzito? Noi ci conosciamo da prima che tu trovassi questo sassolino, e Chiara, quando vi siete incontrati, non sapeva nulla di pietre e poteri magici, eppure, per qualche motivo, a lei sei piaciuto ed io ti considero un fratello. Non ti viene in mente che, forse, l’affetto che proviamo per te non dipende dal fatto che tu ti sappia trasformare in fuoco, vento, o chissà cos’altro?» «Eli ha ragione. Tu non sei speciale perché hai poteri magici, ma perché, semplicemente, sei tu. Non è importante essere capaci di
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diventare qualsiasi cosa tu desideri, quello che conta è l’energia, la forza, la voglia di farlo. Tu puoi trasformarti in fuoco, ma a me, a noi, interessa che tu lo sia dentro di te. Le tue abilità, i tuoi veri poteri, non sono far svolazzare in aria fazzoletti di carta o respirare sott’acqua, no, questi sono conseguenze di quello che tu sei e sai fare». «Ti ricordi», proseguì Arminto, «quello che ti dissi durante il nostro primo incontro? Che la pietra ti aveva scelto perché tu sei in grado di controllare ogni situazione. Questo è quello che fai, controlli, gestisci, risolvi i problemi. E non è anche questo un potere?» Sentivo gli occhi di tutti addosso a me. Le loro parole mi avevano fatto calmare, ero di nuovo seduto sul letto, con la testa fra le mani e la voglia di dormire e dimenticare ogni cosa. Ma, purtroppo, non potevo. «Non credo di essere mai cresciuto tanto come in questi mesi. Questa piccola pietra, la mia piccola pietra, mi ha reso una persona diversa… » «Non è stata la pietra, Gabriele, sei stato tu, hai fatto tutto da solo». «Cosa vuoi dire, Arminto?» «La pietra ti ha fatto soltanto acquistare più fiducia in te stesso. Scommetto che, se ora non l’avessi, ti sentiresti ugualmente in grado di combattere». «Sì, forse… non lo so, potrei provarci». «Ah, ah, ah, cosa mi dici sempre?» «Hai ragione, Eli», risposi con un mezzo sorriso, «potrei riuscirci». «Gabriele, la decisione spetta a te, noi siamo solo semplici spettatori del tuo spettacolo. Possiamo incoraggiarti, sostenerti, ma sul quel palco ci sei tu e nessun altro». «Grazie, Chiara, la metafora è molto appropriata». «Non sto scherzando. A me non interessa essere spazzata via come una foglia, se tu ritieni che la cosa migliore per te sia tenere la pietra, se tu così sarai felice». «Nemmeno a me. Siamo pronte a tutto, per te, però devi essere sicuro al cento, al mille per cento che ne valga la pena». «Ragazze, smettetela, non potrei mai chiedervi una cosa del genere. Che persona sarei?»
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«Gabriele». «Sì, Arminto?» «Sono stato il tuo maestro, il tuo allenatore e, perdonami l’abbandono a tali sentimentalismi, ti ho sempre considerato qualcosa in più che un allievo, un ragazzo da educare, ti sento parte della mia famiglia, quella famiglia che non ho più da tempo. Perciò, ti parlerò da parente: tutte le persone che sono qui, adesso, ti stanno dimostrando quanto tu sia importante per loro, che tu abbia in mano la pietra o meno. Per loro, per noi, conta solo che tu stia bene con te stesso, che ti senta speciale perché lo sei, non per quello che fai. Non ti sto dicendo di non combattere, di non difendere ciò che per te è più caro, ma rifletti se ti conviene farlo. Io ti ho allenato, ti ho preparato ad una battaglia, ma non ti ho addestrato a pensare solo a te. Guardati, Gabriele, ma con i nostri occhi, non i tuoi. Pensa al ragazzo che eri, a quello che sei diventato. Le cicatrici, quei piccoli segni che ti percorrono il corpo esistono per una ragione, ti ricordano ogni giorno l’impegno, lo sforzo, il dolore, le difficoltà, gli ostacoli, i successi lungo il cammino che hai affrontato, ma non sarebbero esistiti se tu, per primo, non l’avessi voluto. La pietra senza di te è un semplice sasso, tu senza la pietra sei comunque Gabriele. Pensaci bene». Passeggiai per un paio di minuti avanti e indietro, dentro sentivo due voci, esistevano due me, uno non voleva rinunciare alla pietra, l’altro voleva fare tutto il possibile per salvare il mondo. Fiducia, avevano detto, fiducia in se stessi. Mi guardai le mani. Quante volte avevano sputato fuoco, quelle mani. Pensai a cosa sarebbe stata la mia vita se non avessi mai avuto i miei poteri e, ad un tratto, mi sentii incompleto. Poi, ripensai a quelle settimane in cui ero triste, depresso, e mi venne in mente che Eli mi aveva sempre ascoltato, Chiara non era mai scappata davanti alle mie stranezze e, in fondo, io avevo sempre creduto in me, sapevo che la pietra mi dava solo un aiuto in più. Poi... ed eccola, la soluzione. Era già lì, nascosta da qualche parte nel mio inconscio, forse era lì da tempo, stava solo aspettando il momento giusto per mostrarsi. Mi voltai, osservai Chiara, Eli, Arminto. «Avete ragione, tutti quanti. C’è voluto un po’ per capirlo, ma la vera forza non viene dalla pietra. Viene da me stesso, perché io, in me
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stesso, ci credo, e credo in voi, voi siete il mio mondo, siete voi che devo proteggere, e vi prometto che ci riuscirò. Fidatevi di me. Io l’ho sempre fatto.
