MINISTERO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA A.F.A.M ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO DIPLOMA ACCADEMICO DI I LIVELLO IN PROGETTAZIONE DELLA MODA
FASHION MILITARY TESI DI
GIUSEPPE RESTIVO RELATORE Prof. ROBERTA LOJACONO consulenze Prof. VITTORIO UGO VICARI Prof. SERGIO PAUSIG A.A. 2011 - 2012
Indice p
Introduzione Parte I.
Aspetti storici-antropologici
I.I. Origine dell’uniforme I.II. L’uniforme e moda I.III. Bande musicali e uniformi civili Parte II.
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Aspetti sociologici e trasferimenti nella moda
II.I.
ReciprocitÀ di trasferimenti tra uniforme e moda II.II. Il mito della divisa II.III. Androginia II.IV. Travestitismo II.V. Il mito androgino di Armani II.VI. Armani Fotogallery II.VII. Ricerca stilistica, su giacche e uniformi nella moda contemporanea Parte III.
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P. P. P. P. P. P.
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P. 89
Fashion Military
III.I. Introduzione al progetto III.II. Trend Book III.III. Filosofia di collezione
P. 129 P. 131 P. 141
In allegato il progetto fashion military Bibliografia
P. 155
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Introduzione:
La tesi, nella sua parte di approfondimento che qui segue, sceglie di mettere in luce gli aspetti che più hanno contribuito a stimolare il processo creativo, secondo un percorso che coincide con lo sviluppo dell’ idea progettuale: partendo dall’analisi della divisa, sia in ambito storico che antropologico, viene definito il suo significato e messe per inciso le sue sottili ma sostanziali differenze rispetto all’uniforme, divenuta erroneamente, nel gergo comune, sinonimo di divisa . Le implicazioni psicologiche e l’impatto visivo della divisa, hanno da sempre generato una fascinazione singolare da parte dei cosiddetti “civili”: sinonimo di autorevolezza, rigore e credibilità, alla divisa si sono ispirati da sempre disegnatori, sarti e stilisti, nella moda come nella creatività in genere. La relazione tra mondo militare e moda ha prodotto, fin dagli albori della storia della divisa e della moda stessa, una grande varietà di spunti imititativi, rintracciabili con certa facilità nella storia del costume: in ogni periodo, infatti, a partire dal ‘700, elementi dell’uniforme ricorrono nell’abbigliamento civile, sia maschile che femminile, fino a sfociare in vere e proprie mode. Il continuo evolversi di tali 5
influenze e trasferimenti tra mondo militare e moda, giunge perfino ad avere un tale impatto psico-sociologico, da generare, verso gli anni 60 e 70 del xx secolo, correnti estetiche e culturali che interpretano una nuova sensibilità dell’uomo: l’androginia, l’unisex e il travestitismo si fanno simbolo di protesta contro una società corrotta e patriarcale, e riscatto di un nuovo concetto di sessualità e di potere femminile, tendendo ad annullare le differenze sociali e tra i sessi. Se la storia del costume in tale contesto ha sollecitato la creatività tra il fashion e il mondo militare, i risvolti psico-sociologici dei movimenti di protesta degli anni 60 e 70, hanno contestualizzato e trasferito significato al mio lavoro progettuale, incentrato sullo studio delle giacche. Queste, da sempre sinonimo di “maschile” e di rigore, nel presente progetto, vengono affrontate e declinate in tutte le loro potenzialità creative e comunicative. La giacca diventa “femminile” e militare, come a voler asserire la capacità di comunicare rigore e severità, senza rinunciare alla versatilità del mondo femminile, alla ricercatezza del dettaglio anche vezzoso, alla capacità di conferire femminilità ad una immagine talvolta esplicitamente evocativa del mondo militare. Infine, il progetto di collezione viene arricchito e articolato su tendenze moda e ricerca di tessuti e materiali, secondo le tempistiche professionali di progettazione: dalla partecipazione alle fiere di settore, alla ricerca e contatto di fornitori, 6
allo sviluppo dei prototipi e del progetto di collezione, l’intento è stato quello di simulare pienamente il lavoro professionale che presiede alla creazione di un marchio moda, ivi incluso il progetto di brochure, catalogo e servizio fotografico.
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Parte I Aspetti storici-antropologici
I.I
Origine dell’uniforme
Le divise, le uniformi e la moda sono accomunati da aspetti esteriori e visivi che assecondano l’esigenza di dichiarare l’adesione a un ceto, a un gruppo, a un’organizzazione, palesando, in definitiva, la propria scelta di vita. “Divisa”, dal francese antico “divise” (fine 11˚ secolo), originariamente è la veste di diversi colori che serve a distinguere una casata da un’altra, e si differenzia in vari tipi, fissati da regolamenti e disposizioni secondo le occasioni e le circostanze per le quali deve essere indossata. In campo non propriamente militare, la divisa sta a indicare l’abito indossato per distinguere le mansioni all’interno di organizzazioni civili, ecclesiastiche, accademiche, professionali e sportive. “Uniforme”, come forma sostantivo dell’aggettivo, indica l’abito uguale per tutti gli appartenenti a una stessa forza armata, e ha origine dalla locuzione «divisa uniforme», in campo militare invece, è la foggia dell’abito che serve a distinguere a chi lo indossa precisando il grado, la funzione, la specializzazione nell’ambito della categoria stessa. Nel linguaggio ufficiale dei regolamenti, «l’uniforme è l’insieme organico dei capi di vestiario, corredo e equi9
paggiamento indossati dal militare sia per lo svolgimento del servizio sia al di fuori di esso quale elemento distintivo della condizione militare»¹. Lo scopo dell’uniforme è triplice: essa veste in modo uguale e facilmente riconoscibile, sia in pace che in guerra, i militari di ogni singola Nazione, indicando l’Arma, il Corpo od il Servizio di colui che lo indossa e, infine, esprime, sia pure in modo sintetico, le tradizioni di un Reggimento o di un Reparto. Per inciso il termine “divisa”, con cui spesso si indica l’uniforme, non è affatto esatto, giacchè è molto più generico, mentre il vocabolo uniforme si riferisce esattamente al vestiario militare. La storia e lo studio delle uniformi attraverso i tempi sono ormai una vera e propria scienza, ausiliaria della politica e di quella militare soprattutto. L’uniformologia, che può definirsi appunto come lo studio sistematico della storia delle uniformi di ogni Nazione attraverso i tempi ha molti rapporti e riflessi con la storia del costume di cui indubbiamente è parte essenziale e di cui assai spesso segue il trasformarsi e l’evolversi: basti pensare all’influenza che ebbe sull’uniforme il radicale mutarsi dell’abito civile durante la Rivoluzione Francese. Nel parlare corrente, tuttavia, la divisa e l’uniforme, non presentano una differenziazione assoluta, tanto da essere considerati sinonimi. Il rapporto che intercorre tra divise e uniformi e la moda va consi¹ Stato Maggiore della Difesa, 1993.
