Tesi - Giuseppina Fiore Bettina

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Alla mia famiglia‌



PARTE PRIMA

RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA. INDICE: Introduzione

Pag. 9

Cap.I

Introduzione storico artistica

Pag. 12

1.1

I reliquiari e le reliquie - la storia

Pag. 12

1.2

Le forme dei reliquiari e le varie tipologie

Pag. 16

1.3

I reliquiari a parete e a busto: alcuni esempi

Pag. 31

1.4

Il reliquiario a predella e i quattro busti reliquiari- ubicazione

Pag. 38

geografica 1.5

La cappella del ss. Crocifisso nella Chiesa Madre di Polizzi

Pag. 40

Generosa 1.6

Il reliquiario della cappella del SS. Crocifisso nella Chiesa

Pag. 46

Madre di Polizzi Generosa, il ritrovamento dell’autentica. 1.7

I quattro mezzi busti reliquiari della Chiesa Madre di Polizzi e i

Pag. 55

dubbi riguardo l’originale collocazione Cap.II

Il restauro dei mezzi busti reliquiari

Pag. 57

2.1

Tecniche esecutive-introduzione

Pag. 57

2.1.1 Supporto

Pag. 60

2.1.2 Strati preparatori

Pag. 68

2.1.3 Strati pittorici e Doratura

Pag. 71

2.2

Stato di conservazione-introduzione

2.2.1 Supporto

Pag. 75 Pag. 76

4


2.2.2 Strati preparatori

Pag. 80

2.2.3 Pellicola pittorica e Doratura

Pag. 83

2.2.4 Interventi precedenti

Pag. 88

2.3 Intervento di restauro 2.4

Le teche lignee- Tecniche esecutive

Pag. 89 Pag. 96

2.4.1 Stato di conservazione

Pag. 97

2.4.2 Interventi precedenti

Pag. 98

2.4.3 Interventi di restauro

Pag. 98

Cap.III Il restauro del reliquiario a predella

Pag. 100

3.1

Pag. 101

Tecniche esecutive

3.1.1 Supporto

Pag. 102

3.1.2 Strati preparatori

Pag. 112

3.1.3 Pellicola pittorica e Doratura

Pag. 114

3.2

Stato di conservazione e interventi precedenti – supporto

Pag. 116

3.2.1 Strati preparatori

Pag. 123

3.2.2 Pellicola pittorica e Doratura

Pag. 125

3.3

Intervento di restauro

Cap.IV Indagini diagnostiche APPENDICE A- I reliquiari a capsula tecniche esecutive, stato

Pag. 127 Pag. 135 Pag. 151

di conservazione, intervento di restauro

5

Il vetro-la storia

Pag. 154

Il vetro - la composizione chimica e i metodi di produzione

Pag. 157

APPENDICE B LE RELIQUIE

Pag. 160


Corpus Santi Mauri

Pag. 161

Accertamenti medico-legali dei resti ossei

Pag. 164

Descrizione e catalogazione dei reperti

Pag. 164

CONCLUSIONI

Pag. 170

PARTE SECONDA

STUDIO DI UN ADESIVO DI ORIGINE NATURALE ESTRATTO DA ORGANISMI

MARINI,

FUNORI

E

POSIDONIA

OCEANICA,

PER

L’INCOLLAGGIO DI ELEMENTI LIGNEI.

INDICE: Introduzione

Pag. 173

Cap.IV

I materiali utilizzati

Pag. 176

4.1

Il Funori

Pag. 176

4.2

La Posidonia Oceanica

Pag. 179

4.3

Halloysite nanotubes

Pag. 182

Cap.V

Metodi di preparazione delle colle composite

Pag. 185

5.1

Preparazione della colla Funori.

Pag. 185

5.2

Trattamento degli egagropili di Posidonia Oceanica.

Pag. 186

5.3

Estrazione della cellulosa dagli egagropili di Posidonia Oceanica.

Pag. 188

5.4

Preparazione della colla di cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia Oceanica.

Pag. 192

Cap.VI

Preparazione dei film e dei campioni

Pag. 193

6


6.1

Preparazione dei film con Funori soluzione madre e Funori con percentuali crescenti di Halloysite.

Pag. 195

6.2

Preparazione dei campioni realizzati con legno di balsa

Pag. 196

Cap.VII

Analisi effettuate

Pag. 197

7.1

Analisi meccanica dinamica (DMA)

Pag. 197

Cap.VIII Risultati e discussioni

Pag. 200

8.1

Film di Funori con percentuali crescenti di HNT

Pag. 200

8.1.1 Conclusioni riguardanti i film di Funori con percentuali crescenti di HNT

Pag. 202

8.2

Legni incollati con Funori puro e Funori con percentuali crescenti di HNT. 8.2.1 Conclusioni riguardanti i legni incollati con Funori puro e Funori con percentuali crescenti di HNT.

8.3

Legni incollati con cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia Oceanica pura e con percentuali crescenti di HNT. 8.3.1 Conclusioni riguardanti i legni incollati con cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia Oceanica pura e con percentuali crescenti di HNT.

7

Pag. 203 Pag. 206 Pag. 207

Pag. 209

CONCLUSIONI FINALI

Pag. 211

BIBLIOGRAFIA

Pag. 213

TAVOLE GRAFICHE

Pag. 220


PARTE PRIMA

RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.


INTRODUZIONE

Nella prima parte di questo lavoro di tesi, verrà affrontato il restauro di un reliquiario a predella e di quattro busti reliquiari, appartenenti alla chiesa Madre Maria SS. Assunta, di Polizzi Generosa. Il reliquiario a predella fu realizzato da un’artista ignoto nel XVII secolo, e fa parte di un più complesso apparato che comprende un reliquiario a parete nel quale è incassato un Crocifisso ligneo, ascrivibile allo stesso periodo storico. Non sappiamo precisamente l’anno della realizzazione del reliquiario a predella, ma il documento che attesta l’autenticità delle reliquie in esso contenute (autentica), ritrovato all’interno dello stesso, porta la data del 1673. Ancora, una pianta ricognitiva dell’intero complesso, eseguita dal sac. Giovanni Malatacca che morì nel 1722, ci mostra l’intero complesso reliquiario compreso della predella. Per queste motivazioni è possibile affermare che l’Opera fu eseguita proprio alla fine del 1600, il ché è confermato dalla decorazione in stile barocco presente negli elementi decorativi riccamente intagliati con fiori, foglie e motivi geometrici che si ripetono. L’opera fu realizzata per la cappella del SS. Crocifisso, presente nella chiesa Madre di Polizzi Generosa, appartenente alla famiglia Oddo che ne era proprietaria assieme alle famiglie Sponselli, Naro e Porcaro. Tale cappella risulta essere presente nella suddetta chiesa già nella sua conformazione primaria, ovvero quella ante 1764. La chiesa Madre infatti dalla sua costruzione, intorno al 1154, venne più volte rimaneggiata ed ampliata fin quando nel 1764 venne completamente distrutta e ricostruita. Da piante della chiesa Madre di Polizzi risulta che la cappella in questione esistesse già prima della ricostruzione della stessa, e che poi venne mantenuta cambiando solamente la sua collocazione. Per quanto riguarda invece i quattro busti reliquiari, ignota è sia la data di esecuzione e l’artista che li ha realizzati, sia la loro originale collocazione. Infatti quella attuale, non sembrerebbe essere quella originale, dal momento che fonti dirette

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ci hanno riportato che durante il corso del tempo queste hanno avuto svariate sistemazioni, fino ad arrivare in quella in cui sono stati ritrovati, ovvero sopra le varie altezze del reliquiario a predella. I quattro busti sono a loro volta racchiusi in delle teche lignee che, per la loro tecnica di esecuzione, lascerebbero pensare che questi erano stati probabilmente realizzati per una struttura più complessa come ad esempio un reliquiario a parete, in cui ogni scatola era una sorta di cassetto mobile. Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che, solamente nel novembre del 2017, sono stati ritrovati altri due busti appartenenti alla stessa serie che ci fanno pensare alla presenza di un numero molto più cospicuo di reliquiari. Tuttavia dalle osservazioni effettuate è stato possibile collocare le opere, per le caratteristiche stilistiche, intorno al XVII secolo, quindi pressoché coeve al reliquiario a predella. L’attenta ricerca storica e bibliografica e la fase diagnostica, hanno preceduto l’attività pratica di restauro. La ricerca storica è stata effettuata al fine di conoscere in maniera approfondita i Beni in oggetto e di comprendere al meglio le loro vicende conservative. Lo studio bibliografico e in particolare delle fonti artistiche, ci ha permesso di effettuare un interessante confronto riguardante le tecniche esecutive. Il tutto coadiuvato dalle indagini diagnostiche, non invasive e micro distruttive, finalizzate al riconoscimento della specie legnosa del supporto, dei materiali costitutivi gli strati preparatori e pittorici (leganti, pigmenti), e della stratigrafia. Tutto ciò ci ha permesso di scegliere la giusta modalità operativa da seguire in fase di restauro, incentrato comunque sulla multidisciplinarietà che prevede la collaborazione di più figure competenti in diversi settori, che collaborano insieme avendo come unico obbiettivo la salvaguardia delle Opere. In questo caso sono stati chiamati in causa professionisti specializzati nel campo scientifico, bio-medico, entomologico, botanico, storico-artistico, nonché specialisti del settore del restauro.

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La scelta riguardante la metodologia da seguire è stata comunque effettuata sulla base di osservazione accurate riguardanti lo stato di conservazione delle opere e la loro collocazione futura, al fine di scegliere l’approccio più rispettoso e meno invasivo per le stesse. Si è cercato inoltre di ripristinare l’unità estetica dei Beni che, soprattutto per quanto riguarda il reliquiario a predella, era andata pressoché perduta. La seconda parte invece, si incentra sullo studio e la sperimentazione di un sistema collante di origine vegetale, in particolar modo si studiano due organismi marini uno già ampiamente utilizzato nel settore del restauro: il Funori; e un altro che è in fase di sperimentazione in altri campi: gli egagropili di Posidonia Oceanica. L’obbiettivo era quello di riuscire ad utilizzare come collante la cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia Oceanica al fine di riuscire ad utilizzare un materiale perfettamente compatibile con le opere in oggetto, e anche bio-sostenibile. Sia il Funori che gli egagropili di Posidonia Oceanica sono stati preparati e testati sia in forma pura, sia uniti a percentuali crescenti di Allosite (nanotubi), con la speranza di poter migliorare le proprietà meccaniche dei due prodotti utilizzati come sistema collante, e di poterli ottimizzare caricando i nanotubi con biocidi o anti micotici che, qualora si manifestasse un attacco batterico o micotico, esplicherebbero le loro proprietà protettive.

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CAPITOLO I INTRODUZIONE STORICO-ARTISTICA 1.1. I RELIQUIARI E LE RELIQUIE-LA STORIA

Con il termine reliquiario, si intende un contenitore atto alla conservazione e alla custodia delle reliquie ovvero dei resti corporei di uomini Santi. Il termine deriva dal latino tardo reliquarium, che a sua volta trae origine dal latino classico reliqua, che significa avanzo, resto. Queste vengono suddivise in due grandi categorie: primarie e secondarie. • Le reliquie primarie, sono quelle provenienti dai resti mortali del Santo. Se la reliquia include l’intero scheletro, viene denominata corpus; mentre se comprende frammenti o parti di ossa, si parla di reliquie ex ossibus. Il codice del diritto Canonico 1 parla invece di: reliquiae insignes (corpo, capo ed arti), reliquiae non insignes (corpi privi di testa e arti), reliquiae notabiles, (mani e piedi) ed infine reliquiae exiguae (dita e denti). • Quelle secondarie comprendono tutti quegli oggetti con cui lo stesso Santo è venuto a contatto durante la sua vita. A queste due tipologie vanno tuttavia aggiunte, quelle per contatto ovvero tutta quella categoria di reliquie che sono diventate tali perché sono a loro volta, entrate in contatto con le reliquie del Santo. Tra di questi troviamo oggetti quali: il cotone che può circondare le reliquie di un Santo o un fazzolettino che ha toccato il sarcofago dello stesso. Sono naturalmente delle reliquie minori, ideate dalla chiesa per poter essere una sorta di amuleto da ripartire a tutti i fedeli. L’uso di custodire e venerare le reliquie nasce in realtà molto prima della nascita del Cristianesimo. Infatti già prima del diffondersi dello stesso, le varie religioni credevano in una vita ulteriore e in una continuità di azione del defunto. Nell’ambito

1

Codex Iuris Canonici, 1917 Can. 1281.

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del Cristianesimo invece, il culto delle reliquie si basa sulla fede della resurrezione della carne e sul fatto che Dio rende incorruttibile il corpo del Santo: …perché tu non lascerai l'anima mia nell'Ade, e non permetterai che il tuo Santo subisca la decomposizione 2… È proprio su questo passaggio da corpo mortale, e quindi perituro, a corpo incorruttibile, che si basa la venerazione dei resti terreni dei Santi 3. Compreso questo passaggio fondamentale, è bene fare dei brevi cenni storici per comprendere come si evolve il culto delle reliquie e come, di conseguenza, variano e crescono di importanza anche i “contenitori” in cui esse sono custodite: i reliquiari. In età romana si sa che i cadaveri, per legge, venivano sepolti in appositi luoghi che potevano essere le catacombe o cimiteri fuori le mura. Proprio per questo motivo i corpi dei primi martiri delle persecuzioni 4, venivano smembrati e conservati all’interno delle mura delle città. Questo fenomeno prese il nome di traslazione. Tutto cambiò con l’Editto di Milano che Costantino promulgò nel 313, infatti il Cristianesimo venne accettato così come il suo culto. Si concesse inoltre, la sepoltura di Santi e Martiri all’interno delle chiese. Questa concessione, che sembrerebbe un sovvertimento sostanziale delle rigide regole romane, in realtà non lo era del tutto poiché molte chiese che oggi sono perfettamente inserite all’interno del tessuto urbano, in realtà erano di fatto fuori le mura delle città. Queste infatti, espandendosi, vennero inglobate all’interno delle mura, diventando oggi, in alcuni casi, parte dello stesso centro storico. Esempi evidenti sono la basilica di san Pietro, oggi nucleo di Roma, che ai tempi di Costantino si trovava fuori la città e recava i resti mortali dell’Apostolo Pietro 5. Molte basiliche vennero costruite sul luogo del sepolcro dei Santi Martiri tanto che, ad un certo punto, il popolo cominciò a sostituire il culto di questi ultimi alla fede in Dio. Il pericolo si fece così reale che S. Agostino dovette intervenire nel 255 precisando:

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La Bibbia di Gerusalemme, Atti 2-27, Bologna 1989 S. Crepaldi, Santi e reliquie. Devozione popolare nella diocesi novarese, Lampi di stampa 2012 4 Chiamati da Tertulliano, «Martiri portatori di Cristo». De pudicitia, II,979-1030,22. 5 G. Cipriano, Archeologia Cristiana, Palermo 2010 3

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Quando noi offriamo il Sacrificio presso i sepolcri dei martiri non è forse a Dio che l'offriamo? Senza dubbio i Santi martiri hanno un posto d’onore tuttavia essi non sono adorati al posto di Cristo… Ma la situazione diventò incontrollabile quando Elena, madre di Costantino, nel 326, ritrovò la santa Croce e con essa, tutta una serie di reliquie riguardanti la Passione di Cristo provenienti dalla Terra Santa, che cominciarono a diffondersi in tutto il mondo cristiano 6. Per controllare il fenomeno venne convocato un Concilio a Cartagine nel 401 d.C 7, in cui venne stabilito che le basiliche intitolate ai Santi, potevano essere erette esclusivamente nel luogo in cui si trovava il corpo di un martire o una sua reliquia oppure in tutti quei luoghi i cui, secondo tradizione certa, si trovava la sua casa o il luogo del suo martirio 8. Tuttavia la corsa per accaparrarsi anche solo una reliquia secondaria non cessò, anzi si cominciarono a creare vere e proprie opere d’arte sempre più raffinate da utilizzare come vero e proprio contenitore per custodirle. Infatti i primi reliquiari avevano delle strutture molto semplici, spesso a forma di cassettina di varie dimensioni di materiali umili, ma già in età preromanica con lo sviluppo dell’arte orafa, si cominciarono ad utilizzare materiali preziosi quali oro ed argento. Lo splendore di questi materiali infatti, era considerato un vero e proprio mezzo per rendere tangibile la presenza del Santo nei suoi resti mortali. Il Medioevo fu un’epoca molto fiorente per quanto riguarda la diffusione delle reliquie. L'uomo di quel tempo infatti, abituato com’era ad epidemie, carestie, peste siccità, viveva in un clima di perpetuo terrore e sconforto. L’unica sua speranza risiedeva nell’aiuto di Dio e dei Santi, che veneravano con processioni molto partecipate, messe e offerte, con la speranza di ricevere qualche miracolo. Proprio per questo motivo, il clero comprese che, avere una reliquia che i fedeli potessero venerare presso la propria chiesa, equivaleva ad incrementare l’afflusso di pellegrini e di conseguenza la circolazione del denaro. Fu proprio in questo incremento della richiesta che sta la motivazione per la quale cominciarono a circolare innumerevoli reliquie false. Infatti è proprio questo il periodo in cui si trovano le più disparate e improbabili

6

C. Freeman, Sacre reliquie: dalle origini del cristianesimo alla Controriforma, Torino 2012. Il Concilio di Cartagine (Concilium Carthaginiense) è un sinodo locale che si è tenuto a Cartagine nel giugno 401, con la presenza di 62 vescovi presieduti dal vescovo Aurelio di Cartagine. 8 G.Cipriano, op. cit., Palermo 2010 7

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reliquie: i capelli di Cristo, i denti di san Giovanni Battista, le gocce di latte della Vergine, la lancia di Longino, il prepuzio di Cristo. Purtuttavia queste venivano custodite e adorate in maniera manicale dal popolo che spesso, perché molto ingenuo, non comprendeva che dietro tutti questi scambi, questi continui acquisti, questi rinvenimenti, vi era il forte interesse economico del clero che aveva scoperto una nuova e sicura fonte di guadagno. Da notare come lo sfruttamento della credulità popolare divenne motivo di ilarità da parte degli scrittori dell’epoca. È il caso di Guibert de Nogent (1055-1124) che nel suo libro De Pignoribus Sanctorum, ironizza sulla credulità delle masse 9. Ancora nel Rinascimento, lo stesso Boccaccio in una delle sue novelle ironizza sull’uso strumentale che i religiosi facevano delle reliquie 10. È sicuramente la strumentalizzazione dei fedeli e la corruzione della chiesa, che spianarono la strada alla Riforma protestante 11. Infatti nel 1527 Lutero affisse, sulla porta della chiesa di Wittenberg, le sue 95 tesi che insistevano sulla pratica della compra-vendita delle indulgenze. Ma ben presto anche Giovanni Calvino, nel 1543, scrisse il suo celeberrimo trattato: Traité des reliques. In questo, biasima il culto delle reliquie, e cerca di distrarre i credenti da questa devozione indirizzando il fedele verso l’essenziale messaggio evangelico. Inoltre critica molto le varie, e dubbie, reliquie che si riferiscono praticamente ad ogni passo narrato nel Vangelo e fa la conta di queste calcolando, per esempio, che esistono più di 14 chiodi della Santa Croce 12. La risposta della chiesa alla riforma protestante, venne data dal Concilio di Trento che cercò di frenare la circolazione delle reliquie sperando di limitarne in questa maniera la diffusione e i falsi. Infatti il Concilio di Trento, istituì una vera e propria regolamentazione secondo la quale le chiese non potevano avere reliquie, se queste non fossero state preventivamente riconosciute e accertate dalla Chiesa per mezzo di

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Guiberto di Nogent (Clermont, 15 aprile 1055– Nogent-sous-Coucy, 1124 circa) è stato un monaco benedettino, abate del monastero di Notre-Dame a Nogent. Fu pure storico e teologo. Nel suo trattato parla della venerazione delle reliquie ma non attacca la venerazione delle reliquie in sé, però esige la verità sull’autenticità delle stesse. 10 Decameron, Sesta Giornata, Novella decima, Frate Cipolla promette a certi contadini di mostrar loro la penna dell'agnolo Gabriello; in luogo della quale trovando carboni, quegli dice esser di quegli che arrostirono san Lorenzo. 11 S. Crepaldi, op. cit., Lampi di stampa 2012 12 C. Jean, Traité des reliques, Ginevra 2000, pp. 26 e ss.

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un documento (l’autentica) che ne approvasse la veridicità. Ancora, per controllare meglio la situazione, tutti i reliquiari accettati dalla chiesa dovevano recare un sigillo. L’età barocca fu un vero e proprio trionfo di espressione artistica che coinvolse non solo l’architettura e le cosiddette arti maggiori, ma anche le arti decorative e tra di esse la produzione dei reliquiari. Fu proprio in questo contesto che, data la grande quantità di reliquie possedute nelle varie chiese, vennero edificate delle vere e proprie cappelle delle reliquie le cui pareti erano ricoperte di teche contenenti reliquiari di varie forme. Questo breve excursus sul significato antropologico che le reliquie assunsero nel corso del tempo, vuole solamente essere utile alla comprensione del motivo per il quale molte chiese, ancora oggi, recano reliquie di ogni genere e tipologia. Ma sicuramente quello su cui ora vogliamo porre la nostra attenzione non sono tanto le reliquie in sé ma i contenitori dentro le quali queste venivano riposte e custodite. Molto spesso sono delle vere e proprie opere d’arte di inestimabile valore che avevano come unico scopo, quello di impreziosire e conferire valore al contenuto, andando a puntare sul fattore estetico. Infatti un contenuto, intrinsecamente macabro, si rivestiva di materiali e pietre preziose andando a richiamare lo splendore, la luce, la bellezza propri della Santità o addirittura di Cristo stesso.

1.2. LE FORME DEI RELIQUIARI E LE VARIE TIPOLOGIE

Come accennato in precedenza, esistono svariate tipologie di reliquiario che cambiano e si evolvono durante il corso dei secoli 13. In base alla loro forma e dimensione, questi possono essere distinti in due grandi categorie: •

Reliquiari da esposizione: quelli destinati alle chiese, ai luoghi di culto o alle

cappelle private. •

Reliquiari devozionali: quelli che venivano usati per uso personale.

Di quelli devozionali fanno parte:

13

Catalogo ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione) - Thesaurus del corredo ecclesiastico di culto cattolico.

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I reliquiari a capsula: vengono identificati con questo termine tutti quei

piccoli contenitori costituiti da due gusci entro cui viene riposta la reliquia. Questo molto spesso viene concepito per essere una sorta di “ciondolo” e quindi per essere portato al collo. In base alla forma e alla funzione si articolano diverse tipologie di reliquiario a capsula:  Reliquiario a libretto: ha la forma di un piccolo libro con fermature che una volta aperto diventa un vero e proprio trittico in miniatura nei cui scomparti sono presenti delle teche contenenti reliquie e abbellite di immagini sacre (Fig.1).  Reliquiario a medaglione: ha una forma di capsula ovale o circolare che è inclusa entro una montatura con anello di sospensione (Fig.2).  Reliquiario a pendente: è molto simile al reliquiario a medaglione nella sua struttura, ma solitamente ha una forma molto più elegante rispetto al precedente ed è realizzato con materiali preziosi che lo accomunano ad un vero e proprio gioiello di uso comune (Fig.3).

Fig.1 Reliquiario a libretto francese con

Fig.2 Reliquiario a

Fig.3 Reliquiario a

ricami. Fine 1800.

medaglione di S. Pietro

pendente con frammento

e S. Paolo. Bottega

della Santa Croce. Como.

trentina sec. XIX, diocesi di Trento.

Reliquiario a castone: di questa categoria fanno parte tutti quei reliquiari in

cui la reliquia è incastonata dentro una montatura di diversi materiali metallici e spesso lavorati. Possono essere anche di piccole dimensioni, e in questo caso possono essere usati come ciondolo per collane (Fig.4).

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Reliquiario a fiala: Vera e propria fiala, boccetta o piccola ampolla in vetro,

cristallo o cristallo di rocca, con chiusura metallica (Fig.5). •

Encolpio cruciforme: è un piccolo reliquiario a forma di croce che

generalmente veniva portato al collo. La reliquia, di minuscole dimensioni, era compresa in due dischetti di vetro e decorata in genere con immagini della Madonna o di Cristo. Erano dei prodotti realizzati per i pellegrini e quindi una sorta di oggetti prodotti “in serie”, non mancano anche in questo caso delle versioni particolarmente raffinate e decorate con materiali preziosi (Fig.6).

Fig. 4 Reliquiario a castone.

Fig.5 Reliquiario a fiala.

Fig.6 Encolpio cruciforme.

Tardo gotico, filigrana argento

Bottega veneta sec. XVIII,

Chiesa maggiore di Carife, XVI

dorato, Russia XIV-XV secolo.

Reliquiario a fiala di Santa

secolo.

Fausta Padova.

Di quelli da esposizione invece fanno parte: •

Reliquiario ad ostensorio: Assume la forma di ostensorio eucaristico, in cui

però il posto adibito all’ esposizione del Santissimo, è occupato dalla reliquia. Può essere raggiato o composto da una teca cilindrica di vetro disposta in senso orizzontale o verticale. È una tipologia sviluppatasi nel Medioevo, quando si comincia a lavorare il vetro (Fig.7).

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Reliquiario a pisside: ha la forma di una comune pisside per conservare le

ostie consacrate, ma in sostituzione di queste ultime, è presente una reliquia. Solitamente sono realizzati in metallo (prezioso o meno prezioso) e sono costituiti da una teca cilindrica o poligonale, che può essere anche in vetro, e poggiano su un fusto e un piede (Fig.8). •

Reliquiario fitomorfo: ha una forma simile al reliquiario ad ostensorio ma

viene riprodotto un albero stilizzato che si riferisce iconograficamente all'albero della vita. La struttura del reliquiario è costituita da un fusto, da cui partono i rami, disposti simmetricamente, al termine dei quali si trovano le teche con le reliquie (Fig.9).

Fig.7 Reliquiario a ostensorio.

Fig.8 Reliquiario a pisside.

Fig.9 Reliquiario fitomorfo.

Argentiere Siciliano. Metà XVII sec.,

Argentieri siciliani. XVI secolo

Argentieri palermitani, ultimo

Chiesa Madre, Polizzi Generosa.

(ricettacolo) e 1551 (base).

quarto del XVIII secolo

Chiesa Madre, Polizzi

(ricettacolo) e Gaetano

Generosa.

Nicodemi (attr.) (base), Console Antonio Lo Bianco, 1776-77. Chiesa Madre, Polizzi Generosa.

Reliquiario monumentale: è un contenitore per reliquie di varie forme che si

distingue essenzialmente per le grandi dimensioni. Spesso veniva portato in processione e quindi è fornito di sostegni (Fig.10). 19


Reliquiario vasiforme: fanno parte di questa categoria una grande varietà di

tipologie di reliquiari trai i quali quelli costituiti da ampolle, anfore, brocche vasi di ogni genere, o ancora recipienti analoghi a quelli usati per bere come bicchieri, boccali, calici, coppe. Questi possono essere compresi in una montatura metallica oppure poggianti su un piedistallo, un fusto o una base più o meno complessa (Fig.11). •

Reliquiario zoomorfo: si presenta con le sembianze di animali quali agnello,

cervo, gallo, fenice, leone, pesce, pellicano ed altri, ma comunque sempre legati alla simbologia cristiana.

Fig.10 Reliquiario monumentale. Reliquiario Santa

Fig.11 Reliquiario vasiforme. Bottega

Giulia, Livorno.

ungherese, XV secolo, Museo e Pinacoteca Diocesana di Rieti.

Reliquiario a croce: a questa categoria appartengono tutti i reliquiari che

hanno, come dice lo stesso nome, una struttura cruciforme. Questi possono custodire reliquie di diversa natura ma, qualora contenesse frammenti della vera Croce, viene anche denominato stauroteca.  Stauroteca: come detto, ha generalmente forma di croce ed è adibito a contenere le reliquie della vera Croce. Proprio per questo sono realizzati con materiali molto preziosi e decorati in maniera molto particolareggiata. Tuttavia queste non hanno necessariamente forma di croce (Fig.12).

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Reliquiario a tabella: è una tipologia di reliquiario dalla struttura complessa.

È costituito da una tabella che è retta da un piedistallo. La struttura può essere metallica o lignea e può assumere varie forme, ad esempio: poligonale, tonda. Questo può contenere una o più reliquie e in questo caso, la tabella è suddivisa in più teche quadrangolari o tonde, protette da un vetro e disposte in maniera ordinata (Fig.13).

Fig.12 Stauroteca. Argentieri

Fig.13 Reliquiario a tabella.

palermitani della prima metà del XVIII

Maestranza napoletana, XVIII secolo,

secolo (croce) e della seconda metà del

Convento di Santa Maria delle Grazie,

XVI secolo (base). Chiesa Madre,

Sorrento.

Polizzi Generosa.

Tipologie particolari di questo gruppo sono: •

Legatura reliquiario: assume la forma di una legatura di libro liturgico nel

quale sono ricavate piccole teche contenti reliquie che possono essere protette da un vetro o nascoste da un rilievo (Fig.14). •

Reliquiario a dittico, trittico o polittico: richiamano la classica forma dei

polittici con valve incernierate tra di loro (Fig.15).  Reliquiario a teca: è una delle tipologie più antiche di reliquiario, le fonti antiche parlano di capsae o capsellae. La reliquia può essere nascosta o a vista, ma pur sempre inclusa all’interno di un contenitore di varia forma e dimensione con un

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coperchio e può avere uno o più lati trasparenti. Si possono trovare costituite da materiali quali: metallo, legno, avorio, pietra e altri.

Fig.14 Legatura reliquiario con struttura in

Fig.15

Reliquiario trittico. Fine XVI secolo, Biblioteca Civica di Fivizzano.

tartaruga e finiture in argento. Italia XVII secolo.

I reliquiari a teca sono ulteriormente suddivisi nelle seguenti categorie: •

Capsella per reliquie d'altare: è un piccolo contenitore che viene collocato

in una cavità ricavata nell’altare principale nel momento in cui quest’ultimo viene consacrato. Questa tipologia di reliquiario è già documentata nel IV secolo (Fig.16). •

Reliquiario a borsa: è una tipologia di reliquiario che ha origine molto antica

e diffusa in tutta Europa. Questa assume la forma di borsa e talvolta è dotata di tracolla, i materiali utilizzati possono essere vari e vanno dai metalli preziosi a materiali più umili quali stoffa o paglia (Fig.17).

Fig.16 Capsella per reliquie d'altare, XI secolo,

Fig.17 Reliquiario a borsa. Nord Europa.

Museo Diocesano del Duomo di Città di Castello.

Museo del tesoro del Duomo di Vercelli.

22


Reliquiario a cassa: con questo termine si identifica un contenitore a forma di

parallelepipedo, di grandi dimensioni e con copertura a doppio spiovente o semicilindrica (Fig.18). •

Reliquiario a cassetta: contenitore a forma di parallelepipedo, poligonale e

cilindrica, di medie e piccole dimensioni. Questo è chiuso con un coperchio piatto e realizzato generalmente in metallo, legno o avorio (Fig.19). •

Reliquiario a cofano e a cofanetto: contenitore a forma di parallelepipedo,

chiuso con un coperchio a doppio spiovente o semicilindrico. Generalmente realizzato in metallo, legno o avorio (Fig.20).

Fig.18 Reliquiario a cassa di San

Fig.19 Reliquiario a cassetta di Santa

Fig.20 Reliquiario a

Gandolfo, argento e argento dorato

Caterina, Museo del Tesoro del Duomo

cofanetto, Giovanni

inciso, sbalzato, cesellato e traforato.

Vercelli.

d'Angelo, sec. inizi XV,

Argentieri palermitani (Nibilio e

L'Aquila.

Giuseppe Gagini ed altri), XVII sec., Chiesa madre, Polizzi Generosa.

In Italia gli esemplari più celebri sono:  Reliquiario a lanterna: è costituito da una struttura a pianta quadrata, cilindrica o poligonale, generalmente con copertura a cupola. La struttura può essere metallica e le pareti costituite da lastre traslucide di vetro colorato o pergamena (Fig.21).  Reliquiario a sarcofago: è un contenitore atto a custodire l’intero corpo del Santo. Questo ha una forma a sarcofago e può avere una pianta trapezoidale con un

23


coperchio a doppio spiovente o piramidale. Non presenta lati dotati di vetri e può essere collocato sotto l’altare (Fig.22).  Reliquiario ad urna: reliquiario molto simile a quello a sarcofago descritto in precedenza. L’unica particolarità sta nel fatto che almeno un lato è munito di vetro che permette la visibilità delle spoglie del santo contenute al suo interno. È solitamente realizzato in metallo e si colloca generalmente sotto l’altare (Fig. 23).

Fig.21 Reliquiario a lanterna con Santi

Fig.22 Reliquiario a sarcofago di S. Riccardo sacrestia

Domenicani, Foggini Giovanni Battista,

capitolare della cattedrale di Andria, 1711.

Museo delle Cappelle Medicee Firenze, 1714.

Fig.23 Reliquiario ad urna di Santa Esuberanza, Abbazia di S. Apollinare di Casalbeltrame.

24


Reliquiario antropomorfo: è la tipologia più diffusa dal IX secolo proprio

perché risponde in maniera più diretta alle esigenze di venerazione da parte dei fedeli. Ha la forma dell’arto o della parte del corpo di cui la reliquia, contenuta al suo interno, fa parte. Solitamente non ci sono parti trasparenti che lasciano vedere il contenuto. In base alla forma che esso assume, si distinguono le seguenti categorie:  Reliquiario a braccio: tipologia di reliquiari molto diffusa sia in Italia che in Europa. Riproduce la forma del braccio solitamente con una manica di tunica, se il Santo era un monaco, o con una fascia di armatura, nel caso in cui il Santo era un cavaliere. La mano a volte è raffigurata aperta oppure in atto benedicente, o ancora recante una palma del martirio o un attributo iconografico riguardante il Santo in questione. La reliquia generalmente è posta lungo il braccio nel quale è ricavato un alloggio protetto da un vetro (Fig.24).  Reliquiario a busto: è composto da una scultura a tutto tondo raffigurante il busto del Santo fino alla vita o, in certi casi, fino alle spalle. Generalmente è arricchito dagli attributi iconografici tipici del Santo in questione. Può essere realizzato in metallo o in legno o ancora in cartapesta. La reliquia è contenuta all’interno della testa oppure in corrispondenza della parte centrale del petto. Nei reliquiari di questo tipo riconducibili al settecento, è possibile trovare la reliquia in una base collocata sotto il busto (Fig.25).  Reliquiario a costola: assume la forma di una vera e propria costola, quindi a mezzaluna, solitamente trasparente e inserita a sua volta in una struttura metallica (Fig.26).

25


Fig.24 Reliquiario a

Fig.25 Reliquiario a busto di San Gennaro,

Fig.26 Reliquiario a

braccio di San Gandolfo,

in oro, argento e pietre preziose. Sec. XIV.

costola manifattura

argentiere siciliano dei

Cappella del Tesoro di San Gennaro, Napoli

tarantina, sec. XIV, fine;

primi decenni del XVII

argento sbalzato e dorato.

secolo, Chiesa Madre,

Galatina Lecce.

Polizzi Generosa.

 Reliquiario a dito: prende la forma del dito ma è tipologia poco comune (Fig.27).  Reliquiario a coscia: reliquiario la cui forma ricalca la parte del corpo in questione, ovvero la coscia (Fig.28).  Reliquiario a gamba: anche questa è una tipologia di reliquiario molto rara. Assume appunto la forma dell’intera gamba fino al ginocchio e può avere una calzatura al piede. La reliquia è posta all'interno di una piccola teca sulla parte anteriore (Fig.29).

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Fig.27 Reliquiari a dito.Argentieri

Fig.28 Reliquiario a coscia,

Fig.29 Reliquiario a gamba di

siciliani della seconda metà del XVI

Saint-Gildas-de-Rhuys,

San Mauro martire, Cattedrale

secolo, Chiesa Madre Polizzi

Morbihan.

Santa Maria Assunta, XVII sec.,

Generosa.

Montalto delle Marche

 Reliquiario a ginocchio: reliquiario la cui forma ricalca la parte del corpo in questione, ovvero il ginocchio.  Reliquiario a mano: simile a quello a braccio ma formato appunto, solamente dalla mano, solitamente raffigurata aperta. La teca per le reliquie è posta o sul dorso o sul palmo della mano. È una tipologia di reliquiario molto antica già diffusa alla fine del VIII secolo (Fig30).  Reliquiario a piede: reliquiario la cui forma ricalca la parte del corpo in questione: il piede. Questo può essere nudo o munito di calzatura (Fig.31).  Reliquiario a statua e statuetta: simile a quello a busto ma comprendente l’intero corpo del Santo. La teca della reliquia è posta o nel corpo della statua a tutto tondo, oppure nel basamento. Ci sono anche dei casi in cui la reliquia è posta in un piccolo contenitore, portato dalla stessa scultura (Fig.32).

27


Fig.30 Reliquiario a mano di San Basilio

Fig.31 Reliquiario a

Fig.32 Reliquiario a statua di

il Grande, Cattedrale di San Giorgio il

piede di Santa Maria

S. Rosalia, D. La Villa, 1802,

Vittorioso, Venezia.

Maddalena, argento

Cattedrale di Palermo.

dorato, Benvenuto Cellini (XVI sec.)

 Reliquiario a gruppo scultoreo: simile a quello a statua, ma con la particolarità che la scultura non è solo una ma un gruppo (es: Sacra Famiglia). Queste normalmente poggiano su una base ove sono riposte le reliquie. Ma le reliquie come nel caso precedente, si possono trovare anche all’interno del gruppo scultoreo o in un piccolo contenitore sorretto dalle figure (Fig.33).  Reliquiario a testa: reliquiario la cui forma ricalca la parte del corpo in questione: la testa. Questa può poggiare su una base, e reca la reliquia che a sua volta può essere dell’intero cranio, che viene poi ricoperta da metallo, o di parte di esso. In questo caso può essere lasciata a vista e protetta da un vetro (Fig.34).  Reliquiario del cranio: molto simile al precedente ma in questo caso la teca è formata dalle due calotte del cranio separate, e poi incernierate (Fig.35).

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Fig.33 Reliquiario a gruppo scultoreo, in

Fig.34 Reliquiario a testa di Santa Maddalena cripta di Saint

uso nel 1815, Pietro Biazzi, Roma.

Maximin, Provenza.

Fig.35 Reliquiario del cranio di San Corrado, Chiesa Cattedrale di Molfetta.

Reliquiario architettonico: contenitore per reliquie che prende le forme di una

struttura architettonica. Può essere un vero e proprio edificio in scala o una parte di esso per esempio il prospetto. Le reliquie vengono poste in alloggi ricavati all’intero dell’intero complesso (Fig.36). •

Reliquiario di adattamento: è composto da diversi oggetti di varia natura che

non sono stati creati per essere contenitori per reliquie, ma che sono stati successivamente riadattati. Gli oggetti utilizzati posso essere di uso liturgico quali

29


calici, pissidi ed altro, o di uso quotidiano ad esempio cofanetti, scatolette, e piccoli contenitori (Fig.37). •

Reliquiario improprio: questi contenitori non sono destinati a contenere i resti

mortali del Santo, ma di materiali quali ad esempio la sabbia della Terra Santa (Fig.38). •

Reliquiario topico: sono dei reliquiari che assumono la forma delle reliquie

che contengono, ad esempio il reliquiario a corona, a chiodo ed altri (Fig.39).

