il piacere della tavola in Toscana in Italia nel mondo
n° 1 anno 2010 2,50 euro
sped. in A.P. 45% art. 2. comma 20/B legge 662/96 Prato CPO
Il grano che non c’è
Il prezzo del vino
La macellazione rituale islamica
itinerari libri eventi locali speciale vino deGustiBooks di primavera
sommario Gola gioconda I piaceri della tavola in Toscana, in Italia, nel mondo
cibo
vino
libri
locali
Trimestrale
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www.golagioconda.it posta@golagioconda.it
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Realizzazione editoriale, grafica, impaginazione, riproduzione immagini: edizioni Aida srl Via Maragliano 31/a, 50144 Firenze Tel. 055 321841 Fax 055 3215216
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Direttore editoriale Leonardo Romanelli Direttore responsabile Lirio Mangalaviti Coordinamento redazionale Chiara Tacconi In redazione: Edi Ferrari, Dino Giannasi, Maurizio Izzo, Daniela Lucioli, Cristiano Maestrini, Silvia Vigiani, Liliana Visani Hanno collaborato a questo numero: Sabino Berardino, Sandro Bosticco, Cinzia Collini, Chiara Di Domenico, Marco Ghelfi, Sergio Lo Monte, Francesca Pallecchi, Luigi Pittalis, Caterina Simonato, Alessandro Zafarana Copertina e disegni originali Timoti Bandinelli Progetto grafico Lucia Chieffo Abbonamento annuale (4 numeri) 10,00 euro da versare sul c/c postale n. 25030503, intestato a Aida, causale del versamento “abbonamento a 4 numeri di Gola gioconda” Pubblicità: Aida srl, tel. 055 3218448 Stampa Nuova Grafica Fiorentina, Firenze Aut. del Trib. di Firenze n. 4843 del 18/12/98
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c’è stato / Eventi di stagione
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ci sarà / Anteprima e tour nel segno del gusto
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Locali per un giorno
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il consiglio di Leo / Tradizione e creatività all’Osteria del Borro
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Gola... mica tanto gioconda
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vacanze romane / Al ghetto dalla sora Margherita
di Chiara Di Domenico
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La dispensa
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Il valore del vino
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Il caffè? Te lo spiega chi lo fa
di Cinzia Collini
di Leonardo Romanelli
di Silvia Vigiani
di Luigi Pittalis
di Marco Ghelfi
editoriale
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ricette 8
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itinerari 29-30
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Che ne sai tu di un campo di grano
di Chiara Tacconi
Applausi e spaghetti
di Sergio Lo Monte
in carne e ossa / Chef nel mondo di Leonardo Romanelli
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L’arte d’affondar i’ddente
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dottore in allegria / Un contadino in città
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andante con moto / Il fast food lungo l’autostrada, e non solo
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di Antonella Landi
di Sabino Berardino
di Dino Giannasi
winelovers / Esperimenti, arte e formazione speciale / Quelli che il vino libri / Per non prenderci sempre sul serio di Francesca Pallecchi
la buona ossessione/ Le ricette di Francesco
Potevamo stupirvi con effetti speciali, luci stroboscopiche, tricche e ballacche e qualche lingua di menelik. Abbiamo preferito passare all’azione aprendo questa prima tranche dell’anno con un assaggio di deGustiBooks (dal 3 al 5 di aprile, sì, proprio a Pasqua) a Villa Caruso di Lastra a Signa, in allegra coincidenza con la rassegna di florovivaismo I Giardini di Caruso. Ma un mese prima ci eravamo esibiti nell’organizzazione di un incontro sul marketing e la comunicazione del vino (Passione da vendere, ampiamente rendicontato in video sul nostro sito www.golagioconda.it) nel corso del quale abbiamo tentato di fare il punto su come si presenta il vino nei media e quale sarà il futuro dell’informazione vitivinicola. E ancor prima avevamo pensato a metter su il Primo Palio dell Stufato alla Sangiovannese (raccontato su queste pagine da Antonella Landi che lo stufato ha cominciato a mangiarlo con il biberon). In mezzo a questo fervore produttivo, abbiamo provveduto a un numero di Gola gioconda poco convenzionale, all’insegna del “famolo strano”. A cominciare dalle note di Cristiano Maestrini che accompagnano lo speciale in occasione del Vinitaly, per proseguire con l’articolo sulla macellazione islamica della nostra inviata Silvia Vigiani, con il saggio rapido ma esaustivo di Luigi Pittalis su come si forma il prezzo di una bottiglia di vino, con l’inchiesta di Chiara Tacconi sulla scomparsa o quasi del grano dal panorama produttivo agricolo della Toscana e un po’ di tutta Italia, per finire con l’intervista impossibile a Enrico Caruso, il tenore che visse nella villa dove appunto si tiene l’edizione primaverile di deGustiBooks. Anche tra le rubriche c’è qualche novità: scovatela, tuffandovi nella lettura di queste pagine. Alla prossima. Lirio Mangalaviti
c’è stato
Eventi di stagione di Cinzia Collini
Oro verde in prima fila
Alla chiusura dei frantoi seguono come ogni anno tante manifestazioni dedicate all’extravergine. A Trieste, dal 5 al 8 marzo si è svolta la terza edizione di Olio Capitale con il meglio della produzione italiana. A Siena invece, si è svolta l’edizione 2010 de Le stagioni dell’olio. Dal 12 al 27 marzo, la manifestazione nazionale organizzata da Enoteca Italiana in collaborazione con l’Associazione Nazionale Città dell’Olio e l’Associazione Città del Bio ha ospitato diversi momenti interessanti: la consegna delle “ampolle d’oro” a personaggi famosi che si sono distinti per la promozione e la valorizzazione della cultura dell’olio; Degustolio, banchi di assaggio dei migliori extravergine; Le Stagioni dell’Olio 2010, con i ristoranti di Piemonte, Veneto, Lombardia, Liguria, Toscana e Emilia Romagna che nei loro menù hanno inserito le selezioni degli oli delle aziende partecipanti alla manifestazione. Olio protagonista anche oltreoceano, al Food Network Miami South Beach Wine & Food Festival 2010, dal 25 al 28 febbraio, dove Eleiva, azienda italiana produttrice d’olio, è stata protagonista assoluta.
Vini di Toscana in anteprima
A febbraio si sono tenute le anteprime dei grandi vini di Toscana: Vernaccia di San Gimignano,
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FEB 14 dom 15lun 16 mar 17mer 18 gio 19 ven 20 sab 21 dom 22 lun 23 mar 24 mer 25 gio 26 ven 27 sab 28 dom MAR 1 lun 2 mar 3 mer 4 gio 5 ven 6 sab 7 dom 8 lun 9 mar 10 mer 11 gio 12 ven 13 sab 14 dom 15 lun 16 mar 17 mer 18 gio 19 ven 20 sab 21 dom 22 lun 23 mar 24 mer 25 gio 26 ven 27 sab 28 dom 29 lun 30 mar 31 mer
Chianti Classico, Nobile di Montepulciano e Brunello. La Vernaccia quest’anno ha incontrato il Pouilly Fuissé; due giorni di assaggi e anteprime (14 e 15 febbraio) tra le torri di San Gimignano. Sempre il 14 febbraio, il Nobile ha invece deciso di presentarsi al pubblico: tre giorni di eventi con 29 aziende protagoniste. Alla Stazione Leopolda di Firenze (il 16 e 17 febbraio) è andata in scena come di consueto Chianti Classico Collection, con la presentazione delle anteprime 2009 e delle ultime annate da poco immesse sul mercato, firmata dal Consorzio Vino Chianti Classico. A chiudere la favolosa settimana, Benvenuto Brunello, il 19 febbraio, che ha visto il Consorzio in prima linea nell’organizzazione di eventi e degustazioni a Montalcino.
Golosità in giro per l’Italia
Si è svolta in marzo nel Monferrato la quarta edizione di Golosaria, la rassegna itinerante di cultura e gusto firmata da Papillon e dal giornalista Paolo Massobrio. A Firenze, dal 13 al 15 marzo si è svolto Taste, il salone dedicato alle eccellenze del cibo italiano e alle biodiversità della tavola nell’era globale, accompagnato da Fuori di Taste, un ricco programma di golosi eventi collaterali. Rimini, dal 21 al 24 febbraio ha ospitato Pianeta Birra, il più grande evento espositivo europeo dedicato al tema. Anche quest’anno l’Associazione culturale Unionbirrai ha promosso la cultura della birra artigianale italiana.
ci sarà
Anteprime e tour nel segno del gusto di C.C.
Il gusto italiano all’estero
Si chiama Flavours Of Mediterraneo e si terrà il 1° e 2 giugno a San Pietroburgo. Un percorso di degustazioni, incontri di approfondimento e seminari per presentare agli operatori russi le tante eccellenze del nostro Bel Paese. Scenografia dell’evento sarà la mostra “Il Cinema in Cucina”. Due giorni rivolti a un pubblico di operatori del settore e non, con incontri, seminari, dimostrazioni con chef, gourmet, sommelier e alimentaristi, e che avranno luogo in alcune location di prestigio a San Pietroburgo. Vino in primo piano a Gusto Italia, la innovativa piattaforma B2B per l’agroalimentare italiano che debutterà nel padiglione 9 della Fiera di Colonia (Germania) il 15 e16 giugno. In questa celebrazione del made in Italy, riservata agli operatori del settore tedeschi e dei Paesi vicini, particolare attenzione sarà infatti riservata ai produttori di vino, succhi, bevande, liquori e distillati, che potranno esporre in fiera usufruendo di formule “chiavi in mano” particolarmente interessanti. Non solo: verranno organizzati banchi di assaggio ed eventi di degustazione in collaborazione con alcuni dei più rappresentativi enti e consorzi di tutela.
Genova terra di sapori
Terroir Vino, a Genova il 7 giugno, è l’evento annuale organizzato dalla commissione degustatrice di TigullioVino.it, wine magazine italiano online da aprile 2000. Occasione di verifica e confronto con i protagonisti dell’informazione online, gli operatori del vino e i lettori, Terroir Vino è un banco d’assaggio di qualità superiore: solo il meglio dei vini e degli oli effettivamente degustati, dal 2000 ad oggi, dalle due commissioni degustatrici del sito, alla presenza dei produttori. Sempre a Genova, dal 14 al 16 maggio si terrà Cibio. Si tratta della fiera specializzata dedicata agli alimenti di qualità con riguardo ai prodotti tipici delle regioni italiane e un settore riservato alle produzioni biologiche. Oltre alla presenza dei produttori con i loro stand espositivi, che proporranno pane, pasta, miele, olio, vino e formaggi, durante Cibio verranno affrontati temi quali il turismo enogastronomico e la cultura dell’alimentazione, con degustazioni guidate ed eventi particolari.
Aria di primavera
Per le giornate di primavera e inizio estate, meglio puntare sul tour enogastronomico: due le proposte, una nel Lazio e una in Franciacorta. Prosegue fino a fine maggio, in provincia di Latina, il Tour del Gusto Pontino con tre appuntamenti (7, 21 e 29 maggio) alla scoperta del prezioso giacimento enogastronomico della provincia: si tratta di serate a tema che saranno veri e propri laboratori del gusto, rivolti a ospiti esterni, curiosi
APR 16 ven 17 sab 18 dom 19 lun 20 mar 21 mer 22 gio 23 ven 24 sab 25 dom 26 lun 27 mar 28 mer 29 gio 30 ven MAGG 1 sab 2 dom 3 lun 4 mar 5 mer 6 gio 7 ven 8 sab 9 dom 10 lun 11 mar 12 mer 13 gio 14 ven 15 sab 16 dom 17 lun 18 mar 19 mer 20 gio 21 ven 22 sab 23 dom 24 lun 25 mar 26 mer 27 gio 28 ven 29 sab 30 dom 31 lun GIU 1 mar 2 mer 3 giov 4 ven 5 sab 6 dom 7 lun 8 mar 9 mer 10 gio 11 ven 12 sab 13 dom 14 lun 15 mar 16 mer 17 gio 18 ven 19 sab 20 dom 21 lun 22 mar 23 mer 24 gio 25 ven 26 sab 27 dom 28 lun 29 mar 30 mer
di conoscere e provare tutti quegli abbinamenti capaci di rendere le pietanze davvero uniche. Portano il nome di varie tipologie del Franciacorta gli itinerari che, il 1° e il 2 maggio, condurranno i turisti alla scoperta dell’anima più vera e sconosciuta della Franciacorta con l’iniziativa Franciacortando. 4 itinerari, adatti a tutti e percorribili anche in bicicletta, proporranno il meglio di questa terra che, con le sue colline tappezzate da vigneti, degrada nel lago d’Iseo: Itinerario 1 – Franciacorta Brut; Itinerario 2 – Franciacorta Satèn; Itinerario 3 – Franciacorta Rosé; Itinerario 4 – Franciacorta Pas Dosé. E i vini a cui sono intitolati faranno da trait d’union fra cantine e cibi.
Vini sulla costa
Torna l’annuale appuntamento con Anteprima Vini dei Grandi Cru della Costa Toscana nel Real Collegio di Lucca. L’8 e il 9 maggio i vini dei Grandi Cru saranno protagonisti delle degustazioni en primeur della vendemmia 2009 (riservata agli esperti), alle quali si affiancheranno le degustazioni dei vini in commercio, più di 100 etichette, per il grande pubblico. Altro momento significativo sarà quello con l’enogastronomia lucchese attraverso assaggi dei prodotti del territorio in abbinamento ai vini per le strade della città di Lucca, in collaborazione con ristoranti, enoteche e enogastronomie cittadine.
Da non perdere
Si terrà a Bologna dal 24 al 27 aprile PastaTrend, salone della pasta italiana. La nuova manifestazione è una significativa occasione per valorizzare una delle eccellenze gastronomiche italiane, la pasta, dalla materia prima alla produzione e successiva distribuzione. PastaTrend è la grande piazza dove il consumatore può finalmente incontrare il produttore ed essere direttamente informato. Uno spazio in cui effettuare assaggi, fare acquisti eccellenti, acquisire e conservare esperienze. Si svolgerà a Mantova dal 16 al 18 aprile la IX edizione di Mille e 2 formaggi, rassegna dedicata al panorama dei formaggi e dei prodotti caseari che ogni anno richiama nella città dei Gonzaga espositori da tutta Italia e migliaia di visitatori. Torna per il secondo anno anche il Concorso “Formaggi in rosa”, che nell’edizione 2009 aveva rappresentato la grande novità fra le iniziative dedicate alla valorizzazione del caseario nazionale. Dal 20 al 23 maggio il complesso cistercense dell’Abbazia di Chiaravalle di Fiastra, a pochi chilometri da Macerata, ospiterà la quarta edizione della manifestazione Herbaria, Segreti e magie dal mondo della natura. Inizierà il 29 aprile e si concluderà domenica 2 maggio la sesta edizione di Spino Fiorito a Massa. Momento clou sarà l’inaugurazione, quando i protagonisti saranno gli spumanti italiani, presentati in degustazione.
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Locali per un giorno Colazione
Caprice
piazza Garibaldi 29, Pescara. Tel. 085 691633 Chiuso il lunedì, sempre aperto d’estate Nella zona vecchia della città, un locale che è un’istituzione per la bontà dei prodotti di caffetteria, per la grande pasticceria, i salati, i gelati. Tutto improntato alla tradizione, ma con novità e sperimentazioni sempre interessanti. A mezzogiorno piatti caldi nella saletta ristorante.
Caffè degli Artigiani via dello Sprone 16r, all’angolo con via Toscanella (Piazza della Passera), Firenze. Tel. 055 229188 Chiuso la domenica
In uno degli angoli più caratteristici dell’Oltrarno fiorentino, un piccolo bar frequentato dagli artigiani che hanno bottega da queste parti, dai turisti e da chi ama il colore e il calore. Buoni prodotti lungo tutto l’arco della giornata, una saletta per spettacolini e un piacevole dehors lungo via Toscanella.
Pranzo
accompagnata da funghi o carne. Poi la cacciagione, i fritti di verdure, i dolci della tradizione (da non perdere le frittelle di riso). Prezzi più che corretti.
Agora
Spuntino
via Aurelia Sud 9, La California, Bibbona (LI). Tel. 0586 600706 Chiuso sabato in inverno, mercoledì in estate A poca distanza dalla stazione di Bolgheri, quello che sembra un barettino qualsiasi nasconde una varietà di vini e di champagne da fare invidia a un’attrezzata enoteca specializzata; e soprattutto offre formaggi, salumi e ottimo pane per panini indimenticabili.
Gran Ristoro
via di Sottoripa 27r, Genova. Tel. 010 2473127 Chiuso domenica Una storica bottega che da cinquant’anni delizia con panini di prima qualità, da riempire secondo i propri gusti, scegliendo tra salumi e formaggi. O fidandosi della creatività del patron. Per sfamarsi con gusto spendendo poco.
Vecchia Osteria del Nacchero
piazza Gavinana 3/4r, Firenze. Tel. 055 6587058 Aperto a pranzo e a cena Un locale nuovo arredato come le trattorie d’un tempo: mattonelle bianche alle pareti, trecce d’aglio e di cipolle come addobbi, tavoli di marmo. L’effetto non è sgradevole, mentre la cucina parte dalla Toscana per zigzagare tra sentori di tutt’Italia, con risultati piacevoli che soddisfano il gusto del grande pubblico. Servizio puntuale, prezzi abbordabilissimi.