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derato come il frutto di un’unica esperienza dell’uomo sviluppatasi in due mondi diversi: quello civile e quello militare. L’abito dei militari divenne veramente e diffusamente una uniforme solo nel 18˚ secolo giacché né le armature degli antichi romani, né i particolari simboli dei Crociati si possono in verità considerare delle uniformi: così pure per il Medio Evo corazze, elmi, cotte, mantelli, hanno si segni ed emblemi che distinguono i cavalieri ed i combattenti delle due parti avverse, ma non possono ancora definirsi uniformi nel senso completo del termine. Il nascere dell’uniforme, sia pure in una forma embrionale, è d’altronde fatto tuttora controverso. La Francia rivendica a se tale onore e precisamente al suo re Carlo VII (1422-1461) che con l’adozione della cotta di vari colori, ottenne di poter distinguere tra i suoi soldati un reparto dall’altro. La Germania dal canto suo, sostiene che l’uniforme apparve per la prima volta allo scorcio del X secolo quando la ricca città di Norimberga inviò all’imperatore un reparto di lanzichenecchi, sotto il comando di Willibald Pirkheimer, completamente vestiti in panno rosso. Sta il fatto che il principio dell’uniforme ebbe un carattere puramente simbolico ed i suoi colori predominanti erano bianco, l’azzurro ed il rosso. Da alcuni viene ricordato come il condottiero dei lanzichenecchi Giorgio di Frundsberg nella battaglia di Pavia del 25 febbraio 1525 ordinò ai suoi soldati d’in11
dossare sulle armature delle corte tuniche bianche che li rendevano ben visibili anche da lontano. Egli stesso indossò una tonaca bianca da monaco. Sta di fatto che l’uniforme era ormai nata e si andava diffondendo e perfezionando ovunque. In Francia il bianco dei gigli della Casa di borbone mantenne l’incontrastato predominio. Per quanto riguarda l’Inghilterra va ricordato, anzitutto, che nei primi tempi la tradizionale distinzione delle sue truppe era data dalla rossa croce di S.Giorgio in campo bianco. Una vera uniforme si deve alle disposizioni emanate da Oliviero Cromwell nel 1465 che vanno sotto il nome di New Model Army: il suo colore predominante era il rosso. Nel 1660, regnando Carlo II, l’uniforme non aveva risvolti ed era di taglio ampio con falde che giungevano fino ai ginocchi, staccate e aperte sul davanti. Durante le marce e le esercitazioni gli angoli delle stesse falde venivano abbottonati. In Spagna all’epoca di Carlo V (1500-1558), le sue milizie, la cui composizione era alquanto eterogenea, portava come segno distintivo la sciarpa (banda) di colore rosso. Una prima dettagliata uniforme si ha nel 1635, quando cioè, regnando Filippo IV, si organizzò un corpo di cavalleria i cui componenti erano armati di archibugio: essi avevano una casacca di colore rosso scuro con guantoni di cuoio e bandoliera, il cappello bordato di rosso, gli stivaloni alti di cuoio crudo. Nel 1668 apparve poi per la fanteria il caratteristico “justacor” 12
o giustacuore, ad ampie maniche rovesciate. Soltanto più tardi, intorno agli inizi del ‘700, i vari reggimenti arruolati da facoltosi comandanti cominciarono a vestire con una relativa uniformità. Ciò avvenne in concomitanza con l’introduzione di un severo addestramento formale dei soldati, adottato per ragioni eminentemente tattiche. Venne così meno ogni individualismo nel vestire e nell’equipaggiarsi a favore dell’agire all’unisono e del marciare in ordine per disporsi e muoversi in battaglia in modo tatticamente corretto e efficace. I reggimenti indossavano dunque uniformi secondo il gusto dei rispettivi comandanti e si distinguevano per i diversi colori e decori. Le stesse vistose, colorate divise erano portate tanto in parata che in battaglia, e fino a quando la polvere da sparo procurò, con le scariche di fucileria o le bordate di artiglieria, enormi fumate e densi nebbioni bianchi che invadevano i campi di battaglia, i colori delle uniformi dei diversi eserciti si manterranno costanti: il rosso degli Inglesi, il bianco degli Austriaci, Il blu scuro dei Prussiani, il bianco e l’azzurro scuro dei Francesi. Tuttavia, a partire dalla fine dell’Ottocento, l’uso della polvere da sparo infume consentì di far fuoco senza pericolo di essere individuati dalla nuvoletta bianca che fuoriusciva dalla canna dell’arma, e così per nascondersi efficacemente alla vista del nemico, divenne indispensabile dismettere le uniformi colorate, adottando dei colori più sobri e più idonei a confon13
dersi con il terreno: grigio, grigio-verde e soprattutto il colore kaki. Quest’ultimo colore, di provenienza anglo-indiana, divenne il tono dominante delle tenute da combattimento per la maggior parte degli eserciti del mondo. Le nuove forme di guerra, frattanto, l’esperienza di quella russo-giapponese, consigliarono anche agli altri stati di adottare per l’uniforme dei rispettivi eserciti un colore che tenesse conto del terreno, della visibilità e della facile vulnerabilità: la Francia scelse così il grigio-azzurro, la Germania e l’Italia il grigio-verde. Ma anche i singoli capi dell’uniforme si sono andati modificando attraverso i tempi per esperienze prevalentemente tecniche in quanto queste sono sempre state essenziali. Le fonti che ci permettono di avere dettagliate testimonianze sulla storia dell’uniformologia, hanno suo terreno primario, e forse ancora oggi più fertile, la Francia la cui antica storia e, soprattutto, il potere regio basati essenzialmente sull’armata hanno fatto sì che regolamenti ordinanze e prescrizioni non solo hanno avuto una regolare, metodica successione cronologica, ma sono stati quasi sempre assai precisi e dettagliati. A ciò si aggiunge l’abbondantissima produzione iconografica, soprattutto pittorica, che ha sempre accompagnato, anche come manifestazione corrente e a volte tipicamente popolare, le vicende militari della Francia.
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Tavola pittorica iconografica, Quinto Cenni, Gran Ducato di Toscana, 1849.
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Tavola pittorica iconografica, Quinto Cenni, Gran Ducato di Lucca, 1819.
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Tavola pittorica iconografica, Quinto Cenni, Gran ducato di Modena, 1826.
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I.II. L’uniforme e moda L’esigenza di non farsi individuare ha condotto alle attuali tenute mimetiche, che hanno assunto una grande varietà cromatica e nel disegno dei tessuti, in funzione dei teatri di battaglia per cui sono predisposte. Si hanno così combinazioni policrome con verde e marrone (con ampia varietà di toni) per le campagne alle medie altitudini, dove il bosco è dominante; color sabbia con varie tonalità per le zone desertiche; grigi chiari e scuri a imitazione della roccia per teatri di montagna e per combattimenti per le aree urbane, dove questo mimetismo si sposa con il grigiore metropolitano. In definitiva, le ragioni che hanno all’origine dei cambiamenti delle uniformi, soprattutto in quelle da combattimento, sono da ricercarsi essenzialmente in necessità pratiche di mimetizzazione, benessere e praticità del combattente, equipaggiamento, alloggiamento per le nuovi armi individuali e di gruppo, nonché esigenze di protezione della persona (giubbotti corazzati, elmetti, tute antiaggrassivi chimici, batteriologici, nucleari). A ben guardare, questi straordinari cambiamenti, se depurati dalle armi e degli accessori tecnologici odierni ed esaminati solo dal punto 19
di vista dell’abito, potrebbero rivelare un percorso che, in parte, è anche quello della moda. I caratteri dell’evoluzione della moda sono, rispetto a quelli delle uniformi, più articolati e complessi. La moda è soggetta a continui e più rapidi cambiamenti e subisce l’influenza di molteplici fattori. La funzionalità dell’abito, a cui si pensa immediatamente per analogia del mondo delle uniformi, non appare convincente come fattore di cambiamento della moda, né sembra essere l’aspetto più importante o quello che ha maggiore influenza su di essa. Occorre dunque accettare il dato di fatto che, oltre a criteri di protezione e di pudore, ragioni primigenie della nascita degli indumenti, la moda obbedisce a esigenze di cambiamento infinite e di classificazione del tutto diverse da quelle proprie delle uniformi e delle divise. I trasferimenti e le adozioni da parte della moda di alcuni particolari delle uniformi portate dai soldati in guerra o in parata sono certamente numerosi, alcuni effimeri, altri persistenti. A volte si tratta non di semplici trasferimenti, ma di creazioni da parte dei maestri della moda, di abitiuniforme sia maschili che femminili, specifici per ogni fascia di età. Se si guarda al passato, alcune figure di signore effigiate nelle pubblicazioni di moda dell’Ottocento, mostrano corpetti o piccole giacche decorate con alamari: le allacciature in cordoncino più o meno spesso disposte orizzontalmente sul petto e coprenti interamente la parte anteriore dell’indumen20
to. Gli alamari erano una caratteristica delle divise della cavalleria di tutti gli eserciti fino al 18˚ secolo, che ritroviamo in epoca napoleonica fino al Secondo Impero francese. Tuttavia, si potrebbe imputare agli alamari degli Chasseurs d’Afrique o dell’8° Ussari che combatteva a Balaklava, in Crimea, nel 1854, l’interesse delle signore di Francia e Inghilterra per i corti giacchettino e per quelle allacciature. Gli Ussari, infatti, vestivano una uniforme che si caratterizzava per il “dolman”, una giacca corta alla vita, attillata e decorata sul petto da numerosi alamari, e per la “pelisse”, una giubba da portare sopra il dolman o semplicemente appoggiata alla spalla sinistra, foderata e bordata di pelliccia e ugualmente decorata di alamari. Intorno al 1870 veniva proposto alle amazzoni un abito per montare a cavallo comprendente un giubbino attillato con alamari “alla ussera”; Un mantello-soprabito femminile degli anni 1879-80, denominato “dolman”, era descritto come un corto paletot con ampie maniche pendenti, mentre a metà del decennio era divenuto popolare un corpetto denominato “cuirasse bodice”, che con sufficiente evidenza può ritenersi una derivazione dalla carrozza militare dell’altra prestigiosa specialità della cavalleria, i Carrozzieri, se non altro per la linea del corpetto che copiava appunto la forma di tale accessorio militare. Anche le giacche da camera o da casa di un tempo si fregiavano talvolta di alamari. Questi erano lasciati in parte non allacciati e quindi negligentemente o studiatamente penden21
ti. In tempi più recenti si possono ricordare le tenute dei domatori di animali feroci del circo coperte sul petto da una serie di luccicanti alamari dorati o argentati e arricchite da vistose spalline da generale, ulteriore derivazione militare. Inoltre sì, gli alamari corredano le attuali divise indossate dagli addetti di rappresentanza, dalla servitù o dal personale degli alberghi. Fitzroy James Henry Somerset, 1˚ barone Raglan (1788-1855), era il comandante dell’esercito inglese al tempo della guerra di Crimea nel 1853. Il soprabito da lui indossato era caratterizzato da una particolare forma e disposizione della cucitura delle maniche. Da sotto le ascelle le cuciture salivano fino all’altezza del colletto con un andamento inclinato che in pratica allungava le maniche fino al collo. Era il “raglan overcoat”. Questo stile di cucitura delle maniche, detto appunto a raglan, passò agli abiti civili, ed è tuttora oggi del tutto usuale. James Thomas Brudenell, 7˚ conte di Cardigan (1797-1868), partecipò anch’egli alla guerra di Crimea. Lord Cardigan osava portare un abito corto o giacchetta senza collo, dotato o meno di maniche. Oggi il cardigan è un pullover di maglia, aperto e abbottonato sul davanti. Il generale Bernard Law Montgomery (1887-1976) comandava nella Seconda guerra mondiale l’8ª armata inglese contro gli eserciti italiano e tedesco in Africa settentrionale. Il soprabito che indossava sopra la divisa è diventato un capo d’abbigliamento per giovani e meno giovani. Si trat22
tava di un ampio giaccone a trequarti, per lo più di colore di pelo di cammello, fornito di cappuccio, chiuso sul davanti con alamari di corda, ulteriormente derivazione dai già ricordati cordoni degli Ussari. Un cenno merita anche il generale Arthur Wellesley, duca di Wellington (1769-1852), cui pure la moda è debitrice del Wellington mantle e dei Wellington boots. Ma non è possibile inoltre trascurare un altro indumento che si trasferì dal campo di battaglia alla moda, ossia la camicia di Theodore Roosevelt (1858-1919) e dei suoi soldati. Il futuro presidente degli Stati Uniti, allo scoppio della guerra contro al Spagna (1898), era tenente colonnello di un reggimento che combatté a Cuba, distinguendosi per il valore. La sua uniforme, come quella dei suoi soldati, consisteva in una camicia colore kaki che fungeva da giacca e che divenne simbolo di quel corpo di cavalleria. La moda civile si appropriò di questo capo di abbigliamento conferendogli la denominazione di “rough riders shirt”. Più difficile risulta invece stabilire un’influenza militare sulla moda delle uniformi per le vivandiere dell’Ottocento, che furono impiegate specialmente nell’esercito imperiale di Napoleone III. Esse indossavano costumi che imitavano i colori e gli ornamenti propri del corpo di appartenenza: potavano i pantaloni, sopra questi una gonna guarnita e, a tracolla, l’immancabile bariletto per il sollievo dei soldati. Probabilmente sul taglio dell’uniforme prevaleva un gusto femminile non scevro 23
da qualche frivolezza, frutto anche della moda imperante. Il tutto, comunque, era di un effetto coloristico notevole e per nulla inferiore a quello delle uniformi regolamentari dei commilitoni. In questo caso comunque non si può correttamente parlare di influenza degli abiti-uniforme delle vivandiere sulla moda, ma neanche del contrario: si tratta di una categoria a parte. Un abito che nasce tra i militari ne deve rappresentare l’appartenenza e mostrarne le tradizioni, non di meno la moda del tempo può inserirsi nella creazione del modello e in parte stravolgerlo. Nell’introdurre la gonna sui pantaloni c’era poi l’ulteriore apporto, proprio da parte di chi doveva indossare l’abito, non legato alla moda bensì a una sorta di pudore e insieme all’affermazione della propria femminilità. La versione moderna delle vivandiere è rappresentata dalle “ausiliarie”, che sono impiegate in servizi non operativi ma vestono uniformi stabilite da regolamenti. L’aspetto è quello di un soldato a tutti gli effetti, con qualche indulgenza e consuetudini o tradizioni femminili: le gonne, invece dei pantaloni, scarpe con tacco basso (quando previsti) e soprattutto l’abbottonatura delle giacche e camicie da destra verso a sinistra. Da ultimo, la più recente trasformazione delle antiche vivandiere è avvenuta con le donne soldato, arruolate come combattenti a tutti gli effetti. La loro è una divisa militare senza differenzazioni, la cui tenuta da combattimento rende appositamente difficoltoso il riconoscimento del sesso, più facile da distinguere nelle 24
uniformi da sera e da cerimonia della vita civile.
