ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
Corso di Laurea in Discipline delle Arti della Musica e dello Spettacolo
Storytelling interattivo: serialità nel videogioco Tesi di laurea in Teorie e Tecniche dei nuovi media
Relatore
Presentata da
Prof. Guglielmo Pescatore
Matteo Mezzetti Matricola 0000667078
Correlatore Prof. Maurizio Salvador
III Sessione Anno Accademico 2014/2015
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Marzo 2016
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Indice INTRODUZIONE 1. Dall’Adventure Game all’Interactive Fiction
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1.1 Gli Anni ‘70
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1.2 Gli Anni ‘80
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1.3 Gli anni ‘90
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1.4 Il Nuovo Millennio
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2. Cinema Interattivo: una questione irrisolta
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2.1 Definire un genere
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2.2 Realismo tra cinema e videogioco
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2.3 Il giocatore come coautore
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2.4 Avatar e identificazione
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3. Telltale e il modello televisivo
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3.1 Ritmo, episodicità e fidelizzazione
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3.2 Regia, fotografia, animazione
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3.3 Dal singolo al tutto
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2.4 Nel bene e nel male
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4. Definire il nuovo Storytelling Interattivo
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Bibliografia 49 Fonti web
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Ludografia 52 Filmografia 55
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Introduzione Il videogioco, sin dalla sua nascita ai tempi dei primi terminali universitari e casalinghi, si è configurato come un media ibrido, capace di trarre elementi visivi, compositivi e comunicativi dalla gran parte dei medium preesistenti, ma anche di sfruttarli e ricodificarli in maniera completamente nuova o, cosa più importante, di crearne di propri, diventando a tutti gli effetti un terreno fertilissimo per la sperimentazione per la creazione di codici comunicativi, al punto da influenzare a sua volta moltissimi media, specialmente ai giorni nostri, primi tra tutti la televisione e il cinema. Il genere videoludico che ha maggiormente attinto agli immaginari letterari, cinematografici e televisivi è sicuramente quello dell’adventure game, che , proprio negli ultimi anni, sta rivivendo, dopo circa un decennio di quasi totale oblio, una grandissima e luminosa rinascita. Questo anche grazie alla nuova cultura seriale della televisione, da cui le più recenti produzioni hanno tratto formati, temi e universi, unita al crescente interesse verso il mondo del videoludico, che ha conosciuto forti espansioni e riconoscimenti con il miglioramento delle tecnologie a disposizione. Nel primo capitolo si proverà a ricostruire un’analisi storica ed evolutiva dell’ adventure game, prendendo in considerazione le sue ispirazioni e ramificazioni durante i decenni, concentrandosi maggiormente su quelle più influenzate dall’intento creativo incentrato sullo storytelling, fino ad arrivare alle sue espressioni più moderne e recenti, ovvero quelle rappresentate dalle produzioni marcate Telltale Games, maggior rappresentante del genere negli anni di rilancio del genere. Il secondo capitolo si occuperà dell’analisi delle analogie e delle differenze tra il serial televisivo e quello videoludico, per quanto riguarda le differenze di possibilità dell’utenza rispetto al prodotto e le dinamiche di fidelizzazione, cercando di capire da cosa derivi la difficoltà semantica che riguarda la definizione di alcune branche dell’ adventure game, così nel presente come nel passato. Verranno poi prese in analisi anche le responsabilità della regia e della direzione creativa in due videogiochi che attingono agli universi e alle storylines di due grandi serial televisivi che
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sono per definizione multimediali e sempre sottoposti ad adattamenti e rielaborazioni, rispetto ai loro media di provenienza originali: The Walking Dead e Game of Thrones. Nella parte finale si cercherà di trarre conclusioni sulle nuove forme del genere in seguito all’analisi delle opere, del suo potenziale e dei suoi limiti. La bibliografia scelta è composta da autori sia italiani che internazionali nel campo dei game studies, in primo luogo Understanding Video Games: The Essential Introduction del trio Egenfeldt-Nielsen, Smith e Tosca, Il Videogioco, di Mauro Salvador, e Conoscere i videogiochi, anch’esso di Salvador e Pellitteri, principalmente per la parte storica, e poi Slay the dragon: writing great videogames, per una visione più autoriale sulla scrittura videoludica e lo storytelling. Sono inoltre stati selezionati vari articoli e interviste selezionati da riviste online, quali Gamasutra, Gamestudies e Gamejournal, che si sono occupate di tutti i titoli Telltale dalla pubblicazione.
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CAPITOLO 1
Dall’Adventure Game all’Interactive Fiction 1.1 Gli anni ‘70 Nonostante sia comune pensare che il videogioco come medium sia caratterizzato maggiormente da una matrice più puntata all’azione e all’istintività, esistono generi decisamente più finalizzati al racconto e alla creazione della storia attraverso l’interazione con il mondo di gioco: le forme più primitive di questo tipo di giochi risalgono alla nascita dei primi sistemi informatici aziendali, che permettevano, attraverso la programmazione sperimentale, la creazione di piccoli software, che di lì a poco sarebbero stati portati e adattati sui sistemi operativi casalinghi delle nascenti case della Commodore e Apple, durante gli anni ‘70. Questi primi videogiochi erano ovviamente sprovvisti di alcun motore grafico ed erano principalmente visualizzabili attraverso linee testuali, che andavano a comporre sia il mondo di gioco che eventuali interfacce utente. Il primo esempio del genere è Hunt the Wumpus, creato da Gregory Yob nel 1972. Il gioco, attraverso linee di compilazione, richiedeva al giocatore di muoversi all’interno di una grotta, anch’essa ricostruita tramite caratteri testuali, alla ricerca del mostro Wumpus, esprimendo il comando per iscritto di muoversi o sparare. Dedicato in origine allo studio storico nelle scuole della colonizzazione dell’Ovest in America, viene creato dal Minnesota Educational Computing Consortium, nel 1974, The Oregon Trail, piccolo gioco destinato a diventare un cult, in cui veniva richiesto al giocatore di condurre una carovana lungo la pista dell’Oregon, superando difficoltà legate
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all’approvvigionamento, alla caccia e alle malattie, il tutto nuovamente ottenuto tramite l’inserimento di comandi testuali. Maggiormente ricordato e sicuramente più influente sulle preoduzioni successivi è Adventure, creato da William Crowther, nel 1972 ed espanso negli anni successivi, fino al 1976, da Don Woods. Questo titolo offriva un motore di lettura dei comandi testuali molto più sensibile e ampio, in grado di processare comandi formulati in linguaggio naturale, normalmente composti da un verbo e un oggetto. Il gioco risentiva fortemente delle influenze dei giochi di role play da tavolo, che in quegli anni stavano iniziando a costruire il loro successo (il più celebre Dungeons & Dragons raggiungerà la pubblicazione della sua prima versione nel 1974), anche grazie alla nuova estetica cinematografica che dava forte risalto al genere e all’immaginario fantastico di stampo Tolkieniano. Il giocatore si trovava così davanti ad ampie e dettagliate descrizioni di luoghi, puzzles e creature con cui poter interagire e costruire attivamente la sua storia. Il grande successo di questo titolo fu anche dovuto alla possibilità che ebbe di essere distribuito gratuitamente all’interno delle reti universitarie di ricerca che componevano la neonata ARPANET. Sulla scia dello stesso Adventure, dalla Infocom viene creato Zork, anch’esso basato su un’interfaccia testuale e il massiccio uso della narrazione: nel 1980 P. David Lebling, designer e creatore del gioco, lo definirà sulla rivista Byte non come un videogioco, ma come “una nuova forma artistica: un romanzo computerizzato”.1 È quindi chiaro come sia forte la sensibilità rivolta alla creazione di storie e alla possibilità data al giocatore di crearle tramite il mondo di gioco stesso, anche se in questi anni, a causa della limitata tecnologia, essa è realizzabile solo attraverso la simulazione e l'ibridazione con il medium della parola scritta, tanto che Ledbling aggiungerà anche che “l'immaginazione del giocatore ha un'immagine più dettagliata del Grande Impero Sotterraneo di quanto mai possa essere disegnata”.2 1 S. Egenfeldt-Nielson, S.H. Smith, S. Pajares Tosca, Understanding Video Games: The essential introduction, Routledge, New Ed Edition 2008, pos. 1911 2 S. Egenfeldt-Nielson, S.H. Smith, S. Pajares Tosca, Understanding Video Games: The essential introduction, cit., pos. 1911
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Negli anni successivi del decennio, grazie alla nascita di sistemi più avanzati, come quello di Apple II e quindi delle prime grafiche vettoriali, compariranno titoli come Mistery House e Akalabeth: World of Doom, che superavano l’uso esclusivo della narrazione testuale, che veniva completata e coadiuvata da rudimentali finestre e semplici illustrazioni. Questi giochi, entrambi del 1979, seguono l’esempio di Rogue, che è anche il primo a introdurre in forma statica e bidimensionale la visuale in prima persona (sarà adottata successivamente dal genere action con l’introduzione della grafica 3D) e a fondare un filone videoludico oggi tornato fortemente in voga e rinominato, non a caso, “Rogue-like”.
1.2 Gli anni ‘80 Gli anni ‘80 vedono una vera e propria proliferazione e un esponenziale aumento dei generi e dei temi all’interno dell’offerta videoludica, tanto che spesso si tende ad annoverare i cabinati e le sale giochi tra le maggiori figure dell’immaginario pop del decennio, anche grazie a una fiorente cinematografia fantascientifica sul genere, tra cui ricordiamo i famosissimi Tron e Wargames. Nel genere adventure, in particolar modo nelle produzioni Infocom, viene a crearsi un evidente ampliamento delle tematiche e degli universi di gioco, da quelli più puntati all’investigazione e alla risoluzione di misteri, come The Witness (1983) e Suspect (1984), a quelli di ispirazione fantascientifica, come Planetfall (1983) e Stationfall (1987). La Infocom, ancora legata e volutamente limitata alla forma di narrazione testuale per una questione di volontà e originalità artistica, dedica sempre più attenzione non solo alla descrizione del mondo statico e alla sua interazione, ma si dedica alla creazione di personaggi non giocanti (PNG) sempre più credibili e drammatici e alle loro potenziali interazioni con il personaggio giocante. Ad andare contro questa tendenza è la Sierra Online, fondata dagli stessi creatori di Mistery House e Akalabeth, che continuerà la creazione di giochi dotati di corredo grafico statico.