Agnoletti
Via Forlivese 64, San Godenzo (FI). Tel. 055 8374016 Aperto a pranzo e a cena. Chiuso il martedì a cena Un ottimo punto tappa lungo la statale che sale da Firenze al passo del Muraglione. L’ambiente è rimasto agli anni ’50, ma la cucina è gustosa e genuina: pezzo forte la pasta fresca, ripiena o meno,
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aperitivo
Baracchina Bianca
piazza San Jacopo Acquaviva 19, Livorno. Tel. 0586 807270 Sempre aperto dalle 6 del mattino all’una di notte In riva al mare, per le colazioni (anche a base di pane, burro e marmellata), per il pranzo e la cena, ma soprattutto dal tardo pomeriggio per l’aperitivo: Bellini e Rossini, Black Russian e Old Fashioned, ma anche tutti gli altri classici o un bicchiere di vino.
Caffetteria 2000
via Caputo 2/6, Salerno. Tel. 089 522225 Sempre aperto, dalle 5 del mattino all’una e trenta della notte Tutte le ore del giorno e della notte sono adatte per far visita a questo locale: ottimo il caffè e i prodotti per la colazione,
buoni i panini, molto vasta la gamma di cocktail e drink per l’aperitivo, accompagnato da stuzzichini golosissimi.
cena
I Tre Garofani
Via Giuseppe Mazzini 33, Trento. Tel. 0461 237543 Aperto a pranzo e a cena. Chiuso la domenica Una trattoria accogliente che tratta con sapienza e leggerezza i sapori tradizionali trentini, utilizzando prodotti di qualità. Gestione familiare e professionale a un tempo, ambiente elegante e discreto, buona scelta di vini del territorio e non, serviti anche al bicchiere. Ottimi dolci.
Enoteca I Terzi
Via dei Termini 7, Siena. Tel. 0577 44329 Orario continuato dalle 11 alle 1. Chiuso la domenica Enoteca con cucina a due passi da Piazza del Campo. Notevole carta dei vini, piatti curati, anche nella presentazione, con particolare attenzione alla pasta fresca e alle carni, servizio attento e cordiale. Bello l’ambiente, con le antiche volte di mattoni a vista e una torre medievale di pietra cui si accede direttamente dal locale.
Notte
Pan Asia Restaurant
Rosenthaler Straße 38, Berlino. Tel. +49 030 2790-8811 www.panasia.de Aperto da domenica a giovedì dalle 12 a mezzanotte, venerdì e sabato fino alle 1 Nel cuore del cuore di Berlino il meglio della cucina tailandese, vietnamita e cinese, con qualche incursione in Giappone. Ingredienti freschissimi, tempi brevi di cottura, bando totale per grassi animali e glutammato, mano leggera col piccante (ma a richiesta si può osare di più). Design lineare a base di legno e cristallo, cucina a vista, piacevole dehor affacciato su un cortile da interno berlinese; videoinstallazioni, foto e proiezioni di film manga un po’ ovunque. Fantastici i bagni.
il consiglio di Leo
Tradizione e creatività all’Osteria del Borro di Leonardo Romanelli
Aria di novità in casa Ferragamo: cambia la gestione dell’Osteria del Borro, il ristorante dell’omonima tenuta, che adesso è affidata ai fratelli Lodovichi, titolari di una delle società di catering più importanti della zona aretina. Non si tratta solo di un cambio di mano, a livello di persone che ci lavorano o di piatti del menu, ma di Roberto Bendinelli
un’impostazione diversa adottata verso i clienti, improntata su una maggiore cura. Qualche rinnovo nell’arredo, un’atmosfera molto più intima e raccolta per la sera, un menu che si lega alla tradizione ma che non disdegna una ricerca di creatività, sono tutti aspetti che segnano la rinascita del locale. Il servizio assume oggi una veste di maggiore professionalità, mentre in cucina si nota la mano esperta dello chef executive Roberto Bendinelli, con recenti esperienze anche in Russia. A pranzo si mangia a buffet con menu ampio e variegato, ma è la sera che si esprime meglio la fantasia della cucina. Due le linee di menu proposte: quella della tradizione, all’interno della quale è piacevole assaggiare la tartare di chianina con brunoise
di verdure e zabaione al tartufo, o il tortellaccio con farcia di cinghiale con salsa di tabacco e ginepro; tra i secondi, da provare il lombo di capriolo alle erbe fini con sformato di zucca. Nella linea creativa, si distinguono il cappuccino di patata con soffi di formaggio al tartufo o gli strigli di patata e basilico con vongole e mandarino caramellato; gradevole anche il filetto di spigola al sale affumicato con spinaci e fumetto alle mandorle. I dolci si uniscono in una lista unica e non sono da perdere la bavarese ai lamponi e cioccolato o il tortino tiepido di mela rugginosa della Valdichiana con crema al Vin Santo. Carta dei vini che non si ferma solo ai prodotti aziendali, ma spazia su altre etichette regionali di ottimo livello. Per chi ama i distillati, c’è la possibilità di
Osteria del Borro Località Il Borro 52 San Giustino Valdarno (Arezzo) tel. 055 9772333 www.osteriadelborro.it
fermarsi all’angolo del bar dell’ingresso, per degustare ottimi whiskies e rhum agricoli. Per un pasto di tre portate, sui 45 euro, escluso vino. Massimo Lodovichi
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arà perché Roma caput mundi fa più notizia, ma lo scalpore suscitato dall’introduzione della carne halal (macellata cioè secondo il rito islamico) nei reparti macelleria di Unicoop Tirreno nello scorso mese di febbraio, con levate di scudi animaliste su blog, mailing list e chi più ne ha più ne metta, è stato di gran lunga più eclatante rispetto a quando, nel giugno 2009, questa stessa novità fu introdotta in Toscana, in alcuni punti vendita di Unicoop Firenze. In effetti, a volersi documentare sulla macellazione rituale (islamica, ma anche ebraica: i precetti, mutatis mutandis, sostanzialmente coincidono) ci si addentra in dettagli oggettivamente piuttosto raccapriccianti: animali coscienti al momento dell’uccisione, che deve avvenire per completo dissanguamento dopo la recisione di trachea ed esofago… Eppure, o si è così coerenti da rifiutare per principio e in toto il cibarsi di carne animale (e pesce, certo, ché altrimenti tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali di altri!), oppure può valere la pena trarre spunto da questo adeguamento del mercato per capire qualcosa di più su usanze e tradizioni che oggi non sono più così lontane come un tempo e, forse, non lo sono mai state davvero (del resto, chi ha ricevuto l’ingrato compito di scrivere “il pezzo sulla carne islamica” si ricorda bene – e non ha ancora nemmeno scollinato i quaranta! – l’uccisione del maiale a casa del nonno contadino, con tanto di carcassa squartata e appesa a testa in giù nel vano scale, con un secchio sotto a raccogliere il sangue).
Un compromesso possibile Il nostro spirito cinico e irriverente, dopo la lettura delle procedure splatter di macellazione, non ha potuto fare a meno di osservare: ma allora, la bistecca o il rosbiffino “al sangue” in versione halal come si fanno? Gli ha fatto subito da controcanto, tuttavia, la metà animale e animalista che si domanda se le condizioni della macellazione “nostrana” siano poi tanto diverse. Dopo aver sguinzagliato il nostro
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Gola... mica tanto gioconda! Ammessa dalla legge e sdoganata dalla Coop, la macellazione rituale islamica è una pratica sempre più diffusa anche in Italia
di Silvia Vigiani
Al mercato in Egitto (foto da pixelio.de)
addentatore ufficiale di coccodrilli Sandro Bosticco fra sporti di macellerie islamiche e corridoi della Coop, commissionandogli una degustazione rigorosamente islamically correct, abbiamo cominciato a documentarci sugli aspetti della macellazione a scopo alimentare in Italia, oltre che sulla macellazione rituale. Già, perché questa è una differenza di forma, se non di sostanza, non da poco: «È necessario capire che l’uccisione di un animale nella cultura islamica (ma anche in quella ebraica) è un rito, e non come per noi un gesto a fini esclusivamente alimentari – ci ha spiegato Attilio Casu di Unicoop Firenze –. Per questo si devono seguire determinati precetti». Quali siano questi precetti, ce lo riassume ancora una volta Casu: «L’animale deve essere integro e non ferito. Il taglio di uccisione deve essere uno solo, netto e veloce. Per questo la lama utilizzata per la deiugulazione deve essere lunga (almeno 20-25 cm) e molto affilata e chi compie il gesto non può essere una persona qualunque, bensì un soggetto competente in questioni di religione. La bestia deve cadere sul fianco destro. Durante l’atto è rivolta verso la Mecca e l’uomo pronuncia una formula di fede». Digiamogelo, già sentir parlare di
“deiugulazione” dà un po’ i brividi. Se poi aggiungiamo che l’interpretazione più rigorosa della macellazione rituale prevederebbe che l’animale sia cosciente al momento dell’uccisione (se venisse stordito non sarebbe più “integro” e quindi non più halal), si capisce perché quelli di Unicoop – che comunque hanno anche già pronta alla bisogna una bella letteratipo da inviare in risposta alle rimostranze dei soci e/o consumatori – si siano dati da fare per addivenire a un compromesso, con le autorità religiose islamiche locali, sullo stordimento preventivo degli animali da macello (stordimento effettivamente ammesso da alcune scuole di pensiero islamico). Anzi, ci racconta ancora Attilio Casu, proprio nel febbraio 2010 è stato introdotto – e certificato alla presenza degli imam di Firenze e Ravenna – un più efficace metodo di stordimento preventivo per i bovini, già largamente usato nei paesi del nord Europa: si tratta di una pistola che ha un funzionamento del tutto simile a quello delle macellazioni “all’occidentale”, ma con la differenza che non penetra nell’animale, quindi provoca lo stordimento senza violare i precetti islamici (e qui t’immagini il manzo che con voce fantozziana commenta: «Com’è umano, lei…»). Ovini e pollame devono invece “accontentarsi” rispettivamente di pinza
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elettrica ed elettronarcosi. Di per contro, anche nella macellazione “occidentale” gli animali vengono comunque sottoposti a dissanguamento, una pratica che risponde a esigenze di conservazione vecchie quanto i pastori dell’Antico Testamento. Al netto di pratiche e riti, insomma, laddove venga praticato lo stordimento preventivo, la differenza principale sta poi nel fatto
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All’imam non lo far sapere… di Sandro Bosticco
Banco macelleria in Marocco (foto da pixelio.de)
segue da pag. 9
che la macellazione rituale prescrive il “completo dissanguamento” dell’animale (che poi completo non sarà mai).
Dietro al banco, sottobanco… Tutto rassicurante e scontato, nel nostro mondo di vaschette bianche incellofanate nei banchi frigo? Forse no, se si pensa che, mentre nel 1978 la Legge n. 439 (che a sua volta recepiva una Direttiva della Comunità Europea del 1974) rendeva obbligatorio in Italia lo stordimento preventivo degli animali da macellare, già nel 1980 un decreto autorizzava, in deroga a questa legge, la macellazione rituale (islamica ed ebraica) senza stordimento, in macelli autorizzati. Non solo: la macellazione senza stordimento è consentita tuttora anche per volatili e conigli in impianti “a capacità limitata” o per “autoconsumo familiare” (il pollo del nonno, insomma). Per non parlare dell’aspetto igienico, pressoché impossibile da controllare in tante piccole realtà commerciali e non (c’è chi abita nella famigerata via Padova a Milano e racconta dettagli raccapriccianti sul cortile posteriore della macelleria islamica sotto casa, più volte chiusa dai Nas). E alla fine, se si ha lo stomaco di guardare qualche video su internet, ci si rende conto che, probabilmente, è proprio vero che alcuni animali sono almeno un po’ più uguali di altri.
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Ed ecco il tormentone ideologico tradotto in gusto: c’è differenza? «Certo – dice il macellaio algerino di via dell’Oriuolo in pieno centro granducale –. Tanto che qui vengono clienti fiorentini a comprare i tagli classici della mia carne di bestie italiane, proprio perché gli piace il sapore». Detto fatto, entra una bionda senza velo che mi convince: proviamo! Bistecca: classica lombata con l’osso che si è rivelata ben frollata e che è stata grigliata dal sottoscritto come di dovere. Il gusto ha sorpreso per la... delicatezza: «E’ sa di poho...» è stato il commento di uno dei fidati assaggiatori di cui amo circondarmi. Ma almeno ci siamo goduti il Chianti. Ròsbiffe: tipica versione fiorentina del roast-beef inglese. Ho usato lo scamone con tanto di rosmarino, pepe e velo di extravergine, e questi erano alla fine i profumi rilevabili oltre alla caramellizzazione esterna: polpa perfetta, ma il gusto di ciccia come l’intendiamo noi ha continuato a latitare. Dopo queste due prime prove è sorto il sospetto che il sangue abbia un ruolo importante anche per il sapore! Tutto sommato l’impressione è che questa carne – per colore, consistenza e gusto – si avvicini clamorosamente a quella di maiale. Sono passato dunque alla carne halal da scaffale Coop, risoluto ad andare sul saporito almeno coi condimenti. Manzi francesi, macellazione “italiana”. Macinata: viaggio virtuale in Indonesia, paese che ospita la più grande popolazione islamica del pianeta. Ho preparato dunque uno dei pochi classici locali senza pesce, il Bakso: polpette di manzo in brodo, una specie di canederli del sud-est asiatico. Sapore finale: salsa di soia, pepe & peperoncino, aglio, sedano, cipolla e quant’altro, cioè si è confermata anche qui la sostanziale insipienza dell’ingrediente principale. “Taglio da cous-cous”: recita l’etichetta, dunque sono andato sul maghrebino e ho stufato i pezzi prima di gustarli con la semola a vapore. A conferma si è sentito che conta tutto il resto, dipende tutto insomma da spezie e condimenti. Alla fine ho aggiunto un po’ di Harissa tunisina e il tono gustativo si è innalzato anche troppo...
vacanze romane
Al ghetto dalla Sora Margherita di Chiara Di Domenico
Poco distante dal Campidoglio, con il Tevere nascosto dalla ressa silenziosa delle case strette tra loro a osservare i passanti, c’è il ghetto di Roma. Forse pochi dei turisti per i quali si chiudono le antiche botteghe e si aprono miriadi di pizzerie respirano la storia passata tra quei muri umidi, quelle porte quasi sempre minuscole. Dopo aver letto La Storia di Elsa Morante o 16 ottobre 1943 di Giacomo Debenedetti, viene da pensare a quanta vita e quanta morte si siano inseguite a Roma nella sua storia millenaria e ininterrotta. Il ghetto, che è stato teatro della fine assurda di più di mille ebrei rastrellati dai nazisti, conserva in molti casi ancora le stesse finestre, gli stessi muri, nonostante lo spopolamento da parte degli abitanti originari dovuto al boom più che alla guerra. È cambiato persino il Portico di Ottavia, tornato bene archeologico negli ultimi anni dopo essere stato adibito a lungo a mercato del pesce.
Al mercato stava una pietra, oggi non più lì, che misurava circa un metro. Sopra, un’iscrizione: Capita piscium hoc marmoreo schemate longitudine majorum usque ad primas pinnas inclusive conservatoribus danto (Le teste dei pesci più lunghi di questa lapide, pinne comprese, devono essere date ai conservatori). Così come il didietro della gallina era considerato il boccone del prete, allo stesso modo il papa si faceva consegnare dai conservatori, ossia i custodi pontifici del mercato giudeo, le teste dei pesci più grossi per farle cucinare dai cuochi più esperti. Intorno era un dedalo di botteghe, officine, mercerie, osterie.
Dall’inizio del 900 a oggi Così convivevano al ghetto ebrei e cristiani. E un esempio genuino è rimasta proprio la piccola trattoria affacciata su via delle Cinque Scole, la Sora Margherita. All’inizio del XX secolo non era nemmeno una trattoria: veniva un vinaiolo da Velletri, ed era più che altro una stanza per ripararsi dalla canicola o dal gelo, per bere una “foglietta” di vino, per fare una partita a carte. Poi nel 1927 fu Reginaldo Baroncini a pensare di farne un posto dove mangiare oltre che bere. E nel 1960, passata l’attività nelle mani della Sora Margherita, il posto si ingrandì nel retro con l’annessione della sagrestia della chiesa di Santa Maria del pianto. Chi entra qui entra in un’osteria dove non esiste menù turistico e dove difficilmente si mangia senza prenotare. Oggi la trattoria è gestita dai dirimpettai: Lucia, Mauro e il figlio Ivan Ziroli l’hanno presa nel 2000 quando Lucia Ziroli,
casalinga, propose all’anziana proprietaria di rilevare l’attività. Lucia, che al ghetto ha scelto di viverci con la famiglia venendo da un altro quartiere, aveva mangiato lì decine di volte. Non si erano mai presentate. Ma l’idea ha fatto subito breccia nel cuore di Margherita, ed è bastato il tempo di scendere le scale e attraversare la piazza per la prosecuzione di una storia.
