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杂志 通过科技,领略探索的世界

POLITECNICO DI MILANO EDITORE Giulio Fagiolini Martina Pizzi Francesca Querzola 朱 超


Lo stato delle cose (digitali) I docenti conoscono poco gli studenti con i quali lavorano, per ruolo e per distanza.

Una mattinata in Facoltà e un incontro in forma di assemblea: l’impatto della

E loro (gli studenti) seguono per forza; più o meno convinti della compagnia (un

domanda produce i suoi effetti. Si comincia balbettando, impossibile sentirsi pari.

periodo breve), eseguono ciò che “noi riteniamo” sia utile che facciano. I risultati

Qualcuno dice che non se ne può fare a meno (del computer), altri che è possibile

arrivano sempre: più o meno interessanti o interessati, per loro e per noi.

“snobbarlo”, o spegnerlo. Tutti (o quasi) ammettono di sentirlo invasivo. Doveva essere uno strumento di lavoro e studio ma è diventato altro: ricerca, gioco,

Quest’anno invertiamo la tendenza, ci siamo detti. Lasciamoli parlare e fare,

amici, posta, chat, download, musica, cinema... E soldi, succhia i soldi. Qualcuno

accompagnandoli senza chiusure didattiche preconfezionate. Proviamo.

è infastidito. Perché mettere in piazza una storia così personale? Sembra che la domanda inauguri un rito: non è una confessione ma poco ci manca. Alla

Ci vuole però un tema comune, che riguardi tutti, e da vicino. Scegliamo così

chiacchierata della mattina segue una nostra richiesta: mettete nero su bianco i

qualcosa di apparentemente semplice: il rapporto tra noi e il computer. Sembrerà

vostri pensieri.

banale; e lo è, da un certo punto di vista. Tutti ne parlano con gran soddisfazione, e soprattutto è un gran “fare”. Mai come oggi (e chissà domani) sembra proprio che

Le risposte scritte della settimana successiva sono forti e chiare. Tutti identificano

questo strumento lavori nel profondo, accompagnando e scandendo le nostre vite.

il computer con un “lui”, un soggetto (quasi) paritario; qualcuno addirittura gli

Per questo ci pare un argomento tanto legato all’abitudine che valga la pena farne

ha dato un nome. Non proprio un’inversione soggetto-oggetto, ma poco ci manca.

tema di ricerca.

C’è chi se lo porta a letto (sic), lo lascia sempre acceso per sentirsi collegato. Tutti sono “nati con”, hanno cominciato alle elementari e, grazie a padri giovani, sono

Al di là dei satrapi che ne tessono solo e sempre lodi (vedi Wired), ovunque avvenga

cresciuti con. C’è chi si incazza perché “lui” non fa quello che deve. Tutti hanno

un cambiamento legato all’introduzione dei computer (cambiamento di ruoli, di

paura: di perdere dati, lavoro soprattutto. Qualcuno ha sofferto, come per un

attitudini e comportamenti), nel mondo alcuni ricercatori attenti lavorano sul

lutto. Altri chiedono uno strumento “solo” professionale, che non mischi troppe

campo (non “in vitro” ma nel quotidiano) per valutarne l’impatto. C’è chi si occupa

offerte e richieste di abilità. Ci sembra di aver aperto una diga!

degli effetti dei giochi in rete sul comportamento degli adolescenti, chi di quelli sugli scienziati che guidano una sonda su Marte. Un monitoraggio continuo (e il lavoro

Il passo successivo è più pratico ma occuperà tutto il percorso del laboratorio: divisi

dell’equipe di Sherry Turkle all’M.I.T. rappresenta bene questa impresa) affianca

in gruppi di lavoro, tutti si sono occupati dell’impatto del computer sui mestieri e

la ricerca e tiene il passo con l’innovazione. Non si tratta di un atteggiamento

sulla vita; di com’è vissuto il “vantaggio” digitale; un progetto comune fatto tramite

antitecnologico, anzi; piuttosto di attenzione e cura. Ecco il perché del tema: far

molte interviste a persone scelte e a professionisti di vari settori. I campi d’indagine

uscire, rende esplicite e consapevoli alcune pratiche quotidiane, che stanno per

sono stati: musica, fotografia, tipografia, simulazione e trasparenza, ricerca,

diventare falsamente “naturali”. Dall’inizio ci siamo convinti che gli studenti

viaggio, giornalismo, identità, lettura, pirateria...

avrebbero apprezzato. Quest’idea di uscire e guardarsi intorno, incontrare persone, cercare di capire,

POLITECNICO DI MILANO EDITORE finito di stampare nel giugno 2011

Decidiamo di chiedere loro di rendere esplicite le sensazioni che accompagnano

restare anche delusi, ha fatto breccia. Più di cento interviste (lasciate com’erano,

la loro vita “con il computer”. La nostra invece, di adulti professionisti, è stata

editate, parziali, gettate via) oggi sono raccolte in dieci pubblicazioni tematiche.

scandita da un passaggio traumatico (una rottura del modo di produzione) perché

Di cui adesso ne avete tra le mani una sola, parte del tutto. Sono diseguali ma

veniamo, se abbiamo più di quarant’anni, da esperienze analogiche, neppure

converrebbe leggerle tutte. Per intuire lo stato delle cose e la nostra consapevolezza.

coadiuvate dal digitale, e abbiamo vissuto uno strappo forte tra il prima e il dopo. Naturalmente, come tutti (chi più, chi meno), abbiamo abbozzato o ne abbiamo

Mauro Panzeri

fatto tesoro. Ma di questo gli studenti non sanno né sono tenuti a sapere. Ci vedono

PierAntonio Zanini

solo lenti e impacciati. Quindi la prima comunicazione da fare è raccontare di sé.

Marco Moro

Laboratorio di progettazione di artefatti e sistemi complessi

Anche storie legate al prima: grafici senza computer, manualità, stili, autori; poi il passaggio: i grafici di mezzo, quelli “bitmap”. E chiedere: ma voi “integrati”, come

C1 1.LM / a.a. 2010-2011

Prof. Mauro Panzeri Prof. Pier Antonio Zanini Prof. Marco Moro

ve la passate?

Laboratorio di progettazione di artefatti e sistemi complessi

Illustrazioni sviluppate a partire dai dati dell’istituto Ceris: Scienza e Tecnologia in Cifre, statistiche sulla ricerca e sull’innovazione

Communication Design Scuola del Design - Politecnico di Milano

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Lo stato delle cose (digitali) I docenti conoscono poco gli studenti con i quali lavorano, per ruolo e per distanza.

Una mattinata in Facoltà e un incontro in forma di assemblea: l’impatto della

E loro (gli studenti) seguono per forza; più o meno convinti della compagnia (un

domanda produce i suoi effetti. Si comincia balbettando, impossibile sentirsi pari.

periodo breve), eseguono ciò che “noi riteniamo” sia utile che facciano. I risultati

Qualcuno dice che non se ne può fare a meno (del computer), altri che è possibile

arrivano sempre: più o meno interessanti o interessati, per loro e per noi.

“snobbarlo”, o spegnerlo. Tutti (o quasi) ammettono di sentirlo invasivo. Doveva essere uno strumento di lavoro e studio ma è diventato altro: ricerca, gioco,

Quest’anno invertiamo la tendenza, ci siamo detti. Lasciamoli parlare e fare,

amici, posta, chat, download, musica, cinema... E soldi, succhia i soldi. Qualcuno

accompagnandoli senza chiusure didattiche preconfezionate. Proviamo.

è infastidito. Perché mettere in piazza una storia così personale? Sembra che la domanda inauguri un rito: non è una confessione ma poco ci manca. Alla

Ci vuole però un tema comune, che riguardi tutti, e da vicino. Scegliamo così

chiacchierata della mattina segue una nostra richiesta: mettete nero su bianco i

qualcosa di apparentemente semplice: il rapporto tra noi e il computer. Sembrerà

vostri pensieri.

banale; e lo è, da un certo punto di vista. Tutti ne parlano con gran soddisfazione, e soprattutto è un gran “fare”. Mai come oggi (e chissà domani) sembra proprio che

Le risposte scritte della settimana successiva sono forti e chiare. Tutti identificano

questo strumento lavori nel profondo, accompagnando e scandendo le nostre vite.

il computer con un “lui”, un soggetto (quasi) paritario; qualcuno addirittura gli

Per questo ci pare un argomento tanto legato all’abitudine che valga la pena farne

ha dato un nome. Non proprio un’inversione soggetto-oggetto, ma poco ci manca.

tema di ricerca.

C’è chi se lo porta a letto (sic), lo lascia sempre acceso per sentirsi collegato. Tutti sono “nati con”, hanno cominciato alle elementari e, grazie a padri giovani, sono

Al di là dei satrapi che ne tessono solo e sempre lodi (vedi Wired), ovunque avvenga

cresciuti con. C’è chi si incazza perché “lui” non fa quello che deve. Tutti hanno

un cambiamento legato all’introduzione dei computer (cambiamento di ruoli, di

paura: di perdere dati, lavoro soprattutto. Qualcuno ha sofferto, come per un

attitudini e comportamenti), nel mondo alcuni ricercatori attenti lavorano sul

lutto. Altri chiedono uno strumento “solo” professionale, che non mischi troppe

campo (non “in vitro” ma nel quotidiano) per valutarne l’impatto. C’è chi si occupa

offerte e richieste di abilità. Ci sembra di aver aperto una diga!

degli effetti dei giochi in rete sul comportamento degli adolescenti, chi di quelli sugli scienziati che guidano una sonda su Marte. Un monitoraggio continuo (e il lavoro

Il passo successivo è più pratico ma occuperà tutto il percorso del laboratorio: divisi

dell’equipe di Sherry Turkle all’M.I.T. rappresenta bene questa impresa) affianca

in gruppi di lavoro, tutti si sono occupati dell’impatto del computer sui mestieri e

la ricerca e tiene il passo con l’innovazione. Non si tratta di un atteggiamento

sulla vita; di com’è vissuto il “vantaggio” digitale; un progetto comune fatto tramite

antitecnologico, anzi; piuttosto di attenzione e cura. Ecco il perché del tema: far

molte interviste a persone scelte e a professionisti di vari settori. I campi d’indagine

uscire, rende esplicite e consapevoli alcune pratiche quotidiane, che stanno per

sono stati: musica, fotografia, tipografia, simulazione e trasparenza, ricerca,

diventare falsamente “naturali”. Dall’inizio ci siamo convinti che gli studenti

viaggio, giornalismo, identità, lettura, pirateria...

avrebbero apprezzato. Quest’idea di uscire e guardarsi intorno, incontrare persone, cercare di capire,

POLITECNICO DI MILANO EDITORE finito di stampare nel giugno 2011

Decidiamo di chiedere loro di rendere esplicite le sensazioni che accompagnano

restare anche delusi, ha fatto breccia. Più di cento interviste (lasciate com’erano,

la loro vita “con il computer”. La nostra invece, di adulti professionisti, è stata

editate, parziali, gettate via) oggi sono raccolte in dieci pubblicazioni tematiche.

scandita da un passaggio traumatico (una rottura del modo di produzione) perché

Di cui adesso ne avete tra le mani una sola, parte del tutto. Sono diseguali ma

veniamo, se abbiamo più di quarant’anni, da esperienze analogiche, neppure

converrebbe leggerle tutte. Per intuire lo stato delle cose e la nostra consapevolezza.

coadiuvate dal digitale, e abbiamo vissuto uno strappo forte tra il prima e il dopo. Naturalmente, come tutti (chi più, chi meno), abbiamo abbozzato o ne abbiamo

Mauro Panzeri

fatto tesoro. Ma di questo gli studenti non sanno né sono tenuti a sapere. Ci vedono

PierAntonio Zanini

solo lenti e impacciati. Quindi la prima comunicazione da fare è raccontare di sé.

Marco Moro

Laboratorio di progettazione di artefatti e sistemi complessi

Anche storie legate al prima: grafici senza computer, manualità, stili, autori; poi il passaggio: i grafici di mezzo, quelli “bitmap”. E chiedere: ma voi “integrati”, come

C1 1.LM / a.a. 2010-2011

Prof. Mauro Panzeri Prof. Pier Antonio Zanini Prof. Marco Moro

ve la passate?

Laboratorio di progettazione di artefatti e sistemi complessi

Illustrazioni sviluppate a partire dai dati dell’istituto Ceris: Scienza e Tecnologia in Cifre, statistiche sulla ricerca e sull’innovazione

Communication Design Scuola del Design - Politecnico di Milano

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4

tecnologia

Ricerca

Il termine tecnologia è una parola composita che deriva dalla parola grecaίtékhneloghia, letteralmente “discorso sull’arte”, dove con arte si intendeva quello che oggi indichiamo con la tecnica. Se la tecnica riguarda l’abilità manuale, il ragionamento diventa la razionalizzazione o comprensione dei risultati raggiunti attraverso l’azione concreta: in sintesi la tecnologia diventa il progetto della tecnica.

La ricerca scientifica è un’attività umana avente lo scopo di scoprire, interpretare e revisionare fatti, eventi, comportamenti o teorie relative alla natura usando il metodo scientifico. La ricerca scientifica è la metodologia usata per accrescere la conoscenza all’interno della scienza.

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tecnologia

Ricerca

Il termine tecnologia è una parola composita che deriva dalla parola grecaίtékhneloghia, letteralmente “discorso sull’arte”, dove con arte si intendeva quello che oggi indichiamo con la tecnica. Se la tecnica riguarda l’abilità manuale, il ragionamento diventa la razionalizzazione o comprensione dei risultati raggiunti attraverso l’azione concreta: in sintesi la tecnologia diventa il progetto della tecnica.

La ricerca scientifica è un’attività umana avente lo scopo di scoprire, interpretare e revisionare fatti, eventi, comportamenti o teorie relative alla natura usando il metodo scientifico. La ricerca scientifica è la metodologia usata per accrescere la conoscenza all’interno della scienza.

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indice

9

58

10

57

9 // Introduzione 54

12

10 // Speakers 12 // In principio era Ricerca 14 // Intervista Anna Tampieri

52

14

19 // Che significato ha la parola tecnologia nel tuo lavoro ? 20 // Intervista Cinzia Dellavalle 24 // Una questione di numeri 26 // Intervista Marco Fattore 19

48

31 // Che ruolo assume la ricerca nel tuo lavoro? 32 // Intervista Stefano Caserini 38 // Linguaggio Visuale

20

40 // Intervista Paolo Ciuccarelli 47

47 // Quali sono i fattori che hanno permesso di rendere i risultati della ricerca scientifica un prodotto commercializzabile? 48 // Intervista Francesco Franchi

24

52 // La Poesia della Scienza 54 // Intervista Denis Santachiara

40

57 // Nel tuo lavoro la tecnologia può rappresentare un limite? 58 // Intervista Paolo Rosa

26

38 32

31

Legenda Ricerca

6

Dati

Infografica

Design

Domande comuni

7


indice

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58

10

57

9 // Introduzione 54

12

10 // Speakers 12 // In principio era Ricerca 14 // Intervista Anna Tampieri

52

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19 // Che significato ha la parola tecnologia nel tuo lavoro ? 20 // Intervista Cinzia Dellavalle 24 // Una questione di numeri 26 // Intervista Marco Fattore 19

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31 // Che ruolo assume la ricerca nel tuo lavoro? 32 // Intervista Stefano Caserini 38 // Linguaggio Visuale

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40 // Intervista Paolo Ciuccarelli 47

47 // Quali sono i fattori che hanno permesso di rendere i risultati della ricerca scientifica un prodotto commercializzabile? 48 // Intervista Francesco Franchi

24

52 // La Poesia della Scienza 54 // Intervista Denis Santachiara

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57 // Nel tuo lavoro la tecnologia può rappresentare un limite? 58 // Intervista Paolo Rosa

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Legenda Ricerca

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Dati

Infografica

Design

Domande comuni

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RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGIA Queste pagine nascono con l’ambizione di trattare tematiche di carattere tecnologico e di come queste, attraverso la ricerca riescano a influenzare la cultura, l’economia, la politica e la vita quotidiana. Le cosiddette “Scienze” di un tempo come la matematica e la fisica sono confluite in un fiume ben più grosso, quello della tecnologia, arrivando così a bagnare molte più spiagge, cambiando con un impronta sempre più incisiva la vita di sempre più persone.

Con questo esperimento editoriale si vuole indagare il modo con cui la tecnologia interviene nella ricerca. Con la possibilità di gestire molti più dati, e attraverso l’utilizzo di macchinari di analisi è completamente cambiato il modo di fare ricerca. Come sono avvenuti questi cambiamenti? Attraverso quali meccanismi la ricerca diventa patrimonio culturale della popolazione e riesce a diventare progresso reale? Uno degli strumenti che di recente ha avuto una larga diffusione sono le infografiche, schemi che permettono e semplificano la rappresentazione di dati, attraverso l’utilizzo di artifici grafici e talvolta artistici. Ci è sembrato utile e interessante conoscere i meccanismi di rappresentazione dei dati, per migliorarne la comprensione e la diffusione, arrivando ad indagare le differenze di priorità nella rappresentazione di dati tecnici e la rappresentazione di dati per la fruizione del pubblico. Si è quindi deciso di parlare con chi veramente si occupa di ricerca e capire a che livello entra la tecnologia, e in quali compiti esprime il suo essere “indispensabile”; Con chi con i ricercatori ci deve lavorare, per comunicare le loro scoperte o per ampliarne l'analisi con sistemi di dati e analizzarne le tendenze. Abbiamo quindi proseguito parlando con chi si occupa di infografica e diffusione di conoscenze servendosi di dati. Infine abbiamo ritenuto indispensabile parlare con il settore delle industrie creative. Partendo dalla ricerca scientifica il passo è infinitamente breve verso il mercato globalizzato e quindi la larga diffusione. Quelli che prima sono modelli teorici in un niente diventano modelli di vita. Come avviene questo passaggio? Quanto si rivelano importanti le tecnologie in questo loro processo? Nel corso della storia, non ci si è mai preoccupati di rendere la scienza un boccone appetibile per l’uomo comune, rendendola di fatto una disciplina autoreferenziale pronta a dialogare solo con se stessa. Lo sviluppo tecnologico del ventesimo secolo ha permesso di superare la barriera che gli scienziati avevano inconsapevolmente costruito attorno sé. Ne deriva un panorama scientifico, informativo e culturale completamente mutato, che merita di essere approfondito per coglierne prospettive di sviluppo e opportunità. NOTE REDAZIONALI Il libro è strutturato in quattro parti, ognuna dedicata a figure professionali diverse. Le varie sezioni dialogano attraverso un secondo livello di lettura costituito da pagine di raccordo dove vengono confrontate risposte alle stesse domande da parte di figure professionali diverse.

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RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGIA Queste pagine nascono con l’ambizione di trattare tematiche di carattere tecnologico e di come queste, attraverso la ricerca riescano a influenzare la cultura, l’economia, la politica e la vita quotidiana. Le cosiddette “Scienze” di un tempo come la matematica e la fisica sono confluite in un fiume ben più grosso, quello della tecnologia, arrivando così a bagnare molte più spiagge, cambiando con un impronta sempre più incisiva la vita di sempre più persone.

Con questo esperimento editoriale si vuole indagare il modo con cui la tecnologia interviene nella ricerca. Con la possibilità di gestire molti più dati, e attraverso l’utilizzo di macchinari di analisi è completamente cambiato il modo di fare ricerca. Come sono avvenuti questi cambiamenti? Attraverso quali meccanismi la ricerca diventa patrimonio culturale della popolazione e riesce a diventare progresso reale? Uno degli strumenti che di recente ha avuto una larga diffusione sono le infografiche, schemi che permettono e semplificano la rappresentazione di dati, attraverso l’utilizzo di artifici grafici e talvolta artistici. Ci è sembrato utile e interessante conoscere i meccanismi di rappresentazione dei dati, per migliorarne la comprensione e la diffusione, arrivando ad indagare le differenze di priorità nella rappresentazione di dati tecnici e la rappresentazione di dati per la fruizione del pubblico. Si è quindi deciso di parlare con chi veramente si occupa di ricerca e capire a che livello entra la tecnologia, e in quali compiti esprime il suo essere “indispensabile”; Con chi con i ricercatori ci deve lavorare, per comunicare le loro scoperte o per ampliarne l'analisi con sistemi di dati e analizzarne le tendenze. Abbiamo quindi proseguito parlando con chi si occupa di infografica e diffusione di conoscenze servendosi di dati. Infine abbiamo ritenuto indispensabile parlare con il settore delle industrie creative. Partendo dalla ricerca scientifica il passo è infinitamente breve verso il mercato globalizzato e quindi la larga diffusione. Quelli che prima sono modelli teorici in un niente diventano modelli di vita. Come avviene questo passaggio? Quanto si rivelano importanti le tecnologie in questo loro processo? Nel corso della storia, non ci si è mai preoccupati di rendere la scienza un boccone appetibile per l’uomo comune, rendendola di fatto una disciplina autoreferenziale pronta a dialogare solo con se stessa. Lo sviluppo tecnologico del ventesimo secolo ha permesso di superare la barriera che gli scienziati avevano inconsapevolmente costruito attorno sé. Ne deriva un panorama scientifico, informativo e culturale completamente mutato, che merita di essere approfondito per coglierne prospettive di sviluppo e opportunità. NOTE REDAZIONALI Il libro è strutturato in quattro parti, ognuna dedicata a figure professionali diverse. Le varie sezioni dialogano attraverso un secondo livello di lettura costituito da pagine di raccordo dove vengono confrontate risposte alle stesse domande da parte di figure professionali diverse.

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SPEAKERS

anna TAMPIERI CNR Faenza

CINZIA DELLA VALLE Politecnico di Milano

stefano caserini Politecnico di Milano

MARCO fATTORE Università Bicocca

10

Nata a Faenza nel 1960, laureata in Chimica e Tec. Far. all’Università di Bologna nel 1985 con lode, una formazione creatasi tra gli Stati Uniti e il Giappone, dal 1998 è coordinatore del gruppo Bioceramici presso l’ISTEC-CNR e dal 2001 e Autrice di 150 pubblicazioni su riviste e inventore di 11 bretti internazionali. Tiene numerosi corsi e lezioni nell’ambito di corsi di specializzazione, dottorati e masters presso le università di Ferrara, Bologna, Padova, Milano e La Cattolica di Roma, Lione e Basilea. Nel 2000 acquisisce inoltre la carica di Presidente di FIN-CERAMICA Biomedical Solution SpA di Faenza, un’impresa che opera nel settore biomedicale.

Laureato in Architettura al Politecnico di Milano, diventa nel 2001 ricercatore presso il Dipartimento INDACO del Politecnico e dal 2005 professore associato alla Facoltà del Design della Comunicazione portando avanti il Laboratorio di ricerca Density Design. L’attività di ricerca è focalizzata principalmente sul ruolo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’innovazione di prodotto e di processo, con particolare attenzione ai meccanismi di trasferimento di informazioni e conoscenza all’internod ei progetti creativi e progettuali.

PAOLo CIUCCARELLi

Laureata in Ingegneria Biomedica al Politecnico di Milano, è stata per due anni Ricercatrice a contratto presso il Dipartimento di Chimica “ Giulio Natta” del Politecnico di Milano, ora frequenta il PhD in Ingegneria dei Materiali sempre nel gruppo del prof. Roberto Chiesa. Si occupa costantemente di tematiche relative ai biomateriali metallici, in particolare per le applicazioni nel campo dell’implantologia odontoiatrica. Ha ampliato le sue conoscenze nel campo della caratterizzazione microbiologica presso la “ School of Pharmacy and Biomolecular Sciences of Brighton University (UK)”. E’ relatrice a congressi nazionali e internazionali nel campo dei biomateriali e consulente per alcune aziende in California.

Classe 1982, Francesco Franchi è dal 2008 Art Director di “IL”, il mensile del Sole 24 Ore. Laureato al Politecnico di Milano, e successivamente specializzatosi alla London Metropolitan University è uno dei protagonisti più promettenti della scena italiana e internazionale per quel che riguarda il design editoriale. Ha riscosso premi e pubblicazioni in tutta europa ed è giornalista professionista dal 2010.

francesco franchi

Nato a Lodi nel 1965, laureato in Ingegneria Ambientale al Politecnico di Milano nel 1991. Dottorato di Ricerca in Ingegneria Ambientale presso il Politecnico di Milano nel 1995. Dal 2001 è docente a contratto presso il Politecnico di Milano, ove svolge attività di ricerca sull’inquinamento dell’aria e la mitigazione dei cambiamenti climatici.

Classe 1950, nato a Campagnola in provincia di Reggio Emilia, inizia la sua attività di designer nel 1980 attratto dalle potenzialità poetico-linguistiche del mondo artificiale e delle nuove tecnologie e dai processi estetici che ne possono nascere in ambito industriale. Realizza opere al confine tra arte e design che vengono fin da subito esposte alla Biennale di Venezia, a Documenta 8 di Kassel, alla Triennale di Milano e al Centre Pompidou e al Grand Palais di Parigi e al Berlage Museum di Amsterdam. Ha collaborato e tutt’ora collabora con aziende italiane e straniere per il design e la ricerca di nuovi prodotti.

DENIS SANTACHIARA

Nato a Milano nel 1969, sposato con tre figli, è laureato in Fisica Teorica ed ha conseguito un dottorato in Statistica Economica. Ora è ricercatore confermato in Statistica Economica, presso l’Universitą Bicocca. Recentemente, ho iniziato ad occuparmi del problema della rappresentazione grafica e della comunicazione dell’informazione statistico-economica, collaborando con alcuni docenti della Facoltà del Design del Politecnico di Milano. L’obiettivo è quello di integrare metodi statistici e strumenti di design per produrre rappresentazioni efficaci dell’informazione economica, a fini di comunicazione pubblica.

Nato a Rimini nel 1949, svolge la sua attività all’interno dello Studio Azzurro, un ambito di ricerca artistica sul video e sui nuovi linguaggi introdotti dalla tecnologia. Dopo gli studi all’Accademia di Brera, si occupa di Arti Visive partecipando a varie esposizioni e promuovendo varie iniziative (“Laboratorio di Comunicazione Militante” e “Fabbrica di Comunicazione”). Si interessa di cinema dal 1979, mentre dal 1982 fa parte di Studio Azzurro. Da parecchi anni si interessa alle attuali problematiche dell’interattività e del multimediale realizzando una serie di “ambienti sensibili”. Inoltre, ha realizzato numerosi programmi video e televisivi, è intervenuto con scritti e riflessioni teoriche, ha svolto attività in campo formativo e didattico con workshop e seminari.

PAOLO ROSA

Density Design

IL magazine

Designer

Studio Azzurro

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SPEAKERS

anna TAMPIERI CNR Faenza

CINZIA DELLA VALLE Politecnico di Milano

stefano caserini Politecnico di Milano

MARCO fATTORE Università Bicocca

10

Nata a Faenza nel 1960, laureata in Chimica e Tec. Far. all’Università di Bologna nel 1985 con lode, una formazione creatasi tra gli Stati Uniti e il Giappone, dal 1998 è coordinatore del gruppo Bioceramici presso l’ISTEC-CNR e dal 2001 e Autrice di 150 pubblicazioni su riviste e inventore di 11 bretti internazionali. Tiene numerosi corsi e lezioni nell’ambito di corsi di specializzazione, dottorati e masters presso le università di Ferrara, Bologna, Padova, Milano e La Cattolica di Roma, Lione e Basilea. Nel 2000 acquisisce inoltre la carica di Presidente di FIN-CERAMICA Biomedical Solution SpA di Faenza, un’impresa che opera nel settore biomedicale.

Laureato in Architettura al Politecnico di Milano, diventa nel 2001 ricercatore presso il Dipartimento INDACO del Politecnico e dal 2005 professore associato alla Facoltà del Design della Comunicazione portando avanti il Laboratorio di ricerca Density Design. L’attività di ricerca è focalizzata principalmente sul ruolo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’innovazione di prodotto e di processo, con particolare attenzione ai meccanismi di trasferimento di informazioni e conoscenza all’internod ei progetti creativi e progettuali.

PAOLo CIUCCARELLi

Laureata in Ingegneria Biomedica al Politecnico di Milano, è stata per due anni Ricercatrice a contratto presso il Dipartimento di Chimica “ Giulio Natta” del Politecnico di Milano, ora frequenta il PhD in Ingegneria dei Materiali sempre nel gruppo del prof. Roberto Chiesa. Si occupa costantemente di tematiche relative ai biomateriali metallici, in particolare per le applicazioni nel campo dell’implantologia odontoiatrica. Ha ampliato le sue conoscenze nel campo della caratterizzazione microbiologica presso la “ School of Pharmacy and Biomolecular Sciences of Brighton University (UK)”. E’ relatrice a congressi nazionali e internazionali nel campo dei biomateriali e consulente per alcune aziende in California.

Classe 1982, Francesco Franchi è dal 2008 Art Director di “IL”, il mensile del Sole 24 Ore. Laureato al Politecnico di Milano, e successivamente specializzatosi alla London Metropolitan University è uno dei protagonisti più promettenti della scena italiana e internazionale per quel che riguarda il design editoriale. Ha riscosso premi e pubblicazioni in tutta europa ed è giornalista professionista dal 2010.

francesco franchi

Nato a Lodi nel 1965, laureato in Ingegneria Ambientale al Politecnico di Milano nel 1991. Dottorato di Ricerca in Ingegneria Ambientale presso il Politecnico di Milano nel 1995. Dal 2001 è docente a contratto presso il Politecnico di Milano, ove svolge attività di ricerca sull’inquinamento dell’aria e la mitigazione dei cambiamenti climatici.

Classe 1950, nato a Campagnola in provincia di Reggio Emilia, inizia la sua attività di designer nel 1980 attratto dalle potenzialità poetico-linguistiche del mondo artificiale e delle nuove tecnologie e dai processi estetici che ne possono nascere in ambito industriale. Realizza opere al confine tra arte e design che vengono fin da subito esposte alla Biennale di Venezia, a Documenta 8 di Kassel, alla Triennale di Milano e al Centre Pompidou e al Grand Palais di Parigi e al Berlage Museum di Amsterdam. Ha collaborato e tutt’ora collabora con aziende italiane e straniere per il design e la ricerca di nuovi prodotti.

DENIS SANTACHIARA

Nato a Milano nel 1969, sposato con tre figli, è laureato in Fisica Teorica ed ha conseguito un dottorato in Statistica Economica. Ora è ricercatore confermato in Statistica Economica, presso l’Universitą Bicocca. Recentemente, ho iniziato ad occuparmi del problema della rappresentazione grafica e della comunicazione dell’informazione statistico-economica, collaborando con alcuni docenti della Facoltà del Design del Politecnico di Milano. L’obiettivo è quello di integrare metodi statistici e strumenti di design per produrre rappresentazioni efficaci dell’informazione economica, a fini di comunicazione pubblica.

Nato a Rimini nel 1949, svolge la sua attività all’interno dello Studio Azzurro, un ambito di ricerca artistica sul video e sui nuovi linguaggi introdotti dalla tecnologia. Dopo gli studi all’Accademia di Brera, si occupa di Arti Visive partecipando a varie esposizioni e promuovendo varie iniziative (“Laboratorio di Comunicazione Militante” e “Fabbrica di Comunicazione”). Si interessa di cinema dal 1979, mentre dal 1982 fa parte di Studio Azzurro. Da parecchi anni si interessa alle attuali problematiche dell’interattività e del multimediale realizzando una serie di “ambienti sensibili”. Inoltre, ha realizzato numerosi programmi video e televisivi, è intervenuto con scritti e riflessioni teoriche, ha svolto attività in campo formativo e didattico con workshop e seminari.

PAOLO ROSA

Density Design

IL magazine

Designer

Studio Azzurro

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scientifica

I continui avanzamenti scientifici, hanno portato alla ribalta il ruolo sempre più importante della tecnologia nella ricerca. è quindi interessante chiedersi esattamente che cosa un oggetto tecnologico ci permetta di scoprire in più, e se questo sia essenziale per certi tipi di ricerca. Abbiamo interpellato chi di ricerca s’intende, per capire non solo quanto la tecnologia rappresenti un potente strumento di investigazione, i suoi limiti, e come le sue caratteristiche intrinseche siano qualitativamente e quantitativamente complementari alle capacità umane, ma anche se possa essere utile alla comunicazione dei risultati della ricerca stessa.


scientifica

I continui avanzamenti scientifici, hanno portato alla ribalta il ruolo sempre più importante della tecnologia nella ricerca. è quindi interessante chiedersi esattamente che cosa un oggetto tecnologico ci permetta di scoprire in più, e se questo sia essenziale per certi tipi di ricerca. Abbiamo interpellato chi di ricerca s’intende, per capire non solo quanto la tecnologia rappresenti un potente strumento di investigazione, i suoi limiti, e come le sue caratteristiche intrinseche siano qualitativamente e quantitativamente complementari alle capacità umane, ma anche se possa essere utile alla comunicazione dei risultati della ricerca stessa.


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anna t a mp i e r i

L’ISTEC effettua ricerca sull’innovazione di materiali e processi in risposta alle emergenti esigenze del comparto industriale, scientifico e culturale nazionale, per i vari settori applicativi. Le competenze riguardano lo studio di base e caratterizzazione di materie prime e di materiali densi, la messa a punto ed ottimizzazione di processi innovativi per la sintesi delle polveri, la formatura e la sinterizzazione dei materiali, allo scopo di sviluppare competenze sulla produzione di materiali per specifiche applicazioni nei settori dei ceramici avanzati, dei ceramici tradizionali, dei beni culturali ma anche in ambito biomedicale; è proprio in quest’ultimo che l’istituto ha sviluppato l’idea di sostituire il tessuto osseo con quello ligneo, opportunamente “trattato” per renderlo perfettamente compativo e sostitutivo nelle protesi.

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2

+

Ci può raccontare brevemente l’ambito in cui avete sviluppato questo progetto così ambizioso con il legno?

Fino ad adesso quindi anche voi siete stati abituati a ragionare in quest’ordine di idee?

Io mi occupo di nanotecnologie per la medicina rigenerativa, nello specifico mi sono dedicata alla rigenerazione ossea, osteocartilaginea e tendinea. Fino ad alcuni anni fà si cercava principalmente di riprodurre le caratteristiche strutturali dell’organismo e quindi ci si concentrava sulle propriet’ meccaniche delle protesi. Questo approccio sì è però rivelato estremamente invasivo perché il chirurgo deve asportare grandi porzioni di osso per inserire la protesi metallica che si porta con sè i relativi limiti legati al materiale utilizzato per ottenere le proprietà meccaniche richieste, il quale col tempo genera attorno all’osso un processo infiammatorio che è progressivo. Con l’applicazione di questi materiali, una protesi ideale dura dai 10 ai 15 anni. Questo ci può far capire come sia cambiata la mentalità: oggi si progettano materiali biomimetici ovvero esattamente come quelli che noi andiamo a sostituire: si è in grado di riprodurre un osso nella sua complessità, sia dal punto di vista chimico-fisico sia morfologico cioè nella struttura e nella forma vera e propria.

Sì, in particolare un progetto che noi abbiamo fatto e che ha avuto dei grossi encomi a livello internazionale alla fine del 2008 riguarda il processo di biomineralizzazione deolongicamente ispirato, attraverso cui siamo in grado di ricostruire il tessuto osseo dal punto di vista chimico-fisico: facciamo in un becker quello che avviene nell’organismo. Questo pur essendo stato un grande risultato non aveva ancora risolto alcuni problemi. Pur essendo perfetto dal punto di vista della composizione non può riprodurre la struttura complessa dell’osso. Esaminando un femore è impossibile non notare la struttura interna gerarchicamente organizzata: una morfologia e un’ultrastruttura che dipendono dalla funzione che quell’osso deve svolgere; questo in scienza dei materiali è molto difficile da fare, perchè anche procedendo per step successivi implica una discontinuità e in meccanica una discontinuità costituisce un punto di rottura, con i relativi costi. Per fare questo le tecniche più utilizzate oggi sono quelle del RAPID PROTOTYPING e FAST MANIFACTURING cioè macchine che dal file di

}

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una comune tac sono in grado di decodificare la forma dell’osso e ricostruirla. Questo processo però funziona solo in linea teorica infatti è estremamente complesso cuocere i materiali inorganici di cui l’osso è costituito per più del 70% i quali durante la cottura a 1200 gradi si densificano e si restringono, cambiando sia la forma che la struttura. Ed è qui che nasce la vostra idea giusto? Sì, la nostra idea è stata quella di sfruttare ciò che la natura già fà, e di gran lunga meglio che un ingegnere: gli alberi. Analizzando il legno si nota che la struttura è molto simile a quella del tessuto osseo umano: uguale nelle tre direzioni dello spazio. Attraverso trattamenti di questo tipo la cellula sente lo spazio tridimensionale intorno a sé: è un nuovo concetto che si chiama di “tensegrity” per cui la cellula risente del suo ambiente circostante meccanicamente parlando e riproduce un tessuto uguale a ciò che ha intorno. Per avere un osso organizzato devo dare alla cellula un ambiente organizzato. Ci serviva quindi un tessuto che somigliasse al tessuto osseo umano, e quello dell’albero era sorprendentemente simile a quello umano. La quercia rossa ad 15


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L’ISTEC effettua ricerca sull’innovazione di materiali e processi in risposta alle emergenti esigenze del comparto industriale, scientifico e culturale nazionale, per i vari settori applicativi. Le competenze riguardano lo studio di base e caratterizzazione di materie prime e di materiali densi, la messa a punto ed ottimizzazione di processi innovativi per la sintesi delle polveri, la formatura e la sinterizzazione dei materiali, allo scopo di sviluppare competenze sulla produzione di materiali per specifiche applicazioni nei settori dei ceramici avanzati, dei ceramici tradizionali, dei beni culturali ma anche in ambito biomedicale; è proprio in quest’ultimo che l’istituto ha sviluppato l’idea di sostituire il tessuto osseo con quello ligneo, opportunamente “trattato” per renderlo perfettamente compativo e sostitutivo nelle protesi.