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18 CIAO, VADO A COMBATTERE Sapevo a cosa stavo andando incontro, mai come in quel momento mi ero sentito più forte. Non ero certo di quali sarebbero state le conseguenze della mia decisione, non ero sicuro che ne sarei uscito vivo, ma non potevo arrendermi, non potevo rinunciare senza combattere, non sarei stato io, avrei deluso tutte le persone che credevano in me, ma, soprattutto, avrei deluso me stesso. “Vada come vada”, pensavo, “sto andando incontro al mio destino a testa alta, e senza rimorsi o rimpianti. È inutile pensare al passato, ormai esiste solo il presente”. Nella tasca destra, avvertivo un piccolo cerchio, Chiara aveva voluto regalarmi una monetina che aveva trovato quel pomeriggio in cui ci siamo conosciuti. «A me ha portato fortuna», mi aveva detto, sorridendo. Nella tasca sinistra, c’era lei, ben nascosta ma pronta ad aiutarmi, lei, mia fedele compagna di quegli ultimi mesi, colei che aveva sempre avuto fiducia in me, anche quando io per primo non l’avevo. Non avevo salutato, ero uscito dalla casa di Arminto un paio d’ore prima dell’incontro, mentre gli altri riposavano e non potevano sentirmi. Loro avevano bisogno di dormire, eravamo stati svegli quasi fino all’alba per parlare, ed io avevo bisogno di restare un po’ da solo, di camminare, respirare aria fresca, rilassarmi senza avere nella mente gli occhi tristi di Chiara, di Eli, di Arminto, non l’avrei sopportato. Ripercorsi con la mente l’anno appena trascorso, quante cose erano successe, quante persone avevo conosciuto, quante avevo perduto e quante erano rimaste accanto a me, quanti giorni avevo passato chiuso in casa a studiare, quanti, invece, a fare sport o stare con gli amici. Pensai a Chiara, mi piaceva davvero, sarebbe stato bello potersi conoscere poco a poco, crescere insieme, fare progetti, decidere dove andare in vacanza l’estate seguente… Poi pensai ad Eli, la mia compagna di studi e la mia migliore amica, già ci immaginavamo laureati insieme, ma senza dirlo a nessuno per evitare feste o canti imbarazzanti… e Arminto, il mio mentore, non mi sarei trovato in quella situazione se non fosse stato grazie a lui… “è stato un onore conoscervi”. Quello fu il mio ultimo pensiero. Guardai l’orologio. L’ora era giunta.
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«Ehi, tu», urlai al cielo, «dove ti sei cacciato? Non ti ricordi che avevamo un appuntamento? Che, hai paura?» «Io? Paura?», rispose una voce alle mie spalle. Mi voltai, era arrivato. «È scorretto sorprendere un avversario alle spalle, non lo sai?» «Sì, qualcuno me l’avevo detto, una volta. Poi si è girato, e… ma questa è un’altra storia. Allora, hai preso la tua decisione?» «Sì». «Ottimo. Allora, dov’è la pietra?» «Nella mia tasca, e credo che rimarrà lì ancora a lungo». «No, dai, non costringermi a combattere, non con te, non di domenica e, soprattutto, non dopo pranzo!» «Non ti avevo già detto che è inutile essere così spavaldo ed irritante? Non ci crede nessuno». «Va bene, ragazzino, come vuoi. Ti ricordi quello che ti avevo promesso. Non vuoi darmi la pietra? Bene, verrò a prendermela io con la forza». «Non vuoi sapere perché ho preso questa decisione?» «Fammi pensare… sto per ucciderti, stanotte non ho dormito abbastanza, sento il bisogno di bere un drink… massì, sono curioso... come mai?» «Vedi, i miei amici mi hanno fatto capire che non importa che io abbia i poteri magici o no, loro resteranno con me lo stesso. Quindi, sì, avrebbe avuto senso consegnarti la pietra e lasciarti andare. Ma poi mi sono reso conto che quel piccolo sassolino blu mi ha reso la persona che sono, che mi ha difeso tante volte. Perciò adesso è venuto il momento che io difenda lei, fino alla fine. Devo difendere lei, la mia terra, le persone a cui tengo, e non lo faccio per egoismo, perché sono un ragazzino viziato o altro. Lo faccio perché è giusto ricambiare la fiducia e l’amore incondizionato che tutti mi hanno sempre dimostrato». «Mi hai fatto tutto questo, interessantissimo, eh, discorso solo per rimandare il momento in cui dovrai salutare la tua breve vita? Solo perché hai paura e speri in un miracolo? beh, è inutile che aspetti». Non mi diede il tempo di rispondere. Si alzò in volo. Per tutto il cielo, risuonò un tuono. La battaglia era iniziata.
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19 CHE LA BATTAGLIA ABBIA INIZIO Avvertii subito una scossa fortissima sotto i miei piedi: la terra stava tremando, si intravedevano già le prime crepe nell’asfalto. Grandi, minacciose nuvole nere vorticavano sopra la mia testa, generavano neve e pioggia, si alzò un vento potentissimo, dovetti aggrapparmi a tutte le mie energie per rimanere in piedi, sapevo che avrei potuto trasformarmi, ma volevo resistere il più possibile, trasformarmi avrebbe dato il via ad uno scontro fisico che avrebbe distrutto tutto. Le scosse diventavano sempre più forti, la neve si stava depositando sul mio corpo, sentivo il mio nemico ridere, e questo mi diede fastidio, un profondo senso di nausea. «Che ti succede, ragazzino? Sei solo capace di dire tante belle parole, ma impara questo: è inutile saper parlare, se non si è pronti ad affrontare le difficoltà combattendo». Capivo che stava cercando di provocarmi, ma sapevo che dovevo aspettare, avrei attaccato al momento giusto. «Allora? Mi sto annoiando, e tu non sai quanto posso diventare pericoloso quando mi annoio. Per esempio, potrei scagliare un bel lampo contro quel campanile, che ne dici?» Un suo semplice gesto e vidi un fulmine passare sopra la mia testa e colpire la chiesa dietro di me. Il campanile prese fuoco, i mattoni iniziarono a cadere, la gente attorno a me urlava. “Resisti, Gabriele, non è ancora il momento”, mi incoraggiavo. Ma lui non smetteva, al campanile segui la chiesa intera, poi il palazzo accanto, e continuava a ridere, ridere, ridere. «Adesso basta!» pensai, rendendomi poi conto di averlo urlato. Avevo chiuso gli occhi per un istante, quando li riaprii non stavo più toccando terra, mi ero alzato in volo ed ero circondato da una bolla di calore, come quella notte che ero corso da Arminto. «Finalmente ti sei deciso a comportarti da adulto… bravo, ma non credo che la tua bolla ti proteggerà da questo». Scansai un lampo appena in tempo, e poi un secondo, un terzo, stavo danzando in aria, il ritmo era scandito dai battiti di un cuore che volevo far continuare a vivere, i colpi erano così rapidi che non mi lasciavano il tempo di reagire, a malapena riuscivo ad