Pubblicazione di moda dell’’800. Redingote alla moda di Parigi 1822. L’influenza di elementi militari nel guardaroba femminile è evidente nella redingote marrone, di origine maschile, lunga fino alla caviglia e con tripla mantellina sulle spalle e allacciata “alla Brandeburgo” con alamari decorativi e bottoni.
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Manica “a raglan”; le maniche a raglan sono caratterizzate dal giromanica passante sotto l’ascella che salgono fino all’altezza del collo. Sono le piu’ usate per capi sportivi e piuttosto pesanti. Il tipo di giacca con questa attaccatura delle maniche fu indossato per la prima volta, nella guerra in Crimea del 1853, da Fitzroy James Henry Somerset, 1˚ barone Raglan (1788-1855), comandante dell’esercito inglese da cui prende il nome.
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Cardigan; Il moderno Cardigan, pulloer di maglia abbottonato sul davanti, prende il nome dal suo principale indossatore, James Thomas Brudenell, 7˚ conte di Cardigan (1797-1868). Anch’egli partecipò nella guerra in Crimea, indossando però un abito corto o giacchetta senza collo, dotato o meno di maniche con abbottonatura centrale.
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Montgomery; ampio giaccone con cappuccio e tasconi, chiuso davanti con alamari. Prende nome dal generale Bernard Law Montgomery (1887-1976) comandante nella Seconda guerra mondiale dell’8ª armata inglese contro gli eserciti italiano e tedesco in Africa settentrionale. Il soprabito che indossava sopra la divisa è diventato un capo d’abbigliamento per giovani e meno giovani. Si trattava di un ampio giaccone a trequarti, per lo più di colore di pelo di cammello, fornito di cappuccio, chiuso sul davanti con alamari di corda, ulteriormente derivazione dai già ricordati cordoni degli Ussari.
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Rough riders shirt; camicia con taschini che prende nome dal suo principale indossatore Theodore Roosevelt (1858-1919). Il futuro presidente degli Stati Uniti allo scoppio della guerra contro al Spagna (1898), era tenente colonnello di un reggimento che combatté a Cuba e insieme ai suoi soldati utilizzava questa camicia. Essendosi comportato con valore, insieme alla sua armata, si appropriò di questo capo di abbigliamento conferendogli la denominazione di “rough riders shirt”.
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I.III. Bande musicali e uniformi civili
Il trasferimento di elementi dalle uniformi militari alla moda civile ha prodotto una diversa categoria di abiti, quelle delle bande musicali, la cui origine è antica. In Italia e in particolare nel Lazio, all’inizio dell’Ottocento, sotto l’influenza francese si è sviluppata la formazione di bande musicali e si è diffusa l’attività bandistica. Le uniformi di queste formazioni, documentate da disegni e bozzetti, comprendevano anche l’uso della spada o del gladio, che potevano cingersi solo in occasioni consentite dall’autorità politica locale. In Italia e all’estero, molte manifestazioni, ricorrenze pubbliche, cerimonie o feste religiose sono tutt’ora accompagnate dalla presenza di una banda musicale, i cui componenti indossano uniformi più o meno d’intonazione militare, e lo stesso direttore d’orchestra spesso sembra un ufficiale comandante. Talvolta mostrano un eccessivo sfoggio di pennacchi, alamari, spalline e decorazioni, che appaiono come ricordi, riesumati a fatica, di una tradizione lontana e di un tempo lontano. In ogni tempo e anche per le uniformi cosidette storiche, ai componenti delle bande militari e al loro più sontuoso rappresen31
tante, il tamburo maggiore, competevano uniformi particolarmente decorate, con colori delle varie parti dell’abito invertiti rispettivamente a quelli delle truppe ordinarie. Analogo al fenomeno delle bande musicali, è il trasferimento di spunti spiccatamente militari alle divise civili di categoria, oramai sempre più spesso ingentilite dal design di affermati stilisti, grazie ai quali hanno perduto gran parte del loro esasperato rigore, rientrando nei canoni estetici della moda corrente. I piloti, le hostess e tutto il personale di volo e di terra delle linee aeree civili, per il prestigio delle società e anche per il piacere dei viaggiatori, vestono secondo le creazioni dei maestri della moda, i quali attingono alla loro creatività non abbandonando completamente una linea di ispirazione uniformologica. Rimanendo nel campo delle divise civili, la categoria che fino agli anni del secondo dopoguerra e del boom economico ha notevolmente subito gli stessi processi di trasformazione delle uniformi militari, è stata quella dei dipendenti delle ferrovie e dei trasporti pubblici e, in misura ridotta, dei dipendenti delle poste. In Italia, il colletto rigido, diritto, chiuso sotto il mento della giacca dei ferrovieri e dei tranvieri fu adottato fino agli anni Cinquanta del Novecento. In considerazione della loro mansione, solo i capistazione avevano il collo del doppiopetto nero aperto, camicia bianca e cravatta nera. Il berretto era a tubo notevolmente accentuato nella 32
sua altezza, esattamente come il berretto degli ufficiali italiani della guerra di Libia e della Prima guerra mondiale. Successivamente di passò all’apertura del bavero della giacca lasciando più in vista la cravatta e l’adozione del berretto di tipo piatto. Anche l’abbigliamento dei giovinetti, in particolare quello maschile per celebrare la prima comunione, è stato influenzato negli anni Trenta e Quaranta del Novecento da caratteristiche di tipo militare. Mentre le bambine si avvicinavano al sacramento per la prima volta vestite di bianco, i maschietti vestivano divise in miniatura, con al braccio sinistro in nastro della cresima che si riceveva prima della comunione. Erano come piccoli ufficiali tutti vestiti d’azzurro, poiché l’aeronautica era l’arma preferita per questa evenienza (probabilmente per la fama raggiunta dalle imprese aviatorie di quegli anni), e sul capo portavano il relativo cappellino, rigorosamente piatto e con il fregio dell’arma azzurra conforme al regolamento militare. La scarsa predisposizione per i marinaretti era del resto compensata da molto tempo, e non solo in Italia, dalla diffusione dell’abito divisa “alla marinara” per i bambini e dei giovinetti, è opportuno anche ricordare gli abiti da cerimonia degli eredi delle grandi dinastie regnanti in Europa a cavallo tra Ottocento e Novecento. I piccoli principi reali o imperiali venivano ritratti, in foto ufficiali, vestiti con uniformi ridotte, ma che riproducevano fedelmente quelle degli ufficiali dei corpi più prestigiosi degli eserciti dei loro coronati genitori. Per 33
quanto riguarda invece i marinai e i capitani, non militari, della marina mercantile, delle navi da crociera e delle flotte transatlantiche, la derivazione militare o, meglio, la commistione civile-militare delle loro divise è cosÏ intima che solo un esperto di uniformologia saprebbe distinguere i militari dai civili.