Fig.36 Reliquiario architettonico di santa Lucia, inizio XVII secolo, Museo

Fig.37 Reliquiario di adattamento, Museo d’Arte Sacra della Collegiata di San Lorenz, Montevarchi

Fig.38 Reliquiario improprio con frammento della corda di san Francesco, 2015, Basilica di San Francesco, Assisi.

Nacional de Machado de Castro,Coimbra.

Fig.39 Reliquiario topico. Corona di spine di Cristo, 1238, cattedrale di Notre Dame, Parigi.

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Questa panoramica riguardante le più diffuse tipologie di contenitori per reliquie, vuole essere utile alla comprensione di quanto variegati siano gli sviluppi stilistici e i materiali usati per la realizzazione dei reliquiari. Ovviamente l’utilizzo di materiali preziosi e di ricche decorazioni erano atti alla valorizzazione del contenuto, che in questa maniera veniva posto in risalto. Varrebbe la pena approfondire ogni singola tipologia qui esposta solamente per mezzo di una breve descrizione.

1.3 I RELIQUIARI A PARETE E A BUSTO: ALCUNI ESEMPI

Un piccolo inciso sulla storia delle tipologie di reliquiari oggetto di studio, è fondamentale al fine di meglio comprenderne la nascita e gli sviluppi stilistici. Ci focalizziamo in questa parte, sulle Opere appartenenti al territorio Siciliano e in particolare su quelle dell’area Palermitana. Mentre per quanto riguarda i reliquiari a busto, sono stati ritrovati esempi che risalgono al XVI secolo, i reliquiari a parete, riscontrati nel territorio palermitano, si sviluppano, evolvendosi dal punto di vista stilistico, tra il XVII secolo fino al XIX secolo. Facendo un giro in molte chiese del territorio Palermitano è evidente come questa tipologia di reliquiario si trova solitamente nella cappella del Santissimo Crocifisso e funge da vero e proprio sfondo alla croce stessa. Solitamente è costituito da diverse teche giustapposte, separate le une dalle altre, aventi un ordine e una forma ben precisa e protette da un vetro che permette di visionare sia la reliquia che il cartiglio recante il nome del Santo. Esistono tuttavia reliquiari a parete che presentano in ogni teca, un busto che a sua volta contiene la reliquia, è il caso del reliquiario a parete presente nella Chiesa di San Francesco di Paola a Palermo, nel quale una complessa struttura lignea presenta delle vere e proprie teche munite di vetri entro le quali sono visibili sei busti reliquiari e altri reliquiari di varie forme. I reliquiari a parete inoltre, sono spesso completati da un reliquiario, posto nella parte bassa, detto a scalino o a predella.

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I reliquiari a parete sono spesso situati, come detto, nella cappella del Santissimo Crocifisso, la quale a sua volta è collocata solitamente in una delle due cappelle del transetto, di fronte a quella della Vergine. È proprio l'arte della controriforma a volere questa tipologia di impianto che prevede da un lato la Cristo e dall’altro Maria: i due pilastri fondamentali sui quali si basa la fede Cristiana. Da ricordare che tra i punti tanto contestati dal protestantesimo, vi erano proprio il culto della Vergine Maria, l’intervento dei santi e la venerazione delle reliquie. È proprio la Riforma, che intendeva distruggere le immagini e il loro culto, che intendeva sminuire i Santi e soprattutto la venerazione per le loro reliquie, che non fece altro che accrescerne la loro importanza e stimolare la produzione di vere e proprie opere d’arte rivestendole di significati nuovi che andarono a contraddistinguere l’arte cattolica 14. Delle riflessioni, che scaturiscono dall’osservazione dei reliquiari a parete nei quali è incassato il Crocifisso, ci portano alla comprensione del perché alla figura di Cristo sia associata quella dei Santi. Infatti si può notare che solitamente tutte le reliquie che si ritrovano in queste lipsanoteche, sono per la maggior parte di martiri. In realtà in quest’ottica potremmo considerare Gesù come il primo martire che dà la vita per i suoi figli così come i Santi danno la vita per Lui. Per cui Cristo è visto come il primo martire e per questo collocato tra i martiri. Così ancora potremmo considerare la croce come l’albero del Bene: Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. 15 La definizione della Croce di Cristo come lignum alludendo al legno dell’albero del Bene e del male ricorre anche in altri passi biblici: Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai;

14 15

E. Mâle, L’arte religiosa nel ‘600 Italia Francia Spagna Fiandra, Milano 1984, pp. 106-107 La Bibbia di Gerusalemme, Genesi 2-9, Bologna 1989

32


riusciranno tutte le sue opere. 16 Per cui il legno, l’albero della vita, è l’albero della Croce che redime l’umanità da ogni peccato 17. Possiamo dire perciò che i Santi sono visti come i frutti di quest’albero e per questo posti simbolicamente vicino alla croce. Tra i vari esempi di reliquiario a parete, riscontrabili nel territorio di Palermo troviamo (Figg. 40-45):

Fig.40 Crocifisso e reliquiario in stile barocco del

Fig.41 Crocifisso ligneo su reliquiario barocco

XVII sec. Chiesa della Madonna monte oliveto o

(XVII Sec.) collocati nella cappella del

badia nuova, Palermo.

Crocifisso della Chiesa SS. Matteo e Mattia Apostoli o Chiesa di San Matteo al Cassaro, Palermo.

16

Ibidem, Libro dei Salmi- Salmo 1, 3 C.M. Vittorio, Alethia precatio e primo libro, Napoli 2014, pp. 329-331

17

33


Fig.42 Crocifisso e reliquiario del XVII sec. della

Fig.43 Reliquiario barocco e Crocifisso ligneo

Chiesa di San Giorgio dei Genovesi, Palermo.

seicentesco collocati nella Cappella del Crocifisso della Chiesa Sant'Antonino da Padova, Palermo.

Fig.44 Crocifisso e reliquiario a parete, 1773 ca.,

Fig.45 Crocifisso ligneo XVII sec. su reliquiario

Giuseppe Marabitti e Girolamo Biondo, Chiesa di

Barocco. Chiesa delle Croci, Palermo.

San Giorgio in Kemonia, Palermo.

34


Per quanto riguarda i reliquiari a busto, la loro origine discende dai più antichi busti- ritratto tanto apprezzati e diffusi durante il periodo romano. In Sicilia ci sono esempi di busti reliquiari già a partire dalla fine del 1400, ma sicuramente è il periodo della Controriforma a dare un input in più allo sviluppo e alla diffusione di questa tipologia di Opere. Certamente alla base di una maggiore produzione di reliquiari a busto è collegato un aumento della domanda di arredi liturgici che andava sempre più accrescendosi, come detto, in risposta alle dure critiche dei protestanti riguardanti il culto e la venerazione delle reliquie. È solo nell’ultima sessione del Concilio di Trento e quindi nel 1563 che la Chiesa Cattolica confermò la liceità del culto dei santi e della venerazione delle loro immagini. Proprio per questo si assistette al moltiplicarsi dei reliquiari ad essi intitolati nelle loro più variegate e multiformi tipologie.

Come nei ritratti romani, il personaggio

rappresentato diventava quasi un eroe da contemplare ed ammirare, così anche i busti reliquiari assunsero questo significato, i Santi infondo non erano altro che i nuovi eroi del Cristianesimo 18. Tra il 1500 e il 1600 accrebbe la produzione dei reliquiari antropomorfi, ed in particolare dei reliquiari a busto, in cui spesso la reliquia era collocata in un apertura sul petto. I materiali utilizzati erano diversi si va dai supporti lignei poi dorati e dipinti, alla più diffusa lamina argentea impreziosita ed arricchita da pietre preziose e all’inserimento di rame dorato 19. La fiorente industria orafa della Controriforma continuò a realizzare busti reliquiari argentei per tutto il corso del 1600 e anche nel 1700, accanto a questi però si sviluppava anche la tradizione statuaria in argento 20. Anche se non pertinente al territorio Palermitano, è bene ricordare che esistono dei reliquiari che, per forma e tipologia, sono del tutto simili ai reliquiari a busto oggetto del seguente studio. Questi si trovano nella provincia di Catania e precisamente nella Chiesa di San Giacomo a Caltagirone 21 (Figg.46-47).

18

P.Russo, “Levidenza dell’invisibile”. Busti reliquiario d’argento in Sicilia tra XV e XVIII secolo il tesoro dell’isola, pp. 246-248, in Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, catalogo della mostra a cura di S.Rizzo, Praga 2004 19 Splendori di Sicilia- Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, p. 360. 20 P.Russo, op cit,, pp. 251-254 21 «Ma è soprattutto la presenza nella chiesa di San Giacomo a Caltagirone di una serie composta da quattro busti-reliquiario, tipico prodotto controriformato, in virtù della connaturata funzione di portatore

35


Fig.46 Busto reliquiario ligneo dorato e policromo,

Fig.47 Busto reliquiario ligneo dorato e policromo,

tardo-manierista, Chiesa di San Giacomo,

tardo-manierista, Chiesa di San Giacomo,

Caltagirone.

Caltagirone.

Tra gli esempi riscontrabili nel territorio Palermitano ricordiamo (Figg.48-51):

di immagine e di contenitore di “verità storica”, a provare la fortuna del tipo e l’aggiornamento degli arredi sacri della parrocchia calatina in relazione alle disposizioni tridentine. La disponibilità delle reliquie dei Santi Zaccaria, Stefano, Lorenzo vescovo e Basilio, è documentata fin dal 1457, in seguito al dono di Nicola Monteleone che le aveva recuperate grazie all’interessamento del vescovo di Siponto Giovanni Burgio; ma, da quanto si evince attraverso l’analisi stilistica, solo per effetto della cultura tridentina che ne raccomandava il culto queste ebbero degna sede. Rifiniti in modo analogo, in oro nelle vesti e dipinti nel capo e nelle mani, poggiano tutti su una base quadrata dotata del ricettacolo delle reliquie. Sono atteggiati in pose che hanno reciproche rispondenze simmetriche e si nota una certa discrepanza tra la raffinata finitura delle teste, con il volto pervaso da un’espressione realista e sentimentale, e il rude senso geometrico del corpo; in sintesi, sono opera di uno scultore tardo-manierista attento al controllo della forma ma anche alla dimensione sentimentale. È probabile che per essi ci si rivolgesse ad un centro specializzato nella creazione di questo genere di manufatti, ossia a Napoli dove dominavano in questo campo le botteghe di Giovan Battista Gallone e di Aniello Stellato i cui prodotti erano distribuiti, come le nuove ricerche dimostrano, in tutto il Meridione d’Italia, fino in Spagna.» T. Pugliatti, S. Rizzo, P. Russo (a cura di), Manufacere et scolpire in lignamine-Scultura e intaglio in legno in Sicilia tra Rinascimento e Barocco, Catania 2012, p. 499

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Fig.48 Reliquiario a busto di Santa Rosalia, argento

Fig.49 Reliquiario a busto di San Benedetto, argento

sbalzato, cesellato e fuso, Tommaso Avagnali, 1625,

sbalzato, cesellato e fuso, Pietro Rizzo, 1607-1608,

abbazia di San Martino delle Scale, Monreale.

abbazia di San Martino delle Scale, Monreale.

Figg.50-51 Coppia di reliquiari a busto, argento e argento dorato sbalzato, cesellato e fuso, Antonio Mollo, 1696-1697, Museo Diocesano, Monreale.

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1.4. IL RELIQUIARIO A PREDELLA E I QUATTRO BUSTI RELIQUIARIUBICAZIONE GEOGRAFICA

Lassù nelle Madonie, che è il nome degli Appennini di Sicilia, dove non sono tornato ancora, il paese dei miei primi anni ha spazio. In tutto il gran scenario oleandri lungo la valle classica, olivi di greppo in greppo, vette chiare calanti a schiera dagli acrocori del centro al mare, infine il mare d'Imera, tagliato a spicchio dietro l'ultima quinta - non si vede altra città o villaggio. Polizzi Generosa, drappeggiata nel suo superbo epiteto, torreggia sola. 22

Polizzi Generosa è un paese dell’entroterra Madonita situato su di un monte a 917 m s.l.m. dal quale domina incontrastata la valle dell’Imera. Le sue origini sono antiche, ma non ben chiare, è proprio per questo che numerosi studiosi e storici hanno da sempre dibattuto riguardo la sua fondazione. Il toponimo Polizzi deriva dalla parola greca polis e, secondo Diodoro siculo, corrisponde all’Atene siciliana e per questo detta per antonomasia Polis. Altri storici (Arezio, Auria, Pirri) fanno derivare il nome del paese dagli dei Palici, figli della ninfa Thalia, alla quale è dedicata una fonte, detta Naftolia, che si trova appena sotto la città. Ancora secondo il Maurolico, Polizzi sarebbe stata fondata dai sopravvissuti di Palica in fuga da Ducezio. Il ritrovamento a Polizzi di una statua triforme di Iside, ha fatto inoltre supporre che l’etimologia del nome Polizzi, potesse derivare da “Polis Iside” ovvero Città di Iside. L’attuale nucleo abitativo risale all’epoca bizantina quando il paese ricevette il nome di Babasileapolis ovvero città regia ma ritrovamenti archeologici hanno portato alla luce una necropoli ellenistica, riconducibile al IV-III sec. a.C., segno che il nucleo abitativo esisteva già in quel periodo 23. Il paese subì la dominazione araba (882) della quale rimangono ancora dei segni tangibili nel campanile della chiesa di Sant’Antonio Abate. Dall’ anno Mille si hanno delle notizie più precise infatti, in epoca normanna, il conte Ruggiero fece fortificare la Rocca ed il Castello (1074). Nel 1082 il territorio

22 23

G.A. Borgese, Accenti, in Id., Una Sicilia senza aranci, Avagliano, Roma 2005, p. 264. D. Visalli, Palermo e i suoi Comuni, a cura di G. B. Scarantino, San Cataldo 1998, pp.196-200

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di Polizzi venne donato dal conte alla nipote Adelasia, Signora di Polizzi, la quale fece rifiorire la cittadina espandendola e ospitando diverse etnie (bizantini o greci, arabi, latini, ebrei) 24. Ma fu Federico II che nel 1234 le concesse l’appellativo Generosa, che da allora è rimasto parte integrante del nome. Nel 1354, prima Filippo e poi Francesco Ventimiglia, dominarono la città. Polizzi per gran parte della sua storia, fu città demaniale e difese sempre la sua indipendenza. Infatti essendo un centro di cultura, di arte, meta di artisti e sovrani, fu da sempre territorio ambito e conteso da molti. Essendo città demaniale ebbe importantissime prerogative quali: l'impianto della corte di prima appellazione; l'esenzione dai donativi regi; la franchigia per i suoi abitanti del diritto di gabella della dogana per tutto il Regno di Sicilia; la facoltà che le cariche pubbliche elette per scrutinio appartenessero ad abitanti della Città, che aveva propri rappresentanti nel Parlamento Siciliano. Il paese aveva inoltre, un proprio governo e proprie leggi 25. Per questo motivo molte famiglie benestanti fecero costruire a Polizzi Generosa numerose e sontuose dimore, contribuendo allo sviluppo artistico, culturale ed economico della città. Il periodo di maggiore splendore fu tuttavia, quello rinascimentale, poiché Polizzi era il nodo principale di un sistema viario notevolissimo per l'epoca che collegava Palermo, Messina e la zona di Licata. Inoltre, lungo i due rami del fiume Imera, dominati da Polizzi, passava la cosiddetta "via del grano", per cui vi erano enormi interessi da parte delle famiglie facoltose, nel porre dimora in città e ottenere dei feudi nella vallata. È questo il motivo della presenza di molte famiglie di origine pisana, genovese, catalana, araba, francese soprattutto tra 1400 e 1500 26. A Polizzi erano presenti tutti gli ordini religiosi che arricchivano il paese di chiese e conventi pieni di opere d'arte. Da ricordare inoltre che: nel 1428, venne aperta la prima scuola pubblica; nel 1476, venne costruito il primo acquedotto per l'erogazione gratuita dell'acqua a

24

C. Salamone Cristodaro, Polizzi nel tempo-Percorsi evocativi (Donna Laura), Assoro 2001, p. 24 http://www.polizzigenerosa.it/italiano/storia/index.htm 26 V. Abbate, Inventario Polizzano-Arte e società in un centro demaniale del Cinquecento, Palermo 1992, pp. 9-11 25

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tutti gli abitanti; e nel 1572, i gesuiti inaugurarono una scuola di "prime lettere", estesa poi ai corsi di studio superiori. Tuttavia nel 1576 la peste colpì la città, che venne dimezzata, cominciò così un periodo di decadenza, caratterizzato da forti contrasti tra i nobili che detenevano il potere, ed esponenti della nuova classe borghese, ai quali era stato riconosciuto il diritto di concorrere alle cariche pubbliche. Questo fu anche il periodo in cui svanì il primo tentativo di introduzione dei gesuiti che erano arrivati in città nel 1570 città. Questi infatti morirono tutti nel cercare di assistere e curare gli infermi colpiti dal morbo dilagante. Per avere un altro collegio gesuitico, Polizzi dovrà attendere il 1681. Questa breve premessa sulla storia di Polizzi, è di fondamentale importanza per introdurre il discorso sul reliquiario a predella e sui quattro busti reliquiari oggetto della mia tesi. Infatti se non avessimo compreso, almeno in parte, il perché di tanta ricchezza in questa città demaniale, ricca di uomini facoltosi e colti, non avremmo mai potuto giustificare la grande quantità di beni culturali, mobili e immobili, che caratterizza la nostra città.

1.5. LA CAPPELLA DEL SS. CROCIFISSO NELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA

La Chiesa Madre di Polizzi Generosa, intitolata a Maria SS. Assunta, sorge nella parte alta della città ai piedi del colle sul quale sorge il castello. L’anno di fondazione è ancora oggi sconosciuto, ma molti eruditi siciliani si sono tanto dibattuti su questo argomento. Lo storico Rocco Pirri 27, nel suo Sicilia Sacra Disquisitionibus et Notitijs Illustrata, così come l’abbate Vito Amico 28, nel suo Lexicon Topographicum Siculum tradotto dallo storico Gioacchino di Marzo nel 1859, dissertano lungamente circa la data della sua fondazione, senza giungere comunque ad una conclusione certa. Ma il padre francescano Gioacchino di Giovanni 29, nei suoi Scritti estratti dal trattato delle 27

Erudito siciliano (Noto 1577 - Palermo 1651), abate di S. Elia a Noto, storiografo regio di Filippo IV di Spagna, dal 1643. 28 Vito Amico (Catania, 15 febbraio 1697 – Catania, 5 dicembre 1762) è stato uno storico, letterato e religioso italiano. 29 Fra' Gioacchino Di Giovanni (1706-1786), autore di preziose memorie polizzane in quattro volumi.

40


Chiese dentro e fuori le mura della Città di Polizzi Generosa e delle Cappelle in essa esistenti, riserva un volume a parte esclusivamente dedicato alla Chiesa Madre ed al Santo protettore di Polizzi (S. Gandolfo). In questo volume il Di Giovanni, dà per certo che alla data del 1156 il Vescovo di Cefalù Arduino era proprietario, per privilegio del Re Ruggero II°, del feudo di San Nicolò di Bonvicino e della chiesa nel territorio di Polizzi, così come ancora Rinaldo dell’Aquila, sposo di Adelasia di Adernò, nipote per parte della madre Matilde, del Gran Conte Ruggero, dona nel mese di dicembre XJ° Jnd.e 1177, un mulino alla Commenda Gerosolimitana di S. Giovanni in Polizzi. È supponibile che in questa data la “Maggior Chiesa” esistesse già nella configurazione, di chiesa ad unica navata come risulta da atto 30: A dì 18 Genn.o 13 Jnd.e 1479 M.o Giov.i di Grecca Muratore di Collesano, si obliga al provvido Giov.i de Blundo, e al discreto Giov.i de Fide Proc.ri della M.re Chiesa fabricare e fare fabricare Artagius vestrus et in frontispitio Ecclesia S.ti Gandolfi prope janua Magna ditta Ecclesia subtus , in quo est sphera orologis, de cantonis intagliatis, ita pro ut est factum aliud artagius versus Appennata d.a Ecclesia,debet appedare à qualibet parte d.i Artagij de Cantonis, qui sit palmorum …. Simplichi de omni banda, et appidare subtus terram fini ad terra ferma, et a la rocca et apportare d.um Artagium de Cantonis intagliati modo pred.to per claudemd.um Artagium, qui sit tanta altitudinis pro ut est aliud Artagium subtus Orologium versus Appennatam, et deinde claudere totus d.um Artagium de super di bona petra, ed imblanchiarilu, seu signarilu di Cantuni, et debet claudere la Portichetta super la porta et conravi li yaccarri quantu parinu (?). Per il prezzo di >(onze) 8 di denari, q.li 2 di formento, mangiare e bere. Nel Margine evvi l’Apoca, perché fu fatta la fabrica”.

30

L’atto in questione si trova conservato presso la collezione privata di casa Ajosa.

41


Fig.52 Antico prospetto della chiesa Madre di Polizzi

Fig.53 Particolare dell’antico portale denominato di

(dal ms. del Lunetta) collezione privata.

«San Cristoforo», della Chiesa Madre di Polizzi.

Degli ampliamenti furono effettuati probabilmente, sotto il dominio dei Ventimiglia, nella seconda metà del XVI secolo. È a loro che si deve l’aspetto gotico mantenuto fino al 1764 anno in cui fu distrutta. Di questo periodo rimangono oggi delle tracce nella parete Meridionale in cui si notano una finestra in stile gotico, e l’antico portale denominato di «San Cristoforo» 31 (Fig.53). Il Quattrocento fu un periodo particolarmente prospero per la Chiesa madre di Polizzi, che cominciò ad arricchirsi di preziosissime opere d’arte commissionate dalla nobiltà polizzana ma anche dai vari ordini religiosi. Tuttavia poche opere rimangono per intero poiché, nei rifacimenti 1764, sono andate smembrate o perdute. L’architetto incaricato di realizzare il nuovo progetto fu Gandolfo Bongiorno, egli cambiò il prospetto modificandone la conformazione originaria e fece abbattere l’antico campanile. L’antica chiesa Madre, a tre navate suddivise da pilastri con archi a sesto acuto, venne completamente ricostruita 32.

31 32

S. Anselmo, Le Madonie Guida all’arte, Palermo 2008 Ibidem

42


Di fondamentale importanza per il nostro studio, sono due piante del Lunetta del XIX sec., che ci mostrano la conformazione della chiesa prima (Fig.54) e dopo (Fig.55) il 1764.

Fig.54 Pianta chiesa Madre prima dei rifacimenti del 1764 (dal ms. del Lunetta)

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Fig.55 Pianta chiesa Madre dopo i rifacimenti del 1764 (dal ms. del Lunetta)

Queste ci sono di fondamentale importanza non solo per studiare l’evoluzione architettonica della chiesa, ma anche e soprattutto per comprendere la collocazione della cappella del S.S. Crocifisso nella quale oggi si trova il reliquiario a predella oggetto del nostro intervento di restauro. Dalle due piante è possibile osservare che la

44


cappella del S.S. Crocifisso era esistente sia prima che dopo il 1764, ma con due allocazioni diverse. Infatti è possibile notare che nell’antica conformazione della chiesa, questa è collocata in fondo alla stessa, mentre nella nuova pianta si trova nella parte sinistra del presbiterio. La cappella risulta come giuspatronato della famiglia Oddo, che erano dei nobili interessati al governo della città e molto amati dal popolo. Questi si insediarono a Polizzi Generosa con Enrico (+ A.D. 1471) con l’acquisto del feudo e baronia di Sicchechi. Già il 19 maggio 1484 (8ind.), scrive il Viviano, don Giacinto aveva legato presso il notaio G. Perdicaro, un’oncia per la cappella del Crocifisso da costruirsi nella Chiesa Madre a sinistra della porta di San Cristoforo. La concessione fu confermata dalla Corte Civile nel 1551, e a don Pietro nel 1558. Si dice che la cappella avesse diverse epigrafi, di cui ancora abbiamo delle testimonianze, era protetta da una “gradata” metallica ed era illuminata da una lampada ad olio che ardeva giorno e notte 33. La cappella venne ereditata dalla famiglia Sponselli dopo il matrimonio di Maria Oddo e Naro con Gioacchino Sponselli e Porcaro 34 intorno alla seconda metà del 1500. La famiglia Sponselli, è coeva degli Oddo, infatti è documentato che Filippo II° Sponselli acquistò, a fine 1300, la Castellania del castello di Polizzi. Circa la loro Cappella funeraria, c’è da notare che un manoscritto del XVI° secolo di Pietro Alvarez d’Eban e Cardona 35, parlando degli Sponselli, dice: “Hebbe questa casa la Cappella di S. Onofrio nella Chiesa Madre di Polizzi, della quale fassi menzione nei libri di detta Chiesa; e nella visita di Monsignor Vescovo di Cefalù Francesco Gonzaga (1587 – 1593) si notarono le seguenti: Altare di S.ti Honofriij Magnificorum de Sponsellis rebus necessarijs provideatur expentis illorum”. A questa data quindi, non si parla ancora di alcun Crocifisso né tanto meno di un Reliquario. Gli Sponselli, imparentati con i Porcaro, condivisero i diritti sulla cappella

33

C. Salamone Cristodaro, op.cit , 2001, p. 69 Famiglia nobile che nella seconda metà del XV secolo, giunsero a Polizzi da Roma. Erano imparentati con le migliori famiglie dell’epoca tra le quali i Flodiola-Ventimiglia di Resuttano. Tra settecento e novecento il ramo Porcari-Li destri abitò in piazza Caruso a Polizzi Generosa. 35 “Il Merigio Della Nobilta’ – Ragguagli Di Talune Famiglie Nobili Della Citta’ Di Polizzi Generosa”. Il manoscritto è proprietà della famiglia Ajosa. 34

45


con i Gagliardo 36. A riprova di ciò è lo stemma che si trova oggi nella parte sommitale dell’arco d’accesso alla cappella che reca gli stemmi di quattro famiglie polizzane: Gagliardo, Mistretta, Porcaro. Da iscrizioni presenti in antiche lapidi funerarie presenti in Chiesa madre, risulta che un Enrico Oddo fu seppellito nella vecchia cappella nell’ A.D. 1471, così come Carlo Sponselli e Porcari il I° marzo 1680 e come lui altri membri della sua famiglia.

1.6. IL RELIQUIARIO DELLA CAPPELLA DEL SS. CROCIFISSO NELLA CHIESA

MADRE

DI

POLIZZI

GENEROSA,

IL

RITROVAMENTO

DELL’AUTENTICA.

I lavori di restauro, ci hanno permesso di ritrovare un documento di fondamentale importanza, utile alla datazione del reliquiario e delle reliquie in esso contenute. Si tratta di un’autentica, ovvero un vero e proprio documento di veridicità delle reliquie, che si trovava all’interno della predella custodito in un cilindro di metallo chiuso da entrambe le estremità. Si presentava a sua volta arrotolato su se stesso e chiuso da un cordoncino di raso di colorazione chiara (Fig.56). Come è evidente dalla foto sotto, la pergamena reca lo stemma di quattro famiglie nobili polizzane ovvero: Sponselli, Oddo, Porcaro e Naro 37, e porta la data la data del 14 maggio XJ° Jnd.e 1673, anno in cui era vescovo di Cefalù era Mons. Giovanni Roano 38.

36

Famiglia nobile che già nel 1584 è presente a Polizzi Generosa con Stefano, marito di una La Farina. C. Salamone Cristodaro, op.cit, 1999, p. 61 37 Nello stemma presente nell’ autentica in alto a sinistra troviamo lo stemma Sponselli: due aquile su tre spugne; in alto a destra lo stemma Oddo: un leone con calice e sette stelle; in basso a sinistra lo stemma Porcari: un maiale; in basso a destra lo stemma della famiglia Naro. È da ricordare infatti che la famiglia Naro era imparentata con gli Oddo per via di Agata Naro madre di Maria Oddo che, come detto è a sua volte moglie di Gioacchino Sponselli- Porcaro. 38 Come si legge nella stessa autentica.

46


Fig.56 Autentica ritrovata all’interno del reliquiario a predella.

Nella pergamena si legge: Noi D. Tommaso Barone S.T.D. Protonotaro Apostolico, Abbate di S. Lorenzo, Giudice Sinodale Canonico, & Arcidiacono della S. Chiesa Metropolitana Palermitana, e della S. Metropolitana Chiesa di Monreale e lo stesso dello Stato Cittadino & Vicario Generale Capitolare in Sede Vacante dello Arciepiscopato Spirituale e Temporale. A tutti i fedeli in Cristo dopo aver preso visione dei documenti e parimenti, dopo aver sentito i presenti fa fede e conferma come siano in possesso dell’Ad. Rev.Padre Ludovico Sponselli Professo per i quattro voti della Società di Gesù si trova quale Croce in cristallo trasparente maggiore di un palmo ornata di frammenti d’argento e posta su un piedistallo argenteo, la quale Croce contiene un’altra Croce elaborata in legno dorato che incorpora un frammento Ven.le della S. Croce di legno, ex il Collegio Melitense (di Malta) della Società di Gesù, ex Abbazia di Roccamadoris dell’Ordine Cistercense ex dono del Re di Napoli Renato Conte di “Endegauen” che veniva esposta ed adorata nel convento dei PP. Celestini in Germania. Così anche un frammento di un capello della Beata ed Immacolata Vergine

47


Maria inserito e circondato da un cristallo circondato d’oro. Così anche il Corpo di S. Mauro Mart. estratto dal Cimitero Romano di S. Priscilla. Così anche dal Cimitero di S. Ciriaco un osso dell’anca di S. Costanzo Mart., un Osso della bocca di S. Benigno Mart., parte della scapola di S. Giulia Martire, una delle vertebre dorsali di S. Agapito Mart., parti di osso di Giusto Mart.,S. Gaudenzio Mart., S. Benigno Mart., S. Felice Mart., S. Mansueto Mart., S. Vincenzo Mart., S. Fortunato Mart., S. Fausta Mart., San Candido Mart., S. Perpetua Mart., S. Bono Mart., S. Formoso Mart., S. Flavia Mart., S. Domitilla, S. Secondo Mart., S. Fausto Mart., una ulna di S. Pio Mart., S. Clemente Mart., S. Innocente Mart., S. Eustorgio Mart., S. Paolo Mart., S. Teodoro Mart., S. Pacifico Mart., gamba di S. Faustina Mart., un braccio di S. Eleuterio, parte delle cosce di S. Erasmo Mart., S. Pacifico Mart., S. Mauro Mart., ed una parte di costola di S. Simplicio Mart. Così anche dal Cimitero di S. Priscilla la tibia di S. Abbondio Mart., un’ulna di S. Secondo Mart., una tibia di S. Onorato Mart., un radio di S. Generoso Mart., due parti delle cosce di S. Massima Mart., consistenti parti delle braccia di S. Felice Mart., l’ulna di S. Ciriaco Mart., il capo di S. Abondio Mart., tre parti “coscendicis”(?) di S. Generoso Mart., parti delle ossa di S. Felice Mart., sei parti delle ossa di S. Emiliano Mart., due parti della parte superiore del cranio parte dell’ulna & cinque parti delle ossa di S. Fortunato Mart., buona parte del cranio di S. Onorato mart., parte del cranio e parte del radio di S. Feliciano Mart., una della costola e due del radio di S. Candido Mart., l’osso della scapola di S. Felice mart., gran parte dell’ulna e parte del cranio, parte dell’ulna & parte del radio di S. Lavinia Verg. & Mart., l’ulna di S. Emiliano Mart., l’ulna ed il radio di S. Secondo Mart. Ex Cimitero prima detto di S. Giorgio Mart. Così considerabili parti del cranio di S. Capreolo mart., molte parti delle braccia di S. Candido Mart., buona parte della gamba di S. Mauro Mart., molte particelle delle ossa di S. Celestino Mart., una dalle costole di S. Eusebio mart., la tibia di S. Giustino Presbitero & Mart., la tibia di S. Giustino filosofo e Mart., gran parte delle ulne dei Confratelli di S. Placido Mart., buona parte della coscia di S. Bonifacio Papa e Mart., una ex costola di S. Marziana Verg. & Mart., l’ulna di S. Gaudenzio Mart., la mascella con tre denti molari e due inferiori in particolare, la clavicola in particolare, un dito con parte di ossa di S. Felice Mart., parte del cranio di S. Anastasia Verg. & Mart. Così ancora un frammento del capo di S. Rosalia Verg. Palermitana, un frammento della costola ed

48


un frammento di ossa attaccati alle articolazioni e così anche un Crocifisso della sua corona ritrovato nelle sue sante mani. Su tutti questi diligentemente abbiamo fatto un controllo e abbiamo trovato che un Legno della S. Croce pervenisse allo stesso P. Ludovico come dono da P. Salvatore Mamo della Soc. di Gesù e vice rettore del Collegio di Malta e P. Giacinto Sotira della medesima Società asserendo che quella stessa parte della S. Croce fosse come dono dato da P. Antonio Fazari un tempo Rettore del Collegio Messinese questi asserendo essere un frammento di quelle parti che i Ven. Padri del Monastero di Roccamadori dell’Ordine Cistercense ebbero estratto dal legno della S. Croce che in detto Monastero era conservato ed esposto alla adorazione dei fedeli. Il frammento dei capelli della Beata & Immacolata Verg. Maria era un dono dato a detto P. Ludovico da Pietro Tagliavia della Società di Gesù affermando sotto giuramento essere ex frammenti dei capelli della B.V. che da tempo immemorabile si conservavano nella cappella di proprietà dei Tagliavia. Le reliquie di S. Rosalia Verg. Palermitana così anche il frammento della costola era un dono dato al P. Ludovico da D. Carlo Ventimiglia uno dei Deputati alla ricognizione del corpo di S. Rosalia per mano di P. Filippo Settimo preposto a Casa Professa di Palermo. Il frammento delle ossa delle articolazioni ex P. Alessandro Nevola preposto alla stessa Casa per mano di Nicola Piazza della medesima Società e riconosciuto dall’Artis Medicine Doctor (Medico) Marco Antonio Alaimo uno tra i fisici che fecero la ricognizione del corpo di detta S. Rosalia. Il frammento del capo ed i frammenti delle articolazioni anche attribuibili a P. Pietro Salerno prefetto agli studi del Collegio Palermitano del Padre Nostro e qui custoditi e conservati pubblicamente con le reliquie della predetta S. Rosalia del Terzo Ordine di S. Francesco Saverio di questa Città un tempo detto Casa dei Servi. Come vere e considerevoli parti del cranio di S. Capreolio M., le braccia di S. Candido M., la gamba di S. Mauro M. e tre particolari ossa di S. Celestino M. esse testimoniamo essere state trasportate a Roma il 22 Aprile 1664 dal Rev. Giovan Paolo Oliva un tempo Vicario Generale della Soc. di Gesù in una pisside di legno tinta di rosso e con i sigilli della Soc. di Gesù sigillo apposto ed incluso a detto P. Ludovico come compare nelle lettere di patente a Noi mostrate. La maggior parte dell’ulna con due parti di ossa dei Confratelli di S. Placido furono donate a detto P. Ludovico da P. Melchiorre Belli Rettore e Prefetto agli studi nel Collegio Messinese, che con una sua lettera affermava esse essere conservate presso

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il Rev. Abbate Cirino Decano metropolitano della Chiesa di Messina. La parte maggiore della coscia di S. Bonifacio Papa & M. una dalla costola di S. Marianna V.& M. la clavicola della stessa la mascella con tre denti molari e due inferiori della stessa Madre, il dito con parti di ossa di S. Felice M. furono doni dati da P. Giuseppe de Spuches della Soc. di Gesù S.T. professore e predicatore S.C.M. da P. Ignazio Caruso della medesima Società sotto giuramento affermando di averle ricevute a Roma dal Rev. P. Giov. Paolo Oliva allora predicatore dei SS. Signori Papi ed allo stesso modo di tutta la Società Preposito Generale e da detto P. Caruso a detto P. Ludovico donate come verificammo da lettere patentate. Il dito di S. Giorgio M. estratto dal corpo di detto Martire e che pubblicamente era conservato e venerato nel Collegio della Soc. di Gesù della città di Salemi da P. Pietro Maria Grimaldi e dallo stesso dato in dono a detto P. Ludovico. La tibia di S. Giustino Presbitero & M. allo stesso P. Ludovico furono estratte dal corpo di detto martire nella Chiesa del Collegio di Palermo e collocate sotto l’altare del SS. Crocifisso ed ad esso stesso attaccate. Il vero corpo di S. Mauro e le reliquie ex Cimitero di Priscilla pervennero a detto P. Ludovico dalla città di Roma in quattro scatole legate con delle corde fissate con un sigillo dall’Ill.mo & Rev.mo F. Ambrogio Landucci Vescovo del Sacrario Apostolico di S. Porfirio e Prefettura & Cappella Pontificia. Accompagnate come compare per queste lettere patenti date in Roma il 31 settembre 1664 & 22 giugno 1665 e 10 febbraio 1666. Le reliquie ex Cimitero di S. Ciriaco in sei scatole e capsule di legno delle quali una era coperta da una carta dipinta ed una da una coperta di seta rossa legate con corda e munite di sigillo dall’Ill.mo e Rev. Signor Anania Vescovo di Sutri e Nemi nella “Alma Urbe” Vicegerente il 9 agosto 1654 e 10 maggio 1655. Ill.mo & Rev.mo Signor D. F. Ambrogio Landucci Vescovo del Sacrario Apostolico di S. Porfirio e Prefettura Pontificia 22 ottobre 1669 e dallo stesso Ill.mo & Rev.mo Signor Don Giovanni Roano Corrionero Vescovo di Cefalù Eletto Arcivescovo di Monreale fu comandato aprire e bene e diligentemente fare ricognizione con tutte le reliquie su dette e da Noi riconosciute ed approvate consegniamo allo stesso P. Ludovico affinché si possano collocare in Chiesa e Collegiata e da tutti i fedeli conservate ed adorate e venerate così anche similmente il frammento della S. Croce ma anche come per tutta l’Orbe terrestre avviene siano conservate, venerate ed adorate le altre Reliquie.

50


Con questa e per questa presente ordiniamo sottoscritta e munita del nostro sigillo rafforzata dall’impressione di questo. Data in Palermo nella nostra Casa di S. Cataldo il giorno 14 di Maggio XJ° Jndizione 1673**** La traduzione dell’autentica è di fondamentale importanza per avere delle informazioni preziose riguardo le reliquie e la loro provenienza. Il testo si articola in due parti: •

La prima include una descrizione dettagliata di tutte le varie reliquie con la

specifica parte del corpo e il nome del Santo a cui appartiene. •

La seconda comprende tutti i nomi dei personaggi che hanno donato tali reliquie.

Già dalle prime righe si comprende chiaramente come tutte le reliquie siano date in dono a P. Ludovico Sponselli (Ad. Rev.Padre Ludovico Sponselli Professo per i quattro voti della Società di Gesù) che sappiamo essere un Gesuita figlio di Maria Oddo e Naro e Gioacchino Sponselli. Ma Ludovico Sponselli è anche fratello di uno delle figure più influenti in ambito curiale che è Carlo Sponselli 39 (Utriusque Jure Doctor – Gobernator Panormitani Archiepiscopi). Non è difficile pensare che è proprio l’importanza di queste due figure che ha fatto sì che tante reliquie tutte riconosciute ed approvate, giungessero a Polizzi e precisamente alla famiglia Sponselli, una delle più ricche ed influenti della città, che le colloca nella propria cappella e realizza l’unico reliquiario a parete di questa tipologia, presente in città. Altra osservazione che scaturisce dalla lettura dell’autentica, è quella che quasi tutte le reliquie ricevute da Padre Ludovico Sponselli, sono donate da personaggi collegati con l’ordine della compagnia del Gesù. Sappiamo, come detto in precedenza, che anche padre Ludovico era Gesuita, ma sicuramente il fatto che gran parte delle reliquie provengano da Gesuiti o da collegi Gesuiti non è solo da attribuire a questo. Sappiamo infatti che i Gesuiti, Ordine religioso della Chiesa cattolica fondato da sant'Ignazio di Loyola nel 1534 e approvato ufficialmente da papa Paolo III nel 1540, svolsero un ruolo fondamentale soprattutto negli anni della Controriforma in cui tentarono di 39

Nato nel 1624 e morto nel 1681.