Niente congelatore In trattoria non c’è congelatore perché non serve: quello che si mangia viene fatto la mattina per il giorno stesso, dalla carne e verdura fino alla specialità, ossia la pasta all’uovo – soprattutto fettuccine – condita con sugo di carne, cacio e pepe, pomodoro e basilico. Fatte “alla nazzicaculo” come scrisse riportando fedelmente le parole di Ivan l’azzimato Marc Steven del New York Times. Lui credeva che fosse il nome della specialità, mentre la nazzica altro non è che il movimento fellinianamente sussultorio che viene spontaneo tirando la pasta col mattarello. Il menù è scritto a mano ogni giorno su carta paglia e caratterizzato sul fronte da Mauro Veroli, che di mestiere è pittore: i piatti vengono elencati secondo
la settimana tradizionale romana, e immancabili per aprire sono i carciofi alla giudia. Così come, a detta di un assiduo frequentatore, non si possono non mangiare gli aliciotti con l’indivia: un tortino al forno composto appunto da indivia e alici. Dalla sua fondazione, i gestori della trattoria sono sempre stati non-ebrei (e nemmeno la Sora Margherita era nata nel ghetto), ma per tacita regola l’unica carne che non è mai entrata in cucina è quella di maiale, scelta apprezzata dalla maggioranza degli ebrei romani lì nati e vissuti. Così voleva l’antica proprietaria, così hanno continuato a fare gli Ziroli, alla faccia di quella parola, kosher, usata come uno specchietto per allodole munite di macchina fotografica, che spunta dappertutto fino a coprire la vera identità del quartiere. Osteria sora Margherita Piazza delle Cinque Scole, 30 - Roma Aperta a pranzo dal lunedì al sabato (d’estate dal lunedì al venerdì), a cena venerdì e sabato (d’estate solo il venerdì). Prenotazione obbligatoria allo: 06 6874216
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La dispensa Grappa Po’ di Poli Traminer
Questa grappa nasce da vinaccia fresca di Gewürztraminer dell’Alto Adige fermentata in appositi cassoni, diraspata e distillata lentamente per salvaguardare completamente gli aromi primari dell’uva in un alambicco di rame formato da caldaiette a vapore a ciclo discontinuo, tra i pochi ancora esistenti in Italia. Il risultato è un distillato dal profumo molto intenso con sentori di erba balsamica, resina e spezie. Il gusto è pieno e deciso, a cui fa seguito una lunga persistenza; è commercializzata in bottiglie da 70 cl racchiuse in eleganti custodie. Appartiene alla rinomata famiglia Poli che vanta un’arte secolare nel mondo della distillazione tanto da istituire il Museo della Grappa a Bassano del Grappa. Prezzo: 22-23 euro www.poligrappa.com
Aceto bianco di vino Valdichiana Doc L’Aretino
Fin dal 1955 i fratelli Verdi producono aceto di vino in quel di Molin Bianco (Arezzo) attraverso una sapiente lavorazione e una scelta accurata di vini. Sono stati i primi nel settore a selezionare un aceto rosso di vino Docg, ottenuto da Chianti invecchiato in botti di rovere, e un aceto di vino bianco da Valdichiana Doc, a cui si aggiungono aceti di mele, da agricoltura biologica e balsamici di Modena. Tutte valide proposte per una cucina naturale per gusto, acidità e residuo alcolico. Il bianco Valdichiana è un aceto intenso con un’acidità del 7,50% e si sposa molto bene con le verdure a crudo e le insalate in generale. Prezzo: 7 euro www.acetificioaretino.it
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Biscottiera Seletti
Seletti propone all’interno della linea Estetico quotidiano delle originali scatole in metallo ideali per conservare pasta, sale, farina, zucchero, caffè e biscotti, ma anche per ordinare oggetti. Dal 1964 l’azienda mantovana firma oggetti per la casa dal design esclusivo puntando sulla forza della creatività italiana, con richiami al mondo dell’arte. Personalità, provocazione e ricerca continua caratterizzano il marchio Seletti che entra nelle case di chi vuol contraddistinguersi con uno stile personale e al tempo stesso divertente con i suoi prodotti acquistabili nei migliori negozi di casalinghi e online (avvistati anche negli store Feltrinelli). Prezzo: 7,50 euro www.seletti.it
Novellini Spighe&Spighe
Il novellino Sendo è un prodotto a base di farina di farro, senza zucchero, senza latte e senza uova, quindi leggero senza nulla togliere al gusto. Ottimo per colazione, si presta ad essere gustato anche come snack in qualsiasi occasione. Sendo è associato a Spighe&Spighe, il marchio dei prodotti da forno in linea con il mercato, rispettando sempre i principi alimentari. In particolare rivolge l’attenzione alla crescente richiesta di alimenti specifici adatti a particolari esigenze e regimi dietetici o alimentari. Nella linea Spighe&Spighe troviamo biscotti, brioche, fette biscottate, cracker, grissini e merendine. Prezzo: 3,55 euro
Confettura extra di more Garfagnana Coop
Barbecue Haba
Colomba Libero Mondo
Marionette con ovetti di cioccolato Altromercato
Solo frutta e zucchero di canna, senza aggiunta di pectina, sono gli ingredienti della confettura prodotta da Garfagnana Coop, cotta a vapore e sterilizzata a bagnomaria. La frutta utilizzata proviene dagli impianti degli associati o raccolta direttamente nei boschi, mentre i metodi di lavorazione sono rigorosamente controllati. Tutti fattori che contraddistinguono la produzione di Garfagnana Coop, a San Romano in Garfagnana (Lucca), perseguendo esclusivamente metodi biologici controllati e certificati dall’Aiab. Così i diversi produttori che aderiscono alla cooperativa coltivano il farro come una volta senza utilizzare trattamenti e prodotti chimici. Prezzo: 4 euro www.garfagnanacoop.it
La tradizionale colomba di pasticceria si presenta con le borse in carta colorata della Thailandia e decorata con gocce di cioccolato della cooperativa Libero Mondo, prodotto con fave di cacao di Camari-Ecuador, zucchero di Mimbipà-Paraguay e bacche di vaniglia provenienti da Zaspo-Tanzania. Il 64% delle materie prime utilizzate dalla cooperativa sociale, che ha sede a Bra, sono del commercio equo e solidale e la fase del confezionamento viene eseguita manualmente in laboratorio. Prezzo 8,90 euro www.liberomondo.org
Sale rosa dell’Himalaya Dolmen
Un sale purissimo e antichissimo, addirittura dell’era mesozoica popolata dai dinosauri, che ha origine nella lontana Asia. La Dolmen è uno dei distributori italiani di questo sale dal colore rosa, tra i più pregiati, che non provoca ritenzione idrica, tipica dei sali comuni. Viene usato anche per curare allergie, mal di gola, artrite, contro acne, herpes e altri malesseri di stagione. Prezzo: da 6 a 16 euro (a seconda dei formati) www.salidalmondo.it
Rigorosamente made in Germany e solo materiali di qualità per la linea Haba, che produce giocattoli naturali (in legno e stoffa) e arredi. I designer di Haba hanno inventato questo solido barbecue in acciaio per grandi e piccini che può essere usato sia come griglia per le salsicce che come fuoco da accampamento. Assume infatti svariate forme e funzioni in base a determinati accessori (asta di fissaggio e dispositivo per regolare e bloccare l’altezza della griglia, coperchio per non sporcare per terra). Prezzo: da 52,50 a 199 euro www.haba.de
Una novità per la Pasqua 2010 sono le marionette in cotone di Altromercato realizzate da Children Nepal, l’organizzazione che si dedica ai bambini privi del sostegno delle istituzioni e offre formazione alle donne dai 18 anni in su. La tasca contiene ovetti al cioccolato, con cacao della Repubblica Dominicana. Il confezionamento è opera invece della Fondazione Orione80 onlus di Magreta (Modena), impegnata nel sostegno ai minori in difficoltà. Prezzo: 10,80 euro www.altromercato.it
Pici Antico pastificio Morelli
I pici dell’Antico pastificio Morelli sono ottenuti artigianalmente con semola di grano duro tramite trafila in bronzo così da rimanere ruvidi e tenere meglio qualsiasi tipo di condimento. La scelta delle migliori semole e il tipo di lavorazione hanno impegnato la famiglia Morelli per cinque generazioni. I loro prodotti (paste classiche ma anche aromatizzate) sono considerati di primissima qualità. Prezzo: 3,07 euro www.pastamorelli.it
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Il valore del vino
Quanto costa produrre una bottiglia di vino? E quanto questo incide sul prezzo che paghiamo al ristorante, in enoteca o al supermercato?
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l vino buono costa. Su questa affermazione possiamo tutti essere d’accordo, ma se andassimo a domandare quanto vale una bottiglia, saremmo altrettanto concordi nella valutazione? Oltre agli elementi che determinano la qualità intrinseca del prodotto, connessa alla materia prima e alle lavorazioni che la riguardano, la consapevolezza di cui disponiamo come consumatori ha infatti un ruolo determinante nella costruzione del valore di ciò che beviamo. Talvolta quando ci sediamo al tavolo del ristorante e scorriamo la lista dei vini non è poi così infrequente sentire nascere dentro di noi considerazioni del tipo: “Come è possibile che un vino che costa 7 euro sullo scaffale del supermercato, lo ritrovo qui a 25 euro? Non credo che loro lo paghino più di quanto costerebbe a me alla cassa!”. Proviamo a seguire il nostro bicchiere lungo il percorso che lo porterà fino alla nostra tavola.
Un lungo viaggio Immaginando di averlo già pronto per l’imbottigliamento, alcuni sostengono che il prezzo minimo teorico del vino sfuso è di 30 centesimi al litro. In realtà prima di averlo pronto per l’imbottigliamento, il nostro vino avrà già attraversato due fasi fondamentali della sua storia produttiva:
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di Luigi Pittalis*
la vigna e la cantina. Il produttore o l’imbottigliatore sanno che qui il vino assorbe una buona parte dei suoi costi diretti. Anche partendo da un costo della materia prima a questi livelli, occorre aggiungere i costi del confezionamento (tappo, bottiglia, etichetta, capsula, retro etichetta), quelli connessi alla vendita e alla distribuzione (cartone, costo dei trasporti, provvigioni per gli agenti, costo del credito concesso alla clientela) per completare i cosiddetti costi diretti. La forbice all’interno della quale possono collocarsi è in grado di condizionare pesantemente quel costo iniziale in relazione a scelte di prodotto ma anche di volumi di acquisto. Perché se è vero che i tappi di sughero naturale monopezzo costano più di quelli agglomerati, è altrettanto vero che chi ne compra centinaia di migliaia probabilmente riuscirà a spuntare un prezzo unitario più basso. Allo stesso modo, i costi fissi di produzione (ammortamenti dei macchinari, affitto di locali, parte dei salari e stipendi, ma anche consulenze enologiche e tutto ciò che rientra nella gestione ordinaria dell’azienda) si sostengono a prescindere dai volumi di produzione e si distribuiscono su tutte le unità prodotte. Maggiore sarà il numero di queste e minor peso avranno sul costo del prodotto finale.
Vecchi e nuovi Ma fino a qui siamo ancora in azienda, e il nostro vino deve ancora prendere la strada che lo porterà al ristorante, all’enoteca (sempre meno) o sugli scaffali di un supermercato (sempre più spesso). Qui entrano in gioco dei fattori che sono funzione del potere contrattuale del fornitore, ma anche del momento in cui la relazione è avviata. Il vino presente sul mercato da tempo, che può contare su una buona notorietà e su probabilità di acquisto elevate, non deve scontare la fase di lancio che è, all’interno del ciclo di vita del prodotto, quella caratterizzata dagli investimenti più elevati. Probabilmente chi desidera collocare per la prima volta il suo prodotto in un determinato canale o mercato di vendita sarà più disponibile a praticare un prezzo più basso. Capita così che lo stesso vino da un anno all’altro possa spuntare delle quotazioni più elevate in considerazione della notorietà acquisita, pur rimanendo intrinsecamente il solito ed essendo prodotto esattamente al medesimo costo. Analogamente, chi lo propone alla vendita deve contemplare esigenze di rotazione (non tutto ciò che invecchia sullo scaffale migliora) ma anche di ammortamento dei costi di struttura, per cui un
locale in Piazza Signoria, a Firenze, dovrà effettuare un ricarico sul costo del prodotto in grado di coprire, per ogni bicchiere di vino, un affitto sicuramente più elevato di quello pagato dalla media degli altri locali di Firenze. Per capirsi, prendiamo ad esempio due locali, A e B, che hanno cinquanta coperti ciascuno, lo stesso volume di fatturato, lo stesso livello di cucina e la stessa dimensione di costi fissi: stessi affitti, stipendi del personale, ammortamenti, utenze e altre spese generali. Con una differenza sostanziale: nel locale A, diciamo la trattoria, i tavoli girano anche due volte nella stessa giornata registrando cento coperti per ogni servizio, (duecento al giorno); nel locale B, il ristorante, i tavoli raramente vengono (segue a pag. 16)
7,5 euro
RICARICO DEL PRODUTTORE 1,6 euro
QUOTA COSTI VARIABILI 1,0 euro Affitti, personale, luce, imposte, leasing, oneri finanziari
se una bottiglia di vino costa 16,50 euro (15,50 + 10% IVA)
RICARICO DEL RISTORATORE 7,5 EURO
costi diretti di produzione 4,4 euro Uve e lavoro, bottiglia, tappo, etichetta, capsula, cartone
1,6 EURO
4,4 euro 0,5 EURO 1,0 EURO
ALTRI COSTI COMMERCIALI 0,5 EURO Agenti, premi, trasporti
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Tre domande al ristoratore e al produttore
Rispondono Maurizio Tafani (ristorante Enotria) e Marco Toti (Direttore Agricoltori del Chianti geografico) Quanto i vini valorizzano un locale e quanto un locale può valorizzare i vini? Tafani: Credo che oggi una grande carta dei vini, ormai alla portata di tutti, valorizzi fino a un certo punto un locale, mentre un locale con la sua proposta mirata può valorizzare un vino. Toti: Il rapporto vino/ristorazione gode sicuramente di una sinergia e perlomeno in Italia l’uno non può prescindere dall’altro, penso però che il locale abbia una maggiore forza nella valorizzazione dei vini che il contrario. Vino a calice, macchine dosatrici, serate di degustazione tematiche: quali sono le idee vincenti per creare curiosità intorno al vino? Tafani: La proposta del vino a calice e il successivo servirlo direttamente dalla bottiglia possono scaturire la curiosità non solo del cliente ma anche delle persone accanto. Le macchine dosatrici, perfette per la conservazione del vino, annullano il momento magico del servizio al tavolo e del contatto del cliente con la bottiglia. Le serate a tema soffrono un po’ per l’uso improprio che se ne fa, il discorso cambia se il vino viene proposto in abbinamento al cibo. Toti: Tutto quello che può aiutare il consumatore a una scelta intelligente e mirata può favorire a creare interesse, e curiosità, intorno al vino. Credo che la proposta a bicchiere oppure lo stimolare il cliente a portarsi a casa la bottiglia di vino non terminata siano le due strade principali per mantenere il livello di vendita interessante e rendere anche il conto più apprezzato. Fatto 5 euro il prezzo franco cantina, qual è secondo te la giusta forbice di ricarico in enoteca e al ristorante? Tafani: Fatto cinque il prezzo al ristorante dovrebbe essere 12/15 e 8/10 in enoteca da asporto. Ma il ristorante che non ha servizio di sommelier dovrebbe, a mio avviso, avere un ricarico inferiore. Otterrebbe una rotazione più veloce del magazzino e il vino non diventerebbe un costo. Per questo la forbice dovrebbe essere fatta a scaglioni di prezzo d’acquisto. 100% per vini fino a 10 euro, 50/60% tra 10 e 25 euro e 30/40% per vini più cari. Nel caso di enoteca con asporto il ricarico cambia. Toti: Penso che un eccessivo ricarico comprometta il consumo del prodotto e anche il guadagno del ristorante. Il ricarico dei vini dovrebbe essere fatto considerando la tipologia del prodotto: vini di alto prezzo non dovrebbero superare il doppio del prezzo di acquisto; mentre prodotti di prezzo medio e medio basso potrebbero oscillare fra le due e le tre volte rimanendo competitivi. (C.M.)
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(segue da pag. 15) occupati una seconda volta e nel corso della giornata se ne ricoprono al massimo un centinaio. Quindi, se il fatturato dei due locali è lo stesso, il prezzo medio del ristorante dovrà essere doppio di quello della trattoria: a parità di coperti serviti in un mese si calcola un guadagno (prezzi di vendita meno costi di acquisto) differente per due locali di fatto simili, ma che si posizionano in maniera molto diversa. La differenza tra il prezzo di vendita e il costo di materie prime come carne, pesce, pasta, ma anche bottiglie, dipende non solo dal livello di costi fissi che è necessario coprire, ma anche dal numero di vendite realizzate.
I conti in tasca Vendere a 22,50 euro un Nobile di Montepulciano pagato 7,50 euro o venderne due a 15 euro l’uno è la stessa cosa in termini di guadagno netto: la differenza tra prezzo di vendita e costo di acquisto, destinata a coprire i costi fissi, è sempre di 15 euro. Di fatto, anche se differenze estreme non sono mai del tutto giustificabili, i locali possono, e in alcuni casi devono, far pagare prezzi diversi per prodotti che sono acquistati allo stesso costo e che noi stessi possiamo trovare presso la grande distribuzione organizzata. Il produttore è oggi poco o per niente in grado di controllare le dinamiche che interessano il viaggio del suo prodotto verso il cliente finale. Per questo i viticoltori o gli imbottigliatori devono essere almeno certi del costo con cui esce dalla cantina. Solo sulla base di questo è possibile gestire consapevolmente la fase negoziale, che consentirà la sua corretta collocazione in relazione al posizionamento atteso. Un obiettivo forse meno semplice della scelta che ci spetta quando scorriamo la carta dei vini, ma probabilmente da questa molto meno distante di quanto crediamo. *Luigi Pittalis, oltre che ideatore del progetto Staseranonesco, è consulente aziendale dal 1997. Quando possibile, coniuga la sua passione per la tavola alla professione nella cucina della Brogi & Pittalis (www.direzionebp.com).