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Questo fino a quando le cose non cambiano radicalmente nel 1984, anno in cui viene rilasciato, ancora una volta da Sierra, King’s Quest (1984) per il neonato Commodore 64. Qui il giocatore controlla le gesta di un personaggio ben definito all’interno del mondo e della storia, Sir Graham, all’interno della terra di Daventry, un mondo vivo, animato ed esplorabile, benchè l’unico modo di interazione disponibile sia ancora soltanto quello dell’inserimento del comando testuale. Sulla scia del successo del titolo, Sierra pubblicò titoli come SpaceQuest: The Sarien Encounter e la serie di giochi Leisure Suite Larry, entrambi dotati di una sceneggiatura umoristica e irriverente. Il dominio di Infocom e Sierra durerà incontrastato fino al 1987, quando la neonata LucasFilm Games (fondata dallo stesso George Lucas) rilascerà Maniac Mansion. La progettazione di questo piccolo capolavoro capostipite del suo genere, il “punta e clicca”, era stata iniziata parecchi anni prima dal piccolo team delegato dalla LucasFilm allo sviluppo di videogiochi, capeggiato da Ron Gilbert, che dichiara nelle sue interviste: “Il primo adventure game che io abbia mai giocato, l’ho giocato al college della mia città ed era sul terminale pubblico. Era semplicemente “Adventure”, il primo vero e proprio adventure game[...]. Maniac Mansion non era nato inizialmente come un adventure game, come se avessimo deciso “hey, facciamo un adventure game”, ma piuttosto “facciamo un gioco”. Abbiamo cominciato a sperimentare questi personaggi e il mondo e personalmente ero molto frustrato perchè avevo la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava con il gioco[...]. Poi sono andato a trovare mia zia per Natale e mio cugino stava giocando a King’s Quest: quella è stata la prima volta che ho visto uno dei giochi di King’s Quest e che vedevo un adventure game con una grafica. Prima di quello la mia concezione degli adventures era che erano tutto testo e quando ho visto lui che ci giocava, è stato un momento epifanico.. del tipo “Oh, questo è quello che Maniac Mansion
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deve essere. Deve essere un adventure game con questo tipo di immagini”. È in quel momento che Maniac Mansion diventò istantaneamente un vero e proprio adventure game”.3 Il format del gioco permetteva di cambiare il protagonista in uso tra due personaggi differenti ed era dotato di un’interfaccia di comando molto più intuitiva di quella proposta fino ad allora: il giocatore poteva scegliere, cliccando, tra una lista di azioni limitata che poteva essere combinata con oggetti nel proprio inventario o nell’ambiente di gioco. Nonostante la libertà dell’utente fosse decisamente più limitata rispetto ai titoli precedenti, il ritmo di gioco diventava molto meno macchinoso e quindi più fluido e piacevole. Tutto ciò rendeva la trama e la storia del gioco molto più godibile, essendo ridotti al minimo tutti quei momenti di formulazione che interrompevano la sospensione di incredulità che comportavano le obsolete linee di inserimento testuale. Se a questo si unisce poi uno stile grafico accattivante e colorato, il successo non poteva mancare. Mentre la LucasFilm Games rilasciava titoli come Zak McKraken and the Alien Mindbenders, basato sullo stesso modello di Maniac Mansion, al quale vengono inseriti anche alcuni riferimenti per ammiccare alla fedeltà del pubblico, definiti easter eggs, l’adventure game cominciava a ramificarsi in generi ibridati con altre meccaniche, quelle dell’action game e del videogioco strategico, mentre l’interazione tramite linea testuale cominciava definitivamente a tramontare. In questi anni nascono i primi veri e propri giochi di ruolo, sia in tempo reale (derivati dal genere action), che con meccaniche a turni (con meccaniche più simili al videogioco strategico): questi oltre a proporre storylines accattivanti e profonde, introducevano nuove possibilità di personalizzazione dei personaggi, grazie a statistiche, capacità, la possibilità di commerciare ed equipaggiare oggetti.
3 Bob Makey, “Use Questions on Developer: a Ron Gilbert Retrospective”, disponibile a www.usgamer. net/articles/use-questions-on-developer-a-ron-gilbert-retrospective, 11 ottobre 2015 (traduzione mia)
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Nello scenario occidentale ricordiamo fra questi titoli fondanti dei nuovi generi, come la serie di Ultima, creata da Richard Garriot, lo stesso creatore di Akalabeth, che rilascerà titoli per la saga dal 1981 al 1999. Sicuramente però i maggiori innovatori in questa nuova fase del genere sono i giapponesi di Nintendo e Square Enix, che verso la fine del decennio produrranno capolavori mai visti per la nuova tecnologia che offriva il nuovissimo Nintendo Entertainment System (NES), rilasciato nel 1987. Nintendo infatti rilascia pietre miliari come Legend of Zelda (1986), più puntata al genere action, che ancora oggi è una serie di grande successo e conta decine di titoli alle sue spalle. Square Enix invece produce i primi capitoli di Dragon Quest (1986) e Final Fantasy (1987), che fonderanno il genere del J-RPG (gioco di ruolo di stampo nipponico), questi invece contenenti elementi più strategici grazie al sistema di combattimento a turni. Tra uno dei titoli esclusivi dei cabinati elettronici diventati più cult ricordiamo Dragon’s Lair (Cinematronics, 1983), primo gioco che introduceva le meccaniche del quick time event: il gioco consisteva in un breve cortometraggio animato in cui il giocatore doveva eseguire date combinazioni di tasti e movimenti (il più delle volte quasi impossibili, come era tipico della politica del mercato delle sale giochi) dettate dal gioco, per determinare il successo del protagonista all’interno della sequenza, rendendo il tutto un vero e proprio film interattivo, per quanto limitato nel suo concetto di gameplay.
1.3 Gli anni ‘90 L’alba del decennio prima della fine del millennio vede accadere in pochi anni, dal punto di vista tecnologico e informatico, un cambiamento epocale e con esso un’espansione esponenziale dello scenario videoludico e delle potenzialità che ad esso si aprivano: la diffusione del Personal Computer e dei nuovi sistemi dotati di interfaccia utente,
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come le versioni 3.0 di Windows (e successivamente le varie 9x). I nuovi PC si proponevano, grazie alla possibilità di sfruttare una notevole quantità di memoria fisica e con essa complessità grafiche e sonore di gran lunga più avanzate rispetto ai sistemi precedenti, come una più che valida alternativa alle console casalinghe. A ciò si aggiunge quello che toglierà una croce dalle spalle di molti programmatori e sviluppatori: l’uscita del supporto CD-ROM, che sostituì immediatamente i vecchi Floppy disks e offrirà la possibilità di non calcolare più byte per byte la memoria di un software con la preoccupazione di rientrare nei parametri di budget imposti dalla produzione. In proposito di questa rivoluzione si esprime ancora una volta Ron Gilbert: “[...] quando i CD-ROM furono disponibili, improvvisamente non dovevamo più preoccuparci della memoria. Ricordo com’era con Maniac Mansion e tutti quei giochi, durante la durata di tutta la progettazione c’era sempre questa preoccupazione: “riusciremo a farlo stare su 5 dischi?”. Perchè avevamo un budget dato dalla compagnia che ci ordinava “questo deve riuscire a stare su 5 dischi” o 6 dischi, perchè quello era il prezzo per la confezione che era stato deciso.[...] Con l’avvento del CD-ROM, tutto questo sparì”.4
Ma è anche vero che tutto questo avanzamento tecnologico, permise l’uscità di giochi molto più complessi e dinamici, che inevitabilmente trovarono spazio nel genere action e finirono per oscurare l’adventure game al punto che esso rimase confinato per più di un decennio in una nicchia di mercato decisamente limitata. Dopo un capolavoro come Secret of Monkey Island, del solito Ron Gilbert, rilasciato nel 1990 ancora una volta dalla LucasFilms Games, rinominata nello stesso anno LucasArts, e di Loom (LucasArts, 1990), in cui era richiesto al giocatore di risolvere puzzles a tema musicale per l’avanzamento della storia, l’adventure game inizia a guardarsi intorno, volgendosi al citazionismo cinematografico e sperimentando i 4 Bob Makey, “Use Questions on Developer: a Ron Gilbert Retrospective”, cit., 11 ottobre 2015 (traduzione mia)
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primi tentativi di digitalizzazione della performance di attori veri, anche presi da Hollywood, come in Phantasmagoria (Sierra, 1995), fino alla creazione di veri e propri film interattivi, come Ripper (Take-Two Interactive, 1996). Questi sono i primi anni in cui il videogioco raggiunge un avanzamento tecnologico sufficiente per cominciare a sperimentare tecniche di fotografia cinematografica, anche grazie all’uso della CGI, che inseriva gli attori in ambienti generati digitalmente. Anche se il decennio è costellato da uscite decisamente importanti, dall’indicabile e unico Myst (Cyan, 1994), che univa le meccaniche del “punta e clicca” al genere Rogue-like in un ambiente che sfruttava le nuove tecnologie poligonali tridimensionali, a tantissimi giochi di ruolo a prospettiva isometrica, come gli ultimi capitoli della saga di Ultima, e a introdurre la possibilità di dialogare in modo vario e scegliere condotte diverse per il proprio personaggio giocante, come i primi capitoli di Fallout (Interplay Entertainment, 1997), anche ottimo esempio di conduzione attoriale per quanto riguarda il doppiaggio dei personaggi, il mercato dell’adventure game sembra quasi dimenticato, oscurato dall’ombra dell’ormai totale successo dei rivoluzionari FPS (sparatutto in prima persona), come i vari Wolfenstein 3D (id Software, 1992), Doom (id Software, 1993), Quake (id Software, 1996) e Half Life (Valve L.L.C., 1998), primo action game a includere, però, una vera e propria storia che andava oltre la struttura a livelli. Anche il genere action infatti verso la fine del decennio inizia a voler trovare una propria profondità artistica introducendo storia, ambientazione, backgrounds e caratteri specifici ai personaggi, che si esprimono in molti casi tramite le cutscenes animate, sempre più usate. Tutti questi aspetti iniziano ad avvicinare il videogame a quel concetto di cinema interattivo, che da sempre aleggia intorno al medium e che era stato il sogno di molti sviluppatori.