51


rafforzare il cattolicesimo contenendo l'espansione del protestantesimo, ed educando i giovani provenienti dalle famiglie più eminenti, senza trascurare, soprattutto nelle terre di missione, l'istruzione popolare. Lo scopo dell'ordine è l'evangelizzazione quale frutto della predicazione, dell'insegnamento e del servizio alla Chiesa. I primi Gesuiti intendevano recarsi come pellegrini in Terra Santa per convertire i musulmani. L’ordine dei gesuiti ebbe un enorme e rapido sviluppo. Ignazio scoraggiava i giovani dall’entrare nella Compagnia, ponendone subito in rilievo tutte le difficoltà, legate soprattutto al voto di obbedienza assoluta. Proprio la durezza e la difficoltà selettiva donavano alla Compagnia un fascino tanto irresistibile che, in pochi anni, il numero dei gesuiti salì enormemente. La Compagnia si diffuse in tutta Europa, e i suoi figli furono mandati in tutto il mondo a evangelizzare le genti. Nelle sale dove gli allievi vivevano, erano affrescate scene di martirio: così i futuri missionari avevano tutti i giorni sotto gli occhi il destino che avrebbero potuto subire, se fossero caduti nelle mani dei loro nemici. A tal proposito si veda la Chiesa di San Vitale a Roma in cui sono presenti le scene di martirio del Santo omonimo che viene prima torturato sulla ruota, e poi sepolto vivo (Fig.57). La chiesa contiene anche decapitazioni e teste mozzate, ovvero scene di martirio che preparavano i novizi alla loro possibile fine (Fig.58).

Fig.57 Affresco del martirio di San Vitale, chiesa Basilica di San Vitale, 1603, Roma

Fig.58 Affresco della battaglia di Gerico, chiesa Basilica di San Vitale da Tarquinio,1603, Roma

52


Da ciò è possibile comprendere l’interesse tanto marcato che i Gesuiti ebbero per il culto dei martiri. Culto che spinse diversi Gesuiti a donare a Padre Ludovico Sponselli un numero molto cospicuo di reliquie di martiri da collocare in bella mostra in una delle cappelle più importanti della Maggior Chiesa della città. Tornando al nostro discorso riguardante i reliquiari in oggetto, è stata trovata ancora, una pianta ricognitiva del complesso Crocifisso-reliquiari a tabella e a predella, lasciata dal Rev.do Sac. D. Joanne de Flore Malatacca Terminatore huius Cleri (n.1652 – m.1722) 40, fonte preziosissima per valutare la composizione dell’Opera già negli anni in cui visse (Fig.59).

Fig.59 Pianta ricognitiva del complesso Crocifisso-reliquiari a tabella e a predella, lasciata dal Rev.do Sac. D. Joanne de Flore Malatacca.

Le informazioni ritrovate, seppur frammentarie e poco esaustive per tracciare la storia completa del reliquiario a predella oggetto della mia tesi, ci permettono di fare delle riflessioni. Infatti, come visto in precedenza: •

Sappiamo, dall’ autentica ritrovata, che le reliquie furono donate a Padre

Ludovico Sponselli. • 40

Sappiamo che il documento di veridicità delle ossa, è datato 1673.

La pianta si trova in: Diarium circa functiones in ecclesia majori civitatis politij faciendas in solennitatibus eorumque cerimonias, pro quolibet mense, dello stesso Malatacca. Il manoscritto si trova oggi presso la Biblioteca Federico Lancia di Brolo di Polizzi.

53


Sappiamo che il sacerdote Giovanni Malatacca morì nel 1722 lasciando il suo

preziosissimo disegno del reliquiario della cappella del SS. Crocifisso. Per cui possiamo affermare che il reliquiario in questione, era presente già nella conformazione originaria della chiesa Madre di Polizzi Generosa, ovvero quella ante 1764. Possiamo ancora ipotizzare che questo sia stato poi spostato in seguito ai lavori di rifacimento della chiesa che, come detto, hanno previsto lo spostamento della cappella dalla parte destra in fondo alla chiesa alla parte sinistra del presbiterio. Il reliquiario in questo modo è stato adattato alla nuova parete, trovando così una nuova collocazione. Collocazione che ha mantenuto fino ai giorni nostri, superando anche i lavori di ammodernamento della cappella che risalgono al 1800, così come recitato da un’iscrizione trovata nella parete dietro il reliquiario, nei recenti lavori di restauro 41. Possiamo dunque dire che con tutta probabilità che il reliquiario a predella, e quindi anche quello a parete, siano stati realizzati nella seconda metà del XVII secolo. Infatti, dal punto di vista stilistico notiamo degli elementi di gusto barocco ravvisabili nelle cornici modanate riccamente intagliate con fiori, foglie e motivi geometrici che si ripetono, inserite all’interno di una struttura dalla geometria semplice e lineare. Tutti elementi stilistici che si inseriscono a pieno nel periodo storico suddetto. Inoltre facendo un giro per le varie chiese di Polizzi ci si imbatte nella Chiesa (con annesso Collegio) dei Gesuiti: San Girolamo. La realizzazione risale al periodo compreso tra il 1681 e il 1730, a spese di Fra' Girolamo Mistretta su progetto di Fra’ Angelo Italia 42. Guardando la forma delle aperture presenti nella parte superiore di tutti i muri perimetrali della chiesa (Figg.60-61), si nota come queste siano perfettamente coincidenti con l’apertura principale del reliquiario a predella oggetto di studio.

41

I lavori di restauro della cappella sono stati condotti nell’ estate del 2016. Angelo Italia (Licata, 8 maggio 1628 – Palermo, 5 maggio 1700) è stato un gesuita, urbanista e architetto italiano. È stato uno dei protagonisti della stagione barocca in Sicilia nella seconda metà del Seicento. 42

54


Figg.60-61 Confronto tra le aperture lungo i muri perimetrali della chiesa di San Girolamo (a sinistra) e l’apertura centrale del reliquiario a Polizzi Generosa (a destra).

1.7. I QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI E I DUBBI RIGUARDO L’ORIGINALE COLLOCAZIONE

Se per quanto riguarda il suddetto reliquiario a predella, parte del più ampio complesso scultoreo che comprende il reliquiario a tabella e il Crocifisso ligneo, abbiamo diverse notizie storiche, nulle sono le informazioni che riguardano invece i sei busti. Questi infatti, come vedremo più approfonditamente nel capitolo II, per le caratteristiche stilistiche sembrerebbero collocarsi cronologicamente intorno al XVII secolo. Tuttavia nessuna fonte certa si ha dell’originale collocazione degli stessi, cosa certa è che l’attuale collocazione sopra le varie altezze del reliquiario a predella, non è quella originale. Infatti fonti dirette ci hanno raccontato che i quattro busti (San Basilio Magno, San Giacomo Minore, San Diomede Martire e Quaranta Martiri), ovvero quelli oggetto del restauro in questione, sono stati posti nella collocazione attuale nell’anno 2001, prima di questa data erano stipati nel sottotetto della casacanonica adiacente la chiesa madre di Polizzi Generosa (Fig.62). Da una foto degli anni 70 del secolo scorso, è attestata ancora, la presenza di questi quattro reliquiari all’interno della sagrestia della chiesa Madre e precisamente sopra il mobile ligneo che si trova al suo interno 43.

43

La foto si trova oggi nell’ufficio privato del parroco della parrocchia Maria SS. Assunta di Polizzi Generosa.

55


Fig. 62 Reliquiari prelevate dal sottotetto della casa- canonica di Polizzi Generosa.

I due busti non identificati, sono invece stati rinvenuti nel novembre del 2017 sempre nel sottotetto della casa-canonica. Non è difficile pensare, perciò, che le sei opere in questione, non sono oggi nella loro originale collocazione. È possibile ipotizzare ancora, che questi non siano neanche stati concepiti per la Chiesa Madre ma che probabilmente provengano da un’altra chiesa e che siano giunti qui a seguito di uno spostamento avvenuto durante il corso degli anni. In ogni caso, la presenza di sei sculture tutte dello stesso stile e della stessa tipologia ci fanno supporre che queste sono parte di una serie di busti reliquiari ben più ampia e che questi siano gli unici pezzi superstiti. Dalla presenza delle teche lignee, presenti in quattro delle sei sculture che sono anche quelle con uno stato di conservazione migliore, si può inoltre supporre che queste erano parte di un reliquiario a tabella con una serie di spazi liberi in cui le teche venivano inserite a mo’ di cassetti 44.

44

Vedi paragrafo: 2.4 Le teche lignee -tecniche esecutive.

56


CAPITOLO II IL RESTAURO DEI BUSTI RELIQUIARI

2.1 TECNICHE ESECUTIVE – INTRODUZIONE

Al fine di scegliere l’intervento conservativo più idoneo per le opere, e di approcciarsi al restauro delle stesse con un’azione metodologica e programmata, è di fondamentale importanza osservare e descriverne la tecnica esecutiva, senza prescindere da una breve trattazione sugli aspetti generali e descrittivi dei Beni. Le opere oggetto di studio, sono delle scatole lignee contenenti dei busti reliquiari. Questi sono composti da una scultura a tutto tondo che poggia su un basamento contenente la reliquia e un cartiglio recante il nome del Santo. Tali opere, sembrerebbero appartenere ad una serie di busti reliquiari che apparentemente non hanno nessuna affinità tematica gli uni con gli altri. La presenza delle scatole e la vaghezza tematica, sono indizi che ci hanno portato a pensare che l’attuale collocazione (sopra il reliquiario a predella), non sia quella originale e che questi sono gli unici esemplari superstiti di un più ampio complesso di sculture, probabilmente parte di una lipsanoteca composta da più busti reliquiari. A confermare le nostre ipotesi, è stato il ritrovamento di altri due busti reliquiari, in un anfratto del sottotetto della casa-canonica adiacente la Chiesa madre di Polizzi Generosa, nel mese di novembre del 2017. I reliquiari dorati e policromi oggetto di studio, raffigurano sei Santi, quattro identificati attraverso il cartiglio, San Giacomo Minore, San Basilio Magno, San Diomede Martire, Quaranta Martiri, (Figg.63-66) e altri due non identificati (Figg.6768).

57


Fig. 63 Scatola lignea contenente il busto

Fig.64 Scatola lignea contenente il busto

reliquiario di San Giacomo Minore.

reliquiario di San Basilio Magno.

Fig.65 Scatola lignea contenente il busto

Fig.66 Scatola lignea contenente il busto

reliquiario di San Diomede martire.

reliquiario di Quaranta martiri

Fig.67 Busto reliquiario maschile non

Fig.68 Busto reliquiario femminile non

identificato.

identificato.

58


San Giacomo minore è raffigurato come un giovane con barba e capelli lunghi, vestito di una tonaca dorata chiusa da bottoni e legata alla vita con un cordone, porta inoltre un mantello anch’esso dorato. Nella mano sinistra, che scende lungo il fianco, tiene un libro, con la destra invece sorregge una parte del mantello. San Basilio Magno è raffigurato come un anziano con barba lunga e stempiato. È vestito con una doppia tonaca dorata: una sotto a maniche lunghe e una sopra con colletto e maniche corte sfrangiate. La tonaca anche in questo caso, è legata alla vita con un cordone e porta un mantello dorato. Nella mano sinistra, piegata all’insù, reca un libro aperto e la mano destra è in posizione di riposo. San Diomede Martire è raffigurato come un giovane con capelli corti e riccioluti e barba lunga. Veste con tunica cinta alla vita per mezzo di un cordone, e un mantello dorati. Tutto il corpo è proteso verso sinistra e la mano sinistra, reggendo il mantello, tocca la spalla destra. Nella mano destra che scende lungo il fianco, tiene un libro chiuso. Quaranta martiri 45 sono realizzati mediante una figura di anziano con barba lunga e stempiato. È vestito con una tunica con colletto cinta alla vita, e con le maniche

45

I quaranta martiri di Sebaste, sono dei soldati cristiani che furono costretti dal crudele imperatore Licinio di Armenia (308-323) ad adorare gli idoli. Questi però, nonostante gli ordini, si dichiararono cristiani. Originari di luoghi diversi, ma uniti come se fossero un solo uomo nella fede e nella carità, si presentarono, uno alla volta, davanti al governatore designato per la Cappadocia e la Piccola Armenia, Agricolao, professando la loro fede cristiana. Questi li imprigionò, lasciando la decisione finali all’imperatore. Dopo sette giorni, giunto quest’ultimo a Sebaste, li fece comparire al suo cospetto, ma i 40 soldati rimasero saldi nella loro decisione. Vennero così denudati e lasciati così sul lago ghiacciato che era nei pressi della città, affinché patissero una orribile morte, tra le molte sofferenze causate dal gelo. Per rendere ancora più crudele il supplizio, venne posto, come ultima tentazione, un rimedio per le loro pene, facendo preparare, sulle rive del lago, un bagno d'acqua calda affinché chi abbandonasse il lago potesse trovare, immediatamente, un certo sollievo. Incoraggiandosi vicendevolmente, i quaranta martiri avanzarono come un solo uomo sul ghiaccio e, durante tutta la notte, sopportarono il loro martirio pregando il Signore che da quaranta combattenti ne uscissero quaranta vittoriosi, senza che nessuno venisse meno a tale numero sacro, simbolo della pienezza. Mentre la notte avanzava, uno dei martiri, lasciò il lago e si precipitò verso il bagno surriscaldato. Tuttavia, l'improvviso sbalzo di temperatura lo fece morire all'istante, privandolo della corona della vittoria. Di lì a poco alcuni Angeli discesero dalla volta celeste per porre sulle loro teste trentanove splendide corone. Una delle guardie, Aglaio, che si stava scaldando presso il bagno, ebbe la coscienza illuminata dalla fede. Vedendo che una quarantesima corona restava sospesa nell'aria come se attendesse qualcuno per completare il numero degli eletti, gettò le proprie vesti e avanzò sul ghiaccio per raggiungere i martiri, convertendosi. Quando, il mattino dopo, Agricolao venne a conoscenza dell'accaduto, ordinò di trarre fuori i santi dal lago e di finirli, rompendo loro le gambe. Infine, comandò di gettare i corpi nel fuoco affinché non restasse alcuna traccia del loro glorioso combattimento. Seguendo gli ordini del governatore, i soldati

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risvoltate che lasciano vedere parte delle braccia. Anch’esso reca un mantello dorato. Nella mano sinistra, piegata e protesa in avanti, tiene un libro chiuso, la mano destra è invece in riposo sul fianco. Tutti e quattro i mezzi busti sembrano stilisticamente affini, si nota la cura nei dettagli e l’abilità dell’esecuzione da parte dell’artista. I volti sono ricchi di particolari soprattutto per quanto riguarda l’intaglio dei capelli, delle barbe, e di tutti i tratti somatici. La tecnica esecutiva sembra unica e uniforme.

2.1.1 SUPPORTO

Le opere in oggetto sono composte da diversi elementi lignei uniti tra di loro mediante chiodi metallici forgiati a mano e colla. Sono costituite da un corpo principale, dal quale è ricavato il mezzo busto, che poggia su un basamento di forma quadrangolare contenente la reliquia e il cartiglio con il nome del santo in questione. Da un’attenta osservazione visiva, il mezzo busto sembrerebbe ricavato da un unico pezzo di legno e non sembrerebbero presenti assemblaggi di vari segmenti. Infatti dalle lacune degli strati preparatori, che lasciano vedere il supporto ligneo, è possibile notare che porzioni quali il capo, le braccia e le mani, sono ricavate dallo stesso elemento. Era comune infatti, nella realizzazione di sculture lignee, utilizzare un unico tronco per ricavare il busto, e aggiungere a questo gli arti o gli attributi iconografici. Questi venivano ricavati da diversi parti in legno assemblati poi tra di loro. Tali elementi aggiuntivi potevano essere ricavati o meno dalla stessa specie lignea, questa scelta poteva essere fatta sulla base della disponibilità del materiale, della possibilità dispersero le ceneri dei martiri e gettarono le ossa nel fiume, i santi però apparvero in visione al vescovo di Sebaste, e gli indicarono il luogo del fiume che nascondeva le loro reliquie. In seguito, le reliquie dei Quaranta Martiri furono distribuite in molti luoghi e il loro culto si diffuse soprattutto grazie alla famiglia di san Basilio che fece dedicare loro una chiesa ed un monastero. I nomi dei Quaranta martiri sono: Isichio, Melitone, Eraclio, Smaragdo, Domno, Eunoico, Valente, Vibiano, Candido, Prisco, Teodulo, Eutichio, Giovanni, Xantio, Eliano, Sisinnio, Cirione, Aezio, Aggia, Flavio, Acacio, Ecdicio, Lisimaco, Alessandro, Elia, Gorgonio, Eutichio, Atanasio, Cirillo, Sacerdote, Nicola, Valerio, Filottemone, Severiano, Ludione e Aglaio. La motivazione per la quale il reliquiario reca una sola figura e una sola reliquia, è che i quaranta martiri erano mossi dallo stesso fervore verso Cristo e agivano tutti insieme come un solo uomo. Per questo dire quaranta equivale, in questo caso, a dire uno. http://www.santiebeati.it/dettaglio/92258

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economica della committenza, o per semplici motivi di praticità. Tuttavia questo tipo di trattamento, è riscontrabile con più frequenza in sculture di grandi dimensioni per le quali era molto più difficile trovare un tronco che potesse racchiudere l’intera scultura 46. Nel nostro caso infatti, come detto, l’intero mezzo busto è ricavato da un unico elemento ligneo. Le sculture misurano rispettivamente: San Giacomo Minore h.22,5 cm, San Basilio Magno h.23,5 cm, San Diomede Martire h.23,5 cm, Quaranta Martiri h.23 cm, Il basamento è invece composto da quattro assi, vincolate tra di loro mediante colla animale, che si giustappongono a formare un parallelepipedo di forma rettangolare (Fig.69-70).

Fig.69 Faccia frontale del basamento di San

Fig. 70 Basamento visto dall’alto.

Diomede Martire

Questo ha dimensioni di 7 cm di altezza, 20 cm di larghezza, 15 cm di profondità e presenta delle cornicette modanate alle estremità superiori e inferiori di dimensioni: 1,94 cm per quella superiore e 2 cm per quella inferiore. Tali cornicette risultano essere applicate alle assi mediante colla animale e sono collegate tra di loro per mezzo di un taglio a 45 gradi a giunti vivi (Fig.71). Nella faccia frontale del basamento è presente un’apertura di forma rettangolare mistilinea nella quale è collocata le reliquia e un piccolo cartiglio pergamenaceo recante il nome del Santo, visibile attraverso il vetro 46

C. Baracchini, G. Parmini (a cura di), Scultura lignea dipinta-I materiali e le tecniche, Firenze 1996, p.13 G.B. Fidanza, N. Macchioni (a cura di), Statue di legno, Caratteristiche tecnologiche e formali delle specie legnose, Atti del seminario di studi Perugia 2005, Roma 2012

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(Fig.72). Tale apertura è ricavata da una sottile asse di legno pochi millimetri di spessore, incollata al corpo principale del basamento, atta a bloccare il vetro. L’unione tra busto e basamento è realizzata, mediante un elemento ligneo di forma quadrangolare sul quale poggia il mezzo busto e che, incastrandosi nel basamento, funge da “coperchio”, (Fig.73). Tale elemento ligneo infatti, incollato con colla animale al basamento, fa sì che la reliquia non possa essere rimossa dalla sua posizione (Fig.74). I mezzi busti sono vincolati all’elemento ligneo quadrangolare per mezzo di chiodi metallici forgiati a mano visibile dal verso (Fig.75). Solitamente i reliquiari di questa tipologia, recano la reliquia all’interno del busto, nel nostro caso invece, viste le ridotte dimensioni, la reliquia è contenuta nel basamento.

Fig.71 Particolare verso del basamento di San Basilio Magno. Le cornicette mancanti mettono in evidenza la presenza di colla in corrispondenza delle stesse e il taglio a 45 gradi a giunti vivi.

Fig.72 Particolare dell’apertura di forma rettangolare mistilinea presente nel recto del basamento di Quaranta Martiri.

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Fig.73 Busto di Quaranta martiri ed elemento ligneo sottostante

Fig.74 Particolare colla animale

Fig.75 Verso dell’elemento ligneo quadrangolare e particolare dei

presente nel basamento.

chiodi metallici forgiati a mano.

Al fine di approfondire la tecnica esecutiva, si è scelto di effettuare il riconoscimento delle specie lignee che costituiscono i busti reliquiari. L’identificazione è stata effettuata prelevando direttamente dai campioni le sezioni da osservare, mediante un microscopio composito Leica equipaggiato con una fotocamera DinoEye in grado di acquisire immagini da 4MPx.

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Visto il discreto stato di conservazione delle statuine, l’identificazione del legno è stata effettuata prelevando delle sezioni dalle lacune degli strati preparatori che lasciavano il legno a vista. Questo ha ridotto fortemente il numero di sezioni ottenibili, spesso limitate alla sola sezione tangenziale. Per quanto riguarda i busti, si è osservato che si tratta di un legno di latifoglia con raggi pluriseriati, (Fig. 76), e con vasi che presentano ispessimenti spiralati, (Figg.77-78). Sulla base delle caratteristiche osservate e considerati gli ottimi livelli di finitura raggiunti dall’artista, è stato possibile concludere che si tratta di legno di Tiglio, Tilia sp 47. Il tiglio infatti fu il legno più usato per la scultura lignea policroma, ciò è confermato dalle fonti storiche 48.

Fig.76 Microfotografia raggi pluriseriati sezione

Fig. 77 Microfotografia ispessimenti spiralati

trasversale, del legno costituente i busti.

sezione tangenziale, del legno costituente i busti.

47

Il legno di tiglio si presenta con una colorazione biancastra o lievemente giallognola e indifferenziato. Gli anelli di accrescimento sono individuabili e a decorso regolare. È un legno a tessitura fine e a fibratura dritta. G.B. Fidanza, N. Macchioni, op.cit, Roma 2012, pp. 29-30 48 Di seguito due delle diverse fonti che parlano di ciò: «Gli antichi non disprezzano né per le statue né per le pitture il pioppo, bianco e nero, il salice, il carpine sorbo. Il sambuco ed il fico, questi legni sono meravigliosamente dolci e facili sotto lo strumento dello scultore per esprimere tutti i modi delle forme: ma è certo che nessuno di essi può paragonarsi per trattabilità al tiglio» L.B. Alberti, De Re Aedificatoria, in G. Orlandi (a cura di), Milano 1966, p.108 «Ora vegniamo al fatto del lavorare in ancona, o vero in tavola. Prima vuol essere l’ancona lavorata di un legname che si chiama arbero o vero povolare, che sia ben gentile, o tiglio, o saligaro. » C. Cennini, Il libro dell’arte, in F. Frezzato (a cura di), Vicenza 2012, cap. CXIII, pag. 142

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Fig. 78 Particolare ispessimenti spiralati sezione tangenziale, del legno costituente i busti.

Per quanto riguarda il basamento invece, si tratta anche in questo caso di un legno di latifoglia ma caratterizzato da una porosità diffusa, vasi con perforazione semplice e raggi monoseriati omogenei, (Figg. 79-80). Sulla base delle osservazioni effettuate, si può ipotizzare che si tratti di legno di Pioppo, Populus Nigra.

Fig.79 Microfotografia della sezione tangenziale del

Fig.80 Microfotografia della sezione tangenziale del

legno costituente il basamento.

legno costituente il basamento.

Sono state ricavate delle sezioni anche dalle cornicette e dalla sottile asse presente nella faccia frontale del basamento, si è visto che si tratta di un legno di latifoglia con raggi pluriseriati, (Fig.81), con vasi che presentano ispessimenti spiralati, (Fig.82).

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Anche in questo caso, sulla base delle caratteristiche osservate e visto il grado di finitura ottenuto, si può concludere che si tratta di legno di Tiglio, Tilia sp 49.

Fig.81 Microfotografia raggi pluriseriati sezione

Fig.82 Microfotografia ispessimenti spiralati

tangenziale, del legno costituente le cornicette.

sezione tangenziale, del legno costituente le cornicette.

Non deve sembrare una cosa strana, il fatto che vengano usate più specie lignee in un'unica opera. Infatti gli intagliatori conoscevano benissimo i materiali che usavano e le loro caratteristiche materiche e reologiche. Per cui utilizzavano la specie più adatta al lavoro da eseguire. Sapevano per esempio, che il tiglio, essendo un legno a tessitura fine e con un basso grado di durezza, era più adatto all’intaglio perché si poteva raggiungere un ottimo grado di finitura. Mentre il pioppo ha una forte predisposizione a scheggiarsi quindi è sicuramente più adatto per parti che non prevedono l’intaglio. Tuttavia il pioppo venne usato moltissimo in scultura anche se non perfettamente adatto, la motivazione risiede nel fatto che, crescendo spontaneamente e in tempi molto rapidi, è un legno a basso costo. Per ovviare al problema della finitura grossolana gli artisti stendevano su di esso spessi strati di preparazione che modellavano al fine di ottenere la finitura desiderata 50.

49

Il legno di pioppo, si presenta con alburno biancastro e durame non sempre differenziato e di colore verdastro o bruno. Gli anelli di accrescimento sono individuabili e hanno un andamento regolare. La tessitura può essere fine o grossolana e varia a seconda dalla specie. La fibratura è dritta. G.B. Fidanza, N. Macchioni, op.cit., Roma 2012, pp. 29-29 50 Ibidem

66


La scelta del legno dunque, insieme all’abilità dell’artista, pregiudica il risultato finale dell’intaglio. Sin dall’antichità infatti, gli artisti hanno sperimentato l’uso di diverse specie lignee, che venivano scelte in base a caratteristiche quali: la lavorabilità, il raggiungimento del grado di finitura, la tessitura, e la durabilità. Era infatti di fondamentale importanza che il legno risultasse: •

Facile da lavorare senza subire deformazioni, scheggiature o altre alterazioni

che pregiudicano il risultato finale e il grado di definizione voluto dall’artista. •

Capace di dare superfici lisce e lavorate in maniera omogenea e uniforme.

Con una tessitura idonea al manufatto da realizzare. In genere tessitura e

finitura sono in stretta dipendenza infatti, i legni a tessitura più grossolana non consentono finiture particolarmente accurate, viceversa i legni a tessitura più fine consentono ottimi livelli di finitura. •

Resistente agli attacchi da parte di organismi xilofagi, che hanno la capacità di

nutrirsi dei suoi composti chimici, provocando alterazioni molto spesso irreversibili. •

Esente o con scarsa presenza di tannini e sacche resinifere, per non macchiare

la preparazione inficiando così la policromia finale. È altresì importante sottolineare come anche la reperibilità delle diverse specie lignee ne condizioni il proprio uso per scopi artistici 51. Sia dalle lacune degli strati pittorici che dalle parti in cui la doratura lascia il posto alla policromia, è possibile notare tracce lasciate dagli attrezzi usati dallo scultore in fase di lavorazione. Si notano chiaramente i segni di due tipologie di scalpelli: uno utilizzato per la sgrossatura e un altro per realizzare i dettagli dei capelli, della

51

Gli antichi egizi ad esempio utilizzavano legni locali quali: il sicomoro, l’acacia, la spina di Cristo, il tamerisco, ma importavano anche legni di qualità migliore dalla Siria e dal Libano quali il cedro, il pino, e il cipresso. Tuttavia l’essenza più apprezzata era l’ebano. Ancora nella scultura greca diverse fonti parlano invece di legni quali: il cedro, il cipresso, il loto, il bosso, l’ebano, la querce, il tasso, il pero selvatico, il fico, l’agnocasto, l’ebano e l’ulivo. Con l’inizio dell’arte classica la scultura lignea viene progressivamente abbandonata a favore del marmo e del bronzo, venne ripresa poi alla fine del Duecento quando in Europa meridionale cominciarono ad essere utilizzate essenze quali: il noce e il cipresso, mentre in Europa Settentrionale: la quercia, il tiglio, il pero o legni teneri quali il pino cembo, il cirmolo e il larice. Ancora durante la prima metà del cinquecento in Germania meridionale, furono usati il pero, il bosso, il noce. In Italia i legni sicuramente più usati furono il pioppo, il tiglio, e il larice. E. Baccheschi et. al., Le tecniche artistiche, ideazione e coordinamento di Corrado Maltese, Milano 1973, pp. 11-17

67


fisionomia dei volti, delle mani e gli attributi iconografici. Un attento esame visivo ci ha permesso di misurare la dimensione di questi strumenti che sono di 0,5 cm, 1 cm fino a 3 cm. Altri segni di lavorazione sono riscontrabili ancora sia nel verso, sia nei bordi della tavoletta lignea quadrangolare che assicura il collegamento busto- basamento. Qui sono visibili dei segni lasciati dalle seghe in fase di realizzazione della stessa. Anche il basamento mostra, nelle parti lasciate a risparmio (parte interna e parte sottostante), dei segni lasciati da seghe 52.

2.1.2 STRATI PREPARATORI

Era pratica consolidata, prima di stendere gli strati preparatori, applicare uno strato di colla animale direttamente sul supporto, questa aveva la funzione di impermeabilizzare e turare i pori del legno. Nel nostro caso però, non è possibile rintracciare tale strato ma sappiamo dalle fonti storiche che questa era un pratica ricorrente. 53 Da un attento esame visivo delle lacune presenti, è stato possibile osservare gli strati preparatori. Questi risultano essere di spessore molto esiguo e lasciano vedere chiaramente l’intaglio del legno particolarmente dettagliato e accurato. Ciò ci dà prova 52 Gli attrezzi dello scultore si dividevano in due grandi categorie: strumenti da sgrossatura e strumenti da intaglio. Tra i primi troviamo: asce, seghe, scortecciatori, pialle, e altri attrezzi da spacco; dei secondi fanno parte invece: scalpelli, sgorbie, lame da taglio di varie dimensioni. Le dimensioni di tali utensili non erano standardizzate, ogni scultore, in base alle proprie abitudini ed esigenze, si costruiva l’utensile dalla forma e dimensione voluta. Per questo è molto interessante provare a misurare, ove possibile, gli strumenti di lavorazione. C. Baracchini, G. Parmini, op. cit., Firenze 1996, p.11 53 Una delle tante fonti storiche che ci parla di questa pratica, è Cennino Cennini: …Abbi prima colla fatta di mozzature di carte pecorine, bollita tanto, che rimanga delle tre parti l’una. Tastala colle palme delle mani; e quando senti che l’una palma si appicca coll’altra, allora è buona. Colala due o tre volte. Poi abbi in una pignatta, mezza di questa colla, e il terzo acqua, e falla ben calda. Poi con un pennello di setole, grosso e morbido, da’ di questa colla su per la tua ancona, e sopra fogliami, civori, o colonnelli, o ciò che lavoro fusse che abbia a ingessare; poi la lascia seccare. Togli poi della tua prima colla forte, e danne col tuo pennello due volte sopra il detto lavoro, e lasciala sempre seccare dall’una volta all’altra; e rimane incollata perfettamente. E sai che fa la prima colla? Un’acqua che viene ad essere men forte; e appunto come fussi digiuno e mangiassi una presa di confetto, e beessi un bicchiere di vino buono, ch’è un invitarti a desinare. Così è questa colla: è un farsi accostare il legname a pigliare le colle e gessi. C. Cennini, op. cit., Vicenza 2012, capp. CXIII, pp.142-143.

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della profonda abilità scultorea dell’artista, che è stato in grado di riproporre tutti i dettagli anatomici con una sorprendente esattezza nella definizione, direttamente con l’intaglio. È noto infatti che, in alcuni casi, gli artisti erano soliti abbozzare il modellato completandolo poi con strati preparatori di spessore consistente (fino a qualche centimetro) atti a definire e particolareggiare la scultura. Nel nostro caso la preparazione svolge solamente il ruolo di supporto agli strati pittorici. Le quattro opere presentano uno strato di preparazione di colore bianco a base di solfato di calcio e colla animale, steso a pennello (Fig. 83), rilevati grazie all’ analisi EDX 54. Questo, ricopre tutta la superficie dei mezzi busto comprese le parti non visibili come: i risvolti delle vesti sul verso delle sculture; il palmo e le parti più nascoste delle mani come le insenature tra le dita; l’interno della bocca; gli incavi degli occhi; l’interno delle orecchie e ogni singola ciocca di capelli (Fig.84).

Fig.83 Macrofotografia (50X) di un pelo del

Fig.84 Particolare viso di Quaranta Martiri, lo

pennello intrappolato negli strati preparatori in

strato preparatorio ricopre tutti gli interstizi

fase di stesura.

dell’intaglio.

Nessuna parte dell’intaglio ne è sprovvista. Le uniche parti che sono state lasciate a risparmio sono: la parte sottostante del mezzo busto e la corrispondente parte della tavoletta sottostante che assicura l’unione busto- basamento, i bordi e il verso di quest’ultima (Fig.85), e le parti sottostante ed interna del basamento. Osservando bene tutte le sculture e riflettendo sulle parti lasciate a risparmio, risulta chiaro il

54

Vedi capitolo IV.

69


procedimento costruttivo utilizzato dall’artista. Questo infatti probabilmente ha proceduto realizzando prima il busto e il basamento, inchiodandolo poi alla tavoletta di collegamento e infine incollando la tavoletta al basamento. Solo dopo aver assemblato ogni singola parte dei reliquari, ha proceduto con la stesura degli strati preparatori. Dalle immagini al microscopio ottico è possibile notare come non sia rispettato il consueto alternarsi di strati a gesso grosso e strati a gesso sottile così come raccomandato da Cennino Cennini 55 (Fig.86). È riscontrabile piuttosto una sola stesura a base di gesso sottile, che fa chiaramente comprendere la volontà dell’artista di non caricare troppo la scultura con la preparazione, ma di lasciare che l’intaglio, così particolareggiato, risultasse perfettamente visibile. Dopotutto anche il Cennini per cotali lavoruzzi piccoli e gentili 56ammette l’uso del solo gesso sottile.

Fig.85 Particolare bordo lasciato a risparmio della tavoletta

Fig.86 Stratigrafia vista al microscopio

sottostante il busto di San Diomede Martire.

ottico, si nota che il gesso ha granulometria uniforme.

55

C. Cennini, Il libro dell’arte, in F. Frezzato, (a cura di.), Vicenza 2012, capp. CXV-CVII, pp.144147. 56 Ibidem, cap.CXVIII, pag. 147. Cap. CXVIII: Come si può ingessare di gesso sottile, non avendo ingessato prima di gesso grosso. Ancora si può bene incollare due o tre volte, come da prima ti dissi, cotali lavoruzzi piccoli e gentili; e darne solo di gesso sottile tante volte, quanto per pratica vedrai che bisogno sia.

70


2.1.3 STRATI PITTORICI E DORATURA

I quattro busti reliquiari oggetto del nostro intervento di restauro, presentano parti dorate e parti dipinte. Infatti i capelli, i volti, e le braccia, si presentano policromi, mentre le aureole, le vesti, la tavoletta sotto il busto e il basamento, dorati. Per quanto riguarda le parti policrome, queste sono realizzate per mezzo di stesure sovrapposte di pigmenti misti ad un legante proteico identificato grazie all’analisi FTIR che ci ha permesso inoltre di identificare i pigmenti che costituiscono gli incarnati: rosso veneziano, giallo ocra e biacca 57. Gli incarnati sono realizzati con velature di colore che vanno dalla tonalità del rosso-violaceo al rosa pallido, l’utilizzo del rosso-violaceo in alcuni punti dei volti è da attribuire alla volontà dell’artista di dare più intensità e naturalezza all’incarnato. Per conferire profondità ad occhi ed orecchie, l’artista ha contornato le parti con un colore bruno che rende l’ombra dei padiglioni auricolari, la sporgenza delle palpebre, e la profondità della lima interna dell’occhio (Fig.87). Le sopracciglia e le ciglia sono realizzate mediante un colore bruno, a punta di pennello, che definisce in maniera puntigliosa ogni singolo pelo (Fig.88).

57

Fig.87 Microfotografia 50x effettuata con

Fig.88 Microfotografia 50x effettuata con

microscopio digitale con porta USB, del contorno

microscopio digitale con porta USB, delle

della lima interna dell’occhio eseguito un colore

sopracciglia realizzate a punta di pennello. Busto di

bruno. Busto di Giacomo Minore

Giacomo Minore

Vedi capitolo IV

71


Le labbra sono tutte eseguite con un colore rosso acceso, i denti invece con pigmento bianco e sono tutti definiti a punta di pennello con un bruno molto scuro (Fig.89). Anche la cavità orale si presenta pigmentata di un rosso cupo quasi bruno. La barba di ogni singolo personaggio è anch’essa realizza a punta di pennello a rifinire ogni singola ciocca e si presenta: di colore grigio fumo per quanto riguarda Quaranta martiri; e di colore bruno chiaro per San Giacomo Minore, San Diomede martire e San Basilio Magno. Oltre che per mezzo del pennello, la definizione della peluria della barba è data inoltre dall’asportazione di colore in fase di asciugatura per mezzo di una sottilissima punta (Fig.90). Questo procedimento lascia intravedere il bianco della preparazione conferendo ancora più morbidezza e vitalità alle sculture.

Fig.89Microfotografia 50x effettuata con

Fig.90 Microfotografia 50x effettuata con

microscopio digitale con porta USB, delle labbra e

microscopio digitale con porta USB, della peluria

dei denti. Busto di Giacomo Minore.

della barba. Busto Quaranta Martiri.

I capelli sono realizzati con un tono più caldo della barba per le sculture di San Giacomo Minore, San Diomede martire e San Basilio Magno, mentre si presentano grigi come la barba per Quaranta martiri. Anche la volumetria dei capelli è resa per mezzo dell’asportazione di colore con una sottile punta. Alcuni peli dei capelli invece sono realizzati lungo il collo e vicino le orecchie con un pennello a punta fine (Fig.91). Le unghie delle mani sono eseguite con un colore bruno (Fig.92). La zona in cui l’incarnato si unisce alla veste è tutta contornata con un pigmento bruno.

72


Fig.91 Particolare peluria dei capelli. Busto di San

Fig.92 Microfotografia 50x effettuata con

Basilio Magno.

microscopio digitale con porta USB, delle unghia delle mani. Busto di Giacomo Minore

Per quanto riguarda le parti dorate, queste sono eseguite con la tecnica cosiddetta a guazzo. La tecnica a guazzo prevede la stesura di una o più mani di bolo, sul quale verrà poi applicata la foglia oro. Infatti il bolo è una sostanza argillosa che, per la sua grana molto fine, viene largamente impiegata come base per la doratura. Essendo una sostanza molto morbida e capace di rimanere tale anche per qualche tempo dopo la sua stesura, è particolarmente adatta sia a ricevere la foglia sia a permetterne la successiva brunitura grazie alla sua capacità definita resiliente. Gli ossidi presenti nella sua composizione chimica, inoltre, influiscono sulla sua colorazione che va dal giallo paglierino al nero. L’utilizzo del bolo rosso influisce sulla colorazione finale della foglia oro che risulta essere di una tonalità più calda. Dalle mappe elementali ottenute mediante analisi EDX 58, ottenute da micro campioni, si è potuti risalire alla composizione chimica del bolo utilizzato nei quattro reliquiari: è evidente una netta predominanza di elementi quali il Silicio, l’alluminio e il ferro. Ciò ci dà conferma che si tratti proprio di bolo rosso. Questo ha uno spessore di circa 34 micron ed è steso uniformemente su tutta la superficie. Ciò è possibile dedurlo per mezzo di un’attenta osservazione visiva e tramite foto al microscopio digitale con porta USB. Infatti dalle numerose lacune della foglia oro e dalle abrasioni è spesso visibile la tipica colorazione rossastra. Infine troviamo la foglia oro, applicata sia nelle parti ben visibili sia negli interstizi più nascosti. Nessuna parte dell’intaglio delle sculture è lasciata a risparmio.