Il caffè? Te lo spiega chi lo fa di Marco Ghelfi
Stiamo diventando un popolo di degustatori. Tra vino, olio, grappa, formaggio e chi più ne ha più ne metta, si sprecano ormai incontri e serate per raccontare come assaggiare quello, come nasce quell’altro, come riconoscere quell’altro
ancora. Ma a spiegarci le caratteristiche che deve avere un buon caffè, bevanda fra le più consumate e rappresentative del Bel Paese, chi ci ha mai pensato? A colmare il vuoto arriva Mokarico, storica torrefazione fiorentina con sede a Borgo San Lorenzo, che ha da poco lanciato l’iniziativa “Sveglia, è il tuo Espresso!”: un calendario di incontri mensili gratuiti, organizzati tra Firenze e il quartier generale del Mugello e visionabile sul sito aziendale (www. mokarico.com), pensati per fornire al consumatore tutti gli strumenti utili per poter riconoscere, e pretendere, un espresso degno di tale nome. Il tutto condito da notizie storiche, aneddoti e curiosità legati al mondo del
caffè. Si tratta di un’autentica novità, la prima iniziativa di questo tipo a livello nazionale che parla appunto al consumatore finale. Sul mercato non mancano infatti corsi a tema, rivolti però in genere a baristi e operatori del settore. Nessuno aveva insomma pensato a chi il caffè lo beve tutti i giorni, con serio rischio di veder compromessa l’agognata pausa caffè – e magari pure l’umore – a causa di una tazzina di simil-espresso. Il progetto porta la firma di Marco Paladini, titolare Mokarico e vice presidente dell’Inei (Istituto Nazionale
Espresso Italiano), da anni impegnato in iniziative di sensibilizzazione e tutela dell’autentico espresso italiano, di cui ha addirittura stilato una sorta di decalogo con tanto di descrizione di colore, profumi e sensazioni gustative che non possono proprio mancare, e di numeri: 7 grammi di miscela; 88 gradi di temperatura dell’acqua; 9 bar di pressione; 25 secondi di tempo di erogazione; 25 ml di caffè nella tazzina, crema compresa; 67 gradi di temperatura del caffè in tazza. E il vero Espresso, quello con la E maiuscola, è servito.
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Lo importiamo da mezzo mondo. In Toscana sta sparendo. E intanto mangiamo pasta e pane fatti con chissà cosa
Che ne sai tu di un campo di grano di Chiara Tacconi
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rovate a immaginare le campagne della Val d’Orcia o della Maremma senza i campi di grano. È uno scenario possibile che tutti i contadini e le organizzazioni di agricoltori ci stanno mettendo sotto gli occhi. L’Italia è il Paese leader mondiale nella produzione di pasta. Se chiedi ai consumatori italiani, quasi tutti sono convinti di mangiare pasta e pane fatti con farina nazionale. Ma i campi di grano stanno scomparendo e per la prossima stagione molti contadini sono decisi a non seminare. I terreni resteranno incolti o al massimo vi vedremo crescere un po’ di foraggio. La Toscana, che è (era) tra le prime regioni produttrici di grano duro, in crisi nera. I paesaggi dorati da cartolina trasformati in appezzamenti di trifoglio. Maria Cristina Rocchi, responsabile Donne Impresa Toscana di Coldiretti e presidente del Consorzio Agrario di Siena, non si dà pace: «Ci rimettono tutti, l’ambiente, l’industria, il consumatore, la bellezza del territorio». Stessa musica alla Cia: «Con i prezzi di oggi – spiega Alessandro Del
Carlo, della presidenza toscana – non si coprono nemmeno i costi di produzione; solo nel 2009 il crollo dei redditi degli agricoltori è stato del 25 per cento».
Cosa dicono gli agricoltori «Ci si rimette anche il 70% – spiega Giacomo Taviani, agronomo, responsabile tecnico di Toscana Cereali, organizzazione che raccoglie oltre 4350 aziende agricole del settore – perché il mercato è invaso da grano di dubbia qualità che arriva da tutto il mondo». Ovvero dal Nord Africa o dal Kazakistan o dalla Turchia e non sappiamo come è stato concimato, trattato, stoccato. Problemi alle dogane, pochissime industrie che comprano e fanno il prezzo che vogliono, l’ombra della speculazione, costi fissi in aumento: e il risultato è questa crisi. «Ma se gli agricoltori abbandonano le campagne – chiede Luciano Rossi, direttore di Toscana Cereali – chi custodisce il territorio? Vogliamo ritrovarci come a Messina, dove l’acqua scorre sulla terra incolta e trascina via tutto? Noi facciamo contratti con i contadini, stabiliamo prezzi predefiniti e premiamo chi lavora bene. Ma non basta: la massificazione del gusto dei consumatori su pane e pasta e l’assenza della politica ci stanno rovinando».
E gli artigiani della pasta? «La nostra miscela è fatta per il 70% di grano della Maremma e per il 30% di grano canadese»: i Martelli fanno pasta da ottant’anni; a Lari, tra le colline pisane, preparano la pasta tradizionale come
amano definirla, e la spediscono a mezzo mondo, nei sacchetti gialli con le scritte in corsivo. «A livello industriale la pasta è essiccata rapidamente a temperature così alte che è quasi precotta. È per questo che è quasi impossibile sbagliare la cottura. In una pasta quello che conta è l’essiccazione, la materia prima e l’acqua vengono dopo. Noi ci mettiamo cinquanta ore a 35 gradi per essiccarla, un’industria cinque ore (a 80 gradi); in più gli stampi industriali in teflon costringono a inventarsi formati che trattengono il sugo (come le penne rigate). Con le alte temperature posso usare anche grano che viene dalla Turchia o dall’Est Europa (che è... diverso, per non dire peggiore)». Il made in Tuscany? «Può avere un futuro, purché sia fatto bene, con attenta selezione dei grani migliori». D’accordo anche Giovanni Fabbri, del pastificio artigianale Fabbri da un secolo nel Chianti fiorentino. Ma sulle materie aggiunge: «Gli agricoltori toscani devono mettersi in testa di fare un prodotto ottimo. La terra è troppo sfruttata, bruciata, ci vogliono le rotazioni e altri tipi di concimazione». E per questo si è lanciato nella riscoperta di vecchie varietà. Come il grano Senatore Cappelli, abbandonato quasi ovunque perché con spighe altissime (e difficili da lavorare) e basse rese. Vedere per credere alle tenute Renzo Marinai di Panzano in Chianti, dove la battitura del grano è ancora una festa, con le spighe che svettano e hanno bisogno di macchine antiche e tanta pazienza. Ma Fabbri giura che ne vale la pena: «La pasta fatta con il semolato di Senatore Cappelli, coltivato con metodo biologico, è più scura, ha un sapore intenso, profuma di pane appena sfornato e di erba. Va gustata con poco condimento. Costa molto, anche 5-6 euro a pacchetto, ma ha un altissimo valore nutrizionale».
Filiere e farfalle Produzioni di qualità, filiera corta e tracciabilità: unica ricetta per recuperare un’agricoltura in via d’estinzione? «Cominciamo a indicare, per legge, sulle
E intanto il pane toscano aspetta la Dop
L’Arsia insiste pazientemente, anche se le speranze diminuiscono: la domanda per la Dop del pane toscano è ferma al Ministero dal 2001. Richieste sempre più difficili e silenzi sempre più lunghi da Roma farebbero pensare a una mancata volontà. Ora il pane toscano può farlo chiunque dovunque. Ma se passa la Dop, solo chi lavora bene e usa farine toscane può fregiarsi del nome. E gli interessi economici in gioco sono davvero molti. etichette della pasta da dove vengono le materie prime; poi saranno i consumatori a scegliere» insiste Rocchi di Coldiretti. Qualche bel progetto di nicchia c’è già e funziona, si affaccia sugli scaffali dei supermercati, e avrebbe bisogno, dicono, solo di essere più conosciuto. Come la pasta “La Tosca”, che si fregia della farfallina bianca, marchio Agriqualità concesso dalla Regione Toscana e da Arsia. Agricoltura integrata, a basso impatto ambientale; grano duro toscano; essiccata a medie temperature; e un prezzo più che accessibile. E il pane? «Il 99% del cosiddetto pane toscano, di locale ha solo l’acqua dell’acquedotto – dice Taviani – il lievito di birra perdona anche farine non eccelse e invece la lievitazione naturale richiede frumento molto elastico e di forza, cosa che il grano toscano può assicurare». Ecco allora da cinque anni il Pane del Mugello, sempre a marchio Agriqualità; anche qui la lavorazione più curata e la lievitazione naturale esaltano le materie prime di pregio, la farina tipo 2 macinata a pietra, e la cottura a legna fa il resto. Al palato la differenza si sente, è un pane che si conserva bene per giorni; viene venduto in alcuni supermercati e in qualche forno. Certo, costa circa 3,75 euro al chilo, ma da qualche mese viene prodotta anche una bozza da mezzo chilo a 1,30 euro, la cottura non è a legna ma è un ottimo compromesso qualità-prezzo. Anche il Consorzio agrario di Siena sta per lanciare una pasta toscana al 100% (grano, mulino e pastificio). Già producono il pane verna, una chicca per intenditori.«Non posso pensare che il grano sparisca – conclude Maria Cristina Rocchi – e che l’industria della pasta rimanga italiana solo di nome. Ma dobbiamo essere ottimisti».
Maria Cristina Rocchi
Interviste e approfondimenti sulla pasta, il pane e le farine in Toscana su www.golagioconda.it (sezioni Terra e Assaggi)
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Applausi e spaghetti L’intervista impossibile
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ncontro Enrico Caruso, il celebre tenore napoletano che raccoglie successo e consensi da una parte e dall’altra dell’Atlantico, nel parco della sua splendida villa, sulle colline di Lastra a Signa, poco lontano da Firenze. È una bella mattina di inizio primavera, il sole tiepido invita a fare due passi. Camminando, gli chiedo: Signor Caruso, lei vive bene dappertutto: tra la folla di New York, vicino al mare di Napoli, nel verde della campagna toscana... Ah, l’America: mi adorano. Se uno si vuole sentire veramente importante, là deve stare. Mi piace perché è un paese veramente democratico, ma la gente sente il fascino della personalità; e io, se permette... Oddio, ogni tanto ti stanno troppo addosso, però lo fanno perché ti vogliono bene, assai. E la sua Napoli? Lassàmme sta’... io non capisco... ero reduce dai soliti trionfi raccolti in tutto il mondo, mi esibisco nella mia città e che trovo? Distacco, freddezza. Io penso: è invidia. Guardi, sono rimasto veramente amareggiato: ho interrotto le repliche e ho giurato di non cantare più a Napoli. Ci torno solo per mangiare i miei adorati vermicelli.
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A Napoli, Firenze o Nuova York, l’importante è che il sugo sia buono. Parola di Enrico Caruso di Sergio Lo Monte
E qui in Toscana come si trova? Bene, benissimo. Non so come mai, queste colline, così morbide, dolci, commoventi nella loro bellezza, mi ricordano il mare. Ma torniamo ai vermicelli. Vermicelli, bucatini, spaghetti: vanno bene tutti, purché raccolgano bene il sugo, lo tengano bello stretto e lo accompagnino prima in bocca e poi nello stomaco: che delizia. Un grande buongustaio, dunque. Guardi, io vado fiero della mia reputazione di eccellente forchetta e di ottimo cuoco. Più che di quella di grande tenore?
Bucatini alla Caruso
(ricetta e foto tratte da www.academiabarilla.it) Ingredienti (per 4 persone): 300 g di bucatini, pomodoro sammarzano freschi o pelati q.b., 1 peperone dolce rosso o giallo, 4 zucchine, 2 spicchi d’aglio, 1 peperoncino, olio extravergine di oliva, origano, basilico, prezzemolo. Tempo di preparazione: 25 minuti Tempo di cottura: 12 minuti Far soffriggere nell’olio gli spicchi d’aglio tagliati in quattro; quando cominciano a imbiondire, toglierli e unire i pomodori a pezzetti e il peperone tagliato grossolanamente. Alzare la fiamma e aggiungere al sugo l’origano, il peperoncino sbriciolato, abbondante basilico. A parte, friggere dopo averle infarinate le zucchine tagliate a rondelle. Cuocere la pasta al dente in acqua salata, scolarla e condirla col sugo, le zucchine fritte e una spolverata di prezzemolo. E che c’entra? Cioè... c’entra... le due cose stanno bene insieme: il canto è passione, impegno, fatica, lavoro, successo; la cucina è divertimento, gioco, stare con gli amici, è piacere puro. Ma anche la cucina le ha dato fama! Pure troppa! Mi piace far vedere che sono un bravo cuoco, mi piace mangiare in compagnia; insomma mi esibisco anche senza cantare: quando vado al ristorante – succede soprattutto quando sono a Nuova York – voglio fare vedere ai padroni del ristorante come si deve cucinare e condire la pasta. Quando abitavo all’albergo York nella Settima Avenue, non distante dal Metropolitan, invitavo gli amici e preparavo per loro in cucina gli spaghetti con una salsa che non è niente di eccezionale: pomodori freschi sminuzzati, basilico e peperone rosso che si cuociono nell’olio; prima di portare il piatto in tavola, sopra gli spaghetti metto un po’ di zucchine fritte, tagliate a disco; chi vuole può grattarci sopra un po’ di
formaggio. Un trionfo! Li hanno chiamati Spaghetti alla Caruso e da allora non so se sono più famoso per la mia voce o per i miei spaghetti! Nessun problema allora? Maronna, fusse ‘o vere... Ogni volta che entravo al ristorante, la gente mi riconosceva, mi pigliava a guardare e si domandava come avrei mangiato gli spaghetti: con la forchetta? Tenendola con la mano destra o con la sinistra? Li avrei avvoltolati? E come avrei tagliato gli spaghetti pendenti? Col coltello o col cucchiaio? Una sera, però, non stavo né in cielo né in terra, insomma non ero dell’umore giusto, e sentendo tutti quegli sguardi addosso, mi vennero i cinque minuti: buttai la forchetta, acchiappai una manciata di spaghetti alla pommarola e me li misi dint’ a vocca. Mi allordai faccia, cravatta e vestito! E mi tornò il buon umore. Non serve quindi solo a nutrirsi il cibo? Mangiare serve anche all’anima. È come la musica: mette in pace con se stessi; oppure ti agita, ti calma, ti aiuta, ti fa stare meglio con gli altri. Bene, si è fatto tardi, sarà sicuramente impegnato... Sì, è l’ora di pranzo, devo fare da mangiare. Buon appetito, signor Caruso.
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in carne e ossa
Chef nel mondo di Leonardo Romanelli
Una volta partire per l’estero era una tappa obbligata, nella formazione di un cuoco: finita la scuola alberghiera, per chi la faceva, iniziava la ricerca del paese nel quale andare a fare pratica. Chi voleva seguire i dettami rigorosi della cucina internazionale, sbarcava in Francia, altrimenti, per ripassare bene l’inglese e magari trovarsi in un ambiente meno paludato, la scelta cadeva sull’Inghilterra. Negli Stati Uniti ci si arrivava dopo aver provato un’esperienza in Europa, ma ancora era del tutto vergine il Medio Oriente: è poi arrivata la moda della cucina italiana in Giappone e in Corea. Ci sono cuochi italiani che lavorano in Corea, in Islanda (!), in Brasile, un po’ dappertutto insomma, e ora si sono riuniti in un’associazione, il Gruppo Italiano Cuochi Virtuali, presieduta da Mario Caramella, uno dei fondatori, che lavora oggi in Indonesia, dopo aver avuto esperienze a Hong Kong e in Australia. L’associazione nasce per salvaguardare l’identità di una cucina che, spesso, all’estero, viene semplicemente scopiazzata. «Bollini e targhe servono a poco se il cliente non le riconosce» afferma Caramella. «Un evento mediatico di livello mondiale con nomi altisonanti dello spettacolo, dell’arte e della cultura, da accomunare ai migliori cuochi
italiani all’estero, potrebbe amplificare e mandare a tutti il nostro messaggio». Manca un’adeguata protezione del patrimonio alimentare italiano da parte delle nostre istituzioni, anche se molto è stato fatto, rispetto, al passato. «Ricordo nel ’91, a Hong Kong, l’importatore di prodotti italiani aveva 10 pagine nella sua lista dei prodotti, e forse solo mezza era composta da prodotti italiani. Il fornitore si chiamava Food from France: bene, lo stesso fornitore nel ’93 cambiò nome e la lista dei prodotti italiani era aumentata di diverse pagine, a scapito dei prodotti pseudo italiani prodotti in Australia o in Danimarca». Il lato positivo di molti cuochi è che non si fermano all’estero senza più mettere piede nel paese natìo ma, anzi, si tengono aggiornati sulle novità che riguardano tecnologie all’avanguardia, scoperta di prodotti agroalimentari da valorizzare, piatti nuovi da assaggiare. La storia di Michele Brogi è esemplare: dopo alcune esperienze in Toscana ha spiccato il volo per l’Inghilterra, dove ha lavorato nelle prestigiose cucine dell’Hotel Savoy, quello dove fu chef de cuisine il grande Auguste Escoffier, per poi fare esperienza in molti locali di cucina italiana. Poi la grande decisione: torna in Italia e riamane per quattro anni all’Enoteca Pinchiorri, dove diventa il responsabile della
Mario Caramella
Michele Brogi
pasticceria. «L’esperienza a Firenze è stata basilare per la mia formazione – racconta Brogi – ma poi ho sentito l’esigenza di partire di nuovo e tornare nel Regno Unito». Non sempre è facile tornare in Italia se si è abituati a ritmi diversi di lavoro e a una considerazione del mestiere del cuoco che, spesso, in altri paesi è nettamente superiore. Massimiliano Guerri, diventato ormai per tutti Max, risiede a Miami dal 1992 ma tutti gli anni, in estate, torna a Cascia, minuscola frazione di Reggello, vicino a Firenze, per trovare sua madre e cucinare con lei. «È una gran cuoca – afferma Max – e mi diverte mettermi a cucinare insieme a lei e alle sue amiche in occasione delle feste popolari». Dopo aver lavorato in vari ristoranti, ha poi aperto il suo locale Matterello, dove si distingue per la preparazione del
Emanuele Lattanzi
pane. «Tecnicamente è una bakery spiega Guerri – ma qui negli States è possibile anche servire caffè o piatti caldi». Non parla mai di un suo ritorno in Italia in pianta stabile. «Non lo escludo – confessa Max – ma non posso nemmeno affermare che sia in cima ai miei pensieri! C’è poi l’amore, non solo quello per la cucina: Sebastiano Giangregorio si è sposato in Corea del Sud e lì adesso risiede, ad Apkujongdong, dove è un instancabile ambasciatore del Made in Italy in campo alimentare. Infine, i cuochi all’estero sono saliti alla ribalta anche in occasione di eventi che poco hanno avuto a che fare con la cucina: l’ultimo caso è quello di Emanuele Lattanzi, romano di nascita, che si trovava nel ristorante Vetro dell’albergo The Oberoi di Mumbai, due anni fa, quando lo stesso fu attaccato dai terroristi pakistani; commosse il mondo quando riuscì a sfidare la furia omicida per portare il latte alla sua bambina di 6 mesi, Clarice. Sorte peggiore toccò ad Antonio Amato, che perì invece in un altro attacco terroristico, ad Al Khobar, in Arabia Saudita, nel 2004, e alla cui memoria è stato intitolato un premio per giovani cuochi.