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1.4 Il Nuovo Millennio L’entrata nel nuovo secolo sembra non apportare particolari novità nel mondo videoludico, quanto ne stabilizza invece i generi. Il rilascio delle console di sesta generazione, la Playstation 2 di Sony e Xbox di Microsoft, che si lanciava così nel mondo delle console, non cambiò la situazione dove gli action games, in particolare i vari shooters, erano in cima alle classifiche di vendita. Anche nel mercato PC le cose non erano particolarmente diverse, se non che era molto più diffusa la cultura del multiplayer online, che sulle console risultava ancora macchinosa a causa della mancanza di tecnologie wireless installate sui dispositivi. Ma su PC nascono anche alcune pietre miliari del gioco di ruolo online, al cui capo troviamo sicuramente World of Warcraft (2004), basato sul mondo della serie di giochi strategici marcata Blizzard, che mandò in declino i predecessori, Ultima Online (1997) ed EverQuest (1999), costringendoli al rinnovamento e al rilascio di nuove edizioni, uscite entrambe nel 2004. Le produzioni legate agli adventure game in questi anni, si ibridano generalmente con generi più action o arcade, come Broken Sword: the sleeping dragon, dotato di molte sezioni riconducibili ai titoli platformer, o Omikron: The Nomad Soul (1999 2000), che univa un gameplay fortemente cinematografico (per quanto la tecnologia lo permettesse) a duelli a base di arti marziali impostati secondo lo schema del genere picchiaduro arcade. Molti si basano sulle caratteristiche del gioco di ruolo, ad esempio Star Wars: Knight of the old Republic (LucasArts, 2003), che introduce il genere alla grafica 3D e quindi a un approccio più cinematografico per dialoghi e cutscenes. Per quanto riguarda l’adventure game in senso più stretto, invece, vengono proposti remake di titoli classici: King’s Quest (2001), Maniac Mansion (2004) e The Secret of Monkey Island (2009). Un piccolo produttore decisamente importante nel genere, anche se poco considerato, è quello di Quantic Dream, che solo recentemente, grazie a una nuova sensibilità, ha trovato un pubblico più ampio.
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Quantic Dream, dopo aver creato proprio quel titolo di scarso successo di Omikron, rilascia per Xbox nel 2005 Fahrenheit, conosciuto anche come Indigo Prophecy, anch’esso limitato a un mercato di nicchia in origine e recentemente riscoperto, e Heavy Rain nel 2010. Quest’ultimo, insieme a Beyond: Two Souls (2013), sviluppati per Playstation 3, potevano godere di una tecnologia e di un realismo grafico ben superiore ai primi due titoli. Si tratta di veri e propri film interattivi, nel senso più stretto del termine: il gameplay è quasi esclusivamente limitato all’interazione e alla scelta da parte del giocatore su quanto i protagonisti devono dire all’interno dei dialoghi. La forza di questi ultimi due titoli, oltre al grande realismo ottenuto tramite la digitalizzazione della performance di veri attori per quasi ogni personaggio tramite l’uso del motion capture(il volto e la voce della protagonista di Beyond Two Souls sono di Ellen Page), sta nella qualità della sceneggiatura e della storia, che si sviluppa tramite le scelte che il giocatore è chiamato a fare: mentire, dire la verità, tradire, essere fedele, credere o non credere? Proprio queste qualità sono colte pochi anni dopo da un nuovo tipo di gioco, che cambia il corso dell’evoluzione dell’adventure game, sempre che ancora esso si possa definire tale. L’avvento della cultura seriale televisiva legata indissolubilmente alla nascita dei grandi serial di Fox, HBO e Netflix portano lentamente il genere videoludico a considerarne il format e le caratteristiche fondanti. Primi tra tutti a fare il grande passo è il gruppo di Telltale Games (non a caso fondato da fuoriusciti dalla LucasArts), che, pur avendo rilasciato una lunga serie di titoli dal 2004 al 2012, solo in quest’ultimo anno trova la formula del successo con la prima stagione di The Walking Dead, diviso in 5 episodi, acquistabili anche singolarmente. L’organizzazione episodica e stagionale, proposta sin dalle origini da Telltale, non aveva avuto grande successo fino ad allora, ma nel momento in cui essa veniva applicata all’universo di una serie televisiva di successo che si basava sugli stessi meccanismi distributivi, la piccola casa produttrice si trovò al centro dell’attenzione di tutti. Così di lì a pochi mesi in molti cercarono di coglierne l’esempio, da Life is Strange
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(2015) di Square Enix, alle produzioni di vari produttori indipendenti, con la reintroduzione di romanzi interattivi episodici, che tanto richiamano i vecchi giochi della Infocom, e piccoli capolavori come Oxenfree (Night School Studio, 2016), titolo stand-alone tutto basato sulla conduzione dei dialoghi sullo spostamento in suggestivi ambienti bidimensionali, creato da alcuni ex dipendenti della stessa Telltale. Il successo di The Walking Dead ha anche permesso a Telltale di rilasciarne una seconda stagione, rendersi aralda sul medium videoludico di un’altro serial televisivo di successo, Game of Thrones, e di produrre altri titoli tratti da fumetti episodici, come The Wolf Among Us (dalla graphic novel Fables). Sono in oltre annunciati nei prossimi anni una stagione dedicata all’universo Marvel, una terza stagione e una serie spin off dedicate nuovamente a The Walking Dead e un seguito alla storia lasciata in sospeso nel primo capitolo di Game of Thrones. In programma di uscita è anche Quantum Break, prodotto dalla Remedy Entertainment per conto di Microsoft, che rilascerà il suo gioco, basato sulle dinamiche dell’interattività cinematografica e sul controllo dello spazio-tempo, in un unico episodio, ma affiancato a una mini serie televisiva che introdurrà il mondo di gioco, nel quale parteciperanno gli stessi attori attraverso l’uso, ancora una volta, della tecnologia motion capture.
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CAPITOLO 2
Cinema Interattivo: una questione irrisolta Dall’avvento negli anni ‘90 del supporto del CD-ROM i videogiochi sono riusciti a dotarsi di una complessità e di un realismo tutto nuovo, che inevitabilmente li ha portati molte volte a confrontarsi con il medium cinematografico e ad associarsi alla definizione di “Cinema Interattivo”. Cerchiamo dunque di capire quali aspetti abbia il videogioco in generale, che possano giustificare e contraddire questa definizione, e quali ne abbia assunto recentemente, nell’ambito della “riforma” dell’adventure game inaugurata da Telltale Games, utilizzando esempi estratti dalle sue creazioni e da altri titoli riconducibili allo stesso format.
2.1 Definire un genere Prima di osservare uno qualsiasi di questi aspetti, esiste una questione da porsi in merito al problema del Cinema Interattivo, nello specifico nel contesto dei titoli derivati dall’adventure game, ovvero il problema legato alla definizione semantica del genere. Come abbiamo visto nel primo capitolo, l’evoluzione dell’adventure game nel corso degli anni è stata estremamente variegata e complessa, spaziando da ibridazioni intermediali (inizialmente con quello del romanzo computerizzato proposta da P. David Lebling, poi con quello televisivo con le recenti produzioni di Square Enix e Telltale Games) e intramediali (unendosi a meccaniche tipiche dell’action game e del genere strategico). Questo fenomeno rende estremamente complessa una definizione netta dei generi anche solo all’interno del panorama videoludico, dato che essi, a differenza di ciò che accade nel contesto cinematografico, si differen-
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ziano generalmente per i tipi di meccaniche di cui dispongono e non solo per ambientazione o spirito dell’opera. Questo aspetto, benchè sicuramente renda l’offerta di mercato più vasta e veriegata, ha messo man mano in difficoltà sia i distributori che gli sviluppatori, soprattutto nell’epoca della digital delivery (la distribuzione di contenuti attraverso client direttamente sul dispositivo). Così essi sempre di più stanno adottando un sistema di tag e parole chiave, per evitare di dover confinare la classificazione dei titoli a una sola definizione. Vediamo dunque quali sono le tag generalmente usate nei generi legati allo storytelling interattivo. Oltre ai più generali “Punta e Clicca” e “Adventure”, che ne vanno a delineare i generi fondanti di provenienza e le meccaniche essenziali, per quanto non sempre vi siano ancora così legati, risultano molto utilizzate tag come “Story Rich”, “Choices Matter”, “Choose your own adventure”, “Multiple Endings”. La pluralità di questi tag sottolinea l’importanza e la centralità del concetto della scelta e della possibilità del giocatore di manipolare gli eventi all’interno del gioco. Dato che ovviamente maggiore è il numero di tag usati, maggiore è il numero delle ricerche possibili che conducono a quel titolo da un punto di vista della vendibilità, non mancano le tag facenti riferimento alle ambientazioni (“Mistery”, “Horror”, “Sci-Fi”), alle meccaniche inferiori del gameplay (ad esempio, “Walking Simulator” e “Quick-Time Events”) e, non meno importante, immancabilmente al format seriale (“Episodic”). Ognuna di queste caratteristiche, per quanto possano essere classificate in gruppi di ordine gerarchico, coesistono tutte all’interno del singolo titolo e nessuna di esse ricopre in realtà un ruolo più importante di un’altra. La diversità di anche solo una definizione nel sistema tassonomico di due titoli, potrebbe cambiare totalmente l’approccio di un utente nei confronti di uno di essi, anche per quanto riguarda la presenza di meccaniche inferiori o, ancor di un’ambientazione differente. È chiaro quindi che, in un mercato e in una distribuzione che cercano di per sè la frammentarietà e tendono a esprimersi tramite una scelta
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consapevole di non unicità, cercare di dare una definizione univoca a un genere così poliedrico come quello del nuovo adventure game non è affatto facile e forse nemmeno possibile. Anche solo il tentativo, come vedremo di seguito, di definire l'espressione "Cinema Interattivo", richiede il coinvolgimento di tante considerazioni.
2.2 Realismo tra cinema e videogioco Uno degli obbiettivi in comune che si prefiggono sia il cinema che il videogioco è la riproduzione realistica della realtà e del mondo. L’avanzamento tecnologico dell’ultimo decennio ha permesso al videogioco di avvicinarsi sotto questo aspetto al cinema, così come il cinema, attraverso l’introduzione della computer-generated imagery (CGI) si è in qualche modo avvicinato non solo tecnologicamente, ma anche esteticamente e spiritualmente, al videogioco. Da questo avvicinamento del videogioco al medium cinematografico risulta che, molto spesso, essi possano essere soggetti alle stesse teorie e metodi interpretativi, tanto che i game studies spesso facciano riferimento alla cultura mediale e alla storia del grande schermo. In un articolo pubblicato dal sito di GamesJournal (gamesjournal.it), Mark J.P. Wolf, della Concordia University del Wisconsin, fa riferimento al videogioco come nuovo medium erede delle caratteristiche della teoria del Total Cinema avanzata da André Bazin, nel suo saggio “The Myth of Total Cinema“, del 1967.5 Nella sua interpretazione Bazin vedeva il cinema come l’ultima frontiera, in via di espansione e progresso tecnologico, per le possibilità di riproduzione del mondo reale, al punto di riuscire a diventare potenzialmente una simulazione di esperienza vissuta. E cosa cerca di essere il videogioco, se non proprio questo?
