Vulesse addeventare suricillo Vulesse addeventare suricillo oi nennaré Pe li rusicare ’sti catene ca m’astregneno lu pede e che me fanno schiavo Vulesse addeventare pesce spada oi nennaré Pe poterli subito squartare tra lu funnu de lu mare ’sti nemici nostre Vulesse addeventare na palomma oi nennaré Pe putere libero vulare ’nquacchiare le divise a tutt’e piemuntise Vulesse addeventare na tamorra oi nennaré Pe scetare a tutta chella gente ca nun ha capito niente e che ce sta a guardare Vulesse addeventare na bannera oi nennaré Pe dare nu culure a chesta guerra ca la libbera sta terra che ce fa murire Vulesse addeventare nu brigante oi nennaré Ca po sta sulo a la muntagna scura pe te fa sempe paura fino a quanno more
Vitti ’na crozza Vitti na crozza supra lu cannuni fui ’ncuriusitu e ci vossi spiari idda m’arrispunniu cu gran duluri murìu senza lu tuccu di campani
Cunzatimi cunzatimi lu letto ca di li vermi su manciatu tuttu si nun lu scuntu ura a su piccatu lu scuntu all’autra vita a chiantu ruttu
Si nni eru si nni eru li mi anni si nni eru si nni eru un sacciu unni ura ca su rivatu all’uttant’anni chiamu la vita e i morti m’arrispunnino
Ci staci nu giardinu intra lu mari tuttu ntessutu di aranci e ciuri puri l’asceddi cci vannu a cantari e le sirene cci fannu all’amuri
Partire partirò, partir bisogna Partire partirò, partir bisogna dove comanderà nostro sovrano; chi prenderà la strada di Bologna e chi anderà a Parigi e chi a Milano Se la partenza, o cara, ti sembra amara, non lacrimare; vado alla guerra e spero di tornare Quando saremo giunti all’Abetone riposeremo la nostra bandiera e quando si udirà forte il cannone addio, Gigina cara e bona sera! Ah, che partenza amara, Gigina cara, mi convien fare! sono coscritto e mi convien marciare Di Francia e di Germania sono venuti a prenderci per forza militare, e allora quando ci sarem battuti tutti, mia cara, speran di tornare Ah, che partenza amara, Gigina cara, Gigina bella! di me non udrai forse più novella
Trenta giorni di nave a vapore Trenta giorni di nave a vapore finché in America siamo arrivati e l’America l’è lunga e l’è larga circondata da alte montagne e l’industria dei nostri italiani han fondato paesi e città
Mannaggia a ’li ingegneri E mannaggia a ’li ingegneri che ingegnarono la ferrovia che se nun facea li mezzi all’America nun se ia Argentina chi ce va poi s’arruvina Venezuela meglio avessi ‘nu colera e che mangio pesce e carne nun m’accontento mai meglio essere in Italia nella fame in mezzo ai guai
Pizzicarella Pizzicarella mia, pizzicarella ’u diavulu stacira canta e balla ci è tarantulà falla ballari ci è malincunia cacciala fora addò t’ha pizzica’ sta tarantella sott’a’ lu girugiru de la gonnella addò t’ha pizzicato stu scurzone sott’a’ lu girugiru de lu cauzone Lu tamburellu miu veni di Roma Mannaggia chi nun canta e chi nun sona
Bella sei nata femmina Bella sei nata femmina per ffà ppenà ll’amanti ne hai fatti penà tanti e a mme mi fai morì e a mme mi fai morì Bella da’la finestra affacciati farmi vedere ‘l bianco viso angelo del paradiso il primo amore sei tu il primo amore sei tu Bella che fai la giardiniera buttéme laggiù ‘nna rosa quando allora sarai mia sposa là dormiremo insiè’ là dormiremo insiè’
Maremma Tutti mi dicon Maremma, Maremma e a me mi pare una Maremma amara L’uccello che ci va perde la penna io ci ho perduto una persona cara Sia maledetta Maremma, Maremma sia maledetta Maremma e chi l’ama! Sempre mi trema il cor quando ci vai perchÊ ho paura che non torni mai
Il disertore In piena facoltà, egregio Presidente, le scrivo la presente, che spero leggerà. La cartolina qui mi dice terra terra di andare a far la guerra quest’altro lunedì. Ma io non sono qui, egregio Presidente, per ammazzar la gente più o meno come me. Io non ce l’ho con Lei, sia detto per inciso, ma sento che ho deciso e che diserterò. Ho avuto solo guai da quando sono nato e i figli che ho allevato han pianto insieme a me. Ma mamma e mio papà ormai son sotto terra e a loro della guerra non gliene fregherà. Quand’ero in prigionia qualcuno m’ha rubato mia moglie e il mio passato, la mia migliore età. Domani mi alzerò e chiuderò la porta sulla stagione morta e mi incamminerò. Vivrò di carità sulle strade di Spagna, di Francia e di Bretagna e a tutti griderò di non partire piú e di non obbedire per andare a morire per non importa chi. Per cui se servirà del sangue ad ogni costo, andate a dare il vostro, se vi divertirà. E dica pure ai suoi, se vengono a cercarmi, che possono spararmi, io armi non ne ho.