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Note allegre e disinvolte a margine del Primo Palio dello Stufato alla Sangiovannese: il piatto, la leggenda, la tradizione, la digestione
L’arte d’affondar i’ddente S
ì, certamente: il Palazzo d’Arnolfo, la Casa di Masaccio, l’Annunciazione del Beato Angelico, l’Assunzione in ceramica di Giovanni della Robbia. E poi, come no, il Conservatorio della Santissima Annunziata, la Basilica di Maria Santissima delle Grazie, la gloriosa Via Maestra che, nel progetto arnolfiano, giaceva sull’asse viario tra Firenze e Arezzo tagliando in mezzo la vallata. Tutto vero. Tutto pregiato. Tutto artisticamente prezioso. E tutto concentrato in un unico Comune, San Giovanni Valdarno, dove io ho aperto gli occhi, pianto a pieni polmoni e detto ‘nghè per la prima volta. Ma dico: quando si ragiona d’affondare il dente? Quando ci si mette a sedere, preferibilmente intorno a una tavola, meglio magari se apparecchiata, e si parla di cose serie? Insomma, icché c’è di bono da mangiare, in questo posto? In fatto di gastronomia, San Giovanni si
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di Antonella Landi*
vanta di tre alimenti. Il primo è il pollo, l’arcinoto “zampa gialla”, appellativo con cui all’Università venivo affettuosamente sbeffeggiata dai miei compagni fiorentini veraci ma che non mi ha mai offesa perché della mia provenienza dal glorioso contado sono sempre stata orgogliosa. Il secondo è la “tarese”, una sorta di pancetta stesa di grandi dimensioni. La su’ morte è accompagnarla col fagiolo zolfino del Pratomagno, che costa come un gioiello. Ma se sono qui, è per svelare tutti i segreti sulla terza specialità culinaria del mio paese natale.
Non chiamatelo spezzatino Chiamatelo spezzatino, e vi farete nemici tutti gli abitanti. Chiamatelo stufato e gli stessi faranno a gara a spiegarvi come raggiungere la Basilica. È lì, nel cuore della cristianità locale, nel fulcro del centro storico, che si prepara, si serve ed eccezionalmente si vende lo stufato, il fiore all’occhiello dei nostri fornelli, l’orgoglio
dei ristoratori e il vanto dei sangiovannesi, così fieri di questo piatto da bandire un concorso in piena regola e chiamarlo Palio. Io ci sono andata, e l’ho fatto per i lettori di questa rivista, che è stata tra gli artefici dell’iniziativa. Ora, se devo dirla tutta ci sono andata anche per la goduria delle mie papille gustative e per la libidine del mio palato, per fare un tuffo nei ricordi e nei sapori dell’infanzia, per mettermi alla prova e vedere se, tra quelli in gara, il vincitore sarebbe stato proprio quello che garbava di più a me. Il Primo Palio dello Stufato alla Sangiovannese ha coinvolto otto stufatari rinomati (l’Osteria dell’Angelo, i ristoranti Las Vegas e Il Palazzaccio, l’antica salumeria Canacci, le gastronomie Da Liliana e Romeo, Da Cindy e Nicola, In porta, e Mariella e Lucia, vincitrici della gara), si è svolto domenica 21 febbraio e ha avuto luogo nei Saloni della Basilica, luogo sacro, come tradizione impone: all’origine di questa misteriosissima ricetta, infatti, c’è niente meno che… la Madonna.
È una lunga storia Risalire all’origine storica di questo piatto è un’impresa parecchio ardua: il terreno è accidentato perché diverse leggende pretendono di raccontarla giusta. Di recente ne gira una inedita alle mie orecchie: essa fa risalire la nascita dello stufato a maestranze provenienti dall’Europa centrale, o forse prigionieri austroungarici della prima guerra mondiale, che importarono il gulasch; oppure a Virgilio Aldinuzzi, arruolato nella prima guerra mondiale e spedito in Libia (ma c’è chi dice Etiopia o Eritrea), che diventò cuoco del reggimento e imparò a usare le spezie mediorientali. Quella che invece mi sono sempre sentita narrare da piccina procede addirittura in versi e dice che nel tempo ch’è detto Carnevale/ alla Basilica, nelle grandi sale,/ si riunivano in tempi ormai lontani/ per far doni alla chiesa, i parrocchiani./ Racconta una leggenda che una donna,/ per onorare meglio la Madonna/ fece un piatto forte e assai drogato/ che battezzò col nome di stufato. All’epoca era difficile conservare a lungo la carne: si vede che quella volta la s’era “frollata” più del solito, forse la
cominciava a puzzare più del consentito e del tollerabile e così quella brava donna c’andò di mano pesante inzeppandola di aromi. Sì, ma icché la ci mise, di preciso?
In principio fu il Pratesi A nessuno è dato di conoscere cosa contiene la misteriosa mescolanza di spezie: vi si intuisce del chiodo di garofano, vi si coglie un retrogusto di noce moscata, vi si percepisce la cannella e ci si sente il piccante, anche se gli stufatari esperti negano la minima presenza di peperoncino. Va bene: ma le dosi? Le dosi non le sa che lui: il Pratesi. Magrissimo e filiforme, calvo e lucido, puntuto e spigoloso, Giorgio Pratesi ereditò l’omonimo negozio dallo zio e, con esso, anche la miscela per lo stufato. A San Giovanni quando si cercava qualcosa difficile da rinvenire nei soliti negozi, s’andava dal Pratesi: lui c’aveva tutto, tanto che girava la battuta che presto si sarebbe messo a fare anche le analisi del sangue. Distinguevano il Pratesi una gentilezza cerimoniosa e la squisita abilità (oggi rarissima) nell’accogliere il cliente, ch’egli trattava al pari di un ospite caro. Ormai il Pratesi ha lasciato l’attività a due coppie che vendono il preparato di spezie per lo stufato al posto suo. Ma i sangiovannesi, quando vanno a comprarlo, dicono ancora (e diranno sempre) “domeni’a si fa lo stufato: vammi da i’ Pratesi a pigliar’i’ drogo”.
Liliana prepara lo stufato nella sua bottega
Il “mitico” Giorgio Pratesi
Assaggi di stufato
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Occhio alle dosi
Una veduta della Basilica di Maria SS. delle Grazie
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Va detto che una ricetta precisa da seguire alla lettera, non esiste. Esistono invece le varianti e le personalizzazioni che ogni stufataro specialista e ogni singola famiglia si prende la libertà di apportare. Ma soprattutto va detto che mettersi a preparare lo stufato per quattro persone è un’eresia. Di stufato ne va fatta una sgomèa. Per una combriccola di 30 persone ci vorranno 12 chili di muscolo della gamba anteriore di bestia adulta, visto che se ne calcola 3 etti a testa; poi ci vorrà un chilo di battuto tra cipolla, carota, sedano e prezzemolo. Bisogna buttare tutto insieme, in un pentolone che sia rigorosamente di alluminio: olio, battuto e ciccia tagliata a dadoni grossolani, evitando di fare il soffritto. Ricordarsi di adoprare l’olio di Pian di Scò e di non allontanarsi dal fuoco per le quattr’ore successive, tanto dura la cottura della pietanza, che ogni cinque minuti va razzolata col mestolo di legno. Quando l’acqua buttata fuori dalla carne si ritira e i pezzi cominciano a fare “i’ muso nero”, è l’ora di versare una bordolese di vino rosso Chianti (che non sia di Montevarchi, per carità
d’Iddio), aggiungere il sale e le spezie del Pratesi, 10 grammi ogni chilo di carne. E, dopo un po’, sciolto in acqua calda (o addirittura nel brodo che ci va messo e che dev’essere di zampa perché si ottenga l’effetto allappante e la lingua simpaticamente s’attacchi al palato), abbondante pomodoro concentrato, che da noi s’è sempre chiamato conserva. Siamo a buon punto: ora non ci vuole che la pazienza di far passare il tempo convenuto, cominciando a inzuppare qualche zoccolino di pane in quel sughino dal paradisiaco sapore.
Ma il bello viene dopo Farei un torto alla verità se scrivessi che lo stufato è un piattino delicato. Io non so come sia proceduta, quella domenica, la digestione nello stomaco dei membri della giuria popolare e della giuria di esperti (capitanata dal enogastrono Leonardo Romanelli e onorata dalla presenza di Fabio Picchi del “Cibreo” fiorentino): nel mio c’è stata buriana fino alla mattina dopo. Però ho goduto tanto. *insegnante e scrittrice www.antonellalandi.com
dottore in allegria
Un contadino in città di Sabino Berardino www.berardino.info unamelalgiorno.wordpress.com
Si parla tanto di biologico, di agricoltura naturale, di “no ogm”, di sostenibilità, di km zero. E viene da immaginarsi tutte queste belle cose “nascoste” in vallate incontaminate, inerpicate su pittoreschi colli. E invece c’è chi si sporca le mani tutti i giorni perché di lavoro fa il contadino e, per giunta, lo fa a Firenze città, alle porte di Coverciano. Si chiama Antonio Banducci, ed è il titolare dell’Azienda Agricola La Talea. Ma chi è Antonio Banducci? Antonio Banducci è un ragazzo, classe ‘78, diplomato all’Istituto tecnico agrario di Siena; dopo varie esperienze lavorative in aziende agricole e come imprenditore artigiano nel settore giardinaggio, sofferente per il ritmo incalzante della società, prima per scherzo e poi molto seriamente mi sono lanciato in questa nuova dimensione, l’agricoltura. Coltivo la terra, in particolare gli ortaggi, riscoprendo la semplice meraviglia della vita seguendo i cicli delle piante, rispettando le leggi della natura. Da tre anni cerco di coltivare i terreni della mia azienda agricola con metodiche
Antonio Banducci e le sue coltivazioni
naturali e biodinamiche, incontrando difficoltà, subendo sconfitte, ma ricevendo anche tante soddisfazioni. Hai mai pensato “chi me l’ha fatto fare”? Ci sono momenti in cui sembra tutto nero e in cui gli sforzi necessari per andare avanti sembrano troppo grandi, ma la natura, una grande mamma, mi ha saputo sempre incoraggiare. Quali sono i problemi reali di chi, come te, ricava il suo reddito unicamente dal lavorare la terra ? Parlando concretamente, i problemi più grandi, di cui non si vede la soluzione, sono quelli creati dall’uomo (burocrazia, norme, leggi...) e per finire, una volta ottenuto
un prodotto, lo devo vendere a un prezzo congruo e magari a qualcuno che apprezzi gli sforzi e la filosofia che sono stati impiegati. Commercializzare i miei prodotti, che sono naturali e pertanto non omogenei e molto stagionali non è cosa semplice. Sicuramente la società sta distruggendo e facendo dimenticare la nostre origini e i ritmi naturali di vita, quindi è molto comune sentirsi chiedere quale sia la verdura di stagione. Ci sono tante persone, molte delle quali giovani, che si stanno ribellando alla grande distribuzione che ha sempre tutto disponibile e che non deve o non vuole dare conto della “storia” del prodotto in vendita: è sufficiente puntare sull’apparenza e sul teorico basso costo, teorico perché non sono praticamente mai calcolate la qualità e la sostenibilità delle pratiche di coltivazione. Ci sono agricoltori e consumatori che si stanno
mettendo in discussione per creare nuove reti di realtà sociali (gas, certificazioni partecipate, mag...): un settore in rapido sviluppo, stiamo cercando forme comuni per garantire al consumatore il livello qualitativo dei prodotti. “Buono, pulito, giusto” è l’accattivante slogan del fondatore di Slow Food, Carlo Petrini: cosa ne pensi? Come si fa a dire chi è buono? Io penso che sia chi cerca di fare del suo meglio… Gli ortaggi, rigorosamente stagionali, da agricoltura naturale di Antonio Banducci sono in vendita presso la sua azienda agricola “la Talea” a Firenze (zona Coverciano): chi va a comprare può vedere direttamente cosa succede nei campi. Martedì e giovedì pomeriggio (16-19), mercoledì e sabato mattina (9-13) è il momento per andare, vedere, comprare e fare due chiacchiere con Antonio, che si divide tra il campo e la vendita diretta al consumatore.
Azienda agricola La Talea Via della Torre, 18 (50135) a Firenze. Lo trovate anche su internet, www.latalea.it, e, di questi tempi, ovviamente anche su Facebook. Provare per credere!
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andante con moto
Il fast food lungo l’autostrada, e non solo di Dino Giannasi
Il mio target è semplice: tenere le due lancette in verticale. In sesta marcia a 5000 giri sono a circa 120 km/h, che sarebbe una buona media. È venerdi mattina e devo ancora fare tanta strada, ma sono stato preso dall’entusiasmo e non posso più tornare indietro. Però sono contento, perché questa è una di quelle cose che di solito si fanno da giovani scriteriati, quando il gusto per il viaggio, per l’avventura e per le imprese un po’ pazze trova terreno fertile. Poi dopo averla pensata la dici, i genitori ti tirano uno scapaccione e ti riportano a più miti consigli. Quando il mio amico Luca ha detto che aveva terminato di mettere a posto la nuova casa e che dovevo andare a trovarlo al più presto, l’ho preso in contropiede: “Mmhhh, ti va bene sabato sera per cena?”. “Davvero? Non scherzi? Sarebbe stupendo! Ti passo a prendere in aeroporto, solito volo diretto?”. Prendendo in contropiede anche me stesso e con una di quelle folgorazioni che non si sa quanto è bene avere, ho risposto spavaldo: “No, grazie, ci penso da solo, non so a che ora arrivo, ti telefono io”.
Luca abita a Madrid, anzi un po’ fuori, sulle colline che dominano l’aeroporto di Barajas dove lavora. Invece di un tranquillo volo di due ore mi sono assicurato una cavalcata autostradale di due giorni in moto in solitaria…
Gli svincoli micidiali di Genova Sono arrivato abbastanza bene a Genova, anche se il traffico è sempre un caos di auto e camion e per passare da levante a ponente c’è il famoso dedalo di “svincoli micidiali” del capoluogo. Il primo incontro gastronomico del viaggio è avvenuto sulla A10 ed essendo in piena Liguria all’area di servizio non potevo che prendere un classico Camogli con aranciata amara. Sarò perverso, ma la ristorazione autostradale mi ha sempre attirato: quelle vassoiate di panini, focacce ripiene, sandwich, tranci di pizza (un po’ risecchita, ma tant’è) in opulenta esposizione con i loro colori e i nomi evocativi hanno fatto un po’ la storia della mobilità italiana: Rustichella (il più venduto), Capri, Bufalino, Camogli (è quasi un trentenne, è nato nel 1981), Icaro, fino al simpatico Panchito… Qui ho chiesto per l’ultima
L’area che simboleggia il Meridiano di Greenwich
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volta un caffè lungo, perché dopo il confine finalmente riuscirò ad avere una tazza piena. L’ho detto, sono perverso…
Vuoi passare? Un fiorino.... Come ogni volta mi sono stupito passando il confine, quando il cambio è realmente tangibile: l’asfalto è diverso
(migliore), la segnaletica è diversa (migliore), l’illuminazione delle gallerie è diversa (migliore), la condotta di guida degli automobilisti francesi nei confronti dei motociclisti è diversa (migliore), anche il paesaggio, la costa e il mare sembrano più belli. Peccato che tutto questo venga guastato dal perfido sistema di pagamento del pedaggio della A8 Provenzale, dove tocca fermarsi ogni poco per dare gli spiccioli al gentilissimo casellante francese: fermati, leva il guanto sinistro, apri il borsello fissato al manubrio, prendi gli spiccioli senza farli cadere, dalli al casellante, prendi l’eventuale resto, mettilo nel borsello senza farlo cadere, chiudi la zip, rimetti il guanto sinistro, saluta e riparti. Passato il trafficato nodo di
Nizza ho lasciato la Costa Azzurra e adesso corro nella splendida Provenza. Corro… insomma, devo rallentare perché si procede sempre più piano e pare che… ma ora si va a passo d’uomo e mi sembra che… C’è una coda, una maledetta coda, lo spauracchio di ogni motorizzato. È tutto bloccato, la gente scende e non c’è altro da fare che spengere il motore e sgranchirsi le gambe, c’è un incidente grave più avanti. Quando si riparte piano piano ho perso un bel po’ di tempo sulla mia tabella di marcia ma era una cosa messa in conto, qualche intoppo c’è sempre. Sono nei pressi di Arles, con la Camargue alla mia sinistra quando decido che è una cosa saggia fare lo stop a breve: sono abbastanza stanco, tra un po’ devo rimettere benzina e questo sole che tramonta giusto in faccia sarà romantico ma è scomodo per guidare.