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Ci può raccontare brevemente l’ambito in cui avete sviluppato questo progetto così ambizioso con il legno?

Fino ad adesso quindi anche voi siete stati abituati a ragionare in quest’ordine di idee?

Io mi occupo di nanotecnologie per la medicina rigenerativa, nello specifico mi sono dedicata alla rigenerazione ossea, osteocartilaginea e tendinea. Fino ad alcuni anni fà si cercava principalmente di riprodurre le caratteristiche strutturali dell’organismo e quindi ci si concentrava sulle propriet’ meccaniche delle protesi. Questo approccio sì è però rivelato estremamente invasivo perché il chirurgo deve asportare grandi porzioni di osso per inserire la protesi metallica che si porta con sè i relativi limiti legati al materiale utilizzato per ottenere le proprietà meccaniche richieste, il quale col tempo genera attorno all’osso un processo infiammatorio che è progressivo. Con l’applicazione di questi materiali, una protesi ideale dura dai 10 ai 15 anni. Questo ci può far capire come sia cambiata la mentalità: oggi si progettano materiali biomimetici ovvero esattamente come quelli che noi andiamo a sostituire: si è in grado di riprodurre un osso nella sua complessità, sia dal punto di vista chimico-fisico sia morfologico cioè nella struttura e nella forma vera e propria.

Sì, in particolare un progetto che noi abbiamo fatto e che ha avuto dei grossi encomi a livello internazionale alla fine del 2008 riguarda il processo di biomineralizzazione deolongicamente ispirato, attraverso cui siamo in grado di ricostruire il tessuto osseo dal punto di vista chimico-fisico: facciamo in un becker quello che avviene nell’organismo. Questo pur essendo stato un grande risultato non aveva ancora risolto alcuni problemi. Pur essendo perfetto dal punto di vista della composizione non può riprodurre la struttura complessa dell’osso. Esaminando un femore è impossibile non notare la struttura interna gerarchicamente organizzata: una morfologia e un’ultrastruttura che dipendono dalla funzione che quell’osso deve svolgere; questo in scienza dei materiali è molto difficile da fare, perchè anche procedendo per step successivi implica una discontinuità e in meccanica una discontinuità costituisce un punto di rottura, con i relativi costi. Per fare questo le tecniche più utilizzate oggi sono quelle del RAPID PROTOTYPING e FAST MANIFACTURING cioè macchine che dal file di

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una comune tac sono in grado di decodificare la forma dell’osso e ricostruirla. Questo processo però funziona solo in linea teorica infatti è estremamente complesso cuocere i materiali inorganici di cui l’osso è costituito per più del 70% i quali durante la cottura a 1200 gradi si densificano e si restringono, cambiando sia la forma che la struttura. Ed è qui che nasce la vostra idea giusto? Sì, la nostra idea è stata quella di sfruttare ciò che la natura già fà, e di gran lunga meglio che un ingegnere: gli alberi. Analizzando il legno si nota che la struttura è molto simile a quella del tessuto osseo umano: uguale nelle tre direzioni dello spazio. Attraverso trattamenti di questo tipo la cellula sente lo spazio tridimensionale intorno a sé: è un nuovo concetto che si chiama di “tensegrity” per cui la cellula risente del suo ambiente circostante meccanicamente parlando e riproduce un tessuto uguale a ciò che ha intorno. Per avere un osso organizzato devo dare alla cellula un ambiente organizzato. Ci serviva quindi un tessuto che somigliasse al tessuto osseo umano, e quello dell’albero era sorprendentemente simile a quello umano. La quercia rossa ad 15


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esempio ha dei canali simili a quelli dove nel corpo umano scorrono i vasi sanguigni e una strutura lamellare simile all’osso. Abbiamo così pensato di trasformare la cellulosa e la lignina senza cambiare nulla di tutto quello che si vede, lo trasformiamo in hidrossiapatite: un calcio fosfato che rappresenta più del 70% in peso della fase componente l’osso. Mettendo a punto questa trasformazione abbiamo ottenuto dal legno l’osso, un osso che ha la morfologia del legno. Il legno in questo caso ha il valore aggiunto di essere un materiale gerarchicamente organizzato come l’osso, caratteristica unica per il momento. I risultati dei test sulle pecore mostrano che sono in grado di supportate il carico di un osso lungo che è una delle applicazioni più richieste per questi materiali.

“oggi quello che fa la differenza è la fantasia di saper implementare un metodo che la natura ha già studiato, questa si può chiamare un’intuizione no?”

Una precisazione sulla macchina ricostruttiva di cui parlava prima, mi può parlare di questo limite della tecnologia?

Il rapid prototyping è un macchinario che funziona molto bene attraverso la fusione di composti chimici basso fondenti. Queste tecnologie hanno come limite il fatto che il loro utilizzo richiede obbligatoriamente delle plastiche come fondenti e si caratterizza anche per un limite di carattere informatico dovuto all’irregolarità dell’osso nelle tre dimensioni che rende la mole di dati necessaria alla sua costruzione un ostacolo difficile da superare. La capacità di calcolo attuale è tale per cui sono in grado di riprodurre solo un pezzettino di un centimetro per un centimetro. Si sta lavorando nella direzione del RAPID MANIFACTURING, ma c’è anche un altro aspetto che complica questi tipi di approccio: se lavorando sul legno io lavoro a livello molecolare vado a modificare la composizione chimica che è alla base di tutto questo processo, lavorando con un rapid prototyper non potrò mai oggi come oggi lavorare con una risoluzione paragonabile, anche solo se si pensa che la dimensione minima di una goccia è 0.03 mm, si capisce in che termini di dimensioni stiamo parlando. Oggi quindi si cerca di lavorare tramite questi processi chiamati biomorfici proprio perché si va ad adattare chimicamente qualcosa che la natura ha già costruito con un controllo nanostrutturato, che è bellissimo. Oltre alla presenza di questa macchina vi sono altre tecnologie che possono avervi aiutato ? No, appunto, oggi quello che fa la differenza è la fantasia di saper utilizzare un metodo che la natura ha già studiato e implementarlo a mio piacimento, questa si può chiamare un’intuizione no? Oggigiorno le nanotecnologie intese come costruzione di materiali nanostrutturati sono poche, oppure sono dedicate a device estremamente piccoli . Quello che deve fare un biomaterialista invece è costruire un femore con un controllo nanostrutturato, che non è quello

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che si intende solitamente con piccolo. È molto più semplice per chi si occupa di elettronica, dovendo occuparsi di costruire un oggetto che dovrà stare in due millimetri quadrati di spazio. Qui la cosa è molto diversa: noi abbiamo un problema macro che deve essere risolto con un controllo nanostrutturato. Cosa ci dice invece di quanto concerne la raccolta dei dati della ricerca e delle modalità con le quali trasmettete i risultati ottenuti? Tragedia! Il ricercatore non è per nulla preparato a trasferire i propri dati: noi abbiamo come compito quello di pubblicare i nostri studi nelle riviste di settore. Abbiamo poi brevettato questa idea e fortunatamente alcuni illuminati editori del settore puramente scientifico e dal target ben specifico che hanno riconosciuto l’alto livello d’innovazione presente nel nostro progetto. È stato quindi l’editore a far partire la scintilla, che poi è stata diffusa con una rassegna stampa: “For the first time an italian scientist has trasformed wood into bone“. E da quel momento è scoppiata la bolla mediatica, il Time magazine ha espresso il desiderio di fare un servizio sul progetto, è venuta la BBC qui nei nostri uffici a fare un’intervista e anche i telegiornali italiani hanno dimostrato interesse, tanto che il giorno dopo tutti gli amici ricercatori in giro per il mondo mi han chiamato stupefatti. A seguito di questi eventi è cominciata una diffusione non solo scientifica come di solito avviene per queste conoscenze, ma appunto divulgativa. Un aspetto interessante è il fatto che ci abbiano contattato persino dei designer intenzionati a creare sedie in”ossolegno”, insomma la gente più disparata voleva utilizzare “l’osso” per creare oggetti o qualunque altra cosa. Per ciò che concerne la comunicazione, credo di poter dire che il nostro gruppo si differenzi dalle altre realtà per essere sostenuto dal punto di vista economico da progetti europei: il progetto europeo nella sua struttura prevede una parte di dissemination dell’informazione, e per questo motivo noi siamo obbligati a curare questo aspetto sia a livello scientifico che a livello divulgativo. A differenza di altri gruppi di ricerca noi non abbiamo un approccio totalmente scientifico, ad esempio, un gruppo finanziato dalla nasa è facilmente comprensibile che non sia interessato alla diffusione dei dati ad un pubblico più ampio, ma si limita a restituire un ritorno informativo puramente scientifico. Il nostro approccio è quindi più sensibile rispetto alla media: siamo obbligati a dimostrare di aver effettuato dissemination ai giovani, sia a livello accademico che divulgativo, oltre al relazionarsi al mondo medico che essendo sempre in contatto con pazienti permette un’apertura maggiore rispetto ad altri settori . La comunità ha poi eletto questo come suo progetto per l’anno 2009, è venuta nella nostra sede per girare un film improntato a spiegare il progetto con un linguaggio molto semplice ai bambini delle scuole elementari. Ne è stato fatto uno anche per i licei e l’università: questo fa capire come il mondo scientifico abbia capito l’importanza dello scambio tra il mondo della ricerca e l’esterno. Questo passo è molto importante per la comprensione del valore che la ricerca contiene e conseguentemente una sensibilizzazione sulla necessità che ha di essere finanziata. Il trasferimento di informazioni tuttavia non interessa solamente il ricercatore e il mondo comune, ma è una necessità

GERMANIA 16,2 %

SPAGNA 5,5 %

REGNO UNITO 9,8 %

UE ITALIA 7,9 %

FRANCIA 8,2 %

La partecipazione delle istituzioni ai 959 progetti di ricerca infrastrutturale finanziati dal VI Programma quadro dell’Unione europea in alcuni paesi dell’Europa Fonte: European Commission, A more research-intensive and integrated European Research Area, STC key figures report 2008/2009. 17


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esempio ha dei canali simili a quelli dove nel corpo umano scorrono i vasi sanguigni e una strutura lamellare simile all’osso. Abbiamo così pensato di trasformare la cellulosa e la lignina senza cambiare nulla di tutto quello che si vede, lo trasformiamo in hidrossiapatite: un calcio fosfato che rappresenta più del 70% in peso della fase componente l’osso. Mettendo a punto questa trasformazione abbiamo ottenuto dal legno l’osso, un osso che ha la morfologia del legno. Il legno in questo caso ha il valore aggiunto di essere un materiale gerarchicamente organizzato come l’osso, caratteristica unica per il momento. I risultati dei test sulle pecore mostrano che sono in grado di supportate il carico di un osso lungo che è una delle applicazioni più richieste per questi materiali.

“oggi quello che fa la differenza è la fantasia di saper implementare un metodo che la natura ha già studiato, questa si può chiamare un’intuizione no?”

Una precisazione sulla macchina ricostruttiva di cui parlava prima, mi può parlare di questo limite della tecnologia?

Il rapid prototyping è un macchinario che funziona molto bene attraverso la fusione di composti chimici basso fondenti. Queste tecnologie hanno come limite il fatto che il loro utilizzo richiede obbligatoriamente delle plastiche come fondenti e si caratterizza anche per un limite di carattere informatico dovuto all’irregolarità dell’osso nelle tre dimensioni che rende la mole di dati necessaria alla sua costruzione un ostacolo difficile da superare. La capacità di calcolo attuale è tale per cui sono in grado di riprodurre solo un pezzettino di un centimetro per un centimetro. Si sta lavorando nella direzione del RAPID MANIFACTURING, ma c’è anche un altro aspetto che complica questi tipi di approccio: se lavorando sul legno io lavoro a livello molecolare vado a modificare la composizione chimica che è alla base di tutto questo processo, lavorando con un rapid prototyper non potrò mai oggi come oggi lavorare con una risoluzione paragonabile, anche solo se si pensa che la dimensione minima di una goccia è 0.03 mm, si capisce in che termini di dimensioni stiamo parlando. Oggi quindi si cerca di lavorare tramite questi processi chiamati biomorfici proprio perché si va ad adattare chimicamente qualcosa che la natura ha già costruito con un controllo nanostrutturato, che è bellissimo. Oltre alla presenza di questa macchina vi sono altre tecnologie che possono avervi aiutato ? No, appunto, oggi quello che fa la differenza è la fantasia di saper utilizzare un metodo che la natura ha già studiato e implementarlo a mio piacimento, questa si può chiamare un’intuizione no? Oggigiorno le nanotecnologie intese come costruzione di materiali nanostrutturati sono poche, oppure sono dedicate a device estremamente piccoli . Quello che deve fare un biomaterialista invece è costruire un femore con un controllo nanostrutturato, che non è quello

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che si intende solitamente con piccolo. È molto più semplice per chi si occupa di elettronica, dovendo occuparsi di costruire un oggetto che dovrà stare in due millimetri quadrati di spazio. Qui la cosa è molto diversa: noi abbiamo un problema macro che deve essere risolto con un controllo nanostrutturato. Cosa ci dice invece di quanto concerne la raccolta dei dati della ricerca e delle modalità con le quali trasmettete i risultati ottenuti? Tragedia! Il ricercatore non è per nulla preparato a trasferire i propri dati: noi abbiamo come compito quello di pubblicare i nostri studi nelle riviste di settore. Abbiamo poi brevettato questa idea e fortunatamente alcuni illuminati editori del settore puramente scientifico e dal target ben specifico che hanno riconosciuto l’alto livello d’innovazione presente nel nostro progetto. È stato quindi l’editore a far partire la scintilla, che poi è stata diffusa con una rassegna stampa: “For the first time an italian scientist has trasformed wood into bone“. E da quel momento è scoppiata la bolla mediatica, il Time magazine ha espresso il desiderio di fare un servizio sul progetto, è venuta la BBC qui nei nostri uffici a fare un’intervista e anche i telegiornali italiani hanno dimostrato interesse, tanto che il giorno dopo tutti gli amici ricercatori in giro per il mondo mi han chiamato stupefatti. A seguito di questi eventi è cominciata una diffusione non solo scientifica come di solito avviene per queste conoscenze, ma appunto divulgativa. Un aspetto interessante è il fatto che ci abbiano contattato persino dei designer intenzionati a creare sedie in”ossolegno”, insomma la gente più disparata voleva utilizzare “l’osso” per creare oggetti o qualunque altra cosa. Per ciò che concerne la comunicazione, credo di poter dire che il nostro gruppo si differenzi dalle altre realtà per essere sostenuto dal punto di vista economico da progetti europei: il progetto europeo nella sua struttura prevede una parte di dissemination dell’informazione, e per questo motivo noi siamo obbligati a curare questo aspetto sia a livello scientifico che a livello divulgativo. A differenza di altri gruppi di ricerca noi non abbiamo un approccio totalmente scientifico, ad esempio, un gruppo finanziato dalla nasa è facilmente comprensibile che non sia interessato alla diffusione dei dati ad un pubblico più ampio, ma si limita a restituire un ritorno informativo puramente scientifico. Il nostro approccio è quindi più sensibile rispetto alla media: siamo obbligati a dimostrare di aver effettuato dissemination ai giovani, sia a livello accademico che divulgativo, oltre al relazionarsi al mondo medico che essendo sempre in contatto con pazienti permette un’apertura maggiore rispetto ad altri settori . La comunità ha poi eletto questo come suo progetto per l’anno 2009, è venuta nella nostra sede per girare un film improntato a spiegare il progetto con un linguaggio molto semplice ai bambini delle scuole elementari. Ne è stato fatto uno anche per i licei e l’università: questo fa capire come il mondo scientifico abbia capito l’importanza dello scambio tra il mondo della ricerca e l’esterno. Questo passo è molto importante per la comprensione del valore che la ricerca contiene e conseguentemente una sensibilizzazione sulla necessità che ha di essere finanziata. Il trasferimento di informazioni tuttavia non interessa solamente il ricercatore e il mondo comune, ma è una necessità

GERMANIA 16,2 %

SPAGNA 5,5 %

REGNO UNITO 9,8 %

UE ITALIA 7,9 %

FRANCIA 8,2 %

La partecipazione delle istituzioni ai 959 progetti di ricerca infrastrutturale finanziati dal VI Programma quadro dell’Unione europea in alcuni paesi dell’Europa Fonte: European Commission, A more research-intensive and integrated European Research Area, STC key figures report 2008/2009. 17


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presente in tutti i settori partendo dalla scienza dei materiali passando per la medicina rigenerativa: figure come il chimico, il biologo, l’ingegnere, il medico devono poter rendere comprensibile il proprio lavoro alle altre parti. Dovendo noi comunicare con i medici che non possiedono conoscenze approfondite di chimica, abbiamo dovuto affrontare la questione comunicando loro le caratteristiche del nostro materiale dal punto di vista ortopedico. Quindi se in questo quadrivio di competenze precedentemente nominato non ci si intende correttamente, tutto finisce ancor prima di cominciare, chi lavora in questi settori deve essere preparato a “scendere dal pero“ della propria scienza per creare una collaborazione al fine di realizzare il materiale ideale. L’avvento di queste scienze interdisciplinari è piuttosto recente, se si pensa che la laurea in scienza dei materiali è presente da dieci anni, e che quindi si parla di biomateriali e non di protesi metalliche da ancora meno tempo, è naturale che questa sinergia richiesta tra le parti risponda a una necessità recente. Questo ha portato i ricercatori a rendersi più comprensibili e tutto ciò facilità la divulgazione verso il mondo comune: mi è capitato curiosamente di ricevere telefonate stravaganti di persone che mi spiegavano il loro problema e chiede-

“mi è capitato di ricevere telefonate di persone che mi spiegavano il loro problema e chiedevano consulti circa le protesi, “l’ossolegno” e le scelte da fare. Questo dimostra che la gente legge un articolo, capisce ed è in grado di sostenere un dialogo” vano consulti circa le protesi, “l’ossolegno” e le scelte da fare. Questo dimostra che la gente legge un articolo, capisce ed è in grado di sostenere un dialogo in maniera abbastanza efficiente. Partendo dalle schematizzazioni e dall’infografica come si è evoluto l’utilizzo di strumenti di divulgazione nel corso del tempo? Se penso alla mia storia da ricercatore, devo dire che quindici anni fà era normale rivolgersi a studi grafici per creare materiale informativo, poi il buco: non ci sono più stati i fondi per farlo, tagliati senza criterio, non c’è meritocrazia. All’inizio abbiamo divulgato il progetto attraverso powerpoint strutturati in modo da essere resi comprensibili con immediatezza, quindi moltissime immagini, tabelle semplificatissime, numeri chiari. Si tratta di un metodo di presentazione strettamente legato all’informatica, che è alla base della maggior parte delle tecniche analitiche. Ma quando la ricerca disponeva di maggiori risorse economiche l’utilizzo della grafica, di sistemi di comunicazione che oggi chiameremmo infografici era frequente, ma quando mancano i soldi queste cose saltano, ed è già importante riuscire a fare ricerca in modo decoroso. Ciò può non essere vero per il settore privato, ma lo è sicuramente per quello pubblico. Un’impresa con la quale spesso collaboriamo, Finceramica ha la possibilità di rivolgersi ad un grafico e realizzare mate18

riale informativo e pubblicitario accattivante, mentre noi tentiamo di “farlo in casa”, con risultati nettamente differenti. Qual è poi la differenza tra America e Italia? L’America per come è strutturata la sua società, mette in pratica un meccanismo per cui la ricerca viene compiuta, utilizzata e comunicata. In Italia mancano tutti questi passaggi. Aprendo una pagina web di un istituto americano si nota come questi siano capaci di comunicare qualità, aprendone una italiana si ha tutt’altra sensazione: imbarazzo. L’assurdità sta nel fatto che poi gli Stati Uniti vengano a propormi contratti di lavoro.

che significato ha la parola

TECNOLOGIA nel tuo lavoro ?

Facciamo un bilancio generale sulla tecnologia all’interno della ricerca. La tecnologia è ciò che fa la differenza, sicuramente nella ricerca oggi tutto è mirato a tecnologie più sofisticate, più raffinate. La prototecnologia invece è anche legata al concetto di trasferimento tecnologico, altrettanto importante, e di cui per l’ennesima volta l’Italia non capisce l’importanza. Io ho svolto metà della mia formazione in Giappone, dove la parola trasferimento tecnologico ha un significato e questa è la ragione per cui il Giappone è il Giappone e l’Italia è l’Italia. Con questo penso di avere detto tutto: la tecnologia necessita di essere trasferirta all’impresa, perchè fare una tecnologia significa far sì che questa penetri nella società e nell’industria. l’Italia non dedica spazio e fondi alla ricerca di trasferimento tecnologico, oltre che alla ricerca tecnologica. L’Italia è sempre stata legata alla ricerca di base e poco alla ricerca tecnologica ma soprattutto non ha ancora capito che è necessario uno sforzo per il trasferimento tecnologico vero e proprio e la circolazione della conoscenza.

anna tampieri Inutile negare che la tecnologia non sia utile alla ricerca scientifica, occorre però capire in quale quantità e qualità lo sia. Se consideriamo l’aspetto diagnostico di un progetto di ricerca, si può dire che l’evoluzione delle apparecchiature sia stata significativa, infatti strumenti come microscopi elettronici a trasmissione, ben rappresentano i vantaggi che la tecnologia può aver dato alle tecniche di analisi. Per quello che interessa il mio ramo di ricerca, macchine come il rapid prototyping, strumenti capaci di rilevare l’osso in una tac e ricostruirne un prototipo in tre dimensioni, costituiscono un importante passo avanti. L’uomo però costituisce la risorsa più preziosa per se stesso: la tecnologia non potrà mai rimpiazzare la fantasia e l’intuizione di cui l’essere umano è dotato; potrebbe mai un computer ispirarsi alla struttura di un albero, per la creazione di un tessuto osseo? Lancio a voi la sfida.

STE FANO CASERINI La tecnologia è un aiuto per raggiungere degli obiettivi, il significato è quello alla fine. Per quel che riguarda il cambiamento climatico la tecnologia deve dare un contributo fondamentale. Sul tema del clima, oltre al cambiamento degli stili di vita, la tecnologia deve dare un contributo grande per cambiare il sistema energetico. Quindi oggi guardo alla tecnologia, come ingegnere, come un aiuto a risolvere alcuni problemi, che poi sono stati creati dalla stessa tecnologia. Su questo sono stati scritti libri interi, non è che possiamo riassumere adesso in trenta secondi, però io la considero comunque un mezzo per raggiungere dei fini. Non dev’esserci l’idea del “dio tecnologia”, ma di un prodotto d’ingegno umano, e come tutti i prodotti dell’ingegno umano può essere usato bene o male, ma dev’essere gestito. Bisogna capire che sicuramente la tecnologia può avere degli effetti negativi, deleteri, e quindi come tutti i prodotti umani devono essere considerati tutti gli effetti delle nuove tecnologie.

France sco Franchi La possibilità di creare infografiche attraverso strumenti computerizzati, le cosiddette infografiche autogenerate, costituisce sicuramente l’aspetto tecnologico della faccenda. Tuttavia anche nei quotidiani e in tutto l’ambiente editoriale si sta assistendo ad un’altro tipo di innovazione tecnologica, è la tecnologia della parola che lascia spazio ad una tecnologia nuova: un mix di narrativa e design, dove il design svolge la parte di rappresentazione e interpretazione di un contenuto di origine giornalistica o narrativa, dove l’abilità del designer, che diviene membro fisso della redazione, sta nel costruirci una storia e creare un flusso narrativo che a volte aiuta di più rispetto ad avere queste masse di dati trattate passivamente. Però entrambe le cose funzionano, anche il mix di entrambe funziona.

Paolo Rosa Sicuramente sì, è la cosa che mi interessa di più. Capire quanto la tecnologia, che ha delle performance così forti e anche dal punto di vista partecipativo e collaborativo, come la rete ci insegna, possa essere utilizzata per produrre quella dimensione rituale che è sempre stata un patrimonio dell’arte, e attraverso questa dimensione rituale generare il fenomeno del riconoscersi , che attorno a un rito si produce, una comunità si riconosce attorno a quella cosa, perchè in qualche modo tutti ci han messo mano e tutti sono accomunati da quella cosa che ha avuto molte forme nei secoli ma che è la cultura di quella comunità e gli da una ragione di vita, una identità, un’idealità, un’ unicità e che sa confrontarsi con le differenze del mondo, questo è importante, sono un bene prezioso le differenze, bisogna saperle generare e sapersi relazionare con le differenze altrui.


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presente in tutti i settori partendo dalla scienza dei materiali passando per la medicina rigenerativa: figure come il chimico, il biologo, l’ingegnere, il medico devono poter rendere comprensibile il proprio lavoro alle altre parti. Dovendo noi comunicare con i medici che non possiedono conoscenze approfondite di chimica, abbiamo dovuto affrontare la questione comunicando loro le caratteristiche del nostro materiale dal punto di vista ortopedico. Quindi se in questo quadrivio di competenze precedentemente nominato non ci si intende correttamente, tutto finisce ancor prima di cominciare, chi lavora in questi settori deve essere preparato a “scendere dal pero“ della propria scienza per creare una collaborazione al fine di realizzare il materiale ideale. L’avvento di queste scienze interdisciplinari è piuttosto recente, se si pensa che la laurea in scienza dei materiali è presente da dieci anni, e che quindi si parla di biomateriali e non di protesi metalliche da ancora meno tempo, è naturale che questa sinergia richiesta tra le parti risponda a una necessità recente. Questo ha portato i ricercatori a rendersi più comprensibili e tutto ciò facilità la divulgazione verso il mondo comune: mi è capitato curiosamente di ricevere telefonate stravaganti di persone che mi spiegavano il loro problema e chiede-

“mi è capitato di ricevere telefonate di persone che mi spiegavano il loro problema e chiedevano consulti circa le protesi, “l’ossolegno” e le scelte da fare. Questo dimostra che la gente legge un articolo, capisce ed è in grado di sostenere un dialogo” vano consulti circa le protesi, “l’ossolegno” e le scelte da fare. Questo dimostra che la gente legge un articolo, capisce ed è in grado di sostenere un dialogo in maniera abbastanza efficiente. Partendo dalle schematizzazioni e dall’infografica come si è evoluto l’utilizzo di strumenti di divulgazione nel corso del tempo? Se penso alla mia storia da ricercatore, devo dire che quindici anni fà era normale rivolgersi a studi grafici per creare materiale informativo, poi il buco: non ci sono più stati i fondi per farlo, tagliati senza criterio, non c’è meritocrazia. All’inizio abbiamo divulgato il progetto attraverso powerpoint strutturati in modo da essere resi comprensibili con immediatezza, quindi moltissime immagini, tabelle semplificatissime, numeri chiari. Si tratta di un metodo di presentazione strettamente legato all’informatica, che è alla base della maggior parte delle tecniche analitiche. Ma quando la ricerca disponeva di maggiori risorse economiche l’utilizzo della grafica, di sistemi di comunicazione che oggi chiameremmo infografici era frequente, ma quando mancano i soldi queste cose saltano, ed è già importante riuscire a fare ricerca in modo decoroso. Ciò può non essere vero per il settore privato, ma lo è sicuramente per quello pubblico. Un’impresa con la quale spesso collaboriamo, Finceramica ha la possibilità di rivolgersi ad un grafico e realizzare mate18

riale informativo e pubblicitario accattivante, mentre noi tentiamo di “farlo in casa”, con risultati nettamente differenti. Qual è poi la differenza tra America e Italia? L’America per come è strutturata la sua società, mette in pratica un meccanismo per cui la ricerca viene compiuta, utilizzata e comunicata. In Italia mancano tutti questi passaggi. Aprendo una pagina web di un istituto americano si nota come questi siano capaci di comunicare qualità, aprendone una italiana si ha tutt’altra sensazione: imbarazzo. L’assurdità sta nel fatto che poi gli Stati Uniti vengano a propormi contratti di lavoro.

che significato ha la parola

TECNOLOGIA nel tuo lavoro ?

Facciamo un bilancio generale sulla tecnologia all’interno della ricerca. La tecnologia è ciò che fa la differenza, sicuramente nella ricerca oggi tutto è mirato a tecnologie più sofisticate, più raffinate. La prototecnologia invece è anche legata al concetto di trasferimento tecnologico, altrettanto importante, e di cui per l’ennesima volta l’Italia non capisce l’importanza. Io ho svolto metà della mia formazione in Giappone, dove la parola trasferimento tecnologico ha un significato e questa è la ragione per cui il Giappone è il Giappone e l’Italia è l’Italia. Con questo penso di avere detto tutto: la tecnologia necessita di essere trasferirta all’impresa, perchè fare una tecnologia significa far sì che questa penetri nella società e nell’industria. l’Italia non dedica spazio e fondi alla ricerca di trasferimento tecnologico, oltre che alla ricerca tecnologica. L’Italia è sempre stata legata alla ricerca di base e poco alla ricerca tecnologica ma soprattutto non ha ancora capito che è necessario uno sforzo per il trasferimento tecnologico vero e proprio e la circolazione della conoscenza.

anna tampieri Inutile negare che la tecnologia non sia utile alla ricerca scientifica, occorre però capire in quale quantità e qualità lo sia. Se consideriamo l’aspetto diagnostico di un progetto di ricerca, si può dire che l’evoluzione delle apparecchiature sia stata significativa, infatti strumenti come microscopi elettronici a trasmissione, ben rappresentano i vantaggi che la tecnologia può aver dato alle tecniche di analisi. Per quello che interessa il mio ramo di ricerca, macchine come il rapid prototyping, strumenti capaci di rilevare l’osso in una tac e ricostruirne un prototipo in tre dimensioni, costituiscono un importante passo avanti. L’uomo però costituisce la risorsa più preziosa per se stesso: la tecnologia non potrà mai rimpiazzare la fantasia e l’intuizione di cui l’essere umano è dotato; potrebbe mai un computer ispirarsi alla struttura di un albero, per la creazione di un tessuto osseo? Lancio a voi la sfida.

STE FANO CASERINI La tecnologia è un aiuto per raggiungere degli obiettivi, il significato è quello alla fine. Per quel che riguarda il cambiamento climatico la tecnologia deve dare un contributo fondamentale. Sul tema del clima, oltre al cambiamento degli stili di vita, la tecnologia deve dare un contributo grande per cambiare il sistema energetico. Quindi oggi guardo alla tecnologia, come ingegnere, come un aiuto a risolvere alcuni problemi, che poi sono stati creati dalla stessa tecnologia. Su questo sono stati scritti libri interi, non è che possiamo riassumere adesso in trenta secondi, però io la considero comunque un mezzo per raggiungere dei fini. Non dev’esserci l’idea del “dio tecnologia”, ma di un prodotto d’ingegno umano, e come tutti i prodotti dell’ingegno umano può essere usato bene o male, ma dev’essere gestito. Bisogna capire che sicuramente la tecnologia può avere degli effetti negativi, deleteri, e quindi come tutti i prodotti umani devono essere considerati tutti gli effetti delle nuove tecnologie.

France sco Franchi La possibilità di creare infografiche attraverso strumenti computerizzati, le cosiddette infografiche autogenerate, costituisce sicuramente l’aspetto tecnologico della faccenda. Tuttavia anche nei quotidiani e in tutto l’ambiente editoriale si sta assistendo ad un’altro tipo di innovazione tecnologica, è la tecnologia della parola che lascia spazio ad una tecnologia nuova: un mix di narrativa e design, dove il design svolge la parte di rappresentazione e interpretazione di un contenuto di origine giornalistica o narrativa, dove l’abilità del designer, che diviene membro fisso della redazione, sta nel costruirci una storia e creare un flusso narrativo che a volte aiuta di più rispetto ad avere queste masse di dati trattate passivamente. Però entrambe le cose funzionano, anche il mix di entrambe funziona.

Paolo Rosa Sicuramente sì, è la cosa che mi interessa di più. Capire quanto la tecnologia, che ha delle performance così forti e anche dal punto di vista partecipativo e collaborativo, come la rete ci insegna, possa essere utilizzata per produrre quella dimensione rituale che è sempre stata un patrimonio dell’arte, e attraverso questa dimensione rituale generare il fenomeno del riconoscersi , che attorno a un rito si produce, una comunità si riconosce attorno a quella cosa, perchè in qualche modo tutti ci han messo mano e tutti sono accomunati da quella cosa che ha avuto molte forme nei secoli ma che è la cultura di quella comunità e gli da una ragione di vita, una identità, un’idealità, un’ unicità e che sa confrontarsi con le differenze del mondo, questo è importante, sono un bene prezioso le differenze, bisogna saperle generare e sapersi relazionare con le differenze altrui.


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CONTESTO TECNOLOGIA

Laureata in Ingegneria Biomedica al Politecnico di Milano, è stata per due anni Ricercatrice a contratto presso il Dipartimento di Chimica “ Giulio Natta” del Politecnico di Milano, ora frequenta il PhD in Ingegneria dei Materiali sempre nel gruppo del prof. Roberto Chiesa. Collabora allo sviluppodi nuove soluzioni tecnologiche nel campo dei rivestimenti osteointegrativi e antibatterici per il titanio. E’ co-inventrice in un recente Brevetto del Politecnico di Milano su un nuovo trattamento osteointegrativo per il titanio e le leghe di titanio. Si occupa costantemente di tematiche relative ai biomateriali metallici, in particolare per le applicazioni nel campo dell’implantologia odontoiatrica. Coordina e collabora con aziende del settore dentale e con altri istituti di ricerca alla caratterizzazione in vivo di alcune superfici implantari. Ha ampliato le sue conoscenze nel campo della caratterizzazione microbiologica presso la “ School of Pharmacy and Biomolecular Sciences of Brighton University (UK)”. E’ relatrice acongressi nazionali e internazionali nel campo dei biomateriali. 20

Che importanza ha la tecnologia nel tuo lavoro? é una cosa che a mio parere cambia molto nel tempo. Appena esci dal mondo universitario credi che la cosa più importante sia la tecnologia che hai in mano, pensi che le tue possibilità come ricercatore dipendano per la maggior parte dalle potenzialità della tecnologia che hai in mano. Poi, con il tempo, ti rendi conto che la cosa più importante sono le persone che usano le tecnologie e soprattutto le competenze delle persone, unite ad altre cose che fanno da contorno e a cui all’inizio magari non pensi, come ad esempio la struttura finanziaria del paese in cui ti trovi. La tecnologia è molto importante ma la sua importanza è vincolata dalle persone, dalle strutture e dal contesto economico in cui sei calato. In che modo le tecnologie hanno cambiato il tuo lavoro, per esempio permettono la gestione di molti più dati, cosa prima impossibile giusto? Sì, bisogna distinguere cosa si intende per tecnologie, possiamo intenderlo come una macchina particolare che permette di ottenere

}

C I N Z I A D E L L A VA L L E

un risultato particolare e io in questo senso mi occupo di rivestimenti biomimetici su materiali come il titanio che permettono determinate risposte biologiche e quindi si parla di un tipo di tecnologia, d’altro canto si può chiamare tecnologia la potenza di calcolo che ti permette di gestire quantità di dati incredibilmente più grandi e meglio. Per esempio nel mio lavoro, lavorando sia nell’ambito di ricerca e sviluppo che nelle aziende che seguo come consulente mi aiuta molto nella gestione e nella pianificazione dei progetti, tantissimi dati che devono collimare e nella programmazione di processi generali. E cosa mi dice invece dell’infografica come metodo? è un metodo nuovo, in cui forse le vecchie generazioni di ricercatori non hanno creduto abbastanza, che a mio parere nel futuro avrà una diffussione sempre più ampia. Nel mio caso si è rilevata molto utile per la gestione di dati complessi, a partire dalle timeline fino ai diagrammi gant. La visualizzazione dei dati e delle cose cambia attraverso la visualizzazione, ti aiuta a scoprire i rapporti sottesi e le relazioni. Si rivelano molto utili anche per la gestione del rapporto con il clien-

te, la gestione grafica delle informazioni è un valore aggiunto, tant’è che ci sono 3 designer più un grafico che lavorano con me, e di cui sono stata responsabile per l’assunzione nelle strutture dove lavoro oltreoceano. Col tempo come pensi che cambierà questa tendenza? Io ci investo sempre di più. In un mondo che va sempre più veloce e le tecnologie son sempre più importanti e dove il colpo d’occhio, di qualsiasi grado dal semplice al complesso ha un valore così alto, io trovo che sia la soluzione. Designer e statisti che lavorano sui dati, che spesso e volentieri sono l’unico risultato che abbiamo. I dati hanno bisogno di essere interpretati, da soli non voglion dire niente: il significato sta nelle relazioni. In tanti casi serve una chiave di lettura, ad esempio nelle ricerche di mercato, per bilanci, fondi per ricerche di mercato, quello che la visualizzazione ti permette di fare è evidenziare una tendenza, o dei buchi dove intervenire.