5 Mark J.P. Wolf, “Video games, cinema, Bazin, and the myth of simulated lived experience”, disponibile a www.gamejournal.it/wolf_lived_experience/#.VnAQqfnhAuU, Marzo 2015
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Non tutti i giochi possono raggiungere un livello di realismo fotografico tale da poter essere indistinguibili dalla realtà, ma essi hanno successo in un aspetto che il cinema non possiede. Là dove il cinema ha espanso l’immaginario su nuovi spazi e dimensioni della realtà, portando lo spettatore a considerare nuovi punti di vista, il videogioco ci permette di esplorarli, viverli e influenzarli, non solo come spettatori, ma come agenti interni ad esso. Questo permette al giocatore di vivere vite ed esperienze altrui, considerare nuove prospettive e personalità attraverso il mondo di gioco. Sotto questo punto di vista lo storytelling interattivo si deve assumere la responsabilità non solo di proporre mondi e personaggi plausibili, come sarebbe richiesto al cinema, ma anche di crearli in base alla presenza del giocatore come potenziale interlocutore con essi.
2.3 Il giocatore come coautore I principi che regolano il videogioco e lo distinguono dagli altri media vanno a confluire tutti nel ruolo che il giocatore va a ricoprire rispetto al gioco stesso. Questi sono generalmente individuati nei termini di agency ed empowerment, dove agency definisce i mezzi e le possibilità date al giocatore di interagire con il mondo virtuale del videogioco e fondamentalmente coincidono con le meccaniche del gameplay stesso (utilizzare un’arma, camminare, correre, parlare con un PNG, saltare ecc..), mentre empowerment descrive il pontenziale dato al giocatore di influenzare il mondo di gioco, dirigendone gli eventi, la storia, cambiandone la forma. Il testo ludico diventa così un testo non esclusivamente di lettura, ma, come lo definisce E. Aarseth, un testo ergodico6. Un testo con cui il lettore/giocatore sia in grado di interagire con esso e condurlo a un risultato (o più risultati) comunque già in esso presente, compiendo però uno sforzo che lo sollevi dalla passività di fruitore di un normale testo non ergodico. 6 Mauro Salvador, Il videogioco, La Scuola Editrice, 18 febbraio 2014, pos. 684
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I due princìpi vanno quindi a costituire la responsabilità stessa del giocatore. All’interno del fenomeno del nuovo storytelling interattivo inaugurato da Telltale Games, l’agency del giocatore sta nel partecipare a veri e propri dialoghi con i personaggi della storia e scegliere cosa dire, generalmente, tra una gamma di quattro risposte, quando è consentito al personaggio giocante di esprimersi. L’empowerment invece risiede nella possibilità di decidere (o di tentare) di inimicarsi o meno altri personaggi, salvarli o non salvarli dagli eventi del gioco. Tutto questo può verificarsi tramite scelte espressive di tradimento, gesti di gentilezza, conforto, dichiarazioni di guerra o richieste di pace, sacrificio o egoismo, operando tramite i mezzi concessi, ancora una volta, dall’agency. Quindi la responsabilità del giocatore è legata al “futuro” del mondo di gioco stesso e dei personaggi che lo popolano, oltre che del proprio, o meglio, di quello del personaggio giocante. È chiaro che queste caratteristiche, di cui è in possesso, allontanano il videogioco per definizione dalla possibilità di paragonarsi al cinema, il quale è inevitabilmente un medium produttore di testi fruibili solo passivamente e quindi non ergodici. A rafforzare questo divario concorre la possibilità, da parte del giocatore, di fallire nel completamento di un gioco: nel cinema non esiste nessuna schermata di "game over" o non completamento improvviso di una trama. Spesso si è voluto risolvere la questione dichiarando il videogioco come medium completamente estraneo a un possibile paragone con il codice estetico e morale cinematografico. Con ciò si è spesso affermato che la presenza di una trama, di una serie di eventi presenti in un qualsiasi testo videoludico, esistesse solo come contorno e che avesse la funzione di cercare di dare un senso e un contesto a cambiamenti inerenti al gameplay o a un certo tipo di ambientazione e che, in ogni caso, il mezzo cinematografico fosse del tutto superiore nella comunicazione e nella suscitazione di emozioni nei suoi spettatori, anche grazie a quella mancanza di azione che a questi veniva richiesta. Ancor meno è comune pensare che un videogioco possa fare leva sulla moralità del giocatore proponendo situazioni profondamente controverse da un punto di vista umano sull’interpretazione del bene e del male.
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Le creazioni di Telltale e Quantic Dream, seguite dal Life is Strange di Square Enix, capovolgono nettamente questi preconcetti. Ogni episodio di questi giochi, nel tempo di gioco compresa tra una e due ore, ha una trama ben precisa, che segue da molto vicino le regole della scrittura per la televisione. Il succedersi degli eventi all’interno del gioco segue per lo più uno schema fissato e prestabilito, all’interno del quale il giocatore deve condurre, attraverso la voce del protagonista, un succedersi di scelte, di cui solo alcune si riveleranno cruciali. Molto spesso il protagonista avrà l’opportunità di intervenire e il giocatore potrà scegliere come comportarsi all’interno di una gamma limitata di possibilità. Molte di queste provocheranno un effetto sugli altri personaggi del gioco, a seconda se si è deciso di appoggiarli, aiutarli o meno. Solo alcune scelte però, come salvare questo o quel personaggio, decidere di ucciderne o no un altro, avranno un effetto sulla trama, e sul comportamento effettivo del resto dei personaggi nei confronti del protagonista. L’empowerment a disposizione del giocatore è quindi non tanto limitato, quanto soltanto apparente. Lo stesso Sean Vanaman, membro del team di sviluppo di TWD dichiara apertamente “Noi, come industria, abbiamo questa ossessione perversa nel design a voler fare sentire potente il giocatore. Noi non stiamo troppo a farci caso”7, mentre Jake Rodkin aggiunge che “è possibile far coincidere il concetto di agency del giocatore con un potenziale empowerment. Sta tutto nel mettere il giocatore al controllo del gioco, assicurando che possano esprimersi su quello che succede e di far sentire il proprio stato d’animo”8. Il blogger e critico videoludico Warren Spector cerca di interpretare il metodo adottato da Telltale affermando che ogni interazione tra personaggi e scelta dialogica concessa al giocatore dia l’illusione di avere un ruolo diretto all’interno della narrazione, piuttosto di darlo realmente9. 7 Leigh Alexander, “In narrative games, self-expression doesn’t mean ‘empowerment’, disponibile a www.gamasutra.com/view/news/204948/In_narrative_games_selfexpression_doesnt_mean_ empowerment.php, 10 novembre 2013 (traduzione mia) 8 Leigh Alexander, “In narrative games, self-expression doesn’t mean ‘empowerment’”, cit., 10 novembre 2013 (traduzione mia) 9 Warren Spector. “Telltale may not make games, but they do make magic”, disponibile a www.gamasutra. com/blogs/WarrenSpector/20150724/249470/Telltale_May_Not_Make_Games_But_They_Do_Make_ Magic.php, 24 luglio 2015
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Eppure ogni conversazione, con tutte quelle piccole scelte e opportunità che si dispiegano con il proseguire della storia, per quanto alla fine non così utili alla trama, riescono a coinvolgere il giocatore in modo estremamente personale attraverso l’identificazione con il protagonista, anche grazie al fatto che in un videogioco, a differenza dei media non ergodici, le entità di fruitore e protagonista diventano assai meno distinte di quanto non lo siano quelle dello spettatore e del personaggio cinematografico o televisivo. Il senso di responsabilità e quindi di coinvolgimento scaturisce quindi dal principio di coerenza che permea i comportamenti e le situazioni presenti nelle ambientazioni Telltale: a ogni azione corrisponde una reazione. Il giocatore quindi si può aspettare una reazione umana e naturale dai personaggi della storia, tanto quanto se la aspetterebbe nella vita reale e ciò suscita in lui una consapevolezza di responsabilità dovuta alla possibile conseguenza delle sue decisioni. Questa stessa consapevolezza va a formare l’ambiente diegetico del mondo di gioco come un luogo dotato di vita propria, che risponde a regole ben precise su un principio di causa ed effetto. Proprio questa aspettativa di realismo mantiene il giocatore interessato su quanto dovrà accadere in base alle sue scelte, che vengono quindi compiute in base alla pretesa di coerenza del mondo di gioco.
2.4 Avatar e identificazione Abbiamo quindi visto come i giochi Telltale abbiano riscosso un enorme successo nonostante l’empowerment di cui è investito il giocatore sia estremamente limitato. Cosa allora rende questi titoli così appetibili a un pubblico così vasto? Diventare la voce di un protagonista (o più protagonisti) all’interno di una stessa storia e doverci esprimere attraverso di essi come unico, o quasi, strumento di agency messoci a disposizione, inevitabilmente ci porta a un forte investimento emotivo nei confronti del nostro personag-
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gio giocante e del suo mondo. Questo ci porta a considerare i mondi di gioco, specialmente quelli Telltale, dove l’imprevisto è sempre dietro l’angolo, come privi di regole prefissate, esattamente come quello reale, e quindi a interagire con essi all’interno di essi, piuttosto che su di essi come agenti esterni. Laurie Nicholas Taylor definisce questo fenomeno situated immersion10. Nel momento in cui si riesce a raggiungere come giocatore, o a far raggiungere come creatore del gioco, questo stato di coinvolgimento tramite il gioco, non è più discernibile la linea di divisione dal mondo virtuale, nel momento in cui ci si sente sentimentalmente investiti all’interno della diegesi del testo di gioco. Recentemente il sito di Gamestudies (gamestudies.org) ha pubblicato il resoconto di un esperimento psicologico proprio in merito al coinvolgimento sentimentale e personale di un campione di soggetti casuali durante una sessione di gioco, sottoponendoli proprio al titolo Telltale di maggior successo, The Walking Dead (prima stagione).11 I conduttori della ricerca (Nicholas Taylor, Chris Kampe e Kristina Bell) osservano come, nonostante i soggetti stessero giocando lo stesso gioco, con pressoché gli stessi risultati (dato che, come abbiamo detto, le variazioni effettive causate alla trama sono per lo più solo apparenti), essi descrivessero le proprie esperienze da diversi punti di vista e concentrandosi su questo più che su quell’aspetto all’interno del mondo di gioco: cercare di condurre le dinamiche di gruppo o risolvere i conflitti interpersonali, assicurare la sopravvivenza dei membri del gruppo o più semplicemente cercare di uccidere più zombie possibile. La ricerca prova dunque a dimostrare ed esaminare con chi/cosa(protagonista, gruppo, altri personaggi, situazioni) e perchè avviene l’identificazione del giocatore e come si comportano coerentemente a quest’ultima. Allo stesso modo si vuole andare a dimostrare e capire come il processo di identificazione con un avatar, in qualsiasi forma 10 Laurie N. Taylor, “Videogames: Perspective, Point-of-View, and Immersion.”, disponibile a http://etd. fcla.edu/UF/UFE1000166/taylor_l.pdf, 5 febbraio 2012, p.12 11 N. Taylor, Chris Kampe, Kristina Bell, “Me and Lee: Identification and the play of attraction in The Walking Dead”, l’intero resoconto della ricerca è disponibile a www.gamestudies.org/1501/articles/ taylor, Luglio 2015
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esso si presenti (idea, persona o gruppo) sia un fenomeno dinamico in grado di cambiare la propria prospettiva in qualsiasi momento, teorizzando così le fonti da cui nascono questi spostamenti di punto di vista. Si cerca quindi di dimostrare anche che l’unico legame che si crea a partire dal giocatore non è unicamente indirizzato verso l’avatar, rappresentato unicamente dal personaggio protagonista, ma che in questa dimensione siano collegati e coinvolti molti altri aspetti più o meno astratti presenti nel gioco. Questi tipi di legami che si vengono a creare sono definiti dai conduttori della ricerca in quattro categorie differenti, in base alla loro origine: -simulati: in base alla narrativa e alla meccanica dello specifico gioco; -convenzionali: dalla narrativa e dal gioco stesso (in generale); -vissuti: estrapolati dall’esperienza fisica nella vita reale e dalla visione del mondo; -situazionali: in base alla condizione fisica del giocatore, ai sensi, all’umore; Si vanno poi a categorizzare i tipi di identificazione con gli avatar virtuali: - L’avatar come riflesso del sé: corrisponde a quello dell’identificazione con un personaggio di un film o, nel videogioco, all’avatar creato da noi, a nostra immagine e somiglianza, per vivere nel mondo virtuale. L’avatar riflesso altro non è che un tentativo di vedere o ricreare noi stessi per come siamo all’interno di un contesto “altro”. - L’avatar come ricettacolo: il giocatore anziché portarsi all’interno del mondo fizionale, si riversa all’interno di un personaggio già compiuto. Questo tipo di avatar porta il giocatore a sperimentare e interpretare nuove personalità e nuove capacità.
