Articolo La Provincia su Tomaso Baj - 15 giugno 2014

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LA PROVINCIA DOMENICA 15 GIUGNO 2014

Il personaggio

L’uomo del computer e del design

«Faccio twittare anche le piante e regalo a Como il logo della città» Dopo l’esperienza ventennale al Politecnico Tomaso Baj racconta una serie di proposte dal carattere tipografico dell’Aereo Club al marchio che ha disegnato: «Mettiamoci in rete» DI BRUNO PROFAZIO

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uò un quarantenne di oggi fare un regalo a una città che vanta oltre duemila anni di storia? Sì, se pensiamo che la civil­ tà in cui siamo immersi è caratte­ rizzata dai segni. Tomaso Baj, co­ masco, discendente di una fami­ glia di imprenditori e artisti, ap­ passionato ed esperto di compu­ ter, grafica, design e molte altre discipline, lancia una proposta: «Oggi le città più importanti han­ no un logo. Io ho disegnato un logo per Como e lo regalo alla città. Usiamolo, la farà riconoscere in tutto il mondo». Tomaso è anche autore di un intrigante “lettering” Comobasatosuelementiraziona­ listi, è esperto di “physical compu­ ting”, cioè del digitale applicato al mondo fisico naturale e tiene workshop sull’uso della scheda Arduino con la quale è in grado di interfacciare una piantina a un social network, ma ha anche idea­ to le “smappe”, cartine che defini­ sce «prodotti pop­up geografici». Insomma, Tomaso è un talento comasco.

P

Da dove viene Tomaso?

Uscivo dalle scuole elementari e andavo in bici all’Aero Club (il pa­ dre è Cesare Baj, patron dell’Aero Club nonché amministratore de­ legato del “Corriere di Como”, ndr). Crescevo all’idroscalo e quando i piloti partivano chiedevo un passaggio. Poi, avendo i doppi comandi mi facevano pilotare. Ri­ cordo che a 12 anni ho pilotato un volo da Como a Napoli, con mio padre. Le elementari le ho fatte in via Fiume, molto creative, mi han­ no segnato positivamente. Si im­ parava a scrivere tardi, ma presto a fare grafica, fotografia, cinema e altro. Le medie alla Parini, un ap­ proccio più tradizionale. Ho pas­ sato l’esame di terza media con i professori che hanno detto: «Beh, questo sa fare le foto, da qualche parte potrà andare». Usavo una Olimpus con il “fish­eye” e facevo ritratti. Da tredici anni ho fatto anche agonismo con il Cai e mi sono ritrovato sui ghiacciai. Poi ho smesso. E l’approccio scientifico?

Dopo la Parini, lo Scientifico. Ma potevano mandarmi in qualun­

ETÀ 40 anni CURRICULUM Nasce a Como in una famiglia discendente di imprenditori tessili e artisti. Fin da piccolo rivela una passione per il linguaggio dei computer. È consulente per progetti editoriali, per il web, per la pubblicità, la comunicazione e l’interazione digitale. Tiene workshop sulla nuova tecnologia Arduino STORIA Per vent’anni assistente al Politecnico nella facoltà di Design, ha realizzato il primo logo di Como e lo dona alla città

que scuola perché io avevo in mente le mie cose. Ho cominciato a lavorare come grafico apprendi­ sta nello studio di mio padre e ri­ cordocheaquindicianni hoimpa­ ginato un libro di 900 pagine di Carl Gustav Jung per la Red. Per tanti anni ho progettato cd allegati ai libri per i diritti dei popoli del mondo. L’interesse per i viaggi mi viene forse da prima di nascere: i miei genitori fino a poco prima di avermihannovissutoinNepalper un po’ di anni. Inoltre, sono cre­ sciuto per molti mesi dell’anno in una specie di famiglia allargata composta da tutti i cugini nipoti di mio nonno Mario, che aveva un’azienda di tessuti a Olgiate Co­ masco. Lui raccontava pochissi­ mo dei suoi avi di origine milane­ se. L’unica cosa che sappiamo è che mio trisnonno Giuseppe Baj è stato l’inventore del panettone industriale a Milano. Mentre mio nonno materno ha dipinto le ve­ trate del Sacrario di Garzola. Cresciuto, poi via da Como?

Sì, perché dicevano che ero molto bravo ma sinceramente io non la vedevo questa bravura e allora so­ no andato a studiare al Politecnico a Milano dove c’è un approccio alla grafica che non è solo sul disegno ma è multisciplinare, va dall’inge­ gneria all’automazione, all’archi­ tettura e soprattutto in un conte­ sto internazionale. Al Politecnico vivevo con giovani stranieri, ho

vissuto con bulgari, yankee ameri­ cani, cinesi. Vivevo nel campus e con loro studiavo e lavoravo. Per vent’anni. Lì ho conosciuto il pro­ fessor Michele Patanè che è il pro­ gettista dei caratteri del sistema operativo Windows per i telefoni­ ni Lumia della Nokia. Da lui sono stato particolarmente segnato. 2

Da qui la passione per i caratteri?