Le bistecche del Far West Mi fermo all’Ibis di Nimes, a due passi dall’autostrada, quello che adesso desidero di più è togliermi l’armatura da motociclista, fare una doccia
Plaza Alonso Martinez
Info
http://www.buffalo-grill.fr/ http://www.lacroissanterie.fr/ http://www.autoroute-hotel.com/index.php http://www.patatinpatatan.es/ The Wok: http://www.clubvips.com Subiendo al Sur, Calle de Ponciano 5, Madrid, +34 915 481 147 Consigli, dritte e altro ancora su: http://www.quidanoi.com/
scamone e patate fritte, con cottura au point, molto cruda non mi piace… Non hanno la mia torta preferita, la tarte Tatin con la panna liquida (e siano benedette le sorelle Carolina e Stephanie Tatin che l’hanno inventata), quindi ripiego su un cheesecake. Lascio 25 euro e me ne vado a dormire di buon’ora. L’interno del “Plaza Norte”
e due passi per andare a cena. In Francia è un po’ come giocare in casa e uno dei miei riferimenti quando viaggio è “Buffalo Grill”, una catena di ristoranti che dal 1980 è cresciuta fino a diffondersi anche in altri paesi. L’idea è semplice: la carne al centro e tutto il resto intorno, in un ambiente con arredi in legno e rustici, con travi, panche e tavoli che rimandano alle steak house americane. La sua insegna è un elemento familiare e onestamente trovo il rapporto qualità-prezzo buono, migliore di quello di altre catene di ristoranti. Vado sul classico: pavé de rumsteck, ossia filetto di
Dalla Francia alla Spagna Come al solito in hotel mi sveglio ai primi rumori altrui. Considerato che mi aspetta una giornata lunga mi rimetto in marcia presto, ma non prima di una colazione consolatoria con tanto caffè e paste dolci alla locale “La Croissanterie”. Imbocco la A9 verso ovest e poco dopo Perpignan è già ora di una nuova sosta benzina-bagnoristoro. Nei pressi c’è una simpatica area che si chiama “Village Catalan”, fatta come un piccolo borgo che offre tutto, dall’hotel ai negozi, dal ristorante al self-service. Anticipo il pranzo con un robusto spuntino a base di salsiccia con spezie e carote... Oggi sarà così, piuttosto che una immane tirata fino a destinazione piccole soste per non arrivare cotto a puntino. Confine Francia-Spagna, Costa Brava, Barcellona, dove si lascia la AP7 per la AP2, Catalogna e Aragona dove si passa dall’inizio del mondo, cioè si attraversa il meridiano di Greenwich nei pressi di Peñalba; e poi le distese di pale eoliche a Saragozza dove si prende la A2, poi c’è la Castilla-La Mancha. È sera quando passo da Guadalajara e sento un po’ aria di casa. Conosco bene questa zona: Alcalà de Henares con la sua storica
università e i nidi delle cicogne sui tetti, Torrejon e poi il dedalo di strade, superstrade, tangenziali, autostrade intorno a Madrid che non imparerò mai... Ma ci sono quasi, prendo la rampa di uscita a destra dopo la base aerea, si sale su per la collina ed ecco il nuovo quartiere residenziale. Spengo il motore davanti alla porta: ho il sedere indolenzito e spiattellato come le gomme, gli occhi mi bruciano un po’ e ho il formicolio alle mani. Ho percorso 1.700 km, ho preso una dozzina di caffè, ho fatto una decina di soste bagno e benzina, ho avuto tre attacchi di crampi, ma ci sono, in tempo per una cena con orario spagnolo...
Tutto un mondo di cibo Una colossale dormita. A metà giornata mi sento pronto ad affrontare il tour madrileno che inizia con il rito della visita al centro commerciale più grande di Spagna, il “Plaza Norte” di San Sebastian de los Reyes (pochi chilometri a nord della capitale), un monumento allo shopping, al kitsch, alla gastronomia mondiale. Qui ci sono infatti ristoranti di tutti i tipi e per tutti i gusti e nonostante la (cattiva) fama che di solito circonda questa ristorazione io trovo divertente andare a pranzo qui anche senza avere il fegato di Chuck Norris. Divagando per una volta dal mitico “Patatìn Patatàn” con i suoi menu tutti basati sul tubero in questione – da provare la sontuosa Rueda –, stavolta scegliamo l’asiatico “The Wok” con le sue rivisitazioni di piatti orientali: in ogni caso non perdo l’occasione di bere una fresca clara,
Il traffico serale sui viali di Madrid
ovvero una miscela di birra e limonata, più o meno quella che in Francia è panachè e in Inghilterra una shandy. Con 20 euro siamo a posto e puntiamo su Madrid città per un pomeriggio ozioso. Il traffico serale tra il Paseo de la Castellana e il Paseo del Prado è intenso, ma noi percorriamo a piedi la Gran Via per cenare in un locale che mi piace molto vicino a Plaza de España: “Subiendo al Sur” è una cooperativa che gestisce il ristorante, il negozio, la libreria e lo spazio culturale, tutto ispirato al commercio equo e solidale. Si mangia con pochi euro scegliendo tra piatti di diverse culture, dal latinoamericano al nordafricano all’asiatico, guardando le belle foto in bianco e nero appese alle pareti. E prima di uscire non dimentico di comprare una bottiglia di vero rum cubano Liberación, per la quale avevo lasciato un apposito spazio nella borsa della moto e che farà compagnia a quella di malaga Virgen presa nel pomeriggio al centro commerciale. Così al ritorno a casa nessuno potrà dire che ho fatto un viaggio a vuoto...
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winelovers
Esperimenti, arte e formazione di Daniela Lucioli
Il nuovo Morellino criomacerato Dopo anni di sperimentazioni sulla macerazione prefermentativa a freddo delle uve sul Brunello di Montalcino, è nato il primo Morellino criomacerato della Fattoria dei Barbi. Da tempo, il produttore Stefano Cinelli Colombini studia metodi naturali che portino la qualità del vino ai livelli delle vendemmie straordinarie, caratterizzate da climi più rigidi. Il progetto ambizioso della macerazione prefermentativa a freddo, iniziato in collaborazione con l’Università di Pisa, prevede l’uso di ghiaccio secco per raffreddare le uve e riprodurre con continuità quei fattori di temperatura e di macerazione delle bucce che la natura offriva in passato, o che si verificavano solo in condizioni molto particolari. Con questo metodo non solo si ottengono vini più strutturati, con intensità cromatica maggiore e persistenti al gusto e all’olfatto, ma si registra anche un notevole risparmio energetico, grazie alla riduzione dell’uso degli impianti di raffreddamento del mosto, e una diminuzione dell’uso dell’anidride solforosa, a tutto vantaggio della salute dei consumatori.
Un festival in onore del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene Il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore è protagonista assoluto di Vino in villa, dal 15 al 17 maggio al castello di San Salvatore di Susegana
(Treviso). Un festival a tutto tondo dedicato non solo a questo spumante italiano ma anche al significato della denominazione Docg, cioè di origine controllata e garantita, la massima onorificenza assegnata ai vini italiani. Per festeggiare la “nuova identità” sono state invitate le altre 43 Docg. Tavole rotonde, degustazioni, incontri presentati da esperti di enogastronomia saranno all’ordine del giorno, dando spazio anche all’arte con le opere di Cima da Conegliano, pittore del XV secolo, considerato uno dei padri del paesaggismo italiano. Attraverso i suoi dipinti si potrà vedere come è cambiato lo scenario delle colline del Prosecco Superiore dal Cinquecento ai nostri giorni.
Vino e arte al Molino di Grace Se vedete spuntare tra i vigneti di Panzano nel Chianti delle enormi statue, allora vi trovate nella tenuta del Molino di Grace, acquistata nel 1995 da Frank Grace, che in solo pochi anni ha realizzato una moderna cantina con vini prodotti e imbottigliati in azienda utilizzando materiali biologici e tecniche ecosostenibili. Sculture e dipinti adornano la villa e i vigneti; l’ultima installazione in casa Grace è San Francesco delle Vigne,
una scultura in bronzo di 8 tonnellate e alta 8 metri, creata dallo scultore Sandro Granucci e posizionata tra i filari. L’opera rappresenta «un tipo di spiritualità unico che unisce la mia famiglia – spiega Frank –, i lavoratori e la proprietà complessiva con la vera essenza del territorio e di ciò che produce». Altra opera particolare è la Storia di Bacco di Valentino Monticello, una serie di tredici collage realizzati con etichette sul mito del dio del vino, collocati nell’ufficio vendite aziendale. Per Frank Grace vino e arte, infatti, fanno parte «del flusso positivo della coscienza umana, pur avendo un approccio diverso nella ricerca umana della perfezione».
Il manga che dà lezioni sul vino
Quest’anno la piastrella celebrativa del Brunello di Montalcino 2009, annata che ha conquistato quattro stelle, è stata realizzata da Okimoto Shu, disegnatrice del manga The drops of god (Le gocce di Dio). Il fumetto giapponese, ideato e scritto dai fratelli Yuko e Shin Kibayashi (conosciuti con lo pseudonimo di Tadashi Agi) parla di vino e dal 2004, data della prima serie, è divenuto molto popolare in Giappone, Cina e Indonesia, fino a sbarcare in Francia. Il protagonista Shizuku Kanzaki scopre il fascino del mondo dell’enologia dopo la morte del padre, esperto di vino, che ha lasciato, nel testamento, la descrizione di dodici vini considerati i migliori del mondo, paragonandoli ai dodici apostoli di Gesù. Chi riuscirà a individuarli, erediterà la collezione di vino del padre. Da qui inizia la “lotta” tra
Shizuku e il fratello adottivo Issey Tomine. Nel manga si danno perfino lezioni pratiche sul vino, menzionando terroir e vigneti, tanto che in Giappone imperversano corsi per diventare sommelier. La piastrella celebrativa dell’annata 2009, apposta sul muro del Palazzo Comunale di Montalcino, testimonia la crescita delle esportazioni di Brunello nei mercati asiatici.
Il primo diploma in Spumantistica Dodici tecnici italiani, provenienti da diverse regioni italiane, di cui cinque da Trento, sono stati insigniti del titolo di “dottore in spumanti”, a San Michele all’Adige, dal presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai. Si tratta del primo diploma italiano del master in Spumantistica promosso dalle facoltà di Agraria di Milano e di Torino e dal Consorzio interuniversitario tra le facoltà di Padova, Trento, Udine e Verona, con la collaborazione degli Istituti sperimentali per la viticoltura di Conegliano e per l’enologia di Asti, dell’Istituto agrario di San Michele all’Adige e del Centro vitivinicolo provinciale di Brescia. Obiettivo: la formazione di un esperto a tutto tondo capace di seguire tutti i processi dello spumante dal campo alla cantina e al mercato. I dodici diplomati sono enologi, produttori di vino, ma anche agronomi, chimici e giornalisti a cui verranno offerte nuove opportunità professionali, oltre alla possibilità di valorizzarsi di più nell’azienda dove già alcuni operano.
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Firenzee il vino edizione in lingua italiana ed edizione in lingua inglese
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speciale
Quelli che il vino Non esistono piÚ le mezze stagioni, ma a primavera il Vinitaly c’è sempre
di Cristiano Maestrini
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speciale Quelli che al Vinitaly bisogna esserci, oh yes! Quelli che da tre anni bevono rosso di Montalcino sfuso credendo che sia uguale a quello imbottigliato, ma il vinaino mi fa risparmiare un sacco di soldi, oh yes! Quelli che un rosso vale un altro, un bianco pure, non parliamo degli spumanti, oh yes! Quelli che accendono un cero alla Madonna perché hanno venduto dieci pancali di vino in un giorno, oh yes! Quelli che di mestiere spengono il cero, oh yes! Quelli che la crisi c’è, quelli che la crisi è un’invenzione, quelli che non hanno una posizione precisa, oh yes! Quelli che i blogger sono la nuova frontiera della comunicazione del vino, oh yes! Quelli che le guide non contano più niente, oh yes! Quelli che quando versano il vino sporcano sempre la tovaglia, mannaggia la miseria, oh yes! Quelli che io non ho mai fatto pubblicità, oh yes! Quelli che sono appena stati a cena con Lapo, Duccio, Enrico e tralasciano sempre i cognomi, oh yes! Quelli che non credono più nella barrique, oh yes! Quelli che credono solo nei vitigni autoctoni, oh yes! Quelli che si sente una leggera riduzione, una surmaturazione, un sentore di interiora di selvaggina, oh yes! Quelli che gli scandali nel vino ci sono sempre stati, oh yes! Quelli che i supertuscan non si vendono più, oh yes! Quelli che bisogna andare incontro alle esigenze del consumatore moderno, oh yes! Quelli che la sera dell’ultimo dell’anno pucciano il panettone nel Krug, oh yes! Quelli che sono nel giro, oh yes! Quelli che a me di prendere i tre bicchieri non importa niente, ma poi vanno a casa e picchiano moglie e bambini, oh yes! Quelli che all’ora dell’aperitivo roteano il calice per darsi un contegno, oh yes! Quelli che alle fiere si fingono professionisti del settore e poi ti chiedono un bicchiere di
Il vino come un film
Comunicare il vino italiano in tv: è possibile andare oltre il tetrapak? Lo abbiamo chiesto ad Aldo Innocenti Aldo Innocenti, regista, scrittore e autore televisivo, pistoiese di nascita, viareggino di adozione, da dieci anni vive e lavora a Milano. “Una scelta dovuta certamente all’aria pura, al clima mite e soleggiato”. Gola gioconda ha colto l’occasione di un convegno presso la Casa della Creatività a Firenze per fare con lui una chiacchierata sul vino, e soprattutto sul modo di parlarne (i video dell’evento sono online su www.golagioconda.it). Vino italiano e comunicazione visiva: un matrimonio ancora da fare? Certamente sì, perché continuiamo a vivere
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o dell’immagine convenzionale, familiare, del cosiddetto “vino da tavola” sui media più popolari come la tv generalista, o dell’immagine elegante e raffinata sui media specializzati dedicati agli intenditori. Ci vuole un nuovo “matrimonio”, però, che non si basi sulla solita eredità della Toscana rinascimentale dove tutto è talmente bello che basta solo “aggiungere i turisti” e siamo a posto. Una proposta pratica. L’esperienza di Sideways può essere riproposta sotto forma di un serial televisivo con le caratteristiche tipiche della serie del commissario Montalbano: una forte appartenenza al territorio, un personaggio del
chianti classico speciale Chianti bianco, oh yes! Quelli che... ci siamo capiti, no? Oh yes! Quelli che hanno una missione da compiere, oh yes! Quelli che fare il vino è una passione, oh yes! Quelli che... fra tradizione e innovazione, oh yes! Quelli che... la mia famiglia ha sempre avuto amore per la terra, oh yes! Quelli che... la fattoria è già ricordata in un documento del XII secolo, oh yes! Quelli che l’unghia è virata sul granato, oh yes! Quelli che al naso non è pulitissimo questo vino, oh yes! Quelli che in bocca il tannino è un po’ rugoso, oh yes! Quelli che i francesi sono cento anni avanti, oh yes! Quelli che saremo invasi dai vini del nuovo mondo, oh yes! Quelli che alle degustazioni annotano tutto nel loro quadernetto, oh yes! Quelli che pensano che il sangiovese in purezza sia un santo illibato, oh yes! Quelli che io sono bio (logico/dinamico), oh yes! Quelli che è piovuto dappertutto ma non nella mia vigna, oh yes! Quelli che il sole ha seccato tutto, ma nella mia vigna c’era un fresco! Oh yes! Quelli che infestano il mercato con vini da due euro al consumatore, per di più docg, oh yes! Quelli che il vino della casa, oh yes! Si, ma quale casa? Oh yes! Quelli che la gente non se ne intende mica, oh yes! Quelli che mangiamo una cosuccia e degustiamo qualche bottiglia (di solito una decina in tre perché fa figo dire di aver bevuto molto), oh yes! Quelli che... si è stappato un monte di bottiglie, oh yes! Quelli che... l’altra sera da Giorgio, oh yes! Quelli che cameriere questo vino sa di tappo (con il tappo in silicone!), oh yes! Quelli che sono appena diventati sommelier e alle cene con amici devono scegliere il vino perché se ne intendono, oh yes! Quelli che “tu che hai fatto un corso... secondo te questo vino è buono?”, oh yes! Quelli che con questo piatto che cosa ci abbineresti? Oh yes!
territorio ma con caratteristiche internazionali, una riproposizione della commedia all’italiana ma intelligente e moderna, una grande attenzione al rapporto fra vecchie e nuove generazioni. Invece che un commissario potrebbe essere uno scrittore, o una scrittrice, magari straniera che si è trasferita in Toscana ristrutturando un vecchio cascinale e trovando nel rapporto col vino anche, in qualche modo, il senso della vita. Un prodotto come questo permetterebbe di realizzare una grande e lunga campagna sul vino avendo come sfondo la Toscana intera e non solo la vigna. Una campagna sul “prodotto vino” e non su una marca specifica. Il pubblico attratto dall’immagine principale potrà poi essere rediretto, in modo mirato, verso le attività specifiche: festival, vie del
vino, manifestazioni culturali, degustazioni, agriturismo, commercio su internet, etc. Ovviamente i costi di un prodotto cinematografico sono alti e possono essere sostenuti solo con un mirato investimento che coinvolga produttori privati e istituzioni locali, con un risultato che potrebbe diventare un modello extranazionale per rivalutare l’intera immagine dei prodotti italiani nel mondo. Durante il convegno alla Casa della Creatività abbiamo visto la differenza fra spot italiani e spot stranieri dedicati al vino. Cosa cambia nel linguaggio fra noi e gli altri? Il nostro linguaggio è legato alla quotidianità del rapporto che abbiamo col vino. Si fanno tanti vini anche locali di buona qualità e il vino è sempre sulle nostre tavole, buono e meno
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speciale Quelli che io pasteggio a spumante (anzi: a bollicine), oh yes! Quelli che al bar chiedono un prosecco della Franciacorta, oh yes! Quelli che nel vino ci sono le mode, oh yes! Quelli che io non sono un intenditore, per carità, oh yes! Quelli che questo vino è buono, fa quattordici gradi, oh yes! Quelli che questo è il vero vino del contadino, oh yes! Quelli che sono appena rientrato da New York, lì si che sanno bere, oh yes! Quelli che anche i cinesi si son messi a fare vino, oh yes! Quelli che i russi spendono, ma non se ne intendono per niente, oh yes! Quelli che il riesling fa tendenza, oh yes! Quelli che lo spumante rosé è una moda già passata, oh yes! Quelli che il merlot ha stancato un po’ tutti, oh yes! Quelli che il target di riferimento è... oh yes! Quelli che il consumatore medio predilige... oh yes! Quelli che il consumo pro capite è diminuito, oh yes! Quelli che alla fin fine il vino è una bevanda, oh yes! Quelli che il vino è poesia, oh yes! Quelli che il terroir, oh yes! Quelli che il microclima, oh yes! Quelli che il cru, oh yes! Quelli che in fondo sdrammatizzare un po’ fa bene, oh yes! Quelli che bevono solo un bicchiere, ma poi anche il secondo, il terzo e il quarto e sfidano la sorte e il punteggio sulla patente, oh yes! Quelli che ma che ce frega, ma che c’importa, se l’oste al vino c’ha messo l’acqua, oh yes! Quelli che bevono solo pinot noir, oh yes! Quelli che negli intervalli fra un bicchiere e un altro sono astemio, oh yes! Quelli che alla cieca ci sono sempre delle sorprese, oh yes! Quelli che il brand, oh yes! Quelli che... quelli che ci vediamo a Verona, oh yes! segue da pag. 35
buono. La nostra stessa cucina è fortemente legata al vino, che spesso entra anche nella ricetta vera e propria. Il vino, per noi, è cosa normale e forse anche questa normalità impedisce di raccontarlo in un modo un po’ più epico, eroico, che è invece tipico del mondo anglosassone sulle cui tavole dominano ben altre bevande, dalla coca alla birra, dal latte al succo di frutta. Quello che dobbiamo trovare è, invece, un terreno comune per rilanciare l’immagine del vino sia per gli italiani che per gli stranieri. Anche il vino, ma quello di qualità, deve essere global e glocal allo stesso tempo. Infine... qual è il vino preferito da Aldo Innocenti? Chianti e Nebbiolo su tutti.