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È alla base del concetto di role-play (dove play corrisponde a “recitazione”, più che “gioco”). - Identificazioni alterate: in questa dinamica non esiste, come si diceva, un avatar riconosciuto univocamente. Il punto di vista identificativo del sè del giocatore cambia e si sposta continuamente a seconda dell’identificazione con questo o quel soggetto/oggetto. La ricerca si pone come uno studio sviluppato sulla base dei metodi utilizzati nella micro-etnografia, recentemente adottata dai ricercatori del campo videoludico e digitale, con l’intento di mappare la “coreografia di attori umani e tecnologici in un certo contesto di gioco” (Taylor, 2011). Si considera dunque lo stesso contributo decisionale dei partecipanti utilizzato nel gioco come un dato micro-etnografico, dato che li si è interpellati e osservati da vicino. Nello specifico, l’osservazione è avvenuta con l’ausilio di registrazioni audio/video delle loro reazioni durante momenti salienti, particolarmente coinvolgenti, difficili o significativi per la loro comprensione del gioco o della storia. Lo studio prende poi le distanze dai metodi tradizionali della microetnografia quando i soggetti vengono interrogati a posteriori sulla loro performance e sui loro comportamenti mostrati nelle registrazioni. Essi vengono chiamati ad analizzare e giustificare le decisioni e le reazioni avute originariamente durante la sessione di gioco. Le partecipanti, denominate nel resoconto come WD5 e WD6 per questioni di rispetto della privacy, provengono rispettivamente l’una dal Midwest Americano, con un background culturale tedesco/americano, e l’altra dal nord dell’India, recentemente trasferita a Nuova Delhi. Nessuna delle due si definisce una videogiocatrice abituale, anche se WD5 dichiara di avere qualche esperienza nei titoli per console, mentre WD6 con i giochi per cellulare. Entrambe hanno acquistato il primo numero della graphic novel di The Walking Dead e conoscono la serie televisiva. WD5 dice però di non essere una fan del genere zombie, mentre WD6 confessa di aver guardato “quasi tutti” i film del genere, ma che comincia a esserne stanca.
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Tutti i soggetti dell’esperimento sono stati sottoposti a un gameplay completo del primo episodio della prima stagione e dopo 1/2 settimane del secondo episodio. Il momento della storia preso in considerazione è contenuto nel secondo episodio: “Lee e il suo gruppo sono bloccati tutti insieme in una stanza, quando Larry, il padre dai comportamenti avversi nei confronti del protagonista di un altro membro dei sopravvissuti, Lilly, sembra avere un attacco cardiaco e cade a terra. Se Larry muore, risorgerà come zombie, mettendo il gruppo in pericolo. In quel momento viene chiesto a Lee, come personaggio giocante, di prendere una decisione: Lilly vuole che Lee pratichi un messaggio cardiaco al padre, mentre Kenny (un altro sopravvissuto a capo di una piccola famiglia), vuole che Lee lo aiuti a schiacciare con un blocco di sale la testa di Larry, prima che torni in vita come zombie”.12 Come abbiamo detto, la scelta influirà ben poco sull’esito della situazione: la testa di larry verrà comunque schiacciata da un blocco di sale, anche se ovviamente in una prima sessione di gioco non lo si può immaginare. L’unica cosa che cambierà sarà avere o meno nel futuro l’appoggio di uno o dell’altro personaggio nelle situazioni e nei dialoghi successivi. È bene premettere che il personaggio di Kenny si rivela dall’inizio del primo episodio molto empatico, nel suo ruolo di padre, verso Lee e la piccola Clementine, mentre Lilly si dimostrerà egoista, sovversiva al personaggio giocante di Lee e fedele solo al padre: la problematica su cosa sia giusto o sbagliato fare è evidente. WD6 decide di provare a salvare Larry, diversamente WD5 decide di ucciderlo direttamente. WD6, dopo alcuni giorni e dopo che le è stato richiesto di riflettere sulla propria decisione, ha cercato di interpretare 12 N. Taylor, Chris Kampe, Kristina Bell, “Me and Lee: Identification and the play of attraction in The Walking Dead”, cit. (traduzione mia)
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il proprio comportamento, come riportato di seguito: “Clementine era lì e non avrei ucciso nessuno se Clem -voglio dire, mi ero prefissata questo principio, molto cliché- che se era presente un bambino e ci fosse bisogno di salvare o no una vita, avrei cercato di salvarla a ogni costo... So che avrebbe voluto dire appoggiare Lilly o Kenny, ma.. se (Larry) fosse sopravvissuto, Kenny non ne avrebbe avuto a male, ma se fosse morto allora Lilly avrebbe serbato rancore per non aver provato a salvarlo. Quindi quello era il modo migliore per provare a tenere unito il gruppo in ogni caso.. alla fine era come se Lilly fosse comunque arrabbiata perchè Larry è stato ucciso da Kenny, ma Lee è rimasto in qualche modo in una buona posizione, perché Lilly più tardi è venuta a salvarmi e Kenny non se l’è presa”.13 Nella prima frase è chiaro come la prospettiva del personaggio e quella del giocatore siano inscindibili. Invece, nella parte dove dichiara “mi ero prefissata questo principio, molto cliché” è presente un punto di vista esterno al mondo di gioco, scegliendo di rispettare un valore morale rispetto al gioco stesso, in qualche modo freddo e calcolato. Nella stessa frase e allo stesso tempo WD6 si identifica in due entità separate, appartenenti a due “mondi” diversi. La stessa cosa accade quando dichiara che “Lee è rimasto in qualche modo in una buona posizione” agli occhi di Lilly. Questo implica la conoscenza e l’aspettative di una coerenza all’interno delle meccaniche di gioco, in questo caso riflessa nel comportamento dei vari personaggi, e la giocatrice offre un punto di vista di osservatrice esterna, ma subito dopo racconta che “Lilly più tardi è venuta a salvarmi”, dove ancora una volta la sua entita (giocatrice) e quella di Lee (avatar) si sovrappongono.
13 N. Taylor, Chris Kampe, Kristina Bell, “Me and Lee: Identification and the play of attraction in The Walking Dead”, cit. (traduzione mia)
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Anche se a volte non sembra che WD6 assuma su di sé gli avvenimenti del gioco in modo personale, mantenendo una certa distanza, altrettanto spesso si inserisce nel contesto virtuale come il suo avatar. In questa analisi risulta che il passaggio continuo e indefinito di prospettiva sia plasmato e regolato da forze sia esterne che interne al gioco, siano essere norme comportamentali e morali, la comprensione delle meccaniche del medium o addirittura dallo stato psicofisico del giocatore. In seguito, ad esempio, WD6 dichiarerà anche che “C’è sempre l’aspettativa che qualcuno salverà Lee o che almeno Clementine probabilmente non morirà, perché i due devono far continuare la storia”. Con questa constatazione la giocatrice dimostra di prendere decisioni secondo la modalità del legame convenzionale, ovvero quello che la porta a prendere decisioni sulla base di luoghi comuni provenienti da altre esperienze mediatiche legate alla fiction del genere zombie, facendo risultare le sue scelte come meno personali e maggiormente critiche rispetto al genere della storia. WD5 invece, dopo la sessione di gioco di entrambi i capitoli, esprimerà la propria frustrazione legata alla giornata di lavoro faticosa avuta prima della seduta dedicata al completamento del secondo capitolo, rispetto a quella precedente, ammettendo che “ho cercato di finirlo il prima possibile”, dimostrando di aver adottato un approccio situazionale (in questo caso dovuto a una situazione psicofisica) nel relazionarsi alle situazioni e ai personaggi del gioco. Nonostante questo apparente distacco, WD5 esprime anche profondo rispetto e comprensione per la figura di Lilly: “[Lilly] si presenta come una persona più irrispettosa, ma... ammiro molto la lealtà nei confronti del padre e anche se questo non è mai venuto fuori in alcun modo nel gioco, dal mio punto di vista non puoi scegliertela da solo la famiglia.. lei ama suo padre, non bisogna fargliene una colpa”.14 14 N. Taylor, Chris Kampe, Kristina Bell, “Me and Lee: Identification and the play of attraction in The Walking Dead”, cit. (traduzione mia)
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La giocatrice dimostra una forte empatia con un personaggio non giocante, forse a causa di un’esperienza personale non raccontata. Anche se questo non ha impedito a WD5 di decidere di uccidere Larry, lei giustifica la propria scelta, difendendosi, dicendo che “non volevo ucciderlo da trasformato in zombie.. mi spavento facilmente”. WD5 apporta al proprio percorso decisionale e identificativo contributi sia vissuti che situazionali, ma poi cerca di approfondire la spiegazione, inserendosi nel momento diegetico tramite la logica che potrebbe seguire il personaggio giocante, con un contributo di simulazione: “la mia paura era la stessa di Kenny…che Larry si risvegliasse come zombie e tutti sapevamo che Larry era fisicamente più forte di tutti noi, eravamo in uno spazio angusto e avevamo una bambina con noi... e non mi piace spaventarmi.. ovviamente può sembrare una cosa orribile e spietata ma.. avremmo potuto non avere scampo in quello spazio così piccolo, con questo mostruoso zombie se non avessimo fatto qualcosa”.15 Dall’intera analisi appare come le decisioni di entrambe le giocatrici non siano risultanti da un solo e unico sentimento, ma dalla concorrenza di varie forze in conflitto. Ovviamente è difficile determinare quale elemento abbia influito maggiormente sulla decisione: molti sono attribuiti alla logica che potrebbe adottare Lee come personaggio, dimostrando di volersi mettere nei suoi panni attraverso le priorità che si presuma esso abbia (avatar come ricettacolo), altre sono molto personali, come la paura, e si cerca di esprimerle attraverso le azioni del personaggio giocante (avatar come riflesso).