Partire partirò ha come filo conduttore il rapporto tra musica, viaggio e sogno. Ăˆ un insieme di musiche e canti che ci hanno consentito, pur rimanendo al chiuso di una sala prove, di sconfinare verso terre e culture diverse, ma anche di entrare in risonanza con coloro che in passato hanno sognato una patria meno ingiusta ed avara, hanno lasciato alle spalle la propria terra per poi riviverla costantemente nel rimpianto. Boris Vian e Harold Berg ci ricordano che, talvolta, occorre rifiutarsi di partire.
1. Scottish del gatto Sergio Bernardo 2. Vulesse addeventare suricillo Canto popolare campano 3. Vitti ’na crozza Canto siciliano attribuito a Franco Li Causi, 1950 4. Partire partirò, partir bisogna Canto attribuito al cantastorie toscano Anton Francesco Menchi, 1799 5. Medley dell’emigrazione Merica Merica Trenta giorni di nave a vapore (nord Italia) Mannaggia a ‘li ingegneri (Calabria) Tarantella Petronà (Calabria) Pizzicarella (Salento) 6. La partida Tradizionale venezuelano (la parte di violino è stata elaborata da Vincenzo Caglioti)
7. Bella sei nata femmina Canto del repertorio del Gruppo Filandare di Jesi (An); informatrice Armanda Animobono Mancini (1912-1988). Tratto dalla raccolta: Io vado allĂ filandra - Canti della filanda jesina, a cura di G. Pietrucci, Centro Tradizioni Popolari, 1989 8. Maremma Canto popolare toscano 9. Mazurca francese Tradizionale francese (la seconda e la terza voce sono state elaborate da Vincenzo Caglioti) 10. Il disertore Boris Vian e Harold Berg, 1954 Traduzione italiana di Giorgio Calabrese 11. Mazeltov / The basso (a) Tradizionale yddish, arr. Juliane Zollmann; (b) Tradizionale gitano 12. Mana vu Danza tradizionale ebraica
Ringraziamenti Al Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Ospedale Sant’Anna di Como per gli spazi concessi e per le collaborazioni realizzate. Ai nostri compagni di viaggio nella realizzazione di questo lavoro: Maurizio Aliffi, Livia Auguadro, Giovanni ’Gianda’ Bedetti, Simone Mauri. A Marco Belcastro e Vittorio Liberti che hanno dato un contributo fondamentale ad alcuni arrangiamenti. Un grazie particolare a Pier Galletti che da circa dieci anni ‘suda’ per noi, a Ugo Ambroggio per le fotografie e a Pia Fietta per il suo impegno organizzativo. Un pensiero va a tutti coloro che hanno contribuito a far nascere e crescere il progetto musicale D’altrocanto, in primo luogo Giulia Cavicchioni (tra i fondatori del gruppo) e poi tutti gli amici che hanno condiviso tempo, suoni e passioni. Questo disco è dedicato anche a coloro che da molti anni seguono i nostro concerti con attenzione ed affetto.
Bella sei nata femmina è un canto d’amore dedicato a Elena Marelli.
Oltre le colline Il signor Finisterre viveva in campagna, non per scelta, c’era nato. Lì aveva imparato a coltivare la terra, ad allevare animali, a leggere, a catalogare erbe e insetti rari, a scrivere libri che nessuno aveva ancora letto, a sognare. Il giorno del suo ottantunesimo compleanno, come accadeva da sempre, terminò di pranzare all’una precisa, solo, seduto a capo di un grande tavolo, in una sala silenziosa. Anselmo, il domestico, vecchio quanto il suo padrone, col suo passo incerto si avvicinò per sparecchiare e stava per tornare in cucina con il vassoio carico di vivande quando il signor Finisterre lo richiamò. “Anselmo, -disse- quando hai terminato di là torna con una bottiglia del vino che sai e due bicchieri.” Le sopracciglia del domestico si inarcarono impercettibilmente. Di lì a poco Anselmo era di nuovo davanti al signor Finisterre, aveva con sé la bottiglia e i due bicchieri come gli era stato chiesto. Restava immobile davanti al tavolo, visibilmente imbarazzato. “Siediti dunque e tieniti un bicchiere!” Il signor Finisterre prese la bottiglia e riempì i bicchieri. “Alla salute!” aggiunse. Il vino, come aveva previsto, era eccellente. “Da quanto tempo viviamo fianco a fianco e ci siamo detti quasi niente. Per discrezione non ci siamo mai interessati l’uno dell’altro, quello che abbiamo saputo l’abbiamo scoperto per caso, perché ci hanno costretti. Eppure sei certamente la persona che ho conosciuto meglio… la persona che mi conosce meglio. Di tutto questo sono molto contento e ho la presunzione di credere che sia lo stesso anche per te…” Anselmo taceva. “Sai bene che per pigrizia, per dovere, finanche per paura non ho mai lasciato