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evitarli. Vidi l’ennesimo fulmine corrermi incontro, non potevo lasciarlo vincere, ma percepivo che le forze stavano venendo meno, che stupido ero stato, come avevo potuto sperare di sconfiggerlo? “Perdonatemi”, pensai, mentre mi sentivo precipitare. Caddi sul pavimento della piazza sotto ai miei piedi, rimasi confuso per qualche secondo. Mi faceva male il ginocchio, temevo di essermi rotto qualcosa, appena provai ad alzarmi mi vennero le vertigini e ricaddi a terra. Rimasi lì, per non so quanto, a guardare quell’uomo fare a pezzi la città che avevo imparato ad amare, che mi aveva regalato tante emozioni, che mi aveva portato Chiara, Eli, Arminto, la pietra. Mi sentivo impotente, disilluso, fu come tornare a qualche mese prima, quando avevo perso fiducia in me stesso, stavo rivivendo quelle stesse sensazioni. Quella volta, però, era arrivato Arminto ad aiutarmi. «Aiuto», sussurrai. «Gabriele, siamo qui!» Mi voltai. Non ci potevo credere. Chiara, Eli, Matteo ed altri due ragazzi stavano correndo verso di me, Arminto volteggiava sopra di loro. Guardai il mio nemico. La mia risata interruppe la sua distruzione. «Perché ridi?» «Perché prima mi hai chiesto se avessi paura. Come posso avere paura quando ci sono persone che sono pronte a tutto pur di starmi accanto?» «Tesoro, come stai?», Chiara si precipitò accanto a me. «Tranquilla, sono solo caduto». Arminto mi aiutò ad alzarmi. Intravidi, alle sue spalle, un ragazzo, più o meno della mia età. «Chi è?» «Pensavo che due mani in più potessero farti comodo». «Arminto mi ha parlato di te. Sono Lorenzo, possiedo la pietra gialla, quella degli astri. Sei pronto a combattere?» Guardai Chiara, Eli e Arminto. «Non so se sono in grado». «Ma certo che lo sei. Gabriele, vedi quell’uomo lassù, vestito di nero? Non è lui che devi sconfiggere, è il male stesso. Lui è solo uno strumento, una scatola, un pacco del quale tu devi distruggere l’involucro per vedere quello che c’è dentro. Lui non è niente, niente più di te. Tu sei un ragazzo giovane, ma sei e sarai
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sempre una persona migliore di lui. Ora concentrati e vai». Mi voltai verso Chiara ed Eli. I loro occhi erano animati da tanti sentimenti diversi, capivo che erano preoccupate, ma cercavano anche di tranquillizzare me. «Non dovevate venire, è pericoloso». «Non potevamo, non dovevamo lasciarti solo». «E poi, avrai bisogno del tuo fan club, quando vincerai». Sorrisi. «Grazie, ragazze». Incrociai lo sguardo di Lorenzo. «Va bene, andiamo. La terra ha bisogno di noi».
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20 LA TERRA DI FUOCO «Ehi, tu, guarda un po’ quassù». «Ah, vedo che ti sei trovato un amico. Bene bene. Pietra gialla, giusto?» Il mio compagno annuì. «Allora, adesso che ci siamo tutti, possiamo iniziare a giocare». Ma, quella volta, non gli lasciammo il tempo di attaccare. Dovevamo, dovevo lottare per quelle persone meravigliose che avevano risposto al mio silenzioso grido d’aiuto, che erano corse da me, nonostante tutto. Le mie mani erano calde, sentivo le fiamme uscirmi dalle dita, fu sufficiente alzare le braccia ed una palla di fuoco rotolò verso il nemico. Lui la scansò, ma subito ne seguì un’altra, e poi un’altra ancora, avevo più energia che mai, il mio stomaco diventò di pietra per resistere ad un pezzo di ghiaccio che il mio avversario aveva scagliato contro di me, e che si infranse contro il mio corpo. Dalle mie mani, sentivo nascere fiamme, volavo, in alto come non mai, avvertivo la potenza della pietra, sapevo che mi stava proteggendo, mi stava mostrando quello che era davvero in grado di fare, era nel pieno delle sue energie, come me, stava arrivando al culmine delle sue forze. Le mie dita generavano fiamme, ghiaccio, getti d’acqua, il mio nemico non aveva scampo, la luce del sole si stava spegnendo, non potevo distrarmi e guardare Lorenzo, ma sapevo che quel buio era opera sua. Doveva essere un vero spettacolo, lampi di luce e fiamme contro il cielo blu notte. Non vedevo più i miei amici, ma sapevo che erano lì, accanto a me, sentivo, da lontano, persone che urlavano, avvertivo intorno a me rumori di ogni genere, da muri che crollavano ad alberi che cadevano, ma non potevo fermarmi e lasciare che quell’uomo orribile riuscisse a sferrare i suoi colpi, dovevo di essere più veloce di lui, quando cercò di afferrarmi in vita con la sua frusta feci una capovolta e la evitai, qualsiasi tentativo facesse per colpirmi o ferirmi era inutile, avevo capito come funzionava, dovevo prevedere le sue mosse, saltellavo in aria qua e là, si era creato un vortice, uno skateboard di vento, sotto ai miei piedi. Se non avessi dovuto preoccuparmi di salvare la terra, mi sarei fermato a godermi quella sensazione inebriante,