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In alto e nella pagina dopo, raffigurazioni pittoriche di Quinto Cenni; uniformi della Legione Lombarda, 1796. Nella pagina a fianco, banda musiacle del 1째 Reggimento Granatieri di Sardegna. Esempio di come sia molto influenzata la divisa delle attuali bande musicali da quelle militari passate.
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Parte II. Aspetti sociologici e trasferimenti nella moda
II.I.
Reciprocità di trasferimenti tra uniformi e moda
Un ulteriore e particolare lascito è quello ravvisabile nell’adozione, diffusa durante la contestazione del 1968 e negli anni Settanta, da parte di tanti giovani dell’”eschimo” (o eskimo, impermeabile al ginocchio, imbottito, dotato di cappuccio e chiusura lampo) e della “field racket” (giacca di cotone allacciata con chiusura lampo e dotata di tasche e taschini chiusi con patta e bottoni). I due capi d’abbigliamento, in numerose versioni militari, furono indossati dai soldati statunitensi impegnati in vari scenari di guerra. Anche la T-shirt, arrivata in Europa con le truppe americane della Seconda guerra mondiale, ebbe un enorme e duraturo successo. Vago e il suo legame con la tradizionale maglia di lana, corredo usuale di civili e militari. Negli ultimi anni del Novecento le aziende tessili hanno inoltre prodotto tessuti mimetici, per disegno e colorazione, che sono stati impiegati per la confezione dei vari tipi di capi di abbigliamento, anche di quelli più inverosimili in quanto a necessità di mimetismo, dagli abiti da sera alla 37
biancheria intima femminile. I lasciti e i trasferimenti integrali o parziali d elementi della moda alle uniformi militari sono ugualmente numerosi e diffusi. In generale, la linea, il taglio e l’aspetto delle uniformi sono grandemente influenzati dai corrispondenti elementi dei vestiti proposti dalla moda corrente maschile. Il taglio delle giacche e dei pantaloni, i particolari delle tasche, l’apertura del collo, i risvolti e la piega dei pantaloni, l’essere più o meno aderenti alla persona sono imposizioni della moda tanto per gli abiti dei borghesi che per quelli dei militari. Se la moda propone novità, queste compaiono subito sugli abiti civili, ma con qualche ritardo, anche considerevole, sugli abiti militari. Le ragioni di tale ritardo sono dovute a lentezze burocratiche per la compilazione di manuali e regolamenti, per la loro approvazione e attuazione, e soprattutto a una certa tendenza al conservatorismo dei vertici militari. A ciò va aggiunto il fatto non trascurabile che, prima di adottare le nuove uniformi, bisogna pensare a smaltire, cioè a distribuire alle truppe, quelle vecchie giacenti in grande quantità nei vari magazzini militari, e per farlo di solito occorre un certo numero di anni. L’abbigliamento militare dei Russi e poi quello dell’esercito sovietico non è stato insensibile alle influenze della moda civile. La camicia-casacca militare (gimnastërka), portata lungo la guerra russo-giapponese (1904-05) e fino dopo il 1971, nella foggia chiusa al collo con corta abbottonatura 38
sul petto e polsini stretti , non è altro che la lunga blusa (rubaška) del “mužik” del folclore russo. La reciprocità di trasferimenti tra uniformi e moda e le contestuali adozioni di elementi di vestiario o di capi interni nell’abbigliamento militare e civile, si presentano numerose e, proprio per questo, rendono difficile la loro assegnazione all’una o all’altra categoria. Questa difficoltà e la relativa ambiguità di classificazione rendono necessario il presente ambito di indagine allo scopo di considerare quegli eventi che possono essere ricondotti a spontanee e comuni innovazioni effettuate nei due campi. Riguardo alla sahariana, che ha avuto particolare successo di moda maschile verso la fine degli anni Sessanta del Novecento, sembra chiara la sua derivazione dalla giacca militare diffusamente impiegata in territorio africano degli Inglesi e dagli Indiani fin dalla conquista dell’Etiopia. La sahariana, d’altra parte, è strettamente imparentata con la “safari racket”, portata da quanti erano dediti alla caccia grossa, e questa a sua volta, sembra derivare dalle giacche sportive, modificate, indossate dai primi esploratori dell’Ottocento. Com’è facile constatare, è preferibile lasciare sospeso giudizio sulla derivazione civile o militare di questo capo, tanto più che esiste da molto tempo il gilè da caccia, provvisto di tasche e ganci, di cui oggi è copia conforme il gilè dei turisti. La consuetudine stessa di inserire proiettili con bossolo da caccia grossa in appositi contenitori cilindrici di stoffa cuciti sopra 39
o al posto delle tasche superiori del gilè o della sahariana si riscontra in alcune uniformi di reggimenti indiani, come ad esempio il 10˚ “Jat Regiment”, prima della dichiarazione di indipendenza dell’India dalla Gran Bretagna (1947). Per ritornare al mondo degli esploratori e dei cacciatori, bisogna aggiungere che il copricapo da essi adottato fino a tempi non tanto lontani era il caso coloniale in sughero, spesso dotato di un velo che ombreggiava le spalle. Si trattava dello stesso copricapo utilizzato dalle truppe coloniali europee della fine dell’Ottocento e del Novecento. Un primitivo modello di “tropical hat” fu portato nel 1789 dagli scozzesi del 74˚ Reggimento in India. Certamente non secondario per importanza e diffusione è l’impiego dell’impermeabile in ambito sia civile sia militare. È opportuno ricordare che fu il chimico scozzese “Charles Macontosh” (1766-1843) il primo a brevettare il materiale detto “waterproof”, in realtà strati do gomma indiana e nafta, da lui stesso inventato e che fu accolto con sfavore solo perché diffondeva un cattivo odore. Il termine “mackintosh” (o “macintosh”) divenne da allora sinonimo di impermeabile. Più fortunato fu Thomas Burberry (1835-1926) che alla fine del 1880 introdusse il tessuto a prova d’acqua affidando il suo nome a un particolare tipo di impermeabile, impiegato soprattutto nelle tenute dei motociclisti e dei primi spericolati automobilisti. Lo stile e il taglio di questi indumenti si trasferirono quasi integralmente agli impermeabili militari, e 40
se ne ha un esempio in quelli indossati dai motociclisti della “Feldgendarmerie” nazista. In tema di accessori, il bastone da passeggio, puro elemento decorativo del vestire signorile, si contrappone all’insegna del comando militare, anch’essa elemento decorativo dei marescialli di Germania e Francia. La storia del bastone è stupefacente: “tirso” e “caduceo” per le divinità della mitologia, “lituus” per gli auguri, “Fascio” per i littori, “vitis” per i centurioni romani, scettro per i regnanti, pastorale per i vescovi, “alabarda” per i sergenti, “spontoon” per gli ufficiali di fanteria del Settecento, “saihai” per i nobili “daimyō” giapponesi. Lo stesso ventaglio, sollievo contro i calori estivi e anche riparo per i sorrisi di fanciulle e signore, rappresentava in Oriente insegna nobiliare e stendardo di clan giapponesi da issare in combattimento, ovvero segno di autorità dei funzionari imperiali cinesi e vietnamiti. Un caso limite di travaso di elementi di moda dall’ambito civile alle uniformi e viceversa, può verificarsi quando un trasferimento da un campo all’altro avviene in modo integrale e ha una connotazione o una imposizione specificamente politica. In Cina Mao Zedong impose come credo politico un abito civile di vaga linea russa, che fu indossato per anni da milioni di cittadini cinesi, uomini e donne indifferentemente. Folle enormi di individui, come forse solo in Cina è possibile vedere, vestivano alla stessa maniera con pantaloni e una casacca chiusa sul davanti di colore verde, talvolta grigio o blu, col41
letto rovesciato e tasche sul petto. Di forma, colore, struttura identica erano tutte le uniformi dell’esercito della Repubblica Popolare Cinese, senza distinzione di grado, almeno all’inizio; unica concessione inevitabile la stella rossa sul berretto. Anche in Italia il regime fascista (come quello nazista in Germania) assegnò a tutti gli italiani, uomini e donne, compresi bambini e bambine, uniformi civili. Abiti-uniforme erano anche assegnati agli impiegati di ruolo e ai funzionari dei ministeri e delle attività lavorative pubbliche, con distintivi di riconoscimento dell’appartenenza ai gruppi gerarchici dell’organizzazione del lavoro. Occorre infine accennare a un altro aspetto della moda militare, ossia quello cosiddetto “fuori ordinanza”. In genere si applica questa definizione a un particolare, ad un accessorio dell’abito militare, o a un atteggiamento o comportamento tollerato, ma non previsto dai regolamenti. Il fuori ordinanza denota una sorta di attaccamento sentimentale, patriottico a una caratteristica uniformologica del passato o riguardante fatti d’arme o episodi memorabili o gloriosi del corpo o del reggimento di appartenenza.