58

Vedi capitolo IV.

73


Per quanto riguarda invece la tavoletta sulla quale poggia il mezzo busto e il basamento, questi sono dorati nel recto e nelle parti in cui i vari elementi lignei non si sovrappongono tra di loro. Lo spessore della foglia è mediamente di 7 micron. A ben guardare, fin dai tempi più remoti, l’oro, per le sue caratteristiche di duttilità, lucentezza, e malleabilità, fu considerato il materiale più prezioso per la realizzazione di oggetti e di opere d’arte di un certo valore. Non solo per la qualità del metallo in sé, ma anche per la forte carica simbolica di cui veniva investito. Esso infatti da sempre venne considerato simbolo di immutabilità, perfezione, eternità e luce 59. Basti pensare al forte valore simbolico che gli attribuivano gli antichi Egizi, per loro infatti l’oro, simbolo di luce e sole, assumeva un ruolo di particolare importanza. Proprio per questo tutti gli utensili del corredo funerario del Faraone, comprese le maschere funebri, i bassorilievi e le pitture murali erano spesso realizzate con questo preziosissimo materiale. Ma l’uso di rivestire con foglia oro la superficie degli oggetti a scopo decorativo, si diffuse principalmente dall’età Omerica al Medioevo 60. Artisti quali Plinio 61, Vitruvio 62, Teofilo 63, Cennini 64 e Vasari 65 parlano ampiamente di questa tecnica artistica tanto apprezzata fino ai giorni nostri. Dopo l’osservazione con lampada di Wood, non è stata rintracciata traccia di fluorescenza di strati di finitura né sulla policromia né tantomeno sulla superficie dorata.

59

G. Pignolo, Effetti d’Oro- Storia e tecnica della doratura nell’arte, Bologna 2000, pp. 14-19. Ibidem, pp. 19-23 61 Plinio nella Naturalis Historia soprattutto nei capitoli XXXIII- XXXIV-XXXV-XXXVI, ci fornisce importantissime indicazioni sulle tecniche artistiche dell’arte antica. 62 Nel suo volume De architectura 63 Orafo benedettino attivo intorno al 1100 in Germania. Autore del De diversis artibus: uno dei più notevoli trattati tecnico-artistici medievali che si articola in tre libri dedicati a pittura, tecnica della lavorazione del vetro e oreficeria. 64 La sua opera, Libro dell’arte, è un importantissimo e fondamentale trattato sulla produzione artistica, contenente informazioni sulle tecniche artistiche ma anche su tutti gli attrezzi e i materiali utilizzati dagli artisti del suo tempo. Fornisce inoltre consigli e "trucchi" del mestiere. 65 Il trattato Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri, venne pubblicato nel 1550. L'opera è composta da una parte introduttiva di natura tecnica e storico-critica sulle tre arti cosiddette maggiori: architettura, scultura e pittura, e da una parte che descrive la vita studio le opere di più di 160 artisti. 60

74


2.2 STATO DI CONSERVAZIONE – INTRODUZIONE

Come per l’analisi della tecnica esecutiva, anche l’analisi sullo stato di conservazione è parimenti fondamentale per definire un adeguato intervento conservativo. I manufatti subiscono processi di deterioramento che alterano il loro stato originario, sia per la deperibilità dei materiali costitutivi sia per le non idonee condizioni di conservazione. Nel nostro caso, si può supporre che i quattro mezzi busti abbiano subito vicende conservative molto travagliate. Da quanto ipotizzato, le opere in oggetto, non sono sempre state nell’attuale collocazione, per cui è provabile che, dalla loro realizzazione, abbiano subito delle vicende conservative molto diverse. Infatti, dal luogo per il quale erano state concepite, sono passate ad uno dei sottotetti della casa-canonica adiacente la Chiesa Madre di Polizzi Generosa, e che solo nel 2001 66 sono state collocate sul reliquiario a predella della cappella del SS. Crocifisso della stessa Chiesa. Si sa che i sottotetti degli edifici antichi, non sono quasi mai ambienti adatti alla conservazione di opere d’arte, questi infatti presentano dei parametri termo-igrometrici non idonei a materiali particolarmente sensibili come le opere d’arte di natura sia organica sia inorganica. D’altro canto, neanche le Chiese presentano parametri che rientrano nel cosiddetto intervallo di benessere, per cui non è difficile pensare che le opere in oggetto presentano delle morfologie di degrado tipiche di ambienti conservativi non del tutto idonei. Si possono notare infatti le seguenti morfologie di degrado: •

Biologico: dovuto all’attacco da parte di agenti biodeterogeni che hanno

trovato nei materiali costitutivi, un ottimo substrato nutritivo, compromettendone in maniera irreversibile la capacità strutturale del supporto. •

Termo-igrometrico: hanno accelerato i naturali movimenti di ritiro e

dilatazione del supporto provocando sconnessure tra gli elementi assemblati, ma anche conseguenti difetti di adesione degli strati preparatori e pittorici.

66

Fonti dirette ci hanno fornito sia le foto della precedente collocazione, sia il dato storico riportato.

75


Antropico: dovuto ad interventi conservativi precedenti che hanno modificato,

se pur in minima parte, l’originale aspetto delle sculture.

2.2.1 SUPPORTO

Le opere oggetto del nostro intervento di restauro, si presentano in un discreto stato di conservazione. Per definire le cause delle morfologie di degrado sarebbe stato interessante conoscere almeno il taglio del legno di supporto che è rimasto però non ispezionabile alla sola osservazione visiva seppure ravvicinata. Il supporto di tutte e quattro le sculture non presenta sostanziali mancanze che ne alterano l’aspetto o l’iconografia originaria. Piccole mancanze sono riscontrate nel reliquiario di Quaranta martiri, precisamente: il dito indice della mano sinistra (Fig.93); una piccola porzione di veste adiacente a quest’ultimo; una porzione di veste nella parte inferiore del dorso; la falange del dito mignolo della mano destra (Fig.94). Il basamento di San Basilio Magno è interessato invece, dalla mancanza delle cornicette modanate della parte superiore ed inferiore del verso (Fig.95) e dell’aureola (Fig.96).

Fig.93 Particolare della mancanza del dito indice

Fig.94 Particolare della mancanza della falange del

della mano sinistra. Reliquiario di Quaranta martiri.

dito mignolo della mano destra. Reliquiario di Quaranta martiri.

76


Fig.95 Particolare delle cornicette modanate della

Fig.96 Particolare del volto del reliquiario di San

parte superiore ed inferiore del verso mancanti.

Basilio Magno. Si nota la mancanza dell’aureola.

Reliquiario San Basilio Magno.

È stato riscontrato un attacco da parte di insetti xilofagi, riconoscibile da diversi fori di sfarfallamento raggruppati o isolati, e da gallerie che tuttavia non hanno compromesso la leggibilità dell’immagine. Il reliquiario sicuramente più compromesso in tal senso è quello di San Basilio Magno, che presenta numerosissimi fori di sfarfallamento localizzati soprattutto nelle due spalle del mezzo busto, e in maggior misura nella sinistra (Fig.97). Tuttavia numerosi altri fori di sfarfallamento sono presenti su tutta la superficie e coinvolgono sia il supporto, sia gli strati preparatori e pittorici. Ancora sulla stessa scultura una vistosa galleria localizzata in corrispondenza del dito medio della mano sinistra (Fig.98). Gli altri mezzi busti reliquiari non sono interessati in maniera massiva da attacchi entomatici se non in alcune e localizzate parti. È il caso di San Diomede martire che presenta delle gallerie nelle cornicette del basamento (Fig.99). Precisamente nella parte sommitale della cornicetta superiore. Tali gallerie hanno, in alcune zone, compromesso la solidità della stessa cornice andando a provocare delle lacune degli strati preparatori e pittorici. Pochi e sporadici fori sono visibili sulle restanti sculture. Tutti i fori di sfarfallamento si presentano di forma rotondeggiante, dal contorno regolare e hanno un diametro di circa un millimetro (Fig.100). Dalle osservazioni condotte sul rosume e su frammenti

77


di elitre ritrovati in fase di spolveratura, è emerso che, con tutta probabilità, la specie responsabile di tale attacco è stata quella degli anobidi 67.

Fig.97 Particolare spalla sinistra del busto di San

Fig.98 Particolare dito medio della mano sinistra del

Basilio Magno. Attacco entomatico di forte entità.

busto di San Basilio Magno. Vistosa galleria.

Fig.99 Particolare cornicetta superiore del

Fig.100 Particolare fori di sfarfallamento presenti nel

basamento di San Diomede martire. Gallerie da

busto di San Basilio Magno.

insetti xilofagi.

67

Gli anobidi sono una famiglia dell’ordine dei coleotteri. Attaccano indifferentemente legno tenero di latifoglie o conifere. Sono in grado di alimentarsi a spese della lignina e della cellulosa presente nella parete cellulare. Sono in grado di attaccare legni morti e molto stagionati, per questo sono tra i maggiori responsabili dell’infestazione dei beni culturali. E. Chiappini et al, Insetti e Restauro- legno, carta, tessuti, pellame, e altri materiali, Bologna 2001, pp.136-143

78


Le sculture di San Basilio Magno, San Diomede martire e Quaranta martiri, presentano una sconnessura in corrispondenza dell’unione tra mezzo busto e tavoletta sottostante. Le sconnessure interessano inoltre: •

Il basamento, in corrispondenza dell’unione tra assi e cornicetta superiore

(Fig.101), e in corrispondenza dell’unione a 45° tra la cornicetta frontale e quella destra, e tra le varie assi che compongono il verso di San Basilio Magno. •

L’unione a 45 gradi tra le cornicette superiori, di San Diomede martire

(Fig.102). •

Il verso del basamento, in corrispondenza dell’unione tra le assi che

costituiscono i basamento e tra assi e cornicetta superiore, di Quaranta martiri (Fig.103). Infine l’incollaggio tra scultura-tavoletta lignea e basamento di tutti e quattro i busti reliquiari, non risulta più essere efficiente, in quanto la colla animale utilizzata a tale scopo ha perso l’originario potere adesivo (Fig.104).

79

Fig.101 Particolare sconnessura tra le assi che

Fig.102 Particolare sconnessura presente in

compongono il verso del basamento, di San Basilio

corrispondenza dell’unione a 45° gradi tra le

Magno.

cornicette superiori, di San Diomede martire.


Fig.103 Particolare sconnessura presente nel verso

Fig.104 Particolare della colla che assicurava

del basamento, in corrispondenza dell’unione tra assi

l’incollaggio tra busto-tavoletta sottostante e

e cornicetta superiore, di Quaranta martiri.

basamento del busto San Diomede martire.

2.2.2 STRATI PREPARATORI

Lo strato preparatorio dell’opera, nel suo complesso, risulta essere in un discreto stato di conservazione in quanto svolge ancora la sua funzione di solida base per la pellicola pittorica e per la doratura. Tuttavia da foto effettuate al microscopio digitale con porta USB, è possibile notare come, la preparazione che accoglie le parti policrome, è interessata da un cretto a tratti molto sottile e ramificato (Fig.105), a tratti più largo e pronunciato (Fig.106).

Fig.105 Microfotografia (50x) cretto pellicola

Fig.106 Microfotografia (50x) cretto pellicola

pittorica molto sottile e ramificato. Busto di

pittorica largo e pronunciato. Busto di Quaranta

Quaranta Martiri.

Martiri.

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Generalmente la crettatura degli strati preparatori, che corrisponde con quella della pellicola pittorica, si deve ai normali movimenti del supporto ma anche alla diversa risposta che i materiali costituenti l’Opera d’arte danno alle variazioni termoigrometriche. Invece la preparazione presente al di sotto delle parti dorate, visibile dalle svariate lacune della doratura, sembra essere piÚ compatta e meno crettata. Non sono presenti difetti di coesione ma diffusi e in certi casi pronunciati, difetti di adesione. Questi ultimi sono localizzati soprattutto in corrispondenza dei bordi delle lacune che risultano essere particolarmente compromessi. Tuttavia i difetti di adesione cosÏ come le lacune dello strato preparatorio, interessano in maggior misura le sculture di San Basilio Magno, San Diomede martire e Quaranta martiri. San Basilio Magno presenta lacune diffuse su: piccole zone del volto, dei capelli e della barba; zone estese della veste in particolare il lato del colletto, le pieghe del recto, le spalle e ampie zone del dorso (Fig.107); parti consistenti del libro (Fig.108); e parti delle dita di entrambi le mani; zone circoscritte della tavoletta lignea al di sotto della scultura; porzioni estese delle cornicette superiori e inferiori del basamento. San Diomede martire presenta lacune su: piccole zone diffuse degli incarnati (Fig.109); della veste (Fig.110); ampia zona del retro della tavoletta lignea sottostante il mezzo busto; zone diffuse del basamento, in particolare ampia parte della cornicetta superiore. Quaranta martiri presenta lacune dello strato preparatorio in corrispondenza di: piccole zone degli incarnati, della barba e dei capelli; parte dei risvolti e delle pieghe della veste in maggior misura nel verso (Fig.111), del mantello (Fig.112) e del libro; aree localizzate della tavoletta lignea sotto la scultura; piccole parti del basamento.

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Fig. 107 Lacune degli strati preparatori del dorso

Fig.108 Particolare lacune degli strati preparatori del

di San Basilio Magno.

libro di San Basilio Magno.

Fig.109 Particolare lacune degli strati preparatori

Fig.110 Particolare lacune degli strati preparatori

della mano sinistra di San Diomede martire.

della manica di San Diomede Martire.

Fig.111 Particolare lacune degli strati preparatori

Fig.112 Particolare lacune degli strati preparatori del

della manica di Quaranta martiri.

verso del mantello di Quaranta martiri.

82


Le quattro opere erano inoltre interessate da svariati sollevamenti (Figg.113-114).

Fig.113 Particolare sollevamenti degli strati

Fig.114 Particolare sollevamenti degli strati

preparatori su zone localizzate del viso di Quaranta

preparatori del verso di San Basilio Magno.

martiri.

2.2.3 PELLICOLA PITTORICA E DORATURA

La pellicola pittorica delle quattro opere, si presenta in un discreto stato di conservazione. Tutte le problematiche collegate agli strati preparatori, pittorici e alla doratura sono da attribuirsi ai fisiologici movimenti del legno. Le parti policrome sono interessate da una crettatura con isole piccole, sottili e parallele tra di loro (Fig.115), che in alcune aree si presentano con i bordi sollevati e deadesi.

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Fig.115Macrofotografia dell’incarnato di San Giacomo Minore. Crettatura con isole piccole, sottili e parallele tra di loro.

Non mancano le lacune che interessano, in particolar modo, piccole zone circoscritte. Infatti queste, pur essendo numerose, non ledono l’integrità della policromia che nel suo insieme risulta essere ancora ben visibile. Parlando singolarmente per ogni singola opera possiamo dire che: San Giacomo Minore: presenta lacune diffuse su piccole porzioni dei capelli, del naso, della barba, del collo e delle mani (Fig.116). San Basilio Magno: è la scultura che tra tutte presenta il maggior numero di lacune sia degli strati preparatori, come è possibile dedurre da ciò che è stato detto sopra, che, di conseguenza, di quelli pittorici. Troviamo infatti lacune evidenti sulla barba e sulle mani; e piccole lacune sul viso (Fig.117) e sui capelli. San Diomede Martire: presenta numerose ma piccole lacune sulla zone del volto, della barba, del collo (Fig.118) e del dorso delle mani. Quaranta martiri: è interessato da lacune circoscritte in particolare sul volto e sulle mani (Fig.119).

84


Fig.116 Particolare lacune della pellicola pittorica

Fig.117 Particolare lacune della pellicola pittorica

su zone localizzate del viso di San Giacomo Minore.

su zone localizzate del viso di San Basilio Magno.

Fig.118 Particolare lacune della pellicola pittorica

Fig.119 Particolare lacune della pellicola pittorica

su zone localizzate del viso di San Diomede Martire.

su zone localizzate del viso di Quaranta Martiri.

La policromia è inoltre interessata da vari sollevamenti che si localizzano nelle insenature dell’intaglio di tutti e quattro i mezzi busti (Fig.120). In particolar modo: tra le ciocche dei capelli e delle barbe, nelle “rughe d’espressione” dei volti, e nelle insenature tra le dita. È riscontrabile ancora qualche abrasione soprattutto nelle parti aggettanti (Fig.121).

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Fig.120 Particolare sollevamenti della pellicola

Fig.121 Microfotografia (50x) delle abrasioni della

pittorica su zone localizzate del viso di San Diomede

pellicola pittorica sul naso di San Giacomo Minore.

Martire.

La doratura risulta essere, in alcune sculture più integra e adesa, in altre lacunosa e interessata da difetti di adesione. Proprio per questo, è necessario parlare singolarmente di ogni singolo reliquiario. Si può notare infatti che: San Giacomo Minore: non presenta sostanziali lacune della doratura. Si notano piuttosto piccole parti compromesse come le pieghe più sporgenti delle vesti del mantello (Fig.122), e piccolissime zone del libro. La tavoletta sottostante presenta qualche lacuna localizzata su ristrette aree del perimetro e il basamento risulta lacunoso di circoscritte aree degli spigoli dei quattro lati. San Basilio Magno: è il reliquiario più lacunoso. La doratura del mezzo busto risulta essere particolarmente compromessa, infatti la mancanza di ampie zone degli strati preparatori ha conseguentemente provocato la perdita della foglia oro. Quest’ultima infatti non è più presente in diverse zone ma in particolar modo sulle spalle e nel verso della veste (Fig.123) e in parte dell’interno dell’libro. La tavoletta sottostante risulta lacunosa di tutta la parte retrostante, mentre il basamento presenta delle lacune in corrispondenza delle cornicette superiori e inferiori. San Diomede martire: si notano piccole parti lacunose come le pieghe più sporgenti delle vesti del mantello (Fig.124), e zone circoscritte del libro. La tavoletta sottostante presenta qualche lacuna localizzata su ristrette aree del perimetro e il basamento risulta lacunoso di parti localizzate delle cornicette.

86


Quaranta martiri: Presenta lacune diffuse nelle pieghe della veste (Fig.125) e del mantello, soprattutto nel verso. La tavoletta lignea sottostante risulta lacunosa solo nel perimetro e il basamento è danneggiato in zone localizzate.

Fig.122 Particolare lacune della doratura nelle

Fig.123 Particolare lacune della doratura nella veste

pieghe del mantello di San Giacomo Minore.

di San Basilio Magno.

Fig.124 Particolare lacune della doratura nella veste

Fig.125 Particolare lacune della doratura nella veste

di San Diomede Martire.

di Quaranta Martiri.

I quattro reliquiari presentano inoltre varie abrasioni (Fig.126) che, in alcune zone, lasciano intravedere la sovrapposizione delle foglie oro (Fig.127). Sulle parti policrome è presente una sostanza eterogenea soprammessa 68 che altera in parte l’originale cromia (Fig.128).

68

Vedi intervento di restauro paragrafo 2.3.

87


Questa risulta interessata da un cospicuo strato di deposito coerente ed incoerente, che si accumula in particolar modo negli interstizi delle sculture (Fig.129).

Fig.126 Microfotografia (50x) delle abrasioni della

Fig.127 Microfotografia (50x) delle abrasioni della

doratura sulla veste di San Diomede Martire.

doratura sulla veste di San Basilio Magno.

Fig.128 Particolare sostanza soprammessa, San

Fig.129 Particolare cospicuo strato di deposito

Basilio Magno.

coerente ed incoerente. San Diomede Martire.

2.2.4 INTERVENTI PRECEDENTI

Da un attento esame effettuato sulle opere in questione, è evidente che queste siano state interessate da almeno un intervento precedente. Quando parliamo di interventi precedenti intendiamo tutte quelle operazioni effettuate sul manufatto, che non sono riconducibili alla mano dello stesso artista. Non è difficile pensare infatti, che il passaggio del tempo sull’opera d’arte lascia sulla stessa dei segni che ne

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compromettono la corretta leggibilità, per cui non è strano che nel tempo artistirestauratori o restauratori veri e propri, si siano interessati alla sua conservazione effettuando su di essa interventi a volte discutibili. Nel nostro caso possiamo notare che, le quattro opere sono state oggetto di un precedente intervento di restauro che ha previsto la reintegrazione cromatica di alcune lacune delle parti dorate. Queste però non sono state realizzate con accuratezza, infatti il “restauratore” in questione nel reintegrare le lacune della doratura, ha spesso debordato sull’originale (Fig.130). Inoltre il colore utilizzato, si avvicina ad un giallo ocra misto ad un atro pigmento scuro, difficili da non notare (Fig.131). Pertinente a questo intervento, probabilmente è da attribuire la realizzazione delle teche lignee che sono state affrontate nel paragrafo 2.3.

Fig.130 Particolare ridipinture delle pieghe della

Fig.131 Particolare ridipinture delle pieghe della

veste di San Giacomo Minore.

veste di San Basilio Magno.

2.3 INTERVENTO DI RESTAURO

Dopo aver studiato attentamente i materiali costitutivi e le tecniche di esecuzione e aver compreso lo stato di fatto, è stato pianificato l’intervento di restauro più idoneo da mettere in atto. Si sa che il nostro intervento sull’opera d’arte, deve essere il meno invasivo possibile e deve rispettare i criteri di riconoscibilità, reversibilità e compatibilità. Proprio per questo, tutti i materiali utilizzati e le operazioni effettuate, sono state valutate in maniera accurata e in accordo con la Direzione dei lavori, al fine

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di mettere in atto un intervento conservativo che assicuri l’opera alle generazioni future nella sua integrità materica e nella sua unità estetica. Come prima e fondamentale operazione, è stata svolta un’accurata campagna fotografica, a luce naturale, e agli UV (Figg.132-133), volta ad avere un riscontro immediato tra il prima e il dopo e ad immortalare fenomeni di degrado che non saranno più visibili dopo il restauro. È stata condotta inoltre una documentazione grafica con programmazione CAD, utile ad avere un’idea chiara ed immediata delle tecniche esecutive, dello stato di conservazione e degli interventi precedenti. Si è proceduto poi al prelievo di piccoli campioni che hanno interessato tutti gli strati fino al supporto. Dove è stato possibile, si è preferito utilizzare dei frammenti erratici trovati in fase di spolveratura. È stato prelevato anche parte del deposito incoerente al fine di valutare se al suo interno erano presenti resti degli insetti che avevano infestato il supporto.

Fig.132 Particolare agli UV del volto di San Basilio

Fig.133 Particolare agli UV della mano destra di

Magno.

San Basilio Magno.

A questo punto sono cominciate le operazioni di restauro vere e proprie. Come prima cosa è stato rimosso il deposito superficiale con l’ausilio di micro aspiratore e pennellesse a setole morbide, si è passati poi alla disinfestazione del supporto. È stato applicato in maniera preventiva, su tutta l’opera, un insetticida liquido a base di

90


Permetrina 69 a pennello e si è proceduti alla chiusura in bolla per circa 30 giorni (Figg.134-135).

Fig.134 Chiusura in bolla del busto con teca lignea

Fig.135 Apertura della bolla del busto con teca

di San Diomede Martire.

lignea di San Basilio Magno.

Dopodiché si è passati al consolidamento del supporto: sulle parti in cui il legno è lasciato a vista, è stato steso un adesivo sintetico 70 a pennello a concentrazioni crescenti al fine di permettere allo stesso di penetrare in profondità. Infatti se si utilizzasse già in partenza ad alte concentrazioni, non avrebbe la capacità di penetrare in profondità e, una volta asciutto, rimarrebbe in superficie consolidando il legno solo nella parte esterna. Si è proceduto poi con la valutazione del consolidante più adatto per gli strati preparatori presenti nelle nostre opere. La scelta è ricaduta su un polimero idrosolubile 71 per le scaglie deadese e per quelle totalmente distaccate. Questo

69

Xylores® è una soluzione allo 0,38% di Permetrina cis/trans 25/75 in miscela di solventi n-paraffinici. Insetticida a base solvente, incolore, inodore e pronto all'uso, a base di Permetrina per la cura e la prevenzione del legno dall’attacco di insetti xilofagi. Il prodotto possiede elevata efficacia che permane nel tempo una volta applicato per impregnazione. 70 Paraloid B72® è un copolimero di Metilacrilato ed Etil-metacrilato (MA/EMA) 30:70. È solubile in Chetoni, Esteri, Alcool-Eteri, Idrocarburi clorurati e aromatici. È una resina acrilica termoplastica. L. Borgioli, P.Cremonesi, Le resine sintetiche usate nel trattamento di opere policrome, Saonara 2005, p. 123 71 Aquazol® è in marchio commerciale contraddistingue una classe di polimeri termoplastici costituiti da poli(2-etil-2-ossazolina), caratterizzati da una buona resistenza all’invecchiamento e da una elevata reversibilità. Si solubilizza in acqua e in quasi tutti i solventi polari. Nel nostro caso è stato preparato nelle seguenti percentuali: Aquazo500® al 10% in alcool isopropilico e acqua. L. Borgioli, P.Cremonesi, op.cit., Saonara 2005, pp. 171-172

91


consolidante è stato applicato in maniera puntuale, a siringa (Fig.136), e ha permesso la riadesione delle scaglie anche con l’ausilio di un termocauterio (Fig.137).

Fig.136 Fase consolidamento degli strati preparatori

Fig.137 Fase utilizzo del termocauterio dopo

di San Basilio Magno.

l’applicazione dell’adesivo termoplastico. San Basilio Magno.

Successivamente si è passati al consolidamento della pellicola pittorica. Anche in questo caso è stato utilizzato lo stesso consolidante. La riadesione delle scaglie, è stata favorita dall’utilizzo del termocauterio. Si è passati poi alla pulitura. Per la doratura è stata utilizzata un’emulsione grassa neutra 72, questa è sembrata particolarmente adatta al nostro scopo in quanto, contenendo sia la fase acquosa che quella oleosa, ci permette di solubilizzare materiale idrosolubile depositato però su un substrato molto sensibile all’acqua com’è appunto la doratura (Fig.138). Per solubilizzare lo strato soprammesso non originario presente sulle parti policrome, sono stati effettuati dei test di pulitura a polarità crescente, al fine di individuare il giusto Fd di solubilizzazione. La scelta è ricaduta sulla miscela

72

L’emulsione grassa è composta da un solvente apolare, poca acqua, e dei Tensioattivi Non Ionici. Questa è stata preparata nel seguente modo: è stato sciolto a bagnomaria 2 g di Brij 35® in 10 ml di acqua distillata, raffreddata la soluzione, sono stati aggiunti 2 ml di Tween 20®. È stato aggiunto infine 90 ml di White Spirits® goccia a goccia agitando vigorosamente fino all’emulsionamento. La seguente preparazione ci ha consentito di realizzare un’emulsione a pH neutro. P.Cremosesi, L’uso di tensioattivi e chelanti nella pulitura di opere policrome, Saonara 2004, pp. 6062

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LA8 73, che ci ha permesso di lavorare in sicurezza in quanto la sua azione era controllabile ed efficace. Inoltre ci ha permesso di capire che in realtà questo strato soprammesso, è di natura eterogenea che è in grado di sciogliersi in una miscela polare quale LA8. Per le ridipinture è stato utilizzato un chelante a pH8 74, applicato in maniera puntuale a pennello e rimosso prima con un tamponcino asciutto, e poi leggermente inumidito. Le ultime fasi hanno previsto una verniciatura intermedia con vernice da ritocco 75, l’equilibratura delle zone in cui il supporto era lasciato a vista, e la reintegrazione cromatica ad acquerello delle lacune degli strati pittorici e della doratura. Il tutto è stato completato dalla verniciatura finale con una vernice gloss 76 (Figg.139-146).

Fig.138 Pulitura con emulsione grassa neutra.

73 Miscela binaria utilizzata per i test di solubilità, a base di Ligroine (L) e Acetone (A). Precisamente LA8 prevede l’80% di acetone e il 20% ligroina 74 I chelanti sono sostanze utilizzabili per la rimozione di ioni metallici, per manufatti quali sculture lignee policrome possono essere utilizzati per assottigliare strati pigmentati quali nel nostro caso ridipinture. Per la preparazione è stata utilizzata la ricetta a pag. 92 del libro di P. Cremonesi, op.cit., Saonara 2004. 75 Vernice per ritocco sopraffina Lefranc & Bourgeois® 76 Vernice finale J.G. Vibert Lefranc & Bourgeois®

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Fig.139 San Giacomo Minore prima

Fig.140 San Giacomo Minore dopo

dell’intervento di restauro.

l’intervento di restauro.

Fig.141 San Basilio Magno prima

Fig.142 San Basilio Magno dopo

dell’intervento di restauro.

l’intervento di restauro.

Fig.143 San Diomede martire prima

Fig.144 San Diomede martire dopo

dell’intervento di restauro.

l’intervento di restauro.

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Fig.145 Quaranta martiri prima

Fig.146 Quaranta martiri dopo l’intervento

dell’intervento di restauro.

di restauro.

2.4 LE TECHE LIGNEE -TECNICHE ESECUTIVE

Le teche lignee, che fungono da contenitore delle statuette, molto probabilmente non risultano essere originali. Sembrano piuttosto delle riproposizioni di teche più antiche, sostituite forse a seguito di problemi conservativi. Sono costituite da quattro assi, vincolate tra di loro a formare un rettangolo. L’unione tra di esse è assicurata da chiodi metallici forgiati a mano che hanno una lunghezza di circa 2 cm. Lo spazio che formano all’interno, è proprio quello necessario all’inserimento dei reliquiari, infatti non ci sono neanche pochi millimetri di gioco. Tanto è vero che le opere possono essere estratte dalla scatola lignea solamente dal verso in quanto lo spessore occupato dalle cornicette decorative non permette la fuoriuscita delle opere. La parte frontale, reca delle cornicette anch’esse lignee dalla modanatura semplice e che presentano una policromia verde sulla parte aggettante. Queste sono vincolate al supporto mediante piccoli chiodi metallici e sono tra di loro collegate con un unione angolare a 45 gradi, a giunti vivi. Hanno una larghezza di 2 cm e uno spessore di 0,5 cm. La cornicetta sporge dal margine esterno degli assi che compongono la scatola, di qualche centimetro. Questa sporgenza lascerebbe pensare che la scatola originariamente poteva essere incassata in una struttura più complessa. Probabilmente si potrebbe trattare di un reliquiario a parete in cui ogni scatola era una

95


sorta di cassetto mobile. Questo spiegherebbe inoltre perché le assi non sono rifinite e il punto di osservazione è esclusivamente frontale. L’asse superiore della scatola lascia tra di essa e il regolo superiore della cornice, un piccolo spazio in cui è inserito il vetro e che funge da blocco per lo stesso. La scatola si chiude dal verso, in cui è presente una tavoletta lignea inchiodata. L’interno è tutto rivestito con una carta dipinta grossolanamente di un colore verde chiaro con pennellate scure.

2.4.1 STATO DI CONSERVAZIONE

Le teche lignee si presentano in un discreto stato di conservazione. Le assi presentano un attacco entomatico di media entità che tuttavia non ha compromesso la loro capacità meccanica. Le tavolette lignee del verso si presentano invece fortemente compromesse dall’attività degli insetti xilofagi (Fig.147). Ancora queste tavolette sono interessate da lacune in corrispondenza del loro perimetro attribuibili all’attività erosiva di qualche roditore (Fig.148). Le cornicette risultano invece in un buono stato di conservazione, sono tutte ben adese al supporto e non presentano sconnessure, fessurazioni o mancanze. Fa eccezione il regolo superiore della scatola appartenente al busto reliquiario di San Diomede martire, che si presenta parzialmente ancorata e fratturata in corrispondenza dell’angolo superiore destro (Fig.149).

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Fig.147 Lato destro della teca di

Fig.148 Verso della teca di San

Fig.149 Particolare teca di San

San Basilio Magno. Da notare

Basilio Magno. Nel margine

Diomede Martire parzialmente

l’attacco entomatico presente.

sinistro l’erosione da parte di

ancorata e fratturata in

qualche roditore.

corrispondenza dell’angolo superiore destro.

Sono presenti ancora: qualche piccola gora di umidità soprattutto nella parte esterna; e qualche segno lasciato dalla ruggine dei chiodi presenti. All’interno, la carta verde si presenta in uno stato di conservazione pessimo, infatti anche se ancora presente in tutte e quattro le teche, è fortemente attaccata: dall’umidità che ha provocato delle gore dai bordi scuri (Fig.150); e dall’attività degli insetti xilofagi. Si presenta inoltre solo parzialmente adesa al supporto (Fig.151). Sia nella parte esterna sia nella parte interna, tra carta e supporto ligneo, è presente uno spesso strato di deposito coerente ed incoerente.

Fig.150 Particolare gore di umidità dai bordi scuri.

Fig.151 Particolare carta verde solo parzialmente

Busto San Diomede Martire.

adesa al supporto. Busto San Giacomo Minore.

97


2.4.2 INTERVENTI PRECEDENTI

Come detto in precedenza, le teche lignee non sembrerebbero essere quelle originali, nonostante ciò hanno subito dei restauri da attribuirsi ad un intervento conservativo precedente. Evidenti sono le aggiunte di pezzi di legno, sostituiti probabilmente per rimpiazzare parti fortemente danneggiate. Questi infatti sono localizzati in particolar modo nei margini esterni ed interni delle quattro assi che compongono la struttura della teca (Fig.152). Tali pezzi di legno sono stati incollati al supporto originale senza molta cura. Probabilmente chi ha effettuato tale aggiunzioni era ben consapevole che le teche non sarebbero mai state viste, se non nella loro faccia frontale. Sempre da attribuire ad un intervento precedente è l’applicazione del rivestimento cartaceo presente all’interno. Questo infatti riveste per intero tutta la parte interna come a voler coprire le grossolane aggiunzioni e i difetti del supporto ligneo originale.

2.4.3 INTERVENTO DI RESTAURO

L’intervento di restauro si è concentrato sulla restituzione della capacità meccanica del supporto. Infatti per prima cosa è stato rimosso il deposito coerente ed incoerente presente dentro e fuori le teche con l’ausilio di pennellesse a setole morbide e micro aspiratore. Per fare quest’operazione è stato necessario rimuovere la carta verde già parzialmente staccata. A questo punto si è passati al trattamento del supporto con un insetticida a base di Permetrina 77, dato a siringa e a pennello, e alla chiusura in bolla per trenta giorni (Fig.153). Trascorso questo tempo le teche sono state consolidate con una resina sintetica 78 a percentuali crescenti data a pennello in più stesure. Le lacune del supporto sono state trattate con uno stucco a base di polpa di cellulosa ed etere di cellulosa lievemente pigmentato. Le lacune localizzate sui bordi hanno previsto

77 78

Xylores® vedi nota 69. Paraloid B72® vedi nota 70.

98


l’inserimento di piccole spine di legno atte a fungere da struttura portante per lo stucco a base di polpa di cellulosa (Fig.154). La cornicetta del regolo superiore appartenente alla teca di San Diomede martire che, come detto, si presentava staccata e fratturata, è stata ricollocata nella sua giusta posizione e fatta riaderire con una colla vinilica 79. Infine, avendo trovato tracce di stoffa rossa sotto la carta verde, le teche sono state rifoderate con un raso rosso, in accordo con la Direzione dei lavori.

79

Fig152. Particolare lato

Fig.153 Chiusura in bolla del busto e

Fig.154 Inserimento di spine

sinistro della teca di San

della teca di San Basilio Magno.

lignee atte a fungere da

Giacomo Minore. Da notare

struttura portante per lo stucco

aggiunte di parti lignee.

a base di polpa di cellulosa.

Bindan ® è una colla alla resina sintetica di alta qualità precisamente è un poliacetato di vinile. Questa è priva di sostanze nocive, di cariche, di riempitivi, è senza solventi e senza formaldeide.

99


CAPITOLO III IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO A PREDELLA L’opera in oggetto è un reliquiario ligneo con fregio intagliato, dorato di forma poligonale definito a predella, perché posto solitamente sotto la pala d’altare o l’ancona (Fig.155).

Fig.155 Reliquiario a predella.

Nello specifico il reliquiario si trova custodito nell’ altare principale della Cappella del SS. Crocifisso della chiesa Madre di Polizzi Generosa. Questa cappella custodisce atri due altari laterali con nicchie contenenti rispettivamente una scultura dell’Addolorata, e un reliquiario ad urna di San Guglielmo 80. Nell’altare centrale invece troviamo una complessa macchina lignea formata da un reliquiario a tabella composto da 66 teche contenenti varie reliquie identificate da cartigli, in cui al centro è incassato un crocifisso ligneo 81 (Fig.156).

80

Da ricordare che san Guglielmo Gnoffi è nato a Polizzi Generosa nel 1256 e morto a Castelbuono nel 1317, era un religioso eremita. Fu Santo patrono di Polizzi, ma quando nel 1260 San Gandolfo arrivò a predicare la quaresima e morì a Polizzi, la sua figura venne rimpiazzata e il Santo patrono divenne appunto Gandolfo da Binasco. Tutt’oggi è invece patrono di Castelbuono assieme a Sant’Anna. 81 Crocifisso ligneo autore ignoto anno

100


Fig.156 Cappella SS. Crocifisso, particolare reliquiario a parete con Crocifisso ligneo.

La predella è situata nella parte bassa e funge da vero e proprio basamento di tutto il complesso. Il reliquiario a parete e quello a predella, non sono in alcun modo vincolati l’uno all’altro, sono piuttosto due corpi separati giustapposti. Tanto è vero che per favorire le operazioni di restauro, il reliquiario a predella è stato spostato dalla sua collocazione originaria, senza necessità di smontare il resto del complesso scultoreo. Sopra il reliquiario in questione, sono state collocate le quattro teche lignee contenenti i rispettivi busti reliquiari 82.

3.1 TECNICHE ESECUTIVE

Si tratta di una sorta di cassa lignea di forma poligonale che contiene reliquie di vari Santi, queste sono visibili da tre aperture poste nel lato frontale, una ampia centrale e due più piccole laterali. Le reliquie dello sportello principale sono di San Mauro (come

82

Vedi capitolo II

101


specificato nel cartiglio, “Corpus. S. Mauri”, in corrispondenza del teschio) e comprendono gran parte del corpo dello stesso. Tutto intorno, una serie di reliquiari a fiala recano vari frammenti ossei di altri Santi non identificabili o per mancanza del cartiglio o per usura dello stesso, che non permette pertanto la corretta lettura dell’indicazione. Negli sportelli laterali, sono presenti invece parti di teschio di altri due Santi: Sant’ Abbondio e San Capreolo. Tutte le reliquie sono circondate da piccoli fiori di smalto policromo.

3.1.1 SUPPORTO

La struttura del reliquiario è molto complessa, si nota infatti la presenza di più elementi lignei assemblati a giunti vivi mediante chiodi forgiati a mano e colla animale. La faccia frontale, nonché quella principale, è composta da un'unica tavola di dimensioni 60 cm di altezza, 204 cm di larghezza e 2 cm di spessore, questa è stata sagomata con una forma poligonale a più altezze. Sono visibili infatti tre livelli: due inferiori che si ripropongono specularmente sia a destra che a sinistra; uno superiore che occupa la parte centrale (Fig. 157).

Larghezza 204 cm Fig.157 Rilievo del reliquiario a predella, in verde la faccia frontale.