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ero in cima al mondo, quasi letteralmente, e non avevo mai avvertito una scarica di adrenalina così forte. Il buio era, ormai, diventato intenso, vedevo solo Lorenzo ed il mio nemico, si stava stancando, questa volta avevo condotto io il gioco, e… gli era apparso uno strano simbolo in fronte, che cos’era? «Gabriele», sentii Arminto gridare. «È il momento di colpirlo. Quel simbolo è un allarme, come quando la macchina entra in riserva, sta esaurendo le energie. Colpisci quel simbolo e sarà tutto finito». Guardai quell’uomo con rabbia, pensai a quanta sofferenza, a quanti danni aveva provocato, mi preparai a sferrare il colpo, ma… abbassai le braccia. «Che stai facendo?», urlò Lorenzo, ma lo ignorai. Osservai l’uomo di fronte a me, e, per la prima volta, non lo vidi con gli occhi della rabbia. Davanti a me c’era solo questo, un semplice uomo che aveva avuto la sfortuna di trovare sul suo cammino la pietra, avrei potuto trovarmi io al suo posto. «Che aspetti?», lo sentii dire. «Avanti ragazzino, non hai il coraggio di colpirmi? Sei arrivato fin qui, sei stato bravo, ma non basta piegare il nemico, devi spezzarlo, e se non lo fai tu, beh, lo farò io. E sai che ti dico? Che potrei anche risparmiare i tuoi stupidi amici, in fondo potrebbero sempre tornarmi utili… potrei mettere il vecchio in cucina e le ragazze ai miei servizi… che ne dici, ti piace come idea?» «Dico che non c’era bisogno che mi confermassi quale persona disgustosa e viscida sei. Per un momento, ho provato compassione per te». «Ooohh povero piccolo. Sveglia, Gabriele, questi erano i patti. Non c’è spazio per la compassione, la pena, o qualsiasi altro sentimento nobile. Qui o ci sei tu o ci sono io, se non mi uccidi tu sarò io ad uccidere te… e immagina cosa posso fare a quelle persone che sono corse qui per te, che tu hai deluso, che tu non hai saputo proteggere. Il loro dolore è colpa tua». «ADESSO BASTA», un urlo mi salì dalla gola e, con lui, un immenso turbine di fiamme e saette dalle mani. «Smettila, non è vero, non è vero, quelle persone mi staranno accanto fino all’ultimo respiro, ed io ho intenzione di proteggerle fino alla fine». Mi ero dimenticato anche di Lorenzo, la rabbia aveva preso il sopravvento su di me, non avevo mai generato così tanto vento,
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e fuoco, e acqua, tutto insieme. «Ahahahahahahahahahahah», continuava a ridere lui, mentre cercava di evitare i miei attacchi, sempre più frequenti e violenti, ognuno accompagnato da un tuono. Poi, all’improvviso, tutto tacque. Bloccai un ammasso di pietra sul nascere, e lo guardai. Si era immobilizzato, il suo mantello si stava rimpicciolendo, il suo viso era rosso, come se stesse soffocando, feci per avvicinarmi, ma il suo bastone inizio a tremare. «Venite giù, ragazzi, scendete, presto!» Lorenzo ed io facemmo appena in tempo a toccare il marciapiede che sentimmo un boato, alle nostre spalle, l’onda d’urto ci gettò a terra, caddi bocconi sui sassi, vicino a Chiara ed Eli. Mi rialzai e corremmo tutti a rifugiarci sotto un portico, miracolosamente non ancora crollato, e rimanemmo così, con la faccia contro al muro, tenendoci per mano, per quelle che mi sembrarono ore. Ad un certo punto, il silenzio. Mi voltai, nel cielo non vidi nulla. «Là», Chiara indicò un punto poco distante da noi. Corsi a vedere. Era lui, il mio nemico, ora inerme, con gli occhi chiusi ed il volto segnato da numerose ferite. «Ma… che gli è successo? Sembra così... così…» «Normale?» «Sì, esatto». Arminto mi appoggiò una mano sulla spalla. «Ti ricordi quel giorno in cui ti dissi che la pietra fa parte di te?» «Certo». «Ecco. Anche la pietra nera, come le altre, può esaurire la sua forza, staccarsi dal suo proprietario e tornare ad essere un normale sasso colorato, ed anche chi l’ha posseduta torna com’era prima di possederla. Il male lascia un segno visibile sui corpo, le persone che entrano in contatto con questa pietra cambiano, l’oscurità si impadronisce della loro anima e si manifesta sui loro volti, tu le puoi riconoscere subito, basta solo guardarle, non è così?» «Sì…ma adesso che succede?» «Adesso questo corpo è destinato a morire. Le pietre si attaccano a noi, si nutrono della nostra energia, ovviamente a te, Lorenzo, e molti altri, questo non nuoce, anzi, invece la pietra nera prosciuga il suo possessore, beve fino all’ultima goccia della sua malvagità. Vedete, la sua pelle sta diventando sempre più secca». Mi chinai per osservarlo meglio. Aveva i capelli scuri, non poteva
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avere più di una trentina d’anni, non riuscivo ad associare quel corpo steso a terra alla persona contro cui avevo combattuto fino allo stremo. Allungai una mano. «Non lo toccare. Se lo tocchi, assorbirà la tua energia». «Cosa?» «Funziona così. Se chi possiede la pietre viene sconfitto in battaglia viene toccato da un’altra persona entro un’ora dalla perdita del suo potere, egli tornerà in forze. Guarda, sta lentamente scomparendo». Osservai il mio nemico, quello che era stato il mio nemico, colui che mi aveva fatto dubitare di me stesso, delle mie capacità, delle persone a cui tenevo di più, per un attimo mi sentii mancare. «Che succede?» «Niente, niente Chiara sto bene, credo che l’adrenalina stia iniziando a calare. Non posso ancora credere a quello che ho fatto». «Sei stato in gamba, ragazzo, molto più di quanto immagini. Hai dato alla terra una seconda possibilità, le hai regalato una nuova vita, per qualche ora, è stata nelle tue mani, è stata, direi, la Terra di Fuoco, vedendo le fiamme che riuscivi a creare. Oggi ci hai salvati, Gabriele, tutti. Grazie». Per la prima volta, Arminto mi abbracciò, e, dopo di lui, gli altri. Attorno a noi, foglie, pozze d’acqua, edifici bruciati, detriti, un vero campo di battaglia. La gente iniziava ad uscire dalle proprie case, avrei voluto rimettere tutto in ordine, ma non potevo rischiare di espormi in quel modo, davanti a tutti. Lorenzo ed io ci guardammo. Ad un suo cenno, il buio tornò, ed io potei, con le ultime energie rimaste, spazzare via ogni residuo di quel pomeriggio. Quando il sole fece di nuovo capolino tra i palazzi, sembrava che non fosse mai accaduto nulla. Toccai la mia tasca, la pietra era ancora lì. La presi in mano. Era opaca, fredda, aveva perduto quello scintillio che mi aveva condotto da lei, quel giorno, quasi un anno prima. Mi si strinse il cuore a vederla così, dopo tutto quello che era successo, dopo tutto quello che avevamo passato. «È finita, Gabriele, è finita davvero. È ritornato tutto alla normalità». Guardai il mio mentore. Il suo volto era provato, ma luminoso, sollevato, nonostante la stanchezza riusciva ancora a sorridere.