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II.II
Il mito della divisa
Il mito della divisa è alimentato dai gradi, colori, insegne, ornamenti, che costituiscono un capitolo importante nella “cultura della guerra” e dalla sua capacità di trasmettere delle connotazioni di forza, di difesa, di aggressività, trasformando qualsiasi individuo in eroe. Le suggestioni date da questa “mascheratura”, consentono al soldato il privilegio di accostarsi a un modello ideale, di mostrarsi diverso dalla realtà in una sensazione di potenza. Giacomo Casanova, in una fase della sua vita, ordinò al suo sarto di realizzare una divisa militare cucita a pennello su di lui, per donare al suo aspetto fiera imponenza e fascino. Affidando la sua immagine a tale maschera, Casanova è ben consapevole del potere di fascinazione da essa esercitata, della sua capacità di creare un uomo nuovo, condizionando l’atteggiamento mentale non solo suo, ma di tutte le dame che avrebbe voluto. Anche Gabriele D’Annunzio vive, come Casanova, nell’esigenza di mostrarsi e apparire. La sua smania di curare la sostanza dell’essere e la bellezza dell’apparire per porsi in tutti i modi come figura unica, inimitabile, si manifesta anche in questa occasione e, anche se pienamente assorbito dall’attività di combat43
tente, non trascura la sua eleganza, anzi evidenza l’eleganza dell’uniforme. Le fogge di D’Annunzio sono quelle d’ordinanza, ma interessanti e trasgressive appaiono alcune combinazioni dei capi, sempre confezionati dai migliori sarti italiani e stranieri: camicie di seta e papillons indossati sotto le uniformi e sopra gli stivali fasce di cashemere “made in England” al posto di quelle comuni in tela. Se si considera la divisa come carattere simbolico di uno splendore espressivo, attributo essenziale alla regalità, una testimonianza esemplare è data dalla figura di Napoleone Bonaparte. Nell’immagine che Napoleone ha dato di sé, un aspetto è legato ad una precisa iconografia politica, del generale in cerca di affermazione che indossa abbigliamenti ricercati; un altro in cui, ormai elevatosi alla dignità imperiale, potea permettersi il lusso della semplicità dell’uniforme di caporale d’onore della Guardia, con l’accortezza però di circondarsi di un seguito ostentatamente “elegante”, che metteva in risalto la diversità della sua figura. All’esigenza di darsi un’immagine, di nobilitarsi, è dovuto il ripristino dei fasti dell’Ancien Régime attraverso il lusso e lo sfarzo delle uniformi dell’Armata e della Amministrazione che rappresentano la potenza dello stato. La divisa non ha sempre avuto il simbolo di servitù, ma già a partire del XVIII secolo assume il potere di grande attrattiva proprio per il desiderio di identificarsi con la monarchia, come incarnazione di Stato. 44
Un altro aspetto che contribuì alla diffusione della divisa fu la scoperta che essa poteva essere, un’alternativa all’habit à la française, lo sfarzoso abbigliamento diffuso da Luigi XIV al principio del XVIII secolo, come abito da società; il frac, d’altra parte, non venne ritenuto idoneo ad assolvere a questa funzione fino all’epoca di Luigi Filippo, re “borghese”. L’immagine consueta della regalità è stata sempre condizionata dell’esigenza di apparire, specie in occasioni pubbliche, cerimoniali, o nelle immagini che si affidano alla posterità.
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Nell’enturage napoleonico, la gara per esibire l’uniforme più ricca era particolarmente accesa tra I maresciallo di Francia. Personaggio di rilievo in questa ricerca era Murat, in alto, noto per l’opulenza, tra l’oriente e il ciarlatanesco, delle sue uniformi.
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Napoleone Bonaparte in alta uniforme e posa militare. Le vesti e le pose gli conferiscono un’immagine di potenza e grandezza.
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II.III. Androginia Se l’uniforme militare rappresenta l’indumento maschile per eccellenza, va da sé come la giacca, fin dalla sua nascita, sia stata appannaggio esclusivo del guardaroba maschile. Solo negli ultimi duecento anni la giacca lentamente comincia a entrare nel guardaroba femminile e in particolare nel Novecento, in concomitanza della rivoluzione femminista e della rivendicazione dei propri diritti politici e civili. A partire dagli anni ’70 e ’80 la condizione retrograda della donna evolse progressivamente: la donna non vive più di riflesso all’uomo, ma con la sua intelligenza e personalità pretende di essere libera da ogni convenzione manifestandolo anche con forme abbigliamentarie maschili. In particolare, la contestazione giovanile degli anni ’70 e la cultura Hippy e Beat, aprirono la strada a forme di protesta che si estesero al di là dei valori del pacifismo e del ritorno alla natura, comunicando apertamente un totale disinteresse per la moda, privilegiando l’attenzione per temi più importanti. Tale tendenza culturale si manifesta attraverso la moda “unisex” che portava alla totale uniformità di aspetto l’uomo e la donna. La nuova linea super-aderente e attillatissimi, 49
vestiva indifferentemente entrambi i sessi; le camicette venivano portate aperte fino all’altezza della vita per esibire un tenace androgino; i jeans e la giacca da uomo divennero il simbolo di una generazione che tendeva all’uniformità della propria immagine, simbolo di una nuova parità, in termini di diritti e ruolo sociale, che la donna gradualmente aveva conquistato. Gli anni ’80, che hanno visto il primo riscatto della donna nella società e nel mondo del lavoro, traghettarono l’immagine della “carreer woman”, come versione femminile dello yuppie. La giacca diventa l’indumento simbolo della nuova donna mascolina, potente e volitiva: androgina, per l’appunto. Nei ruoli professionali di responsabilità, le donne prediligevano il tailleur-powerbusness, insieme al tailleur pantalone. Le spalle imbottite prese in prestito dall’altro sesso, avevano il compito di trasmettere autorità e potere, di realizzare le aspirazioni dell’emancipazione. Anche se la silhouette maschile, grazie a stilisti come Giorgio Armani e alle sue spalle imbottite, aveva assunto un aspetto più mascolino, la moda maschile, nel suo insieme, acquisì una valenza più femminile. Gli uomini cominciano ad adornarsi curando minuziosamente il proprio aspetto ed il guardaroba. È così che inizia un processo di uniformità nel modo di vestire e del limitarsi delle differenze tra l’abbigliamento maschile e quello femminile, fino ad arrivare ad una non distinzione tra maschio e femmina, femminile e maschile, al travestimento e in alcuni casi all’androginia. 50
Secondo uno studio psico-antropologico, alla femminilità si collega l’ornamento, alla mascolinità il dovere. I maschi sicuri e potenti vestiti da Armani testimoniano questo mutamento culturale, divenendo il turno della seduzione maschile. E se la presunta inferiorità femminile viene meno, i due ruoli si mescolano tra loro e gli uomini ne assumono un nuovo aspetto, in campo vestimentario, rivendicando attributi ed espressioni tradizionalmente di prerogativa femminile. In realtà, questi attributi non sono mai stati di esclusiva femminile; la sartoria della moda dimostra che l’inclinazione all’abbellimento è una caratteristica comune ai due sessi. E’ arbitrario ritenere che gli omosessuali vogliono essere necessariamente più femminili; è più corretto pensare che l’ostentazione sociale e sartoriale, che gli uomini eterosessuali avevano riservato per le mogli, siano state adottate da loro. Nei giorni d’oggi gli uomini, omosessuali o eterosessuali che siano, hanno un interesse per la cura del corpo e della moda. La moda maschile moderna ha tendenze di effeminatezza e viceversa, la moda femminile ne risulta spesso mascolinizzata, nel tentativo di rendere meno evidente la differenza tra uomo e donna e la presunta superiorità degli uomini sulle donne.
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L’uso di pelliccie di tipo femminile da parte dell’uomo (figg. a sinistra) e di allacciature o cerniere lampo maschili da parte della donna (figg. in alto) rientra nell’intento di abolire la differenzazione tra i due sessi ed é stato ampiamente sfruttato dalla pubblicità, come nella reclame dei jeans Levi’s, uguali per entrambi i sessi (figure della pagina antecedente).
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Completo giacca-pantalone dal sapore androgino, Yves Saint Laurent.
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Coll. “The Big Journey” A/I 1994-’95. Uomo e una donna in una posa specchiata con un abbigliamento identico, unisex. L’ambiguità sessuale è uno dei temi costanti della sua ricerca.
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Doppio petto uomo a margherite, Ken Scott, 1969. I giovani proposero un nuovo look con capi colorati, in stampe improbabili. Una giacca di taglio maschile con una stampa presa dal mondo femminile.