L’elevazione dei tre livelli ha, in totale, un’alzata di 17 cm, e una base, composta da varie assi che presentano in totale: 28 cm di lunghezza 17 cm di profondità e 2 cm spessore (Fig.158). 102


Profondità 17 cm Spessore 2 cm

Alzata 17 cm

Fig.158 Rilievo vista laterale, sx, del reliquiario a predella.

La base del livello superiore, è costituita invece da una tavola di 94 cm, dalla quale è ricavato un coperchio di dimensioni 90 cm x 24 cm (Fig.159) con due cerniere ad asola e una serratura forgiata a mano di dubbia originalità.

Fig.159 Rilievo del reliquiario a predella visto dall’alto, in blu a base del livello superiore, è visibile il coperchio.

La porzione frontale, si presenta aggettante rispetto al resto della struttura e presenta, come detto, tre aperture: quella centrale di forma rettangolare mistilinea (Fig.161) con altezza 31cm e larghezza 79 cm, quelle laterali hanno invece una forma rettangolare centinata (Fig.160 e 162) di altezza 24cm e larghezza 11 cm.

103


Fig.160 Particolare

Fig.161 Particolare apertura rettangolare mistilinea parte

Fig.162 Particolare

apertura rettangolare

centrale.

apertura rettangolare

centinata parte sx.

centinata parte dx.

La porzione principale, che è quella frontale aggettante, si interseca con un'altra parte, di forma del tutto simile alla prima, posta però ad un livello posteriore rispetto al primo. Questo, che presenta dunque una forma poligonale a più altezze, è composto da due gradini per lato con alzata di 17 cm e una base di 28 cm (Fig.163).

Fig.163 Rilievo del reliquiario a predella, in verde la porzione, simile a quella principale, ma posta però ad un livello posteriore rispetto a quest’ultima.

La base è composta da un'unica tavola che si presenta ancorata al resto della struttura per mezzo di chiodi metallici forgiati a mano.

Fig.164 Rilievo del reliquiario a predella, particolare della base.

104


La parte posteriore è formata invece da due tavole. La parte posteriore non risulta essere sagomata a varie altezze come lo è il resto della struttura, questa piuttosto assume una forma rettangolare, proprio per questa motivazione è visibile anche dal recto dell’intero complesso, diventando un vero e proprio elemento decorativo con tanto di cornicette e doratura.

Fig.165 Rilievo del verso del reliquiario a predella, sono visibili tutti gli incastri della struttura interna.

Fig.166 Rilievo del reliquiario a predella, in verde la parte del verso visibile dal recto.

Nella base è presente un risanamento probabilmente opera del mastro legnaio. È visibile infatti la presenza di un nodo del legno che è stato asportato e sostituito con un elemento ligneo di forma circolare, della stessa forma e dimensione del nodo e incollato con le fibre nella stessa direzione di quelle della tavola. Si notano infatti vicino al risanamento dei segni molto pronunciati, lasciati dagli attrezzi utilizzati per asportare il nodo. Questo rileva l’estrema cura e perizia posta dal mastro legnaio nella realizzazione del supporto. La pratica di risanare le tavole lignee era molto diffusa 83, 83

L’inserimento di cunei lignei, non è la sola pratica che venne usata per colmare la lacuna lasciata in seguito all’ asportazione di un nodo. Cennino Cennini infatti spiega un altro metodo altrettanto comune: «Ritorniamo pure ai groppi, o ver nodi, e altre magagne che avesse il piano della tavola. Togli colla di spicchi forte, tanto che un migliuolo o ver bicchiere di acqua faccia scaldare e bollire due spicchi in uno pignattello, netto d’unto. Poi abbi in una scodella segatura di legname intrisa di questa colla; empine i

105


tuttavia la particolarità del nostro caso sta nel fatto che questo procedimento laborioso, è stato fatto in una parte non particolarmente rilevante quale lo è la base di un opera di questo tipo. Il risanamento in questione infatti non è visibile dall’esterno, anzi lo si può vedere esclusivamente avendo la possibilità di osservare l’appoggio della tavola e quindi solamente ribaltandola (Fig.167).

Fig.167 Particolare risanamento ligneo, probabilmente opera del mastro legnaio.

Il reliquiario, presenta delle cornicette modanate inchiodate e probabilmente incollate, poste lungo tutto il perimetro esterno. Queste hanno una larghezza di 3 cm e presentano una decorazione che si divide in due registri: in quello superiore troviamo fiori e palline che si orientano in parte dal lato destro in parte dal lato sinistro; in quello inferiore una serie di foglie d’acanto (Fig.168). La cornice centrale posta nella parte superiore, è interrotta da una decorazione a volute speculari, policroma (Fig.169). Anche le tre aperture sono decorate con delle cornici, queste però hanno una forma e una dimensione diversi rispetto a quelle perimetrali. Infatti quella dell’apertura principale, ha una dimensione di 4,5 cm e si articola in tre registri: quello superiore e inferiore presentano rispettivamente il primo una decorazione a foglioline e l’altro una decorazione semicerchi, mentre quello centrale ripropone il modello a fiori e palline (Fig.170). Le cornicette delle due aperture laterali hanno invece dimensione di 2 cm si

difetti de’ nodi, e ripiana con una stecca di legno, e lasciala seccare. Poi con una punta di coltellino radi, che torni gualiva all’altro piano.» Cennini, op. cit., cap. CXIII, pp.142-146.

106


articolano in due registri: quello superiore presenta un intaglio a palline continue, mentre quello inferiore un intaglio a semicerchi e bastoncini (Fig.171).

Fig.169 Decorazione a volute speculari posta nella parte centrale della cornicetta perimetrale.

Fig.168 Rilievo cornicetta modanata posta lungo tutto il perimetro esterno.

Fig.170 Rilievo cornicetta modanata dell’apertura centrale.

Fig.171 Rilievo cornicetta modanata delle aperture laterali.

107


Il reliquiario contiene al proprio interno una struttura lignea portante e una struttura lignea che regge le reliquie. La struttura portante, si incastra al corpo principale per mezzo di incastri a tenone ben visibili sia nella parte frontale dalle lacune degli strati preparatori (Fig.172), sia nelle parti laterali e posteriori (Fig.173-174). Riferendoci sempre alla struttura portante interna, questa presenta due sportelli divisori, uno a destra e uno a sinistra, che separano le reliquie centrali da quelle poste lateralmente (Fig.175).

Fig.172 Particolare incastri a tenone

Fig.173 Particolare incastri a tenone visibili

Fig.174

visibili sia nella parte frontale.

sia nelle parti laterali.

Particolare incastri a tenone visibili nella parte posteriore.

Fig.175 Particolare parte centrale del reliquiario a predella. Si notano i due sportelli divisori interni.

Si è scelto di effettuare il riconoscimento delle specie lignee costitutive del Bene. L’identificazione è stata effettuata prelevando direttamente in situ, delle sezioni da osservare poi mediante un microscopio composito Leica equipaggiato con una fotocamera DinoEye in grado di acquisire immagini da 4MPx. I campioni sono stati 108


prelevati sia dalla struttura esterna, sia delle cornicette. Il legno della struttura esterna, è una conifera priva di canali resiniferi, (Fig.176), le cui tracheidi sono prive di ispessimenti spiralati, (Fig.177), e i raggi omogenei, privi di tracheidi presentano punteggiature piccole dei campi di incrocio, (Fig.178). Sulla base delle caratteristiche osservate possiamo identificare il legno come appartenente ad una specie del genere Abies, come l’Abies Alba o L’Abies Nebrodensis 84, le specie del genere Abies non sono identificabili mediante indagine microscopica.

Fig.176 Microfotografia della sezione trasversale del legno costituente la struttura esterna del reliquiario a predella.

Fig.177 Microfotografia della sezione tangenziale del legno costituente la struttura esterna del reliquiario a predella.

Fig.178 Microfotografia della sezione subradiale del legno costituente la struttura esterna del reliquiario a predella.

84

L’abete dei Nebrodi, a dispetto del nome, si trova nella zona A del parco delle Madonie nel territorio di Polizzi Generosa. Era una specie abbastanza diffusa sulle montagne Madoniti, tanto che il suo legname è stato sfruttato sia per la costruzione dei tetti di diverse chiese di Petralia Sottana e Polizzi Generosa, sia come legna da ardere. Oggi ne sopravvivono solamente 30 specie ad un’altitudine compresa tra 1450 e 1650 m s.l.m. A lungo considerato una sottospecie del più comune Abete bianco (Abies alba), è in realtà un’entità tassonomica differente. L’Abete delle Madonie è stato considerato dallo IUCN una specie a rischio d’estinzione, ed è stato inserito nella lista delle 50 specie botaniche più minacciate dell’area mediterranea. http://www.pianobattaglia.it/abies-nebrodensis-gli-unici-30-alberi-esistenti-al-mondo-vegetano-sullemadonie/

109


Per quanto riguarda invece le cornicette, si tratta di un legno di latifoglia con porosità diffusa e raggi pluriseriati, (Fig. 179 e 180), con vasi che presentano ispessimenti spiralati, (Fig. 181 e 182). Sulla base delle caratteristiche osservate e visto il grado di finitura ottenuto si può concludere che si tratta di legno di Tiglio, Tilia sp.

Fig.179 Microfotografia della sezione trasversale del legno costituente le cornicette del reliquiario a predella. Si notano: porosità diffusa e raggi pluriseriati

Fig.180 Microfotografia della sezione trasversale del legno costituente le cornicette del reliquiario a predella. Si notano: porosità diffusa e raggi pluriseriati

Fig.181 Microfotografia della sezione tangenziale del legno costituente le cornicette del reliquiario a predella. Si notano: vasi che presentano ispessimenti spiralati.

Fig.182 Microfotografia della sezione tangenziale del legno costituente le cornicette del reliquiario a predella. Si notano: vasi che presentano ispessimenti spiralati.

Per quanto riguarda le reliquie, queste non sono poste in maniera casuale, le due parti di teschio visibili dai due sportelli di dimensioni più piccole, sono legate ad una tavola lignea rivestita con della stoffa color rosso acceso, con del fil di ferro e decorati poi con dei nastrini di colore azzurro usati per nascondere quest’ultimo (Figg.183184).

110


Fig.183 Particolare fil di ferro usato per vincolare le

Fig.184 Particolare fil di ferro usato per vincolare le

reliquie alla tavola lignea, ricoperto poi dal nastro

reliquie alla tavola lignea, ricoperto poi dal nastro

color azzurro. Femore di San Mauro Martire.

color azzurro. Ossa corte di San Mauro Martire.

Il corpo di San Mauro è adagiato invece su un supporto ligneo formato da più parti incastrate tra di loro e rivestito anch’esso con della stoffa color rosso acceso. Infatti il teschio è posto su di una tavoletta a sé stante e si incastra ad una tavola più grande in cui sono adagiati femori, tibie e omeri (Fig.185). La struttura così fatta permette al teschio di stare in posizione centrale ed elevata, rispetto al resto del corpo che si presenta invece in posizione inclinata (Fig.186). Infatti è proprio la struttura alla quale è ancorato il teschio che permette alla tavola sottostante di mantenersi in posizione obliqua permettendone l’intera visione. Dalla tavola inclinata, sono state ricavate inoltre, delle strutture lignee formanti dei cubi, che fungono da mensole e sulle quali sono poggiati i reliquiari a capsula. Tutte le ossa sono ancorate al supporto ligneo con del fil di ferro che è stato poi coperto con dei nastri di varie tonalità pastello.

Fig.185 Corpo di San Mauro Martire, adagiato su un supporto ligneo ricoperto da stoffa rossa.

111


Fig.186 Corpo di San Mauro Martire visto dall’apertura centrale, si nota che il teschio è posto in una posizione elevata rispetto al resto del corpo.

3.1.2 STRATI PREPARATORI

Gli strati preparatori sono stati stesi probabilmente, sopra il cosiddetto tura pori che, come detto in precedenza, è quello strato di colla animale che serviva per impermeabilizzare e per favorire l’aggrappaggio strati preparatori. Questi svolgono ancora la loro funzione di solida base per la doratura e si presentano di colore bianco, con una granulometria compatta e omogenea (Fig.187). Si presentano inoltre stesi: sulla superficie esterna, solamente nella parti che poi avrebbero accolto la doratura; e nella superficie interna solamente nelle parti in cui sarebbe stata stesa la policromia rossa e quindi in quelle visibili dall’ esterno. È possibile notare infatti la traccia delle cornicette decorative lasciata a risparmio (Fig.188). Da indagini effettuate su micro-campioni 85 è risultato che gli strati preparatori sono composti da solfato di calcio tipico tradizione italiana.

85

Sono state effettuate indagini EDX. Vedi capitolo quattro.

112


Fig.187 Stratigrafia vista al microscopio

Fig.188 Particolare parte sinistra. È possibile notare la

ottico. È possibile notare come gli strati

traccia delle cornicette decorative lasciata a risparmio.

preparatori abbiano una granulometria compatta e omogenea.

Invece osservazioni macroscopiche ci hanno permesso di capire che questi sono stati stesi a pennello (Fig.189) e hanno uno spessore variabile. Infatti nelle cornicette, ricche di insenature e sottosquadri, notiamo uno spessore consistente che arriva a 4 millimetri, mentre le parti lisce presentano uno spessore più o meno costante. Lo spessore consistente localizzato sulle cornicette nasconde, in parte, l’intaglio particolareggiato, dando alle stesse un aspetto poco dettagliato (Fig.190).

Fig.189 Microfotografia (50x) di una setola di

Fig.190 Particolare cornicetta apertura centrale. Si

pennello intrappolata negli strati preparatori.

nota l’aspetto poco dettagliato della stessa data dalla presenza di una stato preparatorio di spessore consistente.

113


3.1.3 PELLICOLA PITTORICA E DORATURA

L’opera si presenta dorata e policroma. La policromia tuttavia è localizzata nella parte interna del reliquiario, in particolar modo in quella visibile dall’esterno (Fig.191). Infatti la colorazione rosso chiaro, serviva da sfondo per le reliquie che in questa maniera venivano poste in risalto. Tracce di policromia sono riscontrabili altresì del ricciolo centrale, probabilmente era lì raffigurato uno stemma appartenuto alla famiglia della committenza o a qualche ordine religioso (Fig.192).

Fig.191 Particolare apertura laterale sinistra. Da

Fig.192 Microfotografia (50x) del ricciolo centrale.

notare la policromia rossa nella parte interna del

Da notare le tracce di policromia.

reliquiario.

Tutto il resto dell’opera presenta una doratura a guazzo (Fig.193). La doratura a guazzo 86, come detto in precedenza, prevede uno strato di bolo steso in maniera

86

La doratura a guazzo è stata ampiamente descritta nella letteratura artistica. Il Vasari, come tanti altri, dice questo a proposito della doratura detta a “guazzo”: «…Ma non fu punto meno ingegnosa cosa il trovar modo a poterlo talmente distendere sopra il gesso, che il legno od altro ascostovi sotto paresse tutto una massa d'oro. Il che si fa in questa maniera: ingessasi il legno con gesso sottilissimo, impastato con la colla più tosto dolce che cruda, e vi si dà sopra grosso più mani, secondo che il legno è lavorato bene o male. Inoltre, con la chiara dello ovo schietta, sbattuta sottilmente con l'acqua dentrovi, si tempera il bolo armeno, macinato ad acqua sottilissimamente; e si fa il primo acquidoso o vogliamo dirlo liquido e chiaro e l'altro appresso più corpulento. Poi si dà con esso almanco tre volte sopra il lavoro, sino che e' lo pigli per tutto bene. E bagnando di mano in mano con un pennello dove è dato il bolo, vi si mette su l'oro in foglia, il quale subito si appicca a quel molle. E quando egli è soppasso, non secco, si brunisce con una zanna di cane o di lupo, sinché e' diventi lustrante e bello.»

114


omogenea sulla parte che poi sarebbe stata rivestita con la foglia oro. Nel nostro caso, il bolo ha una colorazione rossa che da una tonalità calda alla foglia oro sopra applicata. In alcune zone sono ben visibili le giunzioni tra le varie foglie e risulta chiaro che queste hanno una dimensione di 5,5 cm di altezza e una larghezza variabile dai 4,5 cm ai 2 cm (Fig.194).

Fig.193 Microfotografia (50x) dalle lacune della

Fig.194 Particolare sovrapposizione delle foglie oro.

doratura che lasciano intravedere la presenza del

Da notare le diverse dimensioni date alle varie

bolo rosso.

foglie.

È bene ricordare che la dimensione della foglia in antichità non era standardizzata 87 come lo è ora. Questo perché la realizzazione della lamina era affidata al lavoro manuale della figura di un artigiano specializzato chiamato battiloro 88(Fig.195).

Fig.195 Atelier de batteur d’Or XVIIIe siècle, Encyclopédie Diderot d’Alembert, 1784.

G.VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, introduzione di m. Marini, Roma 2015, cap. XXVIII, pag.86. 87 Il processo della realizzazione della foglia oggi è realizzato industrialmente con macchinari fatti a posta per la laminazione del similoro. 88 Come dice il Baldinucci, l’aurifex brattarius era l’artigiano che a Firenze sia dal XV secolo si occupava di ridurre oro e argento in lamine. F. Baldinucci, Vocabolario toscano dell’arte e del disegno, Firenze 1681

115


Questa era una figura che si occupava di battere, con un enorme martello, un grano d’oro (o d’argento) inserito in mezzo a due pelli animali. In questa maniera il metallo veniva ridotto in lamine sottili, di pochi micron di spessore 89. Non è difficile pensare che, essendo un processo artigianale e non industriale, le varie foglie non avevano la stessa dimensione, ed è proprio per questo che spesso capita di trovare lamine di misure diverse. Ovviamente non è questa la sola motivazione della diversa dimensione delle foglie, infatti considerando la preziosità della materia, gli artisti utilizzavano anche i pezzi di scarto non buttando via nulla e utilizzando anche i ritagli più piccoli in relazione alla parte da rivestire. L’interno del reliquiario, dove sono adagiate le reliquie, mostra una colorazione rosso chiaro molto sottile e stesa in maniera non molto accurata, tuttavia mostra anch’essa degli strati preparatori sottostanti. La presenza della cromia di colore rosso è giustificata dal fatto che la parte interna è proprio quella che accoglie le varie reliquie, per cui è ben visibile, deve servire da sfondo e fa risaltare il contenuto; inoltre il rosso è un colore simbolico che richiama il martirio.

3.2 STATO DI CONSERVAZIONE E INTERVENTI PRECEDENTI – SUPPORTO

Il reliquiario nel complesso, si presenta in un discreto stato di conservazione. Si nota che nell’ insieme tutte le tavole che costituiscono il supporto, non hanno subito gravi fenomeni di imbarcamento. Infatti solamente le assi che costituiscono il verso e lo sportello superiore, mostrano leggere deformazioni dovute ai normali movimenti del legno e ai parametri termo-igrometrici non ottimali. Le assi che costituiscono il verso così come lo sportello superiore, hanno un taglio sub-radiale. Nella tavola frontale si nota una leggera deformazione che ha provocato la sconnessura, dall’asse che costituisce la base (Fig.196).

89

G. Pignolo, op.cit., Bologna 2000, pp. 25-30

116


Sempre per quanto riguarda la tavola frontale, si nota, in corrispondenza dell’apertura ad arco nella parte sinistra, una fessurazione passante creatasi probabilmente a seguito ai fisiologici movimenti del legno delle tensioni interne nel momento in cui il supporto è vincolato con un sistema rigido (Figg.197-198). Tutta la struttura nel suo complesso, presenta varie e diffuse sconnessure. In particolar modo: nelle unioni cornice- supporto, precisamente nelle cornicette perimetrali e in quelle che circondano le due aperture centinate (Fig.199); e nelle unioni tra le tavolette che costituiscono l’alzata e quelle delle basi delle varie “altezze” che contraddistinguono la struttura (Fig.200). Altra sconnessura molto pronunciata, tanto da compromettere la stabilità della base dell’opera, si trova tra la parte inferiore del verso dell’opera e la tavola che costituisce la base.

Fig.196 Particolare base del reliquiario a predella. Sconnessure tra l’asse che costituisce la base e le due assi frontale e del verso.

Figg.197-198 Particolari della fessurazione passante in corrispondenza dell’apertura ad arco nella parte sinistra.

117


Fig.199 Particolare sconnessura cornicetta apertura

Fig.200 Particolare sconnessura della tavoletta che

centrale.

costituisce la base di una delle “altezze” della parte sinistra.

Diverse sono le mancanze e le lacune sia a carico del supporto che delle cornici. Possiamo notare infatti: •

La mancanza di una tavoletta lignea, e precisamente di quella che costituisce

la base del “gradino” superiore sinistro (Fig.201). •

Mancanza di quasi tutte le cornicette perimetrali, risultavano infatti presenti in

maggior misura le cornici verticali, quelle orizzontali erano perlopiù mancanti (Fig.202). •

Lacune delle cornicette perimetrali presenti: queste risultano lacunose

dell’intaglio, soprattutto le parti particolarmente aggettanti si presentano erose dall’azione degli insetti xilofagi (Fig.203). •

Lacune delle cornicette poste in corrispondenza delle aperture ad arco

(Fig.204). •

Lacuna di una parte consistente del ricciolo centrale (Fig.205).

Gli sportelli divisori presenti nella struttura portante interna, si presentano: quello di destra mancante di una sostanziale parte; mentre quello di sinistra risulta essere del tutto mancante.

118


Fig.201 Particolare mancanza della tavoletta

Fig.202 Particolare mancanza delle cornicette perimetrali

lignea che costituisce la base del “gradino”

nella parte sinistra.

superiore sinistro.

Fig.203 Particolare lacune delle cornicette

Fig.204 Particolare lacune delle cornicette poste in

perimetrali dovute all’attacco da parte di insetti

corrispondenza dell’apertura laterale sinistra.

xilofagi.

Fig.205 Particolare lacune di parti consistenti del ricciolo centrale

Il supporto è interessato da un attacco entomatico di media entità diffuso su tutta la superficie, evidenti sono i camminamenti visibili in maggior misura delle lacune di strati preparatori e doratura (Fig.206). Anche le cornicette perimetrali, dove presenti,

119


mostrano una vera e propria erosione dovuta all’attacco da insetti xilofagi infatti, in alcune zone, l’intaglio non è più distinguibile. Altri danni di questo tipo sono localizzati nella parte centrale inferiore del verso dell’opera e continuano nella base, precisamente nella parte di quest’ultima adiacente al verso. Anche il ricciolo centrale è fortemente compromesso, tanto è vero che la parte destra non è più visibile così come il perimetro della parte sinistra. Ciò non ha permesso di comprendere chiaramente la morfologia dell’intaglio. Ancora nella base del reliquiario sono presenti delle macchie biancastre dovute probabilmente al contatto tra quest’ultima e la muratura, sembrerebbero infatti proprio dei Sali (Fig.207).

Fig.206 Particolare camminamenti visibile

Fig.207 Particolare verso del reliquiario a predella, si

dalle lacune degli strati preparatori.

notano le macchie biancastre.

Tutta l’intera superficie del manufatto è interessata da un cospicuo deposito superficiale coerente ed incoerente (Fig.208), che si localizza in maggior misura nelle insenature dell’intaglio delle cornici, ma anche nel verso dell’opera che è a diretto contatto con la muratura e quindi non ispezionabile (Fig.209). Ma sicuramente la parte in cui il deposito incoerente è presente in maggior misura è nella parte interna. Fonti dirette ci parlano infatti di un periodo nel quale il coperchio che si trova nella parte superiore del reliquiario, è stato lasciato aperto per cui all’interno si sono accumulati una grande quantità di deposito incoerente misto a calcinacci di ogni dimensione, provenienti dalla volta della cappella (Figg.210-211).

120


Fig.208 Particolare deposito superficiale coerente

Fig.209 Particolare deposito superficiale incoerente

localizzato sia nelle insenature dell’intaglio delle

localizzato nella parte destra del verso del

cornicette perimetrali, sia sulla superficie del verso

reliquiario a predella.

della parte superiore sinistra del reliquiario.

Figg.210-211 Particolari parte interna del reliquiario a predella, da notare la cospicua quantità di deposito incoerente misto a calcinacci.

Sono riscontrabili almeno tre interventi precedenti riconducibili però a due periodi storici differenti: •

Il primo, a carico del sistema di chiusura presente nello sportello superiore che

risulta essere stato sostituito. È visibile infatti l’impressione di due antiche chiusure collocate nello stesso lato di quella attuale, tuttavia la chiusura sembrerebbe essere parimenti antica in quanto i chiodi utilizzati per fissarla sono forgiati a mano (Fig.212). Da ciò si può dedurre che questo sia certamente un intervento precedente, da attribuire però ad un periodo storico antecedente a quello del secondo intervento.

121


Il secondo, è invece a carico dei vetri che chiudono le due aperture centinate.

Queste sembrano avere dei vetri di moderna manifattura che sono stati poi fissati con una generosa quantità di silicone. Visti i materiali usati, non è difficile immaginare che questo sia stato un intervento sicuramente più recente (Fig.213). •

Il terzo, sempre effettuato in epoca più recente, è a carico dei laterali destro e

sinistro del reliquiario. Questi infatti si presentano di una colorazione verde acqua che per le caratteristiche materiche sembra della pittura per esterni (Fig.214).

Fig.212 Particolare dell’impressione di due antiche

Fig.213 Particolare apertura centinata destra, si

chiusure, localizzate nello sportello superiore.

notano i vetri di moderna manifattura fissati con silicone.

Fig.214 Particolare laterale sinistro di colorazione verde acqua attribuibile all’utilizzo di una pittura per esterni.

122


3.2.1 STRATI PREPARATORI

Gli strati preparatori si presentano in un cattivo stato di conservazione, questi sono infatti molto lacunosi e con vari e estesi difetti di adesione. Le lacune sono chiaramente visibili nelle seguenti parti: •

Nella porzione principale, in corrispondenza della parte inferiore sinistra e

precisamente vicino l’apertura ad arco (Fig.215). •

Nella parte frontale della porzione retrostante a quella principale, in maggior

misura nella parte sinistra, ma anche quella destra (Fig.216). •

Nella porzione destra e sinistra, corrispondente al verso del reliquiario

(Fig.217). •

Nelle cornicette perimetrali (Fig.218). Poche di queste infatti sono ancora

provviste di strati preparatori e doratura. •

Nel ricciolo centrale.

Nella parte policroma interna, soprattutto in corrispondenza dell’unione delle

due tavole che compongono il verso.

Fig.215 Particolare lacune strati preparatori parte

Fig.216 Particolare lacune strati preparatori della

inferiore sinistra.

porzione retrostante a quella principale, parte sinistra.

123


Fig.217 Particolare lacune strati preparatori della

Fig.218 Particolare lacune strati preparatori della

porzione sinistra, corrispondente al verso del

cornicetta perimetrale dell’apertura centrale.

reliquiario.

I difetti di adesione invece, sono svariati (Fig.219) e localizzati in particolar modo in corrispondenza delle mancanze delle cornicette perimetrali, in corrispondenza del perimetro delle lacune, in corrispondenza delle insenature dell’intaglio delle cornicette che circondano le tre aperture (Fig.220). Altri difetti di adesione sono visibili in corrispondenza del perimetro delle lacune della pellicola pittorica interna. Foto al microscopio digitale con porta USB, hanno mostrato una leggera crettatura degli strati preparatori. Questa si presenta con andamento regolare e forma le cosiddette “isole� ovvero porzioni di strati preparatori che appaiono distaccati gli uni dagli altri.

Fig.219 Particolare difetti di adesione strati

Fig.220 Particolare difetti di adesione strati preparatori in

preparatori nella porzione destra.

corrispondenza della cornice dell’apertura centrale.

124


3.2.2 PELLICOLA PITTORICA E DORATURA

Il film pittorico e la doratura, si presentano in uno stato di conservazione mediocre. La pellicola pittorica del ricciolo centrale risulta completamente assente se non fosse per le piccole scaglie localizzate nella parte sinistra. Queste lasciano intuire la presenza di almeno due tonalità, una rossa e una bruna scura (Fig.221). Per quanto riguarda invece la pellicola pittorica interna, presenta delle lacune che, per ovvie motivazioni, corrispondono a quelle degli strati preparatori. Tuttavia questa si presenta inoltre molto abrasa, tanto è vero che in trasparenza risulta visibile il riverbero chiaro della preparazione (Fig.222). Ciò è legato anche al fatto che la pellicola pittorica si presenta molto diluita e quindi non corposa. La doratura invece si presenta in un discreto stato di conservazione, sebbene anche in questo caso, non mancano le lacune. Queste si dividono in due categorie: lacune che lasciano vedere il bolo (Fig.223) e lacune che arrivano alla preparazione (Fig.224). Si presentano in ogni caso di piccole dimensioni ma diffuse su tutta la superficie.

Fig.221 Particolare della pellicola pittorica rimasta

Fig.222 Particolare della pellicola pittorica interna,

del ricciolo centrale.

si notano le lacune e le abrasioni della stessa.

125


Fig.223 Macrofotografia (50x) delle lacune della doratura. Si notano quelle che coinvolgono solamente la foglia e quelle che invece coinvolgono anche il bolo.

In alcune zone, l’assottigliamento della lamina metallica ha inoltre messo in risalto la giunzione tra le varie foglie (Fig.224). Da notare come ci sia anche una cospicua quantità di cera che interessa soprattutto tutta la zona superiore dell’intera struttura. Questa si presenta sotto forma di vere e proprie colature (Fig.225). La presenza di cera è da ricondurre al fatto che, probabilmente, in antichità le varie altezze del reliquiario erano usate come appoggio per delle candele che, una volta accese, si consumavano andando a gocciolare su di esso. La cera, in alcune zone, ha provocato un sollevamento della doratura che corrisponde al perimetro della goccia. Tuttavia le gocce di cera, dove presenti, hanno protetto la doratura che si presenta più brillante e corposa, infatti anche dopo la rimozione risultano ancora ben visibili le colature (Fig.226). Dall’ analisi FTIR è stato possibile comprendere che si tratta di cera d’api 90. La doratura è interessata da un cospicuo deposito coerente ed incoerente che rende la lamina opaca non lasciando intuire la sua brillantezza e splendore.

90

Vedi capitolo 4.

126


Fig.224 Particolare della giunzione tra le varie

Fig.225 Particolare delle colature di cera sulla

lamine metalliche.

superficie del recto dell’opera.

Fig.226 Particolare goccia di cera che hanno protetto la doratura, questa infatti si presenta più brillante e corposa.

3.3 INTERVENTO DI RESTAURO

Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro 91. È proprio in questa celeberrima definizione di restauro di Cesare Brandi, che si concentra tutta l’essenza del nostro lavoro sull’opera d’arte e per l’opera d’arte. Infatti è solo stando in stretto contatto con essa e indagandone ogni piccolo aspetto 91

C. Brandi, Teoria del restauro, Trento 2014, p. 6

127


contestualizzandolo nel periodo storico di appartenenza, che possiamo valorizzarla, conservarla e salvaguardarla, prolungando la sua vita. Il nostro intervento sull’opera infatti non è solo una maniera per sperimentare nuovi materiali o nuove modalità operative, anzi al contrario, è un momento conoscitivo utile ad agire sulla stessa nella maniera più rispettosa possibile. Infatti è solo conoscendo l’opera intimamente, nei suoi materiali costitutivi e nella sua tecnica esecutiva, che si può scegliere l’intervento più idoneo da effettuare sulla stessa. Tutte le operazioni di restauro effettuate sull’opera oggetto della mia tesi, sono state scelte in accordo con la Direzione dei Lavori al fine di valutare la modalità operativa più idonea. Come prima e fondamentale operazione è stata svolta un’accurata campagna fotografica a luce visibile. È noto che questo lavoro lungo e conoscitivo, è molto importante, infatti ci permette di immortalare morfologie di degrado che non saranno più visibili dopo il restauro. Ma la fotografia serve anche all’operatore per avere un riscontro immediato e diretto tra il prima e il dopo e a studiare in tutti i suoi aspetti, sia lo stato di conservazione, che è quello che salta subito all’occhio, sia le tecniche esecutive e i materiali costitutivi l’opera. È stata condotta inoltre, una documentazione grafica con programmazione CAD che ci permette di registrare in maniera schematica e intuitiva, grazie alla presenza di retini colorati che differenziano le varie zone da mettere in evidenza, tutte le informazioni ricavate dalla semplice osservazione visiva. Terminata la fase conoscitiva e di documentazione, si è proceduto al prelievo di piccoli campioni, preferendo quelli distaccati o comunque non completamente adesi. È stato prelevato anche parte del deposito incoerente al fine di valutare se al suo interno erano presenti i resti degli insetti che avevano infestato il supporto. A questo punto si è dato il via alle operazioni di restauro vere e proprie, come prima cosa è stato aperto il reliquiario a predella, alla presenza del Parroco della parrocchia Maria SS. Assunta di Polizzi Generosa, e sono stati rimossi i frammenti dei reliquiari a fiala cercando di prelevare anche i più piccoli frammenti di vetro. A questo punto si è tirato fuori l’asse su cui erano adagiate le ossa e il teschio di San Mauro e le altre due piccole assi su cui erano disposti i due teschi di Sant’ Abbondio e San Capreolo. Durante il restauro le reliquie e i reliquiari a fiala, sono stati riposti in un armadio

128


chiuso in attesa di essere messi in sicurezza. Ci siamo occupati così del reliquiario a predella. Come prima cosa è stato rimosso, dove possibile, il deposito superficiale esterno ed interno, con l’ausilio di micro aspiratore e pennellesse a setole morbide. Si è passati poi alla disinfestazione del supporto che è stato trattato in maniera puntuale, con un insetticida a base di Permetrina 92 dato a siringa e a pennello, ed è stato chiuso in bolla per trenta giorni. Il trattamento è stato ripetuto per due volte in quanto è stato ritrovato del rosume recente anche dopo il primo ciclo di antitarlo. Fatto ciò si è passati al consolidamento del supporto effettuato con una resina acrilica 93 data a pennello su tutta la superficie del legno visibile. Questa è stata preparata e utilizzata a concentrazioni crescenti al fine di permettere alla stessa di penetrare fino in profondità e di non rimanere in superficie, consolidando così il legno solo nella parte esterna. Questa operazione è stata svolta in diversi momenti al fine di controllare la penetrazione e di non eccedere nel quantitativo di adesivo applicato. Finita questa operazione si è passati all’ irrobustimento della struttura. Sono state applicate delle viti d’acciaio di minimo spessore che hanno permesso di fissare le parti lasciando un minimo spazio che permette di assecondare i naturali movimenti del legno. Queste sono state applicate lungo il margine inferiore del verso del reliquiario, tale operazione è stata resa necessaria in quanto la tavola che costituisce la base del reliquiario, non era ancorata alla tavola che costituisce il verso, per cui non appena l’opera sarebbe stata movimentata, per essere riportata nella sua collocazione originale, la base avrebbe ceduto. È stata realizzata e successivamente fissata con delle viti d’acciaio, anche la tavoletta lignea mancante ovvero quella che costituisce la base del “gradino” superiore sinistro (Fig.227). In seguito al ritrovamento delle parti mancanti degli sportelli divisori facenti parte della struttura portante interna, si è proceduto al rincollaggio della porzione mancante dello sportello di destra, per mezzo di una colla vinilica 94stesa a pennello; e alla realizzazione di un sistema di ancoraggio per quello di sinistra, al fine di permetterne la rifunzionalizzazione. La fessurazione passante, presente in corrispondenza dell’apertura ad arco nella parte sinistra del recto dell’opera, è stata risanata mediante inserti lignei a sezione triangolare, di legno di

92

Xylores Pronto ® vedi nota 69 Paraloid B72® al 5% in diluente nitro (vedi nota:70) 94 Bindan-P® vedi nota 79. 93

129


Balsa 95(Fig.228). Tali “cunei” sono stati modellati delle dimensioni desiderate, con l’ausilio di carta abrasiva di varia granulometria e bisturi, e poi inseriti all’interno della fessurazione previa stesura di un sottilissimo strato di colla vinilica (Fig.229). Le piccole mancanze del supporto, sono state colmate con dello stucco a base di polpa di cellulosa e un etere di cellulosa, nel pieno rispetto dei materiali costitutivi (Fig.230).

Fig.227 Inserimento tavoletta lignea mancante.

Fig.228 Risanamento ligneo della fessurazione passante.

Fig.229 Preparazione cunei lignei usati poi per il

Fig.230 Stuccatura con polpa di cellulosa ed un etere

risanamento.

di cellulosa.

95

Balsa: Albero della famiglia delle bombacacee (Ochroma lagopus), dell’America Centrale e Meridionale, caratteristico per il suo legno più leggero del sughero.

130


Si è proceduto poi al trattamento delle parti metalliche, serratura e cerniere, con un convertitore di ruggine 96 steso a pennello sulla loro superficie. Dopodiché si è passati al consolidamento degli strati preparatori, dopo un’accurata valutazione è stato scelto un polimero termoplastico

97

per i difetti di adesione. Il

consolidante è stato applicato puntualmente a siringa e, per permettere una maggiore adesione, è stato riattivato con l’ausilio di un termocauterio (Fig.231). Anche la doratura, laddove si presentava sollevata, è stata fatta riaderire con l’ausilio dello stesso consolidante. Si è passati alla rimozione della cera, effettuata meccanicamente con l’aiuto di un bisturi a lama sottile (Fig.232). Finite le seguenti operazioni, si è passati alla pulitura. Questa è stata effettuata con un emulsione grassa a pH neutro 98(Fig.233). L’emulsione è un sistema in cui due fasi: oleosa e acquosa, coesistono per cui è molto utile per quanto riguarda operazioni che prevedono l’utilizzo dell’acqua su un supporto però particolarmente sensibile alla stessa.

Fig.231 Utilizzo del termocauterio per riattivare il

Fig.232 Rimozione meccanica delle gocce di cera.

consolidante termoplastico.

96 Ferstab ®Prodotto a base di polimeri chelanti, diluibile in acqua. Stabilizza i prodotti di ossidazione del ferro (ruggine) sotto forma di un complesso ferro-tannico insolubile. 97 Aquazol 500® vedi nota 71. 98 Vedi nota 72.

131


Fig.233 Applicazione dell’emulsione grassa a pH neutro.

Fatto ciò si è passati alla ricostruzione delle cornicette mancanti, questa è stata effettuata realizzando dei calchi con gomma siliconica spatolabile delle cornicette presenti, previa verniciatura delle stesse (Fig.234). I calchi, una volta asciutti, sono stati riempiti con uno stucco bicomponente a base epossidica 99 che ha permesso di ricavare il positivo delle cornicette in questione (Fig.235). Una volta realizzate, sono state incollate al supporto per mezzo di piccole quantità della stessa resina, previa protezione del supporto con della vernice, e sono state corrette le piccole imperfezioni presenti per mezzo di un micro trapano a pedale (Fig.236). A questo punto si è proceduto con il raccordo tra i calchi e le cornicette originali che è stato effettuato per mezzo di uno stucco a base di polpa di carta e un etere di cellulosa 100.

99

Balsite® è uno stucco bicomponente a base epossidica, formulato appositamente per l’integrazione e la ricostruzione di manufatti lignei. Il suo buon potere adesivo, unito all’assenza di ritiro e ad una relativa elasticità, lo rende il prodotto ideale per l’incollaggio di oggetti fragili. Grazie alla sua particolare formulazione, Balsite presenta una bassa resistenza meccanica e può essere rimossa con estrema facilità tramite sgorbie, bisturi, micromotori. La modellabilità della Balsite rende molto semplice l’operazione di ricostruzione di parti mancanti, anche per la sua facile intagliabilità una volta indurita. La sua leggerezza evita l’eccessivo appesantimento delle strutture su cui viene posizionata. 100 Il Klucel® G (idrossipropilcellulosa) è un etere di cellulosa non ionico che si presenta sotto forma di una polvere bianca solubile in acqua (<40°C) e in solventi organici polari (es. alcool metilico, alcool etilico e alcool isopropilico) dall'elevata capacità addensante.