questa casa, questa terra profumata, questa luce familiare. Non ho mai visto cosa ci sia oltre l’orizzonte delle colline. Non ho mai ambito a qualcos’altro. Così fra tante cose desiderabili a ottantun anni m’è rimasta soltanto la voglia di viaggiare. È una voglia tiepida, come sono le voglie dei vecchi, un desiderio che non consuma, la luce debole di una candela. Non c’è da ridere? Di energie me ne restano poche, ma cosa importa…? Dicono che il mondo, oltre le colline, resti bellissimo...” Anselmo ascoltava con il bicchiere in mano senza decidersi a bere. Il signor Finisterre indugiava a osservare i riflessi purpurei del vino. “Ormai siamo due vecchi e i vecchi non dovrebbero desiderare più niente. Però sarebbe bello se tu mi accompagnassi…se ci si accompagnasse. Anche tu, Anselmo, per quello che so, da quando sei qui non hai più viaggiato...” Versò dell’altro vino e con la bottiglia in mano si fermò a guardare oltre le finestre. Gli capitava sempre più spesso di incantarsi su un dettaglio senza importanza. Anselmo chiese il permesso di alzarsi per tornare alle sue occupazioni. Il signor Finisterre avrebbe voluto trattenerlo ancora un poco ma sapeva perfettamente che dalla bocca di quell’uomo essenziale non sarebbe uscita una parola e se l’avesse costretto a fermarsi avrebbe solo aumentato il suo disagio. Fu verso le cinque del pomeriggio che Anselmo bussò alla porta della piccola sala che fungeva da biblioteca dove, nel frattempo, il signor Finisterre si era trasferito e tra una dormita e l’altra aveva tentato di leggere qualcosa. Di libri da leggere, per fortuna, gliene restavano centinaia. “Ci sono di là dei signori che vorrei farvi conoscere.” disse Anselmo. Il signor Finisterre restò sorpreso perché da tempo non voleva ricevere nessuno, figuriamoci degli estranei, ma era il giorno del suo compleanno e non voleva mortificare Anselmo. Quattro uomini entrarono nella sala, si muovevano goffamente nello spazio
angusto. Si guardarono intorno e scelsero l’angolo vicino al caminetto. A tratti parlottavano fra loro in una lingua sconosciuta. “Sono suonatori ambulanti,- spiegò Anselmo - suoneranno per voi, per il vostro compleanno.” Adesso furono le sopracciglia del padrone di casa ad inarcarsi impercettibilmente. Il signor Finisterre non smetteva di osservare quei quattro individui cenciosi e di fare congetture sulla loro apparente felicità. Da dove venivano? Che storie si portavano appresso? C’erano tre giovani e un vecchio, erano dunque parenti o si erano scelti? Dalle logore custodie uscirono strumenti stravaganti che in poche battute furono sapientemente accordati. Finalmente i quattro suonatori furono pronti e si inchinarono verso il loro ospite. Qualche nota cominciò a svolazzare per l’aria. Un istante ancora e i quattro si guardarono, si sorrisero e ad un cenno convenuto un improvviso fiume di suoni sgorgò dai loro legni inondando la sala. Il signor Finisterre restò annichilito. Una musica appassionata, malinconica e allegra al tempo stesso, presto si diffuse per tutta la casa, percorse i corridoi silenziosi, risalì le scale, attraversò la penombra delle stanze, accarezzando le tende uscì dalle finestre e presto la si poté udire anche nel giardino e oltre, sui pendii che conducevano alla sommità delle colline... Fu così che il signor Finisterre il giorno del suo ottantunesimo compleanno, dentro la sua stanza preferita, sedendo su una poltrona consunta, con in mano un libro, chissà quale, viaggiò per la prima volta in vita sua oltre le colline. Enrico Ferioli
Cristina Bossi: canto Franco Dell’Olio: mandola, mandolino, cavaquinho Enrico Ferioli: flauto dolce, piva, piffero e canto Giorgio Lavatelli: canto Massimiliano Lepratti: violino Franco Pandolfo: contrabbasso e basso tuba Sandro Tangredi: chitarra, percussioni e canto Tilde Tognocchi: canto Bruno Venturini: organetto diatonico Hanno collaborato: Simone Mauri: clarinetto in “Mazeltov / The basso” Maurizio Aliffi: chitarra in “Maremma” Livia Auguadro: violoncello in “Maremma” Giovanni “Gianda” Bedetti: chitarra in “Mana vu” Registrato presso “Sulfur Moa” di Gironico (Co) il 17, 18, 24 e 25 marzo 2007 Tecnico di registrazione Giovanni “Gianda” Bedetti Mastering Andrea Bernasconi Ha collaborato Pierangelo Galletti Grafica: Tomaso Baj www.tomasobaj.it
Associazione Culturale D’altrocanto
Via Roma 7 - 22030 Pusiano (CO) www.daltrocanto.name - info@daltrocanto.name