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CONTESTO TECNOLOGIA

Laureata in Ingegneria Biomedica al Politecnico di Milano, è stata per due anni Ricercatrice a contratto presso il Dipartimento di Chimica “ Giulio Natta” del Politecnico di Milano, ora frequenta il PhD in Ingegneria dei Materiali sempre nel gruppo del prof. Roberto Chiesa. Collabora allo sviluppodi nuove soluzioni tecnologiche nel campo dei rivestimenti osteointegrativi e antibatterici per il titanio. E’ co-inventrice in un recente Brevetto del Politecnico di Milano su un nuovo trattamento osteointegrativo per il titanio e le leghe di titanio. Si occupa costantemente di tematiche relative ai biomateriali metallici, in particolare per le applicazioni nel campo dell’implantologia odontoiatrica. Coordina e collabora con aziende del settore dentale e con altri istituti di ricerca alla caratterizzazione in vivo di alcune superfici implantari. Ha ampliato le sue conoscenze nel campo della caratterizzazione microbiologica presso la “ School of Pharmacy and Biomolecular Sciences of Brighton University (UK)”. E’ relatrice acongressi nazionali e internazionali nel campo dei biomateriali. 20

Che importanza ha la tecnologia nel tuo lavoro? é una cosa che a mio parere cambia molto nel tempo. Appena esci dal mondo universitario credi che la cosa più importante sia la tecnologia che hai in mano, pensi che le tue possibilità come ricercatore dipendano per la maggior parte dalle potenzialità della tecnologia che hai in mano. Poi, con il tempo, ti rendi conto che la cosa più importante sono le persone che usano le tecnologie e soprattutto le competenze delle persone, unite ad altre cose che fanno da contorno e a cui all’inizio magari non pensi, come ad esempio la struttura finanziaria del paese in cui ti trovi. La tecnologia è molto importante ma la sua importanza è vincolata dalle persone, dalle strutture e dal contesto economico in cui sei calato. In che modo le tecnologie hanno cambiato il tuo lavoro, per esempio permettono la gestione di molti più dati, cosa prima impossibile giusto? Sì, bisogna distinguere cosa si intende per tecnologie, possiamo intenderlo come una macchina particolare che permette di ottenere

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C I N Z I A D E L L A VA L L E

un risultato particolare e io in questo senso mi occupo di rivestimenti biomimetici su materiali come il titanio che permettono determinate risposte biologiche e quindi si parla di un tipo di tecnologia, d’altro canto si può chiamare tecnologia la potenza di calcolo che ti permette di gestire quantità di dati incredibilmente più grandi e meglio. Per esempio nel mio lavoro, lavorando sia nell’ambito di ricerca e sviluppo che nelle aziende che seguo come consulente mi aiuta molto nella gestione e nella pianificazione dei progetti, tantissimi dati che devono collimare e nella programmazione di processi generali. E cosa mi dice invece dell’infografica come metodo? è un metodo nuovo, in cui forse le vecchie generazioni di ricercatori non hanno creduto abbastanza, che a mio parere nel futuro avrà una diffussione sempre più ampia. Nel mio caso si è rilevata molto utile per la gestione di dati complessi, a partire dalle timeline fino ai diagrammi gant. La visualizzazione dei dati e delle cose cambia attraverso la visualizzazione, ti aiuta a scoprire i rapporti sottesi e le relazioni. Si rivelano molto utili anche per la gestione del rapporto con il clien-

te, la gestione grafica delle informazioni è un valore aggiunto, tant’è che ci sono 3 designer più un grafico che lavorano con me, e di cui sono stata responsabile per l’assunzione nelle strutture dove lavoro oltreoceano. Col tempo come pensi che cambierà questa tendenza? Io ci investo sempre di più. In un mondo che va sempre più veloce e le tecnologie son sempre più importanti e dove il colpo d’occhio, di qualsiasi grado dal semplice al complesso ha un valore così alto, io trovo che sia la soluzione. Designer e statisti che lavorano sui dati, che spesso e volentieri sono l’unico risultato che abbiamo. I dati hanno bisogno di essere interpretati, da soli non voglion dire niente: il significato sta nelle relazioni. In tanti casi serve una chiave di lettura, ad esempio nelle ricerche di mercato, per bilanci, fondi per ricerche di mercato, quello che la visualizzazione ti permette di fare è evidenziare una tendenza, o dei buchi dove intervenire.

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Cosa significa fare ricerca nel tuo lavoro? Significa trovare la soluzione migliore per rispondere a un bisogno. Nel mio campo, ovvero l’ingegneria biomedicale vuol dire migliorare le caratteristiche di un materiale di tipo impiantabile in tutte le sue parti. In italia la ricerca fa davvero fatica a trovare un trasferimento industriale efficace. Il Politecnico per fortuna è ben organizzato su questo piano, L’ufficio TTO lavora molto bene in questo senso, collaborando con studenti e giovani aziende. Questo però non basta e gli ostacoli rimangono. All’estero la cosa è assolutamente più semplice: gli stati più sviluppati e le economie più dinamiche hanno capito che se vuoi sviluppare un vantaggio competitivo su qualsiasi prodotto tu voglia produrre, devi creare delle grosse barriere all’ingresso e son date dalle competenze che derivano da un reparto di ricerca e sviluppo o comunque da una ricerca molto ben strutturata. Avendo competenze specifiche puoi riuscire a non far entrare altri nel tuo mercato o comunque hai l’opportunità di poterti muovere prima del tempo. In altri paesi ha più successo ed è fondamentale, come io personalmente credo sia. Questa tendenza è molto forte negli Stati Uniti ad esempio, dove io collaboro nella veste di consulente, dove il fattore competitivo della ricerca si sente eccome. Questo avviene perchè le loro sono delle realtà molto strutturate e per loro avere qualcosa che sia un passo più avanti è molto importante, la concorrenza si sente molto di più, e questa è una questione culturale, che in italia non è semplice infondere.

industria

In questo contesto che ruolo pensi giochino le riviste di settore, e a maggior ragione quelle di divulgazione comune? Sicuramente è un tema di grande importanza, che al di là di una trattazione semplice meriterebbe più attenzione. È sicuramente importante che la scienza torni a essere un argomento di trattazione comune, magari semplificato per un pubblico più ampio, ma sicuramente è molto più importante che questo tema diventi una priorità a livello nazionale, non tanto rispetto alle persone comuni ma nei confronti delle industrie. È evidente che in Italia esistano tuttora dei grossi scogli tra ricerca scientifica e le industrie. Il passaggio che in altri paesi è risultato naturale qui fatica ad avvenire. Ed è un problema dovuto in parte alla natura delle imprese italiane, che essendo storicamente piccole e medie imprese, difficilmente riescono ad inserirsi in programmi di ricerca (ad esempio quelli universitari) specie nelle realtà di provincia, dove capita che non avendo rapporti con l’università si faccia fatica a capire che possibilità ci son e capire le nuove potenzialità offerte dalla tecnologia. C’è bisogno di una maggiore fruibilità e di una maggiore integrazione e soprattutto che si inizi a mettere queste tematiche trale priorità della nazione.

servizi

edile

La spesa per l’innovazione delle imprese innovatrici per settore e classe di addetti in Italia Fonte: Istat, L’innovazione nelle imprese italiane. Anni 2004-2006, Roma, novembre 2008. 22

10 / 49 addetti

50 / 249 addetti

250 addetti e oltre 23


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Cosa significa fare ricerca nel tuo lavoro? Significa trovare la soluzione migliore per rispondere a un bisogno. Nel mio campo, ovvero l’ingegneria biomedicale vuol dire migliorare le caratteristiche di un materiale di tipo impiantabile in tutte le sue parti. In italia la ricerca fa davvero fatica a trovare un trasferimento industriale efficace. Il Politecnico per fortuna è ben organizzato su questo piano, L’ufficio TTO lavora molto bene in questo senso, collaborando con studenti e giovani aziende. Questo però non basta e gli ostacoli rimangono. All’estero la cosa è assolutamente più semplice: gli stati più sviluppati e le economie più dinamiche hanno capito che se vuoi sviluppare un vantaggio competitivo su qualsiasi prodotto tu voglia produrre, devi creare delle grosse barriere all’ingresso e son date dalle competenze che derivano da un reparto di ricerca e sviluppo o comunque da una ricerca molto ben strutturata. Avendo competenze specifiche puoi riuscire a non far entrare altri nel tuo mercato o comunque hai l’opportunità di poterti muovere prima del tempo. In altri paesi ha più successo ed è fondamentale, come io personalmente credo sia. Questa tendenza è molto forte negli Stati Uniti ad esempio, dove io collaboro nella veste di consulente, dove il fattore competitivo della ricerca si sente eccome. Questo avviene perchè le loro sono delle realtà molto strutturate e per loro avere qualcosa che sia un passo più avanti è molto importante, la concorrenza si sente molto di più, e questa è una questione culturale, che in italia non è semplice infondere.

industria

In questo contesto che ruolo pensi giochino le riviste di settore, e a maggior ragione quelle di divulgazione comune? Sicuramente è un tema di grande importanza, che al di là di una trattazione semplice meriterebbe più attenzione. È sicuramente importante che la scienza torni a essere un argomento di trattazione comune, magari semplificato per un pubblico più ampio, ma sicuramente è molto più importante che questo tema diventi una priorità a livello nazionale, non tanto rispetto alle persone comuni ma nei confronti delle industrie. È evidente che in Italia esistano tuttora dei grossi scogli tra ricerca scientifica e le industrie. Il passaggio che in altri paesi è risultato naturale qui fatica ad avvenire. Ed è un problema dovuto in parte alla natura delle imprese italiane, che essendo storicamente piccole e medie imprese, difficilmente riescono ad inserirsi in programmi di ricerca (ad esempio quelli universitari) specie nelle realtà di provincia, dove capita che non avendo rapporti con l’università si faccia fatica a capire che possibilità ci son e capire le nuove potenzialità offerte dalla tecnologia. C’è bisogno di una maggiore fruibilità e di una maggiore integrazione e soprattutto che si inizi a mettere queste tematiche trale priorità della nazione.

servizi

edile

La spesa per l’innovazione delle imprese innovatrici per settore e classe di addetti in Italia Fonte: Istat, L’innovazione nelle imprese italiane. Anni 2004-2006, Roma, novembre 2008. 22

10 / 49 addetti

50 / 249 addetti

250 addetti e oltre 23


UNA QUESTIONE DI DATI

ricchi di significati

Una ricerca che non viene divulgata resta fine a sè stessa e non ha nè sbocchi nè utilità pratiche. Proseguiamo quindi a seguire il percorso dei risultati scientifici, e indaghiamo come la tecnologia aiuti questo approccio ad un pubblico più vasto. Il mondo della scienza è ancora un luogo per addetti ai lavori, e per permettere ai risultati di uscire dai laboratori sono necessari degli intermediari che siano in grado di comunicare sia con gli scienziati che con i profani. Abbiamo intervistato un professore di statistica e un docente e ricercatore che a partire da un libro da lui scritto ha creato un blog di divulgazione scientifica.


UNA QUESTIONE DI DATI

ricchi di significati

Una ricerca che non viene divulgata resta fine a sè stessa e non ha nè sbocchi nè utilità pratiche. Proseguiamo quindi a seguire il percorso dei risultati scientifici, e indaghiamo come la tecnologia aiuti questo approccio ad un pubblico più vasto. Il mondo della scienza è ancora un luogo per addetti ai lavori, e per permettere ai risultati di uscire dai laboratori sono necessari degli intermediari che siano in grado di comunicare sia con gli scienziati che con i profani. Abbiamo intervistato un professore di statistica e un docente e ricercatore che a partire da un libro da lui scritto ha creato un blog di divulgazione scientifica.


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È come se oggi potessimo osservare certe cose da una posizione privilegiata: questo aiuta a fornire più risposte, ma genererà anche più domande. la conoscenza richiede “metodo e fatica

marco f a tto r e

Marco Fattore è un professore universitario di statistica economica con una laurea in fisica: ha quindi da sempre dimestichezza con la rappresentazione di dati complessi. In più, nello specifico ora si occupa del misurare fenomeni socio economici, ancora più complessi perchè non misurabili con i numeri. Sono fenomeni sfaccettati, multidimensionali, qualitativi piuttosto che quantitativi, e la statistica di Fattore deve essere in grado di farne emergere il senso e le storie che hanno alle spalle. Fattore è sostenitore di un metodo statistico che sfrutta la tecnologia ma non viene ingannato dai suoi abbagli (la tecnologia che mette i dati sempre più a disposizione di chiunque, fa quasi sembrare che chiunque possa usarli), in cui in un grafico ha molta importanza la volontà di chi lo legge di vederci qualcosa, ma soprattutto ne ha molta di più il metodo e il rigore con cui è stato prodotto.

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Ci può raccontare brevente di cosa si occupa? Sono ricercatore confermato di Statistica Economica, ho una laurea in Fisica Teorica e un diploma di maturità classica. “Formalmente” mi occupo di come misurare i fenomeni socio-economici, nel senso che questo è il tema centrale del mio settore scientifico disciplinare. In pratica, mi occupo di diversi temi, alcuni più tecnici altri meno. In sintesi, la mia ricerca di “punta” si focalizza sul problema della valutazione di fenomeni sociali (benessere, povertà, qualità della vita) “misurati” tramite grandezze ordinali e non tramite grandezze numeriche. In sostanza, il tipico problema è: come studiare e rappresentare fenomeni multidimensionali, rilevati su scale di giudizio tipo “sì/no”, “per niente, appena, abbastanza, molto” o simili? Il tema è piuttosto “caldo”, perché a livello internazionale è forte il dibattito sulla necessità di andare oltre le misure monetarie (per esempio, il PIL pro capite) per valutare il benessere di una nazione, affiancando a queste misure classiche, valutazioni di altri aspetti della vita personale e sociale. Ma il fatto che questi aspetti si sottraggano a una banale misurazione numerica pone dei grossi problemi di natura metodologica (come trattare questi dati in modo matematicamente soddisfacente) e operativo

(il decisore deve ricevere informazioni utili alla definizione delle politiche). Di conseguenza, il grande tema è quello della rappresentazione di fenomeni sociali complessi, con l’obiettivo di semplificarne la rappresentazione a fini decisionali, mantenendone tuttavia la struttura complessa, che non deve essere banalizzata o ridotta a “qualche” numero a soli fini di comunicazione. Questo ambito, prettamente di ricerca, confluisce poi in una riflessione più generale, che riguarda la natura stessa del “problema statistico” e le sfide che la statistica deve affrontare. Oggi abbiamo dati in abbondanza e ci troviamo (in campo politico, aziendale, sociale) a dover prendere decisioni in contesti complessi e dinamici. Il problema della statistica è sempre più quello di saper far emergere il senso, le “storie”, dalle grandi fonti di dati che abbiamo, piuttosto che quello di proporre stime precise di fenomeni particolari. E’ il dato come testo che prevale sul dato come “bit”. Questo ha delle grandi ripercussioni sul metodo di analisi che lo statistico deve avere e quindi sulla didattica universitaria

Che ruolo svolge la parola tecnologia nel suo lavoro? E’ un fattore abilitante essenziale, per almeno due motivi: 1) permette una diffusione della conoscenza ed un recupero delle informazioni che per chi fa ricerca è eccezionalmente utile, perché consente di abbattere i tempi di reperimento delle fonti, permette di esplorare connessioni e analogie nuove, aiuta a lavorare in parallelo. Insomma, muta la “topologia” della ricerca. 2) L’abbattimento dei costi dovuto alla diffusione di sw statistici open source consente di portare le novità metodologiche della statistica anche nelle aziende, eliminando l’obiezione economica. Inoltre, la disponibilità di software di questo tipo permette un’interazione con il dato che permette al processo conoscitivo (la statistica è ultimamente un metodo di conoscenza o, meglio, un fattore del metodo della conoscenza e comunque ha sempre a che fare con il tentativo di rispondere a una “domanda” posta da qualcuno) di attuarsi attraverso un dialogo continuo tra ricercatore e realtà (o, meglio, dati, che della realtà sono un segno) per cui “intelletto e realtà” si adeguano, invece che promuovere un approccio “top-down”, in cui il dato è usato per attestare e confutare un’ipotesi emessa in precedenza. 27


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È come se oggi potessimo osservare certe cose da una posizione privilegiata: questo aiuta a fornire più risposte, ma genererà anche più domande. la conoscenza richiede “metodo e fatica

marco f a tto r e

Marco Fattore è un professore universitario di statistica economica con una laurea in fisica: ha quindi da sempre dimestichezza con la rappresentazione di dati complessi. In più, nello specifico ora si occupa del misurare fenomeni socio economici, ancora più complessi perchè non misurabili con i numeri. Sono fenomeni sfaccettati, multidimensionali, qualitativi piuttosto che quantitativi, e la statistica di Fattore deve essere in grado di farne emergere il senso e le storie che hanno alle spalle. Fattore è sostenitore di un metodo statistico che sfrutta la tecnologia ma non viene ingannato dai suoi abbagli (la tecnologia che mette i dati sempre più a disposizione di chiunque, fa quasi sembrare che chiunque possa usarli), in cui in un grafico ha molta importanza la volontà di chi lo legge di vederci qualcosa, ma soprattutto ne ha molta di più il metodo e il rigore con cui è stato prodotto.

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Ci può raccontare brevente di cosa si occupa? Sono ricercatore confermato di Statistica Economica, ho una laurea in Fisica Teorica e un diploma di maturità classica. “Formalmente” mi occupo di come misurare i fenomeni socio-economici, nel senso che questo è il tema centrale del mio settore scientifico disciplinare. In pratica, mi occupo di diversi temi, alcuni più tecnici altri meno. In sintesi, la mia ricerca di “punta” si focalizza sul problema della valutazione di fenomeni sociali (benessere, povertà, qualità della vita) “misurati” tramite grandezze ordinali e non tramite grandezze numeriche. In sostanza, il tipico problema è: come studiare e rappresentare fenomeni multidimensionali, rilevati su scale di giudizio tipo “sì/no”, “per niente, appena, abbastanza, molto” o simili? Il tema è piuttosto “caldo”, perché a livello internazionale è forte il dibattito sulla necessità di andare oltre le misure monetarie (per esempio, il PIL pro capite) per valutare il benessere di una nazione, affiancando a queste misure classiche, valutazioni di altri aspetti della vita personale e sociale. Ma il fatto che questi aspetti si sottraggano a una banale misurazione numerica pone dei grossi problemi di natura metodologica (come trattare questi dati in modo matematicamente soddisfacente) e operativo

(il decisore deve ricevere informazioni utili alla definizione delle politiche). Di conseguenza, il grande tema è quello della rappresentazione di fenomeni sociali complessi, con l’obiettivo di semplificarne la rappresentazione a fini decisionali, mantenendone tuttavia la struttura complessa, che non deve essere banalizzata o ridotta a “qualche” numero a soli fini di comunicazione. Questo ambito, prettamente di ricerca, confluisce poi in una riflessione più generale, che riguarda la natura stessa del “problema statistico” e le sfide che la statistica deve affrontare. Oggi abbiamo dati in abbondanza e ci troviamo (in campo politico, aziendale, sociale) a dover prendere decisioni in contesti complessi e dinamici. Il problema della statistica è sempre più quello di saper far emergere il senso, le “storie”, dalle grandi fonti di dati che abbiamo, piuttosto che quello di proporre stime precise di fenomeni particolari. E’ il dato come testo che prevale sul dato come “bit”. Questo ha delle grandi ripercussioni sul metodo di analisi che lo statistico deve avere e quindi sulla didattica universitaria

Che ruolo svolge la parola tecnologia nel suo lavoro? E’ un fattore abilitante essenziale, per almeno due motivi: 1) permette una diffusione della conoscenza ed un recupero delle informazioni che per chi fa ricerca è eccezionalmente utile, perché consente di abbattere i tempi di reperimento delle fonti, permette di esplorare connessioni e analogie nuove, aiuta a lavorare in parallelo. Insomma, muta la “topologia” della ricerca. 2) L’abbattimento dei costi dovuto alla diffusione di sw statistici open source consente di portare le novità metodologiche della statistica anche nelle aziende, eliminando l’obiezione economica. Inoltre, la disponibilità di software di questo tipo permette un’interazione con il dato che permette al processo conoscitivo (la statistica è ultimamente un metodo di conoscenza o, meglio, un fattore del metodo della conoscenza e comunque ha sempre a che fare con il tentativo di rispondere a una “domanda” posta da qualcuno) di attuarsi attraverso un dialogo continuo tra ricercatore e realtà (o, meglio, dati, che della realtà sono un segno) per cui “intelletto e realtà” si adeguano, invece che promuovere un approccio “top-down”, in cui il dato è usato per attestare e confutare un’ipotesi emessa in precedenza. 27


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Se è così dove pensa che questo ci stia portando? Con riferimento alla mia disciplina, questo può condurre a un incremento nel potenziale conoscitivo e alla diffusione di un metodo d’indagine nuovo (secondo gli aspetti che via via interessano, cioè in base ai contesti, e qui parlo di conoscenza, scientifica, aziendale…). In una battuta: i dati sono ormai “pervasivi”, tuttavia sembra che chiunque possa usarli (meglio se ha una laurea scientifica…), come se non fossero necessarie competenze specifiche. Invece occorre metodo e la tecnologia è un fattore abilitante di questo metodo. Abbattendo i costi, il “metodo” può diffondersi nei vari ambiti e questo aiuterà a generare più conoscenza per tutti. Sia chiaro, però, che non bastano dati e tecnologia per generare conoscenza (e quindi libertà). L’elemento fondamentale è la capacità di giudizio, che è sempre personale e che va esercitata con criterio. Il punto, è che la tecnologia rende più semplice “osservare” i fenomeni, immedesimarsi in ciò che accade…, questo allarga gli orizzonti, ma occorre sempre qualcuno che li scruti, questi orizzonti. E come se oggi potessimo osservare certe cose da una posizione privilegiata: questo aiuta a fornire più risposte, ma genererà anche più domande. Il protagonista della conoscenza, infatti, è sempre “l’io”, che è infatti il punto sorgivo delle domande. E la somma dei “bit” non fa il senso del “testo”, per rimanere al tema che ho sollevato prima. Per questo, ci vuole qualcuno che “legga”. La tecnologia sta introducendo nuove modalità di condivisione del sapere, come vede questo cambiamento? Ho risposto in precedenza, per quel che riguarda il mio lavoro. Per quanto concerne una risposta più generale, mi riallaccio a quanto ho appena detto: se la tecnologia abilita un processo conoscitivo, esperienziale e critico, allora diffonde anche sapere. Viceversa, diffonde omologazione (sotto le mentite spoglie dell’accesso all’informazione).

“La tecnologia rappresenta un limite se viene usata per ridurre a meccanismo il processo conoscitivo.”

dominate dai fornitori

fornitori specializzati

basate sulla scienza

a economia di scala

2.909,2 milioni di euro

3.468,3 milioni di euro

3.996,5 milioni di euro

9.116,4 milioni di euro

Dove vede i maggiori campi di evoluzione tecnologica, pensa che l’implementazione della dimensione partecipativa rappresenti un opportunità? Sì, come ho già detto parlando del mio lavoro. Ed è sicuramente vero che la possibilità di compartecipare ai processi di conoscenza aiuta l’apertura di domande e di orizzonti interpretativi che da soli si può non essere in grado di intuire. Se però si fa della partecipazione un feticcio, allora si rischia di finire o in banalità del tipo “ogni opinione è legittima e tutti possono dire la loro” (io dico che ciascuno ha il diritto alla propria opinione, ma ciò non toglie che le opinioni possano anche essere sbagliate o irragionevoli; la conoscenza richiede “metodo e fatica”…) o in un’idea un po’ “panteistica” che vede nella rete partecipativa una sorta di coscienza collettiva superiore e delocalizzata (per esempio, qualcuno ha addirittura voluto vedere nel web la concretizzazione della noosfera di Teillard de Chardin). La partecipazione è interessante quando rafforza e completa i soggetti che vi fanno parte.

La spesa per l’innovazione delle imprese manifatturiere innovatrici per gruppi di imprese in Italia Fonte: Istat, L’innovazione nelle imprese italiane. Anni 2004-2006, Roma, novembre 2008

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Se è così dove pensa che questo ci stia portando? Con riferimento alla mia disciplina, questo può condurre a un incremento nel potenziale conoscitivo e alla diffusione di un metodo d’indagine nuovo (secondo gli aspetti che via via interessano, cioè in base ai contesti, e qui parlo di conoscenza, scientifica, aziendale…). In una battuta: i dati sono ormai “pervasivi”, tuttavia sembra che chiunque possa usarli (meglio se ha una laurea scientifica…), come se non fossero necessarie competenze specifiche. Invece occorre metodo e la tecnologia è un fattore abilitante di questo metodo. Abbattendo i costi, il “metodo” può diffondersi nei vari ambiti e questo aiuterà a generare più conoscenza per tutti. Sia chiaro, però, che non bastano dati e tecnologia per generare conoscenza (e quindi libertà). L’elemento fondamentale è la capacità di giudizio, che è sempre personale e che va esercitata con criterio. Il punto, è che la tecnologia rende più semplice “osservare” i fenomeni, immedesimarsi in ciò che accade…, questo allarga gli orizzonti, ma occorre sempre qualcuno che li scruti, questi orizzonti. E come se oggi potessimo osservare certe cose da una posizione privilegiata: questo aiuta a fornire più risposte, ma genererà anche più domande. Il protagonista della conoscenza, infatti, è sempre “l’io”, che è infatti il punto sorgivo delle domande. E la somma dei “bit” non fa il senso del “testo”, per rimanere al tema che ho sollevato prima. Per questo, ci vuole qualcuno che “legga”. La tecnologia sta introducendo nuove modalità di condivisione del sapere, come vede questo cambiamento? Ho risposto in precedenza, per quel che riguarda il mio lavoro. Per quanto concerne una risposta più generale, mi riallaccio a quanto ho appena detto: se la tecnologia abilita un processo conoscitivo, esperienziale e critico, allora diffonde anche sapere. Viceversa, diffonde omologazione (sotto le mentite spoglie dell’accesso all’informazione).

“La tecnologia rappresenta un limite se viene usata per ridurre a meccanismo il processo conoscitivo.”

dominate dai fornitori

fornitori specializzati

basate sulla scienza

a economia di scala

2.909,2 milioni di euro

3.468,3 milioni di euro

3.996,5 milioni di euro

9.116,4 milioni di euro

Dove vede i maggiori campi di evoluzione tecnologica, pensa che l’implementazione della dimensione partecipativa rappresenti un opportunità? Sì, come ho già detto parlando del mio lavoro. Ed è sicuramente vero che la possibilità di compartecipare ai processi di conoscenza aiuta l’apertura di domande e di orizzonti interpretativi che da soli si può non essere in grado di intuire. Se però si fa della partecipazione un feticcio, allora si rischia di finire o in banalità del tipo “ogni opinione è legittima e tutti possono dire la loro” (io dico che ciascuno ha il diritto alla propria opinione, ma ciò non toglie che le opinioni possano anche essere sbagliate o irragionevoli; la conoscenza richiede “metodo e fatica”…) o in un’idea un po’ “panteistica” che vede nella rete partecipativa una sorta di coscienza collettiva superiore e delocalizzata (per esempio, qualcuno ha addirittura voluto vedere nel web la concretizzazione della noosfera di Teillard de Chardin). La partecipazione è interessante quando rafforza e completa i soggetti che vi fanno parte.

La spesa per l’innovazione delle imprese manifatturiere innovatrici per gruppi di imprese in Italia Fonte: Istat, L’innovazione nelle imprese italiane. Anni 2004-2006, Roma, novembre 2008

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Quali sono i fattori che hanno permesso in questo preciso momento storico di rendere i risultati della ricerca scientifica un prodotto commercializzabile? Rispondo a fatica, nel senso che nel mio lavoro di ricerca non ho a che fare con aspetti commerciali. Per quanto riguarda, invece, attività più consulenziali, come ho già detto il fattore tecnologico è fondamentale (sia perché mette a disposizione i dati, sia perché consente di applicarvi metodi statistici a costi bassi). Ma l’altro grande fattore è l’esistenza di una “domanda” di senso (da parte dei decisori, dei policy-maker, dei manager…) che guarda ai patrimoni informativi come a una risorsa imprescindibile. In che modo crede sia possibile portare conoscenza e coscienza ad un pubblico meno specializzato? Innanzitutto facendo comprendere che la conoscenza non si porta ma si acquisisce attraverso due elementi fondamentali: la domanda e il metodo. Quindi io porto conoscenza a qualcuno solo se questi ha una domanda aperta sul tema e se è disposta a fare (almeno un po’) la fatica di comprendere. Viceversa, la “visione del mondo” che il soggetto a cui mi rivolgo avrà dopo la mia azione comunicativa sarà identica a quella che aveva prima, cioè non avrò comunicato alcuna informazione. Insomma, la prima condizione è “riattivare” l’interesse, la curiosità e la domanda nei soggetti. A quel punto gli strumenti tecnologici e comunicativi non mancano. Ma stiamo attenti a non contrabbandare la possibilità di trasmettere bit a

“la prima condizione è riattivare l’interesse, la curiosità e la domanda nei soggetti. A quel punto gli strumenti tecnologici e comunicativi non mancano” .

qualcuno, con il fatto che si stia diffondendo conoscenza. E a maggior ragione coscienza. Realtà e dati non mancano. Strumenti di comunicazione nemmeno. Ma se manca “l’io”, manca il fattore determinante la conoscenza. E che quel che dico non sia astratto, lo dice il livello sempre più basso e “istintivo” anche della pura divulgazione scientifica classica e la sempre minor diffusione dei libri e della lettura. Anche io uso molto Wikipedia, mi aiuta molto a ricostruire le coordinate di molti fatti, anche scientifici. Ma poi i pezzi devo metterli insieme io. E questa fatica non la posso delegare. Che vantaggi si possono avere trattando i dati graficamente per un pubblico specializzato? Molti, se non si banalizza il contenuto. La visualizzazione ben costruita aiuta a fare esperienza del fenomeno d’interesse e questo aiuta e generare conoscenza e consapevolezza. Ma, al solito, non è automatismo garantito dalla capacità tecnologica. Secondo lei un eccessivo sforzo di interazione con l’utente può trasformarsi in un feticcio che fa perdere di valore al contenuto? No se si tratta di immedesimarsi nel soggetto che pone le “domande” che ultimamente sono all’origine del lavoro statistico. Sì, se si tratta di conce30

pire il processo conoscitivo in termini di “il cliente ha sempre ragione”, restringendo gli orizzonti del lavoro a ciò che il cliente/utente sa già. L’equilibrio tra la necessaria apertura degli orizzonti del cliente/utente e il fatto che non gli si possa proporre qualcosa di cui lui non intuisca il valore è un’arte… ma in questo gioca molto anche la fiducia che si instaura tra i soggetti (qui penso, per esempio, ad attività di consulenza).

che significato assume fare

ricerca nel tuo lavoro ?

Com’è cambiato il suo lavoro grazie alla tecnologia? A questo ho implicitamente già risposto. Sul lato scientifico ha abilitato un nuovo modo di procedere nella ricerca, sul lato delle applicazioni operative, consente di diffondere un nuovo metodo, con costi di investimento quasi nulli. Nel suo lavoro la tecnologia può rappresentare un limite? La tecnologia rappresenta un limite (e tante volta lo ha rappresentato) se viene usata per ridurre a meccanismo il processo conoscitivo. Pensiamo al caso aziendale. Per troppi anni, il problema della conoscenza è stato visto come un problema di automazione software e così molti degli investimenti in questa direzione si sono risolti in grandi progetti di system integration che hanno preteso di ridurre il problema della conoscenza e della decisione strategica o anche solo tattica all’output di un algoritmo di manipolazione di “bit” (il mitico “data mining”). Oggi, poi, le potenzialità grafiche e comunicative dei sw illudono che si possa “vedere” o “far vedere” il senso dei dati per il semplice fatto che siamo in grado di costruire mappe e rappresentazioni automatizzate, secondo i canoni di una certa idea di design della comunicazione. E quindi siamo convinti che tutti possano partecipare alla conoscenza. Ma basterebbe vedere come funzionano i processi di “generazione delle informazioni” (in un’azienda, in un blog…) per cambiare idea molto rapidamente. In entrambi i casi, si pretende di “far fuori” la fatica del metodo, cioè del percorso da intraprendere per far emergere il senso dei dati (che poi si potrà utilmente rappresentare secondo i giusti canoni del design…). Naturalmente, sto estremizzando il discorso. La possibilità di automatizzare la gestione informatica del dato e della sua visualizzazione è molto importante, se usata per abilitare un processo diffuso e dialogico di conoscenza e di critica, secondo le capacità e i “temperamenti” dei diversi attori coinvolti ai vari livelli aziendali, sociali… ma contemporaneamente, l’abilità tecnologica e comunicativa corre anche il rischio di essere omologante e di deprimere, senza violenza apparente, la capacità critica.

PAOLO CIUCCARELLI La ricerca è per me lavorare sulla frontiera, aprire delle linee di lavoro, che diventano poi occasione di formazione di persone che poi quella cosa la andranno a fare a livello professionale, quindi è lavorare sulla frontiera per aggiungere pezzi di conoscenza allo stato dell’arte, idealmente dal mio lavoro dovrebbe uscire qualcosa, anche un pezzetto piccolo di conoscenza che prima non c’era. Se manca questo differenziale può essere anche il prodotto più figo del mercato, ma che sta sul livello del mercato e che quindi per me non costituisce ricerca, non è ricerca. Poi è tutto un po’ ideale perché non è semplice misurare questo coefficiente di innovazione, ma è quel qualcosa in più che distingue la ricerca dalla non ricerca. Quando mi accorgo che sto un po’ deviando e sto facendo cose che potrebbero fare anche altri mi accorgo che non sto più facendo effettivamente il mio lavoro, che di base comunque è quello proprio di far ricerca.

FRANCE SCO FRANCHi

MARCO FATTORE Diciamo che oggi come oggi vuol dire “buttarsi” in un mondo di possibilità infinite, lottando contro alcune “sclerotizzazioni” tecnologiche e culturali, ma con grandi orizzonti. E se uno ha il gusto per la conoscenza, intesa come osservazione della realtà, allora la ricerca in campo statistico può diventare davvero appagante. Per me è, e so di ripetermi, il grande tema della “conoscenza”, forse la cosa più interessante e umana che c’è.

La ricerca è importante sempre e comunque, e a maggior ragione in una fase come questa nell’editoria, che è una fase di crisi, dove la necessità è quella di reinventare la professione, quindi vuol dire imparare a rinnovarsi. A mio parere non può esserci una fase più interessante per un designer per lavorare nel mondo dell’editoria, lavorando in un momento come questo hai delle sfide da affrontare, che sono occasioni di sperimentazione e ricerca. Può essere interessante, cosi come chi fa design di automobili e design della moda, partire dai classici per poi riportarli sulla contemporaneità.

Paolo Rosa Non è stata una cosa che siamo riusciti a mettere a fuoco all’istante, ma piano piano abbiamo avuto modo di scoprire quella che era la nostra realtà, e capire quale ruolo doveva avere la nostra esperienza di carattere artistico rispetto a questa serie di innovazioni. Questo tipo di ricerca artistica poteva dare un segno, un anima, un’etica a tutto l’evolversi della tecnologia che spesso è determinata da esigenze utilitaristiche: la tecnologia dovrebbe - e non uso a caso il condizionale - aiutare l’uomo a rendere più semplice il vivere ma in realtà glielo complica in maniera spropositata. Studio Azzurro ha voluto mettere questa filiera di produzione di tecnologie in contrapposizione con un esperienza artistica il cui scopo è quello di mantenere alto il livello di sensibilità delle persone, stimolandole a far sì che non siano vittime della loro stessa tecnologia ma ad avere un rapporto con le cose, spesso anche di differenza. Quindi è da qui che nasce tutto il nostro percorso, attraversando queste tre ere - video, computer e rete - il nostro fare ricerca ha voluto dire approfondire questo approccio, sperimentarlo e farlo diventare una radice umanistica attraverso cui intervenire in ambito scientifico con un’ intenzione di dialogo, non contrapposizione, usando le tecnologie in modo imprevisto oppure in condizioni particolari, ingredienti particolari che generassero un esperienza col visitatore che fosse emotiva e non solo di sorpresa per la qualità espressa dalla tecnologia.