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Anche Chiara, Eli e Lorenzo avevano bisogno di riposo, ma i loro occhi esprimevano una grande gioia. Mi concessi qualche istante per pensare cosa sarebbe accaduto se li avessi perduti, se quel pomeriggio fosse andato diversamente, se la pietra capitasse in mano a qualcun altro. «A che pensi, tesoro?», Chiara mi afferrò una mano, preoccupata. Non potevo rivelarle i miei dubbi, non ancora. «Penso che… penso che sia arrivato il momento di festeggiare con una buona pizza. Siete d’accordo?».
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21 IL PRINCIPE GABRIELE Ormai anche maggio stava finendo. Le lezioni erano concluse, dovevamo solo affrontare gli ultimi esami – a volte, rimpiangevo di non poter più combattere contro il male, mi faceva meno paura di alcuni professori. Eli era partita, sarebbe rientrata solo per dare gli esami, ed io trascorrevo le mie giornata con Chiara, studiando o passeggiando nel parco. Stavamo cercando di tornare alla normalità, dopo tutto quello che era accaduto. Avevo chiuso la pietra in un cassetto, non avevo più avuto la forza, o il coraggio, di prenderla in mano, mi faceva impressione sentirla così fredda, lontana, diversa, l’avevo archiviata, come i miei ricordi, come Arminto, non lo vedevo da quel giorno. C’era qualcosa, in me, che mi bloccava, avrei voluto chiamarlo, andare a trovarlo, ma non ci riuscivo, trovavo sempre una scusa per rimandare, un impegno improvviso, un esame da preparare. Non sapevo cosa mi stesse succedendo, ma fingevo di non pensarci, di trascorrere le mie giornate tranquillamente, stavo cercando di dimenticare che, fino a qualche mese prima, ad un mio cenno si alzava il vento. «Ti manca, non è vero?», mi chiese Chiara, un giorno, a casa mia. «Cosa?» «Non fingere con me, ti conosco. È da un mese che non sei più lo stesso, che sei diventato apatico, sorridi, ma solo con le labbra, i tuoi occhi non brillano come prima, è come se, con la pietra, si sia raffreddata anche la tua anima». «Forse è così, ma cosa ci posso fare?» «Tesoro, non so come, ma devi trovare il modo di riaccenderti. Ti ricordi, Arminto ti ha chiamato Fuoco, quel giorno, ma adesso sei poco più di una fiammella. Ti stai spegnendo, Gabriele, ma ti prego, fallo per me, torna a brillare. Torna te stesso, parla con me». «Lasciami in pace, non voglio parlare con nessuno, io sto benissimo». «Ma…» «Basta, Chiara. Non ne voglio parlare». «Come vuoi. Vado a prendere un bicchiere d’acqua, scusa». La vidi uscire dalla stanza, e mi vergognai per la mia reazione. La seguii in cucina, la raggiunsi e le strinsi la mano.
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«Perdonami, Chiara, non volevo risponderti male». «Gabriele, non è per la risposta, il problema è che tu stai mentendo a te stesso, è questo che io non capisco. È ovvio che tu stia male, anche senza che tu me lo dica. Sei passato dall’essere un supereroe all’essere una persona come noi, e scusa se noi normali non possiamo capire come ci sente ad avere superpoteri, ma di certo sappiamo cosa voglia dire perdere qualcosa a cui tenevi. Quando ti ho conosciuto non sapevo chi fossi e cosa potessi fare, eppure ho visto in te una scintilla di vita. Ora quella scintilla non c’è più, e non capisco perché tu te ne stia lì fermo a non fare nulla per recuperarla». «Chiara, la pietra si è spenta». «Va bene, ma Arminto? Lorenzo? Perché non li ha più contattati, dopo quello che è successo? Arminto, lui è stato tutto per te, ti ha fatto diventare colui che un mese fa ha salvato la Terra, e mi stai dicendo che non trovi nemmeno cinque minuti per telefonargli e dirgli grazie? Cos’è, come in quelle feste in cui tutti ballano, si divertono come matti, bevono fino a stare male, e poi il giorno dopo non si ricordano nemmeno il nome del padrone di casa? Così no, Gabriele, scusa, ma non va bene». «Mi dispiace, Chiara, davvero». «Non devi essere dispiaciuto, devi solo guardare dentro te stesso e capire cosa c’è che non va». «Cosa c’è che non va? C’è che fino a un mese fa potevo fare tutto, avevo il mondo nelle mie mani, ed ora la mi massima preoccupazione è “quante pagine mi mancano per finire il capitolo?”. Non ce la faccio, Chiara, capisci, non lo sopporto, è come se avessi sempre guidato in quinta e, all’improvviso, mi avessero tolto la patente. Ecco qual è il problema. Tu non vedi le scintille perché quello stupido sasso, di là, si è portato via tutto, è morto ed è morta una parte di me, non trovo più un senso alle giornate, prima ero felice di svegliarmi, perché sapevo che mi sarei allenato, da solo o con Arminto, e sì, hai ragione, non lo chiamo più, perché non voglio sentirmi ripetere quanto sono stato bravo, vorrei sentirmi dire quanto potrei ancora esserlo, ma so di non poterlo essere, ed è insopportabile. Non voglio tornare in quella casa, rivedere me stesso mentre imparavo, non voglio entrare nella stanza e guardare il camino, toccarlo sperando di diventare Fuoco e rimanere deluso perché l’unica sensazione che
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posso provare è il bruciore della pelle. Non ce la faccio, capisci, non lo posso fare, pagherei per tornare, almeno per un giorno, ad essere quello che ero, per poter cadere e non farmi male, perché la mia carne si è trasformata in pietra. E se ti dico che mi dispiace, in realtà lo sto dicendo a me stesso, perché sapevo che sarebbe finita così, eppure mi sto comportando come un ragazzino viziato, che prima fa i capricci per non partire, perché vuole rimanere a casa con i suoi amici, poi però quando la vacanza è finita piange, perché non vuole tornare a scuola. Quel giorno ho vinto, ma no, in realtà io mi sento un perdente, perché ho salvato la Terra, ma ho perso me stesso, sono tornato come prima». «Ma non è vero, e lo sai. Hai me, hai Eli, hai i ricordi... Tutti noi abbiamo alcuni momenti speciali, in cui ci sentiamo vivi, sentiamo di avere trovato il nostro posto nel mondo, e, quando questi momenti finiscono, li