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II.IV. Travestitismo Nel corso della storia sono molti gli uomini che si travestono con vesti femminili: tra gli imperatori romani, Caligola, che secondo lo storico Svetonio amava indossare abiti femminili ed Eliogabalo, che entrò a Roma vestivo di seta e oro con lungo strascico, tiara, gli occhi bistrati e rossetto alle guance, chiedendo di essere onorato dai suoi sudditi come “imperatrice”. Uno dei primi travestiti documentati dalla storia, Francesco Timoleonte de Choisy, nato nel 1644, fino a dieci anni si vestì sempre da bambina e solo quando fu mandato alla Sorbona a diciotto anni mise gli abiti maschili. Mentre diventava abate di SaintSeine recitava come attrice al Bordeaux, e continuamente nella vita privata si divertiva a cambiare abito. Fece un matrimonio di convenienza con una certa Mademoiselle de Charlotte, che a sua volta si divertiva a portare abiti maschili facendosi chiamare “Monsieur de Maulny”. Il matrimonio, nonostante la complementarità, non andò bene e de Choisy si ritirò in una villa sotto il nome e vesti di contessa di Barres. Inviato, come abate a Roma, si presentò vestito da donna al ballo dell’incoronazione del papa Innocenzo XI nel 1676. Nelle sue memorie scrisse: «E’ strano e impossibile cambiare 61
l’abito che si è portato nell’infanzia. Quasi dalla nascita fui abituato da mia madre a portare indumenti femminili, e così continuai a portare nella mia giovinezza» e ancora «Indossavo una gonna di damasco bianco rigata di taffettà nero.., un corsetto di un pesante moiré d’argento.. E’ dolce ingannare gli occhi del pubblico». Sebbene oggi il travestimento sia legato ai temi dell’entità sessuale, nella storia e nelle diverse culture è stato associato con i rituali sacri e con l’espressione del dissenso sociale e politico. In alcune culture il travestitismo è stato quasi istituzionalizzato come un terzo sesso. Nelle tribù nordamericane del Dakota e della California i Bardaches sono uomini vestiti da donna che svolgono funzioni tradizionalmente attribuite al sesso femminile; non è possibile sapere se i Bardaches fossero eterosessuali o omosessuali, comunque il loro ruolo era bene accetto e integrato; rara eccezione rispetto alla nostra cultura, che vede il travestitismo come fenomeno drammatico e terribile. Anche in alcune religioni primitive, gli sciamani, cioè coloro che comunicano con le divinità, durante i rituali cerimoniali si travestono da donna per rappresentare il grande potere della fertilità e della rinascita divina. L’iniziato era chiamato nel sonno a diventare sciamano, a volte la sua vocazione emergeva attraverso la sorgente della follia o di una malattia grave. In ogni caso il futuro sciamano doveva rinascere prima di poter assumere il suo ruolo e per segnare tale nascita si 62
travestiva da donna, divenendo metaforicamente maschio e femmina insieme. La doppia natura, l’androginia, la coesistenza dei due sessi rappresentava uno stato di potere che innalzava al divino. E, fino a prima che varcasse la soglia dell’età adulta, essendo sia maschio che femmina, il futuro sciamano si doveva concedere sia alle donne che agli uomini per rafforzare la sua doppia sessualità, poiché attraverso la manipolazione del maschile e del femminile, si può manipolare vita e morte, uomo e animale. In Africa, i ragazzi Masai, come gli antichi egizi, dopo essere stati circoncisi portano vesti femminili fino a quando la ferita non è rimarginata. Il cambiare abito può anche essere un modo per mettere in risalto le costrizioni, le norme, gli stereotipi che governano i comportamenti sessuali, per prendere così in giro i valori umani, convenzionali, invertendo i segni del sistema, economicamente compromesso e moralmente complicato, che gli abiti rappresentano. Già nella Bibbia, nel “Deuteronomio”, era ritenuto un oltraggio a Dio che le donne mettessero vesti maschili e viceversa, e fino a poco tempo fa in Inghilterra i travestiti erano ritenuti così sovversivi da essere pubblicamente derisi e umiliati. Piuttosto, il travestimento era bene accetto, fin dall’antichità nella prostituzione: in Egitto l’uomo-prostituta aveva il corpo completamente depilato, bocca, mani e piedi dipinti con l’henna e un fiore dietro l’orecchio; in India travestiti si prostituivano e in Giappone gli uomini-geisha, chia63
mati “ragazzi-sorelle”, venivano allevati e formati alle arti della donna e di una vera geisha. Tali forme di prostituzione hanno fatto pensare erroneamente che il travestitismo fosse esclusivamente legato all’omosessualità mentre, come abbiamo visto, la storia dell’uomo è ricca di esempi di natura differente. Si pensi all’attore di farse e pantomime del teatro greco in cui il travestirsi, lo scambio tra persone ed il gioco di maschere, erano finalizzate all’ironia e al paradosso, poiché l’umorismo nasce anche dall’invertire le leggi e le situazioni sociali. Inoltre, fino al XVII secolo, negli spettacoli teatrali, erano gli uomini a fare le parti delle donne, portando vesti femminili dal momento che alle donne era privato recitare. I puritani, in Inghilterra, fecero chiudere i teatri nel 1642; quando riaprirono, anche le donne cominciarono a recitare e poterono personificare ruoli maschili. Il travestimento maschile invece, avendo perso funzione e autorità drammatica, si fissò sul piano comico e farsesco, avendo come oggetto signore di mezz’età, lontane da ogni forma di erotismo. Nella prima metà del Novecento, tra le due guerre, si sviluppava una nuova forma di travestitismo più accesa, un “glamour internazionale”: in Francia e in Germania vi erano spettacoli fatti da travestiti o da transessuali, in cui gli attori non erano più interessati all’aspetto comico del travestimento, ma alla vera e propria simulazione della femminilità, impersonazione 64
totale e non più parodia. Viene messa in scena ed evidenziata l’ambiguità, sia fisica che psicologica e tutti quegli elementi che ruotano attorno alla vita psicosessuale di ogni individuo. Le avanguardie artistiche e la cultura postmoderna ha sviluppato nelle più diverse direzioni il concetto di travestitismo e trasgressione, e più ancora l’arte, la musica ha dato il suo più importante contributo. Alcuni cantanti rock come David Bowie, Michael Jackson, Marilyn Manson, Brian Eno e molta della produzione video musicale in ambito pop, rivendica apertamente l’ambiguità sessuale con la conseguente negazione di un sesso definito, singolarmente differenziato tra mascolinità e femminilità. Queste diverse forme di travestitismo in qualche modo riflettono i diversi significati che l’indossare abiti comporta per la psiche individuale: travestitismo, omosessualità e transessualità sono forme diverse di vivere e di trasformare l’identità maschile. Il transessuale, contrariamente a quanto si possa pensare, può essere eterosessuale o omosessuale, ed è una persona che ama vestirsi e atteggiarsi da donna e che magari, una volta vestito da uomo, non ha alcun atteggiamento effeminato. Alcuni transessuali si limitano a vestirsi da donne senza mutare il proprio corpo, mentre molti altri modificano il proprio corpo con interventi di chirurgia; ma il travestitismo non è solo appannaggio del mondo maschile: ci sono molte donne 65
che usano indumenti maschili. Le donne, grazie alla molteplicità di ruoli che oggi rivestono, e grazie alla società di stili e tipologie abbigliamentarie cui possono attingere, non hanno bisogno di arrivare a quella modalità di travestimento che abbiamo appena descritto. Per loro travestirsi ha semmai più il significato di un’acquisizione di potere che non di difesa da un pericolo. Nella storia troviamo casi famosi di donne che hanno indossato indumenti da uomo, oltre Giovanna d’Arco e George Sand, Mary Read e Ann Bonny , due piratesse inglesi del XVIII secolo, o Cristina Davies, nata nel 1667, che si arruolò nell’esercito e servì il duca di Malboroug in molte campagne. Il travestimento femminile non è mai stato bene accetto e difatti, nel 1858, l’americana Amelia Bloomer ebbe l’idea di introdurre nel guardaroba femminile una forma di pantalone da abbinare ai corsetti steccati; questi furono considerati come un attentato alla morale borghese, al matrimonio e una deviazione pericolosa verso l’emancipazione femminile. Bisognerà aspettare il Novecento prima che il travestimento femminile cominci ad essere gradualmente accettato, pur se visto come un’eccentricità da considerare benevolmente, o addirittura un bizzarro omaggio alla superiorità della figura maschile.
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1. Ippolita in combattimento con Teseo, IV secolo
a.C.
La tendenza a adottare l’abbigliamento e gli atteggiamenti dell’altro sesso è da sempre conosciuta. Si consideri il caso delle due donne guerriere dell’antichità (figg. 1-2), che usavano armature, corazze, elmi, e viceversa l’evidente effeminatezza di certi indumenti maschili del passato, tuniche ecc. (fig 3)
2. Amazzone, da vaso greco, IV secolo
a.C.
3. Personaggio maschile, da vaso greco, IV secolo
a.C. 67
Il travstimento nello spettacolo, teatrale e cinematografico che sia. Esalta il talento e la capacitĂ degli attori, assumendo un carattere puramente comico e liberatorio.
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Ru Paul Andre Charles (San Diego, 17 novembre 1960) è un cantante, attore e personaggio televisivo statunitense. Attivo già dalla metà anni ottanta, RuPaul diventa popolare negli anni novanta come drag queen. In quel periodo infatti compare in numerosi show televisivi statunitensi e film.
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“Sua madre la chiamò Mary, ma lei cambiò il suo nome con Tommy” (She’s got medals, dal disco Images di David Bowie), 1966-1967. Nel grande mito del rock e delle sue star, l’importanza dell’aspetto esteriore nel rapporto artista-pubblico prende spesso la strada più trasgressiva: il travestimento scioccante che tocca tematiche ambigue, sessuali e spesso violente.
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Michael Jackson, trasgredisce non solo nello spettacolo, ma anche alle leggi della natura. Con la sua continua ossessione nel volere cambiare colore della pelle, si sottopone a innumerevoli interventi chirurgici, raggiungendo un’immagine fisica al limite del reale. Volto e look dal sapore androgino, dove nulla è definito.
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Marilyn Manson, TRASGREDISCE CON UN TRAVESTIMENTO ANDROGINO DAL SAPORE hORROR E VIOLENTO.