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Quali sono i fattori che hanno permesso in questo preciso momento storico di rendere i risultati della ricerca scientifica un prodotto commercializzabile? Rispondo a fatica, nel senso che nel mio lavoro di ricerca non ho a che fare con aspetti commerciali. Per quanto riguarda, invece, attività più consulenziali, come ho già detto il fattore tecnologico è fondamentale (sia perché mette a disposizione i dati, sia perché consente di applicarvi metodi statistici a costi bassi). Ma l’altro grande fattore è l’esistenza di una “domanda” di senso (da parte dei decisori, dei policy-maker, dei manager…) che guarda ai patrimoni informativi come a una risorsa imprescindibile. In che modo crede sia possibile portare conoscenza e coscienza ad un pubblico meno specializzato? Innanzitutto facendo comprendere che la conoscenza non si porta ma si acquisisce attraverso due elementi fondamentali: la domanda e il metodo. Quindi io porto conoscenza a qualcuno solo se questi ha una domanda aperta sul tema e se è disposta a fare (almeno un po’) la fatica di comprendere. Viceversa, la “visione del mondo” che il soggetto a cui mi rivolgo avrà dopo la mia azione comunicativa sarà identica a quella che aveva prima, cioè non avrò comunicato alcuna informazione. Insomma, la prima condizione è “riattivare” l’interesse, la curiosità e la domanda nei soggetti. A quel punto gli strumenti tecnologici e comunicativi non mancano. Ma stiamo attenti a non contrabbandare la possibilità di trasmettere bit a

“la prima condizione è riattivare l’interesse, la curiosità e la domanda nei soggetti. A quel punto gli strumenti tecnologici e comunicativi non mancano” .

qualcuno, con il fatto che si stia diffondendo conoscenza. E a maggior ragione coscienza. Realtà e dati non mancano. Strumenti di comunicazione nemmeno. Ma se manca “l’io”, manca il fattore determinante la conoscenza. E che quel che dico non sia astratto, lo dice il livello sempre più basso e “istintivo” anche della pura divulgazione scientifica classica e la sempre minor diffusione dei libri e della lettura. Anche io uso molto Wikipedia, mi aiuta molto a ricostruire le coordinate di molti fatti, anche scientifici. Ma poi i pezzi devo metterli insieme io. E questa fatica non la posso delegare. Che vantaggi si possono avere trattando i dati graficamente per un pubblico specializzato? Molti, se non si banalizza il contenuto. La visualizzazione ben costruita aiuta a fare esperienza del fenomeno d’interesse e questo aiuta e generare conoscenza e consapevolezza. Ma, al solito, non è automatismo garantito dalla capacità tecnologica. Secondo lei un eccessivo sforzo di interazione con l’utente può trasformarsi in un feticcio che fa perdere di valore al contenuto? No se si tratta di immedesimarsi nel soggetto che pone le “domande” che ultimamente sono all’origine del lavoro statistico. Sì, se si tratta di conce30

pire il processo conoscitivo in termini di “il cliente ha sempre ragione”, restringendo gli orizzonti del lavoro a ciò che il cliente/utente sa già. L’equilibrio tra la necessaria apertura degli orizzonti del cliente/utente e il fatto che non gli si possa proporre qualcosa di cui lui non intuisca il valore è un’arte… ma in questo gioca molto anche la fiducia che si instaura tra i soggetti (qui penso, per esempio, ad attività di consulenza).

che significato assume fare

ricerca nel tuo lavoro ?

Com’è cambiato il suo lavoro grazie alla tecnologia? A questo ho implicitamente già risposto. Sul lato scientifico ha abilitato un nuovo modo di procedere nella ricerca, sul lato delle applicazioni operative, consente di diffondere un nuovo metodo, con costi di investimento quasi nulli. Nel suo lavoro la tecnologia può rappresentare un limite? La tecnologia rappresenta un limite (e tante volta lo ha rappresentato) se viene usata per ridurre a meccanismo il processo conoscitivo. Pensiamo al caso aziendale. Per troppi anni, il problema della conoscenza è stato visto come un problema di automazione software e così molti degli investimenti in questa direzione si sono risolti in grandi progetti di system integration che hanno preteso di ridurre il problema della conoscenza e della decisione strategica o anche solo tattica all’output di un algoritmo di manipolazione di “bit” (il mitico “data mining”). Oggi, poi, le potenzialità grafiche e comunicative dei sw illudono che si possa “vedere” o “far vedere” il senso dei dati per il semplice fatto che siamo in grado di costruire mappe e rappresentazioni automatizzate, secondo i canoni di una certa idea di design della comunicazione. E quindi siamo convinti che tutti possano partecipare alla conoscenza. Ma basterebbe vedere come funzionano i processi di “generazione delle informazioni” (in un’azienda, in un blog…) per cambiare idea molto rapidamente. In entrambi i casi, si pretende di “far fuori” la fatica del metodo, cioè del percorso da intraprendere per far emergere il senso dei dati (che poi si potrà utilmente rappresentare secondo i giusti canoni del design…). Naturalmente, sto estremizzando il discorso. La possibilità di automatizzare la gestione informatica del dato e della sua visualizzazione è molto importante, se usata per abilitare un processo diffuso e dialogico di conoscenza e di critica, secondo le capacità e i “temperamenti” dei diversi attori coinvolti ai vari livelli aziendali, sociali… ma contemporaneamente, l’abilità tecnologica e comunicativa corre anche il rischio di essere omologante e di deprimere, senza violenza apparente, la capacità critica.

PAOLO CIUCCARELLI La ricerca è per me lavorare sulla frontiera, aprire delle linee di lavoro, che diventano poi occasione di formazione di persone che poi quella cosa la andranno a fare a livello professionale, quindi è lavorare sulla frontiera per aggiungere pezzi di conoscenza allo stato dell’arte, idealmente dal mio lavoro dovrebbe uscire qualcosa, anche un pezzetto piccolo di conoscenza che prima non c’era. Se manca questo differenziale può essere anche il prodotto più figo del mercato, ma che sta sul livello del mercato e che quindi per me non costituisce ricerca, non è ricerca. Poi è tutto un po’ ideale perché non è semplice misurare questo coefficiente di innovazione, ma è quel qualcosa in più che distingue la ricerca dalla non ricerca. Quando mi accorgo che sto un po’ deviando e sto facendo cose che potrebbero fare anche altri mi accorgo che non sto più facendo effettivamente il mio lavoro, che di base comunque è quello proprio di far ricerca.

FRANCE SCO FRANCHi

MARCO FATTORE Diciamo che oggi come oggi vuol dire “buttarsi” in un mondo di possibilità infinite, lottando contro alcune “sclerotizzazioni” tecnologiche e culturali, ma con grandi orizzonti. E se uno ha il gusto per la conoscenza, intesa come osservazione della realtà, allora la ricerca in campo statistico può diventare davvero appagante. Per me è, e so di ripetermi, il grande tema della “conoscenza”, forse la cosa più interessante e umana che c’è.

La ricerca è importante sempre e comunque, e a maggior ragione in una fase come questa nell’editoria, che è una fase di crisi, dove la necessità è quella di reinventare la professione, quindi vuol dire imparare a rinnovarsi. A mio parere non può esserci una fase più interessante per un designer per lavorare nel mondo dell’editoria, lavorando in un momento come questo hai delle sfide da affrontare, che sono occasioni di sperimentazione e ricerca. Può essere interessante, cosi come chi fa design di automobili e design della moda, partire dai classici per poi riportarli sulla contemporaneità.

Paolo Rosa Non è stata una cosa che siamo riusciti a mettere a fuoco all’istante, ma piano piano abbiamo avuto modo di scoprire quella che era la nostra realtà, e capire quale ruolo doveva avere la nostra esperienza di carattere artistico rispetto a questa serie di innovazioni. Questo tipo di ricerca artistica poteva dare un segno, un anima, un’etica a tutto l’evolversi della tecnologia che spesso è determinata da esigenze utilitaristiche: la tecnologia dovrebbe - e non uso a caso il condizionale - aiutare l’uomo a rendere più semplice il vivere ma in realtà glielo complica in maniera spropositata. Studio Azzurro ha voluto mettere questa filiera di produzione di tecnologie in contrapposizione con un esperienza artistica il cui scopo è quello di mantenere alto il livello di sensibilità delle persone, stimolandole a far sì che non siano vittime della loro stessa tecnologia ma ad avere un rapporto con le cose, spesso anche di differenza. Quindi è da qui che nasce tutto il nostro percorso, attraversando queste tre ere - video, computer e rete - il nostro fare ricerca ha voluto dire approfondire questo approccio, sperimentarlo e farlo diventare una radice umanistica attraverso cui intervenire in ambito scientifico con un’ intenzione di dialogo, non contrapposizione, usando le tecnologie in modo imprevisto oppure in condizioni particolari, ingredienti particolari che generassero un esperienza col visitatore che fosse emotiva e non solo di sorpresa per la qualità espressa dalla tecnologia.


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stefano c a s e r i n i

Nato sulla scia di “A Qualcuno Piace Caldo”, per continuarne e alimentarne il dibattito, climalternati.it è un sito/blog di divulgazione scientifica, che si occupa di formazione e discussione sul tema dei cambiamenti climatici, e di fornire un’analisi critica delle tesi negazioniste. La redazione comprende ormai decine di contatti in tutta Italia, e anche nel mondo, costantemente aggiornati sulle principali pubblicazioni scientifiche e che contribuiscono alla continua revisione critica di ogni cosa che appare sul blog. Lo sviluppo di questo blog dimostra quanto Caserini, da ricercatore, tenga alla diffusione della ricerca, specie in un campo come il suo in cui il divario tra i risultati raggiunti e l’opinione pubblica resta enorme. Come dice lui stesso, in questo momento è un bene togliere piuttosto un po’ di tempo al fare ricerca per dedicarlo alla diffusione. Sentiamo quindi le sue opinioni su un passaggio critico com’è quello del far uscire la ricerca dai laboratori e dalla ristretta nicchia degli specialisti.

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Innanzitutto volevo partire da questa frase: “Qui non si fa scienza. La scienza la si fa nei laboratori e coi calcolatori. Qui si fa comunicazione, cercando di capire e di far capire meglio”. Nella catena della ricerca: fare, rappresentare e divulgare voi appartenete al terzo anello: che contatti avete con gli altri due e cosa ne sapete? Non c’è una distinzione così precisa tra i tre anelli, ma una distanza tra chi come noi nell’università produce lavori scientifici, e quindi fa ricerca con l’obiettivo di pubblicarla su una rivista internazionale soggetta a peer review (mi sto riferendo ad una rivista seria): manca il collegamento tra questo tipo di colclusione del lavoro, ed invece la divulgazione a un pubblico più ampio. Questo divario è particolarmente ampio nel mio campo, cioè quello dei cambiamenti climatici. C’è una mole di dati,osservazioni, di scenari, c’è estrema chiarezza insomma su alcuni temi importanti in merito climatico nella letteratura scientifica, e c’è invece molta confusione, molta incertezza nel dibattito pubblico. Quindi mentre gli scienziati discutono di dettagli, e sono sicuri che il clima sta cambiando, che

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7S9D5C3X P4E9M4K 6A0N7N5I J9DK8S9X B3M5U4O il riscaldameno climatico è inequivocabile, e le responsabilità sono umane, se si va a sentire l’opinione pubblica o i politici, si rimane sempre sconcertati dal fatto che sembra che dobbiamo ancora mettere in discussione se sia colpa dell’uomo o della variabilità naturale o del sole. Sicuramente chi fa scienza non è abituato a divulgare: ha come obiettivo pubblicare, perchè gli serve per la carriera. Questo è un tema, anche per via degli interessi che ci sono in gioco, che è stato male comununicato, e c’è stata una campagna di disinformazione patrocinata da alcune lobby che hanno voluto disinformare specificatamente per impedire le politiche sul clima. Però è vero che in Italia non esistono delle prassi consolidate per fare sì che chi fa scienza poi riesca a divulgare i propri risultati. Perchè e com’è nato il blog quindi? Il problema è proprio che la scienza non è riuscita a far arrivare il proprio messaggio ai grandi numeri, la televisione non parla di certe cose. Qui forse la responsabilità è anche della debolezza del settore

della divulgazione scientifica in Italia, perchè mancano delle procedure consolidate. Faccio un esempio: se esce un articolo su una rivista, non esce un comunicato stampa verso i giornalisti del dipartimento che illustra quello che è stato fatto. In particolare il tema dei cambiamenti climatici è stato mal comunicato, e i motivi non sono semplici. Innanzitutto da una parte, la responsabilità è anche della comunità scientifica, che ha divulgato forse non abbastanza, da un’altra le lobby d’interesse, che hanno bombardato in modo molto efficace le corde giuste, facendosi meno problemi di rigore degli scienziati. Poi c’è il problema della negazione. Nel senso che se dico che il problema non c’è e va tutto bene, trovo un terreno fertile. Le società vogliono essere rassicurate: se dici che c’è il problema del clima e che mettiamo in discussione le generazioni future, è chiaro che uno si preoccupa. Poi arriva quello che dice: ma no guarda, ha nevicato, non c’è il problema del riscaldamento globale, allora uno si tranquillizza e ci si fa sopra una risata davanti a un bicchiere di vino. Per esempio in America, dove gli scienziati sono convinti al 98% dell’esistenza del 33


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stefano c a s e r i n i

Nato sulla scia di “A Qualcuno Piace Caldo”, per continuarne e alimentarne il dibattito, climalternati.it è un sito/blog di divulgazione scientifica, che si occupa di formazione e discussione sul tema dei cambiamenti climatici, e di fornire un’analisi critica delle tesi negazioniste. La redazione comprende ormai decine di contatti in tutta Italia, e anche nel mondo, costantemente aggiornati sulle principali pubblicazioni scientifiche e che contribuiscono alla continua revisione critica di ogni cosa che appare sul blog. Lo sviluppo di questo blog dimostra quanto Caserini, da ricercatore, tenga alla diffusione della ricerca, specie in un campo come il suo in cui il divario tra i risultati raggiunti e l’opinione pubblica resta enorme. Come dice lui stesso, in questo momento è un bene togliere piuttosto un po’ di tempo al fare ricerca per dedicarlo alla diffusione. Sentiamo quindi le sue opinioni su un passaggio critico com’è quello del far uscire la ricerca dai laboratori e dalla ristretta nicchia degli specialisti.

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Innanzitutto volevo partire da questa frase: “Qui non si fa scienza. La scienza la si fa nei laboratori e coi calcolatori. Qui si fa comunicazione, cercando di capire e di far capire meglio”. Nella catena della ricerca: fare, rappresentare e divulgare voi appartenete al terzo anello: che contatti avete con gli altri due e cosa ne sapete? Non c’è una distinzione così precisa tra i tre anelli, ma una distanza tra chi come noi nell’università produce lavori scientifici, e quindi fa ricerca con l’obiettivo di pubblicarla su una rivista internazionale soggetta a peer review (mi sto riferendo ad una rivista seria): manca il collegamento tra questo tipo di colclusione del lavoro, ed invece la divulgazione a un pubblico più ampio. Questo divario è particolarmente ampio nel mio campo, cioè quello dei cambiamenti climatici. C’è una mole di dati,osservazioni, di scenari, c’è estrema chiarezza insomma su alcuni temi importanti in merito climatico nella letteratura scientifica, e c’è invece molta confusione, molta incertezza nel dibattito pubblico. Quindi mentre gli scienziati discutono di dettagli, e sono sicuri che il clima sta cambiando, che

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7S9D5C3X P4E9M4K 6A0N7N5I J9DK8S9X B3M5U4O il riscaldameno climatico è inequivocabile, e le responsabilità sono umane, se si va a sentire l’opinione pubblica o i politici, si rimane sempre sconcertati dal fatto che sembra che dobbiamo ancora mettere in discussione se sia colpa dell’uomo o della variabilità naturale o del sole. Sicuramente chi fa scienza non è abituato a divulgare: ha come obiettivo pubblicare, perchè gli serve per la carriera. Questo è un tema, anche per via degli interessi che ci sono in gioco, che è stato male comununicato, e c’è stata una campagna di disinformazione patrocinata da alcune lobby che hanno voluto disinformare specificatamente per impedire le politiche sul clima. Però è vero che in Italia non esistono delle prassi consolidate per fare sì che chi fa scienza poi riesca a divulgare i propri risultati. Perchè e com’è nato il blog quindi? Il problema è proprio che la scienza non è riuscita a far arrivare il proprio messaggio ai grandi numeri, la televisione non parla di certe cose. Qui forse la responsabilità è anche della debolezza del settore

della divulgazione scientifica in Italia, perchè mancano delle procedure consolidate. Faccio un esempio: se esce un articolo su una rivista, non esce un comunicato stampa verso i giornalisti del dipartimento che illustra quello che è stato fatto. In particolare il tema dei cambiamenti climatici è stato mal comunicato, e i motivi non sono semplici. Innanzitutto da una parte, la responsabilità è anche della comunità scientifica, che ha divulgato forse non abbastanza, da un’altra le lobby d’interesse, che hanno bombardato in modo molto efficace le corde giuste, facendosi meno problemi di rigore degli scienziati. Poi c’è il problema della negazione. Nel senso che se dico che il problema non c’è e va tutto bene, trovo un terreno fertile. Le società vogliono essere rassicurate: se dici che c’è il problema del clima e che mettiamo in discussione le generazioni future, è chiaro che uno si preoccupa. Poi arriva quello che dice: ma no guarda, ha nevicato, non c’è il problema del riscaldamento globale, allora uno si tranquillizza e ci si fa sopra una risata davanti a un bicchiere di vino. Per esempio in America, dove gli scienziati sono convinti al 98% dell’esistenza del 33


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Come mai la tecnologia del blog? Beh, alla fine o uno fa un libro o fa un blog, non ho avuto dubbi su quello, non avevo alternative. Oltre a un libro, l’altra possibilità che hai per farti conoscere e per fare dibattito è il blog. Mi sono rivolto a un amico e a Edizioni Ambiente: ho chiesto a loro visto che il libro è 34

92 11.6

Questo blog poi, nasce da un libro, cioè un supporto cartaceo, giusto? Io ho pubblicato A Qualcuno Piace Caldo, poi il suo seguito, Leggende Di Un Mondo Che Cambia, ma non è che solo con questo su giornali e televisione siano sparite le polemiche negazioniste. Non potevo pubblicare un libro all’anno come aggiornamento, ma volevo tenere aperto il dibattito. Ho iniziato a sentire alcuni colleghi, e ho iniziato a parlare loro della mia idea. Poi ha cominciato a crescere, si è vista anche la qualità scientifica, e molti colleghi si sono proposti per primi, e questo è un segno dell’effetto dell’impegno che abbiamo messo in questo progetto. Il gruppo di climalteranti comprende ormai una quarantina di docenti e ricercatori di università italiane, da Messina a Trento, e colleghi dagli Stati Uniti. Ci siamo dotati di una mailing list con cui ci scambiamo informazioni e facciamo la revisione scientifica dei post. Poi mi piace, è interessante, come sforzo condiviso, solidale, collaborativo e tutto volontario, con l’obiettivo di pubblicare un post alla settimana. Però siamo contenti, i numeri delle visite sono molto superiori a quelle che ci aspettavamo, e comunque nel settore viene letto e apprezzato.

ITALIA

0 88 15.

“Il problema è proprio che la scienza non è riuscita a far arrivare il Proprio messaggio ai grandi numeri la televisione non parla di certe cose.”

andato bene, mi hanno fatto il piacere di creare la prima piattaforma. Poi abbiamo trovato una società, TerraAria, che ci ha offerto l’hosting gratuito e ci mette in piedi la parte hardware del blog, in cambio di un banner.

ANCIA FR

riscaldamento globale e della responsabilità umana, l’opinione pubblica è per la maggior parte negazionista. Questo non riguarda solo il clima: nel mio secondo libro ho citato l’esempio di Primo Levi che, parlando della shoah, parla di molte persone sui treni che andavano nei campi di concentramento che non volevano ammettere di sapere dove stavano andando, anche se molti lo avevano capito perchè si era diffusa la notizia. Era troppo grosso pensare allo sterminio di massa, allora scattava il diniego. (C’è un libro che parla molto diffusamente di come le società evitino le realtà scomode, Stati Di Negazione di Steve Cohen, e spiega di come in diversi settori, tra cui i cambiamenti climatici, le comunità vogliono negare la realtà, e si costruiscono realtà di comodo). Anche gli scienziati poi sono stati un pò naive nel non saper comunicare: sono stati discussi casi in , cui in dibattiti tra scienzia ti e negazionisti, anche se gli scienziati avevano gli argomenti giusti, i negazionisti con poche frasi ad effetto, suadenti ed efficaci, vincevano. Perchè lo scienziato era complesso, rigoroso, e quelli invece prendevano al cuore. Quindi è chiaro che la comunicazione non dovrebbe essere fatta dagli scienziati, perchè loro sanno fare scienza: sono mancati degli intermediari, dei divulgatori scientifici. L’idea del blog è quella di togliere un pò di tempo al fare ricerca, e dedicarne un pò di più a far conoscere quello che già si sa. Anche se non toccherebbe a noi, ma ai divulgatori scientifici: io faccio docenza, un pò di ricerca sul tema dell’inquinamento, poi la sera scrivo libri, faccio il blog, perchè lo ritengo oggi ancora più importante. L’obiettivo è fare in modo che ci sia meno differenza, un minore divario tra quello che si sa nel mondo scientifico, e cioè l’evidenza scientifica consolidata, e quello che è la percezione dell’opinione pubblica del problema del cambiamento climatico. Ovviamente non si potrà mai avere chiarezza come c’è nel mondo della scienza, però almeno che alcuni capisaldi del problema climatico, cioè che il problema c’è, che è grave, e che la responsabilità è umana, siano patrimonio condiviso. Poco tempo fa è uscito un articolo di un climatologo statunitense, Richard Sommerville, in cui dice che non riusciremo sicuramente nei prossimi anni ad alzare di tanto il livello di acculturazione su questi temi,quindi cerchiamo di comunicare tenendo ben presenti cinque o sei punti.

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64 30. GIAPPONE

USA

142.4 13

Solitamente, per quanto riguarda la ricerca, l’Italia viene paragonata agli altri Paesi, in particolare gli Stati Uniti vengono posti come esempio positivo, in cui è presente una solida catena dal produrre al diffondere la ricerca. Lei invece ci ha accennato ad un paragone in negativo, poco fà. Negli Stati Uniti c’è un’enorme differenza tra la qualità delle pubblicazioni scientifiche, di grandissimo livello, e al fatto che nel senato, alle elezioni di ottobre, uno solo su 60 dei candidati al senato repubblicani accreditava il problema del riscaldamento globale. Sull’Herald Tribune è uscito un articolo che dimostrava come in media negli Stati Uniti il 50-60% della pololazione creda al problema del riscaldamento globale, e che sia causato dall’uomo. Su Eos è uscita una pubblicazione scientifica in cui chiedevano a qualche centinaio di scienziati se l’attività umana fosse responsabile del cambiamento climatico il 98 e qualcosa percento degli intervistati, nel settore della climatologia, rispondevano di sì, cioè che l’uomo è responsabile dei cambiamenti climatici. Se si andava all’opinione pubblica in generale, si era sul 50%. Ma anche se si andava su persone meno competenti del settore, si scendeva sul 70%. Quindi più gli scienziati sono competenti in questa materia, più sono convinti della gravità della situazione. La cosa incredibile è che nonostante l’approfondimento della ricerca scientifica negli Stati Uniti sul clima, c’è una frattura ancora più profonda tra il livello di conoscenza pazzesco della ricerca scientifica e l’opinione pubblica e i rappresentanti politici. Sulla divulgazione al pubblico di massa, anche gli stessi settori della scienza statunitense, hanno riconosciuto la loro sconfitta. Parlo del-

(milioni di dollari Usa per ppa)

Gli stanziamenti pubblici per R&S in alcuni paesi dell’Ocse e del resto del mondo, 2008 Fonte: Ocse, Main Science and Technology Indicators, 2009-2. 35


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Come mai la tecnologia del blog? Beh, alla fine o uno fa un libro o fa un blog, non ho avuto dubbi su quello, non avevo alternative. Oltre a un libro, l’altra possibilità che hai per farti conoscere e per fare dibattito è il blog. Mi sono rivolto a un amico e a Edizioni Ambiente: ho chiesto a loro visto che il libro è 34

92 11.6

Questo blog poi, nasce da un libro, cioè un supporto cartaceo, giusto? Io ho pubblicato A Qualcuno Piace Caldo, poi il suo seguito, Leggende Di Un Mondo Che Cambia, ma non è che solo con questo su giornali e televisione siano sparite le polemiche negazioniste. Non potevo pubblicare un libro all’anno come aggiornamento, ma volevo tenere aperto il dibattito. Ho iniziato a sentire alcuni colleghi, e ho iniziato a parlare loro della mia idea. Poi ha cominciato a crescere, si è vista anche la qualità scientifica, e molti colleghi si sono proposti per primi, e questo è un segno dell’effetto dell’impegno che abbiamo messo in questo progetto. Il gruppo di climalteranti comprende ormai una quarantina di docenti e ricercatori di università italiane, da Messina a Trento, e colleghi dagli Stati Uniti. Ci siamo dotati di una mailing list con cui ci scambiamo informazioni e facciamo la revisione scientifica dei post. Poi mi piace, è interessante, come sforzo condiviso, solidale, collaborativo e tutto volontario, con l’obiettivo di pubblicare un post alla settimana. Però siamo contenti, i numeri delle visite sono molto superiori a quelle che ci aspettavamo, e comunque nel settore viene letto e apprezzato.

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“Il problema è proprio che la scienza non è riuscita a far arrivare il Proprio messaggio ai grandi numeri la televisione non parla di certe cose.”

andato bene, mi hanno fatto il piacere di creare la prima piattaforma. Poi abbiamo trovato una società, TerraAria, che ci ha offerto l’hosting gratuito e ci mette in piedi la parte hardware del blog, in cambio di un banner.

ANCIA FR

riscaldamento globale e della responsabilità umana, l’opinione pubblica è per la maggior parte negazionista. Questo non riguarda solo il clima: nel mio secondo libro ho citato l’esempio di Primo Levi che, parlando della shoah, parla di molte persone sui treni che andavano nei campi di concentramento che non volevano ammettere di sapere dove stavano andando, anche se molti lo avevano capito perchè si era diffusa la notizia. Era troppo grosso pensare allo sterminio di massa, allora scattava il diniego. (C’è un libro che parla molto diffusamente di come le società evitino le realtà scomode, Stati Di Negazione di Steve Cohen, e spiega di come in diversi settori, tra cui i cambiamenti climatici, le comunità vogliono negare la realtà, e si costruiscono realtà di comodo). Anche gli scienziati poi sono stati un pò naive nel non saper comunicare: sono stati discussi casi in , cui in dibattiti tra scienzia ti e negazionisti, anche se gli scienziati avevano gli argomenti giusti, i negazionisti con poche frasi ad effetto, suadenti ed efficaci, vincevano. Perchè lo scienziato era complesso, rigoroso, e quelli invece prendevano al cuore. Quindi è chiaro che la comunicazione non dovrebbe essere fatta dagli scienziati, perchè loro sanno fare scienza: sono mancati degli intermediari, dei divulgatori scientifici. L’idea del blog è quella di togliere un pò di tempo al fare ricerca, e dedicarne un pò di più a far conoscere quello che già si sa. Anche se non toccherebbe a noi, ma ai divulgatori scientifici: io faccio docenza, un pò di ricerca sul tema dell’inquinamento, poi la sera scrivo libri, faccio il blog, perchè lo ritengo oggi ancora più importante. L’obiettivo è fare in modo che ci sia meno differenza, un minore divario tra quello che si sa nel mondo scientifico, e cioè l’evidenza scientifica consolidata, e quello che è la percezione dell’opinione pubblica del problema del cambiamento climatico. Ovviamente non si potrà mai avere chiarezza come c’è nel mondo della scienza, però almeno che alcuni capisaldi del problema climatico, cioè che il problema c’è, che è grave, e che la responsabilità è umana, siano patrimonio condiviso. Poco tempo fa è uscito un articolo di un climatologo statunitense, Richard Sommerville, in cui dice che non riusciremo sicuramente nei prossimi anni ad alzare di tanto il livello di acculturazione su questi temi,quindi cerchiamo di comunicare tenendo ben presenti cinque o sei punti.

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Solitamente, per quanto riguarda la ricerca, l’Italia viene paragonata agli altri Paesi, in particolare gli Stati Uniti vengono posti come esempio positivo, in cui è presente una solida catena dal produrre al diffondere la ricerca. Lei invece ci ha accennato ad un paragone in negativo, poco fà. Negli Stati Uniti c’è un’enorme differenza tra la qualità delle pubblicazioni scientifiche, di grandissimo livello, e al fatto che nel senato, alle elezioni di ottobre, uno solo su 60 dei candidati al senato repubblicani accreditava il problema del riscaldamento globale. Sull’Herald Tribune è uscito un articolo che dimostrava come in media negli Stati Uniti il 50-60% della pololazione creda al problema del riscaldamento globale, e che sia causato dall’uomo. Su Eos è uscita una pubblicazione scientifica in cui chiedevano a qualche centinaio di scienziati se l’attività umana fosse responsabile del cambiamento climatico il 98 e qualcosa percento degli intervistati, nel settore della climatologia, rispondevano di sì, cioè che l’uomo è responsabile dei cambiamenti climatici. Se si andava all’opinione pubblica in generale, si era sul 50%. Ma anche se si andava su persone meno competenti del settore, si scendeva sul 70%. Quindi più gli scienziati sono competenti in questa materia, più sono convinti della gravità della situazione. La cosa incredibile è che nonostante l’approfondimento della ricerca scientifica negli Stati Uniti sul clima, c’è una frattura ancora più profonda tra il livello di conoscenza pazzesco della ricerca scientifica e l’opinione pubblica e i rappresentanti politici. Sulla divulgazione al pubblico di massa, anche gli stessi settori della scienza statunitense, hanno riconosciuto la loro sconfitta. Parlo del-

(milioni di dollari Usa per ppa)

Gli stanziamenti pubblici per R&S in alcuni paesi dell’Ocse e del resto del mondo, 2008 Fonte: Ocse, Main Science and Technology Indicators, 2009-2. 35


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le uscite su Nature, su Climatic Change, in cui hanno detto “Signori, nonostante il fatto che la conoscenza non è mai stata così solida, la percezione pubblica sembra andare nell’altra direzione, nonostante la gravità della situazione stiamo perdendo la sfida della divulgazione.” Secondo me questi aspetti sono stati sottovalutati .

“Qui non si fa scienza. La scienza si fa nei laboratori e con i calcolatori. qui si fa comunicazione cercando di capire e di far capire meglio”

Qual è il livello di approfondimento delle vostre informazioni? Che target volete raggiungere?

Il problema è riuscire a trovare un livello di spiegazione del problema, e quello che serve è far arrivare i punti fondamentali e il segnale che su queste cose qui ormai non si può più discutere. Non si può più discutere che la responsabilità è umana, e che se si va avanti così il pianeta si scalderà in modo pericoloso. Quindi l’obiettivo è cercare di essere precisi, la nostra aspirazione è essere precisi, ma allo stesso tempo essere chiari, essere comprensibili. Quindi generalmente gli errori dello scienziato quali sono? Di questo parlano molti libri, per esempio Don’t Be Such A Scientist di Randy Olson: uno scienziato che ha insegnato per lungo tempo oceanografia che si è dedicato a film di diulgazione scientifica per spiegare gli errori degli scienziati. Ovvero essere troppo precisi, prolissi,pesanti, rigorosi, quando la comunicazione della scienza richiede immediatezza, e di colpire alcune corde. Bisogna riuscire a mettere insieme un rigore scientifico con la capacità comunicativa. Con il sapere essere di interesse, perchè se ti perdi nei dettagli perdi l’attenzione. A che fonti attingete e con che criterio? Noi cerchiamo sempre di fare riferimento a dati pubblicati da riviste o da organismi scientifici riconosciuti, la cui affidabilità è accertata, come il GISS della NASA, o il World Research Institute, o l’Agenzia Nazionale per l’Energia. L’importante è che abbia superato un processo di revisione, perchè è da questo che dipende la qualità scientifica di un dato. Il punto sta nel vedere qual’è la qualità scientifica, il livello di approfondimento, la competenza di chi l’ha fatto. Ci sono un sacco di grafici fasulli sulle temperature e le emissioni di CO2, ma sono cose che non arrivano dalle riviste scientifiche. Le cito questo blog, ocasapiens, di Sylvie Quaiot, una giornalista scientifica che fra l’altro collabora anche con climalteranti, che tratta di queste cose. L’infografica: utilità e limiti. La credibilità sta nell’essere precisi, essere chiari e sintetici nel trasmettere il messaggio chiave, che deve essere coerente con quello che è un quadro più ampio. Sicuramente la capacità dei grandi divulgatori è proprio quella di es-

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sere più possibile precisi, ma anche chiari e sintetici. Perchè non ci si rende conto, ma cercando di essere sintetici si può finire in doppi sensi, sfacettature diverse e diverse interpretazioni di una stessa frase. Quindi la proprietà del linguaggio è una cosa che si impara con l’esperienza, ed è proprio quella la capacità dei grandi, cioè dire con poche parole chiave un tema molto vasto. Poi secondo me quello che conta molto sono le immagini e le animazioni. Perchè il tema del cambiamento climatico si adatta bene a essere spiegato con tante immagini: se si parla di ghiacci, antartide, il grafico va bene, però se fai vedere cos’è l’antartide, con i pinguini riesci a comunicare meglio di cosa stai parlando, specie con i ragazzi, i bambini, fargli vedere il pinguino colpisce meglio l’attenzione. Il problema del cambiamento climatico è comunque che, se parlo di comunicazione, è un tema molto duro. Nel senso, alla fine le proiezioni sono preoccupanti quindi non puoi metterle così, perchè poi la gente si spaventa e chiude le porte. E quindi c’è proprio un problema che gli psicologi discutono, che è di chiusura. Cioè, nel momento in cui dici a qualcuno che una cosa è troppo grossa, facciamo anche fatica ad accettare la situazione. Quindi bisogna cercare di farla capire, non dico in modo giocoso, però in modo da dare anche quali siano le possibilità di soluzione ... Io mi sono messo a studiare un pò questi temi, per esempio il libro di Randy Olson, ho letto i libri di qualche psicologo. Nel mio secondo libro, Guida Alle Leggende Sul Mondo Che Cambia, il primo capitolo parla proprio del come e del perchè della negazione: davanti a un problema così grosso, la gente preferisce non sapere. Ne sa abbastanza da non voler sapere niente di più. Perchè, perchè ti mette in discussione. Noi tutti facciamo fatica a confrontarci con le realtà scomode: nella nostra vita molte cose rimuoviamo, non vogliamo credere. Perchè non possiamo occuparci di tutto, non vogliamo. Se una cosa ci dà fastidio preferiamo non sapere, è capitato tante volte a tutti di dire “come ho fatto a non averlo capito, tutti lo avevano capito tranne me, solo io non mi rendevo conto che mi tradiva ... perchè mi dava fastidio sapere che c’era qualcosa che non andava”. Quindi sul clima, gran parte del problema della negazione, e della non volontà a capirlo è il fatto che porta a sofferenza, perchè mettiamo in discussione delle cose importanti.

tatto con diversi colleghi, e sicuramente ho potuto studiare e rimanere aggiornato sul tema. E poi grande è la soddisfazione di vedere che molti colleghi, anche molto esperti, ci hanno fatto i complimenti. Molti che sono interessati al cambiamento climatico lo leggono e sono interessati a scrivere, perchè lo identificano come una cosa di qualità.

Chi si occupa delle infografiche? Alcuni grafici li facciamo noi, ma in genere usiamo grafici già fatti su altri siti. Si trovano molti grafici grafici sulla rete, fatti da altri enti di ricerca molto validi. A cosa ha portato la diffusione di infografiche sempre più facili da realizzare grazie al computer? Oggi ad un congresso scientifico c’è una quantità di informazioni regolate con grafici molto maggiore rispetto a quando era tutto più discorsivo. Adesso se sai presentare bene, con l’aiuto dei grafici riesci ad essere molto chiaro. Certo, c’è anche l’abuso; alcuni magari non dicono niente, ma ti bombardano con settanta slide in venti minuti. Conclusioni dopo due anni di blog. Io sono contento, non pensavo ma mi ha fatto crescere tanto. Mi ha obbligato a tenermi aggiornato. É stato un modo per tenermi in con37


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le uscite su Nature, su Climatic Change, in cui hanno detto “Signori, nonostante il fatto che la conoscenza non è mai stata così solida, la percezione pubblica sembra andare nell’altra direzione, nonostante la gravità della situazione stiamo perdendo la sfida della divulgazione.” Secondo me questi aspetti sono stati sottovalutati .

“Qui non si fa scienza. La scienza si fa nei laboratori e con i calcolatori. qui si fa comunicazione cercando di capire e di far capire meglio”

Qual è il livello di approfondimento delle vostre informazioni? Che target volete raggiungere?