conserviamo nella nostra memoria e nel nostro cuore. E ti dico anche un’altra cosa… Perché hai acceso la luce in camera tua?» «Che cavolo stai dicendo, sono le quattro del pomeriggio». «E allora perché dalla tua porta si intravede qualcosa di luminoso?» “Non può essere”, pensai. Corsi verso la mia camera, spalancai la porta, la stanza era invasa dalla luce, intuivo quale fosse la fonte, ma non era possibile, era morta, spenta, fredda… non poteva accadere. «È lei», esclamò Chiara, quando vide la pietra tra le mie mani, luminosa, bollente, come non mai. «Ma che sta succedendo? Non avevi detto che si era spenta?» «Sì, Arminto mi aveva detto così… ehi ma…» Non feci in tempo a finire la frase, i miei piedi non toccavano più terra, stavo volando, di nuovo. “Wow”, non ricordavo che volare fosse così inebriante. «Penso di sapere dove la pietra mi stia portando… prendi la mia bici, ci vediamo da Arminto». «Ok, volo». “Sì, anche io”, pensai e, per la prima volta in un mese, finalmente sorrisi. «Gabriele, sono contento di rivederti». «Anch’io. Scusa se non ti ho chiamato, in questi giorni, stavo
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cercando… » «...Di tornare alla normalità, sì, è giusto. Mi dispiace deluderti, ma credo che il destino abbia in mente qualcos’altro, per te». «Cosa vuoi dire?» «Seguimi, Chiara ci sta già aspettando». «Come ha fatto ad arrivare prima di me?» «Oh, le ho dato un piccolo aiuto. Ora vieni». Scesi le scale, sapevo dove stessi andando, era tutto così… familiare. Ma, quando Arminto aprì la porta della stanza in cui ero solito allenarmi, non trovai solo Chiara ad aspettarmi: c’era anche Eli. «Eli, che ci fai? Quando sei tornata?» domandai correndole incontro. «Scusate se interrompo i festeggiamenti, ho voluto parlare con tutti voi perché è successo qualcosa che ha dell’incredibile. Gabriele, hai ancora la tua pietra, vero?» «Ehm, sì… scusami, forse avrei dovuto restituirtela…» «Non ti preoccupare, hai fatto bene a non farlo. Ti sarai accorto che si è illuminata». «Sì, non è mai stata così luminosa». «Ecco il motivo per cui ora sei qui. Non è mai accaduto che una pietra rinascesse nelle mani di uno stesso proprietario, solitamente si spegne quando è giunto il momento di cercare un altro legame. Voglio consultare i miei libri, ho bisogno di capire cosa sta succedendo. Aspettate qui, sedetevi pure». Chiara, Eli ed io ci sedemmo su quel divano che avevo bagnato con lacrime di sconfitta, avevo bruciato, sollevato in aria, preso a pugni per sfogare le mie frustrazioni… ogni oggetto, in quella stanza, conservava un ricordo, un momento che avevo trascorso durante quell’anno. Incrociai per un istante lo sguardo di Chiara, ma non feci in tempo a dirle nulla: Arminto entrò nella stanza con un grosso libro, scuotendo la testa. «Incredibile, incredibile», continuava a ripetere. «Arminto, che succede? Cos’è, incredibile?» Il mio mentore mi guardò con serietà. «Ragazzi, perdonatemi per la confusione che sto creando, come avrete capito non ho mai assistito ad un evento simile, ed ho dovuto cercare in questo grosso libro le risposte che mi servivano. Ora ho le idee più chiare e credo di potervi spiegare cosa sta accadendo. Gabriele, durante il nostro primo incontro, ti
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dissi che, di solito, una pietra si spegne quando non stabilisce un legame con il suo proprietario. Nel tuo caso, come avrai capito, dopo la battaglia si è scaricata, per questo ha perduto la sua luce. Qualcosa, però, l’ha fatta tornare a splendere. È come se avesse percepito che tu stavi perdendo fiducia in te stesso ed abbia voluto ricordarti la sua presenza. Gabriele, la tua pietra ti parla, esiste non solo come custode dei tuoi poteri, ma anche, e soprattutto, come simbolo della fiducia in te stesso, delle tue capacità, esiste per non farti dimenticare chi sei, cosa puoi e cosa sai fare. Per questo ti sei ‘dimenticato’ di restituirmela, lei ha fatto in modo che ti dimenticassi, voleva restare con te, voleva che tu la tenessi con lei. Pensavo fosse solo una leggenda… anni, decenni fa, un giovane scrittore mi rivelò che esistevano diversi miti circa le pietre ed il loro creatore, uno di questi raccontava che, in realtà, in questi sassi non erano racchiusi soltanto i poteri del mago, ma anche parti della sua anima, e che soltanto la persona con un’anima affine alla sua sarebbe stata la vera, unica, sola e definitiva proprietaria della pietra. Capisci l’importanza di quello che ti sto dicendo? Gabriele, quello che è accaduto a te è qualcosa di straordinario, di unico nel suo genere, una pietra che va contro la sua stessa natura in nome di un legame più forte e profondo di quanto noi ci possiamo immaginare con il suo possessore. Anzi…». «Con il suo vero, unico, solo e definitivo possessore», conclusi io con un filo di voce. Nella stanza era calato il silenzio, e le mie parole risuonavano strane persino a me stesso. «E… quel possessore…» «Sei tu. Lo sei sempre stato. Tu sei uno dei diretti discendenti del grande re che creò le pietre per difendere il suo regno». «Cosa mi stai dicendo?» «Ti sto dicendo che tu sei, come la leggenda racconta, uno dei principi delle pietre, nel tuo caso il principe della pietra blu». Per fortuna il divano era accanto a me, le gambe mi tremavano così violentemente che dovetti sedermi. «Allora è per questo che il legame con la pietra era così forte...» «Sì, esatto. Figliolo, tu sei destinato a grandi cose». «Wow, è pazzesco... non posso crederci... io... un principe?!» «Sì, e, sinceramente, sei il primo principe delle pietre che
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incontro, non avevo mai creduto a questa parte di leggenda». «Eheh, hai visto?», sorrisi, ancora sbalordito. La mia mente ritornò all’anno trascorso, iniziavo a dare un senso ad alcuni avvenimenti... come mai la pietra era venuta da me, perché avvertivo un legame così profondo con lei, perché l’avevo sempre, inconsciamente, tenuta con me....