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II.V. Il mito androgino di Armani
Negli anni ’70, introducendo la giacca da uomo per la donna, Armani ha dato inizio a una vera e propria rivoluzione. In quegli anni, se per i creatori di moda il punto di partenza era osare per stupire, Armani decide di non stupire. Per Armani lo sviluppo della moda è legato alla ricerca di nuovi materiali e dettagli e alla reinterpretazione di giacche e cappotti, pantaloni, panciotti e smoking presi in prestito dal guardaroba maschile e rivisitati in chiave femminile, con sobrietà e minimalismo. Il tutto è sintetizzato nella parola “Androginia”. Erroneamente viene utilizzato il termine “maschile” per descrivere i tailleurs giacca-pantalone di Armani, ma l’abito maschile è solo il punto di partenza, non il protagonista assoluto. L’abito maschile indossato da una donna, abbinato a cravatte e tacchi a spillo alti, è il tocco riconducibile a Yves Saint Laurent. Ma Armani ne esalta l’opposto, rivisitando l’abbigliamento maschile sulla donna: i colli divengono più ampi, le spalle arrotondate e, seno enfatizzato e messo talvolta 75
in mostra, se lo scollo della giacca è pronunciato; ai tacchi alti preferisce i sandali bassi, conferendo alla donna un’immagine dolce e delicata. Come afferma lo stesso Armani: ”Ho rifiutato l’approccio di netta opposizione avvicinando i confini tra le differenze di sesso, tra “l’essere” femminile e il “fare” maschile, creando un nuovo stile estetico e visuale in grado produrre potere in modo autonomo, divenendo l’eleganza uno strumento di protezione. Credo in una eleganza, in una moda che segue i cambiamenti in atto delle donne e del mondo: essenza, semplicità, forma, rigore, bellezza sobria e colori misurati. Questa convinzione ha suggerito un modo di essere, un modo di agire in linea con un nuovo concetto di classico. Non concepisco l’abito come un oggetto fisso su identità antropologiche e sociali, ma come un oggetto mobile, in movimento e trasformazione, personificando la fine della separazione e della struttura.”¹ Proprio nella separazione lo stile Armani ha cercato una transizione tra l’abbigliamento maschile e quello femminile, portandole in una fusione delle differenze, facendo si che la moda si indirizzasse verso una sensualità neutrale basata sulla creazione di vestiti in grado di abbracciare gli entrambi sessi. “L’obbiettivo delle mie creazioni è quello di evitare che il prodotto fosse riconducibile ad un sesso piuttosto che all’altro. Dato che essere “alla moda” significa condividere le abitudini estetiche di una massa globale di persone, cioè riconoscersi negli 76
altri e condividere le aspirazioni generali per elevare se stessi, ho iniziato a intrecciare gli opposti: maschile e femminile, proletario e borghesia, locale e internazionale, classico e sperimentale, presente e passato, haute couture e prêt-à-porter, produzione di massa e pezzi unici, struttura e antistruttura, corporeo e incorporeo. Nel linguaggio della moda questo ha significato la coesistenza delle relazioni tra segni opposti con le qualità dell’uno che entrano nell’altro, e viceversa.”¹ Armani ha dato inizio a questo processo destrutturando la giacca: “Ho scardinando il sistema di regole e costanti cambiando le proporzioni, sfruttando le imperfezioni e sovvertendo le convenzioni al punto che ordine e simmetria, essenzialità e complessità, morbidezza e rigidità, opacità e trasparenza, finiscono per integrarsi reciprocamente in uno stile sensuale e naturale. Una nuova concezione del vestire dove la struttura non domina il movimento, ma interagisce con essa in termini di pienezza e morbidità, così come il corpo che non è più coperto dall’abbigliamento, bensì si intreccia con esso, formando un’unità dove nella quale scaturisce un’alleanza tra sensualità e oggetto.” ¹ D'altronde dato che la sensualità è una caratteristica maschile quanto femminile, la sua giacca destrutturata del 1975 dà il via libera ad una nuova moda dove le differenze si annullano in abiti che si adattano al corpo maschile e femminile. “Il mio lavoro è nato intorno alla giacca. È stato il punto di partenza per tutto ciò 77
che ho fatto in seguito. La mia piccola scoperta cruciale consiste nell’aver concepito un indumento che cade con un’ inattesa naturalezza. Ho sperimentato nuove tecniche, come rimuovere l’imbottitura e la controfodera. Ho mutato la disposizione dei bottoni e modificato radicalmente le proporzioni. Ciò che prima era considerato un difetto è diventato la base per una nuova forma, una nuova giacca. Il risultato di questo processo creativo è una giacca leggera, confortevole come una camicia e sensuale persino nella sua struttura. Con la giacca destrutturata, lavorando di fatto sulle asimmetrie, viene messo in crisi il concetto stesso di simmetria stabile, armoniosa, binaria, proprio sulle forme stereotipate direttamente riconducibili ai termini “maschile” e “femminile”. La giacca diviene così uno strumento di identità sempre mutevole, in grado di adattarsi a qualsiasi contesto corporeo per soddisfare le esigenze emotive e psicologiche della femminilità che tende al mascolino e della mascolinità che tende al femminino.”¹ Il tocco Armani si inscrive in un’ unica definizione, androginia. “Non più uomini e donne, signori e signore, bensì persone senza tempo e senza corpo, capaci di spostarsi da un posto all’altro, dall’alto al basso, dall’aristocratico alla classe media, dalla gioventù alla maturità, dal nero al bianco, dal femminile al maschile. Questo annullamento di distinzioni ha accelerato il declino dell’imitazione degli uomini 78
da parte delle donne. Il corpo della donna si libera dalla competizione legata a un guardaroba che si configura come segno di potere e antagonismo… l’abito si mette al servizio della naturalezza e della sensualità, allontanandosi dalla cattiva imitazione per far leva sulla personificazione del femminile. La donna che lavora non è più costretta a negare se stessa, né a ridisegnare il suo corpo per avere successo, né tanto meno ad accentuare la mascolinità per essere accettata e riconosciuta; al contrario, può coltivare la propria bellezza e sensualità come veicoli di espressione e affermazione individuale.”¹ Lo stesso vale per gli uomini: “La mia moda non è unisex: semplicemente aspira a enfatizzare la gentilezza degli uomini e la forza delle donne. So in ogni uno di noi che si cela una componente maschile e una femminile, e che entrambe possono essere utilizzate per creare un equilibrio armonioso, lontano dagli stereotipi estremi dal macho tutto muscoli e dalla donna imprigionata nella squallida parte della bomba sexy”.¹ Sulle orme di Coco Chanel e Paul Poiret, i primi couturier a liberare la donna dall’eccessività dei decori all’insegna della semplicità, Armani realizza abiti neutrali e lineari, dalla struttura morbida, mescolando l’abito da giorno con quello da notte, per il lavoro con il piacere. “Ho iniziato a lavorare nel campo della moda femminile quando ancora le donne andavano in giro come dei fiori. Volevo 79
una moda che fosse per tutti: mi ero reso conto che le donne non vestivano in modo semplice e moderno, come poteva essere lo stile degli uomini. Era necessario che le donne capissero che non potevano fare valere i propri diritti solo con la fermezza, a colpi di presunto femminismo, e che anche il guardaroba era uno strumento per affermare il proprio spirito femminile�².
š La storia personale di Armani. Milano negli anni settanta e ottanta, in, Giorgio Armani, Triennale Electa ed., Milano 2007. ² Giorgio Armani, in, Giorgio Armani, Triennale Electa ed., Milano 2007.
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II.VI. Armani Fotogallery
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II.VI. Ricerca stilistica, sulle giacche e uniformi nella moda contemporanea
In alto e nelle pagine a seguire, Jean Paul Gaultier, houte couture a/w 07-08.
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In alto Jean Paul Gaultier, houte couture a/w 07-08. A destra, Dsquared, houte couture a/w 03-04.
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A sinistra, Giorgio Armani, houte Couture a/w 2009-10. In alto e nelle pagine a seguire, Hermes, houte couture a/w 2011-12.
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Comme de รงarson, a/w 2010-11
n, houte couture
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In alto, Ann-demeulemeester, prĂŞt-Ă -porter a/w 2011-12. A fianco, Luciano Soprani, houte couture a/w 1995-96.
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John Galliano autumn-winter 2011-12
John Galliano spring-summer 2011
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Dior
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autunno-inverno 2010-11
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DSQUARED A/W 06-07 112
Dita Von Teese, abito Jean Paul Gaultier, 2002.
n
Corrado de Biase a/w 2011-12
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In alto e nella pagina a fianco, Gaultier Paris, houte couture primavera/estate 2011. Nelle pagine a seguire Jean Paul Gaultier, houte couture primavera/estate 2009.
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John Galliano, houte couture autunno/inverno 07-08.
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GATTINONI houte couture a/w 07-08
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comme des garรงons spring/summer 2011 122
Gianfranco FerrĂŠ a/w 2011-12 123
Felipe Oliveira Baptista
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houte couture a/w 2007-08
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Giacca, Issey Miyake, P/E 1995. Manofatto in poliestere rosa chiaro plissettato, con pezzi applicati rossi, blu e verdi.
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Tailleur giacca-gonna, Junya Watanabe A/I 2000. Watanabe utilizzò per questo capo in tessuto giapponese high-tech, un poliestere e microfibra superleggera e idropellente. Chi indossa questo abito persino correre per la città senza bagnarsi. la giacca e la gonna, ispirati ad un alverarre, possono essere appiattiti.
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Parte III Fashion Military
III.I
Introduzione al progetto
L’idea di affrontare un progetto di tesi sulla giacca matura per caso durante un lavoro precedente di progettazione della moda; in quella circostanza la collezione total look da me disegnata prevedeva alcune giacche dal taglio particolare che offrivano diversi spunti su cui poter creare una intera collezione. E’ dopo un’attenta analisi delle prossime tendenze moda che l’argomento principale “Il mondo militare” viene affrontato, proprio come per le tendenze milanesi, in quattro sottotemi. Fashion military e una collezione di giacche pensate per tutte le donne pronte a divertirsi, indossando capi fuori da ogni schema; giacche ultrapersonalizzate, sia nei tagli e particolari quanto nei colori psichedelici e decisi. Una moda all’insegna dell’originalità, della ricercatezza e della cura del dettaglio che creano un look capace di farsi notare in qualsiasi circostanza. Nonostante la collezione sia costituita prevalentemente da giacche, tuttavia non mancano suggerimenti su come poter indossarle, accostando pantaloni, jeans e gonne a volte semplici in unica tinta, altre in pendant alla giacca stessa. 129
Diversi gli spunti e le versioni da indossare in varie occasioni: dai trench da sera a giacche meno impegnative da abbinare a jeans con anfibi o scarpe da ginnastica. Giacche-gilet versatili da indossare in qualsiasi momento, o raffinate giaccheabito per la sera. Immancabile il tailleur pantalone di stampo maschile abbinato a tacchi vertiginosi e cappello militare.