132


Fig.234 Preparazione calco con gomma siliconica.

Fig.235 Preparazione cornicette con stucco bicomponente a base epossidica.

Fig.236 Correzione delle piccole imperfezioni delle cornicette realizzate con stucco bicomponente a base epossidica, con l’ausilio di un microtrapano.

Si è proceduto poi alla verniciatura intermedia con vernice da ritocco 101. Questa è stata stesa a pennello su tutte le cornicette al fine di permetterne la completa stesura anche nei sottosquadri della decorazione, e con l’ausilio di un tampone per le parti piane. Come operazione finale è stata effettuata un’equilibratura delle zone in cui vi era il supporto a vista, e una reintegrazione cromatica ad acquerello delle lacune della doratura. Per finire è stata stesa una vernice finale 102 a spruzzo, come film protettivo che garantisce la sua giusta brillantezza (Figg.237-239).

101 102

Vernice per ritocco sopraffina Lefranc & Bourgeois® Vernice finale J.G. Vibert Lefranc & Bourgeois®

133


Il reliquiario è stato infine ricollocato nella cappella del Crocifisso all’interno della Chiesa Madre e sono state reinserite al suo interno le reliquie 103 e i reliquiari a fiala.

Fig.237 Verniciatura finale a spruzzo.

Fig.238 Reliquiario a predella prima dell’intervento di restauro.

Fig.239 Reliquiario a predella dopo l’intervento di restauro.

103

Vedi Appendice B

134


CAPITOLO 4 INDAGINI DIAGNOSTICHE Per una maggiore conoscenza delle opere in oggetto, e per far sì che si potesse scegliere l’intervento di restauro più rispettoso possibile per le stesse, è stato necessario studiare, grazie a delle tecniche diagnostiche, i materiali costitutivi l’opera. Sono state effettuate indagini FTIR e spettroscopia EDX che ci hanno permesso di individuare i pigmenti utilizzati negli incarnati e il legante, la composizione chimica della stratigrafia ottenuta da micro campioni prelevati da aree circoscritte dei Beni. La spettroscopia EDX (Energy Dispersive X-ray Analysis) o spettroscopia EDS (Energy Dispersive X-ray Spectrometry) è una tecnica diagnostica che sfrutta l'emissione di raggi X generati da un fascio elettronico accelerato incidente sul campione. La strumentazione è comunemente costituita da un microscopio elettronico a scansione tipo SEM-EDX. L'analisi EDX, ha dei grossi vantaggi in quanto è una metodica non distruttiva e molto veloce che permette di analizzare campioni solidi. Questa, sfrutta l'emissione di raggi X di determinata lunghezza d'onda che, essendo di natura elettromagnetica, obbediscono con buona approssimazione alla legge di Lambert-Beer 104. Le applicazioni pratiche sono principalmente rivolte alla caratterizzazione qualitativa di sostanze solide e all'analisi elementale, con la possibilità di rilevare anche la presenza di elementi in tracce. Con l'ausilio di opportuno software è anche possibile un approccio quantitativo sulla base della legge di Lambert-Beer. La SEMEDX è poi uno strumento fondamentale, nell'ambito della scienza dei materiali, per la caratterizzazione quali-quantitativa delle leghe metalliche e per la determinazione della purezza dei metalli. Di seguito le indagini effettuate su micro campioni.

104

In ottica la legge di Lambert-Beer, conosciuta anche come legge di Beer-Lambert o Legge di BeerLambert-Bouguer, è una relazione empirica che correla la quantità di luceassorbita da un mezzo alla natura chimica, alla concentrazione ed allo spessore del mezzo attraversato. http://goldbook.iupac.org

135


Fig.240 Punto di prelievo del campione A. Parte dx recto reliquiario a predella.

Fig.241 Punto di prelievo del campione B. Verso busto Quaranta Martiri.

Campioni A

Fig.242 Campione A visto al microscopio ottico.

Fig.243 Campione A visto al SEM (140x).

136


Fig.244 Campione A, è indicato il punto (1) in cui è stata effettuata l’indagine EDX. (650x)

Fig.245 Campione A, è indicato il punto (2) in cui è stata effettuata l’indagine EDX. (650x)

Fig.246 Campione A, è indicato il punto (3) in cui è stata effettuata l’indagine EDX. (650x)

Fig247 Spettro EDX del campione A. Punto di prelievo 1.

137


Dallo spettro EDX del campione A, punto di prelievo 1, è evidente una netta predominanza del segnale dell’oro, tuttavia sono altresì evidenti il segnale dell'ossigeno e del calcio, assieme a tracce di altri elementi. Si tratta con tutta probabilità di una parte pressoché integra di doratura.

Fig.248 Spettro EDX del campione A. Punto di prelievo 2.

Dallo spettro EDX del campione A, punto di prelievo 2, è evidente ancora una netta predominanza del segnale dell’oro, tuttavia sono altresì evidenti il segnale dell'ossigeno, dell’alluminio, del Silicio, del calcio e del ferro, assieme a tracce di altri elementi. Questo ci fa ipotizzare che il punto in cui è stata effettuata la misura, riguarda una parte in cui l’oro risulta essere abraso, per cui emergono elementi chimici pertinenti al bolo.

Fig.249 Spettro EDX del campione A. Punto di prelievo 3.

138


Dallo spettro EDX del campione A, punto di prelievo 3, è evidente ancora una netta predominanza dei segnali dell’Alluminio, Silicio e del Ferro, tuttavia sono altresì evidenti il segnale dell'ossigeno, del calcio, e dello Zolfo, assieme a tracce di altri elementi. Questo ci fa ipotizzare che il punto in cui è stata effettuata la misura, riguarda una parte in cui è presente il bolo ma anche tracce dello strato preparatorio sottostante.

Campione A2

139

Fig.250 Sezione stratigrafica del campione A2 vista al microscopio ottico.

Fig251 Sezione stratigrafica del campione A2 vista al SEM (175X)

Fig.252 Campione A2, è indicato il punto (2) in cui è stata effettuata l’indagine EDX. (2.10KX)

Fig.253 Campione A2, è indicato il punto (3) in cui è stata effettuata l’indagine EDX. (2.10KX)


Fig.254 Campione A2, è indicato il punto (5) in cui è stata effettuata l’indagine EDX. (2.10KX)

Fig.255 Spettro EDX del campione A2. Punto di prelievo 2.

Dallo spettro EDX del campione A2, punto di prelievo 2, è evidente una netta predominanza del segnale dell’oro, tuttavia sono altresì evidenti il picco dell'ossigeno dell’Alluminio e del Calcio, assieme a tracce di altri elementi. È evidente che si tratta dello strato di doratura.

140


Fig.256 Spettro EDX del campione A2. Punto di prelievo 3.

Dallo spettro EDX del campione A2, punto di prelievo 3, è evidente una predominanza dei segnali dell’Alluminio, Silicio e del Ferro, tuttavia sono altresì evidenti il picco dell'ossigeno, del calcio, e dello Zolfo, assieme a tracce di altri elementi. Questo ci fa ipotizzare che il punto in cui è stata effettuata la misura, riguarda una parte in cui è presente il bolo ma anche tracce dello strato preparatorio sottostante.

Fig.257 Spettro EDX del campione A2. Punto di prelievo 5.

Dallo spettro EDX del campione A2, punto di prelievo 5, è evidente una predominanza dei segnali del Calcio e dello Zolfo, tuttavia sono altresì evidenti tracce di altri elementi. Questo ci capire che il punto in cui è stata effettuata la misura, riguarda una parte in cui è presente lo strato preparatorio.

141


Da tale sezione a 2.10K X, sono state ricavate inoltre, le mappe elementari (sotto), che ci danno un idea chiara ed immediata degli elementi chimici presenti in ogni singola parte del campione in esame. Le mappe degli elementi, mostrano la vera distribuzione spaziale di ciascun elemento di interesse. Le mappe degli elementi sono spesso visualizzate in falsi colori, ciò agevola a distinguere i vari elementi espandendo la gamma di tinte visibili.

Fig.258 Mappa evidenza il Calcio.

Fig.260 Mappa elementale in evidenza l’Alluminio.

elementale

in

Fig.259 Mappa evidenza il Zolfo.

Fig.261 Mappa elementale in evidenza il Silicio.

elementale

in

Fig.262 Mappa elementale in evidenza il Ferro.

Fig.263 Mappa elementale in evidenza l’Oro.

142


Campione B

143

Fig.264 Campione B visto al microscopio ottico

Fig.265 Campione B visto al SEM (100x).

Fig.266 Campione B, è indicato il punto (1) in cui è stata effettuata l’indagine EDX. (550x)

Fig.267 Campione B, è indicato il punto (2) in cui è stata effettuata l’indagine EDX. (550x)


Fig.268 Spettro EDX del campione B. Punto di prelievo 1.

Dallo spettro EDX del campione B, punto di prelievo 1, è evidente una netta predominanza del segnale dell’oro, tuttavia sono altresì evidenti tracce di altri elementi. Si tratta con tutta probabilità di una parte pressoché integra di doratura.

Fig.269 Spettro EDX del campione B. Punto di prelievo 2.

Dallo spettro EDX del campione B, punto di prelievo 2, è evidente una netta predominanza dei segnali dell’Alluminio, Silicio e del Ferro, tuttavia sono altresì visibili tracce di altri elementi. Questo ci fa ipotizzare che il punto in cui è stata effettuata la misura, riguarda una parte in cui è presente il bolo pressoché integro.

144


Campione B3

145

Fig.270 Campione B3 visto al microscopio ottico

Fig.271 Campione B3 visto al SEM (130x).

Fig.272 Campione B3, è indicato il punto (3) in cui è stata effettuata l’indagine EDX. (9.00Kx)

Fig.273 Campione B3, è indicato il punto (4) in cui è stata effettuata l’indagine EDX. (9.00Kx)


Fig.274 Spettro EDX del campione B. Punto di prelievo 3.

Dallo spettro EDX del campione B3, punto di prelievo 3, è evidente una predominanza dei segnali dell’Alluminio, Silicio e del Ferro, tuttavia sono altresì visibili tracce di altri elementi quali ad esempio il calcio probabilmente proveniente dagli strati preparatori sottostanti.

Fig. 275 Spettro EDX del campione B. Punto di prelievo 4.

Dallo spettro EDX del campione B3, punto di prelievo 4, è evidente una predominanza dei segnali del Calcio e dello Zolfo, tuttavia sono altresì evidenti tracce di altri elementi.

146


Dalla sezione a 9.00Kx, sono state ricavate, anche in questo caso, le mappe elementari (sotto), che ci danno un idea chiara ed immediata degli elementi chimici presenti in ogni singola parte del campione in esame.

Fig.276 Mappa elementale in evidenza il Calcio.

Fig.278 Mappa elementale in evidenza l’Alluminio.

Fig.277 Mappa elementale in evidenza il Zolfo.

Fig.279 Mappa elementale in evidenza il Silicio.

Fig.281 Mappa elementale in evidenza l’Oro.

147

Fig.280 Mappa elementale in evidenza il Ferro.


La spettroscopia infrarossa con trasformata di Fourier (FTIR) 105 invece, è una tecnica spettroscopica che permette l’identificazione dei materiali, mediante il riconoscimento dei gruppi funzionali delle molecole organiche ed inorganiche. Questa tecnica viene molto utilizzata nel campo dei beni culturali in quanto basta 1 mg di campione per effettuare l’analisi ed ottenere buoni spettri. Lo spettro IR viene fuori dalle analisi delle vibrazioni dei legami chimici delle molecole. Infatti se una radiazione infrarossa colpisce un legame chimico della molecola, ed alla vibrazione di questo corrisponde la variazione del momento dipolare, la molecola sarà in grado di assorbire l’energia del raggio incidente. Facendo attraversare il campione a un fascio laser infrarosso a frequenza variabile, generalmente espressa in numero d’onda tra i 400 e i 4000 cm-1, si registra l’intensità del fascio che supera il campione alle diverse frequenze. In presenza di una transizione, attivata ad una specifica frequenza, cioè ad uno specifico numero d’onda, si registrerà un assorbimento dell’energia inviata e quindi un segnale di intensità minore. Si produce quindi uno spettro tramite un operazione matematica conosciuta come trasformata di Fourier. Le lunghezze d’onda assorbite dal campione sono caratteristiche dei gruppi chimici presenti nel campione. L’intensità dell’assorbimento ad una definita lunghezza d’onda indica la concentrazione del gruppo chimico responsabile di tale assorbimento. Per cui possiamo dire che questa è un’analisi principalmente di tipo qualitativo, ma che alcune bande possono essere usate per un’analisi di tipo semi quantitativo, ovvero in grado di indicare l’abbondanza relativa di una specie rispetto ad un'altra all’interno del campione. Il riconoscimento delle specie presenti avviene per confronto con spettri precedentemente acquisiti in laboratorio, utilizzati come standard di riferimento, o attraverso una ricerca dalle librerie di spettri attraverso un data base. Nel campo dei beni culturali permette l’identificazione, principalmente, di composti di natura organica, anche se spesso permette il riconoscimento di una classe di composti più che del composto specifico.

105

M. MATTEINI, A. MOLES, Scienza e restauro- Metodi d’indagine, Firenze 1994

148


Nel nostro caso specifico tale analisi ci ha permesso di identificare: il legante e i possibili pigmenti, utilizzati per realizzare gli incarnati dei quattro busti reliquiari; la cera delle colature presenti nel reliquiario a predella.

Fig.282Spettro FTIR dell’incarnato di uno dei busti reliquiari

Grazie ad accurati confronti con gli spettri di riferimento e all’aiuto di figure specializzate nel riconoscimento di spettri FTIR, siamo riusciti ad individuare la presenza di rosso d’uovo (i cui picchi sono indicati dal pallino arancio nell’immagine sopra), rosso veneziano (i cui picchi sono indicati dal pallino rosso nell’immagine sopra), bianco di piombo (i cui picchi sono indicati dal pallino nero nell’immagine sopra) e giallo ocra (i cui picchi sono indicati dal pallino giallo nell’immagine sopra). Tuttavia avremmo avuto bisogno di un quantitativo più consistente di campione che ci avrebbe permesso di individuare con assoluta gli elementi individuati, facendo emergere in maniera più chiara dei picchi che risultano essere poco visibili.

149


Fig.283 Spettro FTIR della cera trovata nel reliquiario a predella.

Anche in questo caso, il confronto con spettri di riferimento, ci ha dato la possibilità di individuare con buona probabilità, la presenza di cera d’api. Infatti, i picchi intorno 2009

cm-1

, e quelli tra i 690 e i 1736, sembrerebbero caratteristici proprio di

quest’ultima.

150


APPENDICE A I RELIQUIARI A CAPSULA TECNICHE ESECUTIVE, STATO DI CONSERVAZIONE, INTERVENTO DI RESTAURO

Non posso prescindere dal fare un breve inciso sul trattamento riservato ai reliquiari a fiala presenti, come detto, all’interno del reliquiario a predella sopra descritto. Tali reliquiari si presentano come delle elaborate ampolline vitree di forma cilindrica (Fig.284), poggianti su un piedistallo con base circolare (Fig.285) e chiuse da un coperchio a cupola (Fig.286).

Fig.284 Ampolline vitrea di forma

Fig285. Piedistallo vitreo a base

Fig.286 Coperchio vitreo a

cilindrica.

circolare.

cupola.

Queste sono riccamente decorate da tutta una serie di roselline vitree di colore blu e bianco con sottili pennellate d’oro, che si localizzano: sul piedistallo di alcuni reliquiari; su tutti i pomelli che permettono l’apertura del coperchio; e nel margine inferiore di alcuni coperchi. Due dei piedistalli, sono invece decorati con tre piccole anse vitree. Al loro interno sono presenti dei cartigli di carta recanti il nome del Santo a cui appartengono le reliquie che sono riposte sempre all’interno degli stessi. L’ampollina molto probabilmente era chiusa con del fil di ferro che bloccava il coperchio. Ad una osservazione visiva e tattile, valutando lo spessore dei vari elementi vitrei sembrerebbe che si tratti di vero e proprio vetro soffiato.

151


Non è stata sicuramente operazione facile riuscire a comprendere la maniera in cui questi reliquiari a fiala erano assemblati, questo perché al momento del ritrovamento, pochissime parti erano perfettamente integre. Infatti risultavano intere solamente: •

Tre dei sei cilindri che costituivano l’ampollina vera e propria

Due coperchi

Due piedistalli

Nessuno dei cilindri superstiti era ancora attaccato al piedistallo, questo faceva sì che restasse ignota la modalità di assemblaggio cilindro-piedistallo. Del resto dei reliquiari rimaneva soltanto tutta una serie di frammenti più o meno piccoli che sono stati raccolti con cura cercando di non dimenticare anche le più piccole schegge (Fig.287). Lo stato di conservazione pessimo in cui vertevano le opere in questione, è da attribuire al fatto che l’intero reliquiario a predella non era perfettamente chiuso, per cui non è difficile pensare che durante il corso dei secoli questo sia stato più volte aperto e rimaneggiato. Inoltre, come detto, fonti dirette ci dicono che durante i lavori di ristrutturazione della chiesa Madre, il reliquiario è stato lasciato con il coperchio aperto e, all’interno di esso, sono caduti dei calcinacci che hanno provocato non solo il ribaltamento delle capsule con tutto il loro contenuto, ma anche la rottura delle stesse (Fig.288). Il vetro si presentava lattescente a tal punto da perdere la sua originaria trasparenza.

Fig.287 Frammenti vitrei ritrovati.

Fig.288 Particolare interno del reliquiario a predella. Da notare lo stato di conservazione in cui vertevano le ampolline vitree.

152


Le ampolle vitree intere sono state svuotate del loro contenuto e siglate, i frammenti che si trovavano nella stessa area sono stati tutti siglati con la stessa dicitura al fine di poter semplificare successive operazioni di assemblaggio.

È stata condotta

un’accurata campagna fotografica al fine di poter capire, in fase di riassemblaggio, da dove ogni singolo frammento era stato prelevato. Ogni singolo frammento è stato lavato con una soluzione di acqua e tensioattivo 106 e poi sciacquate con alcol. A questo punto è cominciato un paziente lavoro di reincollaggio delle parti per mezzo di una resina acrilica 107 ad alte percentuali, applicato a pennello lungo i margini dei frammenti vitrei. Ci si è resi subito conto che, nonostante lo stato di conservazione molto critico, tutti i frammenti ritrovati permettevano di ricostruite, almeno in larga parte, l’intera struttura dei sei reliquiari a fiala. Tuttavia non si è riusciti a completare nemmeno uno dei piedistalli, in quanto questi risultavano largamente lacunosi della base circolare. Per cui, a questo punto, si è cercato di capire in primis, come colmare le lacune presenti in queste parti, e poi a come unire gli stessi piedistalli al contenitore cilindrico. Dopo un’accurata valutazione si è scelto di utilizzare una resina epossidica 108 che per le sue caratteristiche di malleabilità e soprattutto di trasparenza, sembrava perfettamente idonea al nostro scopo. Inoltre la sua resistenza meccanica è risultata essere molto utile, infatti la base doveva essere molto robusta e solida per poter reggere non solo il peso del cilindro e del coperchio vitrei, ma anche e soprattutto delle reliquie custodite dentro tale contenitore. Infine i piedistalli sono stati uniti ai cilindri per mezzo di una resina acrilica 109 ad alta percentuale. Ricerche bibliografiche ci hanno permesso di comprendere che questa tipologia di reliquiari, non sono stati prodotti esclusivamente per il manufatto in questione. Infatti dei reliquiari a fiala molto simili sia nella tecnica esecutiva sia nella conformazione stilistica, a quelli rinvenuti all’interno del reliquiario a predella oggetto del mio intervento di restauro, sono stati rinvenuti nella diocesi di Padova. Si tratta, ad 106

Tween20 ® al 2% in acqua Paraloid B72 al 30% in diluente nitro (vedi nota 70) 108 Cristal®: la resina epossidica trasparente CRISTAL costituisce un sistema epossidico bicomponente da colata caratterizzato da bassa viscosità, lunghi tempi di lavorazione ed elevatissima trasparenza. La resina epossidica trasparente CRISTAL catalizza a temperatura ambiente, previa miscelazione dei due componenti 109 Paraloid ® 30% in diluente nitro (vedi nota 70). 107

153


esempio, del reliquiario di Santa Fausta di produzione Veneta realizzato nel XVIII secolo (Fig.289) e quindi posteriore a quelli di Polizzi Generosa (Fig.290). Per cui data l’uniformità nello stile e addirittura dei colori utilizzati, si potrebbe supporre che anche i reliquiari in questione siano di produzione veneta o che comunque siano stati realizzati in ambito siciliano, prendendo a modello però la manifattura veneta.

Fig.289 Reliquiario a fiala di Santa Fausta di

Fig.290 Reliquiario a fiala contenuto all’interno del

produzione Veneta realizzato nel XVIII secolo.

reliquiario a predella della chiesa madre di Polizzi Generosa.

IL VETRO- LA STORIA

È doveroso a questo punto fare un piccolo inciso sul vetro. Non si sa precisamente dove e quando il vetro venne scoperto, ma sicuramente è un materiale molto antico, addirittura il primo materiale di sintesi creato dall’ uomo. Le sue origini vengono fatte risalire ad alcuni millenni prima di Cristo e sono avvolte nella leggenda. Plinio narra che il vetro sia stato trovato per caso dai fenici 110. Ma l’ipotesi 110 «...La parte della Siria che si chiama Fenicia e confina con la Giudea comprende, al di qua delle pendici del monte Carmelo, una palude che si chiama Candebia. Da essa si pensa che nasca il fiume Belo, che, dopo un corso di cinque miglia sfocia in mare di fianco alla colonia di Tolemaide. Il suo corso è lento, l'acqua malsana da Vassoio, secondo secolo a. C..museo archeologico nazionale di Atene bere, anche se sacra per fini di culto; limaccioso, con il letto profondo, non ne mostra la sabbia se non quando il mare di ritira da esso... La larghezza della spiaggia non è superiore ai 500 passi, eppure questo piccolo spazio è stato per secoli l'unico luogo deputato alla produzione del vetro. Secondo la leggenda, vi approdò una nave di mercanti di nitro 1, che si sparsero per la spiaggia a preparare la cena; poiché non c'erano a portata di mano delle pietre per tenere sollevati i pentoloni, essi usarono come sostegni pezzi di nitro presi dalla nave e questi, accesi e mescolati con la sabbia della spiaggia, diedero origine a rigagnoli lucenti di un liquido ignoto: questa sarebbe stata l'origine del vetro. Presto, come c'era da aspettarsi, l'inquieta intelligenza dell'uomo non fu più paga di mescolare solo il nitro con la sabbia e si

154


tuttavia più plausibile è quella che questo materiale, venne prodotto per sbaglio, nel momento in cui qualche vasaio della Mesopotamia, utilizzando smalti ad alto contenuto di sodio, ha innalzato troppo la temperatura del forno che in questo modo ha rovinato la ceramica, ma ha creato il vetro. È nel III Millennio a.C che sono attestate le prime officine di produzione del vetro. Tuttavia ciò che veniva prodotto non era il materiale trasparente che oggi siamo abituati a vedere, ma un materiale più grezzo formato da grani cristallini di silice non perfettamente fusa. La motivazione sta nelle temperature troppo basse per ottenere il vetro vero e proprio. Ancora nel II Millennio a.C. in Egitto e in Persia, si raffinano i metodi di produzione e si fabbricano dei vetri più trasparenti. Fu da sempre uno dei materiali più apprezzati dall’uomo poiché a basso costo, potevano essere prodotti degli oggetti paragonabili alle pietre preziose 111. Nel mondo ellenistico il vetro era molto diffuso per il trasporto e il commercio dei profumi, sotto forma vasetti per unguenti. Nell’ antica Roma venne utilizzato per la prima volta per la produzione di finestre nelle dimore nobiliari e per la realizzazione di vasi e bottiglie. La colorazione del vetro antico era verde perché la sabbia utilizzata era ricca di impurità di ferro. Nella metà del I secolo a.C. fu sviluppata la tecnica del soffiaggio 112 che è un processo nel quale degli oggetti vengono formati forzando aria in una “goccia” di vetro fuso. Ancora nel V-VII secolo d.C., il vetro viene utilizzato per la realizzazione delle tessere musive in ambito bizantino. Ma fu nel Medioevo che l’arte della vetreria raggiunse il suo apice, il vetro assunse un significato simbolico di contatto con Dio e di elevazione verso il cielo, inoltre si

cominciò ad aggiungere anche il magnete, perché si crede che attiri anche il liquido del vetro alla pari del ferro. Analogamente, si prese a fondere insieme anche pietre lucenti di varie specie e poi conchiglie e sabbia fossile (tratta da cave)...» Plinio, Storia Naturale, vol. 5, Einaudi, 1988 p. 729 111 L.Campanella et all, Chimica per l’arte, Bologna 2007, pp.279-280) 112 Veniva utilizzato un tubo di ferro detto “canna”, l'artigiano preleva dal forno a crogiolo, detto “padella”, la quantità di vetro fuso sufficiente per la realizzazione dell'oggetto. Essendo il materiale simile ad una pasta, la porzione prelevata prende la forma di una grossa goccia chiamata “bolo” o “pera” che è troppo fluido e tenderebbe a cadere, per cui viene raffreddato facendolo roteare su una piastra metallica con la canna in posizione orizzontale. Poi l'artigiano pone la canna in posizione verticale e comincia a soffiare aria dentro il bolo, che gradualmente si gonfia. Per ottenere la forma desiderata è necessario procedere in più tempi, riscaldando solo la parte dell'oggetto che deve essere allargata. Alla sfera vengono date forme diverse dal soffiatore utilizzando dei semplici attrezzi e contemporaneamente ruotando velocemente il tubo sul banco. http://spazioinwind.libero.it/testaccio_ivnovembre_classe2a/rifiuti/o109_4.html

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comprese a pieno che questo materiale, per natura trasparente, poteva essere miscelato con pigmenti e creare dei vetri policromi di grande effetto 113. Un esempio sono le numerosissime cattedrali Gotiche in cui la muratura lascia il posto alle vetrate policrome e istoriate. I raggi del sole, che passano attraverso di esse, conferiscono all’ambiente un gioco di colori che veniva interpretato dagli uomini del tempo, come una prefigurazione della Gerusalemme celeste. Anche in Sicilia, nel Medioevo, vi era una fiorente produzione di vetro. Le materie prime erano sabbia silicea e prodotti di combustione di piante litoranee 114. La sabbia silicea era abbondante nell' isola tanto che, oltre ad essere utilizzata localmente, veniva anche portata fuori dalla Sicilia, se ne attesta la vendita anche alla città di Murano 115. Nello stesso periodo in Germania si sviluppa una nuova tecnica per la produzione di lastre di vetro per soffiatura, stirando le sfere in cilindri, tagliando questi ancora caldi e appiattendoli quindi in fogli. Questa tecnica fu perfezionata nel XIII secolo a Venezia che divenne un centro di produzione vetraria nel XIV secolo. Nel 1271 lo statuto chiamato Capitolare di Venezia tutelava la manifattura del vetro veneziano che divenne monopolio esclusivo della città. Fu proibita l’importazione di vetri dall'estero così come le maestranze. Nel 1291 viene decretato il trasferimento delle vetrerie da Venezia all'isola di Murano, per tutelare la città da eventuali incendi 116. Verso la metà del XV sec., Angelo Barovier inventa il vetro limpido e incolore detto cristallo nella città di Murano, ottenuto a partire dal vetro con l'aggiunta di sodio e manganese. Nel XVII-XVIII secolo nasce invece il cristallo di Boemia 117. In definitiva si può affermare che il vetro è una dei materiali sicuramente più apprezzati dall’ uomo sia nel suo utilizzo per scopi artistici, sia per contenitori di uso quotidiano. Sinonimo di pulizia ed igiene proprio per le sua caratteristica di

113

L. Campanella et all, op.cit, p. 280. In un documento della Sicilia medioevale figura un prodotto naturale chiamato scebba utilizzato da un mastro vetraio di Catania per la preparazione del vetro. Il termine scebba indica una pianta che bruciata serve a fare il vetro e che corrisponde all’arbusto chiamato Salsola Le piante denominate Salsole, genere delle Chenopodacee, ammontano a parecchie specie, quali la Salsola Soda, Salsola Tragus, Salsola Kali, che crescono lungo le rive del mare. Le loro ceneri contengono fino al 40% di carbonato di sodio e sono anche ricche di sali di Potassio. F. D’ANGELO, La produzione del vetro a Palermo. Materie prime locali e maestranze toscane, in Archeologia e storia della produzione del vetro preindustriale, Firenze 1991. 115 Ibidem 116 http://tammarohome.it/lavorazioni/ 117 http://design.repubblica.it/2008/07/23/la-storia-del-vetro-di-murano/?refresh_ce 114

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trasparenza che lascia vedere chiaramente il contenuto. È inoltre un materiale plasmabile, può essere colorato, polverizzato, tagliato, realizzato a vari spessori. Dipende dalla sua composizione chimica e dalla sua realizzazione, può fondere a 100° o resistere a temperature sopra i 1000°. Per tutte queste e tante altre caratteristiche il vetro è uno dei materiali più importanti e utili.

IL VETRO - LA COMPOSIZIONE CHIMICA E I METODI DI PRODUZIONE.

In definitiva il vetro è una sostanza minerale artificiale amorfa considerabile, dal punto di vista fisico, come un liquido a viscosità elevatissima, costituito da una miscela di silicati di metalli alcalini, alcalino-terrosi e di altri metalli, nel quale è talora presente l’anidride borica, raramente quella fosforica. Componente imprescindibile per la produzione del vetro è quindi la Silice che, come sappiamo, è il componente presente in percentuale maggiore nella crosta terrestre. Questo elemento, nella composizione chimica del vetro occupa il 72%, quindi è il vero e proprio vetrificante che veniva ricavato da sabbie quarzose o ciottoli di fiume 118. Il vetro si ottiene fondendo a temperature comprese tra i 1300 e i 1500 °C, la cosiddetta «carica» formata, come costituente principale, da silice, cui vengono aggiunti, sotto forma di carbonati, metalli alcalini che agiscono come fondenti, alcalino-terrosi che agiscono come stabilizzanti e altri metalli 119. La fusione avviene in forni a crogiuolo 120 (per piccole quantità) o continui. Al processo di fusione, segue l’affinaggio, atto ad eliminare dalla massa fusa i difetti e ad omogeneizzarne la composizione chimica. La massa fusa viene poi

118

G. Melazzo, Lo studio, il restauro e la valorizzazione di due vetri dipinti nella collezione di Palazzo Abatellis, Genesi, evoluzione storica ed antropologica della pittura su vetro, Università degli studi di Palermo, Tesi di laurea, 2017 119 L. Campanella, op.cit., pp. 284-288 120 Dall’antichità al XIX secolo il vetro è stato prodotto esclusivamente in forni a crogioli. Questi avevano una struttura circolare con tre camere sovrapposte, quella inferiore serviva per la combustione, in quella centrale erano disposti i crogioli, mentre in quella superiore, riscaldata dai fumi che andavano ai camini, fungeva la camera di ricottura. I crogioli erano di piccole dimensioni, poco più grandi di un secchio. L.Campanella, op.cit, pp. 321-322.

157


gradualmente raffreddata fino a un punto in cui il vetro assume viscosità tale da poter essere ancora agevolmente lavorato. I sistemi di formatura possono essere manuali (la soffiatura) e meccanici. Una volta formato, il vetro viene poi sottoposto a un trattamento termico detto ricottura, cui segue un lento raffreddamento fino alla temperatura ambiente. Possiamo dire tuttavia che le materie prime reperibili nelle diverse aree geografiche, influenzarono sviluppi diversi dell'industria vetraria. Materie prime diverse quindi diverso tipo di vetro e quindi diverse tecnologie. Nel basso Medioevo ad esempio, gli alcali provenivano dalle ceneri delle piante e quindi contenevano potassio, ma, nei paesi mediterranei, come detto, erano ottenuti invece da piante marine e quindi contenevano sodio. Il vetro con potassa era più "molle", per cui era necessario un diverso tipo di forno e di attrezzi. Invece, il tipo di combustibile utilizzato per alimentare i forni, ha inciso sullo sviluppo e sull’evoluzione delle tecniche di produzione. Da ricordare che, in Gran Bretagna, la continua richiesta di legna da ardere per alimentare i forni divenne così alta che la regina Elisabetta I, nel 1615, obbligo le industrie ad utilizzare il carbone. Le vetrerie dovettero in questo modo cambiare i loro processi di lavorazione, adattandoli al nuovo tipo di combustibile. Si dovettero utilizzare dei crogioli chiusi per proteggersi dalle esalazioni e per impedire che i fumi contenenti zolfo, presente nel carbone, reagissero con le impurezze di piombo presenti nella massa vetrosa, colorandola di nero. Ma l’evoluzione più importante nella struttura dei forni è avvenuta nel XIX secolo con l’introduzione del gas di gasogeno che ha dato la possibilità di inserire all’interno di esso fino a dodici crogioli che potevano ottenere un totale di cinque quintali di vetro 121. Questa breve appendice ha voluto sottolineare l’influenza che un materiale così comune ai nostri giorni, ha avuto nella nostra vita quotidiana. Il vetro infatti, come detto, non ha avuto soltanto un ruolo fondamentale nella produzione di oggetti di uso comune, ma anche nella produzione artistica di Beni di qualunque tipologia come ad

121

http://www.bormioliartevetro.com/cenni-di-tecnologia-del-vetro.html

158


esempio: vasi, anfore, gioielli, quadri, lampadari, inserti per mobili o opere di altro genere e, appunto, reliquiari.

159


APPENDICE B LE RELIQUIE Un altro inciso parimenti fondamentale è da fare sulle reliquie, parte integrante dei manufatti oggetto della mia tesi. Come detto nel primo capitolo, le reliquie, a partire dal Medioevo, erano molto diffuse, ricercate e pagate a caro prezzo. A queste venivano riservate posti di grande spicco all’interno delle chiese e per queste vennero realizzate vere e proprie opere d’arte atte a valorizzarle ed arricchirle. Nel nostro caso tutte le reliquie poste sia nel reliquiario a tabella che in quello a predella ma anche quelle dei quattro busti reliquiari, recano ossa umane, appartenenti a diverse e svariate parti del corpo. Sarebbe interessante riuscire ad esaminare tutte le ossa presenti, ma ci limitiamo in questa sede alle sole reliquie dei manufatti oggetto di studio e in particolare al corpo di San Mauro. Si sa che lo scheletro umano può darci delle informazioni sostanziali che riguardano non solo lo stato di salute del soggetto di appartenenza, ma anche delle sue abitudini alimentari, dei suoi caratteri genetici e ambientali. Sono dei cosiddetti indicatori di stress ovvero definiscono alterazioni morfologiche delle ossa e dei denti in risposta a stress funzionali, quali l’attività lavorativa, e stress episodici di varia natura 122. Tutto ciò è per noi uno studio molto interessante da intraprendere, poiché, grazie all’aiuto di specialisti esperti nel settore, possiamo provare a capire caratteristiche proprie delle ossa presenti nei nostri reliquiari ed ottenere in questa maniera nuove e stimolanti informazioni sulle nostre Opere.

122

http://www.paleopatologia.com/it/paleopatologie-e-indicatori-di-stress.html

160


CORPUS SANTI MAURI

Recita così il cartiglio posto sotto le reliquie contenute nell’apertura centrale del reliquiario a predella oggetto di studio. In effetti di San Mauro abbiamo gran parte del suo corpo, e precisamente i femori, le tibie, gli omeri, e il teschio. Quindi tutte reliquie che potremmo definire primarie. È proprio sull’importanza riservata a questi resti mortali, che vogliamo porre la nostra attenzione. Queste infatti non solo comprendono, come detto, parte integrante dell’intero corpo del Santo in questione, ma sono poste in una posizione di spicco rispetto alle altre occupando queste il punto nodale dell’intero complesso reliquiario. Resta da capire una cosa di fondamentale importanza: il cartiglio recita Corpus Santi Mauri, ma in realtà di quale San Mauro si parla? Dal martirologio romano 123 sappiamo infatti che esistono almeno sette Santi che portano il nome di Mauro e precisamente:

SANTO

15 gennaio

A Glanfeuil lungo la Loira nel territorio di Angers in Francia, san Mauro, abate 124.

San Mauro soldato

29 gennaio

A Roma sulla via Nomentana nel cimitero Maggiore, Santi martiri Pápia e Mauro, soldati 125.

1 aprile

A Roma, commemorazione dei santi martiri Venanzio, vescovo, e dei suoi compagni di

Martirologio romano-riformato a norma dei decreti del concilio ecumenico vaticano II e promulgato da papa Giovanni Paolo II, Roma 2004. 124 Ibidem, p.133 125 Ibidem, p.164

161

DEL

San Mauro Abate

San Mauro martire di Dalmazia

123

DATA IN CUI SI DESCRIZIONE CELEBRA MARTIROLOGIO ROMANO


Dalmazia e di Istria, Anastasio, Mauro, Paoliniano, Telio, Asterio, Settimio, Antiochiano e Gaiano, che la Chiesa onora con una comune lode 126. San Mauro vescovo di Pécs

25 ottobre

A Pécs in Ungheria, san Mauro, vescovo, che fu maestro di eloquenza per quasi tutta la vita e visse, infine, come monaco e poi abate nel monastero di San Martino 127.

San Mauro vescovo e martire di Parenzo

21 novembre

A Parenzo in Istria, san Mauro, vescovo e martire 128.

San Mauro vescovo di Cesena

21 novembre

A Cesena, san Mauro, vescovo 129.

San Mauro martire di Roma

10 dicembre

A Roma nel cimitero di Trasone sulla via Salaria nuova, San Mauro, martire, che il papa san Damaso celebra come innocente fanciullo, che nessun supplizio allontanò dalla fede 130.