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Aldo Innocenti Tra i fondatori del Centro Teatrale di Pontedera, dopo dieci anni Aldo Innocenti abbandona il teatro per approdare a Videomusic come regista. Nel frattempo scrive due varietà radiofonici per Radio 2. Dopo Videomusic, lavora come autore e regista per Rai 3 e Rai Sat Ragazzi. Alla fine degli anni ’90 dirige due scuole di comunicazione, una a Prato e l’altra a Lucca, per poi cominciare una collaborazione con Mediaset, che dura tutt’ora, con programmi come Macchina del Tempo e Pianeta Mare. Ultimamente ha scritto con Paolo Brosio A un passo dal Baratro, attualmente ai primi posti in classifica nella saggistica italiana.
speciale /chianti le degustazioni classico
Bindella Vino Nobile di Montepulciano Docg 2006 www.bindella.it - info@bindella.it Vinitaly: Padiglione 8 stand D7 “Crediamo nella tipicità” e ancora “Garantiamo i nostri vini dal tralcio alla vite” è scritto nella retroetichetta di questo Nobile. E l’esame organolettico conferma la dichiarazione d’intenti. Alla vista appare di un rubino vivo, con discreta consistenza di calice. Al naso mostra ampiezza e intensità con predominanza di ciliegia e prugna, contrappuntate da floreale di viola e da spezie dolci. L’attacco in bocca è deciso, ma al contempo elegante per finezza di tannini e armonia delle parti. Lungo il finale con ritorno di note speziate e nuances balsamiche.
Agricoltori del Chianti Geografico Castello Tricerchi Rosso di Montalcino Doc 2008 Molin Lungo Chianti Classico Docg 2006 www.chiantigeografico.it info@chiantigeografico.it Vinitaly: Padiglione 8 Stand E7
Ben riconoscibile la cifra stilistica degli Agricoltori del Chianti Geografico, tesa a produrre vini eleganti, equilibrati, rispettosi del territorio di provenienza. Il Rosso di Montalcino ha un corpo mediamente strutturato. Rubina cupa la veste, con profumi che spaziano da frutta matura a spezie quali pepe nero. Ben centrato al gusto con scia finale che rimanda a note di ciliegia nera. Il Chianti Classico possiede doti di giusta austerità. Di tonalità rubina, esprime al naso note floreali e di frutta di bosco a bacca rossa e nera. Piacevole in bocca con tannini calibrati e ponderato rapporto alcol-acidità. Per entrambi i vini l’abbinamento ideale è con carne rossa e formaggi di media (ma non eccessiva) stagionatura.
Cappella Sant’Andrea Rialto Vernaccia di San Gimignano Docg 2008 www.cappellasantandrea.it info@cappellasantandrea.it Vinitaly: padiglione 8 stand B14 Il Rialto è una Vernaccia solare, di accattivante complessità gustativa. Si presenta nel calice con un’intensa tonalità paglierina e, roteando, mostra archetti fitti e regolari. Ampio il mosaico olfattivo che spazia da elementi floreali (ginestra) a frutta esotica (mango, cedro) per poi aprirsi a note di pesca gialla e contrappunti speziati. In bocca si mostra grintosa con dinamica tensione fra alcol e freschezza e giusta sapidità. In crescendo il finale, con ritorno di elementi floreali.
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speciale / le degustazioni
Carpineto Vino Nobile di Montepulciano Riserva Docg 2004 www.carpineto.com - info@carpineto.com Vinitaly: Padiglione 7 Stand E7/8 Ottenuto prevalentemente da prugnolo gentile con un 30% di canaiolo, merlot e altre varietà autorizzate, questo Nobile è un rosso di grande spessore organolettico che matura per due anni in botti di rovere di Slavonia e barriques di legno francese in una cantina scavata nella roccia tufacea nei pressi di Montepulciano. Alla vista appare di un bel rubino-granato e al naso spazia da frutta matura a confettura, per aprirsi a note di vaniglia, pepe bianco, tabacco, cuoio. Armonico in bocca con tannini setosi e un finale molto prolungato che ricorda la marasca.
Cesani Vernaccia di San Gimignano Docg 2009
Cecchi Villa Cerna - Chianti Classico Docg 2007 www.cecchi.net - cecchi@cecchi.net Vinitaly: Padiglione 7 Stand D4 Il Chianti Classico Villa Cerna raggiunge con il 2007 una piena maturità. Lo abbiamo seguito nel tempo questo vino e adesso trasmette emozioni che ricordano il territorio, con una personalità che affascina il degustatore attuale. Il colore è rubino concentrato. Al naso esprime note fragranti di ciliegia matura, ribes, frutti di bosco, contrappunti speziati. Impatto in bocca lineare con un crescendo gustativo armonico e un bel finale che rimanda a frutta matura a bacca rossa.
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Sanice Vernaccia di San Gimignano Docg 2007 www.agriturismo-cesani.com info@agriturismo-cesani.com Vinitaly: Padiglione 7 Stand B9 La famiglia Cesani rappresenta da anni il prototipo della fattoria condotta da veri vignaioli, capaci di curare con uguale entusiasmo tutta la filiera produttiva. La Vernaccia 2009 è di un colore paglierino con bei profumi che rimandano a fiori e frutta a pasta bianca. Piena al gusto con giusto rapporto alcol-freschezza. Sanice è l’altra Vernaccia che abbiamo degustato, dal colore paglierino con riflessi dorati. In fase olfattiva rimanda a note di frutta matura, contrappunti di erbe estive ed elementi speziati. Impattante al gusto, con attacco deciso, equilibrio fra le parti e finale prolungato che rimanda a note fruttate.
speciale /chianti le degustazioni classico
Falchini Vigna a Solatio Vernaccia di San Gimignano Riserva Docg 2007
La Querce La Torretta Chianti Colli Fiorentini Docg 2007
www.falchini.com - info@falchini.com Vinitaly: Padiglione 8 Stand C2
www.laquerce.com - info@laquerce.com Vinitaly: Area D Stand D2
Prova davvero convincente quella del Vigna a Solatio, Riserva 2007 di una Vernaccia ampia e suadente. L’analisi organolettica rende conto di una tonalità intensamente paglierina con fitti riflessi dorati. In fase olfattiva si presentano prima note di frutta maura a pasta gialla, poi elementi floreali, quindi un’intrigante varietà di sentori che vanno dalla frutta esotica a cenni di agrume (pompelmo rosa) e note di spezie nobili. In bocca il vino è armonico, caldo, con buona acidità. Il finale è decisamente lungo con un ritorno di frutta matura e la tipica (ma non invadente) nota ammandorlata.
Altro esempio di come Impruneta sia una vera patria del vino di qualità è dato dalla gamma dei vini de La Querce. La Torretta 2007, Chianti Colli Fiorentini ha straordinarie doti gustoolfattive. Il vino è strutturato e ampio, e tuttavia si apprezza la bevibilità del calice. Profondamente rubino alla vista, al naso fa emergere un paniere di frutta matura che spazia dalla mora all’amarena, con richiami di ribes e melograno. Quindi sentori floreali e trame di pepe nero e vaniglia. Accattivante al gusto con equilibrio fra le parti, tannini calibrati e lunga scia finale che rimanda ai sentori di mora e ribes.
Fattoria di Bagnolo Chianti Colli Fiorentini Docg 2008
Querceto di Castellina Vigneto Belvedere Chianti Classico Riserva Docg 2007
www.bartolinibaldelli.it marco@bartolinibaldelli.it Vinitaly: Area D Stand D2 Alle porte di Impruneta, Bagnolo continua la sua ascesa qualitativa, producendo vini di eccellente personalità. Abbiamo degustato il 2008, ancora un tantino giovane, ma capace comunque di esprimere doti organolettiche invidiabili. Il colore è intensamente rubino con bagliori violacei, al naso si ravvisano note di frutta fresca: ciliegia, mora, ribes nero. Quindi elementi di mammola e cenni di pepe nero. Grintoso al gusto, si fa apprezzare per la dinamica e positiva tensione fra alcol, acidità e tannini non aggressivi.
www.querceto.com - info@querceto.com Vinitaly: Padiglione 8 Stand D2 Box 19 Idee chiare per Querceto di Castellina, azienda ben condotta da Jacopo di Battista. Il vino che Jacopo ama produrre possiede doti gusto-olfattive importanti, richiama il territorio ma si apre al gusto dei wine lovers attuali. Belvedere è una Riserva di Chianti Classico di tonalità rubina concentrata. Al naso ricorda intensi sentori di amarena e mora; quindi emergono spezie nobili, pepe nero e rimandi balsamici. Al gusto è pieno, di buon tenore alcolico, di altrettanta buona freschezza. I tannini, presenti, sono calibrati a dovere. Il finale è giustamente prolungato con ritorno di mora matura.
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speciale / le degustazioni
Triacca – La Madonnina Falcinaia Toscana Igt 2006 Tenuta La Cipressaia Chianti Colli Fiorentini Docg 2007 www.tenuta lacipressaia.it lacipressaia@leonet.it Vinitaly: Padiglione 8 stand B3 Tenuta La Cipressaia è una fattoria ben gestita dalla signora Carolina Alvino (mai cognome fu più adeguato alla professione!). Si fa apprezzare per la produzione di vini di grande tipicità e di estrema pulizia gusto-olfattiva. Il Chianti Colli Fiorentini, 90% sangiovese e 10% colorino, si presenta con bella veste rubina evidenziando archetti regolari e fitti. Si percepiscono in fase olfattiva sentori di ciliegia matura, note di frutti di bosco, cenni floreali e speziati. Austero quanto basta in fase gustativa con buona dinamica alcol-freschezza-tannini e finale che ricorda la fragranza della frutta estiva. Da provare con salumi, formaggi mediamente stagionati, arrosti.
www.triacca.com lamadonnina@triacca.com Vinitaly: Palaexpo 2° piano Stand B10/C10 L’igt Falcinaia è ottenuto da cabernet sauvignon 40%, merlot 40%, sangiovese 20%, ed è uno dei fiori all’occhiello della bella produzione della Fattoria La Madonnina – Triacca. L’analisi organolettica rende conto di un colore rubino profondo a cui si accompagnano archetti molto fitti alle pareti del calice. Buona complessità al naso: si ravvisano note fruttate di ciliegia e mora, poi vaniglia, pepe in grani, note di cioccolato e sigaro. Possente e tuttavia equilibrato in bocca con tannini ben fusi nella struttura d’insieme. Chiude con una scia prolungata che rimanda a sentori di frutta matura.
Tenuta Le Calcinaie Vernaccia di San Gimignano Docg 2009 aziendalecalcinaie@libero.it Vinitaly: Padiglione 9 Stand B2-C2 Qualità e rigoroso rispetto per la natura e i suoi processi: potrebbe essere questo lo slogan dell’azienda di Simone Santini, da anni convinto assertore del biologico. La Vernaccia 2009 conferma doti di sapidità, equilibrio gustativo, spessore gusto-olfattivo. Si presenta di un colore paglierino luminoso e giovanile. Al naso si percepiscono fragranti note fruttate (pesca in primis) e floreali (sambuco, tiglio, acacia) cui seguono note di salvia e frutta esotica. In bocca mostra un’eccellente freschezza e buon tenore alcolico. La nota ammandorlata sul finale ci ricorda la tipicità di questo vino da abbinare a pietanze di pesce e carni bianche.
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speciale / le degustazioni
Vignamaggio Castello di Monna Lisa Chianti Classico Riserva Docg 2006 www.vignamaggio.com prodotti@vignamaggio.com Vinitaly: Padiglione 8 Stand D2 La Riserva di Chianti Classico Monna Lisa è uno di quei grandi rossi che non finiresti mai di raccontare, perché sorso dopo sorso aggiungono “pennellate d’autore” alla descrizione organolettica. A Vignamaggio, sul finire del XV secolo, visse colei che ispirò Leonardo da Vinci per la Gioconda. Il vino è un’eccezionale prova d’autore dalla tonalità perfettamente rubina. Al naso si percepiscono sentori di amarena e mora, spezie nobili, note balsamiche. Armonico in bocca con equilibrio alcol-acidità e tannini calibrati. Finale di ottima complessità.
chianti classico
Villa del Cigliano Chianti Classico Docg 2007 www.villadelcigliano.it info@villadelcigliano.it Vinitaly: Padiglione 8 stand B14 È ormai più di una promessa Villa del Cigliano che anche con l’annata 2007 del Chianti Classico conferma la propria ascesa qualitativa. II calice è intrigante e gustoso, con una bella veste rubina e archetti fitti e regolari alle pareti del calice. Si percepiscono in fase olfattiva sentori di frutta fresca a bacca rossa quali ciliegia e ribes. Quindi elementi floreali e una suadente nota di spezie nobili e di pepe bianco. Al gusto si mostra equilibrato e di medio corpo, con contrappunto alcol-acidità, tannini calibrati, nota finale di ribes e ciliegia. Veramente adatto per una bella bistecca alla fiorentina!
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Assaggio in anteprima Grignano: vini d’autore in degustazione Per arrivare a Grignano, venendo da Firenze, s’imbocca Via dello Stracchino (sì, proprio così) in località Le Sieci e si comincia a salire lungo una strada che si affaccia lungo uno dei panorami più belli in assoluto dei dintorni del capoluogo. L’appuntamento in Fattoria è per le 14.30. Nevica, tuttavia riusciamo lo stesso ad arrivare (quasi) puntuali. Siamo io e Sandro Bosticco a formare la piccola e valente commissione d’assaggio di Gola gioconda. Ad aspettarci ci sono Alfredo Massetti, il direttore, e Barbara Tamburini, il nuovo enologo dell’azienda, giovane, ma già affermata e pluridecorata professionista, l’unica all’altezza di decollare sul percorso dell’eccellenza intrapreso per molti anni dalla Famiglia Bernabei.