15 N. Taylor, Chris Kampe, Kristina Bell, “Me and Lee: Identification and the play of attraction in The Walking Dead”, cit. (traduzione mia)
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A rendere legittima la logica personale utilizzata nel ragionamento di WD5, si esprime, non a caso, lo stesso Vanaman in un intervento: “Quello che i personaggi non dicono, spesso ci dicono chi sono”. E aggiunge: “Il team ha cercato di realizzare delle scelte che incoraggiassero il giocatore a pensare alle cose che hanno fatto in gioco. Questo adempie all’obbiettivo degli sviluppatore di sottolineare la capacità di scegliere come potente mezzo di espressione personale. Dare spazio al giocatore per determinare come si sente e un modo per esprimerlo all’interno del gioco”.16 La capacità e la possibilità di interagire e influenzare il mondo di gioco, anche se in modo solo apparente, rendono l’identificazione con i personaggi e le situazioni, ma anche il coinvolgimento emotivo e personale, molto più dinamico e determinante che nel cinema, che invece può risultare non necessariamente convincente, a seconda della visione del mondo reale e virtuale dello spettatore. Questo sicuramente allontana ulteriormente il concetto di cinema dal vidogioco, in quanto medium di testi non ergodici, ma in un qualche modo lo imita, addirittura potenziandolo sotto alcuni aspetti. Il modello dei giochi Telltale infatti si distingue per la sua linearità e fissità degli eventi, i tempi di gioco non sono normalmente estendibili all’infinito, come accade normalmente in giochi di altro tipo, non discostandosi molto da un prodotto cinematografico o televisivo, se non per la sua interattività. Addirittura le battute dei personaggi hanno un limite di tempo entro cui essere scelte, pena la scelta automatica del “silenzio”, opzione comunque sempre disponibile in gioco. Il ritmo è sostenuto, sia nei dialoghi che nel succedersi degli avvenimenti e non esiste una condotta fallimentare che porti a un “game over”:
16 Leigh Alexander, “In narrative games, self-expression doesn’t mean ‘empowerment’”, cit., 10 novembre 2013 (traduzione mia)
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“The Walking Dead è effettivamente un corridoio che devi percorrere, con spazi dedicati a diversi confronti e tu, come giocatore, determini come giocare (non a caso l’originale play può significare anche “recitare una parte”) questi confronti, senza che il gioco ti vada a dare una valutazione o un giudizio in proposito”.17 (Rodkin, 2013) Perché questo risultato sia raggiunto, ovviamente, è necessario uno stato mentale da parte del giocatore e una certa capacità da parte degli scrittori e dei game designer di realizzare personaggi, situazioni e interrogativi che sappiano fare leva sul giocatore in modo particolare. Nel prossimo capitolo si cercherà di analizzare, da un punto di vista principalmente creativo e produttivo, le caratteristiche che legano questo genere di videogioco all’immaginario estetico cinematografico e televisivo, al punto di risultare appetibile a un pubblico così vasto e nella maggior parte dei casi “profano” nei confronti del videogioco tradizionale.
17 Leigh Alexander, “In narrative games, self-expression doesn’t mean ‘empowerment’”, cit., 10 novembre 2013 (traduzione mia)
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CAPITOLO 3
Telltale e il modello televisivo Essendo il videogioco un medium principalmente audio-visivo, a un certo punto del suo sviluppo, con il progredire della tecnologia, si è dovuto confrontare con i suoi simili: il cinema e, in seguito, con la televisione. L’affermazione di lunga data e l’efficacia dei codici estetici e creativi della televisione ha spinto il videogame a ispirarvene, oltre che a crearne di propri. Come è stato detto nei capitoli precedenti, questo fenomeno è stato particolarmente influente nel genere dell’adventure game e ancora di più all’interno del rinnovamento portato da Quantic Dream, con il cinema, e Telltale (e derivati), con la televisione. Questi aspetti si traducono in una particolare attenzione dedicata alla realizzazione delle scene dal punto di vista registico e fotografico, alla scrittura e allo studio dei personaggi e della composizione diegetica. In questo capitolo quindi si analizzerà l’eredità televisiva dei recenti titoli Telltale, il più delle volte valida anche su altri titoli basati sullo stesso format distributivo, con un contributo esemplificativo incentrato in particolar modo sui titoli di The Walking Dead e Game of Thrones.
3.1 Ritmo, episodicità e fidelizzazione La narrativa cinematografica, dalla nascita della fiction, si è sempre basata nella costruzione delle proprie storie su una struttura molto più antica, ovvero quella proposta da Aristotele in merito alla tragedia all’interno di una delle sue opere più grandi, la Poetica. Le regole dettate dal filosofo greco da quel momento si sono imposte come fondanti di ogni genere, dall’epica al racconto, dal teatro
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al cinema nella storia della cultura occidentale. La divisione originale proposta nella Poetica divideva la struttura di ogni racconto in tre atti, rispettivamente protasi, epitasi e catastrofe, generalmente tradotte nel linguaggio comune come prologo (o premessa), conflitto e risoluzione (dove ovviamente καταστροφή nell’ambito della tragedia si traduceva come risoluzione meno positiva). Questa struttura, con l’avvento del cinema moderno è stata rivista da moltissimi autori, critici e studiosi, in primo luogo da Christopher Vogler, sceneggiatore della Disney. Ne The Writer’s Journey: Mythic Structure For Writers (in italiano Il viaggio dell’eroe), basato sul saggio di Joseph Campbell The Hero With a Thousand Faces (L’eroe dai mille volti), Vogler unisce le caratteristiche dell’eroe della concezione campbelliana alla analisi aristotelica della struttura tripartita della Poetica, ampliandola con la divisione in parti inferiori per ogni atto. Generalmente nel cinema il primo e il terzo atto sono circa della stessa lunghezza, mentre il secondo è di una durata non inferiore agli altri due messi insieme. Questo genere di struttura è stato quindi valido e lo è tutt’ora sia per cinema, che televisione, ma non sempre per il videogioco. Questo, come abbiamo già detto, non è del tutto valido per i titoli Telltale, che si avvalgono invece di una struttura diegetica e un ritmo narrativo molto simili a quelli televisivi. Uno degli aspetti che distingue il medium videoludico da quelli audiovisivi tradizionali è perciò la questione ritmica. Nel videogame infatti è il giocatore a decidere cosa fare, come farlo e in quanto tempo. I mondi di gioco sono composti non solo dalla storia, ma anche dagli ambienti, che impone un approccio puntato alla sperimentazione e all’esplorazione. L’empowerment, di cui il fruitore è quindi investito, gli permette di “controllare” il flusso degli eventi e di decidere in quale tempo e ordine essi dovranno svolgersi, tramite la scelta delle missioni, degli obbiettivi, dei luoghi in cui andare. Questo aspetto, come abbiamo già accennato, è sviluppato diversamente nei giochi Telltale. Le parti dialogiche hanno un timer che limita il tempo di scelta di ogni battuta, le sequenze di azione sono scandite
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da precisi comandi da inserire tramite le periferiche per essere svolti (quick-time event), mentre le parti di maggior respiro e di minore intensità si ispirano a generi più prettamente videoludici, proponendo piccole sequenze esplorative dove poter svolgere dialoghi di approfondimento, analizzare gli ambienti, muoversi liberamente o raccogliere oggetti. La soluzione adottata da Telltale si adatta quindi alla situazione di gioco e al coinvolgimento emotivo del giocatore. In generale, però, è oggettivo affermare che la maggior parte delle sequenze mantiene un ritmo cinematografico e quindi non estensibile all’infinito in modo giustificabile, atto allo svolgimento di attività inerenti al gioco e alle sue meccaniche. Per quanto riguarda la differenza a livello diegetico-strutturale il videogioco si distingue dal cinema tradizionale in quanto le sue parti sono generalmente varie e costituite ciascuna da una sua coerenza interna, siano esse missioni, livelli o scene. Per rendere l’intero sistema più organico e coerente si è via via sempre più adottato un sistema di organizzazione che non rendesse queste parti divise fra loro e indipendenti, ma di collegarle tra loro attraverso degli espedienti a livello della trama. Questo è chiaro paragonando i titoli videoludici delle origini, o comunque basati sul modello arcade, e quelli derivati dall’adventure game, come giochi di ruolo o avventure grafiche, ma anche gli stessi action games di nuova generazione. In alcuni di essi questi collegamenti rimangono un pretesto ma in molti diventano fondamentali all’approfondimento dell’ambientazione e al coinvolgimento del giocatore. Con l’avvento della quality television e della cultura seriale dagli anni ‘90, ma ancora di più a partire dai nuovi serial televisivi, di cui Lost è capostipite, questo tipo di costruzione, che collega ogni puntata alla seguente (anzichè ogni missione o livello a quelli successivi), abbandona quello che fino ad allora era stato solo un approccio del medium videoludico e viene adottato anche da quello del piccolo schermo. Ogni parte della storia quindi diventa una conseguenza della precedente. Questa frammentarietà ha portato un ulteriore cambiamento per quanto riguarda l’approccio al materiale televisivo: la divisione
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in puntate, stagioni e spin-off ha portato scrittori e registi a potersi dedicare alla realizzazione delle proprie storie con una sensibilità più aperta verso gli approfondimenti della storia, all’esplorazione dei risvolti del mondo finzionale, grazie a una maggiore disponibilità di tempo di rappresentazione. Lo stesso modello però ha portato a una nuova sensibilità anche da parte dello spettatore, che può decidere di fruire delle puntate e delle stagioni secondo le proprie preferenze. Anche a livello distributivo l’immaginario di ogni universo permane e si distende per tutto il periodo distributivo del serial. Adottando questa stessa politica seriale e applicandola a un videogioco, Telltale non fa altro che riappropriarsi di un modello già precedentemente videoludico, questa volta serializzandolo a livello di contenuti. La serializzazione del videoludico è un tema molto delicato. Svariati giochi hanno tentato di “episodicizzare” i propri contenuti attraverso il rilascio di contenuti aggiuntivi (downloadable contents), cercando di approfittare delle nuove possibilità messe a disposizione dal potenziamento della banda internet. Questo tipo di politica ha portato molte volte a proteste da parte dell’utenza, che si lamenta di dover pagare più volte per ottenere contenuti che già dovrebbero essere presenti in un titolo per raggiungere il suo completamento. Senza entrare in merito all’etica della faccenda, che meriterebbe un’attenzione tutta particolare in merito, qui si cercherà di capire perché questo stesso modello distributivo si sia perfettamente integrato e sia stato accettato così facilmente per quanto riguarda i giochi Telltale. Come abbiamo già accennato in precedenza, l’approccio di casa Telltale ai propri titoli è sempre stato di stampo seriale, proponendo in vendita singoli episodi o le intere stagioni in un singolo acquisto. Grazie all’acquisizione di titoli importanti già in possesso di un’immagine legata alla serialità, come Ritorno al Futuro e ovviamente The Walking Dead e Game of Thrones, Telltale non ha fatto altro che andare ad espandere un universo già appartenente al modello televisivo, il più delle volte già accessibile solo a pagamento.