Il problema è riuscire a trovare un livello di spiegazione del problema, e quello che serve è far arrivare i punti fondamentali e il segnale che su queste cose qui ormai non si può più discutere. Non si può più discutere che la responsabilità è umana, e che se si va avanti così il pianeta si scalderà in modo pericoloso. Quindi l’obiettivo è cercare di essere precisi, la nostra aspirazione è essere precisi, ma allo stesso tempo essere chiari, essere comprensibili. Quindi generalmente gli errori dello scienziato quali sono? Di questo parlano molti libri, per esempio Don’t Be Such A Scientist di Randy Olson: uno scienziato che ha insegnato per lungo tempo oceanografia che si è dedicato a film di diulgazione scientifica per spiegare gli errori degli scienziati. Ovvero essere troppo precisi, prolissi,pesanti, rigorosi, quando la comunicazione della scienza richiede immediatezza, e di colpire alcune corde. Bisogna riuscire a mettere insieme un rigore scientifico con la capacità comunicativa. Con il sapere essere di interesse, perchè se ti perdi nei dettagli perdi l’attenzione. A che fonti attingete e con che criterio? Noi cerchiamo sempre di fare riferimento a dati pubblicati da riviste o da organismi scientifici riconosciuti, la cui affidabilità è accertata, come il GISS della NASA, o il World Research Institute, o l’Agenzia Nazionale per l’Energia. L’importante è che abbia superato un processo di revisione, perchè è da questo che dipende la qualità scientifica di un dato. Il punto sta nel vedere qual’è la qualità scientifica, il livello di approfondimento, la competenza di chi l’ha fatto. Ci sono un sacco di grafici fasulli sulle temperature e le emissioni di CO2, ma sono cose che non arrivano dalle riviste scientifiche. Le cito questo blog, ocasapiens, di Sylvie Quaiot, una giornalista scientifica che fra l’altro collabora anche con climalteranti, che tratta di queste cose. L’infografica: utilità e limiti. La credibilità sta nell’essere precisi, essere chiari e sintetici nel trasmettere il messaggio chiave, che deve essere coerente con quello che è un quadro più ampio. Sicuramente la capacità dei grandi divulgatori è proprio quella di es-

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sere più possibile precisi, ma anche chiari e sintetici. Perchè non ci si rende conto, ma cercando di essere sintetici si può finire in doppi sensi, sfacettature diverse e diverse interpretazioni di una stessa frase. Quindi la proprietà del linguaggio è una cosa che si impara con l’esperienza, ed è proprio quella la capacità dei grandi, cioè dire con poche parole chiave un tema molto vasto. Poi secondo me quello che conta molto sono le immagini e le animazioni. Perchè il tema del cambiamento climatico si adatta bene a essere spiegato con tante immagini: se si parla di ghiacci, antartide, il grafico va bene, però se fai vedere cos’è l’antartide, con i pinguini riesci a comunicare meglio di cosa stai parlando, specie con i ragazzi, i bambini, fargli vedere il pinguino colpisce meglio l’attenzione. Il problema del cambiamento climatico è comunque che, se parlo di comunicazione, è un tema molto duro. Nel senso, alla fine le proiezioni sono preoccupanti quindi non puoi metterle così, perchè poi la gente si spaventa e chiude le porte. E quindi c’è proprio un problema che gli psicologi discutono, che è di chiusura. Cioè, nel momento in cui dici a qualcuno che una cosa è troppo grossa, facciamo anche fatica ad accettare la situazione. Quindi bisogna cercare di farla capire, non dico in modo giocoso, però in modo da dare anche quali siano le possibilità di soluzione ... Io mi sono messo a studiare un pò questi temi, per esempio il libro di Randy Olson, ho letto i libri di qualche psicologo. Nel mio secondo libro, Guida Alle Leggende Sul Mondo Che Cambia, il primo capitolo parla proprio del come e del perchè della negazione: davanti a un problema così grosso, la gente preferisce non sapere. Ne sa abbastanza da non voler sapere niente di più. Perchè, perchè ti mette in discussione. Noi tutti facciamo fatica a confrontarci con le realtà scomode: nella nostra vita molte cose rimuoviamo, non vogliamo credere. Perchè non possiamo occuparci di tutto, non vogliamo. Se una cosa ci dà fastidio preferiamo non sapere, è capitato tante volte a tutti di dire “come ho fatto a non averlo capito, tutti lo avevano capito tranne me, solo io non mi rendevo conto che mi tradiva ... perchè mi dava fastidio sapere che c’era qualcosa che non andava”. Quindi sul clima, gran parte del problema della negazione, e della non volontà a capirlo è il fatto che porta a sofferenza, perchè mettiamo in discussione delle cose importanti.

tatto con diversi colleghi, e sicuramente ho potuto studiare e rimanere aggiornato sul tema. E poi grande è la soddisfazione di vedere che molti colleghi, anche molto esperti, ci hanno fatto i complimenti. Molti che sono interessati al cambiamento climatico lo leggono e sono interessati a scrivere, perchè lo identificano come una cosa di qualità.

Chi si occupa delle infografiche? Alcuni grafici li facciamo noi, ma in genere usiamo grafici già fatti su altri siti. Si trovano molti grafici grafici sulla rete, fatti da altri enti di ricerca molto validi. A cosa ha portato la diffusione di infografiche sempre più facili da realizzare grazie al computer? Oggi ad un congresso scientifico c’è una quantità di informazioni regolate con grafici molto maggiore rispetto a quando era tutto più discorsivo. Adesso se sai presentare bene, con l’aiuto dei grafici riesci ad essere molto chiaro. Certo, c’è anche l’abuso; alcuni magari non dicono niente, ma ti bombardano con settanta slide in venti minuti. Conclusioni dopo due anni di blog. Io sono contento, non pensavo ma mi ha fatto crescere tanto. Mi ha obbligato a tenermi aggiornato. É stato un modo per tenermi in con37


LINGUAGGIO VISUALE

per raccontare storie nuove

Siamo di fronte ad un aumento esponenziale del flusso dei dati e delle loro fonti. L’approccio classico del testo lineare è inadeguato di fornte a questo fenomeno. Come costruire linguaggi nuovi che si prestino ad una situazione in così rapida evoluzione? Come evolvere le tecnologie narrative in un contesto che richiede sempre maggiore interattività? Come “addomesticare” la tecnologia al processo di costruzione di storie sintetizzando i dati da cui esse scaturiscono senza banalizzarne la complessità? L’abbiamo chiesto all’art director del mensile italiano più innovativo e al professore che guida uno dei laboratori più all’avanguardia del Politecnico di Milano.


LINGUAGGIO VISUALE

per raccontare storie nuove

Siamo di fronte ad un aumento esponenziale del flusso dei dati e delle loro fonti. L’approccio classico del testo lineare è inadeguato di fornte a questo fenomeno. Come costruire linguaggi nuovi che si prestino ad una situazione in così rapida evoluzione? Come evolvere le tecnologie narrative in un contesto che richiede sempre maggiore interattività? Come “addomesticare” la tecnologia al processo di costruzione di storie sintetizzando i dati da cui esse scaturiscono senza banalizzarne la complessità? L’abbiamo chiesto all’art director del mensile italiano più innovativo e al professore che guida uno dei laboratori più all’avanguardia del Politecnico di Milano.


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pa o l o c i u c c a r e ll i

DensityDesign è un laboratorio di ricerca all’interno del dipartimento INDACO del Politecnico di Milano. Si concentra sulla rappresentazione visiva di fenomeni sociali complessi, organizzativi e urbani, in particolare produce, colleziona e condivide informazioni divenute più semplici, metodi significativi e strumenti efficaci che sono tuttora necessari per osservare ed esplorare la natura di problemi complessi. L’obiettivo della ricerca che conduce è sfruttare le potenzialità della visualizzazione di informazioni e del design dell’informazione e fornire artefatti visivi innovativi e coinvolgenti per consentire a ricercatori e studenti di costruire solidi argomenti. Riordinando i dati numerici, reinterpretando le informazioni di tipo qualitativo, individuando informazioni geografiche e costruendo tassonomie visive, sono in grado di sviluppare una visualizzazione schematica, una sorta di scorciatoia, per descrivere e svelare le complesse connessioni tipiche dei sistemi complessi.

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Ci può raccontare cos’è density design, e come e nato? A fine 2010 DensityDesign è stato riconosciuto dal dipartimento indaco come laboratorio di ricerca e i contenuti che si sviluppano al suo interno in realtà nascono dalla didattica. Nel 2004 ho iniziato il laboratorio di sintesi finale ed ho iniziato ad affrontare con gli studenti il tema della complessità e della visualizzazione come uno strumento per rendere questa complessità del mondo che ci circonda un po’ più accessibile, evitando l’approccio tipicamente riduzionistico per cui i fenomeni vengono poi semplificati perchè sia possibile gestirli. A noi piaceva l’idea di vedere il mondo come un fenomeno complesso caotico non lineare fatto di connessioni, la sfida allora nel 2004 era quella di usare la visualizzazione per far vedere e dare corpo a questa complessità e quindi portarla nei processi decisionali per far si che la gente semplificasse un po’ meno e prendesse in considerazione la complessità come un dato di fatto. Dalla didattica pian piano è diventato un tema per dei dottorati di ricerca, e abbiamo poi scoperto che ci si poteva fare della ricerca applicata, ovvero che iniziava a esserci domanda di un certo genere di visualizzazione, andando dalla visua-

lizzazione dei dati all’ information visualisation, alla visualizzazione della conoscenza in forma anche più narrativa: è un ambito variegato, diciamo che l’infografiche oggi per me è un settore di questo campo più generale della visualizzazione. Operiamo sia nella ricerca di base attraverso finanziamenti da fondazioni, finanziamenti europei sia nella ricerca applicata, ovvero con aziende che pensano che le nostre competenze siano utili per la loro attività. La tecnologia ha introdotto nuove modalità di condivisione del sapere. Come vede questo cambiamento? Cambiamento per noi estremamente positivo, senza il quale probabilmente avrebbe meno senso anche il nostro lavoro. Sicuramente noi viviamo sul fatto che il digitale in generale ha estremamente amplificato la produzione di dati informazioni e conoscenza, ma l’ha allo stesso tempo codificata e resa accessibile a un pubblico sempre più ampio. Da un lato il dato digitalizzato diventa più liquido e circola molto di più, ma se ne produce anche molto di più grazie ai nuovi dispositivi, strumenti e applicazioni fino ad arrivare ai social net-

work ai grandi database. È una grande esplosione di materiale a cui noi poi troviamo delle forme che lo rendono accessibile. Penso sia come quando i designer di prodotto si sono trovati per la prima volta di fronte la plastica, alla sua produzione e commercializzazione di massa. Oggi noi abbiamo una massiccia produzione industriale di dati e informazioni, ed è tutto nuovo materiale a cui dar forma. Noi il cambiamento lo vediamo come positivo, ci vediamo molti vantaggi per questa teorica possibilità di accesso per molta gente, e il problema è come nel design tradizionale, che se la forma non è giusta, l’accessibilità rimane teorica. È una grande opportunità, poi trasformarla in un opportunità reale è il nostro mestiere. Creare le interfacce giuste, come d’altronde fanno sempre i designer. Che significato assume la parola tecnologia nel suo lavoro? Come dicevo prima è una condizione necessaria. Noi lavoriamo perchè c’è la tecnologia, ma non è sufficiente, come spesso accade. Per noi è uno strumento, ci serve per ottenere uno scopo, che nel nostro caso è sempre uno scopo comunicativo e di trasferimento di co41


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DensityDesign è un laboratorio di ricerca all’interno del dipartimento INDACO del Politecnico di Milano. Si concentra sulla rappresentazione visiva di fenomeni sociali complessi, organizzativi e urbani, in particolare produce, colleziona e condivide informazioni divenute più semplici, metodi significativi e strumenti efficaci che sono tuttora necessari per osservare ed esplorare la natura di problemi complessi. L’obiettivo della ricerca che conduce è sfruttare le potenzialità della visualizzazione di informazioni e del design dell’informazione e fornire artefatti visivi innovativi e coinvolgenti per consentire a ricercatori e studenti di costruire solidi argomenti. Riordinando i dati numerici, reinterpretando le informazioni di tipo qualitativo, individuando informazioni geografiche e costruendo tassonomie visive, sono in grado di sviluppare una visualizzazione schematica, una sorta di scorciatoia, per descrivere e svelare le complesse connessioni tipiche dei sistemi complessi.

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Ci può raccontare cos’è density design, e come e nato? A fine 2010 DensityDesign è stato riconosciuto dal dipartimento indaco come laboratorio di ricerca e i contenuti che si sviluppano al suo interno in realtà nascono dalla didattica. Nel 2004 ho iniziato il laboratorio di sintesi finale ed ho iniziato ad affrontare con gli studenti il tema della complessità e della visualizzazione come uno strumento per rendere questa complessità del mondo che ci circonda un po’ più accessibile, evitando l’approccio tipicamente riduzionistico per cui i fenomeni vengono poi semplificati perchè sia possibile gestirli. A noi piaceva l’idea di vedere il mondo come un fenomeno complesso caotico non lineare fatto di connessioni, la sfida allora nel 2004 era quella di usare la visualizzazione per far vedere e dare corpo a questa complessità e quindi portarla nei processi decisionali per far si che la gente semplificasse un po’ meno e prendesse in considerazione la complessità come un dato di fatto. Dalla didattica pian piano è diventato un tema per dei dottorati di ricerca, e abbiamo poi scoperto che ci si poteva fare della ricerca applicata, ovvero che iniziava a esserci domanda di un certo genere di visualizzazione, andando dalla visua-

lizzazione dei dati all’ information visualisation, alla visualizzazione della conoscenza in forma anche più narrativa: è un ambito variegato, diciamo che l’infografiche oggi per me è un settore di questo campo più generale della visualizzazione. Operiamo sia nella ricerca di base attraverso finanziamenti da fondazioni, finanziamenti europei sia nella ricerca applicata, ovvero con aziende che pensano che le nostre competenze siano utili per la loro attività. La tecnologia ha introdotto nuove modalità di condivisione del sapere. Come vede questo cambiamento? Cambiamento per noi estremamente positivo, senza il quale probabilmente avrebbe meno senso anche il nostro lavoro. Sicuramente noi viviamo sul fatto che il digitale in generale ha estremamente amplificato la produzione di dati informazioni e conoscenza, ma l’ha allo stesso tempo codificata e resa accessibile a un pubblico sempre più ampio. Da un lato il dato digitalizzato diventa più liquido e circola molto di più, ma se ne produce anche molto di più grazie ai nuovi dispositivi, strumenti e applicazioni fino ad arrivare ai social net-

work ai grandi database. È una grande esplosione di materiale a cui noi poi troviamo delle forme che lo rendono accessibile. Penso sia come quando i designer di prodotto si sono trovati per la prima volta di fronte la plastica, alla sua produzione e commercializzazione di massa. Oggi noi abbiamo una massiccia produzione industriale di dati e informazioni, ed è tutto nuovo materiale a cui dar forma. Noi il cambiamento lo vediamo come positivo, ci vediamo molti vantaggi per questa teorica possibilità di accesso per molta gente, e il problema è come nel design tradizionale, che se la forma non è giusta, l’accessibilità rimane teorica. È una grande opportunità, poi trasformarla in un opportunità reale è il nostro mestiere. Creare le interfacce giuste, come d’altronde fanno sempre i designer. Che significato assume la parola tecnologia nel suo lavoro? Come dicevo prima è una condizione necessaria. Noi lavoriamo perchè c’è la tecnologia, ma non è sufficiente, come spesso accade. Per noi è uno strumento, ci serve per ottenere uno scopo, che nel nostro caso è sempre uno scopo comunicativo e di trasferimento di co41


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noscenza. A me interessa che qualcuno capisca o impari che questi sono gli obiettivi su cui lavoro. Se non avessi la tecnologia non avrei le informazioni da trasmettere, non riuscirei a lavorarli. Prima c’erano i torni le presse le stampe. Io ora uso altri tipi di tecnologie che mi servono per elaborare i dati e le informazioni. Può essere che la tecnologia della parola debba lasciare spazio a diversi tipi di tecnologie narrative?

Difficile parlarne perchè sono un po’ di parte. È chiaro che lavorando sulla visualizzazione e su un approccio prettamente visivo sicuramente sì. È quasi un ammissione a priori. Per me in molti casi il testo è un imput che poi lavoro per trasformarlo in qualcos’altro, spesso in delle visualizzazioni che lo interpretano e lo ritrasmettono in un altra forma. Anche se spesso non è tanto la parola in se a non esser più sufficiente ma in molti casi il modo in cui viene gestita per cui quando già si parla di scrittura lineare e scrittura non lineare si parla di qualcosa che va nella direzione che a me interessa. Ne segue che già parlando di scrittura non lineare è qualcosa che più si avvicina al concetto di complessità di una scrittura lineare. È più il modo con cui la parola viene lavorata, quindi dipende da che tipo di tecnologia si applica alla parola. La parola non ha una tecnologia, ha diverse modalità e diversi approcci, e sicuramente mi interessano tutti quegli approci che la spingono verso la complessità e il modo con cui cerchiamo di guardare il mondo. È poi chiaro che in alcuni casi non basta neanche più la scrittura non lineare e mi serve una modalità di scrittura diversa dalla parola quindi il testo non è più fatto di lettere ma di altri elementi. Quindi sì, direi che in alcuni casi ci sono dei limiti ma non sono tanto nella parola in sè ma nel modo in cui viene trattata.

“in molti casi il testo è un input che poi lavoro per trasformarlo in qualcos’altro”

In che modo i diagrammi e le infografiche sono influenzati dal contesto cultura in cui nascono e sono sviluppati? Qui dipende da cosa si intende, nel mondo in cui lavoriamo noi è abbastanza ampio ed eterogeneo, si va dalla visualizzazione quasi automatica del dato in cui le persone stesse che l’hanno generato questo mondo tendono a qualcosa che è assolutamente svincolato nel contesto per cui quelli che nascono dalla computer science e dall’ingegneria informatica pensano che il dato sia il dato e vada visualizzato nel modo più diretto e puro possibile e questo dovrebbe rendere la visualizzazione che ottieni alla fine praticamente indifferente al contesto, e tra l ‘altro anche automatizzabile percui banalmente se per esempio ho una tabella di dati e faccio un istogramma senza nemmeno il colore, nella sua versione più minimalista un po’ “alla Tufte”, in qualche modo almeno teoricamente c’è un po’ quest’idea che ci sia quasi indifferenza al contesto. Poi in realtà non lo è nemmeno molto perchè implica la conoscenza di certi linguaggi e certe modalità di rappresentazione, però diciamo un pò per semplificare un filone un po’ purista che vuole un po’ il dato indifferente al contesto per cui chiunque può essere in grado di leggere un istogramma o un diagramma a torta. Però d’altro canto ci sono secondo me tutta una serie di 42

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altri obbiettivi comunicativi e di trasferimento di conoscenza per cui non puoi non tener conto del contesto e del background della persona che hai davanti, del lettore. E questo implica che si debba lavorare su una notizia piuttosto che su un trasferimento di una conoscenza relativa ad un certo processo all’interno di una azienda, lì non posso non tener conto dei fattori di contesto, e anzi magari sono quegli elementi che possono aiutarmi a farmi accettare quel grafico e il contenuto che sto veicolando. È un mestiere un po’ più complicato perchè sicuramente devo metterci del mio, rischio di più, assumo una posizione, mi schiero rispetto al fenomeno che sto affrontando e ci aggiungo un livello che è anche mio, mi metto in gioco di più come progettista e anche designer. In certi casi ho bisogno di contestualizzare perchè la persona accetti quel grafico e decida di entrarci in relazione. Se io non gli do quell’elemento di contesto, che deve poi tener conto del suo background culturale probabilmente nemmeno lo guarda, o probabilmente lo guarda e non riesce a inquadrarlo in una visione della sua situazione o posizione nel mondo. Se non riesce a trovargli un contesto probabilmente né lo guarda né lo accetta, e allora devi essere tu a dargli un contesto, anche rischiando, e per noi è un po’ quel livello narrativo di aggiunta di elementi qualitativi al dato, che ovviamente essendo qualitativi hanno sicuramente una carica soggettiva ma in alcuni casi sono necessari proprio per rendere accessibile quel dato, per facilitarne la comprensione. In alcuni casi secondo me è inevitabile, è necessario più che inevitabile, però insomma, è sempre una lotta tra chi ti contesta perchè a quel punto comunque tu hai una tua visione di quel contesto, e quindi ti esponi a delle critiche, ad esempio anche di chi sostiene che qualsiasi elemento grafico venga aggiunto al dato è solo pura decorazione che anche infastidisce la lettura del dato, anche se poi secondo me il rischio è poi che un grafico nudo e crudo non venga nemmeno guardato, quando spesso l’obiettivo è proprio quello che gli rimanga magari non una percezione precisa del dato, non si ricorda se è 5,5 o 5,6 ma ha capito il significato o la rilevanza del dato, che in molti casi può essere abbastanza. In questo caso il dialogo con il contesto e la cultura è essenziale.

ITALIA 0,61 %

cina 1,04%

FRANCIA 1,29%

Come sta cambiando il modo di vedere i dati e gli schemi la tecnologia? Dove ci sta portando a suo parere? Francamente non lo so, anche perchè è una cosa estremamente attuale. La visualizzazione dei dati e delle informazioni è un fenomeno che sta esplodendo adesso, un fenomeno che non nasce oggi ma che oggi per una molteplicità di fattori sta trovando una sua dimensione. Una serie di convergenze, come spesso accade per le innovazioni, nascono per la concomitanza di una serie di avvenimenti, una serie di soggetti che nello stesso momento stanno prendendo in considerazione certe possibilità, per cui questo li mette in risonanza e costruisce una dinamica più diffusa. Il fatto che per esempio i giornali stiano lavorando sempre di più attraverso questi linguaggi, il fatto che le aziende incomincino molto lentamente ad avere un’idea del linguaggio visuale come forma comunicativa, il fatto che gli statistici comincino a vedere i limiti del rappresentare determinati indicatori della società solo attraverso i numeri. Ci sono tutta una serie di soggetti, di discipline e ambiti anche industriali che stanno guardando nella stessa direzione e stanno iniziando a fare le cose un po’ tutti insieme.

u.s.a. 1,92%

La spesa per R&S delle imprese in rapporto percentuale al prodotto interno lordo, 2007 Fonte:Ocse, Main Science and Technology Indicators, 2009 43


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noscenza. A me interessa che qualcuno capisca o impari che questi sono gli obiettivi su cui lavoro. Se non avessi la tecnologia non avrei le informazioni da trasmettere, non riuscirei a lavorarli. Prima c’erano i torni le presse le stampe. Io ora uso altri tipi di tecnologie che mi servono per elaborare i dati e le informazioni. Può essere che la tecnologia della parola debba lasciare spazio a diversi tipi di tecnologie narrative?

Difficile parlarne perchè sono un po’ di parte. È chiaro che lavorando sulla visualizzazione e su un approccio prettamente visivo sicuramente sì. È quasi un ammissione a priori. Per me in molti casi il testo è un imput che poi lavoro per trasformarlo in qualcos’altro, spesso in delle visualizzazioni che lo interpretano e lo ritrasmettono in un altra forma. Anche se spesso non è tanto la parola in se a non esser più sufficiente ma in molti casi il modo in cui viene gestita per cui quando già si parla di scrittura lineare e scrittura non lineare si parla di qualcosa che va nella direzione che a me interessa. Ne segue che già parlando di scrittura non lineare è qualcosa che più si avvicina al concetto di complessità di una scrittura lineare. È più il modo con cui la parola viene lavorata, quindi dipende da che tipo di tecnologia si applica alla parola. La parola non ha una tecnologia, ha diverse modalità e diversi approcci, e sicuramente mi interessano tutti quegli approci che la spingono verso la complessità e il modo con cui cerchiamo di guardare il mondo. È poi chiaro che in alcuni casi non basta neanche più la scrittura non lineare e mi serve una modalità di scrittura diversa dalla parola quindi il testo non è più fatto di lettere ma di altri elementi. Quindi sì, direi che in alcuni casi ci sono dei limiti ma non sono tanto nella parola in sè ma nel modo in cui viene trattata.

“in molti casi il testo è un input che poi lavoro per trasformarlo in qualcos’altro”

In che modo i diagrammi e le infografiche sono influenzati dal contesto cultura in cui nascono e sono sviluppati? Qui dipende da cosa si intende, nel mondo in cui lavoriamo noi è abbastanza ampio ed eterogeneo, si va dalla visualizzazione quasi automatica del dato in cui le persone stesse che l’hanno generato questo mondo tendono a qualcosa che è assolutamente svincolato nel contesto per cui quelli che nascono dalla computer science e dall’ingegneria informatica pensano che il dato sia il dato e vada visualizzato nel modo più diretto e puro possibile e questo dovrebbe rendere la visualizzazione che ottieni alla fine praticamente indifferente al contesto, e tra l ‘altro anche automatizzabile percui banalmente se per esempio ho una tabella di dati e faccio un istogramma senza nemmeno il colore, nella sua versione più minimalista un po’ “alla Tufte”, in qualche modo almeno teoricamente c’è un po’ quest’idea che ci sia quasi indifferenza al contesto. Poi in realtà non lo è nemmeno molto perchè implica la conoscenza di certi linguaggi e certe modalità di rappresentazione, però diciamo un pò per semplificare un filone un po’ purista che vuole un po’ il dato indifferente al contesto per cui chiunque può essere in grado di leggere un istogramma o un diagramma a torta. Però d’altro canto ci sono secondo me tutta una serie di 42

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altri obbiettivi comunicativi e di trasferimento di conoscenza per cui non puoi non tener conto del contesto e del background della persona che hai davanti, del lettore. E questo implica che si debba lavorare su una notizia piuttosto che su un trasferimento di una conoscenza relativa ad un certo processo all’interno di una azienda, lì non posso non tener conto dei fattori di contesto, e anzi magari sono quegli elementi che possono aiutarmi a farmi accettare quel grafico e il contenuto che sto veicolando. È un mestiere un po’ più complicato perchè sicuramente devo metterci del mio, rischio di più, assumo una posizione, mi schiero rispetto al fenomeno che sto affrontando e ci aggiungo un livello che è anche mio, mi metto in gioco di più come progettista e anche designer. In certi casi ho bisogno di contestualizzare perchè la persona accetti quel grafico e decida di entrarci in relazione. Se io non gli do quell’elemento di contesto, che deve poi tener conto del suo background culturale probabilmente nemmeno lo guarda, o probabilmente lo guarda e non riesce a inquadrarlo in una visione della sua situazione o posizione nel mondo. Se non riesce a trovargli un contesto probabilmente né lo guarda né lo accetta, e allora devi essere tu a dargli un contesto, anche rischiando, e per noi è un po’ quel livello narrativo di aggiunta di elementi qualitativi al dato, che ovviamente essendo qualitativi hanno sicuramente una carica soggettiva ma in alcuni casi sono necessari proprio per rendere accessibile quel dato, per facilitarne la comprensione. In alcuni casi secondo me è inevitabile, è necessario più che inevitabile, però insomma, è sempre una lotta tra chi ti contesta perchè a quel punto comunque tu hai una tua visione di quel contesto, e quindi ti esponi a delle critiche, ad esempio anche di chi sostiene che qualsiasi elemento grafico venga aggiunto al dato è solo pura decorazione che anche infastidisce la lettura del dato, anche se poi secondo me il rischio è poi che un grafico nudo e crudo non venga nemmeno guardato, quando spesso l’obiettivo è proprio quello che gli rimanga magari non una percezione precisa del dato, non si ricorda se è 5,5 o 5,6 ma ha capito il significato o la rilevanza del dato, che in molti casi può essere abbastanza. In questo caso il dialogo con il contesto e la cultura è essenziale.

ITALIA 0,61 %

cina 1,04%

FRANCIA 1,29%

Come sta cambiando il modo di vedere i dati e gli schemi la tecnologia? Dove ci sta portando a suo parere? Francamente non lo so, anche perchè è una cosa estremamente attuale. La visualizzazione dei dati e delle informazioni è un fenomeno che sta esplodendo adesso, un fenomeno che non nasce oggi ma che oggi per una molteplicità di fattori sta trovando una sua dimensione. Una serie di convergenze, come spesso accade per le innovazioni, nascono per la concomitanza di una serie di avvenimenti, una serie di soggetti che nello stesso momento stanno prendendo in considerazione certe possibilità, per cui questo li mette in risonanza e costruisce una dinamica più diffusa. Il fatto che per esempio i giornali stiano lavorando sempre di più attraverso questi linguaggi, il fatto che le aziende incomincino molto lentamente ad avere un’idea del linguaggio visuale come forma comunicativa, il fatto che gli statistici comincino a vedere i limiti del rappresentare determinati indicatori della società solo attraverso i numeri. Ci sono tutta una serie di soggetti, di discipline e ambiti anche industriali che stanno guardando nella stessa direzione e stanno iniziando a fare le cose un po’ tutti insieme.

u.s.a. 1,92%

La spesa per R&S delle imprese in rapporto percentuale al prodotto interno lordo, 2007 Fonte:Ocse, Main Science and Technology Indicators, 2009 43


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Si tratta a mio parere di una situazione ancora allo stato embrionale, per cui si fanno a volte le cose tanto per fare, anche solo per il valore estetico. Anche dal punto di vista disciplinare è una materia che si va costruendo proprio perchè un po’ specularmente anche sul fronte più accademico ci sono diverse discipline che piano piano stanno entrando in una stessa arena: quindi gli ingegneri informatici che da sempre lavorano con i database cominciano a scoprire la visualizzazione come una modalità per uscire dalla loro trincea. Ad esempio noi stiamo lavorando con ingegneri informatici, che si occupano di sicurezza delle reti, e sul rendere visibili gli attacchi informatici. Lì in realtà serve anche a loro perchè se non avessero la possibilità di vedere quel che sta succedendo tutto insieme in una schermata visuale, gli sarebbe più difficile svolgere il loro lavoro. Anche se si capiscono attraverso i loro algoritmi, perchè nel momento in cui andrà fatto visualizzare a qualcun’altro la visualizzazione ti viene in supporto. È un dialogo che va a costruire dei primi casi di lavoro insieme, con gli statistici stiamo lavorando per riuscire a raccontare determinati fenomeni che sono sempre stati raccontati come numeri in modo diverso. Sia sul fronte accademico sia nel mondo fuori c’è questo movimento di convergenza che secondo me fa sì che diventi un fenomeno un po’ più diffuso, ad esempio anche il fatto che inizi a comparire tra i linguaggi utilizzati dalla pubblicità e dal cinema ne è una dimostrazione. Si tratta di una concomitanza di eventi, non ultima la tecnologia che oggi ti permette di avere una larga diffusione di macchinari prestanti che ti permettono anche di accedere a contenuti più ricchi che, banalmente richiedono banda larga e scheda grafica prestante. Per determinati contenuti è stato necessaria la costruzione di supporti come javascript e processing. Tutte queste cose fanno sì che ci siano le condizioni perchè diventi un fenomeno più di massa.

“A NOI PIACEVA L´IDEA DI VEDERE IL MONDO COME UN FENOMENO COMPLESSO, CAOTICO, NON LINEARE, FATTO DI CONNESSIONI.”

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austria

belgio

danimarca

finlandia

germania

irlanda

italia

norvegia

paesi bassi

spagna

Pensa che la visualizzazione possa trasformarsi in un feticcio? Anche qui si tratta di un limite, che in alcuni casi non è facile da gestire. Perchè quando si va in certe direzioni non hai dei metodi e dei codici definiti, ma manca proprio banalmente un esperienza di valutazione e validazione a posteriori di certi prodotti. Quindi se magari di un infogramma tu conosci velocità di lettura, memorabilità, riesci a misurare certi parametri di relazione con l’utente finale, quando cominci a ragionare su prodotti più narrativi, con un po’ più di contestualizzazione del dato, lì manca anche proprio un feedback, una valutazione di ciò che succede nella mente della persona che ha davanti quella visualizzazione, quindi valutarne l’efficacia è ancora oggi difficile. Ogni volta che aggiungi un livello narrativo più alto diventa anche più difficile e in alcuni casi non ha nemmeno senso, nel momento in cui so che il mio obbiettivo è più quello del far arrivare il senso e il significato e non il dato puntuale a quel punto mi interessa anche meno pormi il problema, in qualche modo il dato so che verrà travisato e interpre44

Le imprese innovatrici per tipo di innovazione sul totale delle imprese in alcuni paesi dell’Europa Nota: Dato non disponibile per Francia e Regno Unito. Fonte: Eurostat, Science, technology and innovation in Europe, 2009.

innovatrici di prodotto

innovatrici di processo

innovatrici di prodotto e di processo

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Si tratta a mio parere di una situazione ancora allo stato embrionale, per cui si fanno a volte le cose tanto per fare, anche solo per il valore estetico. Anche dal punto di vista disciplinare è una materia che si va costruendo proprio perchè un po’ specularmente anche sul fronte più accademico ci sono diverse discipline che piano piano stanno entrando in una stessa arena: quindi gli ingegneri informatici che da sempre lavorano con i database cominciano a scoprire la visualizzazione come una modalità per uscire dalla loro trincea. Ad esempio noi stiamo lavorando con ingegneri informatici, che si occupano di sicurezza delle reti, e sul rendere visibili gli attacchi informatici. Lì in realtà serve anche a loro perchè se non avessero la possibilità di vedere quel che sta succedendo tutto insieme in una schermata visuale, gli sarebbe più difficile svolgere il loro lavoro. Anche se si capiscono attraverso i loro algoritmi, perchè nel momento in cui andrà fatto visualizzare a qualcun’altro la visualizzazione ti viene in supporto. È un dialogo che va a costruire dei primi casi di lavoro insieme, con gli statistici stiamo lavorando per riuscire a raccontare determinati fenomeni che sono sempre stati raccontati come numeri in modo diverso. Sia sul fronte accademico sia nel mondo fuori c’è questo movimento di convergenza che secondo me fa sì che diventi un fenomeno un po’ più diffuso, ad esempio anche il fatto che inizi a comparire tra i linguaggi utilizzati dalla pubblicità e dal cinema ne è una dimostrazione. Si tratta di una concomitanza di eventi, non ultima la tecnologia che oggi ti permette di avere una larga diffusione di macchinari prestanti che ti permettono anche di accedere a contenuti più ricchi che, banalmente richiedono banda larga e scheda grafica prestante. Per determinati contenuti è stato necessaria la costruzione di supporti come javascript e processing. Tutte queste cose fanno sì che ci siano le condizioni perchè diventi un fenomeno più di massa.

“A NOI PIACEVA L´IDEA DI VEDERE IL MONDO COME UN FENOMENO COMPLESSO, CAOTICO, NON LINEARE, FATTO DI CONNESSIONI.”