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Fattoria di Grignano Via di Grignano 22, Pontassieve (Firenze) Tel. 055 8398490 www.fattoriadigrignano.com presente a Vinitaly Padiglione 8 Stand D10 Grignano è nata sulle vestigia di una fortificazione d’epoca romana. Nel medioevo qui sorse il Castello di Vico e nel XV secolo i Marchesi Gondi costruirono la villa , ampiamente rimaneggiata nel 1700. Gli attuali proprietari, la Famiglia Inghirami, credono in maniera ferma e convinta nelle qualità produttive della tenuta che si stende oggi per 600 ettari fra vigne, poderi, seminativi, boschi e olivi. In una delle sale della Fattoria ci aspettano quattro perle enologiche. Partiamo dal più giovane, il Chianti Rufina 2008, per certi versi il più sorprendente perché sa interpretare in maniera assolutamente moderna le peculiarità della denominazione. Il vino prevede 80% sangiovese, 10% canaiolo, 10% merlot e cabernet. Il calice si presenta rubino, con profumi che ricordano ora l’amarena ora il ribes, trasmettendo sensazioni anche di petali di rosa, pepe, spezie. Eccellente la freschezza in bocca, con buona fluidità di beva, tenore alcolico, tannini eleganti. Passiamo al Chianti Rufina Riserva
2007, ottenuto da 90% sangiovese e 10% altri vitigni (merlot, cabernet, syrah). Si distingue per una indubitabile personalità organolettica. Il colore è rubino cupo con unghia virata melograno. Le note olfattive sono intriganti: percepiamo frutta matura, cenni di confettura, una nota floreale, spezie, contrappunti di caffè e frutta secca (nocciola). Al gusto si rivela ampio, di buon volume, profondo nella scia finale, con tannini registrati ed equilibrio alcol-acidità. Il Poggio Gualtieri (95% sangiovese, 5% merlot, cabernet e syrah) è l’altra Riserva di Grignano. Lo abbiamo degustato nella versione 2003, anno passato alla storia per le sue temperature torride. Ebbenne il Poggio Gualtieri 2003 convince per freschezza e per le eccezionali doti del sangiovese coltivato negli appezzamenti più vecchi dell’azienda. La veste è rubino-granata, gli archetti alle pareti del calice appaiono (come negli altri vini) fitti e regolarissimi. Il naso è intenso e complesso: si spazia da frutta sotto spirito a note balsamiche, passando per note floreali, stecca di liquirizia e fini sentori terziari. Grintoso in bocca, ancora un po’ “ribelle” ma equilibrato e austero come sanno essere i grandi vini toscani. Chiudiamo con l’Igt Salicaria 2005, sangiovese 60% merlot 40%. Il colore è rubino impenetrabile e al naso si percepisce l’uso della barriques con la tipica nota vanigliata, accompagnata da frutta molto matura, confettura di mora, sentori di noce, buccia d’arancia, tabacco, cacao. Lineare l’attacco in bocca con giusto equilibrio d’insieme e una lunga persistenza finale che rimanda a sentori di amarena. Fuori nevica ancora e la degustazione è ufficialmente finita, ma in coda troviamo ancora il tempo per assaggiare una Riserva 2006, una Riserva Poggio Gualtieri 2000 e un Vin Santo del 2001. Impressionano in positivo i vini singolarmente presi. Impressiona ancora di più il potenziale d’insieme di questa Fattoria e di questa zona. Sarà interessante seguire nel tempo l’evoluzione di questi rossi poiché la longevità è uni dei tratti dominanti dei vini di Rufina. Auguriamo a Grignano di continuare così: la direzione è davvero quella giusta. Cristiano Maestrini
L’enologo vola alto
Barbara Tamburini, la sua prima vendemmia nel 1996, si laurea in Viticoltura ed Enologia all’Università di Pisa nel 2002, dopo aver già conseguito il diploma universitario in Tecnologie Alimentari con orientamento in Viticoltura ed Enologia nel 2000. Dopo aver svolto vari periodi di tirocinio in alcune aziende toscane durante gli studi universitari, inizia la propria attività di enologo libero professionista con importanti consulenze, dapprima in Toscana e, più tardi, in Umbria, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Sicilia. Animata da una intensa curiosità professionale, si cimenta con successo in molteplici direzioni, passando dalla viticoltura all’enologia, dal Sangiovese al Pinot Nero, dal Merlot al Nebbiolo, all’Aleatico, dal Vermentino al Pinot Bianco, dal Moscato Passito al Vinsanto, mantenendo fermo, tuttavia, il proposito di far esprimere ai vini di cui si prende cura gli elementi di riconoscibilità aziendale prima e territoriale poi, sempre alla ricerca delle massime espressioni qualitative. A Barbara Tamburini, dunque, piace ottenere vini di alto profilo; in altre parole, a lei piace volare alto, come quando nel 2004 (quinta donna al mondo) è salita su un MB339 – il mitico aviogetto delle Frecce Tricolori – e insieme al comandante della Pattuglia Acrobatica Nazionale, ha fatto un’ora di volo acrobatico nei cieli del Friuli.
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libri
Per non prendersi sempre sul serio di Francesca Pallecchi
La cucina della mamma A chi non è mai capitato di imbattersi per caso o per curiosità nei ricettari delle mamme o magari delle nonne; personalissimi quaderni scritti a mano che racchiudono segreti di piatti da leccarsi i baffi! E proprio da questa idea nasce un ricettario che ripercorre la cultura enogastronomica italiana da nord a sud, ricco di pietanze prelibate, ma anche di memorie e suggestioni della tradizione. Un mix di aneddoti, ricordi, ingredienti e consigli per tramandare l’arte e la storia della sapienza culinaria italiana, fatta di prodotti tipici di qualità, abilità e tanta passione. Mamma mia. Ricette italiane e storie di cucina Food editore – € 29,90
Una terra ricca di sapori Torna Michele Marziani con un nuovo libro dedicato ai sapori della pianura Padana. Ispirato da due guide virtuali d’eccezione, Gianni Brera e Mario Albertarelli, Marziani percorre un viaggio enogastronomico nel triangolo d’acqua racchiuso tra il Po, il Ticino e il Sesia, per riportare alla luce prodotti e sapori che rischiano solo di diventare memoria. Risaie, pesci d’acqua dolce, canali,
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profili di castelli diroccati, osterie, questi gli scenari e gli angoli suggestivi di questa terra che sembra sospesa tra presente e passato. Un viaggio scandito da prodotti tipici, ricette e sapori che descrivono una cultura e un’eredità importante incorniciata dai meravigliosi paesaggi del monte Rosa e delle rapide del Ticino. I sapori della terra di mezzo Michele Marziani Guido Tommasi Editore € 13 E che ci fanno gli angeli con i salumi? Angeli e… salami, una parodia in chiave ironica ed enogastronomica del famoso romanzo di Dan Brown. Il protagonista del romanzo, il professor Arcibaldo Marcorè, si trova invischiato in uno strano omicidio presso la sede del centro di ricerche Cremosini: lo scienziato Aniceto Ciangottini, che ha scoperto una nuova fonte di energia, è stato orrendamente mutilato e marchiato a fuoco con il marchio della setta dei Vegetariani. Succube dei dettami del perfido Gran Maestro, il killer, approfittando dei giorni del Conclave, rapirà quattro cardinali. Spetterà al professore, esperto in simbologia applicata ai maiali, percorrere le strade di Roma sulle tracce lasciate da Gian Lorenzo Bernini, rintracciare il sacro Cammino dei Fogliamari, salvare i rapiti, raggiungere il mitico Santuario della Scienza e ritrovare la scoperta del secolo, il salame antimaterico.
Un racconto, ironico e divertentissimo, ricco di consigli pratici per stare bene insieme e di ricette sfiziose per mangiare ancora meglio. Due cuori e un fornello Ilaria Mazzarotta Kowalski Editore – € 13
Angeli e salami P. G. Brown Morganti Editori – € 17 Convivenza in cucina Vivere insieme non è facile, lui russa e lei non riesce a dormire, lei asciuga gli schizzi d’acqua nello specchio e lui quando si lava fa concorrenza alle cascata del Niagara. Ma anche la cucina è una stanza che mette a dura prova la convivenza quotidiana… Fiamma, la protagonista del romanzo, è ghiotta di verdure, il suo lui invece le odia e niente può competere con il ragù di mamma. Lei adora tè e infusi, lui è caffè-dipendente. Lui adora i dolci al cucchiaio farciti con crema e panna, lei è bravissima a preparare dolci secchi. Tra primo e secondo, tra un brunch e un aperitivo, Fiamma e il suo uomo affrontano la vita in comune imparando a conoscere i gusti dell’altro, creando nuovi riti di coppia e condividendo le ultime scoperte culinarie.
La cucina ebraica Il libro esplora le abitudini culinarie della tradizione ebraica con un mix di umorismo e sacralità, raccontando non solo ricette, ma anche aneddoti, insegnamenti rabbinici e storielle della tradizione Kasher, che indica i cibi che si possono consumare perché conformi alle regole della Torah. Dalla manna del deserto, il cosiddetto «pane degli angeli», fino a Pesakh, la Pasqua, dove un Gesù ebreo mangia agnello, pane azzimo, erbe amare e dessert. Tra salse mediterranee, melanzane, ceci e uova, incontriamo l’arzilla Janette, un’egiziana novantenne che ci spiega la cucina dell’esilio e della diaspora, insieme alle ricette di Edith, unica depositaria della tradizione familiare sefardita di casa Ovadia. Il libro descrive un atteggiamento all’assaggio che è prima di tutto interiore, predisposizione dell’animo di chi è abituato a guardare al cielo attraverso gli odori e i sapori della terra.
Il conto dell’ultima cena Moni Ovadia Einaudi – € 16 Tra un salame e un culatello Ancora una performance firmata dal Gastronauta Paolini, che se ne va a spasso per l’Italia alla scoperta dei salumi più prelibati culatelli, prosciutti, coppe e chi più ne ha ne metta! Non solo quindi un mero elenco di indirizzi, ma un’idea e cultura del viaggio enogastronomico, fatta di saperi, itinerari, città da scoprire, storie, luoghi in cui alloggiare e locali dove degustare le eccellenze del territorio. Non mancano informazioni sulle sagre popolari. Cibovagando tra i salumi d’Italia Davide Paolini Il sole 24 Ore Edagrocole € 19,50 Carne? No, grazie! Un ricordo d’infanzia lega l’autore alla memoria della
nonna, sempre preoccupata che il nipote non mangiasse abbastanza, memore della fame sofferta durante la guerra, che l’ha costretta anche a nutrirsi di carne di maiale vietata dalla sua religione. Il cibo si carica così di una valenza simbolica e diviene non solo materia e piacere dei sensi, ma dignità, terrore, amore, umiliazione, forza e storia. Il protagonista del libro, una volta divenuto padre, inizia a interrogarsi su cosa sia la carne e questa curiosità lo porta a visitare gli allevamenti intensivi e a raccontare le violenze subite dagli animali prima di essere uccisi, invitando il lettore ad una riflessione. Se niente importa perché mangiamo gli animali? Jonathan Safran Foer Guanda – € 18
Dalla politica alla brace! Per salvare l’Italia ci vuole una ricetta ricca di ingredienti di qualità, genuini e soprattutto nelle giuste dosi! Il libro nasce dall’idea di Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro, conduttori del programma radiofonico Un giorno da pecora su Radio2, che ogni giorno ospita uomini politici, star televisive e capitani d’industria. Per mettere fine alla crisi di fame del paese i due conduttori pensano di utilizzare come sigla finale della trasmissione una ricetta vera proposta da cinquanta diversi politici italiani. Ne è nato un libro ironico e dissacrante! E allora alla ricetta di Ermete Realacci con gli spaghetti alla margherita, la Santanché ribatte con la pasta tricolore! Una ricetta per l’Italia. I politici svelano le loro ricette preferite. Claudio Sabelli Fioretti Aliberti € 11,90
Dolcissime tentazioni senza glutine La celiachia è un problema? Ebbene sì, ma lo si può affrontare anche con dolcezza, cercando di trovare soluzioni e piatti alternativi pur sempre appetitosi e gustosi. Se con pane, pizza e paste si riesce quasi sempre a trovare il giusto compromesso, la nota dolente arriva per tutti i golosoni che devono contenersi con i dessert. Ma ecco la soluzione, Ernst Knam, celebre pasticciere milanese e grande innovatore del mondo dei dolci, ha voluto provare che le limitazioni stuzzicano la fantasia sviluppando 28 ricette che restituiscono ai celiaci la ciambella, la crostata, i frollini, il plumcake e perfino la Sacher! Dolcemente senza glutine Ernst Knam Bibliotheca culinaria € 13,90
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la buona ossessione
Le ricette di Francesco La spesa, i piatti, le cene: un uragano in cucina
Fissati per la cucina? Gli amici si auto-invitano a cena a casa vostra? Passate tutto il tempo libero a sfornellare? Se volete mandarci ricette e foto dei vostri piatti preferiti, e raccontarci qualcosa di voi, scrivete a posta@golagioconda.it o cercate Gola Gioconda su Facebook
‘mpepata di cozze 2 kg di cozze ben pulite pepe abbondante prezzemolo fresco 1 casseruola 1 colino
Francesco, 30 anni, sposato, per figlio ho il lievito madre; mi sono trasferito a Firenze sei anni fa per lavoro, faccio il designer/ergonomo: sul primo ci siamo, sul secondo andatevelo a cercare. I miei colleghi si stupiscono perché alla domanda “cosa fai questo week end” io rispondo sempre “la spesa, cucino e mangio”. E di fatti l’itinerario del sabato è sempre lo stesso: 1) pesce da Stefanino a San Lorenzo; 2) il resto al Mercatale di Montevarchi; 3) pranzo veloce ma curato; 4) cena, rigorosamente di pesce. La domenica invece si parte alle 9 con la lievitazione del pane che finirà di cuocere alle 19; pranzo carnivoro; impasto base per la pizza; pizza! Nelle serate infrasettimanali invece si inizia a cucinare alle 17. Come avrete capito la cucina è al centro della mia vita, tant’è
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Mettere le cozze nella casseruola a fuoco vivace e quando iniziano ad aprirsi cospargerle di pepe nero. Una volta che tutte si sono aperte, filtrare il liquido, rimetterle nella casseruola, pepare nuovamente e aggiungere il liquido filtrato. Portare ad ebollizione e cospargere di prezzemolo fresco tritato. Servire.
Tagliatelline con ragù di triglie e gamberi sotto scampo 4 etti di tagliatelle Cav. Giuseppe Cocco 2 spicchi d’aglio 4 triglie di medie dimensioni 2 etti di gamberi 4 scampi prezzemolo fresco 1 scatola di pelati San Marzano Dop olio extravergine di oliva 1 padella 1 piastra in ghisa
Versare nella padella l’olio, far imbiondire l’aglio e riservarlo. Versarvi i pelati e cuocere la salsa per 10 minuti. Aggiungervi le triglie squamate, eviscerate e sfilettate e i gamberi sgusciati, cuocere per altri 10 minuti e infine aggiungere il prezzemolo tritato. Nel frattempo cuocere la pasta in acqua bollente
salata e arroventare la piastra dove cuocerete gli scampi a cui avrete inciso la parte inferiore della corazza, rigirandoli una volta per una cottura uniforme che durerà in tutto 12 minuti. Scolare la pasta e condire direttamente nella padella. Impiattare adagiando lo scampo sul cuscino di pasta.
Nasellini sfilettati e fritti con rosolacci
Preparare una marinata con un bicchiere e mezzo di olio, l’aglio tagliato a fettine sottili, il prezzemolo, il succo di limone e il pepe. Mettere in infusione in una pirofila i naselli per un’ora circa, rivoltandoli ogni tanto. Poi asciugarli bene avendo cura di rimuovere eventuali frammenti di aglio o prezzemolo e infarinarli.
8 etti di naselli freschissimi sfilettati olio extravergine di oliva delicato 2 spicchi d’aglio 6 rametti di prezzemolo 1 limone e mezzo pepe 1 uovo 1 padella 1 pirofila 1 frustina Sbattere a parte un uovo assieme a un cucchiaio abbondante di marinata. Passarvi i filetti già infarinati e friggerli in olio ad alta temperatura 3 minuti per lato salando solo al momento di servire. Nel frattempo lavare e pulire bene i rosolacci, asciugarli e condirli con un “dress” fatto da olio, limone e sale omogeneizzati con una frustina.
Pudding alle albicocche su crema di arance 260 g di zucchero 180 g di farina tipo 00 130 g di albicocche secche 80 g di burro 60 g di uva passa 60 g di gherigli di noce 1 bustina di vanillina 1 arancia non trattata 1 uovo ½ cucchiaino di lievito in polvere ½ cucchiaio di bicarbonato di sodio 1,5 dl di succo di arancia 2 dl di panna fresca olio di semi di girasole 1 ciotola 1 grattugia fine 1 setaccio 2 casseruole 1 cucchiaio di legno 1 coltello 4 stampi da pudding in silicone/alluminio Foglio di alluminio 1 pentola per la cottura a vapore
In una ciotola lavorare a crema il burro con 100 g di zucchero, incorporare la vanillina, l’uovo e la buccia grattugiata di mezza arancia. Aggiungere la farina setacciata, il lievito e amalgamare il tutto fino a ottenere un impasto omogeneo che terrete da parte. In una casseruola unite 2 dl di acqua con le albicocche secche sminuzzate, l’uva passa ammollata e le noci tritate grossolanamente a coltello. Portate a ebollizione, togliete dal fuoco e aggiungete il bicarbonato di sodio; mescolate e versate il tutto nell’impasto tenuto da parte, amalgamando con un cucchiaio di legno. Distribuite il composto in 4 stampi da pudding possibilmente in silicone, in alternativa vanno bene anche quelli in alluminio spennellati d’olio, copriteli con un foglio di alluminio e cuoceteli a vapore per 35 minuti. In una piccola casseruola fate sciogliere il resto dello zucchero con 0,6 dl di acqua; quando lo zucchero inizierà a caramellare, togliete dal fuoco e aggiungete il succo d’arancia, mescolate e fate raffreddare. Rimettete sul fuoco, versando a filo la panna fresca. Fate sobbollire la salsa per un paio di minuti. Servite i dolcetti tiepidi cosparsi della salsa.
che è visibile anche dalla camera da letto. Piatto preferito? Non esiste. Dolce o salato? Dolce e salato. Vino o birra? In questo momento della mia vita birra. La mia casa è invasa dalle bottiglie che contengono il liquido luppolato e a breve inizierò la produzione in casa aprendo le porta a nuove materie prime come malti, luppoli, lieviti... Cosa vorrei come regalo? Una cantina. Tornando ai cibi, difficilmente cucino la stessa cosa due volte in un semestre e ultimamente al supermercato da mangiare compro solo il lievito e i pelati (San Marzano Dop presidio Slow Food). Ultimo acquisto esagerato per quantità: 25 kg di farine varie. Per costo: l’ultimo ordine di birre. L’ultimo ristorante in cui ho mangiato veramente bene è stato La tana degli orsi di Pratovecchio. Mi piace cucinare perché adoro “modificare”, cambiare lo stato fisico, il colore, l’odore delle cose. I miei amici hanno paura di me, sono un mostro, stanno a una distanza di sicurezza di almeno 3 metri. Ho permesso in rarissime occasioni di tagliare una cipolla o sbucciare uno spicchio d’aglio. Tutt’altra storia per mia moglie Giuditta che mi prepara tutte le materie prime e ripulisce la cucina dall’uragano culinario.
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