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Questa operazione, oltre a riadottare un modello di vendita già accettabile da un punto di vista etico dagli usuali telespettatori, ne adotta anche gli stessi stratagemmi per assicurarsi la fidelizzazione. Primo tra tutti, oltre a vari aspetti che discuteremo più avanti nel capitolo, è sicuramente l’utilizzo del cliffhanger. Ogni puntata, infatti, proprio come nei serial televisivi di maggior successo, si interrompe nel momento saliente che si sviluppa in seguito a un’apparente risoluzione della situazione proposta, andando a cercare l’attenzione del giocatore-spettatore, che vorrà sicuramente sapere cosa succede nell’episodio successivo. Lo stesso Sam Lake, della Remedy Entertainment, parlando del suo futuro Quantum Break, ammette quanto le recenti produzioni videoludiche Telltale e Square Enix del genere si siano ispirate e abbiano studiato il modello televisivo, dicendo che in questo modello il giocatore farà le sue scelte per creare il proprio finale di puntata e quindi il proprio cliffhanger, che prima di allora “guardare la TV, è sempre sembrato come se ci fosse una drammaticità così meravigliosa e una storia che non è stata esplorata in una forma interattiva” e che “le serie originali di HBO e Netflix sono state di grande ispirazione nel nostro design di gioco”.
3.2 Regia, fotografia, animazione Il modello distributivo seriale introdotto da Telltale non è però solo l’unico punto di contatto con i mezzi audiovisivi. A questa somiglianza concorrono anche elementi a cui il videogioco si era iniziato ad adattare già dall’introduzione della grafica 3D, ovvero quello dell’attenzione registica, fotografica ed espressiva. Nel contesto del moderno storytelling interattivo, a partire da titoli precedenti al rilancio di Telltale, come Heavy Rain, questi codici comunicativi si sono solidificati e affermati in modo sempre più simile a quelli proposti da cinema e televisione. L’applicazione di questi codici, però, richiede la presenza all’interno dei team di sviluppo non più soltanto di game designers e programmatori, come spesso è ed è stato nell’industria videoludica, ma di personalità
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dedicate allo svolgimento di questi compiti, a volte assunte anche dall’industria cinematografica. Così per il Walking Dead di Telltale troviamo come soggettista e scrittore un addetto dell’industria cinematografica, sceneggiatore di The Book of Eli (Codice genesi, 2010), After Earth (2013) e del prequel disneyano dell’universo di Lucas Rogue One: a Star Wars Story, in programma per il 2016, Gary Whitta. La figura del “regista” in ambito videoludico è invece più controversa. Infatti è normale trovarne più di uno a seguire lo sviluppo di ogni titolo, cosa molto rara nel cinema. I registi durante lo sviluppo di un videogioco possono occuparsi ognuno di vari ambiti e svolgono un ruolo maggiormente puntato alla coordinazione dei vari reparti e alla conduzione del completamento di ogni aspetto del prodotto finale, imponendo raramente il proprio personale giudizio come volontà creativa. Ovviamente questa è una mutazione, rispetto al cinema, dovuta a vari fattori. Innanzitutto la maggior parte delle volte, ma non sempre (come si è visto nei titoli capaci di sfruttare la tecnologia del motion capture), non è richiesta la presenza di attori reali e spetta quindi al team di animazione svolgere quello che naturalmente di solito essi devono fare. L’animazione dovrà quindi necessariamente collaborare e consultarsi con gli autori e sceneggiatori sulle espressioni dei personaggi, sulla loro gestualità, come dovranno comportarsi coerentemente a quella che è la loro personalità. A questo proposito si esprime Sean Vanaman affermando che: “dedichiamo un sacco di tempo sulle animazioni facciali dei nostri personaggi di gioco. Dopo aver scritto il primo episodio iniziamo di solito a fare una lista del genere di cose che i nostri personaggi proveranno durante la storia e iniziamo poi a produrre modelli isolati di animazioni facciali per riprodurre questi stati d’animo ed emozioni. Queste vengono poi utilizzate durante tutto il gioco”. Capire e comprendere i linguaggi del corpo è un fattore importantissimo per questi giochi, che riescono e devono fare leva sull’empatia del giocatore per creare un coinvolgimento che permetta al giocatore di identificarsi con il personaggio. Tutti insieme, animatori, registi e scrittori dovranno collaborare con
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altri gruppi, quelli dei disegnatori di ambienti e i level designers, ovvero quelli che nel cinema si definirebbero scenografi o allestitori. È quindi richiesto un profondo studio e preparazione delle possibili ambientazioni, tramite bozzetti e disegni, proprio come in un film di animazione. Insieme a ciò vanno però definiti anche gli “spostamenti” di camera che verranno usati nelle varie sequenze e costruire gli stessi ambienti di conseguenza. Un’attenzione particolare è da dedicare proprio alle scelte compiute in campo registico e fotografico. I giochi Telltale si avvalgono, a seconda delle necessità, di tecniche fotografiche sia cinematografiche che prettamente videoludiche. Viene quindi usata una più naturale alternanza di campi e controcampi per i dialoghi, mentre per le scene di suspance o di azione è prediletto il piano sequenza, che va però a ibridarsi con la visuale in terza persona originaria del videogioco, rendendo più evidente la natura action della scena. Sono talvolta utilizzate visuali in prima persona, per le rare scene di mira e sparo, che anche se appaiono degli intermezzi fuori luogo per il genere a cui vengono applicate, riescono a svolgere perfettamente il proprio ruolo nella sequenza. Ognuna delle tecniche scelte è accompagnata da scelte consapevoli, come l’angolazione della camera, sia essa dall’alto o dal basso, impostata per essere più stabile, come fosse una camera fissa o, più precaria, come una a mano. Ryan Kaufman, ad esempio, spiega come, nella realizzazione della seconda stagione di Walking Dead, si fosse deciso che la posizione della camera in gioco dovesse essere posizionata in basso, in modo tale che quando i personaggi adulti dovessero confrontarsi con la protagonista e personaggio giocante, la piccola Clementine, si avesse l’impressione che essi si rivolgessero a lei dall’alto verso il basso e cercassero di imporre il proprio giudizio. I level designers però devono dedicarsi anche a compiti più tecnici degli scenografi dell’industria del cinema, ovvero a organizzare e posizionare insieme ai programmatori le varie interazioni con il mondo di gioco, posizionare i PNG ed eventualmente creare puzzle, enigmi e sfide
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all’interno dello scenario. Il sistema di sviluppo perciò, a livello organizzativo, risulta strutturato decisamente più orizzontalmente rispetto a quello cinematografico, che molto spesso risponde a tutti i livelli alla volontà creativa del regista, richiedendo una collaborazione profonda su tutti i livelli di progettazione. Tutte queste caratteristiche a livello estetico e produttivo concorrono ad alimentare la definizione di questo filone videoludico come “cinema interattivo”.
3.3 Dal singolo al tutto Durante la Game Developers Conference del 2014 Tom Abernathy, di Riot Games, e Richard Rouse III, di Microsoft Games, discutendo di strutture narrative nei videogiochi a una conferenza intitolata “Morte alla struttura in tre atti”, hanno cercato di mettere in discussione la validità del modello narrativo hollywoodiano nei videogiochi. Gli sviluppatori hanno portato a supporto della loro teoria l’esempio di Uncharted 2 (Naughty Dog, 2009), nel quale la struttura tripartita funziona benissimo, ma non risponde all’esigenza di coerenza con un certo stato d’animo che dovrebbe avere il protagonista nella seconda metà di gioco. I due, quindi, sostengono che nel videogioco risultano molto più memorabili i personaggi delle trame, dal momento che siamo in grado di sentirli, durante l’arco delle sessioni di gioco, più vicini a noi in quanto noi stessi ne siamo interpreti. Gli sviluppatori quindi hanno messo in discussione la struttura in tre atti affermando che essa è causa di un impoverimento ai danni del personaggio, ma hanno anche ammesso che la struttura della narrativa seriale televisiva, con i suoi tempi più ampi e quindi più consoni a quella videoludica, sia più efficace nel videogioco, potendosi avvalere di archi narrativi di varie dimensioni e distribuibili su vari livelli. 18
18 Mike Rose, “ ‘Plot is overrated’: game narrative is all about your characters”, disponibile a www.gamasutra.com/view/news/213337/Plot_is_overrated_Game_narrative_is_all_about_your_ characters.php, 17 Marzo 2014
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Traendo esempio dal serial televisivo, i videogiochi Telltale si configurano similarmente anche per quanto riguarda le trame e le sottotrame della storia nel suo complesso. La divisione tripartita, nello specifico Vogleriana, riesce a estendersi quindi a più livelli, partendo dalle microstrutture delle trame legate ai personaggi a quelle più macrostrutturali di livello superiore, degli episodi, delle stagioni e infine dell’intera saga. Ognuna di queste storie può collegarsi alle altre, essere presentata tramite flashbacks e spiegare il passato e le origini di un personaggio, come in The Walking Dead, o di un elemento diegetico, oppure svilupparsi nel corso degli episodi. Il serial televisivo moderno lega lo spettatore all’universo che presenta tramite una forte umanizzazione e una profonda e capillare storicizzazione dei propri personaggi. Ognuno ha quindi una sua storia, che può essere svelata oppure no, un suo obbiettivo, una sua personalità. Ogni personaggio è l’eroe della propria storia, che si andrà a intrecciare con quella degli altri legati a lui, anche se a migliaia di chilometri di distanza, fino a chiudere un cerchio che costituirà e darà forma all’universo della fiction. La profondità dei personaggi e dei loro caratteri dettati da una coerenza con la propria storia è la fonte principale di quel fenomeno dell’identificazione alterata che porta lo spettatore a esprimere preferenze e empatia verso alcuni personaggi piuttosto che altri o il giocatore a fare certi tipi di scelte, come abbiamo visto nel secondo capitolo. Sicuramente questa è una lezione da cui il nuovo storytelling interattivo è stata maggiormente influenzata e concorre anch’essa alla fidelizzazione dello spettatore/giocatore. È chiaro come le fiction televisive siano state osservate da molto vicino e ne siano stati riproposti da Telltale i modelli costruttivi. The Walking Dead raccoglie una serie di personaggi catapultati in un mondo apocalittico a loro estraneo, privo delle regole che lo regolavano a cui erano abituati. Tendono quindi a non esternare e raccontare il proprio passato: il giocatore dovrà addirittura decidere se scoprire esso stesso qualcosa in più sul passato del protagonista, Lee, decidendo o meno di rivelarne delle parti, quando gli sarà chiesto,
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e di porsi il dubbio se sia giusto o meno farlo con chi ha davanti all’interno del mondo di gioco. Nella versione giocabile di Game of Thrones, invece, il player assumerà vari ruoli collegati alla famiglia dei Forrester, piccolo casato del Nord, sparsi nel mondo tra i due continenti di Essos e Westeros, nel tentativo di salvare dalla minaccia dei Whitehills il proprio casato, optando tra la pace e la guerra. In questa impresa ognuno di loro si troverà a decidere se scegliere tra la lealtà verso la propria famiglia o salvare se stessi, tra le ambizioni e l’orgoglio o il buon senso verso un bene maggiore. La pluralità dei protagonisti e la non necessaria vicinanza tra essi è un elemento che contraddistingue le saghe letteraria e televisiva dell’universo di Martin. È ovvio quindi che vi sia stato uno studio accurato dei modelli diegetici originali per la scrittura della storia e per la sua composizione, sia per Game of Thrones che per The Walking Dead.