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22 L’ULTIMO COMPITO «Gabriele, le notizie non sono finite. Ci sono un sacco di persone, là fuori, che sono destinate a trovare le pietre, se non, addirittura, essere, come te, gli eredi del loro creatore, e devono essere trovate ed istruite adeguatamente. Tuttavia, credo che sia giunto il momento di riposarsi un po’, sono diventato troppo vecchio per continuare a spostarmi, ho visto troppe battaglie, e ho deciso che quella del mese scorso doveva essere l’ultima, senza contare che ora tu, in quanto principe, hai delle responsabilità che io, da mentore, non posso avere. Quello che ti chiedo è di andare tu, al mio posto, trovare queste persone e far scoprire loro i propri poteri, essere loro mentore, far loro apprendere tutti i segreti, la storia di questi magnifici, piccoli oggetti che nascondono grandi poteri. Te la senti di farlo? Non dovrai nemmeno preoccuparti della pietra nera, dopo che tu hai sconfitto il suo ultimo proprietario è andata perduta». Non risposi subito. Io… dovevo diventare lui? E come avrei fatto? Non avevo la sua esperienza, non sapevo nulla, non potevo assumermi una responsabilità simile. Inizia a camminare avanti e indietro, parlando tra me e me, gesticolando, ero agitato, nervoso. «Gabriele», mi richiamò Arminto, bloccandomi. «Ce la puoi fare. Ti ho visto crescere, diventare uomo, fare cose che mai avrei pensato tu fossi in grado di fare. E non sarai solo, per questo ho chiamato i tuoi amici, loro non possono prendere il tuo posto, ma possono aiutarti, sostenerti». «Ma non posso prendere la tua pietra, tu come farai?» «Non ti preoccupare per me. La pietra mi ha dato energie sufficienti per vivere almeno un altro secolo, farò in tempo a venire alla tua laurea, a vedere te e Chiara che vi sposate e a conoscere i vostri figli – guardai Chiara, era arrossita ma sorrideva, imbarazzata ed emozionata al pensiero –, adesso sei tu che hai bisogno della pietra». «Non posso averne due». «Sì, invece, se una ti è donata direttamente dal proprietario. Prima di darmi la tua mano e prendere la pietra, però, devi essere sicuro della tua decisione». «Aspetta. Accettare la pietra significherebbe diventare… come
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te?» «Intendi vivere per secoli e secoli? Perché me lo chiedi?» «Perché se devo vivere da solo, vedere scomparire anno dopo anno le persone a cui tengo, allora no grazie, preferisco ritornare alla mia normale, limitata e felice quotidianità. Non potrei sopportare una vita senza Chiara, Eli, la mia famiglia, tutti coloro a cui voglio bene». «Tu credi che io non lo sappia? Credi che ti abbia proposto questa vita così, a cuor leggero, senza rifletterci? No, Gabriele, io ti conosco più di quanto tu pensi, non te l’avrei mai proposto perché sapevo già che non avresti accettato. Quello che non sai, perché, come al solito, non mi hai fatto finire di parlare, è che è vero, la pietra controlla il tempo, ma questo non significa che io ti stia regalando l’immortalità, ti sto solo offrendo la possibilità di vivere la tua vita in modo più intenso e, sì, certo, per più tempo, ma soltanto se lo vorrai». «Cosa mi stai dicendo?», la rabbia che mi aveva animato qualche istante prima stava lentamente diminuendo. «Voglio dire che questa pietra, a differenza delle altre, non manifesta subito il suo potere. Se tu la indossi ora, e bada bene, dovrai indossarla sempre, non rimarrai come sei ora per l’eternità, ma potrai trascorrere i giorni, i mesi, gli anni future tranquillamente, crescendo e, poco a poco, invecchiando. Durante questo periodo, dovrai, come ti ho chiesto, cercare le persone che hanno trovato le altre pietre, e che, come te, devono essere allenate, e sarà tuo compito farlo, così come dovrai essere tu a liberare le pietre dal loro proprietario se non c’è fiducia. Ricordi tutti I miei racconti, tutte le mie spiegazioni di questi ultimi mesi?» «Sì, ma ancora non capisco. Prima o poi, la pietra farà effetto, no?» «Certo. Arriverà un giorno, tra cinquanta, sessanta, settant’anni, quando lei lo riterrà giusto, in cui la pietra si illuminerà. A quel punto, tu potrai, dovrai decidere se tenerla con te, prolungando, così, la tua vita di anni, secoli, oppure donarla alla persona, tra quelle che hai incontrato ed allenato, che tu ritieni più meritevole ed adeguata a conservare e tramandare l’antico potere e l’antica storia delle pietre». «E la mia pietra?», chiesi, stringendo con affetto quel sassolino