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Pensa che la visualizzazione possa trasformarsi in un feticcio? Anche qui si tratta di un limite, che in alcuni casi non è facile da gestire. Perchè quando si va in certe direzioni non hai dei metodi e dei codici definiti, ma manca proprio banalmente un esperienza di valutazione e validazione a posteriori di certi prodotti. Quindi se magari di un infogramma tu conosci velocità di lettura, memorabilità, riesci a misurare certi parametri di relazione con l’utente finale, quando cominci a ragionare su prodotti più narrativi, con un po’ più di contestualizzazione del dato, lì manca anche proprio un feedback, una valutazione di ciò che succede nella mente della persona che ha davanti quella visualizzazione, quindi valutarne l’efficacia è ancora oggi difficile. Ogni volta che aggiungi un livello narrativo più alto diventa anche più difficile e in alcuni casi non ha nemmeno senso, nel momento in cui so che il mio obbiettivo è più quello del far arrivare il senso e il significato e non il dato puntuale a quel punto mi interessa anche meno pormi il problema, in qualche modo il dato so che verrà travisato e interpre44

Le imprese innovatrici per tipo di innovazione sul totale delle imprese in alcuni paesi dell’Europa Nota: Dato non disponibile per Francia e Regno Unito. Fonte: Eurostat, Science, technology and innovation in Europe, 2009.

innovatrici di prodotto

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tato diversamente dai vari soggetti, ma in qualche caso non mi interessa nemmeno tanto che tutti abbiano la stessa percezione di quella cosa lì, anche perchè spesso si parla di fenomeni per cui viceversa il dato è assolutamente ipocrita. La pretesa di misurare fenomeni con un numero puro è totalmente falsa e eppure noi lo usiamo statisticamente per misurare la povertà di una persona, come faccio a dire che uno è povero perchè guadagna 936 e non 937 euro? A quel punto mi interessa che magari ci si confronti un po’ più a partire da quei dati, magari su qual’è il senso complessivo di quel fenomeno, magari ognuno ci vedrà delle cose diverse, tanto so che comunque anche se tutti avessimo capito esattamente 938 non sapremmo di cosa si sta parlando. Il rischio c’è e in alcuni casi soprattutto, ma son quei casi in cui mi interessa anche meno che ci sia questo rischio, mi va bene che ci sia un gioco di interpetazione da parte della persona che lo vede e può anche stravolgerlo, ma ci sono altri obbiettivi. È tutto funzionale all’obbiettivo comunicativo che ti prefiggi. A volte è più importante il dato mentre a volte il messaggio. Lo spettro degli obiettivi è ampio. E a seconda degli obiettivi varia la valutazione che darei del possibile rischio. Sicuramente c’è oggi una specie di fascinazione un po’ per questo ambito, e va bene così. Anche perchè ha una sua utilità per queste forme di visualizzaizone che magari erano meno note, e magari potrebbe anche avvicinare certe persone a nuove tipologie di linguaggi, e avvicinarle agli strumenti per gestire questi linguaggi. Ci sono estremisti che teorizzano che la statistica dovrebbe essere insegnata non all’università ma bensì alle elementari. Ecco forse questo no, ma secondo me sarebbe da prendere in considerazione la possibilità di insegnare tipologie di racconto diverse da quella del testo, per fare in modo che si possa poi dialogare con efficacia con questi linguaggi. I dati han sempre vissuto su linguaggi propietari di ambiti scientifici, quelli erano i mondi in cui si formavano dei linguaggi assolutamente autoreferenziali. Nel momento in cui i dati escono il linguaggio non potrà essere quello formalizzato della scienza, dovrà essere un altro linguaggio che la gente possa capire e quello della visualizzazione è sicuramente un punto di partenza per sviluppare una serie di forme di condivisione o diffusione di quel dato, che non potrei affrontare con i linguaggi scientifici che mi garantiscono sì la precisione e la correttezza ma che poi là fuori non funzionano. Com’è cambiato il suo lavoro con la tecnologia? Si cambia tutti i giorni. Questo contesto in realtà non estisteva prima. Ci sono settori in cui la tecnologia ha rappresentato un cambiamento, mentre il lavoro che facciamo noi nasce con determinate tecnologie. Poi è chiaro che ogni novità che si introduce te lo cambia, ma già di base è molto improntato sulla tecnologia. Dove si parla di dati ci si poggia su un tessuto tecnologico molto forte, ovviamente poi ogni cambiamento che viene introdotto dove i dati organizzano e si raccolgono ogni volta ti cambia un po’ il lavoro che devi fare, però diciamo che è comunque un ambito molto basato sulle tecnologie. Ecco diciamo che la forma mentale è già molto tecnologica, però sempre precisando che di strumento si tratta, non è certo il nostro fine. È diverso il contesto initalia rispetto al resto del mondo? Non vorrei sembrare banale. Siamo in un momento iniziale e penso non sia facile ovunque. Sicuramente in Italia, specie in certi contesti 46

industriali, ci si scontra con un certo modo di organizzare l’impresa, per cui fai fatica a veicolare qualcosa di nuovo a prescindere dal fatto che sia infografica, e fa parte della capacità di investimento e di innovazione generale dell’impresa. Quest’ultima in Italia non è molto alta, anche solo per il fatto che son poche le aziende grosse e tante quelle piccole e certi discorsi non riesci a farli oggi con un certo tipo di organizzazione sociale, se ti va bene la grande azienda lo capisce. Adesso è un momento che comunque, essendo all’inizio di una fase di diffusione e allargamento di questi linguaggi si fa ancora un po’ fatica, il cambiamento avviene di giorno in giorno, già con i media che si appropriano di questi linguaggi e abituano la gente a sentirne parlare. Oggi non solo l’infografica è diventata parte integrante di certe riviste, ma è avvenuto con una certa presenza, diventando parte del contenuto di quella rivista. Sta iniziando a diventare un tema di cui si parla, che qualche anno fa sarebbe stata vista come una cosa totalmente fatta per le stanze della ricerca di qualche dipartimento di ingegneria mentre il concetto di visualizzare i dati comincia a diventare un concetto di massa, e questo aiuta a costruire una consapevolezza riguar-

“ È una continua negoziazione tra le sfide e limiti che la tecnologia ci impone, ma con cui bisogna fare i conti tutti i giorni.” do a questi linguaggi. Tuttavia essendo una fase di sviluppo è normale che il mercato non sia ancora pronto. É di fatto un problema che parte dalla capacità di investimento, c’è da prendere in considerazione che in Italia ci sono anche meno fondi per la ricerca e l’innovazione. Negli Stati Uniti può tranquillamente succedere che una ONG possa accedere a finanziamenti di milioni di dollari per sviluppare un progetto di visualizzazione dei dati nelle scuole americane, cosa che qui da noi sarebbe impensabile per la mancanza strutturale di fondi. Diciamo che in certi ambiti il contesto facilita lo sviluppo di certe iniziative. Al momento è dura ma fa anche parte del momento di apertura del filone, che prevede anche di formare persone che poi vadano nelle imprese a fare diffusione e aumentare l’alfabetizzazione rispetto a determinati linguaggi. Però comunque si tratta di un trend positivo che sta crescendo e si sta diffondendo, e verso cui io son fiducioso.

Quali sono i fattori che hanno permesso in questo preciso momento storico di rendere i risultati della ricerca scientifica un prodotto commercializzabile?

Paolo CIUCCARELLI Di base la tecnologia. I dati li abbiam sempre raccolti, in mille forme. Ad un certo punto abbiamo avuto la tecnologia industriale per farlo. Man mano che la tecnologia dell’informazione e della comunicazione diventano più diffuse si allargano le possibilità di rendere commerciale quell’elemento. Finchè rimaneva confinato dentro a certi ambiti, per lavorare maneggiare quel materiale, per trattarlo raccoglierlo e fruirne, finchè era tecnologia di nicchia non aveva senso commercialmente perchè c’era un mercato troppo ristretto. Oggi tutti noi abbiamo in mano un pezzo di tecnologia per interagire con quel materiale, quindi diventa potenzialmente appetibile. Ci sono due grosse soglie, una è quella del personal computer, la tecnologia che arriva all’utente, alla famiglia, e il passo successivo è quello dei dispositivi mobili. Sono via via un allargamento sia della disponibilità che anche delle modalità di possibili utilizzi. Man mano si va distribuendo e rendendo più capillare la diffusione della tecnologia, e quindi aumentano le forme di utilizzo e il potenziale commerciale.

FRANCE SCO FRANCHI

MARCO FATTORE Rispondo a fatica, nel senso che nel mio lavoro di ricerca non ho a che fare con aspetti commerciali. Per quanto riguarda, invece, attività più consulenziali, come ho già detto il fattore tecnologico è fondamentale (sia perché mette a disposizione i dati, sia perché consente di applicarvi metodi statistici a costi bassi). Ma l’altro grande fattore è l’esistenza di una “domanda” di senso (da parte dei decisori, dei policy-maker, dei manager…) che guarda ai patrimoni informativi come a una risorsa imprescindibile.

ANNA TAMPIERI Sicuramente i vantaggi che le scoperte scientifiche portano a livello sociale: è facile comprendere come ad esempio la scoperta di un materiale biomimetico nella medicina rigenerativa possa migliorare la vita delle persone rispetto ad una protesi comune altamente invasiva, e quindi la forte richiesta da parte di un platea più ampia.

Ecco secondo me l’infografica ha un potenziale molto forte, che è quello di lavorare sul fatto di mixare linguaggi per aumentare la comprensione, che soprattutto applicata ad un contesto scientifico è molto interessante perché ti offre moltissimi campi di sperimentazione e di implementazione. La possibilità che offre è quella di rendere la gente partecipe di cambiamenti e conoscenze che altrimenti sarebbero stati inarrivabili con lo scoglio di un linguaggio tecnico o anche solo di 10000 battute. Infatti si vede come il trattamento visuale dei dati stia mutando il giornalismo, introducendo espressioni come data journalism .


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tato diversamente dai vari soggetti, ma in qualche caso non mi interessa nemmeno tanto che tutti abbiano la stessa percezione di quella cosa lì, anche perchè spesso si parla di fenomeni per cui viceversa il dato è assolutamente ipocrita. La pretesa di misurare fenomeni con un numero puro è totalmente falsa e eppure noi lo usiamo statisticamente per misurare la povertà di una persona, come faccio a dire che uno è povero perchè guadagna 936 e non 937 euro? A quel punto mi interessa che magari ci si confronti un po’ più a partire da quei dati, magari su qual’è il senso complessivo di quel fenomeno, magari ognuno ci vedrà delle cose diverse, tanto so che comunque anche se tutti avessimo capito esattamente 938 non sapremmo di cosa si sta parlando. Il rischio c’è e in alcuni casi soprattutto, ma son quei casi in cui mi interessa anche meno che ci sia questo rischio, mi va bene che ci sia un gioco di interpetazione da parte della persona che lo vede e può anche stravolgerlo, ma ci sono altri obbiettivi. È tutto funzionale all’obbiettivo comunicativo che ti prefiggi. A volte è più importante il dato mentre a volte il messaggio. Lo spettro degli obiettivi è ampio. E a seconda degli obiettivi varia la valutazione che darei del possibile rischio. Sicuramente c’è oggi una specie di fascinazione un po’ per questo ambito, e va bene così. Anche perchè ha una sua utilità per queste forme di visualizzaizone che magari erano meno note, e magari potrebbe anche avvicinare certe persone a nuove tipologie di linguaggi, e avvicinarle agli strumenti per gestire questi linguaggi. Ci sono estremisti che teorizzano che la statistica dovrebbe essere insegnata non all’università ma bensì alle elementari. Ecco forse questo no, ma secondo me sarebbe da prendere in considerazione la possibilità di insegnare tipologie di racconto diverse da quella del testo, per fare in modo che si possa poi dialogare con efficacia con questi linguaggi. I dati han sempre vissuto su linguaggi propietari di ambiti scientifici, quelli erano i mondi in cui si formavano dei linguaggi assolutamente autoreferenziali. Nel momento in cui i dati escono il linguaggio non potrà essere quello formalizzato della scienza, dovrà essere un altro linguaggio che la gente possa capire e quello della visualizzazione è sicuramente un punto di partenza per sviluppare una serie di forme di condivisione o diffusione di quel dato, che non potrei affrontare con i linguaggi scientifici che mi garantiscono sì la precisione e la correttezza ma che poi là fuori non funzionano. Com’è cambiato il suo lavoro con la tecnologia? Si cambia tutti i giorni. Questo contesto in realtà non estisteva prima. Ci sono settori in cui la tecnologia ha rappresentato un cambiamento, mentre il lavoro che facciamo noi nasce con determinate tecnologie. Poi è chiaro che ogni novità che si introduce te lo cambia, ma già di base è molto improntato sulla tecnologia. Dove si parla di dati ci si poggia su un tessuto tecnologico molto forte, ovviamente poi ogni cambiamento che viene introdotto dove i dati organizzano e si raccolgono ogni volta ti cambia un po’ il lavoro che devi fare, però diciamo che è comunque un ambito molto basato sulle tecnologie. Ecco diciamo che la forma mentale è già molto tecnologica, però sempre precisando che di strumento si tratta, non è certo il nostro fine. È diverso il contesto initalia rispetto al resto del mondo? Non vorrei sembrare banale. Siamo in un momento iniziale e penso non sia facile ovunque. Sicuramente in Italia, specie in certi contesti 46

industriali, ci si scontra con un certo modo di organizzare l’impresa, per cui fai fatica a veicolare qualcosa di nuovo a prescindere dal fatto che sia infografica, e fa parte della capacità di investimento e di innovazione generale dell’impresa. Quest’ultima in Italia non è molto alta, anche solo per il fatto che son poche le aziende grosse e tante quelle piccole e certi discorsi non riesci a farli oggi con un certo tipo di organizzazione sociale, se ti va bene la grande azienda lo capisce. Adesso è un momento che comunque, essendo all’inizio di una fase di diffusione e allargamento di questi linguaggi si fa ancora un po’ fatica, il cambiamento avviene di giorno in giorno, già con i media che si appropriano di questi linguaggi e abituano la gente a sentirne parlare. Oggi non solo l’infografica è diventata parte integrante di certe riviste, ma è avvenuto con una certa presenza, diventando parte del contenuto di quella rivista. Sta iniziando a diventare un tema di cui si parla, che qualche anno fa sarebbe stata vista come una cosa totalmente fatta per le stanze della ricerca di qualche dipartimento di ingegneria mentre il concetto di visualizzare i dati comincia a diventare un concetto di massa, e questo aiuta a costruire una consapevolezza riguar-

“ È una continua negoziazione tra le sfide e limiti che la tecnologia ci impone, ma con cui bisogna fare i conti tutti i giorni.” do a questi linguaggi. Tuttavia essendo una fase di sviluppo è normale che il mercato non sia ancora pronto. É di fatto un problema che parte dalla capacità di investimento, c’è da prendere in considerazione che in Italia ci sono anche meno fondi per la ricerca e l’innovazione. Negli Stati Uniti può tranquillamente succedere che una ONG possa accedere a finanziamenti di milioni di dollari per sviluppare un progetto di visualizzazione dei dati nelle scuole americane, cosa che qui da noi sarebbe impensabile per la mancanza strutturale di fondi. Diciamo che in certi ambiti il contesto facilita lo sviluppo di certe iniziative. Al momento è dura ma fa anche parte del momento di apertura del filone, che prevede anche di formare persone che poi vadano nelle imprese a fare diffusione e aumentare l’alfabetizzazione rispetto a determinati linguaggi. Però comunque si tratta di un trend positivo che sta crescendo e si sta diffondendo, e verso cui io son fiducioso.

Quali sono i fattori che hanno permesso in questo preciso momento storico di rendere i risultati della ricerca scientifica un prodotto commercializzabile?

Paolo CIUCCARELLI Di base la tecnologia. I dati li abbiam sempre raccolti, in mille forme. Ad un certo punto abbiamo avuto la tecnologia industriale per farlo. Man mano che la tecnologia dell’informazione e della comunicazione diventano più diffuse si allargano le possibilità di rendere commerciale quell’elemento. Finchè rimaneva confinato dentro a certi ambiti, per lavorare maneggiare quel materiale, per trattarlo raccoglierlo e fruirne, finchè era tecnologia di nicchia non aveva senso commercialmente perchè c’era un mercato troppo ristretto. Oggi tutti noi abbiamo in mano un pezzo di tecnologia per interagire con quel materiale, quindi diventa potenzialmente appetibile. Ci sono due grosse soglie, una è quella del personal computer, la tecnologia che arriva all’utente, alla famiglia, e il passo successivo è quello dei dispositivi mobili. Sono via via un allargamento sia della disponibilità che anche delle modalità di possibili utilizzi. Man mano si va distribuendo e rendendo più capillare la diffusione della tecnologia, e quindi aumentano le forme di utilizzo e il potenziale commerciale.

FRANCE SCO FRANCHI

MARCO FATTORE Rispondo a fatica, nel senso che nel mio lavoro di ricerca non ho a che fare con aspetti commerciali. Per quanto riguarda, invece, attività più consulenziali, come ho già detto il fattore tecnologico è fondamentale (sia perché mette a disposizione i dati, sia perché consente di applicarvi metodi statistici a costi bassi). Ma l’altro grande fattore è l’esistenza di una “domanda” di senso (da parte dei decisori, dei policy-maker, dei manager…) che guarda ai patrimoni informativi come a una risorsa imprescindibile.

ANNA TAMPIERI Sicuramente i vantaggi che le scoperte scientifiche portano a livello sociale: è facile comprendere come ad esempio la scoperta di un materiale biomimetico nella medicina rigenerativa possa migliorare la vita delle persone rispetto ad una protesi comune altamente invasiva, e quindi la forte richiesta da parte di un platea più ampia.

Ecco secondo me l’infografica ha un potenziale molto forte, che è quello di lavorare sul fatto di mixare linguaggi per aumentare la comprensione, che soprattutto applicata ad un contesto scientifico è molto interessante perché ti offre moltissimi campi di sperimentazione e di implementazione. La possibilità che offre è quella di rendere la gente partecipe di cambiamenti e conoscenze che altrimenti sarebbero stati inarrivabili con lo scoglio di un linguaggio tecnico o anche solo di 10000 battute. Infatti si vede come il trattamento visuale dei dati stia mutando il giornalismo, introducendo espressioni come data journalism .


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La tecnologia della parola Scrivere non basta più, la tecnologia della parola sta subendo una ristrutturazione verso linguaggi molteplici. è la grande lezione del nostro tempo, tornare a combinare linguaggi per aumentare la comprensione. franc e sc o f r a n c h i

linguaggi

combinati

aumentano

la comprensione

! IL Intelligence in Lifestyle è il magazine mensile del Sole 24 ore, pensato come supplemento maschile del giornale. IL s’iscrive nella linea di sviluppo editoriale della casa editrice, varata con Ventiquattro e proseguita con le esperienze di House 24 e de I Viaggi del Sole. Come gli altri mezzi, anche IL vuole contribuire ad ampliare gli orizzonti culturali ed esistenziali del lettore, proponendosi come un giornale capace, (a detta loro) di compiere una piccola, grande svolta editoriale: innovarsi declinando l’alfabeto dell’uomo contemporaneo in un approccio giornalistico di standing superiore, per un lettore legato alle tradizioni ma con una forte propensione per l’innovazione, che non subisce le opinioni ma che preferisce farsene una propria, magari aiutato da strumenti quali interviste, statistiche e soprattutto infografiche, utilizzate nella rivista. Chiediamo conferma a Francesco Franchi, l’art director, col quale ci immergeremo in un’analisi approfondita della struttura comunicativa del magazine, per capire come diffondere al meglio informazioni e dati al pubblico odierno. 48

Raccontaci la tua esperienza in IL Walter Mariotti, è il direttore di IL, mi contattò nel 2008, parlandomi di un nuovo progetto volto a coinvolgere ragazzi giovani. Accettata la proposta, insieme a Luca Pitoni, siamo partiti col sviluppare il progetto grafico di questa nuova rivista: da maggio a settembre abbiamo progettato il numero “0”, una sorta di concept editoriale, che sarebbe stato utile per proporsi alle pubblicità, il quale poi è stato modellato ulteriormente per creare quello che è il giornale che oggi troviamo in edicola. Precedentemente a questa esperienza, ho lavorato cinque anni in uno studio grafico, al quale devo la gran parte della mia esperienza, dove i personaggi presenti mi hanno trasmesso determinate competenze che tutt’ora mi accompagnano nell’affrontare i progetti. Questo cambiamento ha infatti segnato il passaggio da una realtà dove avevo punti di riferimento ben precisi per quanto riguarda la grafica, ad un’altra molto più complessa nella quale non era presente una figura interna capace di guidarmi, ma dove l’autodidattica faceva da padrone, dove tu stesso dovevi impegnarti a fare ricerca in un ambito nuovo che era quello del giornalismo, e capirne quindi le dinamiche e relazioni.

Sempre riguardo a IL, qual è il sentimento, la motivazione principale che spinge una persona a diventare lettore di IL.

La sua forza sta forse anche in questa analisi grafica combinata e alternata al testo.

A mio parere, la forza di IL è stata quella di avere una forma e un contenuto sviluppati assieme: si ragionava su un’idea giornalistica e la si sviluppava in forma grafica, tutto si muoveva in parallelo e per questo la coesione e la coerenza tra queste due parti risulta particolarmente forte. Un’altra importante peculiarità di IL, è stata l’essere aggiornati, il voler creare un giornale vero e proprio, a differenza dei supplementi classici che nascono principalmente per veicolare pubblicità, per allargare il target degli investitori pubblicitari. IL è quindi un giornale fortemente legato all’attualità tradotta in indagine degli stili di vita e dei loro cambiamenti: partendo da una notizia attuale si incontra la difficoltà delle tempistiche di uscita, poiché solamente dopo due settimane il giornale verrà distribuito, ciò implica la capacità di trattare questa notizia attentamente, magari attraverso una chiave ironica, magari combinando diversi linguaggi; il tutto aiutato dalla suddivisione in sezioni, che conferiscono un andamento fluttuante volto ad attirare l’attenzione, combinando vari linguaggi parlando così di argomenti “alti” ma in modo più semplice.

Si infatti l’analisi grafica nasce con l’intenzione di spostarsi verso un aspetto infografico, come dicevo prima, combinare i linguaggi per aumentare la comprensione ma anche utilizzando l’infografica, utilizzata come una vera e propria alternativa al testo scritto; si può quindi tradurre un’idea giornalistica in linguaggio visivo, utilizzando quindi una lettura lineare, creando delle pagine che sono una sorta di palinsesti, dove il lettore traccia il suo percorso, va a cogliere determinate informazioni piuttosto che altre. In questo senso si può anche parlare di trasferimento tecnologico dell’infografica in sé, come strumento linguistico spesso utilizzato per analizzare altri generi di complessità calata in ambito giornalistico . Sì, diciamo che l’infografica si muove sempre tra l’informazioni e l’estetica, partendo da una base che consiste in quello che tu vuoi comunicare e la direzione verso cui vuoi indirizzare il tuo lavoro. È un approccio che varia a seconda dei cosa. Può essere necessario rimanere più vicini all’informa49


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La tecnologia della parola Scrivere non basta più, la tecnologia della parola sta subendo una ristrutturazione verso linguaggi molteplici. è la grande lezione del nostro tempo, tornare a combinare linguaggi per aumentare la comprensione. franc e sc o f r a n c h i

linguaggi

combinati

aumentano

la comprensione

! IL Intelligence in Lifestyle è il magazine mensile del Sole 24 ore, pensato come supplemento maschile del giornale. IL s’iscrive nella linea di sviluppo editoriale della casa editrice, varata con Ventiquattro e proseguita con le esperienze di House 24 e de I Viaggi del Sole. Come gli altri mezzi, anche IL vuole contribuire ad ampliare gli orizzonti culturali ed esistenziali del lettore, proponendosi come un giornale capace, (a detta loro) di compiere una piccola, grande svolta editoriale: innovarsi declinando l’alfabeto dell’uomo contemporaneo in un approccio giornalistico di standing superiore, per un lettore legato alle tradizioni ma con una forte propensione per l’innovazione, che non subisce le opinioni ma che preferisce farsene una propria, magari aiutato da strumenti quali interviste, statistiche e soprattutto infografiche, utilizzate nella rivista. Chiediamo conferma a Francesco Franchi, l’art director, col quale ci immergeremo in un’analisi approfondita della struttura comunicativa del magazine, per capire come diffondere al meglio informazioni e dati al pubblico odierno. 48

Raccontaci la tua esperienza in IL Walter Mariotti, è il direttore di IL, mi contattò nel 2008, parlandomi di un nuovo progetto volto a coinvolgere ragazzi giovani. Accettata la proposta, insieme a Luca Pitoni, siamo partiti col sviluppare il progetto grafico di questa nuova rivista: da maggio a settembre abbiamo progettato il numero “0”, una sorta di concept editoriale, che sarebbe stato utile per proporsi alle pubblicità, il quale poi è stato modellato ulteriormente per creare quello che è il giornale che oggi troviamo in edicola. Precedentemente a questa esperienza, ho lavorato cinque anni in uno studio grafico, al quale devo la gran parte della mia esperienza, dove i personaggi presenti mi hanno trasmesso determinate competenze che tutt’ora mi accompagnano nell’affrontare i progetti. Questo cambiamento ha infatti segnato il passaggio da una realtà dove avevo punti di riferimento ben precisi per quanto riguarda la grafica, ad un’altra molto più complessa nella quale non era presente una figura interna capace di guidarmi, ma dove l’autodidattica faceva da padrone, dove tu stesso dovevi impegnarti a fare ricerca in un ambito nuovo che era quello del giornalismo, e capirne quindi le dinamiche e relazioni.

Sempre riguardo a IL, qual è il sentimento, la motivazione principale che spinge una persona a diventare lettore di IL.

La sua forza sta forse anche in questa analisi grafica combinata e alternata al testo.

A mio parere, la forza di IL è stata quella di avere una forma e un contenuto sviluppati assieme: si ragionava su un’idea giornalistica e la si sviluppava in forma grafica, tutto si muoveva in parallelo e per questo la coesione e la coerenza tra queste due parti risulta particolarmente forte. Un’altra importante peculiarità di IL, è stata l’essere aggiornati, il voler creare un giornale vero e proprio, a differenza dei supplementi classici che nascono principalmente per veicolare pubblicità, per allargare il target degli investitori pubblicitari. IL è quindi un giornale fortemente legato all’attualità tradotta in indagine degli stili di vita e dei loro cambiamenti: partendo da una notizia attuale si incontra la difficoltà delle tempistiche di uscita, poiché solamente dopo due settimane il giornale verrà distribuito, ciò implica la capacità di trattare questa notizia attentamente, magari attraverso una chiave ironica, magari combinando diversi linguaggi; il tutto aiutato dalla suddivisione in sezioni, che conferiscono un andamento fluttuante volto ad attirare l’attenzione, combinando vari linguaggi parlando così di argomenti “alti” ma in modo più semplice.

Si infatti l’analisi grafica nasce con l’intenzione di spostarsi verso un aspetto infografico, come dicevo prima, combinare i linguaggi per aumentare la comprensione ma anche utilizzando l’infografica, utilizzata come una vera e propria alternativa al testo scritto; si può quindi tradurre un’idea giornalistica in linguaggio visivo, utilizzando quindi una lettura lineare, creando delle pagine che sono una sorta di palinsesti, dove il lettore traccia il suo percorso, va a cogliere determinate informazioni piuttosto che altre. In questo senso si può anche parlare di trasferimento tecnologico dell’infografica in sé, come strumento linguistico spesso utilizzato per analizzare altri generi di complessità calata in ambito giornalistico . Sì, diciamo che l’infografica si muove sempre tra l’informazioni e l’estetica, partendo da una base che consiste in quello che tu vuoi comunicare e la direzione verso cui vuoi indirizzare il tuo lavoro. È un approccio che varia a seconda dei cosa. Può essere necessario rimanere più vicini all’informa49


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zione pura, e quindi al trattamento freddo dei dati, dove è fondamentale un linguaggio chiaro e specifico che non rischi di equivocare il contenuto, mentre in altri casi è più opportuno concentrarsi sulla parte estetica per non rischiare che il lavoro perda di interesse. Tuttavia bisogna essere coscienti del fatto che in entrambi i casi perderemo qualcosa, in un caso dal punto di vista dell’ appealing , e nell’altro dal punto di vista dell’utilità, quindi quello che si cerca di fare è di stare al centro di questi estremi. Lavorando su un magazine e più nello specifico un mensile, è naturale che le pagine debbano diventare una forma d’intrattenimento, e la forza è quella di avere un impatto iniziale su cui lavorare nel dettaglio per proporre diversi livelli di lettura, in maniera tale che il lettore possa entrare nella pagina e approfondire un argomento.

“è la tecnologia della parola che lascia spazio ad una tecnologia nuova: un mix di narrativa e design dove il design svolge la parte di rappresentazione e interpretazione”

Che significato ha la tecnologia nel tuo lavoro?

La possibilità di creare infografiche attraverso strumenti computerizzati, le cosiddette infografiche autogenerate, costituisce sicuramente l’aspetto tecnologico della faccenda. Tuttavia anche nei quotidiani e in tutto l’ambiente editoriale si sta assistendo ad un’altro tipo di innovazione tecnologica, è la tecnologia della parola che lascia spazio ad una tecnologia nuova: un mix di narrativa e design, dove il design svolge la parte di rappresentazione e interpretazione di un contenuto di origine giornalistica o narrativa, dove l’abilità del designer, che diviene membro fisso della redazione, sta nel costruirci una storia e creare un flusso narrativo che a volte aiuta di più rispetto ad avere queste masse di dati trattate passivamente. Però entrambe le cose funzionano, anche il mix di entrambe funziona. E per quanto riguarda le nuove modalità di condivisione del sapere? mettendoci dentro un po’ sia l’infografica, sia arrivando a parlare del web. è interessante come oggi si stia rivivendo questo concetto di opposizione tecnologica, se prima pensavi ad un giornale avevi bisogno di un supporto tecnologico. Allo stesso tempo la questione ora si ripropone per i giornali online e per i dispositivi tipo ipad. Ci sono un sacco di esperimenti che si stanno conducendo su questo tema; un’idea che molto interessante è stata quella del Washington Post, che ha deciso di utilizzare i social network per attingere informazioni e creare infografiche che possano avere come fonte primaria il “tweet” o la geolocalizzazione resa possibile dai social network di nuova generazione. Il passo è grande: stiamo parlando di infografiche che si sviluppano direttamente dai gesti delle persone, e che tengono conto della dimensione temporale. Il tutto con dati già a disposizione, e che l’utente stesso decide di fornire. Nello specifico l’esperimento si occupava di New York e San Francisco, tracciando per un intera giornata una mappa dei flussi all’interno della città. Sono valori aggiunti di un prodotto tecnologico come quello, che può essere un Ipad, che contribuiscono a costruire una dimensione vera all’in-

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terno della quale abbia senso utilizzare questi supporti, soprattutto una dimensione che punti a ridurre la barriera tecnologica di cui si stava parlando. Invece che fascino rappresenta ancora oggi la carta stampata in questo contesto? Beh, l’operazione che ora è necessario fare è quella di ricreare sulla carta un giornale che sia un po’ post internet, nel senso che ti permetta di fare sulla carta operazioni che sul sito risulterebbero più complicate. Ad esempio, trattando uno stampato, è molto più semplice attraverso un’ idea forte dare una spinta comunicativa più incisiva trattandola dal punto di vista grafico. La materialità della carta e dello stampato aumenta la presenza fisica del contenuto, mentre l’intangibilità dello schermo funge da filtro per l’attrazione di un sito, rendendo molto più difficile la provocazione. Se tu pensi com’è un giornale , la forma riesce ad accompagnare i contenuti mentre in un sito è molto più difficile, se non quasi impossibile, dato che la forma non accompagna ma rende accessibile il contenuto. Mi sento comunque di dire che arrivando da questa fase florida dell’editoria, dove anche i giornali erano mutati, arrivando a essere qualcosa di molto diverso da un tempo, il futuro ci porterà delle sorprese. Per come la vedo io i giornali si asciugheranno di questa ridondanza che oggi li contraddistingue, sarà necessario avere più idee da esprimere e concetti forti da comunicare. La strada giusta sarà quella di liberarsi dai fardelli, dalle iniziative pubblicitarie e dai pesi che troppo spesso infangano il giornalismo, focalizzandosi sui concetti e su idee metaprogettuali forti.

stire quantità di dati di gran lunga superiore è anche la qualità del dato a cambiare, la sua reperibilità. A questo proposito è emblematico il percorso di Nicholas Felton, che dopo aver raggiunto il successo attraverso la schematizzazione dei dati riguardanti le sue esperienze vissute durante un intero anno e dopo aver sviluppato un software che permetteva di fare la stessa cosa online, è stato assunto in Facebook. La linea che si definisce è quella di trasferire il servizio di programmi come Daytum in qualcosa di più gestibile da parte dell’utente, arrivando ad integrare queste tipologie di rappresentazione di dati statistici della vita delle persone nei social network. Dove sta secondo te il limite dell’infografica, può a tuo parere rappresentare un feticcio? Sicuramente in un panorama di proliferazione dei dati come quello attuale, anche detto data porn, la differenza è fatta dalla qualità. Stiamo assistendo a quella fase che Tufte aveva definito il Chartjunk negli anni 80, dove il proliferare di computer aveva stimolato i grafici nell’uso di sfumature e ombre, e che anche ora si ripresenta andando a colmare quella che in realtà probabilmente per molti è la mancanza di idee forti. Ed è per questo che forse attribuirei più il limite alla mancanza di idee piuttosto che all’infografica in sé, in quanto la rappresentazione grafica ne deve essere una conseguenza, e non un contorno: una rappresentazione grafica che ostacola la lettura è figlia di un concept che probabilmente non ha idee forti di partenza. Secondo me invece da questo punto i vista è interessante nell’uso di supporti tipo tablet è il lettore che sceglie la sua strada, che usa i suoi dati, anche attraverso l’interazione.

è per questo che avete scelto una griglia del 62? Sì, diciamo che con IL abbiamo scelto di seguire un mood che è quello di giornali degli anni ‘60/’70, giornali di rotocalchi, sia l’espresso, ma anche Town, Twenty, nord europei, e quello che abbiamo fatto è stato cercare di isolare quelli che erano gli aspetti tipici di questi giornali, a partire dalla forte presenza tipografica da cui abbiamo scelto di usare un Akzidenz Condensed abbinato appunto ad un Pubblico che dava questa chiave di lettura contemporanea fino ad arrivare alla griglia. La griglia che abbiamo scelto è una griglia di Karl Gerstner del 1962 che è una griglia particolare, dalle grandi possibilità. Come vedi l’applicazione dell’infografica in altri ambiti? Ci sono tanti applicativi sul web che ti permettono di visualizzare i tuoi dati, cioè tu importi i tuoi dati excel e vengono poi trattati visivamente , puoi decidere come elaborarli, quindi da questo punto di vista ci sono tantissimi strumenti che vanno in contro ai ricercatori in questa direzione. Tuttavia continuo a pensare che il futuro riserverà un posto ai designer in questo campo, come lo ha riservato nelle redazioni dei giornali. Per creare un prodotto valido e che dia veramente un valore aggiunto al dato puro, è essenziale che la sua comunicazione venga sviluppata insieme al dato stesso, plasmandosi sul suo significato, e non applicandovi un modello comunicativo standard o studiato per altre realtà.

La tecnologia sta un po’ cambiando il modo di vedere i dati e gli schemi, dove pensi che ci porti? Come si diceva prima non è solo la quantità a cambiare. Oltre a poter ge51


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zione pura, e quindi al trattamento freddo dei dati, dove è fondamentale un linguaggio chiaro e specifico che non rischi di equivocare il contenuto, mentre in altri casi è più opportuno concentrarsi sulla parte estetica per non rischiare che il lavoro perda di interesse. Tuttavia bisogna essere coscienti del fatto che in entrambi i casi perderemo qualcosa, in un caso dal punto di vista dell’ appealing , e nell’altro dal punto di vista dell’utilità, quindi quello che si cerca di fare è di stare al centro di questi estremi. Lavorando su un magazine e più nello specifico un mensile, è naturale che le pagine debbano diventare una forma d’intrattenimento, e la forza è quella di avere un impatto iniziale su cui lavorare nel dettaglio per proporre diversi livelli di lettura, in maniera tale che il lettore possa entrare nella pagina e approfondire un argomento.

“è la tecnologia della parola che lascia spazio ad una tecnologia nuova: un mix di narrativa e design dove il design svolge la parte di rappresentazione e interpretazione”

Che significato ha la tecnologia nel tuo lavoro?

La possibilità di creare infografiche attraverso strumenti computerizzati, le cosiddette infografiche autogenerate, costituisce sicuramente l’aspetto tecnologico della faccenda. Tuttavia anche nei quotidiani e in tutto l’ambiente editoriale si sta assistendo ad un’altro tipo di innovazione tecnologica, è la tecnologia della parola che lascia spazio ad una tecnologia nuova: un mix di narrativa e design, dove il design svolge la parte di rappresentazione e interpretazione di un contenuto di origine giornalistica o narrativa, dove l’abilità del designer, che diviene membro fisso della redazione, sta nel costruirci una storia e creare un flusso narrativo che a volte aiuta di più rispetto ad avere queste masse di dati trattate passivamente. Però entrambe le cose funzionano, anche il mix di entrambe funziona. E per quanto riguarda le nuove modalità di condivisione del sapere? mettendoci dentro un po’ sia l’infografica, sia arrivando a parlare del web. è interessante come oggi si stia rivivendo questo concetto di opposizione tecnologica, se prima pensavi ad un giornale avevi bisogno di un supporto tecnologico. Allo stesso tempo la questione ora si ripropone per i giornali online e per i dispositivi tipo ipad. Ci sono un sacco di esperimenti che si stanno conducendo su questo tema; un’idea che molto interessante è stata quella del Washington Post, che ha deciso di utilizzare i social network per attingere informazioni e creare infografiche che possano avere come fonte primaria il “tweet” o la geolocalizzazione resa possibile dai social network di nuova generazione. Il passo è grande: stiamo parlando di infografiche che si sviluppano direttamente dai gesti delle persone, e che tengono conto della dimensione temporale. Il tutto con dati già a disposizione, e che l’utente stesso decide di fornire. Nello specifico l’esperimento si occupava di New York e San Francisco, tracciando per un intera giornata una mappa dei flussi all’interno della città. Sono valori aggiunti di un prodotto tecnologico come quello, che può essere un Ipad, che contribuiscono a costruire una dimensione vera all’in-

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terno della quale abbia senso utilizzare questi supporti, soprattutto una dimensione che punti a ridurre la barriera tecnologica di cui si stava parlando. Invece che fascino rappresenta ancora oggi la carta stampata in questo contesto? Beh, l’operazione che ora è necessario fare è quella di ricreare sulla carta un giornale che sia un po’ post internet, nel senso che ti permetta di fare sulla carta operazioni che sul sito risulterebbero più complicate. Ad esempio, trattando uno stampato, è molto più semplice attraverso un’ idea forte dare una spinta comunicativa più incisiva trattandola dal punto di vista grafico. La materialità della carta e dello stampato aumenta la presenza fisica del contenuto, mentre l’intangibilità dello schermo funge da filtro per l’attrazione di un sito, rendendo molto più difficile la provocazione. Se tu pensi com’è un giornale , la forma riesce ad accompagnare i contenuti mentre in un sito è molto più difficile, se non quasi impossibile, dato che la forma non accompagna ma rende accessibile il contenuto. Mi sento comunque di dire che arrivando da questa fase florida dell’editoria, dove anche i giornali erano mutati, arrivando a essere qualcosa di molto diverso da un tempo, il futuro ci porterà delle sorprese. Per come la vedo io i giornali si asciugheranno di questa ridondanza che oggi li contraddistingue, sarà necessario avere più idee da esprimere e concetti forti da comunicare. La strada giusta sarà quella di liberarsi dai fardelli, dalle iniziative pubblicitarie e dai pesi che troppo spesso infangano il giornalismo, focalizzandosi sui concetti e su idee metaprogettuali forti.

stire quantità di dati di gran lunga superiore è anche la qualità del dato a cambiare, la sua reperibilità. A questo proposito è emblematico il percorso di Nicholas Felton, che dopo aver raggiunto il successo attraverso la schematizzazione dei dati riguardanti le sue esperienze vissute durante un intero anno e dopo aver sviluppato un software che permetteva di fare la stessa cosa online, è stato assunto in Facebook. La linea che si definisce è quella di trasferire il servizio di programmi come Daytum in qualcosa di più gestibile da parte dell’utente, arrivando ad integrare queste tipologie di rappresentazione di dati statistici della vita delle persone nei social network. Dove sta secondo te il limite dell’infografica, può a tuo parere rappresentare un feticcio? Sicuramente in un panorama di proliferazione dei dati come quello attuale, anche detto data porn, la differenza è fatta dalla qualità. Stiamo assistendo a quella fase che Tufte aveva definito il Chartjunk negli anni 80, dove il proliferare di computer aveva stimolato i grafici nell’uso di sfumature e ombre, e che anche ora si ripresenta andando a colmare quella che in realtà probabilmente per molti è la mancanza di idee forti. Ed è per questo che forse attribuirei più il limite alla mancanza di idee piuttosto che all’infografica in sé, in quanto la rappresentazione grafica ne deve essere una conseguenza, e non un contorno: una rappresentazione grafica che ostacola la lettura è figlia di un concept che probabilmente non ha idee forti di partenza. Secondo me invece da questo punto i vista è interessante nell’uso di supporti tipo tablet è il lettore che sceglie la sua strada, che usa i suoi dati, anche attraverso l’interazione.