Tuttavia in nostro soccorso arrivano due informazioni fondamentali che ritroviamo: nell’autentica delle reliquie ritrovata, come detto, all’interno del reliquiario a predella; e nel disegno del sac. Malatacca 131. Entrambi i documenti danno delle indicazioni che potrebbero esserci utili. Infatti entrambi parlano di un San Mauro martire, per cui il nostro campo si restringe e possiamo focalizzarci solamente sui martiri presenti nel martirologio. Ancora l’autentica ci dà dei dati importanti, infatti è scritto:

126

Ibidem, p.295 Ibidem, p. 832 128 Ibidem, p. 895 129 Ibidem, p.896 130 Ibidem, p..937 131 Vedi paragrafo 1.6. 127

162


…Item Corpus S.ti Mauri Mart. Extractum ex Romano Cemeterio Priscillae. e poi ancora: Corpus vero S.Mauri, ac reliquae Reliquiae ex Caemeterio Priscillae peruenerunt ad dictum P.Ludovucum ab Urbe Roma in quatuor cistulis inclusae fubtilibus funiculis ligatis ac paruo sigillo mutis Ill.mi, & Reu.mi F.Ambroslj Landucci Episcopi Porphyrien’ Sacrarij Apostolici Praefecti & cappellae Pontificiae Assistentis ut pater per eius literas patentes Data Romae die 31 Septemberis 1664… 22 mensis Iunij 1665 ac 10 Februarij 1666. Da queste parole si deduce chiaramente che il corpo di San Mauro Martire è stato estratto dal cimitero romano di Priscilla e che arrivò a P. Ludovico Sponselli dalla città di Roma con tanto di sigillo del Reverendissimo Ambrogio Landucci 132. Dal martirologio romano tuttavia, non esiste nessun San Mauro Martire il cui corpo proviene dal cimitero di Priscilla, bensì un San Mauro martire il cui corpo proviene però dal cimitero di Trasone sulla via Salaria a Roma. Da ricerche condotte su entrambe le catacombe è risultato che: •

La catacomba di Priscilla, si apre sulla Via Salaria con ingresso presso il

chiostro dell'antico convento delle Suore Benedettine di Priscilla. Era chiamato la “regina catacumbarum” per i numerosi martiri sepolti in quel luogo. Fu scavata tra il II e il V secolo, prende inizio da ambienti ipogei preesistenti, con le tombe degli Acili Glabrioni. A tale famiglia appartiene una nobildonna di nome Priscilla che, con ogni probabilità, fu la donatrice del terreno che diede inizio alla vita delle nostre catacombe. Questo sarebbe il motivo per il quale oggi, e almeno dal IV secolo, il cimitero è dedicato al suo nome e alla sua memoria 133. •

La catacomba di Trasone invece, è posta sulla via Salaria, all’incrocio con via

Yser, nel quartiere Parioli. Il nome della catacomba, deriva dal nome del proprietario o del fondatore del complesso cimiteriale ipogeo: Trasone che era un ricco cittadino

132

Ambrogio Landucci, OSA (1596 - 16 febbraio 1669) era un prelato cattolico che servì come vescovo titolare di Porphyreon (1655-1669). Ambrogio Landucci è nato a Siena, e ordinato sacerdote nell'Ordine di Sant’Agostino. Il 30 agosto 1655, fu nominato durante il pontificato di papa Alessandro VII come vescovo titolare di Porfireone. Il 12 settembre 1655 fu consacrato vescovo. Fu vescovo titolare di Porphyreon fino alla sua morte, il 16 febbraio 1669. 133 http://www.catacombepriscilla.com/

163


romano, vissuto al tempo dell’imperatore Diocleziano (284-305), convertitosi al cristianesimo. Nelle fonti antiche, la catacomba è chiamata anche “Coemeterium Thrasonis ad S. Saturninum”, in memoria del principale martire ivi sepolto: San Saturnino 134. Dunque entrambi le catacombe sono romane ed entrambe si trovano sulla Via Salaria per cui senza entrare nello specifico sul luogo preciso di provenienza, diamo per certa l’indicazione ritrovata sull’autentica, anche se nessuna delle nostre ricerche ci riconduce ad un Corpo di San Mauro ritrovato nella catacomba di Priscilla.

ACCERTAMENTI MEDICO-LEGALI DEI RESTI OSSEI

La nostra indagine sui resti ossei di San Mauro è stata effettuata con la consulenza di una figura professionale specializzata in medicina-legale, che ci ha fornito delle informazioni preziosissime per la nostra ricerca. La nostra speranza era quella di riuscire ad identificare il Santo in questione dall’età del decesso. Infatti ad esempio, se ci fossimo trovati di fronte alle reliquie di un bambino, avremmo potuto ipotizzare che il San Mauro in questione era San Mauro Martire di Roma che, come detto sopra, era un fanciullo. Ovviamente riuscire ad individuare in maniera precisa l’identità del Martire, non è cosa imprescindibile ai fini del nostro studio che è stato mirato essenzialmente ad un approfondimento ed a una maggiore completezza del nostro lavoro sui reliquiari.

DESCRIZIONE E CATALOGAZIONE DEI REPERTI

Di seguito il resoconto di quanto è emerso dalle indagini effettuate da parte del medico-legale:

134

http://www.sotterraneidiroma.it/visite-virtuali/item/catacomba-della-basilica-di-ssaturnino-nelcimitero-di-trasone

164


La refertazione relativa ai resti ossei in esame è stata eseguita in data 25/02/2018 nella sagrestia della Chiesa Madre “Maria SS. Assunta” di Polizzi Generosa. In occasione del rilevamento si è provveduto ad una momentanea e preventiva suddivisione dei resti scheletrici (Fig.291), alla misurazione e alla rilevazione fotografica. Tali reperti sono stati poi esaminati al fine di individuare ogni caratteristica morfologica utile. I resti esaminati consistono in: •

Cranio: che si presenta privo di mandibola, quasi la totalità del reperto è

ricoperto da una sorta di malta a grana abbastanza fine stesa a formare una sorta di esoscheletro. La presenza di tale composto è riconducibile ad un intervento umano con l’intento di preservare il reperto. Inoltre dal forame occipitale, unico orificio della base cranica osservabile, e possibile rilevare all’interno della teca cranica la presenza di interventi umani di sutura manuale lungo il decorso sagittale e coronale delle fisiologiche sinostosi. La malta ricopre tutta la base cranica compresa l’arcata dentaria superiore che risulta priva di elementi dentari ad eccezione di alcuni molari anch’essi ricoperti da malta e non valutabili, cosi come quasi la totalità delle ossa del neurocranio ad eccezione di una piccola area dell’osso frontale. Le ossa dello splancnocranio, la piramide nasale e le orbite sono interamente rivestite dalla malta che ne maschera le peculiarità anatomiche ed altera le misurazioni effettuate. Complessivamente il detto cranio, con tutte le riserve dovute alla presenza di materiale estraneo, presenta normali dimensioni, architettura normale, creste sopraorbitarie e processi mastoidei piuttosto pronunciati, orbite squadrate, condili occipitali grandi, caratteristiche morfologiche tipicamente indicative di cranio appartenente a soggetto di sesso maschile (Fig.292). •

N.1 omero destro;

N.1 omero sinistro;

N.1 femore destro;

N.1 femore sinistro(Fig.293);

N.1 tibia destra (Fig.294);

N.1 tibia sinistra che risulta divisa in due frammenti ossei in corrispondenza

della parte centrale della diafisi. 165


Fig.291 Suddivisione momentanea e preventiva suddivisione dei resti scheletrici.

Le suelencate ossa sono caratterizzate da un basso peso e risultano facilmente friabili al tatto. Le regioni epifisarie ed articolari risultano riconoscibili anche se presentano sovvertimenti morfologici strutturali e volumetrici. In parte tali ossa appaiono avvolte in un finissimo tessuto utilizzato probabilmente al fine di preservare, ridare consistenza e corposità alle ossa. Le indagini sono state volte all’individuazione, con minore rischio di errore possibile, di tutti quei caratteri somatici utili all’identificazione del genere di appartenenza di tutti i segmenti scheletrici rinvenuti, del sesso di appartenenza degli stessi, nonché dell’età ed epoca del decesso. Quando si parla di identificazione s’intende l'accertamento dell'identità di una persona, accertamento che può partire da un soggetto vivente, un cadavere o da semplici tracce. L'identificazione è: •

Generica: se ha per oggetto la determinazione di caratteri generali quale la

specie, la razza, il sesso, l'età ecc. •

Specifica: quando porta al riconoscimento della persona rilevandone le

caratteristiche somatiche e confrontandole con i dati della stessa persona già precedentemente segnalati. Nel nostro caso, stante la tipologia di reperti a nostra disposizione, l’identificazione non ha potuto che essere generica, volta a stabilire anzitutto la specie di appartenenza, genere, età ed epoca dei resti.

166


Come prima cosa ci si è occupati dell’identificazione della specie umana che, in genere, non presenta difficoltà se la parte corporea in esame è di dimensioni sufficienti e di aspetto inconfondibile (ad esempio: un dito o un padiglione auricolare) tale da essere riconosciuta con la semplice osservazione diretta. Qualora questo non fosse possibile ci si basa su metodi sierologici, esami sul tessuto osseo o altre differenze (ad esempio: i denti umani sono i soli ad avere la corona e la radice sullo stesso asse; i globuli rossi umani sono senza nucleo). Nel caso in questione da quanto è emerso dalla morfologia, dalle peculiarità anatomiche, dagli indici delle misurazioni effettuate si può affermare che trattasi di ossa di specie umana. Avendo accertato l’appartenenza alla specie umana si è passati all’ identificazione di statura. Questa in genere, si può misurare bene nel cadavere ma le difficoltà insorgono in presenza di resti scheletrizzati. I questi casi la statura può essere estrapolata partendo dalla lunghezza delle ossa (anche di un solo). A questo scopo sono state elaborate fin dal secolo scorso le tavole osteometriche del Rollet che in base alla lunghezza delle ossa degli arti permettevano di risalire alla statura del soggetto. Pirson, più avanti, calcolò che le deviazioni standard erano di ± 4-5 cm, con margini di errore dell'ordine anche di 15 cm. Sono state elaborate così delle tabelle che utilizzano elementi degli arti inferiori e della colonna ottenendo una riduzione della deviazione standard di ± 2 cm, e delle equazioni per le singole ossa degli arti, che permettono una discreta approssimazione della statura. Le misurazioni effettuate, confrontate con la tabella su detta, risultano compatibili con un soggetto con possibile statura compresa tra 150 e i 166 cm. Si è passati poi all’identificazione dell’età che, nella persona vivente o nel cadavere, si stabilisce, con approssimazione, innanzitutto per classi evolutive in base ai caratteri somatici più appariscenti, quali lo sviluppo somatico generale, il peso, la statura, l'aspetto della cute e degli annessi, i caratteri sessuali primari e secondari. Quindi si potrà circoscrivere ulteriormente l'età del soggetto in base allo stato della dentizione ed alle modificazioni scheletriche quali appaiono alle radiografie.

167


È bene ricordare che: l’età giovanile va dalla comparsa dei caratteri sessuali secondari (pubertà), sotto i dodici anni, al completamento dello sviluppo corporeo con la definitiva saldatura delle cartilagini d'accrescimento; nell’età adulta avvengono l'obliterazione delle suture della volta cranica e la calcificazione delle cartilagini costali fra i 25 ed i 45 anni, gli altri sono tutti segni di un lento, progressivo declino dell'organismo fino alla senilità; in età senile invece compaiono delle alterazioni morbose di tipo degenerativo, quali una progressiva osteoporosi con assottigliamento della compatta ed allargamento del canale midollare, artrosi polidistrettuale ed accentuazione della cifosi dorsale. Da questo si evince che una delle metodologie per procedere alla valutazione riguardo l’età del soggetto, è l’esame delle suture craniche. Nel nostro caso non è stato possibile effettuare tale osservazione, poiché, come detto, purtroppo quasi l’intero cranio risulta rivestito da uno strato di malta, che ne impedisce l’osservazione. Tale trattamento ha inoltre sovvertito completamente la morfologia anatomica sia a carico del neurocranio ma soprattutto a carico della porzione dello splancnocranio rendendo vano ogni tentativo di estrapolazione di dati utili. Si è tentato infine di determinare il sesso di appartenenza delle reliquie. Di norma, nel vivente e nel cadavere conservato, la diagnosi di sesso si presenta agevole, le cose si complicano nel caso di resti scheletrici umani di varia età e provenienza. Si possono tuttavia fare delle osservazioni e da queste tentare di trarre quante più informazioni possibili partendo dal fatto che le maggiori differenze tra uomo e donna si riscontrano a livello del bacino e del cranio. Nel nostro caso il bacino indicatore inconfondibile di appartenenza all’uno o all’altro sesso, non era presente, per cui si è tentato di esaminare, per quanto possibile il cranio. Questo nella donna è più piccolo e leggero, i seni frontali sono poco sviluppati, così come le prominenze fronto-ciliari ed i processi mastoidei; lo splancnocranio, ed in particolare la mandibola, è più piccolo in rapporto al neurocranio. Nel caso in esame è emerso che complessivamente il cranio, con tutte le riserve dovute alla presenza di materiale estraneo, presenta normali dimensioni, architettura

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normale, creste sovraorbitarie e processi mastoidei piuttosto pro-nunciati, orbite squadrate, condili occipitali grandi, caratteristiche morfologiche tipicamente indicative di cranio appartenente verosimilmente a soggetto di sesso maschile 135.

Fig.292 Misurazione del forame occipitale.

Fig.293 Misurazione del femore sinistro.

Fig.294 Misurazione dell’omero destro.

135

Tutte le informazioni presenti sono state estrapolate dalla relazione medico-legale effettuata da parte del Dott. Calogero Mazzola.

169


CONCLUSIONI

Questo lavoro di tesi è nato dalla volontà di studiare una tipologia di manufatti molto complessa, non tanto per il restauro in sé, ma per la vasta gamma di aspetti da poter esaminare. Scegliere dei manufatti complessi per la diversità di materiali da trattare, è un valore aggiunto al mio lavoro di tesi, in quanto, senza scavalcare altri percorsi formativi ma anzi aprendosi al confronto con specialisti esperti nei vari settori analizzati, ha toccato più aspetti ad esempio l’analisi delle reliquie e il lavoro conservativo sul vetro. Il tutto è stato effettuato al fine di poter usufruire del bene nella sua totalità ed interezza. Inoltre sono dei manufatti assimilabili a dei veri e propri scrigni di un qualcosa che va al di là del semplice aspetto materico, contenendo questi reliquie di Santi oggetto di venerazione e devozione. Hanno proprio per questo motivo, un valore intrinseco che deve poter essere tutelato e salvaguardato con la stessa importanza che si riserva alla materia di cui le opere sono costituite. Il nostro intervento di restauro infatti, non è solamente volto a quest’ultima, ma tutta quella serie di valori immateriali che sono depositati su di essa. Valori immateriali che non sono ravvisabili nell’aspetto liturgico per i quali sono stati concepiti i Beni ecclesiastici, ma che includono tutte quelle preghiere, speranze, invocazioni e suppliche di chi attribuisce a quei manufatti un valore quasi divino. A questo proposito è il caso di ricordare l’importanza che i Cristiani attribuiscono proprio alle reliquie: esempio evidente che un corpo “santo” vince il tempo. Allo stesso modo le reliquie avvicinano il Cristiano alla fede in quanto questi ravvisano nei resti mortali tangibili, un uomo comune, un qualsiasi cristiano che diventa Santo poiché ha vissuto ed è morto nel nome di Cristo.

170


Questo attaccamento al dato materico, tipico della religione Cattolica, si avvicina molto al lavoro del restauratore che tutela la materia al fine di perpetuare e preservare la memoria. Infatti è evidente come l’elaborato abbia una sezione dedicata alla parte pratica in sé, contornata da tutta una serie di ricerche storiche, di confronti con le fonti artistiche, confronti stilistici, indagini scientifiche volte ad indagare la materia. Il tutto non è fine a sé stesso ma è stato fatto per i posteri, per le generazioni future, per chi ha la passione per l’arte e vuole entrare in stretto contatto con l’Opera conoscendola più intimamente ed indagandola. I nostri posteri ci hanno lasciato innumerevoli Beni, ma anche la sapienza e la cura della materia, è nostro dovere preservarli, tutelarli, indagarli al fine di tramandare materia e storia. Proprio per questi motivi, abbiamo scelto dei reliquiari con vicende conservative travagliate probabilmente anche per la scarsa considerazione che si aveva degli stessi, il ché ha acceso un faro sulla tutela dei Beni contenuti all’interno della chiesa Madre di Polizzi. Infatti spesso la bellezza e lo splendore di Opere contenute all’interno della stessa, fanno sì che Beni come quelli oggetto di tesi, passino in secondo piano. Studiare e Restaurare queste opere ha significato riprendere un pezzo di storia che era andata pressoché perduta e dimenticata dai fedeli. Ricordare e dimostrare che quelle opere sono state commissionate da nobili famiglie, realizzate da un artista e ammirate da innumerevoli fedeli che, durante il corso del tempo, hanno lasciato lì le loro preghiere, serve a risvegliare le coscienze sulla tutela dei beni artistici che in fin dei conti equivale a tutelare l’identità di un popolo.

171


PARTE SECONDA

STUDIO DI UN ADESIVO DI ORIGINE NATURALE ESTRATTO DA ORGANISMI MARINI, FUNORI E POSIDONIA OCEANICA, PER L’INCOLLAGGIO DI ELEMENTI LIGNEI.


INTRODUZIONE

Dei quattro reliquiari a busto raffiguranti San Basilio Magno, San Giacomo Minore, San Diomede Martire e Quaranta Martiri, oggetto della prima prova, non si hanno notizie storiche certe. Nonostante le numerose ricerche condotte, non si hanno informazioni sufficienti riguardo la loro originaria collocazione. Sappiamo solamente per certo che la loro attuale collocazione, ovvero sopra il reliquiario a predella della cappella del Crocifisso nella Chiesa Madre di Polizzi Generosa, non è quella originaria. Fonti dirette ci hanno riportato infatti, che i quattro busti sono stati lì collocati solamente nel 2001, a seguito del loro ritrovamento nel sottotetto della casacanonica adiacente la chiesa madre. Da fonti fotografiche tuttavia, si è riuscito a comprendere che negli anni 70 del novecento, tali busti erano già presenti in chiesa madre, e precisamente erano poggiati sul mobile ligneo presente nella sagrestia della stessa chiesa. I reliquiari, che si presentano con parti dorate e parti policrome, sono composti essenzialmente da due porzioni: una che comprende il mezzo busto ed una piccola tavoletta lignea rettangolare inchiodata a quest’ultimo, e l’altra che include un basamento quadrangolare in cui è incassata una reliquia visibile da un piccolo vetro posto nella parte frontale. Le due porzioni si presentavano incollate tra di loro in maniera tale che non potessero essere separate. Ciò era stato fatto probabilmente per evitare l’accesso diretto alla reliquia. Ogni reliquiario infine è racchiuso all’interno di una teca lignea probabilmente non originale. Per quanto riguarda lo stato di conservazione dei quattro busti reliquiari, non è da considerarsi pessimo anzi, nonostante le cattive condizioni termo-igrometriche in cui erano conservate almeno dagli anni ‘80 al 2001, possiamo osservare che si trovano in un discreto stato di conservazione. Tra i diversi, ma non particolarmente compromettenti, problemi conservativi da risolvere, quello su cui abbiamo focalizzato la nostra attenzione in questa sezione, è quello del sistema di incollaggio tra mezzo busto-tavoletta lignea sottostante e basamento.

173


È evidente che l’incollaggio tra queste due porzioni è di fondamentale importanza in quanto, essendo custodite all’interno del basamento le reliquie dei Santi, è bene assicurarne la chiusura. Ciononostante è da considerare, che le quattro opere sono a loro volta custodite in delle teche munite di vetro, per cui il sistema collante, non deve necessariamente essere forte, perché svolge solamente la funzione di vincolare le due parti. È proprio dalle seguenti considerazioni che è nata la volontà di testare delle colle naturali che potessero fare al nostro caso. È stata testata una colla usata già da qualche tempo nel restauro ed estratta da un’alga di origine giapponese: il Funori; e una colla derivante invece dalla cellulosa estratta da un organismo marino presente abbondantemente nelle coste del Mediterraneo: la Posidonia oceanica. La nostra scelta di utilizzare materiali naturali e di sperimentarne di nuovi 136, si inserisce in un contesto che è quello della cosiddetta Green Conservation 137. La conservazione e il restauro del Beni culturali implica dei potenziali rischi sia per l’operatore che per l’ambiente. La salvaguardia del nostro Patrimonio culturale infatti, è stata messa in primo piano e sono stati sperimentati moltissimi materiali che, se da un lato preservano le opere andando a ridurre il rischio per le stesse al minimo, dall’altro molto spesso non si curano di tutte quelle figure che dovranno poi materialmente andare ad applicare tali prodotti sulle stesse. D’altro canto l’operatore spesso, mosso da un profondo senso di rispetto verso l’opera in sé, in molti casi non si preoccupa dei rischi per la sua salute legati all’uso di solventi, di miscele chimiche e di biocidi. Inoltre l’utilizzo di questi materiali, avviene spesso in ambienti confinati e, per quanto si possano utilizzare sistemi di protezione quali aspiratori, maschere, camici e guanti, rimane sempre un certo fattore di rischio per l’operatore che passa tutta la sua giornata lavorativa, in tali ambienti. Inoltre spesso, i costi elevati collegati allo

136

Lazzara G.; Massaro M.; Milioto S.; Riela S., Halloysite-Based Bionanocomposites, Handbook of Composites from Renewable Materials 2017, p.28. 137 A. Macchia, L. Luvidi, F. Prestileo, M. F. La Russa, S. A. Ruffolo, Green Conservation of Cultural Heritage- International Workshop, INTERNATIONAL JOURNAL OF CONSERVATION SCIENCE, Volume 7, Special Issue 1, 2016.

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smaltimento dei rifiuti chimici, porta ad uno smaltimento degli stessi in modalità non del tutto idonee. Ciò provoca, per ovvie motivazioni, dei gravi danni all’ambiente. È per tutte queste motivazioni che il restauro oggi assume il nuovo aspetto di restauro sostenibile 138, volto alla salvaguardia dei restauratori e dell’ambiente. I metodi green applicati alla conservazione del patrimonio culturale e alla prevenzione della produzione di rifiuti pericolosi sono gli elementi chiave per lo sviluppo di nuovi metodi di conservazione ma anche di nuovi prodotti per il restauro 139. Da non sottovalutare che la green conservation rispetta a pieno quelli che sono i quattro pilastri fondamentali del restauro ovvero: riconoscibilità, reversibilità, compatibilità e minimo intervento 140.

138

MiBAC: l'innovazione per un restauro sostenibile: Salone dell'arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, Ferrara 25-28 marzo 2009, Quartiere fieristico di Ferrara / Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per il bilancio e la programmazione economica, la produzione, la qualità e la standardizzazione delle procedure, MP Mirabilia Roma, 2009. 139 E. Gioventù, P. Lorenzi, Bio-Removal of Black Crust from Marble Surface: Comparison with Traditional Methodologies and Application on a Sculpture from the Florence's English Cemetery, Procedia Chemistry, Volume 8, 2013, Pages 123-129. A. Macchia, L. Luvidi, F. Prestileo, E. Maria Stella, C. Sfameni, Comparison between traditional and sustainable methods for Cleaning rust stains on mosaics of the cottanello Roman Villa, Yococu, YOuth in COnservation of CUltural heritage, Rome, Italy. 140 A tal proposito si veda: C. Brandi, Teoria del restauro, Trento 2014.

175


CAPITOLO IV I MATERIALI UTILIZZATI 4.1 IL FUNORI Il Funori è un’alga rossa del genere Gloiopeltis, è ampiamente diffusa nell'Oceano Pacifico settentrionale, lungo le coste della Cina, Taiwan, Corea, Giappone, e nella zona che va dalle Isole Aleutine a sud fino alla Bassa California. La parete cellulare dell’alga, è costituita da uno scheletro, insolubile in acqua, circondato da una matrice amorfa nota come funorina che è solubile in acqua calda 141. Questa è composta da una miscela di polisaccaridi solfati, lipidi, proteine, sali e coloranti. Le alghe mature vengono raccolte all'inizio dell'estate, sciacquate in acqua e sbiancate con una soluzione di perossido di sodio. Dopo un ulteriore processo di risciacquo, il materiale sbiancato viene steso su stuoie di riso e asciugato sotto il sole. L’aspetto finale è quello di veri e propri cuscinetti di alghe essiccate di colore giallastro (Fig4). Queste hanno però qualità variabili che si ripercuotono in diversi valori di pH. Proprio per questo motivo è stato ideato il JunFunori che segue un altro processo produttivo e che quindi risulta essere molto più stabile.

Fig. 4 Cuscinetti di Funori essiccati e commercializzati

141

Jillian Harrold and Zofia Wyszomirska-Noga, ‘Funori: The use of a traditional Japanese adhesive in the preservation and conservation treatment of Western objects’ in Adapt & Evolve 2015: East Asian Materials and Techniques in Western Conservation. Proceedings from the International Conference of the Icon Book & Paper Group, London 8-10 April 2015 (London, The Institute of Conservation: 2017), 69–79.

176


Tornando però al Funori, questo è largamente usato nella cucina giapponese, viene venduto come alga secca e per essere utilizzato si mette a bagno nell’acqua fredda per pochi minuti e, quando ha ripreso la sua consistenza, si può mangiare in diversi modi. Viene utilizzato anche come a stabilizzante e agente addensante per gli alimenti, i cosmetici e i prodotti farmaceutici. Tre sono le principali specie di alghe rosse sfruttate: la Gloiopeltis tenax (Mafunori) Fig.1, la Gloiopeltis complanata (hana-funori) Fig. 2, e la Gloiopeltis furcata (fukuro-funori) Fig.3. La Gloiopeltis tenax 142, è composta da talli lunghi circa 5 cm, duri, molto stretti, spessi massimo 1 mm e fortemente ramificati.

Fig. 1 Gloiopeltis tenax (mafunori)

Fig. 2 Gloiopeltis complanata (hana-funori)

Fig.3 Gloiopeltis furcata (fukuro-funori)

142

Yamada, Y. (1932). Notes on some Japanese algae, III. Journal of the Faculty of Science, Hokkaido Imperial University 1: 109-123, 5 figs, pls XXI-XXV.

177


Questi si assottigliano verso l'alto e terminano con punte acuminate piegate verso il basso. L'alga è scura e varia il colore da blu-rosso, a volte quasi nera. Cresce sugli scogli al limite inferiore delle maree ed è conosciuta in Giappone come Ma-Funori. La Gloiopeltis complanata 143, composta da talli di circa 1-2 cm sono semplici o raramente ramificati. Si presentano attaccate al substrato per mezzo di rizoidi di colore viola chiaro. In Giappone è conosciuta come hana-funori. La Gloiopeltis furcata 144 è composta da talli lunghi 4-7 cm di forma tubolare, e arrivano fino a 5 mm di spessore. L'alga si dirama in modo irregolare in tutte le direzioni e presenta delle terminazioni smussate con punte strette. Ha colorazione che va dal marrone rossiccio al blu-rosso. La Gloiopeltis furcata è un’alga tipica del Giappone, Cina meridionale e della costa del Nord Pacifico. Cresce sulla parte superiore delle pietre, vicino la cosiddetta zona degli schizzi. Raggiunge la maturità tra la primavera l'inizio dell'estate. In Giappone è conosciuta come Funori, o FukoroFunori. Di queste, quella che viene utilizzata per la produzione del Funori impiegato nel campo del restauro, è la Gloiopeltis tenax. Tuttavia esiste in commercio, come detto, un’altra tipologia di Funori, detto JunFunori, prodotto dalla Gloiopeltis furcata che non subisce il processo di sbiancamento con perossido di sodio. La Gloiopeltis furcata ha le stesse buone proprietà della Gloiopeltis tenax ma con un tasso di rendimento significativamente più alto. Il materiale secco viene risciacquato in acqua deionizzata per rimuovere tutti i sali solubili. Le alghe bagnate vengono tritate e viene estratta la funorina. Dopo l'estrazione, viene aggiunto del carbone. La soluzione viene centrifugata e filtrata. L'estratto purificato viene essiccato a 60 ° C Formando un film sottile che viene poi macinato. Questo processo rimuove la maggior parte dei coloranti, sali e proteine. Il prodotto di alghe purificato è una polvere biancastra macinata.

143 144

Ibidem Ibidem

178


In definitiva il JunFunori è, al contrario del Funori, un consolidante a pH-stabile, senza sale, incolore, trasparente e inodore con le stesse buone proprietà del Funori 145. È stato visto che Funori e JunFunori sono molto adatti per il consolidamento di strati di vernice opaca e polverosa. Riducono al minimo il rischio di modifiche ottiche come oscuramento o lucentezza 146. Entrambi i consolidanti possono anche essere utilizzati come detergenti per la rimozione di gore d’acqua e come medium per il ritocco 147. Studi condotti hanno dimostrato che entrambi i consolidanti a base di alghe, si comportano molto bene in termini di flessibilità dopo l’invecchiamento accelerato, suscettibilità ai microrganismi e proprietà ottiche 148.

4.2 LA POSIDONIA OCEANICA La Posidonia oceanica è una pianta caratteristica del Mediterraneo e cresce sui fondali fino a circa 35-40 metri e sopporta temperature comprese fra i 10 e i 28 °C. costituendo vere e proprie praterie sottomarine (Fig.5) 149.

Fig.5 Praterie sottomarine di posidonia oceanica

145

Françoise Michel, Funori and JunFunori: Two Related Consolidants With Surprising Properties, Symposium 2011. 146 Karin Catenazzi (2016): Evaluation of the use of Funori for consolidation of powdering paint layers in wall paintings, Studies in Conservation. Michel, F., T. Geiger, A. Reichlin and G. Teoh-Sapkota. "Funori ein japanisches Festigungsmittel für matte Malerei." Zeitschrift für Kunsttechnologie und Konservierung 16 (2002), pp. 257-275. 147 Françoise Michel, op cit.,2011. 148 Ibidem 149 Angelo Mojetta e Andrea Ghisotti, Flora e fauna del Mediterraneo, 8ª ed., Milano, Mondadori, marzo 2004 [ottobre 1994], pp. 31-32.

179


La posidonia non è un'alga, ma una vera e propria pianta della famiglia delle angiosperme, con una riproduzione di tipo sessuato, e divisa in radici che servono principalmente per ancorare la pianta al substrato, fusto rizomatoso e foglie nastriformi che raggiungono la lunghezza anche di un metro. L'accrescimento verticale dei rizomi porta alla formazione di una struttura chiamata matte (Fig.6), costituita da un intreccio di rizomi morti e radici tra i quali resta intrappolato il sedimento. Solo la parte sommitale di queste strutture è formata da piante vive. La riproduzione avviene grazie ai frutti che si presentano sotto forma di capsule prima giallastre e poi marroni che, quando raggiungono la maturazione, si staccano dalla pianta. Questi spinti dalle correnti vagano per giorni, fino a quando liberano i semi che, se cadono su uno strato marino favorevole, attecchiscono dando vita a nuove piante di posidonia 150.

Fig.6 Intreccio di rizomi morti e radici tra i quali resta intrappolato il sedimento: le “matte”.

Anche la posidonia, come ogni altra pianta, sfrutta il meccanismo della fotosintesi clorofilliana, ovvero attraverso la luce del sole produce ossigeno, fino a 20 litri di ossigeno al giorno per ogni mq di prateria 151. Questo è possibile solamente se l’acqua

150

C. F. Boudouresque et al. (a cura di), International Workshop on Posidonia oceanica beds, Marseille, GIS Posidonie publ., 1984. 151 Ibidem

180


in cui si trova è perfettamente limpida e quindi solamente in ambienti marini non inquinati 152. In autunno le foglie di posidonia cominciano a cadere e vengono staccate dalle mareggiate accumulandosi lungo la costa e formando la cosiddetta "banquette" (Fig.7), una massa morbida in decomposizione che protegge la costa dall'erosione. Le palline marrone chiaro e feltrose, chiamate volgarmente palle di mare, polpette di mare o patate di mare, sono gli egagropili (Fig.8). Questi si formano dai residui fogliari fibrosi che circondano il rizoma della pianta che, con il moto ondoso, si riducono in fibre sottili che si intrecciano tra di loro formando delle vere e proprie sfere compatte.

Fig.7 Massa morbida in decomposizione che protegge

Fig.8 residui fogliari fibrosi che circondano il

la costa dall'erosione: la “banquette”.

rizoma della pianta: gli “egagropili”.

Il posidonieto è fondamentale per l’ecosistema marino, difende le spiagge dall'erosione e certifica la pulizia del mare. Inoltre in mezzo alle sue foglie, crescono e vivono numerosi organismi marini che tra le fronde trovano riparo. In definitiva si può dire che le praterie di posidonia oceanica rivestono un’enorme importanza per la vita del mare e delle coste, è proprio per questo che gli strati di foglie morte sulla spiaggia, non sono da considerarsi “sporcizia” ma anzi, proteggono le nostre coste. È inoltre bene ricapitolare che la posidonia:

152

G. Pergent et al., Utilisation de l'herbier a Posidonia oceanica comme indicateur biologique de la qualité du milieu littoral en Méditerranée: état des connaissances. (PDF), in Mésogée, vol. 54, 1995, pp. 3-27.

181


Svolge un ruolo fondamentale nella produzione di ossigeno.

Consolida il fondale.

Agisce da barriera smorzando la forza delle correnti e delle onde.

Previene l’erosione costiera grazie alle banquettes.

La prateria di Posidonia oceanica più estesa del Mediterraneo si trova nell’Area Marina Protetta delle Isole Egadi: uno sconfinato polmone verde sommerso che raggiunge un’ampiezza di circa 8.000 ettari 153.

4.3 HALLOYSITE NANOTUBES I Nanotubi di Halloysite 154 (Fig.10), HNT, furono scoperti dal geologo Omalius d'Halloy nei giacimenti plumbo-zinciferi di Angleur, in Belgio, nel XVIII secolo.

Fig.10 Nanotubi di Halloysite visti al SEM 155

Si tratta di un tipo di minerale naturale (Fig.11), precisamente di un alluminosilicato, con composizione chimica (Al2Si2O5•2H2O) e chimicamente simile

153

Antonio Melley, Bertolotto Rosella, Gaino Federico, Intravaia Francesca, Sirchia Benedetto e Colomba Migliore Maria, Allegato 3: Posidonia oceanica, in Melley Antonio (a cura di), Indicatori biologici per le acque marine costiere, Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e per i Servizi Tecnici - Centro Tematico Nazionale “Acque Interne e Marino Costiere”, ottobre 2005, pp. 42-52. 154 Il nome contiene anche la dimensione della cella per distinguerla dall'halloysite-7Å. La distinzione fra i due minerali è possibile solo con la misurazione dei parametri di cella. 155 Immagine contenuta in: G. Cavallaro, G. Lazzara, S. Konnova, R. Fakhrullin, Y. Lvov, Composite films of natural clay nanotubes with cellulose and chitosan, Green Materials, Volume 2 Issue 4, December 2014, pp. 232-242.

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al caolino. Ha una struttura tubolare cava. La lunghezza è dell’ordine dei nanometri (300-700 nm) e un diametro interno dell’ordine dei nanometri (da 15 nm a 50 nm) 156. La struttura a strati di silicati a geometria tetraedrica e la geometria coordinativa ottaedrica dell’alluminio contenuto definiscono l’Halloysite come un fillosilicato 1:1 diottaedrico. Dal punto di vista mineralogico, l’Halloysite è definita come un fillosilicato 1:1 diottaedrico in cui uno strato planare di silicati tetraedrici si alterna ad uno strato con geometria ottaedrica, legati insieme da ponti a ossigeno. La lamina così composta, si arrotola su se stessa, esponendo sulla superficie esterna i gruppi silicatici (SiO2) e di conseguenza, su quella interna, gruppi AlOH 157. La diversa composizione chimica delle superfici interna ed esterna, rende possibile sfruttare le diverse affinità di una sostanza per un ambiente piuttosto che un altro (Fig. 12) 158.

Fig.11 Minerale di Halloysite10Å.

Fig.12 Struttura a strati di silicati a geometria tetraedrica e ottaedrica dell’Halloysite e formazione del nanotubo.

Nel nostro caso i nanotubi di Halloysite sono stati aggiunti a diverse percentuali, ai due sistemi collanti estratti dal Funori e dagli egagropili di Posidonia Oceanica. Ciò

156

G. Cavallaro, G. Lazzara, S. Konnova, R. Fakhrullin, Y. Lvov, Composite films of natural clay nanotubes with cellulose and chitosan, Green Materials, Volume 2 Issue 4, December 2014, pp. 232242. Deepak Rawtani, Yadvendra K Agrawal, Multifarious applications of halloysite nanotubes: A review, Reviews on advanced materials science 30(3):282-295 · June 2012. 157 Yang, Y.; Chen, Y.; Leng, F.; Huang, L.; Wang, Z.; Tian, W. Recent Advances on Surface Modification of Halloysite Nanotubes for Multifunctional Applications. Preprints 2017, 2017100049 (doi: 10.20944/preprints201710.0049.v2) 158 R. Kamble,M. Ghag, MBK.Panda. Halloysite nanotubes and applications: A review, J Adv Scient Res, 2012, 3(2): 25-29.

183


è stato fatto con l’intento di potenziarne le caratteristiche meccaniche. È stato dimostrato infatti, che l’aggiunta di HNT in prodotti sia organici che non, incrementa le proprietà meccaniche della matrice andando a provocare una minor dilatazione termica, una maggiore resistenza all’usura e alla trazione.

184


CAPITOLO V METODI DI PREPARAZIONE DELLE COLLE COMPOSITE.

In questo capitolo mi occuperò delle modalità operative con cui ho preparato le due colle estratte dagli organismi marini presi in considerazione precedentemente. Se per quanto riguarda il Funori sono state trovate delle vere e proprie modalità operative, in quanto il prodotto è stato molto studiato e commercializzato da vari siti di materiali per il restauro 159, per gli egagropili di Posidonia Oceanica il procedimento è stato più lungo e laborioso. Infatti dal prodotto grezzo, l’egagropili, si è ricavata la cellulosa che è stata poi a sua volta utilizzata come collante 160.

5.1 PREPARAZIONE DELLA COLLA FUNORI

Per prima cosa sono stati pesati 30 g di Funori in un becher nel quale sono stati poi aggiunti 500 ml di acqua demineralizzata. Il composto è stato posto su un fornello e la temperatura è stata portata a circa 80° C, fino ad ottenere il districamento delle alghe e l’ottenimento di una soluzione viscosa, collosa, giallastra, e leggermente torbida (Fig.13). Il composto è stato filtrato con un semplice colino alimentare per eliminare i residui insolubili dell’alga. A questo punto si è passati ad un secondo filtraggio sotto pressione ridotta 161, grazie al quale abbiamo ottenuto un prodotto finale privo anche delle più piccole impurità (Fig.14). Abbiamo poi fatto concentrare la soluzione

159

È stata osservata la scheda tecnica dell’azienda AN.T.A.RES srl. Si è deciso di seguire il procedimento rintracciato nel seguente articolo: A.Coletti, A.Valerio e E. Vismara, Posidonia oceanica as a Renewable Lignocellulosic Biomass for the Synthesis of Cellulose Acetate and Glycidyl Methacrylate Grafted Cellulose, Materials 2013 6, 20432058. 161 Questa tecnica richiede l’uso di una beuta da vuoto e di un filtro Bucner, nel nostro caso di vetro, che viene inserito all’interno di essa. La beuta viene poi collegata ad una pompa creando così un vuoto parziale all’interno di essa, che fa sì che la filtrazione avvenga in maniera più rapida di quanto non farebbe sotto la semplice azione della gravità. Il liquido passa attraverso il filtro e gocciola raccogliendosi all'interno della beuta, mentre sul filtro si deposita la fase solida contenuta. In tal modo, oltre all'evidente vantaggio relativo alla velocità, risulta possibile filtrare liquidi altrimenti difficilmente o poco efficacemente separabili. (Fonte: http://www.chimica-online.it) 160

185


lasciandola in stufa alla temperatura di 70°C per 48h. Fatto ciò abbiamo ripesato la soluzione che a quel punto risultava avere un peso finale di 412,55 g, e abbiamo calcolato la percentuale di Funori nella soluzione di Funori in acqua (7,27%). Sono stati poi prelevati 20,14 g di soluzione e sono stato messi in stufa a 70°C per 21h. Il film così ottenuto è stato poi pesato (1,19 g) ed analizzato.

Fig.13 Soluzione Funori in acqua.

Fig. 14 Filtraggio sotto pressione ridotta della soluzione di Funori e acqua.