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blu che aveva cambiato la mia vita. «Lei rimarrà con te per sempre. Tu sei uno dei diretti eredi del suo creatore, ricordi? Vi appartenente a vicenda. Qualunque decisione tu prenda, lei vivrà fino a che vivrai tu. È probabile che, se avrai dei figli, la pietra possa riconoscere anche in loro l’anima del suo creatore, ma… », mi sorrise affettuosamente. «Credo che lo scoprirai da te». Mi appoggiò una mano sulla spalla e mi chiese: «Allora, Gabriele, scegli: accetti questa vita oppure no?» Rivolsi un’occhiata a Chiara ed Eli. Ero triste, felice, preoccupato, nemmeno io riuscivo a dare nome alle mie emozioni. «Non sono sicuro di farcela da solo». «Ma tu non sei solo», Chiara si avvicinò a me, «forse non avremo una pietra e non sapremo controllare il fuoco, ma conosciamo te». «Chiara ha ragione», intervenne Eli. «Anche se non abbiamo poteri, ti rimarremo accanto, perché ti vogliamo bene». «E questo è il potere più grande: la capacità di volere bene. Ricordatelo tutti». Chiara ed Eli mi abbracciarono con trasporto, anche se la decisione non era ancora apparsa nella mia testa, la potevo leggere nei loro occhi. «Va bene, accetto. Ma solo se tu mi prometti che la pietra si illuminerà solo tra molti, molti, molti anni». «Quello che ti posso promettere è una vita ricca di amore e di sorprese. Gabriele, è inutile che ti preoccupi ora di qualcosa che accadrà tra tanto tempo, se pensi troppo al futuro rischi di rovinare il tuo presente». «In che senso?» «Nel senso», rispose Chiara, «che non serve a nulla pensare alla persona che sarai tra anni. L’unica cosa a cui puoi pensare è il gusto del gelato che tra poco ci mangeremo». Mi sorrise, ed io con lei. Guardai quelle persone attorno a me, quelle persone eccezionali con le quali, di questo ero certo, avrei sempre condiviso i momenti tristi, quelli felici, le mie paure, i miei successi, la mia intera vita. Le osservai uscire, ridendo, dalla porta. «Amore, non vieni?», Chiara si voltò a cercarmi. «Arrivo subito, tesoro». Presi tra le mani le mie pietre, ripensai alla loro storia, al loro creatore, una parte del suo potere era in me ed io non potevo non rendergli onore. “Ti renderò fiero di me.
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È una promessa”, pensai, e, dopo un’ultima occhiata ad una stanza in cui, ne ero sicuro, sarei entrato ancora per tanto tempo, sorridendo, finalmente in pace con me stesso, raggiunsi le persone che mi avevano reso ciò che ero, mentre un ultimo pensiero mi attraversava la mente. “Preparati, mondo. Ora inizia la vera avventura di Fuoco”.
Tre anni dopo. Central Park, New York City. «Ehi, ma… cos’è?» «Che cosa?» «Vedi, questo sasso che mi ha fatto inciampare. Ehi, però… che strano… guarda come luccica. Mi piace, quasi quasi me lo porto a casa», l’uomo infilò il sasso in tasca. «Ah, già, per la tua collezione...» «Eh sì… mi manca proprio una pietra… nera».
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Ehilà! Sì sì tu, proprio tu che hai partecipato alle avventure di Gabriele fino a questo momento… Credi che la storia sia finita? No di certo, anzi, Gabriele ha appena iniziato a condividere con te le sue vicende, ma non te le può raccontare subito, deve farlo poco per volta, altrimenti arrivi alla fine e tempo due minuti ti sei già dimenticato della storia e passi ad un’altra. Ora, in questa caso, non voglio che succeda, perché Gabriele, è vero, non è reale, ma non per questo non merita di essere ricordato, vissuto, intensamente quanto egli ha vissuto le vicende di cui ti ho raccontato e con le quali ho cercato di trasmetterti un messaggio. Le difficoltà esistono da sempre, ognuno di noi le incontra prima o poi, sul proprio cammino, l’importante è non perdere mai fiducia in se stessi e nelle proprie capacità; l’amicizia, l’amore, la stima verso se stessi, anche, perché no, il controllo, la nostra personalità, la nostra indole sono piccoli semi che vanno coltivati ogni giorno, fragili fiori da curare con pazienza perché non sfioriscano. È vero, non è semplice mantenere vivo un rapporto o comprendere chi siamo, cosa vogliamo diventare, cosa siamo in grado di fare e di non fare, però hai visto… a Gabriele ci è voluto un po’ di tempo, ma ci sta riuscendo. Perché non dovresti riuscirci anche tu? Non perdere mai la fiducia e, se succede, cerca di riconquistarla… La vita riserva sempre grandi sorprese, ma solo se hai fiducia in te stesso, immaginazione e voglia di metterti in gioco riuscirai ad apprezzarle e a permettere loro di farti diventare migliore.
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INDICE
1 UNO STRANO POMERIGGIO 2 LA PIETRA BLU 3 LA SCOPERTA 4 NUOVI POTERI 5 LE PRIME INSICUREZZE 6 GABRIELE È TORNATO… LA PAURA ANCHE 7 LA VISITA 8 IL RACCONTO 9 CHE IL GIOCO ABBIA INIZIO 10 QUALCOSA IN PIÙ 11 IL POTERE DEI SENTIMENTI 12 LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA 13 LA BUFERA, IL PERICOLO E L’AMORE
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14 PICCOLI CAMBIAMENTI D’UMORE 15 UNA PIOGGIA DI GUAI 16 IL NEMICO PEGGIORE? LA TENTAZIONE 17 IL MOMENTO DELLE SCELTE 18 CIAO, VADO A COMBATTERE 19 CHE LA BATTAGLIA ABBIA INIZIO 20 LA TERRA DI FUOCO 21 IL PRINCIPE GABRIELE 22 L’ULTIMO COMPITO INDICE
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