è per questo che avete scelto una griglia del 62? Sì, diciamo che con IL abbiamo scelto di seguire un mood che è quello di giornali degli anni ‘60/’70, giornali di rotocalchi, sia l’espresso, ma anche Town, Twenty, nord europei, e quello che abbiamo fatto è stato cercare di isolare quelli che erano gli aspetti tipici di questi giornali, a partire dalla forte presenza tipografica da cui abbiamo scelto di usare un Akzidenz Condensed abbinato appunto ad un Pubblico che dava questa chiave di lettura contemporanea fino ad arrivare alla griglia. La griglia che abbiamo scelto è una griglia di Karl Gerstner del 1962 che è una griglia particolare, dalle grandi possibilità. Come vedi l’applicazione dell’infografica in altri ambiti? Ci sono tanti applicativi sul web che ti permettono di visualizzare i tuoi dati, cioè tu importi i tuoi dati excel e vengono poi trattati visivamente , puoi decidere come elaborarli, quindi da questo punto di vista ci sono tantissimi strumenti che vanno in contro ai ricercatori in questa direzione. Tuttavia continuo a pensare che il futuro riserverà un posto ai designer in questo campo, come lo ha riservato nelle redazioni dei giornali. Per creare un prodotto valido e che dia veramente un valore aggiunto al dato puro, è essenziale che la sua comunicazione venga sviluppata insieme al dato stesso, plasmandosi sul suo significato, e non applicandovi un modello comunicativo standard o studiato per altre realtà.

La tecnologia sta un po’ cambiando il modo di vedere i dati e gli schemi, dove pensi che ci porti? Come si diceva prima non è solo la quantità a cambiare. Oltre a poter ge51


la poesia della scienza

come linguaggio per l’esperienza

La tecnologia come parte integrante della tavolozza creativa, maneggiata da un designer che è quasi un artista, è in grado di manipolare le innovazioni scientifiche per fare poesia. I designer sono una figura particolare che ha sempre avuto a che fare in modo costante con i continui progressi della scienza e della tecnolgia. Ne abbiamo scelti due in particolar modo interessati a questo tema per capire in che modo la scienza possa trasformarsi in arte e design grazie allo strumento tecnologia e alla mano del designer. Forse in questo modo l’arte riuscirà a recuperare una relazione con la società a ad avere un ruolo incisivo, e sfruttare la scienza per creare nuovi stimoli e nuovi linguaggi per la comunità creativa.


la poesia della scienza

come linguaggio per l’esperienza

La tecnologia come parte integrante della tavolozza creativa, maneggiata da un designer che è quasi un artista, è in grado di manipolare le innovazioni scientifiche per fare poesia. I designer sono una figura particolare che ha sempre avuto a che fare in modo costante con i continui progressi della scienza e della tecnolgia. Ne abbiamo scelti due in particolar modo interessati a questo tema per capire in che modo la scienza possa trasformarsi in arte e design grazie allo strumento tecnologia e alla mano del designer. Forse in questo modo l’arte riuscirà a recuperare una relazione con la società a ad avere un ruolo incisivo, e sfruttare la scienza per creare nuovi stimoli e nuovi linguaggi per la comunità creativa.


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il designer deve vedere la tecnologia come una parte integrante della tavolozza progettuale a sua disposizione. Non va vista solamente come un mezzo, ma come un modo per generare nuovi linguaggi.

e c T oi n o ga

d e nis s a n t a c h i a r a

l

Con il suo interesse per l’indagine delle possibilità aperte dalle nuove tecnologie, e le sue visionarie idee riguardo a macchinari come quelli per il Rapid Prototyping, Denis Santachiara è il designer giusto per capire gli effetti e i possibili sbocchi dei cambiamenti in atto. In particolare, con l’ambizioso progetto della mostra “Principia” curato da lui in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti in occasione del Salone del Mobile 2011 a Milano, messa in piedi proprio nel centro di Piazza Duomo, ci ha convinti a chiedergli che cosa ne pensasse del rapporto tra le tecnologie e la scienza. è stato interessante vedere cosa sta accadendo e come gli artisti possono utilizzare i nuovi principia per esprimere la propria arte. “Principia” non è una mostra incentrata sul rapporto arte/scienza, ma l’accento viene messo sui potenziali creativi attraverso i principi della scienza come sorgente del fare artistico. Fine ultimo è l’innovazione del linguaggio come stupore estetico, il riemozionarsi come davanti a una delle vedute di Canaletto senza necessariamente comprenderne i principi generativi della prospettiva. 54

Considerando che ha appena trattato l’argomento con una mostra ad aprile, Principia, cosa ci può dire della scienza applicata all’arte? Beh, in quella mostra la scienza non è applicata all’arte ma ai linguaggi dell’arte. Volevamo illustrare come l’utilizzo di principi scientifici possa produrre nuovi linguaggi che per la loro intensità comunicativa non necessariamente lasciano trasparire il lato scientifico che sta alla loro base. Come quando ammiriamo una veduta del Canaletto siamo estasiati dalla forza di quell’immagine, non pensiamo alla tecnica della camera oscura che pur sottende al quadro e sta alla base di quella forza. Quanto e soprattutto come hanno influito le nuove tecnologie in questo? Come spiegato all’entrata di Principia, le scoperte scientifiche hanno sempre offerto contributi all’arte: cos’è cambiato ora? Ormai quasi tutte le mostre d’arte sono piene di mezzi tecnologici, che però rimangono relegati alla forma di mezzi. Quello che credo io è che a questo punto ci sia spazio invece di un arte

post mezzi, postmediatica. Un’arte che come nel rinascimento vada oltre al mezzo tecnologico o scientifico, e riesca ad entrare nei principi profondi della scienza, capirli e plasmarli per produrre arte, per produrre nuovi linguaggi interpretativi. Come un prestigiatore che usa tanta tecnica per “tradirla” nell’illusione e nell’effetto spettacolare.

Nel complesso, ho cercato di far vedere il mio lavoro, mostrando allo stesso tempo al meglio il lavoro degli autori.

Che ruolo ha avuto lei nell’allestimento della mostra e questo cosa ha comportato?

L’intento di questa mostra non era quello di diffondere la scienza. Al contrario, ci piacerebbe stimolare gli artisti, i designer, i musicisti ... insomma tutti quelli che in qualche modo fanno arte o sono a contatto con essa, offrirgli spunti. La diffusione della scienza la deve fare la scuola. Compito di un museo di scenze è anche quello di spettacolarizzarla per renderla più un’attrattiva per il pubblico.

Io ho progettato il padiglione e l’allestimento interno della mostra. L’intento, per il padiglione, era dargli una forma “molecolare”, che abbiamo reso con tre grandi cupoloni di telo bianchi di forma semicircolare di dimensioni diverse che rappresentassero gli atomi di una molecola. Il percorso poi si svolgeva come una specie di otto, con le varie sezioni delle opere al centro aperte come delle stanzette verso il pubblico. Ogni stanza poi mostrava un esempio di applicazione artistica di un principium scientifico, presentando opere di giovani artisti contemporanei. Per quanto riguarda l’allestimento la mia priorità era dare la massima attenzione alle esigenze particolari degli autori.

Cosa ne pensa della diffusione tramite l’arte delle scoperte scientifiche, e sulla loro “spettacolarizzazione” al grande pubblico tramite mostre di questo tipo?

Quanto e come può l’allestitore influenzare l’effetto sulle persone delle innovazione scientifiche e tecnologiche? Per quel che mi riguarda cerco sempre il lato poetico e magico del fare mostre. Attraverso artifici e tecnologie. 55


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il designer deve vedere la tecnologia come una parte integrante della tavolozza progettuale a sua disposizione. Non va vista solamente come un mezzo, ma come un modo per generare nuovi linguaggi.

e c T oi n o ga

d e nis s a n t a c h i a r a

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Con il suo interesse per l’indagine delle possibilità aperte dalle nuove tecnologie, e le sue visionarie idee riguardo a macchinari come quelli per il Rapid Prototyping, Denis Santachiara è il designer giusto per capire gli effetti e i possibili sbocchi dei cambiamenti in atto. In particolare, con l’ambizioso progetto della mostra “Principia” curato da lui in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti in occasione del Salone del Mobile 2011 a Milano, messa in piedi proprio nel centro di Piazza Duomo, ci ha convinti a chiedergli che cosa ne pensasse del rapporto tra le tecnologie e la scienza. è stato interessante vedere cosa sta accadendo e come gli artisti possono utilizzare i nuovi principia per esprimere la propria arte. “Principia” non è una mostra incentrata sul rapporto arte/scienza, ma l’accento viene messo sui potenziali creativi attraverso i principi della scienza come sorgente del fare artistico. Fine ultimo è l’innovazione del linguaggio come stupore estetico, il riemozionarsi come davanti a una delle vedute di Canaletto senza necessariamente comprenderne i principi generativi della prospettiva. 54

Considerando che ha appena trattato l’argomento con una mostra ad aprile, Principia, cosa ci può dire della scienza applicata all’arte? Beh, in quella mostra la scienza non è applicata all’arte ma ai linguaggi dell’arte. Volevamo illustrare come l’utilizzo di principi scientifici possa produrre nuovi linguaggi che per la loro intensità comunicativa non necessariamente lasciano trasparire il lato scientifico che sta alla loro base. Come quando ammiriamo una veduta del Canaletto siamo estasiati dalla forza di quell’immagine, non pensiamo alla tecnica della camera oscura che pur sottende al quadro e sta alla base di quella forza. Quanto e soprattutto come hanno influito le nuove tecnologie in questo? Come spiegato all’entrata di Principia, le scoperte scientifiche hanno sempre offerto contributi all’arte: cos’è cambiato ora? Ormai quasi tutte le mostre d’arte sono piene di mezzi tecnologici, che però rimangono relegati alla forma di mezzi. Quello che credo io è che a questo punto ci sia spazio invece di un arte

post mezzi, postmediatica. Un’arte che come nel rinascimento vada oltre al mezzo tecnologico o scientifico, e riesca ad entrare nei principi profondi della scienza, capirli e plasmarli per produrre arte, per produrre nuovi linguaggi interpretativi. Come un prestigiatore che usa tanta tecnica per “tradirla” nell’illusione e nell’effetto spettacolare.

Nel complesso, ho cercato di far vedere il mio lavoro, mostrando allo stesso tempo al meglio il lavoro degli autori.

Che ruolo ha avuto lei nell’allestimento della mostra e questo cosa ha comportato?

L’intento di questa mostra non era quello di diffondere la scienza. Al contrario, ci piacerebbe stimolare gli artisti, i designer, i musicisti ... insomma tutti quelli che in qualche modo fanno arte o sono a contatto con essa, offrirgli spunti. La diffusione della scienza la deve fare la scuola. Compito di un museo di scenze è anche quello di spettacolarizzarla per renderla più un’attrattiva per il pubblico.

Io ho progettato il padiglione e l’allestimento interno della mostra. L’intento, per il padiglione, era dargli una forma “molecolare”, che abbiamo reso con tre grandi cupoloni di telo bianchi di forma semicircolare di dimensioni diverse che rappresentassero gli atomi di una molecola. Il percorso poi si svolgeva come una specie di otto, con le varie sezioni delle opere al centro aperte come delle stanzette verso il pubblico. Ogni stanza poi mostrava un esempio di applicazione artistica di un principium scientifico, presentando opere di giovani artisti contemporanei. Per quanto riguarda l’allestimento la mia priorità era dare la massima attenzione alle esigenze particolari degli autori.

Cosa ne pensa della diffusione tramite l’arte delle scoperte scientifiche, e sulla loro “spettacolarizzazione” al grande pubblico tramite mostre di questo tipo?

Quanto e come può l’allestitore influenzare l’effetto sulle persone delle innovazione scientifiche e tecnologiche? Per quel che mi riguarda cerco sempre il lato poetico e magico del fare mostre. Attraverso artifici e tecnologie. 55


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Quali sono i motivi che hanno spinto ad organizzare quella mostra e cosa può dire sia stato raggiunto ora che si è conclusa? Principia è la naturale continuazione del mio lavoro, ampliando l’orizzonte dei temi e settori che tratta. Ora come ora credo che le arti abbiano bisogno di nuovi campi d’azione, è questo che intendevo prima con lo stimolare gli artisti. Dopo la mostra ho notato l’interesse, l’atteggiamento positivo a volte anche sorprendente di artisti e creativi in genere verso la mostra, e questo penso sia stato un buon risultato. Come può il designer trasformare la tecnologia in poesia? Come la contamina e ne viene contaminato? italia

Il designer deve vedere la tecnologia come una parte integrante della tavolozza progettuale a sua disposizione. Non deve vederla solamente come un mezzo, ma come un modo per generare nuovi linguaggi, e anche una parte integrante del risultato finale: io credo che in questi ultimi decenni la tecnologia sia diventata essa stessa poesis e technè, la creazione e la tecnica. Cos’è la personal factory? E’ la serialità personalizzata ossia la produzione dell’originale in serie come nel mondo digitale. Esattamente come prima si era passati dalla produzione artigianale del pezzo unico, alla produzione in serie di oggetti di massa, ora da lì ci si muove verso la serializzazione dei pezzi unici. Nel senso, posso serializzare una grande varietà di alternative e possibilità di personalizzazione, così quando vado a comperare il prodotto ho fatto una scelta, e quello che ho è stato prodotto solo per me, sulla misura delle mie esigenze.

Ue-27

Presente e futuro del rapid manifacturing, un’innovazione che si propone di cambiare radicalmente il mondo del design e delle industrie. Regno Unito

Scienziati e Ingegneri

Laureati occupati nella S&T

Personale tecnico-scientifico

Le risorse umane nella scienza e nella tecnologia (25/64 anni) distribuite secondo la qualifica in alcuni paesi dell'Europa Fonte: Eurostat, Science, technology and innovation in Europe, 2010. 56

Il rapid manifacturing è una tecnica che permete di produrre oggetti tridimensionali, come una specie di fotocopiatrice in tre dimensioni. Dato un software con tutti i dati del prodotto, o dell’oggetto da realizzare, si possono plasmare a piacimento materie plastiche o polveri metalliche. Per ora in questo modo è possibile realizzare solo dei modelli singoli o dei prototipi, ma spesso ci dà un esempio di come in un prossimo futuro sarà possibile produrre attraverso questa tecnologia. Gli spazi industriali si ridurranno e le aziende saranno più immateriali, perchè si produrrà solo su ordinativi e non ci sarà più bisogno di locali di stoccaggio. E questo avrà effetti decisivi sulla creatività, che avrà molte più possibilità di sbizzarirsi. Ci sono già diversi campi in cui il rapid manifacturing viene applicato per la produzione di oggetti: nella Formula Uno, nel mondo dei pezzi di ricambio e anche nell’occhialeria. Ma adesso i costi di produzione sono ancora troppo alti.

marco fat tore La tecnologia rappresenta un limite (e tante volta lo ha rappresentato) se viene usata per ridurre a meccanismo il processo conoscitivo. Pensiamo al caso aziendale. Per troppi anni, il problema della conoscenza è stato visto come un problema di automazione software e così molti degli investimenti in questa direzione si sono risolti in grandi progetti di system integration che hanno preteso di ridurre il problema della conoscenza e della decisione strategica o anche solo tattica all’output di un algoritmo di manipolazione di “bit” (il mitico “data mining”). Oggi, poi, le potenzialità grafiche e comunicative dei sw illudono che si possa “vedere” o “far vedere” il senso dei dati per il semplice fatto che siamo in grado di costruire mappe e rappresentazioni automatizzate, secondo i canoni di una certa idea di design della comunicazione. E quindi cediamo che tutti possano partecipare alla conoscenza. Ma basterebbe vedere i processi di “generazione delle informazioni” (in un’azienda, in un blog…) per cambiare idea. In entrambi i casi, si pretende di eliminare la fatica del metodo, cioè del percorso da intraprendere per far emergere il senso dei dati. La possibilità di automatizzare la gestione informatica del dato e della sua visualizzazione è molto importante, se usata per abilitare un processo diffuso e dialogico di conoscenza e di critica, secondo le capacità e i “temperamenti” dei diversi attori coinvolti ai vari livelli aziendali, sociali… ma contemporaneamente, l’abilità tecnologica e comunicativa corre anche il rischio di essere omologante e di deprimere, senza violenza apparente, la capacità critica.

Nel tuo lavoro la tecnologia può rappresentare

un limite

?

france sco franchi Sicuramente in un panorama di proliferazione dei dati come quello attuale, anche detto data porn, la differenza è fatta dalla qualità. Stiamo assistendo a quella fase che Tufte aveva definito il Chartjunk negli anni 80, dove il proliferare di computer aveva stimolato i grafici nell’uso di sfumature e ombre, e che anche ora si ripresenta andando a colmare quella che in realtà probabilmente per molti è la mancanza di idee forti. Ed è per questo che forse attribuirei più il limite alla mancanza di idee piuttosto che all’infografica in sé, in quanto la rappresentazione grafica ne deve essere una conseguenza, e non un contorno: una rappresentazione grafica che ostacola la lettura è figlia di un concept che probabilmente non ha idee forti di partenza.

PAOLO ROSA Un limite? Senz’altro. Diceva una mia amica francese, il dispositivo tecnologico funziona o non funziona, e questo è il suo limite, e quando non funziona non è più utile al tuo progetto. Di limitazioni quindi ce ne son infinite, che sono limitazioni oggettive di questi strumenti fondamentalmente stupidi che però producono un’intelligenza pericolosa. Si propone una contraddizione interessante, siamo costretti ad aver a che fare con questi oggetti che di fatto sono molto stupidi, e tu ti confronti con questa stupidità. Ma mettendoli insieme producono intelligenza, un’intelligenza che è capace di invadere la tua intelligenza. Poi ci sono i limiti nostri, limiti generazionali di comprensione di fenomeni che non appartengono di sicuro al mondo da cui io provengo. Per superare questi gap generazionali è stato molto importante il lavoro che facciamo in studio con collaboratori molto giovani, che sono portatori di nuove sensibilità.

Paolo ciuccarelli Sicuramente, lo è da tanti punti di vista. Diciamo che per noi è fondamentale che le tecnologie a cui noi pensiamo poi abbiano un riscontro reale. Da questo punto di vista noi lavoriamo sulle stesse tecnologie su cui poi lavorano gli utenti. Nel momento in cui gli utenti hanno certi limiti questo si rispecchia sull’attività che fai, soprattutto nel web devi fare i conti con i limiti della tecnologia che hanno in mano gli utenti, che ovviamente non è sempre quella che hai in mano tu. Però è un limite buono, un vincolo che ti costringe a tarare il tuo progetto. La cosa che forse diventerà un problema, ma forse più una sfida che un problema è il fatto che poi non si parlerà più di una tecnologia ma di n dispositivi. Che è un po’ il problema che hanno oggi gli editori, 50 anni fa facevano il giornale a stampa con la rotativa, mentre oggi devono almeno fare 4 prodotti diversi, giornale cartaceo, giornale web, versione per smartphone e persino tablet. Questa moltiplicazione dei dispositivi e delle modalità di accesso, ti costringe a cambiare radicalmente il tuo processo, e l’editoria è in crisi anche un po’ per questo, perché non sa come fare con meno risorse di prima a creare 4 prodotti diversi, che costituiscono 4 esperienze diverse. Costituisce continuamente una sfida perché le tecnologie su cui lavoriamo noi cambiano continuamente, è una cosa con cui ti devi confrontare tutti i giorni, connaturata al mondo così dinamico in cui viviamo.


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Quali sono i motivi che hanno spinto ad organizzare quella mostra e cosa può dire sia stato raggiunto ora che si è conclusa? Principia è la naturale continuazione del mio lavoro, ampliando l’orizzonte dei temi e settori che tratta. Ora come ora credo che le arti abbiano bisogno di nuovi campi d’azione, è questo che intendevo prima con lo stimolare gli artisti. Dopo la mostra ho notato l’interesse, l’atteggiamento positivo a volte anche sorprendente di artisti e creativi in genere verso la mostra, e questo penso sia stato un buon risultato. Come può il designer trasformare la tecnologia in poesia? Come la contamina e ne viene contaminato? italia

Il designer deve vedere la tecnologia come una parte integrante della tavolozza progettuale a sua disposizione. Non deve vederla solamente come un mezzo, ma come un modo per generare nuovi linguaggi, e anche una parte integrante del risultato finale: io credo che in questi ultimi decenni la tecnologia sia diventata essa stessa poesis e technè, la creazione e la tecnica. Cos’è la personal factory? E’ la serialità personalizzata ossia la produzione dell’originale in serie come nel mondo digitale. Esattamente come prima si era passati dalla produzione artigianale del pezzo unico, alla produzione in serie di oggetti di massa, ora da lì ci si muove verso la serializzazione dei pezzi unici. Nel senso, posso serializzare una grande varietà di alternative e possibilità di personalizzazione, così quando vado a comperare il prodotto ho fatto una scelta, e quello che ho è stato prodotto solo per me, sulla misura delle mie esigenze.

Ue-27

Presente e futuro del rapid manifacturing, un’innovazione che si propone di cambiare radicalmente il mondo del design e delle industrie. Regno Unito

Scienziati e Ingegneri

Laureati occupati nella S&T

Personale tecnico-scientifico

Le risorse umane nella scienza e nella tecnologia (25/64 anni) distribuite secondo la qualifica in alcuni paesi dell'Europa Fonte: Eurostat, Science, technology and innovation in Europe, 2010. 56

Il rapid manifacturing è una tecnica che permete di produrre oggetti tridimensionali, come una specie di fotocopiatrice in tre dimensioni. Dato un software con tutti i dati del prodotto, o dell’oggetto da realizzare, si possono plasmare a piacimento materie plastiche o polveri metalliche. Per ora in questo modo è possibile realizzare solo dei modelli singoli o dei prototipi, ma spesso ci dà un esempio di come in un prossimo futuro sarà possibile produrre attraverso questa tecnologia. Gli spazi industriali si ridurranno e le aziende saranno più immateriali, perchè si produrrà solo su ordinativi e non ci sarà più bisogno di locali di stoccaggio. E questo avrà effetti decisivi sulla creatività, che avrà molte più possibilità di sbizzarirsi. Ci sono già diversi campi in cui il rapid manifacturing viene applicato per la produzione di oggetti: nella Formula Uno, nel mondo dei pezzi di ricambio e anche nell’occhialeria. Ma adesso i costi di produzione sono ancora troppo alti.

marco fat tore La tecnologia rappresenta un limite (e tante volta lo ha rappresentato) se viene usata per ridurre a meccanismo il processo conoscitivo. Pensiamo al caso aziendale. Per troppi anni, il problema della conoscenza è stato visto come un problema di automazione software e così molti degli investimenti in questa direzione si sono risolti in grandi progetti di system integration che hanno preteso di ridurre il problema della conoscenza e della decisione strategica o anche solo tattica all’output di un algoritmo di manipolazione di “bit” (il mitico “data mining”). Oggi, poi, le potenzialità grafiche e comunicative dei sw illudono che si possa “vedere” o “far vedere” il senso dei dati per il semplice fatto che siamo in grado di costruire mappe e rappresentazioni automatizzate, secondo i canoni di una certa idea di design della comunicazione. E quindi cediamo che tutti possano partecipare alla conoscenza. Ma basterebbe vedere i processi di “generazione delle informazioni” (in un’azienda, in un blog…) per cambiare idea. In entrambi i casi, si pretende di eliminare la fatica del metodo, cioè del percorso da intraprendere per far emergere il senso dei dati. La possibilità di automatizzare la gestione informatica del dato e della sua visualizzazione è molto importante, se usata per abilitare un processo diffuso e dialogico di conoscenza e di critica, secondo le capacità e i “temperamenti” dei diversi attori coinvolti ai vari livelli aziendali, sociali… ma contemporaneamente, l’abilità tecnologica e comunicativa corre anche il rischio di essere omologante e di deprimere, senza violenza apparente, la capacità critica.

Nel tuo lavoro la tecnologia può rappresentare

un limite

?

france sco franchi Sicuramente in un panorama di proliferazione dei dati come quello attuale, anche detto data porn, la differenza è fatta dalla qualità. Stiamo assistendo a quella fase che Tufte aveva definito il Chartjunk negli anni 80, dove il proliferare di computer aveva stimolato i grafici nell’uso di sfumature e ombre, e che anche ora si ripresenta andando a colmare quella che in realtà probabilmente per molti è la mancanza di idee forti. Ed è per questo che forse attribuirei più il limite alla mancanza di idee piuttosto che all’infografica in sé, in quanto la rappresentazione grafica ne deve essere una conseguenza, e non un contorno: una rappresentazione grafica che ostacola la lettura è figlia di un concept che probabilmente non ha idee forti di partenza.

PAOLO ROSA Un limite? Senz’altro. Diceva una mia amica francese, il dispositivo tecnologico funziona o non funziona, e questo è il suo limite, e quando non funziona non è più utile al tuo progetto. Di limitazioni quindi ce ne son infinite, che sono limitazioni oggettive di questi strumenti fondamentalmente stupidi che però producono un’intelligenza pericolosa. Si propone una contraddizione interessante, siamo costretti ad aver a che fare con questi oggetti che di fatto sono molto stupidi, e tu ti confronti con questa stupidità. Ma mettendoli insieme producono intelligenza, un’intelligenza che è capace di invadere la tua intelligenza. Poi ci sono i limiti nostri, limiti generazionali di comprensione di fenomeni che non appartengono di sicuro al mondo da cui io provengo. Per superare questi gap generazionali è stato molto importante il lavoro che facciamo in studio con collaboratori molto giovani, che sono portatori di nuove sensibilità.

Paolo ciuccarelli Sicuramente, lo è da tanti punti di vista. Diciamo che per noi è fondamentale che le tecnologie a cui noi pensiamo poi abbiano un riscontro reale. Da questo punto di vista noi lavoriamo sulle stesse tecnologie su cui poi lavorano gli utenti. Nel momento in cui gli utenti hanno certi limiti questo si rispecchia sull’attività che fai, soprattutto nel web devi fare i conti con i limiti della tecnologia che hanno in mano gli utenti, che ovviamente non è sempre quella che hai in mano tu. Però è un limite buono, un vincolo che ti costringe a tarare il tuo progetto. La cosa che forse diventerà un problema, ma forse più una sfida che un problema è il fatto che poi non si parlerà più di una tecnologia ma di n dispositivi. Che è un po’ il problema che hanno oggi gli editori, 50 anni fa facevano il giornale a stampa con la rotativa, mentre oggi devono almeno fare 4 prodotti diversi, giornale cartaceo, giornale web, versione per smartphone e persino tablet. Questa moltiplicazione dei dispositivi e delle modalità di accesso, ti costringe a cambiare radicalmente il tuo processo, e l’editoria è in crisi anche un po’ per questo, perché non sa come fare con meno risorse di prima a creare 4 prodotti diversi, che costituiscono 4 esperienze diverse. Costituisce continuamente una sfida perché le tecnologie su cui lavoriamo noi cambiano continuamente, è una cosa con cui ti devi confrontare tutti i giorni, connaturata al mondo così dinamico in cui viviamo.


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Cosa ci può raccontare della sua esperienza in Studio Azzurro? Ormai la storia è così lunga che a raccontarla ci vuole un bel po’. È stato un luogo centrale della mia esperienza espressiva e umana. Sono quasi trentanni che esiste questo studio, nato nell’82 come un’entità che doveva fare ricerca nel campo cinematografico, piano piano siamo scivolati verso l’esperienza del video che che ci è sembrato essere la radice di congiunzione tra l’esperienza espressiva e l’esperienza tecnologica che, in quegli anni, stava nascendo molto prepotentemente, al punto da diventare un elemento che noi consideravamo importante per la trasformazione sociale, come poi puntualmente è avvenuto. Il video rappresentava l’inizio della prima trasformazuione tecnologica dei primi anni 80 trasformandosi poi in computer e successivamente nella rete. Si può dire che l’evoluzione tecnologica ci ha un po’ condizionato a seguire questa traiettoria che si è sempre più evoluta e complicata, trasformandosi in una sfida molto affascinante non essendo noi nativi tecnologici. Che valore assume la parola ricerca in Studio Azzurro? Non è stata una cosa che siamo riusciti a mettere a fuoco all’istante, ma piano piano abbiamo avuto modo di scoprire quella che era la nostra realtà, e capire quale ruolo doveva avere la nostra esperienza di carattere artistico rispetto a questa serie di innovazioni.Questotipodiricercaartisticapotevadareunsegno,unanima,un’eticaa tutto l’evolversi della tecnologia che spesso è determinata da esigenze utilitaristiche: la tecnologia dovrebbe - e non uso a caso il condizionale - aiutare l’uomo a rendere più semplice il vivere ma in realtà glielo complica in maniera spropositata. Oggigiorno la tecnologia si sviluppa e crescesecondo delle logiche economiche, scientifiche e spesso militari. Inevitabilmente poi non può che ricadere sull’area di un mercato diffuso arrivando a far ricadere gli effetti di questa genesi fino al più piccolo elettrodomestico. Studio Azzurro ha voluto mettere questa filiera di produzione di tecnologie in contrapposizioneconunesperienza artistica il cui scopo è quello di mantenere alto il livello di sensibilità

pa o l o r o s a

Studio Azzurro è un ambito di ricerca artistica, che si esprime con i

Cosa ci può raccontare della sua esperienza in Studio Azzurro?

linguaggi delle nuove tecnologie. E’ stato fondato nel 1982 da Paolo

Ormai la storia è così lunga che a raccontarla ci vuole un bel po’. È stato un luogo centrale della mia esperienza espressiva e umana. Sono quasi trent’anni che esiste questo studio, nato nell’82 come un’entità che doveva fare ricerca nel campo cinematografico, piano piano siamo scivolati verso l’esperienza del video che che ci è sembrato essere la radice di congiunzione tra l’esperienza espressiva e l’esperienza tecnologica che, in quegli anni, stava nascendo molto prepotentemente, al punto da diventare un elemento che noi consideravamo importante per la trasformazione sociale, come poi puntualmente è avvenuto. Il video rappresentava l’inizio della prima trasformazuione tecnologica dei primi anni 80 trasformandosi poi in computer e successivamente nella rete. Si può dire che l’evoluzione tecnologica ci ha un po’ condizionato a seguire questa traiettoria che si è sempre più evoluta e complicata, trasformandosi in una sfida molto affascinante non essendo noi nativi tecnologici.

Rosa, Fabio Cirifino e Leonardo Sangiorgi. Nel 1995 si è unito al gruppo Stefano Roveda, esperto in sistemi interattivi. Da più di venti anni, Studio Azzurro indaga le possibilità poetiche ed espressive di questi mezzi che così tanto incidono nelle relazioni di questa epoca. Oltre che in opere sperimentali, l’attività del gruppo si lega ad esperienze più divulgative come la progettazione di musei e di esposizioni tematiche, di riconosciuto valore culturale. Ha tentato di costruire un contesto comunicativo che veda una attiva e significativa partecipazione dello spettatore in una continua oscillazione tra elementi reali e virtuali.

Che valore assume la parola ricerca in Studio Azzurro? Non è stata una cosa che siamo riusciti a mettere a fuoco all’istante, ma 58

piano piano abbiamo avuto modo di scoprire quella che era la nostra realtà, e capire quale ruolo doveva avere la nostra esperienza di carattere artistico rispetto a questa serie di innovazioni. Questo tipo di ricerca artistica poteva dare un segno, un’anima, un’etica a tutto l’evolversi della tecnologia che spesso è determinata da esigenze utilitaristiche: la tecnologia dovrebbe, e non uso a caso il condizionale, aiutare l’uomo a rendere più semplice il vivere ma in realtà glielo complica in maniera spropositata. Oggigiorno la tecnologia si sviluppa e cresce secondo delle logiche economiche, scientifiche e spesso militari. Inevitabilmente poi non può che ricadere sull’area di un mercato diffuso arrivando a far ricadere gli effetti di questa genesi fino al più piccolo elettrodomestico. Studio Azzurro ha voluto mettere questa filiera di produzione di tecnologie in contrapposizione con un’esperienza artistica il cui scopo è quello di mantenere alto il livello di sensibilità delle persone, stimolandole a far sì che non siano vittime della loro stessa tecnologia ma ad avere un rapporto con le cose, spesso anche di differenza. Quindi è da qui che nasce tutto il nostro percorso, attraversando queste tre ere, video, computer e rete. Il nostro fare ricerca ha voluto dire

approfondire questo approccio, sperimentarlo e farlo diventare una radice umanistica attraverso cui intervenire in ambito scientifico con un’ intenzione di dialogo, non contrapposizione, usando le tecnologie in modo imprevisto oppure in condizioni particolari, ingredienti particolari che generassero un esperienza col visitatore che fosse emotiva e non solo di sorpresa per la qualità espressa dalla tecnologia. Ed è qui che si inzia a parlar di interazione. Prima non era stato possibile in quanto ci sono state le macchine, ma era essenziale introdurre la dimensione interattiva in questo processo di evoluzione della tecnologia. La dimensione partecipativa è sempre stata una dimensione molto importante secondo noi e in questo caso ci offriva la possibilità attraverso questa interattività di generare un pensiero dell’arte radicalmente rinnovato, un arte più di tipo relazionale che formale, l’asse dell’interesse legato sempre al concetto di bellezza, ma spostato dalla forma dell’oggetto nella conseguenza che genera e quindi nella relazione che crea, producendo uno spazio di lettura dell’esperienza estetica di quell’opera. La bellezza non è più un valore 59


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Cosa ci può raccontare della sua esperienza in Studio Azzurro? Ormai la storia è così lunga che a raccontarla ci vuole un bel po’. È stato un luogo centrale della mia esperienza espressiva e umana. Sono quasi trentanni che esiste questo studio, nato nell’82 come un’entità che doveva fare ricerca nel campo cinematografico, piano piano siamo scivolati verso l’esperienza del video che che ci è sembrato essere la radice di congiunzione tra l’esperienza espressiva e l’esperienza tecnologica che, in quegli anni, stava nascendo molto prepotentemente, al punto da diventare un elemento che noi consideravamo importante per la trasformazione sociale, come poi puntualmente è avvenuto. Il video rappresentava l’inizio della prima trasformazuione tecnologica dei primi anni 80 trasformandosi poi in computer e successivamente nella rete. Si può dire che l’evoluzione tecnologica ci ha un po’ condizionato a seguire questa traiettoria che si è sempre più evoluta e complicata, trasformandosi in una sfida molto affascinante non essendo noi nativi tecnologici. Che valore assume la parola ricerca in Studio Azzurro? Non è stata una cosa che siamo riusciti a mettere a fuoco all’istante, ma piano piano abbiamo avuto modo di scoprire quella che era la nostra realtà, e capire quale ruolo doveva avere la nostra esperienza di carattere artistico rispetto a questa serie di innovazioni.Questotipodiricercaartisticapotevadareunsegno,unanima,un’eticaa tutto l’evolversi della tecnologia che spesso è determinata da esigenze utilitaristiche: la tecnologia dovrebbe - e non uso a caso il condizionale - aiutare l’uomo a rendere più semplice il vivere ma in realtà glielo complica in maniera spropositata. Oggigiorno la tecnologia si sviluppa e crescesecondo delle logiche economiche, scientifiche e spesso militari. Inevitabilmente poi non può che ricadere sull’area di un mercato diffuso arrivando a far ricadere gli effetti di questa genesi fino al più piccolo elettrodomestico. Studio Azzurro ha voluto mettere questa filiera di produzione di tecnologie in contrapposizioneconunesperienza artistica il cui scopo è quello di mantenere alto il livello di sensibilità

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Studio Azzurro è un ambito di ricerca artistica, che si esprime con i

Cosa ci può raccontare della sua esperienza in Studio Azzurro?

linguaggi delle nuove tecnologie. E’ stato fondato nel 1982 da Paolo

Ormai la storia è così lunga che a raccontarla ci vuole un bel po’. È stato un luogo centrale della mia esperienza espressiva e umana. Sono quasi trent’anni che esiste questo studio, nato nell’82 come un’entità che doveva fare ricerca nel campo cinematografico, piano piano siamo scivolati verso l’esperienza del video che che ci è sembrato essere la radice di congiunzione tra l’esperienza espressiva e l’esperienza tecnologica che, in quegli anni, stava nascendo molto prepotentemente, al punto da diventare un elemento che noi consideravamo importante per la trasformazione sociale, come poi puntualmente è avvenuto. Il video rappresentava l’inizio della prima trasformazuione tecnologica dei primi anni 80 trasformandosi poi in computer e successivamente nella rete. Si può dire che l’evoluzione tecnologica ci ha un po’ condizionato a seguire questa traiettoria che si è sempre più evoluta e complicata, trasformandosi in una sfida molto affascinante non essendo noi nativi tecnologici.