5.2 TRATTAMENTO DEGLI EGAGROPILI DI POSIDONIA OCEANICA.

Il processo di estrazione della cellulosa dagli egagropili di Posidonia Oceanica, è lungo e laborioso. Esso prevede diversi passaggi intervallati da fasi di essiccamento. Ma prima di procedere con le fasi estrattive ci si è occupati del districamento delle fibre che compongono il prodotto primario, e alla rimozione di tutti i sali, la sabbia di mare e i contaminanti, contenuti al suo interno. La prima fase ha previsto infatti l’inserimento dell’egagropili in un becher contenente una soluzione di acqua distillata ed acetone in percentuale 1:1 (Fig.15). L’egagropili è stata lasciata sotto agitazione per 15 minuti alla temperatura di circa 70°C. A questo punto è stata fatta raffreddare a temperatura ambiente e, dopo aver districato le fibre con l’aiuto di una spatolina metallica, risciacquata più volte con acqua distillata, fin quando tutte le impurità non 186


sono state completamente rimosse. Si è in questa maniera ottenuto, un insieme di fibre non più aggrovigliate e compatte, ma districate e completamente sciolte le une dalle altre. Queste sono state messe in un contenitore di vetro e lasciate asciugare in forno (Fig.16) ad una temperatura di 60°C per 24h (Fig.17). Fatto ciò le fibre sono state tritate con l’aiuto di un pestello di marmo (Fig.18) e infine pesate (14,32 g).

Fig.15 Egagropili sotto agitazione a temperatura di 70° in una soluzione 1:1 di acqua e acetone.

Fig.16 Fibre di egagropili, messe in forno a 60° per 24h.

Fig.17 Fibre di egagropili districate e asciutte dopo 24h.

Fig.18 Fibre di egagropili tritate con un pestello di marmo.

187


5.3 ESTRAZIONE DELLA CELLULOSA DAGLI EGAGROPILI DI POSIDONIA OCEANICA.

Una volta ottenute e pesate le fibre, si è passati all’estrazione della cellulosa per mezzo di quattro passaggi 162: 1.

COTTURA: Sono state prese 5,0 g di fibre di egagropili, trattate come visto nel paragrafo precedente, e sono state messe in un becher. Sono stati aggiunti alle fibre, 200 ml di acido acetico al 90%, al quale sono stati uniti 500 μl di H2SO4 al 96 %. La miscela è stata portata a 107°C ed è stata lasciata sotto agitazione per tre ore (Fig.19). Le fibre a contatto con gli acidi, si sono ulteriormente frammentate assumendo una colorazione bruna che interessava tutta la miscela. Passate le tre ore previste, la miscela è stata fatta raffreddare a temperatura ambiente, e le fibre di egagropili filtrate e lavate abbondantemente con acqua distillata fino ad ottenere pH 7(Fig.20). Sono state poi disposte su una capsula Petri e fatte asciugare per tutta la notte (Fig.21).

Fig.19 Fibre di egagropili lasciate sotto agitazione per 3 ore a 107°.

Fig.20 Fibre di egagropili filtrate e lavate con acqua distillata fino ad ottenere pH 7.

162

Sono state seguite le operazioni riscontrate nell’ articolo di A.Coletti, A.Valerio e E. Vismara, Posidonia oceanica as a Renewable Lignocellulosic Biomass for the Synthesis of Cellulose Acetate and Glycidyl Methacrylate Grafted Cellulose, Materials 2013 6, 2043-2058.

188


Fig.21 Fibre di egagropili lasciate asciugare per tutta la notte dopo il primo passaggio.

2. OSSIDAZIONE CON H2O2: Sono state prese tutte le fibre ricavate dopo il passaggio n.1, ovvero 3,32 g e sono state messe in 160 ml di acqua distillata, a questo punto sono stati aggiunti 11,2 mL di H2O2 (30% p/p). La miscela è stata portata ad un pH 11,5 aggiungendo NaOH, 4M, ed è stata portata a 70°C per due ore sotto agitazione (Fig.22). Trascorse le due ore, la miscela è stata lasciata raffreddare a temperatura ambiente e poi è stata filtrata. Le fibre ottenute sono state sciacquate più volte con acqua distillata fino a raggiungere un pH neutro. Le fibre sono state lasciate ad asciugare a temperatura ambiente per tutta la notte (Fig.23).

Fig.22 Fibre di egagropili portate a 70° sotto agitazione, dopo l’aggiunta di H2O e H2O2.

189

Fig.23 Fibre di egagropili lasciate asciugare tutta la notte dopo il secondo passaggio.


3. OSSIDAZIONE CON PERACIDI: Sono state prese tutte le fibre di egagropili ottenute dopo il passaggio n.2, ovvero 3,04 g, e sono state messe in una miscela di 46 mL di una soluzione 1:1 di acido acetico e acido formico. A questo punto sono stati aggiunti 6,8 mL di H2O2 (30% p/p). La miscela è stata portata a 80°C sotto agitazione per 1,5 ore (Fig.24). Una volta passato questo tempo e lasciata raffreddare la miscela, questa è stata filtrata e le fibre ottenute sono state lavate prima con 60 mL di una soluzione satura di NaHCO3 (Fig.25) e poi più volte con acqua distillata fino ad ottenere un pH neutro. Le fibre sono state lasciate essiccare a temperatura ambiente tutta la notte (Fig.26).

Fig.24 Fibre di egagropili portate a 80° dopo l’aggiunta di acido acetico, acido formico (1:1) e H2O2

Fig.25 Lavaggio fibre con 60 mL di una soluzione satura di NaHCO3

Fig.26 Fibre di egagropili lasciate asciugare tutta la notte dopo il terzo passaggio.

190


4. ESTRAZIONE CON NaOH: Sono state prese tutte le fibre di egagropili ottenute dopo il passaggio n.3, ovvero 1,50g, e sono stati aggiunti 50 mL di NaOH (5% p/p). La miscela è stata messa sotto agitazione e portata ad un temperatura di 100° per un’ora (Fig.27), trascorso questo tempo è stata lasciata raffreddare a temperatura ambiente poi filtrata e lavata abbondantemente prima con acqua distillata e poi con acetone puro fino al raggiungimento di un pH neutro (Fig.28). Il prodotto ottenuto, cellulosa pura, è stato fatto asciugare all’aria (Fig.29). Dopo l’asciugatura, la cellulosa ricavata è stata pesata, 0,74 g.

Fig.27 Fibre di egagropili portate a 100°C dopo l’aggiunta di 50 mL di NaOH (5% p/p).

Fig.28 Lavaggio fibre con acqua distillata e poi con acetone puro.

Fig.29 Cellulosa estratta dagli egagropili, lasciata asciugare tutta la notte dopo il quarto passaggio.

191


5.4 PREPARAZIONE DELLA COLLA DI CELLULOSA ESTRATTA DAGLI EGAGROPILI DI POSIDONIA OCEANICA.

Una volta estratta la cellulosa dagli egagropili di Posidonia Oceanica, è stato preparato il composto da utilizzare come collante. Sono stati presi 50 mL di acqua distillata e sono stati aggiunti a questa 0,5g di cellulosa. La cellulosa è stata messa pian piano per far sì che si rigonfiasse bene in acqua senza lasciare alcun grumo, per fare ciò è stato necessario mettere la miscela sotto agitazione e alternarla con cicli di sonicazione 163. Quando tutta la cellulosa si è completamente dispersa in acqua, si è aspettato che questa si depositasse al fondo ed è stata tolta l’acqua in eccesso con l’aiuto di una pipetta, al fine di utilizzare solamente la cellulosa ben rigonfiata in acqua.

163

Sonicazione è un termine che descrive l'utilizzo di onde acustiche, in particolare ultrasoniche, per vari scopi. La sonificazione è normalmente condotta con l'ausilio di un sonificatore, ovvero un apparecchio che genera vibrazioni meccaniche amplificate sfruttando corrente elettrica ad elevata frequenza prodotta da un generatore. Gli ultrasuoni vengono trasmessi in una vasca contenente acqua, che può essere anche termostatata a varie temperature. La cavitazione sonica è l'effetto energetico che viene fondamentalmente sfruttato. La sonificazione permette di velocizzare la dissoluzione dei soluti in determinati solventi. (Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Sonicazione)

192


CAPITOLO VI PREPARAZIONE DEI FILM E DEI CAMPIONI

Dopo le fasi che hanno portato alla realizzazione delle due colle estratte dagli organismi marini, entriamo ora nel vivo della parte sperimentale vera e propria che ha previsto la realizzazione di film di Funori soluzione madre e di Funori con percentuali crescenti di HNT, e la realizzazione di campioni lignei incollati con le due colle prese in esame. Questo ci ha permesso di valutare la resistenza meccanica, tramite appositi strumenti 164, dei due sistemi collanti come film e di analizzare come questa cambia quando sono usati come adesivo per attaccare due parti lignee. In realtà la preparazione e i test meccanici effettuati sui film di Funori, non sono di fondamentale importanza per l’analisi sulle colle estratte dagli organismi marini oggetto della mia tesi. In questo campo infatti ha molto più valore la realizzazione di campioni lignei e la valutazione su come questi vengono fatti aderire grazie alle colle prese in esame, e la resistenza meccanica che queste ultime hanno una volta stese sulle parti lignee. Tuttavia allargare il nostro campo d’indagine può servire a fornire nuovi spunti per una ricerca più approfondita sui biopolimeri derivanti, in questo caso, da alghe. Sappiamo infatti l’importanza che ai nostri giorni sta assumendo la realizzazione di bio-plastiche in sostituzione della più comune e largamente utilizzata plastica sintetica derivante dal petrolio o da processi di sintesi. Le plastiche sono state introdotte circa 100 anni fa e sono ancora oggi usate in larga misura. La produzione annuale di polimeri sintetici (plastiche), supera i 300 milioni di tonnellate, questi hanno sostituito materiali tradizionali come legno, pietra, ceramica, vetro, cuoio, acciaio, cemento e altri 165. Tali sostanze presentano proprietà quali la leggerezza, la flessibilità, l’elasticità, la facilità di lavorazione, la viscosità allo stato fuso o in soluzione e in generale un basso costo di produzione, tutte caratteristiche che non erano pensabili prima della scoperta dei materiali plastici di sintesi. Le sostanze plastiche sono principalmente composte da 164 165

DMA Q800 Lackner, M. 2015. Bioplastics. Kirk-Othmer Encyclopedia of Chemical Technology. 1–41.

193


polimeri costituiti da macromolecole a struttura prevalentemente lineare. Essi mostrano una catena principale formata, nella maggior parte dei casi, da atomi di carbonio e questo è il motivo per cui essi vengono anche definiti polimeri organici. Tuttavia, come si sa, le plastiche hanno contribuito alla produzione di tutti quei prodotti usa e getta come borse, contenitori, buste di plastica, piatti e bicchieri ecc..., che hanno provocato una diffusione massiva delle stesse con conseguenti problemi ambientali legati anche a uno smaltimento non corretto da parte dei cittadini. Da ricordare che le plastiche rimangono nell’ambiente per milioni di anni andando ad intaccare in maniera irreversibile l’ambiente e soprattutto gli oceani in cui gli oggetti di plastica vengono frammentati dall’azione delle onde diventando "microplastiche" che danneggiano e uccidono vari organismi, finendo infine sui nostri piatti. Il 75% del volume di plastica è riempito da polietilene (PE), polipropilene (PP), polivinilcloruro (PVC), polistirene (PS) e polietilene tereftalato (PET) 166. Per salvaguardare l’ambiente, si cerca oggi di utilizzare molto meno le plastiche tradizionali, e di sostituirle con materiali di nuova produzione quali le bio-plastiche derivate da materiali naturali. La bio-plastica è un materiale plastico derivato da fonti rinnovabili o biodegradabili. Secondo la European Bioplastics 167, un materiale plastico è definito come una bio-plastica se è bio-based, biodegradabile 168 o presenta entrambe le proprietà. Le bio-plastiche hanno certamente dei vantaggi: Sono biodegradabili, e quindi risolvono il problema dei tempi di smaltimento necessari per la plastica derivata dal petrolio; riducono gli oneri di gestione dei rifiuti; sono riciclabili; sono particolarmente igieniche, perfette da usare come packaging alimentare o come contenitore di bevande e vivande a uso domestico; comportano minori emissioni di fumi tossici nel caso di incenerimento. Oggi il materiale più utilizzato per la loro produzione è il mais per questo, come possibile effetto negativo, si potrebbe avere un impatto sulla disponibilità di derrate alimentari causando rincari di alimenti di prima

166

Lackner, M. 2015 www.european-bioplastics.org 168 La biodegradazione è un processo chimico durante il quale i microrganismi disponibili nell'ambiente convertono, senza additivi artificiali, i materiali in sostanze naturali come acqua, anidride carbonica. 167

194


necessità 169. Inoltre, secondo uno studio condotto in Germania dalla Federal Environment Agency, la plastica biodegradabile non offre oggi nessun vantaggio ambientale rispetto alla plastica tradizionale, perché il pubblico non è pronto a smaltirla correttamente. Secondo la ricerca tedesca, la bioplastica anche se biodegradabile, non finisce nei sistemi adeguati di compostaggio ma viene smaltita in discarica e tenuta in luoghi asciutti che ne inibiscono la biodegradazione 170. Le bio-plastiche o i bio-film, che potrebbero essere estratti dagli organismi marini presi in considerazione, potrebbero ovviare al problema delle derrate alimentari in quanto si andrebbero ad utilizzare delle alghe largamente disponibili nei nostri mari. Inoltre prendendo in considerazione gli egagropili di Posidonia oceanica, si andrebbero ad utilizzare dei veri e propri prodotti di scarto della pianta, non andando a causare nessuna tipologia di danno per la stessa. Proprio per questa motivazione è il caso di studiare più approfonditamente le possibili applicazioni e i possibili usi di tali prodotti bio-based, e comprendere ad esempio se l’aggiunta di un nano tubo quale l’HNT, potrebbe essere utile, non solo per il miglioramento delle proprietà meccaniche ma anche da usare come “contenitore” per altre sostanze. Pensiamo a quanto potrebbe essere utile inserire all’interno dei nano tubi di Allosite, delle sostanze quali: fungicidi, biocidi, al fine di poter creare dei film che, qualora si presentasse un attacco biotico o micotico, sarebbero in grado di sprigionare il prodotto inibendone la crescita. Il grande vantaggio è dato dal fatto che queste sostanze applicate sugli manufatti andrebbero incontro a degradazione nel tempo. Degradazione che in presenza di nanotubi che li contengono sarebbe notevolmente limitata prolungando enormemente l’effetto protettivo nel tempo.

6.1 PREPARAZIONE DEI FILM CON FUNORI SOLUZIONE MADRE E FUNORI CON PERCENTUALI CRESCENTI DI HALLOYSITE.

Sono stati realizzati, come detto, dei film di soluzione madre di Funori e di Funori con quantità variabili di HNT. Le percentuali in peso di HNT utilizzate sono: 5%, 10%, 169 Cecilia Cecchini (2017) Bioplastics made from upcycled food waste. Prospects for their use in the field of design, The Design Journal, 20:sup1, S1596-S1610, DOI: 10.1080/14606925.2017.1352684 170 https://www.ideegreen.it/bioplastica-vantaggi-49978.html#CKMF3lBKhJEMQ7R0.99

195


22%, 42%, 60%. Sono stati presi 20 ml per ogni miscela e sono stati messi in stufa a 70°C per 21h. Trascorso questo tempo i film sono stati esaminati mediante analisi meccanica DMA 171.

6.2 PREPARAZIONE DEI CAMPIONI REALIZZATI CON LEGNO DI BALSA Per la realizzazione dei campioni lignei, è stato utilizzato del legno di balsa che è stato modellato a formare 30 campioni di lunghezza circa 3,5 cm e spessore circa 0,4 cm, tali campioni così fatti sono stati ulteriormente divisi a metà lungo lo spessore. Le miscele collanti utilizzate per reincollare le due parti lignee precedentemente separate sono: •

Funori soluzione madre

Funori con HNT al 5%

Funori con HNT al 11%

Funori con HNT al 23%

Funori con HNT al 42%

Funori con HNT al 60%

Cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia oceanica soluzione madre

Cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia oceanica con HNT 10%

Cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia oceanica con HNT 23%

Cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia oceanica con HNT 38%

I campioni di legno sono stati incollati con più passate di colla (circa 18) e lasciati asciugare all’aria per diversi giorni.

171

Vedi capitolo IV

196


CAPITOLO VII ANALISI EFFETTUATE

7.1 ANALISI MECCANICA DINAMICA (DMA) L’acronimo DMA, deriva dall’inglese Dynamic Mechanical Analysis e indica la cosiddetta analisi meccanica dinamica, nota anche come spettroscopia meccanica dinamica. Questa è una tecnica di analisi termica utilizzata per lo studio delle proprietà viscoelastiche dei materiali. La misura viene ottenuta applicando, a un campione, una forza per unità di superficie (stress) ad una data temperatura. Se il materiale è elastico, subirà una deformazione istantanea costante nel tempo e, una volta rimossa la forza applicata, il materiale tenderà a recuperare immediatamente e in modo completo il suo stato originario. In questo caso lo sforzo e la deformazione sono in fase. Invece nel caso di sistemi viscosi, lo stress applicato provocherà una deformazione che aumenterà proporzionalmente nel tempo finché lo stress non verrà rimosso e, una volta cessato lo stress, la deformazione subirà un arresto ma non si avrà un recupero. In questo caso, sforzo e deformazione risulteranno fuori fase di 90º. La DMA misura le proprietà viscoelastiche avvalendosi sia di test transitori (elasticità, comportamento nel lungo periodo) che oscillatori (proprietà conservative e dissipative). Quest’ultimi sono i più comuni e studiano la relazione che si instaura tra la forza (stress) oscillatoria applicata al campione e la conseguente deformazione (strain) risultante. I polimeri presentano comunemente una differenza di fase tra sforzo e deformazione, indicata con la lettera greca δ, compresa tra 0 e 90º. Per cui possiamo dire che per materiali puramente elastici δ è nulla. La DMA permette di misurare una serie di parametri tra i quali: il modulo viscoelastico; il modulo elastico e quello viscoso; il damping (rapporto tra il modulo elastico e quello viscoso); il fattore di smorzamento (tan δ) e il modulo di Young. La strumentazione utilizzata per l'analisi meccanica dinamica, consente di effettuare sia misure su campioni solidi sia su fluidi. Il campione viene fissato tra due bracci, e può essere 197


sottoposto a stress in vari modi tramite l'ausilio di un motore elettromagnetico. Il campione può essere sottoposto a piegamento oppure compressione, taglio o torsione. La deformazione indotta viene misurata tramite un trasduttore di spostamento induttivo (LVTD) che rileva spostamenti dell'ordine di frazioni di micron. È possibile effettuare misure a frequenza costante (variando la temperatura), a temperatura costante (variando la frequenza) oppure variando sia la frequenza dello sforzo sia la temperatura in modo programmato.

Le analisi realizzate sui film e sui campioni di legno, sono state effettuate nell’intento di studiare le proprietà meccaniche dei materiali utilizzati e quindi del Funori e della cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia Oceanica, entrambi preparati con percentuali crescenti di Allosite. Le misure dinamico-meccaniche sono state condotte tramite lo strumento DMA Q800 (TA Instruments). Si è provveduto a misurare la larghezza e lo spessore iniziale che è risultato essere: •

Tra i 5,39mm e i 2,13mm di larghezza e tra i 0,88mm e i 0,086 mm di spessore,

per quanto riguarda i film di Funori puro e Funori con Allosite. •

Tra i 8,19mm e i 3,40mm di larghezza e tra i 4,34mm e i 3,10mm di spessore,

per quanto riguarda i legni incollati con il Funori, con il Funori con Allosite e con la cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia Oceanica.

198


I singoli campioni sono stati fissati alle clamp dello strumento al fine di poter effettuare le prove di trazione. Le misurazioni sono state condotte seguendo una rampa di stress di 1 MPa/min a temperatura ambiente (20°). Sono stati misurati lo stress e l’elongazione di snervamento, il modulo di Young, stress ed elongazione di snervamento, e lo spostamento. I parametri meccanici sono stati ricavati dalle curve stress-strain. In una curva stress-strain si può evidenziare, in maniera distinguibile, un primo tratto della curva che risulta essere lineare e che identifica il regime di comportamento elastico del materiale. Si può dire che, fin quando un materiale è sottoposto ad un certo valore di stress, viene deformato in maniera reversibile (deformazione elastica), fin quando, continuando con la sollecitazione, supererà il cosiddetto limite di elasticità con conseguente snervamento seguito da rottura. Il rapporto tra tensione applicata e deformazione è una costante tipica del materiale e rappresenta il modulo di Young. Mentre il carico di rottura è lo sforzo massimo che un materiale sopporta senza andare incontro a rottura, questo corrisponde al valore massimo della curva stress-strain.

199


CAPITOLO VIII RISULTATI E DISCUSSIONI 8.1 FILM DI FUNORI CON PERCENTUALI CRESCENTI DI HNT I grafici riportati, mostrano i risultati ottenuti dalle analisi effettuate tramite analisi meccanica dinamica (DMA) dei film realizzati con Funori puro e con Funori unito a percentuali crescenti di HNT. In particolare sono riportati i valori del modulo di Young (E), dello stress di rottura, dell’elongazione massima alla rottura e del displacement.

1600 1400

E / MPa

1200 1000 800 600 400 200 0

0

5%

11%

23%

42%

60%

HNT(% peso)

Fig. Modulo di Young Film con Funori puro e Funori con percentuali crescenti di HNT

Il modulo di Young presenta un andamento molto interessante. Notiamo infatti un andamento crescente fino al 23% di HNT seguito da un repentino crollo. In particolare il valore del Funori puro, circa 880 MPa, subisce un incremento importante arrivando al valore di 1512 MPa, per i film costituiti da Funori al 23% di HNT, a questo punto subisce un crollo.

200


50 45

stress rottura (MPa)

40 35 30 25 20 15 10 5 0

0

5%

11%

23%

42%

60%

La figura, che mostra l’andamento dello stress di rottura dei film di Funori con percentuali crescenti di Allosite, ci dice che all’aumentare della concentrazione di nanotubi, abbiamo un peggioramento delle proprietà meccaniche dei film. In particolare si osserva che: lo stress di rottura diminuisce gradatamente, al crescere della percentuale di Allosite. Infatti, per film con HNT 0%, 5% e 11% abbiamo valori pressocchè costanti che subiscono un netto crollo a partire dai film Funori-HNT 42%. 14 12

Elongazione max (%)

10 8 6 4 2 0

0

5%

11%

23%

42%

60%

HNT(% peso)

Stessa cosa vale per l’elongazione massima (%) che diminuisce gradatamente al crescere della percentuale di Allosite presente nei film, questa però subisce un crollo già a partire dal 11% di HNT.

201


800

Displacement (μm)

700 600 500 400 300 200 100 0

0

5%

11%

23%

42%

60%

HNT (%peso)

Lo spostamento ha un andamento piuttosto costante, che subisce un crollo a partire da percentuali di HNT pari al11%. A questo punto le percentuali vanno via via diminuendo.

8.1.1

CONCLUSIONI

RIGUARDANTI

I

FILM

DI

FUNORI

CON

PERCENTUALI CRESCENTI DI HNT

Dai grafici sopra riportati, si evince un sostanziale mantenimento delle proprietà meccaniche dei film compositi fino a circa 11% di HNT. Dopo tale percentuale infatti, la resistenza meccanica viene man mano compromessa. L’unica eccezione è riscontrabile nel Modulo Elastico (modulo di Young), che subisce un incremento fino al 22% di HNT, per poi andare via via diminuendo. Le proprietà, che si mantengono pressoché inalterate fino al 11% di nanofiller, sommate al miglioramento del modulo Young, ci danno la possibilità di migliorare ulteriormente le proprietà del Funori. Bisogna considerare infatti che i nanotubi, una volta aggiunti al polimero, sono a loro volta modificabili. Ciò ci dà la possibilità di risolvere una vasta gamma di problemi riscontrabili frequentemente su manufatti di qualunque genere, ad esempio:

202


attacchi batterici, elevata acidità 172, attacchi micotici, attacchi entomatici, ossidazioni e così via 173. Bisogna considerare anche il fatto che una concentrazione dell’11% di HNT, è più che sufficiente affinché il filler possa svolgere al meglio le proprietà preventive. Tale percentuale inoltre, come messo in evidenza dai grafici riportati, non intacca minimamente le proprietà consolidanti del polimero 174.

8.2 LEGNI INCOLLATI CON FUNORI PURO E FUNORI CON PERCENTUALI CRESCENTI DI HNT.

Anche in questo caso, i grafici riportati, mostrano i risultati ottenuti dalle indagini effettuate tramite analisi meccanica dinamica (DMA), dei legni incollati con Funori puro e Funori con percentuali crescenti di HNT. In particolare sono riportati i valori del modulo di Young (E), dello stress di rottura, dell’elongazione massima alla rottura e del displacement.

172

R. Giorgi, L. Dei, M. Ceccato, C. Schettino, and P. Baglioni, Nanotechnologies for Conservation of Cultural Heritage:  Paper and Canvas Deacidification, Langmuir, 2002, 18 (21), pp 8198–8203. 173 G. Cavallaro, G. Lazzara, S. Milioto, F. Parisi, Halloysite Nanotubes for Cleaning, Consolidation and Protection, Chem Rec. 2018 Jan 10. 174 Ibidem. G. Cavallaro, G. Lazzara, S. Milioto, F. Parisi, Halloysite nanotubes with fluorinated cavity: An innovative consolidant for paper treatment, Clay Minerals Volume 51, Issue 3, June 2016, Pages 445455. G. Cavallaro, G. Lazzara, S. Milioto, F. Parisi, F. Ruisi, Nanocomposites based on esterified colophony and halloysite clay nanotubes as consolidants for waterlogged archaeological woods, Cellulose Volume 24, Issue 8, 1 August 2017, Pages 3367-3376

203


1800,00000 1600,00000 1400,00000

E / MPa

1200,00000 1000,00000 800,00000 600,00000 400,00000 200,00000 0,00000

0

5%

11%

23%

42%

HNT (% peso)

Il modulo di Young presenta un andamento che va via via crescendo, all’aumentare della percentuale di HNT presente nella colla composita denotando un parziale irrigidimento della stessa.

0,9

Stress rottura (MPa)

0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0

0

5%

11%

23%

42%

HNT (% peso)

Lo stress di rottura mostra un andamento interessante, notiamo infatti che si mantiene pressochĂŠ costante fino al 42%.

204


0,45 0,4

Elongazione max (%)

0,35 0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0

0

5%

11%

23%

42%

HNT (% peso)

L’elongazione mostra massima invece un andamento costante fino all’11% di nanotubi, e poi un crollo dei valori per percentuali di 23 e 42%.

90 80

Displacement (μm)

70 60 50 40 30 20 10 0

0

5%

11%

23%

42%

HNT (% peso )

Anche lo spostamento (displacement ) mostra un andamento praticamente costante fino a percentuali del 23%, dopodiché si assiste ad un crollo.

205


8.2.1 CONCLUSIONI RIGUARDANTI I LEGNI INCOLLATI CON FUNORI PURO E FUNORI CON PERCENTUALI CRESCENTI DI HNT.

I dati mostrati confermano senza dubbio che la colla di Funori è sicuramente da annoverare tra le colle blande, così come ci aspettavamo. Anche in questo caso possiamo affermare che, dati i risultati dei grafici, si ha un sostanziale mantenimento delle proprietà meccaniche dei film compositi fino a circa 10% di Allosite. Dopo tale percentuale, la resistenza meccanica viene man mano intaccata. Fa eccezione il modulo di Young (o Modulo Elastico) che va via via aumentando all’aumentare della percentuale di nanotubi presenti. Sono stati preparati, come detto, anche dei legni incollati con Funori e HNT al 60%, ma non si è potuto procedere alle misure tramite DMA, in quanto in fase di montaggio sull’apparecchio, i legni si sono spezzati. Ciò perché le proprietà meccaniche del Funori con il 60 % di HNT, risultavano essere molto compromesse, tanto da non garantire il giusto vincolo. Considerate le proprietà pressoché inalterate fino al 10% di nanotubi, e il miglioramento del modulo Young, si è deciso di utilizzare Funori con HNT al 5% come sistema collante per vincolare le due parti dei busti reliquiari oggetto della prima prova. Ricordiamo che tale percentuale è più che sufficiente per fare esplicare le proprietà preventive al filler. Infatti l’Allosite è stata caricata con un anti micotico 175, e poi è stata aggiunta al Funori nella percentuale del 5%. In questa maniera abbiamo avuto la possibilità di utilizzare una colla organica, e quindi facilmente attaccabile dai microorganismi, in tutta sicurezza, poiché come già detto in precedenza, il caricamento degli HNT con anti micotico, dà la possibilità allo stesso di essere protetto all’interno del nanotubo e

175

New Des 50 ® è un prodotto appartenente alla famiglia dei sali d’ammonio quaternari. Sono sostanze dal forte effetto battericida, basate sull’azione dirompente nei confronti delle pareti cellulari dei microrganismi.

206


di esplicare la sua azione anti-micotica solamente nel momento in cui si manifesta un attacco fungino 176.

8.3 LEGNI INCOLLATI CON CELLULOSA ESTRATTA DAGLI EGAGROPILI DI POSIDONIA OCEANICA PURA E CON PERCENTUALI CRESCENTI DI HNT.

I grafici qui di seguito, mostrano i risultati ottenuti dalle analisi effettuate tramite analisi meccanica dinamica (DMA) legni incollati con cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia Oceanica pura e con percentuali crescenti di HNT. In particolare sono riportati i valori del modulo di Young (E), dello stress di rottura, dell’elongazione massima alla rottura e del displacement.

250 230 210

E / MPa

190 170 150 130 110 90 70 50

0

23%

HNT (% peso)

176

M. Massaro, S. Riela, C. Baiamonte, J. L. J. Blanco, C. Giordano, P. Lo Meo, S. Milioto, R. Noto, F. Parisi, G. Pizzolantib, G. Lazzara, Dual drug-loaded halloysite hybrid-based glycocluster for sustained release of hydrophobic molecules, RSC Advances, Issue 91, 2016.

207


Il modulo di Young presenta un andamento pressochĂŠ costante per quanto riguarda i legni incollati con cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia Oceanica pura, e con il 23 % di HNT.

0,25

Stress rottura (MPa)

0,2 0,15 0,1 0,05 0

0

23%

HNT (%)

Lo stress di rottura mostra un andamento crescente, notiamo infatti un aumento che si registra man mano che la percentuale di HNT cresce.

0,2

Elongazione max (%)

0,18 0,16 0,14 0,12 0,1 0,08 0,06 0,04 0,02 0

0

23%

HNT (%peso)

208


Anche l’elongazione mostra una leggera crescita all’aumentare della percentuale di HNT presente.

30

Displacement (μm)

25 20 15 10 5 0

0

23%

HNT (% peso)

Si nota anche qui, che lo spostamento (displacement) mostra un andamento pressoché simile ai precedenti.

8.3.1

CONCLUSIONI

RIGUARDANTI

I

LEGNI

INCOLLATI

CON

CELLULOSA ESTRATTA DAGLI EGAGROPILI DI POSIDONIA OCEANICA PURA E CON PERCENTUALI CRESCENTI DI HNT.

Dati i risultati ottenuti, possiamo affermare che la cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia Oceanica, non risulta essere un buon collante per i legni. Infatti se ha sicuramente delle ottime caratteristiche di compatibilità e reversibilità, non ha però delle altrettanto buone caratteristiche meccaniche. L’aggiunta del 23 % di nanotubi ha lasciato le proprietà meccaniche pressoché inalterate. Si notano infatti solamente dei minimi miglioramenti degli stessi che 209


tuttavia non rendono il sistema collante idoneo all’incollaggio di elementi lignei. Risulta essere infatti molto fragile, tanto che molti dei legni preparati, si sono rotti in fase di montaggio sull’apparecchio. Questo non ci ha permesso, di effettuare le misurazioni dei legni incollati con cellulosa e HNT al 10 e al 38%. Gli elementi lignei (busto e base sottostante) dei busti reliquiari che avremmo dovuto provare ad incollare con questo sistema collante, seppure non necessitassero di una colla particolarmente forte, avevano comunque bisogno di un sistema che li vincolasse assicurandone la giusta adesione. Per cui, dai dati raccolti in fase di indagine, risulta evidente che la cellulosa estratta dagli egagropili di Posidonia Oceanica non è il sistema più idoneo a svolgere tale funzione. Anche se i risultati ottenuti non sono quelli sperati, questa sperimentazione non è comunque da considerarsi un fallimento, piuttosto è un punto di partenza, uno stimolo in più per l’utilizzo di un nuovo prodotto naturale che oggi sta per affacciarsi anche al mondo della conservazione e del restauro dei Beni Culturali. In questo settore, gli egagropili di Posidonia Oceanica potrebbero diventare una grande risorsa, essendo queste praticamente del tutto compatibili sia con i materiali costitutivi l’Opera d’arte, sia con l’ambiente circostante essendo queste totalmente eco-compatibili. Da non sottovalutare anche il fatto che, come detto, la raccolta degli egagropili non danneggia minimamente l’ambiente marino, in quanto non si va ad intaccare in alcun modo la pianta di Posidonia Oceanica che ossigena i mari e fa da “casa” a svariati organismi marini. L’egagropilo infatti non è altro che un accumulo di residui fibrosi di foglie e radici che si staccano dalla pianta e arrivano sulle spiagge. Per cui anche la loro raccolta non lede all’ambiente.

210


CONCLUSIONI FINALI

Questo lavoro di tesi è risultato essere particolarmente interessante in quanto ha previsto una parte di studio di tutti i materiali e le modalità operative, e una parte sperimentale vera e propria. Avere avuto la possibilità di effettuare l’estrazione della cellulosa tramite un procedimento chimico, che ha previsto diverse fasi operative, è servito a capire a pieno tutte quelle definizioni prettamente chimiche, che molto spesso rimangono solamente nozioni empiriche studiate sui libri. Lavorare con prodotti naturali fa comprendere inoltre, con più consapevolezza, l’importanza che questi hanno sia nella salvaguardia del nostro ambiente, sia del nostro patrimonio culturale che, come si sa, ha bisogno di materiali che siano quanto più compatibili. I materiali per il restauro cosiddetti green, riescono a conciliare le due cose andando a preservare anche la figura dell’operatore che è colui il quale materialmente porta avanti l’intervento di restauro e sta a diretto contatto sia con le opere sia, di conseguenza, con i materiali. Condurre una tesi sperimentale, dà la possibilità di cogliere l’importanza della ricerca nel settore dei beni culturali, che molto spesso è stato sottovalutato o considerato di “nicchia”. Lavorare in tal senso è utile anche per conoscere tutti i sacrifici, le prove, gli errori che si nascondono dietro un prodotto finito e commercializzato. Ma fa riflettere anche sui limiti che una sperimentazione di questo tipo ha, ad esempio quello che tutti i materiali utilizzati in fase di estrazione della cellulosa, sono tutti prodotti chimici che in qualche modo non sono prettamente compatibili e rispettosi verso l’ambiente. Per cui l’idea di utilizzare prodotti eco-sostenibili si scontra, molto spesso, con tutte quelle fasi pratiche di produzioni degli stessi. Si dovrebbe ora cominciare anche a lavorare in tal senso, ovvero nel rendere anche i processi produttivi molto più eco- compatibili al fine di poter creare dei prodotti che, dalla produzione al consumo, rispettino l’ambiente.

211


212


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https://www.ideegreen.it/bioplastica-vantaggi

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219


TAVOLE GRAFICHE


0

5

10cm

LEGENDA

Busto

Base

Alloggio per reliquia

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO- VERSO

TAV. 1

STATO DI CONSERVAZIONE

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PALERMO FACOLTA DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI, Cdl IN CONSERVAZIONE E RESTAURO DEI BENI CULTURALI



    

TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

5

10cm

LEGENDA

Doratura a guazzo

Policromia

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 2

STATO DI CONSERVAZIONE

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

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    

TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

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0

5

10cm

LEGENDA

Attacco entomatico

Lacune strati preparatori

Lacune pellicola pittorica

Sollevamenti pellicola pittorica

Lacune doratura

Ridipinture

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 3

STATO DI CONSERVAZIONE

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

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0

5

10cm

LEGENDA

Busto

Base

Alloggio per reliquia

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 4

STATO DI CONSERVAZIONE

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

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0

5

10cm

LEGENDA

Doratura a guazzo

Policromia

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 5

STATO DI CONSERVAZIONE

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    

TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

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0

5

10cm

LEGENDA

Mancanze supporto

Attacco entomatico supporto

Sconnessure supporto

Lacune strati preparatori

Difetti di adesione strati preparatori

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 6

STATO DI CONSERVAZIONE

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PALERMO FACOLTA DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI, Cdl IN CONSERVAZIONE E RESTAURO DEI BENI CULTURALI

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

5

10cm

LEGENDA

Lacune pellicola pittorica

Sollevamenti pellicola pittorica

Lacune doratura

Ridipinture

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 7

STATO DI CONSERVAZIONE

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PALERMO FACOLTA DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI, Cdl IN CONSERVAZIONE E RESTAURO DEI BENI CULTURALI

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

5

10cm

LEGENDA

Busto

Base

Alloggio per reliquia

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 8

STATO DI CONSERVAZIONE

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

5

10cm

LEGENDA

Doratura a guazzo

Policromia

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 9

STATO DI CONSERVAZIONE

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PALERMO FACOLTA DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI, Cdl IN CONSERVAZIONE E RESTAURO DEI BENI CULTURALI

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

5

10cm

Ridipinture

Lacune doratura

LEGENDA

Sconnessure supporto

STATO DI CONSERVAZIONE

Attacco entomatico supporto

Lacune strati preparatori

Sollevamenti strati preparatori

Lacune pellicola pittorica

Sollevamenti pellicola pittorica

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 10

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

5

10cm

LEGENDA

Busto

Base

Alloggio per reliquia

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 11

STATO DI CONSERVAZIONE

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

5

10cm

LEGENDA

Doratura a guazzo

Policromia

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 12

STATO DI CONSERVAZIONE

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

5

10cm

LEGENDA

Mancanze supporto

Attacco entomatico supporto

Sconnessure supporto

Lacune strati preparatori

Difetti di adesione strati preparatori

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 13

STATO DI CONSERVAZIONE

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

5

10cm

LEGENDA

Lacune pellicola pittorica

Sollevamenti pellicola pittorica

Lacune doratura

Ridipinture

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

RECTO-VERSO

TAV. 14

STATO DI CONSERVAZIONE

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

25

50cm

LEGENDA

Tavola frontale

Apertura centrale

Aperture laterali

Cornici perimetrali

Cornici apertura centrale

STATO DI CONSERVAZIONE

Ricciolo centrale

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

Cornici aperture laterali

RECTO

TAV. 15

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

25

50cm

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

LEGENDA

I livello

II livello

III livello

RECTO

TAV. 16

STATO DI CONSERVAZIONE

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

25

50cm

LEGENDA

Attacco entomatico

Lacune supporto

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

Mancanze supporto

RECTO

TAV. 17

STATO DI CONSERVAZIONE

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

LAUREANDA: Giuseppina Fiore Bettina RELATORE: Prof. Giuseppe Lazzara RESTAURATRICE: Belinda Giambra REFERENTE STORICO/ ARTISTICO: Dott. Vincenzo Abbate REFERENTE SCIENTIFICO: Prof. Giuseppe Lazzara


0

25

50cm

LEGENDA

Lacune strati preparatori

Lacune pellicola pittorica

Lacune doratura

INTERVENTI PRECEDENTI

TECNICA DI ESECUZIONE

Colature cera

RECTO

TAV. 18

STATO DI CONSERVAZIONE

CENTRO REGIONALE PER LA PROGETTAZIONE E PER IL RESTAURO E PER LE SCIENZE NATURALI ED APPLICATE AI BENI CULTURALI

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

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TESI DI LAUREA : CORPORA SANCTORUM; IL RESTAURO DEL RELIQUIARIO LIGNEO A PREDELLA E DEI QUATTRO BUSTI RELIQUIARI DELLA CHIESA MADRE DI POLIZZI GENEROSA.

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