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III.II. Trend Book
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Alta definizione con design schematici e cromatismi perfetti.
Tecnologia e confort stemperano rigore e forze.
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Sfocature con elaborate dissolvenze e lievitĂ materiche.
Re-interpretazione in chiave “cool� di ricchezze culturali.
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Alta definizione come protagonista assoluta: via libera a design schematici e cromatismi perfetti grazie a tonalità vive, dense e lucenti. I colori sono pieni e mantengono la stessa intensità su materiali diversi. Le lane sono leggere ma corpose, con superfici mosse e contrasti double-face, mentre le sete sono fluide con un look specchiante, opaco e crespato. I jersey invece, sia satinati, sia felpati, sono finissimi e arricchiti da nastri lucidi e bottoni reversibili. Le geometrie spiccano in versione micro e macro, ricoprono totalmente tessuti ed accessori con composizioni e sovrapposizioni di righe, quadri e losanghe. Fantasie e giochi grafici che ricordano progetti di architettura, scacchiere, puzzle e opere d’arte contemporanea. I materiali appaiono come incisi, cesellati grazie ad effetti a sbalzo e tecniche di stacco delle superfici. I tessuti sono imbottiti e trapuntati come pietre sfaccettate; jersey goffrato a bolle, barrette, tronchetti e velluto devorè a meandri come bassorilievo. Completano questa visione geometrica micro origami con plissè serico, bordure in materiali termoplastici e fibbie ad effetto 3D.
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Tecnologia e confort in costante dialettica per far fronte al dinamismo quotidiano con forza e rigore. Si guarda alla semplicità monocanale per proporre materiali vigorosi ma addolciti; panno e flanelle logorate in brinato come shetland. Gli abiti sono rifiniti con profili di lana cotta, etichette in pelle usurata, accessori come alamari e bottoni in legno e metalli grezzi. Le superfici si ispirano a un paesaggio roccioso con crespature e granulosità sia laniere sia seriche, jacquard effetto corteccia, macro seersucker in lana, crespature con dévoré e incrostazioni “silicee” multistrato. Il pietrame allo stato grezzo rivive in bottoni porosi, striati e corrosi e in nastrini stampati a venature e granuli. Per far fronte al grande freddo si ricorre a materiali hi-tech in armonia con la natura: eco-pellicce da fauna antica con pelo lungo, folto e arruffato, membrane isolanti tipo neoprene, rivestimenti sia in lana sia in nylon lucido, doppiature feltro/agnellino ed eco pelle/mufoln. Infine bordi in lana malfilé e ciuffi di pelo, intrecci con fettucce in eco-pelle e feltro, zip con nastro infeltrito e tagliato a vivo ispirano protezione e senso del calore.
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Un viaggio nel tempo e nello spazio per reinterpretare in chiave moderna le ricchezze culturali sparse in tutto il mondo. Si parte dalle etnie asiatiche con le loro opulenze e folclori: jacquard in lana/seta, intarsi matelassé, sete operate e rasi liquidi, ricami a fil d’oro, arabeschi in lamé e tigrature paillettate. Le magie d’Oriente rivivono in passamanerie come filigrana, nastri operate con pietre, macramé in lana e fili ramati, macro bottoni decorati. Si passa poi al fascino dark del Medioevo che rivive in laminature metalliche brunite, superfici vellutate e verniciate a geometrie, maglia anticata, incrostazioni mordoré e broccati scuri spruzzati glitter. Cupi splendori anche per le rifiniture che includono mix di catene e maglie e bruniture diverse, bordi laminati tipo armature e ricami bronzei su chiffon accoppiato a lana. Infine si guarda un mondo floreale iperrealistico e astratto; ecco dunque nature morte stile pittura fiamminga, tecniche di decoupage, stampe fotografiche su voile e chiffon e macro fiori jacquard. La terza dimensione assume un ruolo centrale e rende la visione più realistica grazie a ikebana con inchiostri rigonfiati, corolle a crochet, ‘tappeti’ di petali a rilievo, bottoni a corolla e broche multimateriche a forma di orchidea.
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Atmosfere sfuocate e sofisticate caratterizzate da elaborate dissolvenze e lievità materiche si tingono di colori acquerellati e delicati in contrasto di luci e ombre. Il tweed si rinnova e assume colori e texture originali; lana, cashemere e alpaca formano patch-work irregolari e disordinati, si arricchiscono di garzature a pelliccia e stampe trompe-l’oeil, passamanerie in buclè e passanti in metallo con catenelle multimelange a frange. Una sensazione impalpabile che si nutre di organze acquerellate, chiffon ombreggiati, angora e kid mohair a pelo estratto, mentre delicatezza e sofficità di inserti e ricami in marabù, tulle arricciato, corolle in fettucce di lapin ci regalano visioni vaporose. Ma non mancano suggestioni oniriche in stile “pollock” ottenute con sovratinture a spruzzo, dip dye e tecnica shibori. Un caos creativo che prevede un mix grafico/figurativo a mano libera, stampe digitali, sovrapposizioni, inserti a motivi scomposti con dévoré e sovrastampa e ritagli di pizzo termo-fusi su raso e panno.
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Pantoni tendenze moda milanounica autunno/inverno 2012-13
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III.III. Filosofia di collezione Fashion military è una collezione prêt-àporter autunno-inverno 2012-13 di giacche per donna, ispirata al mondo militare e alle tenute da combattimento. l’abbigliamento militare non rappresenta mero punto di arrivo, ma un poliedrico ed interessante punto di partenza: le linee degli abiti e delle corazze vengono smontate, sezionate e ricomposte in un nuovo look ultra personalizzato, modellato sul corpo della donna. Le interpretazioni avvengono seguendo un viaggio verso quattro filoni paralleli:
-ROBOTS: Il mondo dei robot manga e
quelli dei video games: la tecnologia e il design, simbolo del progresso e della modernità, si fanno strumento creativo ed interpretativo del fumetto contemporaneo. Uno stile minimalista nelle linee quanto nei tagli schematici, contrapposto a flash cromatici dati da tinte intriganti e decise che non lasciano spazio ai mezzi toni. Eccitanti sensazioni di smarrimento provocati dai disegni psichedelici delle trame dei tessuti, giocati su bianco e nero. Tessuti sintetici lavorati a laser e smaltati contrapposti a tessuti unica tinta dai co141
lori brillanti. Una femminilità che esplode nell’immagine delle power woman dello stilista Felipe Oliveira Baptista: eroine indossano eccentriche creazioni, in sfida costante con la forza di gravità. -ARMATURE: Richiami medievali rievocano dal passato armature metalliche una volta scintillanti, ormai corrose dal trascorrere del tempo. Impunture che ricordano le sagomature e nervature degli armamenti e tagli che ricordano i farsetti e il giuppone cinquecentesco. La silhouette delle giacche è definita da un punto vita serrato e messo in evidenza, dal quale fuoriescono alette e falde “sparate” verso l’esterno; a tratti colli alti e voluminosi e altri, scolli lineari o revers. Il senso di vissuto viene accentuato sia dai tessuti increspati, dalle garze rovinate, velluti infeltriti, lana cotta logorata e pelle usurata, sia dalle tinte beige, terre e henné che, in oltre, esaltano senso di sporco e impolverato, donando alla donna una mise dal sapore rustico chic; il tutto accostato a tinte nere e grigi che creano un inquietante ricordo di un passato molto lontano, buio e di decadenza.
-SAMURAI: Le magie d’oriente rivivono
con le atmosfere donate dai ricchi decori e colori dei tessuti floreali delle remote etnie asiatiche e dal loro folklore, creando uno straordinario effetto coloristico che solo nelle zone asiatiche è possibile am142
mirare: dagli aranci ai viola e blu tendenti al nero, dal fuxia rosaceo a degli azzurri tendenti anche al verde; Trapuntature e tessuti trapuntati che richiamano le particolari corazze samurai mescolati ai semplici, voluminosi e lineari kimono delle geisha giapponesi. Abiti dai virtuosi tagli e nuovi volumi creano un gioco di alternanza degli opposti con cortissimo e lunghissimo, strettissimo e larghissimo, tessuti leggeri e pesanti.
-MILITARY: Sensualità e glamour si lega-
no e mescolano in uno stile androgino, dove emerge il fascino della donna iperfemminile dall’insieme mascolino. Un’ alternanza di maschile e femminile nei tagli ispirati alle uniformi militari ottocentesche e nei tessuti gessati, a “lisca di pesce”, presi in prestito dal guardaroba maschile, fusi con colli “a mo di corsetto steccato”. Abiti lunghi che accarezzano le linee morbide del corpo della donna affiancate a mise in stile dandy. Atmosfere sfuocate e dai colori pastello e delicati delineano il guardaroba di una donna fatto di pezzi semplici a pari passo con la raffinatezza.
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Il mondo dei robot manca e dei video games. Desidn schematici e colori psichedelici.
Armature cinquecentesche corrose e rovinate dal tempo. Silhouette spigolose e tinte terra e neri.
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Il folklore delle varie etnie asiatiche. Le magie d’oriente nei colori e decori con linee kimono e a corazza samurai.
Uniformi militari ottocentesche in versione raffinata e glamur. Il dandy e l’androginia in atmosfere color pastello.
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ROBOT
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ARMATURE
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SAMURAI
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MILITARY
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