3.4 Nel bene e nel male L’esempio televisivo non si limita però soltanto a una questione compositiva e produttiva. Negli ultimi anni la televisione ha portato sul piccolo schermo personaggi sempre più ambigui, che assumono una posizione di limite tra bene e male. Un esempio possono essere il John Locke di Lost o il Walter White di Breaking Bad. Chiaramente sia il The Walking Dead che il Game of Thrones televisivi sono colmi di questo tipo di personaggi. Dovendo riproporre gli stessi universi narrativi, Telltale ha dovuto studiare e cercare di tradurre in termini videoludici e interattivi le stesse personalità, adattando il giocatore ad una di esse tramite il personaggio giocante e utilizzando la sfida imposta dal dover compiere una scelta. Telltale parte quindi da due mondi che sono naturalmente predisposti all’ambiguità e all’assenza di un’etica convenzionale: uno dove l’apocalisse zombie costringe a non fidarsi né dei vivi né dei morti; un altro dove i deboli sono sempre alla mercé degli intrighi dei potenti e morte e complotti sono sempre dietro l’angolo.
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Tale caratterizzazione dei personaggi è evidente quando dietro alla loro riproposizione è presente un modello affermato ed esistente. In particolare nella versione giocabile di Game of Thrones, compaiono numerosi personaggi presenti nella saga originale. Nonostante ci sia stato un rimaneggiamento di molti personaggi tra la versione letteraria e quella televisiva, Telltale si ispira più dichiaratamente a quest’ultima rispetto alla prima, partendo dal presupposto che tutti costoro nella versione videoludica sono stati modellati a immagine e somiglianza degli attori che li interpretano nella serie targata HBO. Daenerys Targaryen, ad esempio, oltre a portare un volto modellato sui connotati di Emilia Clarke, avrà un’età ben superiore ai 14 anni che porta nella versione originale letteraria come in quella televisiva. Rimangono comunque immutate la sua pretesa di materna autorità e rispetto verso i suoi sudditi, la sua testardaggine e la sua involontaria ingenuità nei giochi di potere. Le stesse caratteristiche rispetto al modello originario porta anche Cersei Lannister. Questa ordina crudelmente a Mira Forrester, una delle protagoniste giocabili, di tradire e strappare al fratello Tyrion l’informazione riguardo a chi volesse chiamare a testimoniare al processo che lo vede accusato di aver ucciso Re Joeffrey, figlio della stessa Cersei, per avere in cambio protezione dalla minaccia della congiura indetta dai Whitehills. Tutti i protagonisti delle storie Telltale, nonostante essi siano originali e non presenti nelle serie televisive, presentano dilemmi e storie personali molto simili a essi. In The Walking Dead, Lee Everett presenta molte similitudini con il protagonista televisivo di Rick Grimes. A entrambi, nel corso della storia, di fronte alle difficoltà e agli inutili rischi corsi più volte dal gruppo, si presenterà il dilemma se diventare e imporsi come leader autoritario o meno. Là dove Rick Grimes deciderà di assumere questa forma e di condannarsi progressivamente a un’accettazione della violenza come mezzo per mantenere la pace, supportato addirittura dal figlio Carl, a Lee (e
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quindi al giocatore) sarà offerta la scelta di mantenere vivo il suo aspetto più umano e democratico: la decisione, come nel caso di Carl, influenzerà anche la formazione della personalità della piccola Clem e il suo atteggiamento nella seconda stagione, dato che il gioco è in grado di leggere le decisioni nella prima, tramite il file di salvataggio. Il parallelismo tra i protagonisti giocabili Telltale e quelli televisivi è presente anche per quanto riguarda Game of Thrones. L’intera famiglia Forrester è basata, anche per l’impostazione che prendono le sue sorti, su quella Stark televisiva: entrambe sono famiglie del Nord, costrette a dividersi e a disperdersi nel mondo per cercare di salvarsi nel momento in cui il loro ruolo, in una situazione di difficoltà, è messo in discussione da altre famiglie che in quel momento godono di buoni rapporti con il regnante di turno e, quindi, di vantaggio strategico. In questo caso gli Stark decideranno di cercare di sottomettersi momentaneamente al potere imposto sul mondo dai Lannister dopo la morte di Robert Baratheon, mentre il giocatore potrà scegliere da quale parte ognuno dei Forrester voglia schierarsi, a favore della pace, della guerra, della diplomazia o dell’onore. Telltale ci propone quindi mondi e situazioni che sentiamo familiari grazie all’esperienza televisiva e ci chiede come ci vorremmo comportare se fossimo noi i protagonisti, anche là dove il confine tra giusto e sbagliato è sottilissimo e non sempre distinto, senza che il gioco giudichi le nostre scelte in tal senso.
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CAPITOLO 4
Definire il nuovo Storytelling Interattivo Fino ad ora abbiamo visto come e attraverso quali influenze l’adventure game si sia trasformato fino a fondare, tra le sue varie ramificazioni, un genere che trae esplicitamente ispirazione dal cinema e dal mezzo televisivo. Abbiamo anche però visto come, rispetto a questo stesso genere, la comune definizione di “cinema interattivo” non sia completamente appropriata. Infatti tra i videogiochi che si avvalgono del “modello Telltale” e il medium cinematografico continua a esserci una differenza immutata, che risiede nel ruolo ricoperto dal giocatore rispetto allo spettatore e nei meccanismi di identificazione che può adottare il primo rispetto al secondo. Nonostante quindi siano adottate tecniche chiaramente cinematografiche nella realizzazione di questo genere e il modello narrativo e distributivo sia quello televisivo, questi videogiochi continuano ad avere una certa indipendenza in quanto tali. D’altro canto, la linearità della trama e la scelta di un ritmo obbligato, insieme alla riduzione al minimo delle meccaniche di gioco (quindi dell’agency) e all’illusione dell’epowerment di cui il giocatore è investito, lo allontanano a loro volta da una concezione videoludica. Il nuovo filone dello storytelling interattivo si configura quindi come un vero e proprio ibrido che non rientra completamente sotto la definizione di nessuno dei due media, anche se, certamente a causa dei canali distributivi e del pubblico a cui fa riferimento, preferisce classificarsi come prodotto videoludico. Queste sue caratteristiche però, facendo leva su una concezione estetica familiare anche a un pubblico più ampio di quello prettamente dedicato al videogioco, rendono il prodotto accessibile e godibile anche ad altri tipi di fruitori e probabilmente proprio per questo motivo il format è risultato di tale successo.
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Attualmente qualsiasi tipo di cambiamento strutturale dovesse assumere il “modello Telltale”, concedendo l’accesso a una narrativa più ramificata e manipolabile, come nel caso di Life is Strange, lo renderebbe più simile a un gioco di ruolo o a un’adventure game in senso più tradizionale. Ci troviamo di fronte a un prodotto in un perfetto e delicatissimo equilibrio tra due media resi per alcuni aspetti simili, ma per altri ancora diametralmente opposti.
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Storytelling interattivo: serialitĂ nel videogioco
Heavy Rain, David Cage, Quantic Dream, Sony Computer Entertainment, 2010, Playstation 3 Beyond: Two Souls, David Cage, Quantic Dream, Sony Computer Entertainment, 2013, Playstation 3, Playstation 4 The Walking Dead: Season One, Sean Vanaman, Telltale Games, 2012-2013, Android, iOS, Kindle Fire HDX, Microsoft Windows, Ouya, Playstation 3, Playstation 4, Playstation Vita, Xbox 360, Xbox One The Walking Dead: Season Two, Dennis Lenart, Telltale Games, Skybound Entertainment, 2013-2014, Android, iOS, Kindle Fire HDX, Microsoft Windows, Ouya, Playstation 3, Playstation 4, Playstation Vita, Xbox 360, Xbox One Game of Thrones, Telltale Games, HBO, 2014, Android, iOS,, Microsoft Windows, OS X, Playstation 3, Playstation 4, Xbox 360, Xbox One The Wolf Among Us, Telltale games, Vertigo, Warner Bros. Interactive, 2013-2014, Microsoft Windows, Xbox 360, Xbox One, OS X, Playstation 3, Playstation 4, Playstation Vita, Android Back to the Future: The Game, Dennis Lenart, Telltale Games, Deep Silver, 2010-2011, Microsoft Windows, OS X, Playstation 3, Playstation 4, Wii, Xbox 360, Xbox One, iOS Life is Strange, Dontnod Entertainment, Square Enix, 2015, Microsoft Windows, Playstation 3, Playstation 4, Xbox One, Xbox 360 Oxenfree, Night School Studio, 2016, Microsoft Windows, OS X, Playstation 4, Xbox One Quantum Break, Sam Lake, Remedy Entertainment, Microsoft Game Studios, 2016, Xbox One, Microsoft Windows
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Filmografia Breaking Bad (serie televisiva), 2008-2013; id. Game of Thrones (serie televisiva), 2011-in produzione; Il Trono di Spade Lost (serie televisiva), 2004-2010; id. The Walking Dead (serie televisiva), 2010-in produzione; id. Tron, Steven Lisberger, 1982; id. WarGames, John Badham, 1983; Giochi di guerra; id.
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