Rosa, Fabio Cirifino e Leonardo Sangiorgi. Nel 1995 si è unito al gruppo Stefano Roveda, esperto in sistemi interattivi. Da più di venti anni, Studio Azzurro indaga le possibilità poetiche ed espressive di questi mezzi che così tanto incidono nelle relazioni di questa epoca. Oltre che in opere sperimentali, l’attività del gruppo si lega ad esperienze più divulgative come la progettazione di musei e di esposizioni tematiche, di riconosciuto valore culturale. Ha tentato di costruire un contesto comunicativo che veda una attiva e significativa partecipazione dello spettatore in una continua oscillazione tra elementi reali e virtuali.

Che valore assume la parola ricerca in Studio Azzurro? Non è stata una cosa che siamo riusciti a mettere a fuoco all’istante, ma 58

piano piano abbiamo avuto modo di scoprire quella che era la nostra realtà, e capire quale ruolo doveva avere la nostra esperienza di carattere artistico rispetto a questa serie di innovazioni. Questo tipo di ricerca artistica poteva dare un segno, un’anima, un’etica a tutto l’evolversi della tecnologia che spesso è determinata da esigenze utilitaristiche: la tecnologia dovrebbe, e non uso a caso il condizionale, aiutare l’uomo a rendere più semplice il vivere ma in realtà glielo complica in maniera spropositata. Oggigiorno la tecnologia si sviluppa e cresce secondo delle logiche economiche, scientifiche e spesso militari. Inevitabilmente poi non può che ricadere sull’area di un mercato diffuso arrivando a far ricadere gli effetti di questa genesi fino al più piccolo elettrodomestico. Studio Azzurro ha voluto mettere questa filiera di produzione di tecnologie in contrapposizione con un’esperienza artistica il cui scopo è quello di mantenere alto il livello di sensibilità delle persone, stimolandole a far sì che non siano vittime della loro stessa tecnologia ma ad avere un rapporto con le cose, spesso anche di differenza. Quindi è da qui che nasce tutto il nostro percorso, attraversando queste tre ere, video, computer e rete. Il nostro fare ricerca ha voluto dire

approfondire questo approccio, sperimentarlo e farlo diventare una radice umanistica attraverso cui intervenire in ambito scientifico con un’ intenzione di dialogo, non contrapposizione, usando le tecnologie in modo imprevisto oppure in condizioni particolari, ingredienti particolari che generassero un esperienza col visitatore che fosse emotiva e non solo di sorpresa per la qualità espressa dalla tecnologia. Ed è qui che si inzia a parlar di interazione. Prima non era stato possibile in quanto ci sono state le macchine, ma era essenziale introdurre la dimensione interattiva in questo processo di evoluzione della tecnologia. La dimensione partecipativa è sempre stata una dimensione molto importante secondo noi e in questo caso ci offriva la possibilità attraverso questa interattività di generare un pensiero dell’arte radicalmente rinnovato, un arte più di tipo relazionale che formale, l’asse dell’interesse legato sempre al concetto di bellezza, ma spostato dalla forma dell’oggetto nella conseguenza che genera e quindi nella relazione che crea, producendo uno spazio di lettura dell’esperienza estetica di quell’opera. La bellezza non è più un valore 59


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intrinseco dell’opera. E questo credo sia stato un discorso abbastanza rivoluzionario, una concezione abbastanza nuova nell’arte che ci permette di recuperare una serie di concetti che per noi nel mondo dell’arte sono essenziali: l’arte attraverso l’uso di queste tecnologie possa ritrovare una dimensione di forte relazione con la società e quindi diventare di nuovo un motore sociale, recuperando una centralità rispetto alle comunità che ne fruiscono e vi partecipano. È una concezione che si scontra abbastanza con il fenomeno dell’arte contemporanea negli ultimi anni: si è sviluppato un processo di autoreferenzialità dell’arte che l’ha spinta verso una sorta di nicchia elitaria che si priva del legame con le persone e la società, sviluppando un ruolo più decorativo che incisivo. Mentre noi pensiamo che l’arte debba rappresentare una coscienza critica, non in senso strettamente antagonista, ma che debba sviluppare questa forma di continua calibrazione di sensibilità che nella società si sedimentano e diventano inefficaci. Come sappiamo la dinamica tecnologica tipica dei media ci ha portato a una sorta di anestesia della mente, rendendo le persone vittime di questo mondo. E credo che in questo contesto diventi essenziale questo processo di risensibilizzazione delle persone, che non si accorgono di essere continuamente invase e immerse in cose che non gli appartengono, indotte da un sistema rispondono per induzione. Il nostro ruolo è un po’ quello di trovare delle modalità per creare dei contrattempi a questo meccanismo, dirigere verso un asse etico che ricade nel discorso sociale questa ricerca che noi chiamiamo artistica.

“l’arte attraverso l’uso di queste tecnologie possa ritrovare una dimensione di forte relazione con la società e quindi diventare di nuovo un motore sociale, recuperando una centralità rispetto alle comunità”

Secondo lei in ambito di progresso tecnologico avrà un ruolo chiave il fattore partecipativo? Sicuramente sì, ed è la cosa che mi interessa di più. Capire quanto la tecnologia, padrona di performance così forti e anche dal punto di vista partecipativo e collaborativo, possa essere utilizzata per produrre quella dimensione rituale che è sempre stata un patrimonio dell’arte, e attraverso questa dimensione rituale generare il fenomeno del riconoscersi che attorno a un rito si produce. Una comunità si riconosce attorno ad un rito, perchè in qualche modo tutti ci han messo mano e tutti sono accomunati, come persone che assistono alla stessa luce sprigionata dallo stesso fuoco, arrivando a costituirne un’ identità, un’idealità e un unicità. Come si pone di fronte ai nuovi metodi di rappresentazione come l’infografica? Pensa che possano anche questi aderire ad una logica di maggiore relazione con le persone? Sicuramente sono una geometria che può diventare particolarmente significativa, a mio avviso. Ho questo pallino. Penso che una certa epoca della modernità, che in un qualche modo comincia nel rinascimento sia stata contraddistinta da una geometria ben precisa che è quella della 60

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prospettiva, della convergenza verso un punto. Tutto ordinato verso un punto che costituiva il punto significante. Ora quella geometria è scaduta, perchè quello che ci stanno proponendo questi strumenti, che non sono strumenti convergenti ma divergenti, procurano una moltiplicità di punti diversi. La geometria contemporanea è una geometria rizomatica, costituita da tanti punti collegati, senza un punto di fuga e un centro. Si può parlare di policentralità, policentrismo. Parlando di infografica si parla di metodi di rappresentazione che rincorrono questa geometria, quindi sicuramente interessanti da questo punto di vista. La prospettiva te la saprei disegnare semplicemente, è nel mio dna storico, “tac” unisci un punto e tutto si definisce. Che cos’è la geometria contemporanea? Pluralità che fatico ancora a definire. E tutta la parte infografica che fa capo a questa visione reticolare di congiunzioni e relazioni complesse non esistevano, perchè il punto era il punto. Ecco allora diventa per me, un interesse per capire come si evolve questa figura geometrica, come viene percepita e interpretata dalle persone e dai vari campi disciplinari, e per le diverse esigenze: è una struttura che può rappresentare il moderno, e i sicuramente i suoi contenuti.

23,5 %

18,4 %

13,5 %

Spesso l’ego dell’artista arriva prima dell’opera alla persona,in che modo il vostro approccio vuole cambiare le dinamiche artista-persona? Nel libro che ho fatto, il primo e ultimo data la fatica, dedico un intero capitolo alla figura dell’artista plurale, cioè quel personaggio che esce dalla retorica dell’artistone strambo che è richiesto dal mercato dell’arte come motivo folcloristico di individuazione di un personaggio su cui crare il marchio. È una retorica che non si addice a un epoca della complessità come quella che stiamo vivendo, un artista oggi deve essere una figura di persona che per sua natura si rende disponibile e genera un attitudine a lavorare con gli altri e con saperi che non conosce. Si deve mettere in rete con persone, conoscenze e professionalità per comporre un opera complessa. Oggi per creare un’installazione interattiva di un certo grado di complessità è necessario lavorare con persone che hanno in mano dei passaggi chiave per costruirla, penso chi sa gestire un software, progettare un intefaccia, costruire una drammaturgia di narrativa che è legata alla dimensione dell’interattività e della tecnologia. É giusto quindi che si inverta questo processo di singolarizzazione dell’esperienza dell’artista, muovendosi verso un artista più predisposto ad un fattore collaborativo e spogliato del suo ego, che riesca a condividere le sue diffcicoltà e le sue mancanze attraverso un ottica collaborativa. Come nella comunità scientifica, dove ogni frammento si inserisce in un movimento che costruisce un atmosfera più ampia, dove la bontà di certe ricerche viene verificata attraverso questo mettere in rete e a disposizione, in modo che gli altri ti possano bruciare o invece implementare e sostenere. Questa è la garanzia perchè una scoperta non sia dannosa per il fatto che da subito ti rendi disponibile all’azione di anticorpi. Invece nell’arte c’è ancora questo sistema, si assiste a continui atti di verità, totalmente anacronistici. Qual è stato il lavoro che le ha dato più soddisfazione? Ce ne sono talmente tanti che potrei dirti un film, un installazione, un video, un museo, un ambiente video.... recentemente ci son molti lavori che mi han dato soddisfazione, Non mi ripeto sul lavoro per i 150 anni dell’unità d’Italia, di quello ne riparleremo tra qualche anno.

9%

ITALIA

FRANCIA

USA

IRLANDA

Il valore aggiunto delle imprese manifatturiere ad alta tecnologia in rapporto al totale del valore aggiunto delle imprese manifatturiere in alcuni paesi dell’Ocse, 2005 Fonte: European Commission, A more research-intensive and integrated European Research Area, STC key figures report 2008/2009 61


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Recentemente mi ha dato molta soddisfazione il museo della mente che abbiamo realizzato a Roma, Santa Maria della Pietà, ex manicomio dove il nostro compito è stato quello di progettare e realizzare questo museo che nasce con una sua logica veramente anticonvenzionale e sperimentale. È stato come fare un piccolo ciclo di affreschi sulla follia.Non essendo appoggiata da grossi enti e istituzioni l’esperienza è nata come una realtà limitata e abbastanza piccola, costituita da una fortissima artigianalità nata dalla nostra professionalità e quella di uno psichiatra che ha fatto da direttore scientifico, indispensabile per trattare un tema così delicato. Un’esperienza nata in una dimensione così intima, quasi per piacere, che alla fine ci ha riservato un risultato di gran soddisfazione dove sento che tutto lo studio si è espresso in maniera potente, fino in fondo.

tutte le razze le generazioni, le lingue. È trasversale. Se tu entri in quella sensibilità l’esperienza “bipassa” la superficie e l’aspetto ludico, anzi lo trasforma in un esperienza. Non dimentichiamoci che c’è un aspetto ludico che lascia le cose in superficie e c’è un aspetto ludico che diventa esperienza per conoscere. Un bambino ce lo insegna. Un bambino gioca per conoscere la realtà. Ecco noi siamo un po’ bambini, di fronte a questo mondo mutato completamente rispetto a noi che pure noi siam mutati interiormente che dobbiamo cominciare a conoscere attraverso elementi di gioco, dove l’importante è che questo gioco non sia fine a se stesso.

“quella che ci stanno proponendo questi strumenti, che non sono strumenti convergenti ma divergenti, è una geometria diversa, rizomatica e che si fonda su una molteplicità di punti diversi” E quando ti senti così, vuol dire che hai raggiunto un obiettivo, che è quello di aver svolto un lavoro che racchiude in se veramente un anima. E quando ha questa componente è un lavoro che incide, che non passa inosservato e che produce esperienza, emozione, un’esempipo di come si potrebbe usare quella tecnologia in forma narrativa. Come si pone di fronte all’invadenza dei nuovi media? La prima reazione è sicuramente di curiosità, accompagnata da una buona dose di felicità. Tuttavia non si può pensare che uno strumento generi di per sè solo un valore positivo. Genera anche tantissimi valori, o meglio, subvalori negativi. Ne segue che in questo campo è necessaria una consapevolezza molto forte, che possiam far coincidere con l’avvertimento di uno dei suoi creatori, ovvero Thomas Bernard Green che definì internet non come un dispositivo tecnico, ma bensì sociale, una radicale innovazione sociale. Internet è riuscito a coniugare la presenza tecnologica con la mutazione antropologica che ha generato, ed è per questo che bisogna fare molta attenzione, bisogna sempre vigilare,affinchè non finisca per implodere in pseudo innovazioni, pseudo socialità. Perchè molto spesso la rete è questo, genera pseudo socialità. Per far questo una delle condizioni migliori è che quella rete riesca sempre a trovare un aggancio con la dimensione di socialità all’esterno della rete, una dimensione materiale che emerga e a cui ti porti questa navigazione. Questo è la garanzia di un rapporto di forza con questi dispositivi. Ti relazioni ma non li subisci. Non è possibile barare col proprio corpo. Passando una notte in rete non si fa altro che passare la notte con un oggetto, e quando si è in questa condizione, la debolezza è fortissima, e più si individualizza il tuo rapporto con l’oggetto più la tua capacità di scegliere si indebolisce, a favore dell’anestesia di cui prima si parlava. 62

E questa a mio parere è la cosa più pericolosa che si possa generare, al di là del discorso della privacy. Su questo l’arte può dire qualcosa, non solo svelando questi meccanismi ma anche dando un idea di come potrebbero essere portati nella direzione giusta, per mantenere questa dimensione di rapporto interpersonale. Trasformando queste comunità in rete in comunità reali. Quanto del vostro approccio viene effettivamente percepito dalle persone? Questo è stato l’alimento più importante, quello di capire che portando avanti certe esperienze tu potevi andare a toccare dei nervi scoperti delle problematiche sociali più emergenti. E quando li tocchi la reazione è forte perchè si diffonde immediatamente anche tra i tuoi spettatori, tra i partecipanti. Quindi diciamo che ci sono state delle istallazioni che ci han dato l’idea che quel che stavano procurando, era un piccolo submovimento nelle sensibilità di queste persone, e questo lo avverti subito perchè come ti dicevo prima la nostra estetica è proprio quella, non è tanto dire l’opera belkla perchè è composta bene, equilibrata, luci ombre colori, non è tanto quello, anche quello ma, quando tutto questo muove davanti ai tuoi occhi una relazione imprevista che è straordinaria, per cui quando uno va lì e si relaziona con la tua opera interattiva lo fa in una maniera così imprevista da te che tu non ti senti progettista di comportamenti, perchè c’è anche questo rischio. No senti che mobiliti la creatività, la propria emotività, per cui ti accorgi che la relazione che hanno è una relazione molto generativa e a quel punto ti accorgi della bellezza del gesto, la bellezza di cui si parlava prima. E questo l’abbiam verificato diverse volte nelle installazioni, quando capisci che lo spettatore si relaziona proprio per il clima che gli crei intorno,per i messaggi che gli vengono costruiti in questo habitat che tu produci senti che lui reagisce tirando fuori dentro di sè la sua capacità e profondità creativa. E li appunto l’estetica perchè lo vedi, vedi che sta facendo un bel gesto.. impensato, imprevedibile, creativo, sentito, quindi vuol dire che tu stai incidendo perchè stai creando a lui un esperienza formidabile ma anche a me, perchè a quel punto sono anche io spettatore di lui.

Può essere che questo aspetto sia stato sottovalutato fino ad adesso nella società? Il problema è che molto spesso il gioco corre il rischio di rimanere in una fascia di attenzione superficiale, e questo accade anche a causa dei forti interessi economici che vi stanno a monte, dovuti alla capacità del gioco di portare a estremo valore la potenzialità della tecnologia. Ha delle potenzialità enormi per fare dell’esperienze di immersione, di attivazione e partecipazione. Molto spesso però non è il gioco di simulazione del bambino che finge di esser grande e si mette le scarpe del papà, o il gioco che ti permette di entrare dentro la natura di un oggetto, ma un gioco fine a se stesso e che diventa intrattenimento che per qualche ora ti astrae dalla realtà: non produce esperienza, è una distrazione. Non c’è ancora una capacità di discernere il gioco fine a se stesso da quello produttore di esperienza. Mentre il bambino sa che ogni gioco è esperienza, per noi il gioco diventa relax e questo relax diventa così piacevole da diventare la necessità di immergersi sempre di più in una sorta di droga, esperienza drogata che si snatura e ti astrae: non sei diventato più abile, hai le dita che corrone più in fretta, ma non hai fatto un esperienza. Sei solo diventato un po’ macchina anche tu.

57 %

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GERMANIA 72% 13 %

IRLANDA

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ITALIA

Come cambia il lavoro di studio azzurro grazie alla tecnologia? Spero che sia la tecnologia a cambiare grazie al lavoro di studio azzurro, questo è il mio fine.

66 %

24%

È possibile che nell’intento di aumentare l’interazione con le persone, l’aspetto partecipativo arrivi ad oscurare il significato tramutandosi in una sorta di gioco? Questo elemento c’è sempre, è un pericolo. Diciamo che la tecnologia si porta dietro un valore ludico molto potente e forte. Anzi, vive molto su quello, perchè il gadget son le prestazioni che ha.. è proprio dentro il dna della tecnologia questo elemento che può lasciarti in una dimensione di superficialità, ti accontenti di scoprire quello che hanno scoperto, di godere di quello di cui gli altri hanno goduto, un primo livello. La cosa forte è quando tu cominci a scoprire quello che gli altri non hanno scoperto, e scopri partendo da te quindi lo strato successivo ed è evidente che non è praticabile da tutti, è molto complicato e a volte non riesci ad arrivare a quel punto lì. Ma secondo me c’è un vantaggio in tutto questo che ci può far arrivare ad un buon punto. Questa tecnologia ha prodotto un grande linguaggio che stiamo usando tutti indistintamente, eta sesso geografia, l’abbiamo assorbito tutti attraverso la televisione i computer i telefoni. Bene se tu trovi le chiavi per entrare questo linguaggio delle persone parli una lingua universale in cui si fa presto ad intendersi, perchè attraversa

USA

La spesa R&S delle imprese manifatturiere nei settori ad alta e medio-alta tecnologia in rapporto alla spesa per R&S delle imprese manifatturiere in alcuni paesi dell’Ocse, 2006

alta

Fonte: Ocse, Science, Technology and Industry Scoreboard, 2009

medio-alta

63


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Recentemente mi ha dato molta soddisfazione il museo della mente che abbiamo realizzato a Roma, Santa Maria della Pietà, ex manicomio dove il nostro compito è stato quello di progettare e realizzare questo museo che nasce con una sua logica veramente anticonvenzionale e sperimentale. È stato come fare un piccolo ciclo di affreschi sulla follia.Non essendo appoggiata da grossi enti e istituzioni l’esperienza è nata come una realtà limitata e abbastanza piccola, costituita da una fortissima artigianalità nata dalla nostra professionalità e quella di uno psichiatra che ha fatto da direttore scientifico, indispensabile per trattare un tema così delicato. Un’esperienza nata in una dimensione così intima, quasi per piacere, che alla fine ci ha riservato un risultato di gran soddisfazione dove sento che tutto lo studio si è espresso in maniera potente, fino in fondo.

tutte le razze le generazioni, le lingue. È trasversale. Se tu entri in quella sensibilità l’esperienza “bipassa” la superficie e l’aspetto ludico, anzi lo trasforma in un esperienza. Non dimentichiamoci che c’è un aspetto ludico che lascia le cose in superficie e c’è un aspetto ludico che diventa esperienza per conoscere. Un bambino ce lo insegna. Un bambino gioca per conoscere la realtà. Ecco noi siamo un po’ bambini, di fronte a questo mondo mutato completamente rispetto a noi che pure noi siam mutati interiormente che dobbiamo cominciare a conoscere attraverso elementi di gioco, dove l’importante è che questo gioco non sia fine a se stesso.

“quella che ci stanno proponendo questi strumenti, che non sono strumenti convergenti ma divergenti, è una geometria diversa, rizomatica e che si fonda su una molteplicità di punti diversi” E quando ti senti così, vuol dire che hai raggiunto un obiettivo, che è quello di aver svolto un lavoro che racchiude in se veramente un anima. E quando ha questa componente è un lavoro che incide, che non passa inosservato e che produce esperienza, emozione, un’esempipo di come si potrebbe usare quella tecnologia in forma narrativa. Come si pone di fronte all’invadenza dei nuovi media? La prima reazione è sicuramente di curiosità, accompagnata da una buona dose di felicità. Tuttavia non si può pensare che uno strumento generi di per sè solo un valore positivo. Genera anche tantissimi valori, o meglio, subvalori negativi. Ne segue che in questo campo è necessaria una consapevolezza molto forte, che possiam far coincidere con l’avvertimento di uno dei suoi creatori, ovvero Thomas Bernard Green che definì internet non come un dispositivo tecnico, ma bensì sociale, una radicale innovazione sociale. Internet è riuscito a coniugare la presenza tecnologica con la mutazione antropologica che ha generato, ed è per questo che bisogna fare molta attenzione, bisogna sempre vigilare,affinchè non finisca per implodere in pseudo innovazioni, pseudo socialità. Perchè molto spesso la rete è questo, genera pseudo socialità. Per far questo una delle condizioni migliori è che quella rete riesca sempre a trovare un aggancio con la dimensione di socialità all’esterno della rete, una dimensione materiale che emerga e a cui ti porti questa navigazione. Questo è la garanzia di un rapporto di forza con questi dispositivi. Ti relazioni ma non li subisci. Non è possibile barare col proprio corpo. Passando una notte in rete non si fa altro che passare la notte con un oggetto, e quando si è in questa condizione, la debolezza è fortissima, e più si individualizza il tuo rapporto con l’oggetto più la tua capacità di scegliere si indebolisce, a favore dell’anestesia di cui prima si parlava. 62

E questa a mio parere è la cosa più pericolosa che si possa generare, al di là del discorso della privacy. Su questo l’arte può dire qualcosa, non solo svelando questi meccanismi ma anche dando un idea di come potrebbero essere portati nella direzione giusta, per mantenere questa dimensione di rapporto interpersonale. Trasformando queste comunità in rete in comunità reali. Quanto del vostro approccio viene effettivamente percepito dalle persone? Questo è stato l’alimento più importante, quello di capire che portando avanti certe esperienze tu potevi andare a toccare dei nervi scoperti delle problematiche sociali più emergenti. E quando li tocchi la reazione è forte perchè si diffonde immediatamente anche tra i tuoi spettatori, tra i partecipanti. Quindi diciamo che ci sono state delle istallazioni che ci han dato l’idea che quel che stavano procurando, era un piccolo submovimento nelle sensibilità di queste persone, e questo lo avverti subito perchè come ti dicevo prima la nostra estetica è proprio quella, non è tanto dire l’opera belkla perchè è composta bene, equilibrata, luci ombre colori, non è tanto quello, anche quello ma, quando tutto questo muove davanti ai tuoi occhi una relazione imprevista che è straordinaria, per cui quando uno va lì e si relaziona con la tua opera interattiva lo fa in una maniera così imprevista da te che tu non ti senti progettista di comportamenti, perchè c’è anche questo rischio. No senti che mobiliti la creatività, la propria emotività, per cui ti accorgi che la relazione che hanno è una relazione molto generativa e a quel punto ti accorgi della bellezza del gesto, la bellezza di cui si parlava prima. E questo l’abbiam verificato diverse volte nelle installazioni, quando capisci che lo spettatore si relaziona proprio per il clima che gli crei intorno,per i messaggi che gli vengono costruiti in questo habitat che tu produci senti che lui reagisce tirando fuori dentro di sè la sua capacità e profondità creativa. E li appunto l’estetica perchè lo vedi, vedi che sta facendo un bel gesto.. impensato, imprevedibile, creativo, sentito, quindi vuol dire che tu stai incidendo perchè stai creando a lui un esperienza formidabile ma anche a me, perchè a quel punto sono anche io spettatore di lui.

Può essere che questo aspetto sia stato sottovalutato fino ad adesso nella società? Il problema è che molto spesso il gioco corre il rischio di rimanere in una fascia di attenzione superficiale, e questo accade anche a causa dei forti interessi economici che vi stanno a monte, dovuti alla capacità del gioco di portare a estremo valore la potenzialità della tecnologia. Ha delle potenzialità enormi per fare dell’esperienze di immersione, di attivazione e partecipazione. Molto spesso però non è il gioco di simulazione del bambino che finge di esser grande e si mette le scarpe del papà, o il gioco che ti permette di entrare dentro la natura di un oggetto, ma un gioco fine a se stesso e che diventa intrattenimento che per qualche ora ti astrae dalla realtà: non produce esperienza, è una distrazione. Non c’è ancora una capacità di discernere il gioco fine a se stesso da quello produttore di esperienza. Mentre il bambino sa che ogni gioco è esperienza, per noi il gioco diventa relax e questo relax diventa così piacevole da diventare la necessità di immergersi sempre di più in una sorta di droga, esperienza drogata che si snatura e ti astrae: non sei diventato più abile, hai le dita che corrone più in fretta, ma non hai fatto un esperienza. Sei solo diventato un po’ macchina anche tu.

57 %

35%

GERMANIA 72% 13 %

IRLANDA

45 %

44%

ITALIA

Come cambia il lavoro di studio azzurro grazie alla tecnologia? Spero che sia la tecnologia a cambiare grazie al lavoro di studio azzurro, questo è il mio fine.

66 %

24%

È possibile che nell’intento di aumentare l’interazione con le persone, l’aspetto partecipativo arrivi ad oscurare il significato tramutandosi in una sorta di gioco? Questo elemento c’è sempre, è un pericolo. Diciamo che la tecnologia si porta dietro un valore ludico molto potente e forte. Anzi, vive molto su quello, perchè il gadget son le prestazioni che ha.. è proprio dentro il dna della tecnologia questo elemento che può lasciarti in una dimensione di superficialità, ti accontenti di scoprire quello che hanno scoperto, di godere di quello di cui gli altri hanno goduto, un primo livello. La cosa forte è quando tu cominci a scoprire quello che gli altri non hanno scoperto, e scopri partendo da te quindi lo strato successivo ed è evidente che non è praticabile da tutti, è molto complicato e a volte non riesci ad arrivare a quel punto lì. Ma secondo me c’è un vantaggio in tutto questo che ci può far arrivare ad un buon punto. Questa tecnologia ha prodotto un grande linguaggio che stiamo usando tutti indistintamente, eta sesso geografia, l’abbiamo assorbito tutti attraverso la televisione i computer i telefoni. Bene se tu trovi le chiavi per entrare questo linguaggio delle persone parli una lingua universale in cui si fa presto ad intendersi, perchè attraversa

USA

La spesa R&S delle imprese manifatturiere nei settori ad alta e medio-alta tecnologia in rapporto alla spesa per R&S delle imprese manifatturiere in alcuni paesi dell’Ocse, 2006

alta

Fonte: Ocse, Science, Technology and Industry Scoreboard, 2009

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Recentemente mi ha dato molta soddisfazione il museo della mente che abbiamo realizzato a Roma, Santa Maria della Pietà, ex manicomio dove il nostro compito è stato quello di progettare e realizzare questo museo che nasce con una sua logica veramente anticonvenzionale e sperimentale. È stato come fare un piccolo ciclo di affreschi sulla follia.Non essendo appoggiata da grossi enti e istituzioni l’esperienza è nata come una realtà limitata e abbastanza piccola, costituita da una fortissima artigianalità nata dalla nostra professionalità e quella di uno psichiatra che ha fatto da direttore scientifico, indispensabile per trattare un tema così delicato. Un’esperienza nata in una dimensione così intima, quasi per piacere, che alla fine ci ha riservato un risultato di gran soddisfazione dove sento che tutto lo studio si è espresso in maniera potente, fino in fondo.

tutte le razze le generazioni, le lingue. È trasversale. Se tu entri in quella sensibilità l’esperienza “bipassa” la superficie e l’aspetto ludico, anzi lo trasforma in un esperienza. Non dimentichiamoci che c’è un aspetto ludico che lascia le cose in superficie e c’è un aspetto ludico che diventa esperienza per conoscere. Un bambino ce lo insegna. Un bambino gioca per conoscere la realtà. Ecco noi siamo un po’ bambini, di fronte a questo mondo mutato completamente rispetto a noi che pure noi siam mutati interiormente che dobbiamo cominciare a conoscere attraverso elementi di gioco, dove l’importante è che questo gioco non sia fine a se stesso.

“quella che ci stanno proponendo questi strumenti, che non sono strumenti convergenti ma divergenti, è una geometria diversa, rizomatica e che si fonda su una molteplicità di punti diversi” E quando ti senti così, vuol dire che hai raggiunto un obiettivo, che è quello di aver svolto un lavoro che racchiude in se veramente un anima. E quando ha questa componente è un lavoro che incide, che non passa inosservato e che produce esperienza, emozione, un’esempipo di come si potrebbe usare quella tecnologia in forma narrativa. Come si pone di fronte all’invadenza dei nuovi media? La prima reazione è sicuramente di curiosità, accompagnata da una buona dose di felicità. Tuttavia non si può pensare che uno strumento generi di per sè solo un valore positivo. Genera anche tantissimi valori, o meglio, subvalori negativi. Ne segue che in questo campo è necessaria una consapevolezza molto forte, che possiam far coincidere con l’avvertimento di uno dei suoi creatori, ovvero Thomas Bernard Green che definì internet non come un dispositivo tecnico, ma bensì sociale, una radicale innovazione sociale. Internet è riuscito a coniugare la presenza tecnologica con la mutazione antropologica che ha generato, ed è per questo che bisogna fare molta attenzione, bisogna sempre vigilare,affinchè non finisca per implodere in pseudo innovazioni, pseudo socialità. Perchè molto spesso la rete è questo, genera pseudo socialità. Per far questo una delle condizioni migliori è che quella rete riesca sempre a trovare un aggancio con la dimensione di socialità all’esterno della rete, una dimensione materiale che emerga e a cui ti porti questa navigazione. Questo è la garanzia di un rapporto di forza con questi dispositivi. Ti relazioni ma non li subisci. Non è possibile barare col proprio corpo. Passando una notte in rete non si fa altro che passare la notte con un oggetto, e quando si è in questa condizione, la debolezza è fortissima, e più si individualizza il tuo rapporto con l’oggetto più la tua capacità di scegliere si indebolisce, a favore dell’anestesia di cui prima si parlava. 62

E questa a mio parere è la cosa più pericolosa che si possa generare, al di là del discorso della privacy. Su questo l’arte può dire qualcosa, non solo svelando questi meccanismi ma anche dando un idea di come potrebbero essere portati nella direzione giusta, per mantenere questa dimensione di rapporto interpersonale. Trasformando queste comunità in rete in comunità reali. Quanto del vostro approccio viene effettivamente percepito dalle persone? Questo è stato l’alimento più importante, quello di capire che portando avanti certe esperienze tu potevi andare a toccare dei nervi scoperti delle problematiche sociali più emergenti. E quando li tocchi la reazione è forte perchè si diffonde immediatamente anche tra i tuoi spettatori, tra i partecipanti. Quindi diciamo che ci sono state delle istallazioni che ci han dato l’idea che quel che stavano procurando, era un piccolo submovimento nelle sensibilità di queste persone, e questo lo avverti subito perchè come ti dicevo prima la nostra estetica è proprio quella, non è tanto dire l’opera belkla perchè è composta bene, equilibrata, luci ombre colori, non è tanto quello, anche quello ma, quando tutto questo muove davanti ai tuoi occhi una relazione imprevista che è straordinaria, per cui quando uno va lì e si relaziona con la tua opera interattiva lo fa in una maniera così imprevista da te che tu non ti senti progettista di comportamenti, perchè c’è anche questo rischio. No senti che mobiliti la creatività, la propria emotività, per cui ti accorgi che la relazione che hanno è una relazione molto generativa e a quel punto ti accorgi della bellezza del gesto, la bellezza di cui si parlava prima. E questo l’abbiam verificato diverse volte nelle installazioni, quando capisci che lo spettatore si relaziona proprio per il clima che gli crei intorno,per i messaggi che gli vengono costruiti in questo habitat che tu produci senti che lui reagisce tirando fuori dentro di sè la sua capacità e profondità creativa. E li appunto l’estetica perchè lo vedi, vedi che sta facendo un bel gesto.. impensato, imprevedibile, creativo, sentito, quindi vuol dire che tu stai incidendo perchè stai creando a lui un esperienza formidabile ma anche a me, perchè a quel punto sono anche io spettatore di lui.

Può essere che questo aspetto sia stato sottovalutato fino ad adesso nella società? Il problema è che molto spesso il gioco corre il rischio di rimanere in una fascia di attenzione superficiale, e questo accade anche a causa dei forti interessi economici che vi stanno a monte, dovuti alla capacità del gioco di portare a estremo valore la potenzialità della tecnologia. Ha delle potenzialità enormi per fare dell’esperienze di immersione, di attivazione e partecipazione. Molto spesso però non è il gioco di simulazione del bambino che finge di esser grande e si mette le scarpe del papà, o il gioco che ti permette di entrare dentro la natura di un oggetto, ma un gioco fine a se stesso e che diventa intrattenimento che per qualche ora ti astrae dalla realtà: non produce esperienza, è una distrazione. Non c’è ancora una capacità di discernere il gioco fine a se stesso da quello produttore di esperienza. Mentre il bambino sa che ogni gioco è esperienza, per noi il gioco diventa relax e questo relax diventa così piacevole da diventare la necessità di immergersi sempre di più in una sorta di droga, esperienza drogata che si snatura e ti astrae: non sei diventato più abile, hai le dita che corrone più in fretta, ma non hai fatto un esperienza. Sei solo diventato un po’ macchina anche tu.

57 %

35%

GERMANIA 72% 13 %

IRLANDA

45 %

44%

ITALIA

Come cambia il lavoro di studio azzurro grazie alla tecnologia? Spero che sia la tecnologia a cambiare grazie al lavoro di studio azzurro, questo è il mio fine.

66 %

24%

È possibile che nell’intento di aumentare l’interazione con le persone, l’aspetto partecipativo arrivi ad oscurare il significato tramutandosi in una sorta di gioco? Questo elemento c’è sempre, è un pericolo. Diciamo che la tecnologia si porta dietro un valore ludico molto potente e forte. Anzi, vive molto su quello, perchè il gadget son le prestazioni che ha.. è proprio dentro il dna della tecnologia questo elemento che può lasciarti in una dimensione di superficialità, ti accontenti di scoprire quello che hanno scoperto, di godere di quello di cui gli altri hanno goduto, un primo livello. La cosa forte è quando tu cominci a scoprire quello che gli altri non hanno scoperto, e scopri partendo da te quindi lo strato successivo ed è evidente che non è praticabile da tutti, è molto complicato e a volte non riesci ad arrivare a quel punto lì. Ma secondo me c’è un vantaggio in tutto questo che ci può far arrivare ad un buon punto. Questa tecnologia ha prodotto un grande linguaggio che stiamo usando tutti indistintamente, eta sesso geografia, l’abbiamo assorbito tutti attraverso la televisione i computer i telefoni. Bene se tu trovi le chiavi per entrare questo linguaggio delle persone parli una lingua universale in cui si fa presto ad intendersi, perchè attraversa

USA

La spesa R&S delle imprese manifatturiere nei settori ad alta e medio-alta tecnologia in rapporto alla spesa per R&S delle imprese manifatturiere in alcuni paesi dell’Ocse, 2006

alta

Fonte: Ocse, Science, Technology and Industry Scoreboard, 2009

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rivista uno sguardo al mondo della ricerca attraverso il filtro della tecnologia

POLITECNICO DI MILANO EDITORE Giulio Fagiolini Martina Pizzi Francesca Querzola Chao Zhu


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