Sì, ho progettato una font ispirata all’insegna dell’idroscalo di Como, creata negli anni Cinquanta sullo stile degli anni Trenta degli archi­ tetti razionalisti. La font si chiama Aero Club Como e viene venduta all’idroscalo come gadget e si può installare su qualunque compu­ ter. Il lavoro è stato di ricostruire tutte le lettere dell’alfabeto par­ tendo da quelle poche della scritta all’hangar. Questa è una tendenza molto in voga nelle città dove c’è un alto numero di creativi: pren­ dere cose fatte nel passato e pro­ porre le versioni digitali. Ho cerca­ to di portare a Como quello che ho imparato a Milano ma spesso non è applicabile: ci sono qui metodi che intralciano le novità, ci si fer­ ma alle normali routine acquisite. La mentalità di Como? Risente del­ l’ambiente piccolo?

Beh, uno vorrebbe essere nel po­ sto migliore per progettare, inve­ ce... Comunque una cosa nobile che può fare un designer che ha imparato qualcosa di importante è far capire, pur lentamente, an­ che alle persone più chiuse quali potrebbero essere i sistemi per far accettare quello che si fa a un mer­ cato più ampio, globale. Un esem­ pio: noi a Como facciamo libri e li realizziamo solo per noi, li vendia­ mo ai nostri vicini di casa che ci li comprano perché ci conoscono, ma vorrei vedere se solo li portas­ simo a Milano cosa accadrebbe. Comoèunapiccolacomunità.Sia­ mo sempre qui tra di noi. Spero che nel corso del tempo si potrà avere una visione più aperta. Quando la passione per i computer?

HoiniziatoanoveanniconunoZX Spectrum che aveva 48 k di ram. Comunque mi occupavo già di di­ segno generativo. Se dovevo fare un cerchio non lo disegnavo ma

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Il creatore di segni 1.Tomaso Baj durante un’escursione al San Primo 2. Lettering Como con la C pianta della Novacomum, la O anelli della fontana Cattaneo di piazza Camerlata, la M calorifero in nickel progettato da Terragni e la O un quadro di Carla Prina 3. Il logo di Como di ispirazione razionalista con il simbolo del lago

scrivevo i comandi in modo che lo realizzava il computer. Recente­ mente ho ripreso questa tecnica con un corso dove faccio da assi­ stente a Maximiliano Romero in cui ci occupiamo di design genera­ tivo: varie forme che nascono a partire da codici di programma­ zione. Ad esempio, per un concer­ to di Morgan abbiamo realizzato una scenografia prodotta colle­ gando tutti i telefonini del pubbli­ co (che scarica la app) connessi tra di loro e con l’accelerometro dei cellulari si determinano impulsi proiettaticomefasciluminosidie­ tro il palco. Così ho conosciuto an­ che Mick Rock, il fotografo dei Rolling Stones, dei Beatles, il foto­ grafo dell’epoca bit. E la storia che riesce a far scrivere i tweet a una piantina su Twitter?

È la scheda Arduino. Una tecnolo­

Programmavo computer a 9 anni Le meraviglie Arduino Una piantina lancia il tweet: «Ho sete» Qui manca uno spazio d’incontro

gia nuova, inventava dall’italiano MassimoBanzi,cheservepercon­ nettere la programmazione con il mondo fisico. Possiamo leggere valori di qualunque tipo (joystick, temperature, accelerazioni, giro­ scopi, bussole, umidità) e farne l’uso che vogliamo. Tengo dei workshop su questa tecnologia. Faccio vedere come una piantina attraverso vari sensori viene colle­ gata alla scheda Arduino a sua vol­ te connessa a internet e in base, ad esempio, al parametro dell’umidi­ tà la piantina lancia il segnale e la scheda Arduino fa partire il tweet «ho sete» che va online. Ho fatto esperimenti dove la pianta è in grado di dire se vuole cambiare posizione (se manca il sole) o addi­ rittura casa. Questa scheda ha una community enorme che la svilup­ pa. Al laboratorio del Politecnico di Milano dove ho fatto da assi­ stente mi occupavo in particolare di ausili per handicappati, com­ prese le protesi, oggi realizzabili attraverso le stampanti 3D. E l’idea del logo per Como?

Penso sia una cosa importante per la città. È un progetto che ho fatto al Politecnico di Milano. È un logo pronto anche per il 3D: è di imme­ diata riconoscibilità per la forma del lago, l’essenzialità lo rende as­ similabile allo stile razionalista. Sarebbe bello se qualcuno ne fa­ cesse qualcosa. Ha radici profon­ de ed è moderno. Sarebbe il primo logo di Como. Aiuterebbe a far ri­ conoscere la città. Il logo comuni­ ca senza essere letto.

Come vede il ruolo del designer?

Munari diceva che il sogno di un designer non è finire al museo ma al mercato rionale. Il vero desi­ gner come proprio obiettivo do­ vrebbe avere quello di progettare i cartelloni stradali o i cartelli di indicazione di un ospedale, cose che servono alle esigenze quoti­ diane della gente comune. Cosa direbbe ai comaschi?

Che manca e ci vuole a Como uno spazio di co­working per i creativi, che non devono lavorare chiusi in una camera o negli uffici. È una città dove c’è stata un’avanguardia come il Razionalismo. Poi una ri­ flessione da viaggiatore: Como ha il treno, l’auto, l’aeroporto, la funi­ colare, il battello, cinque mezzi di trasporto. Poche città sono come noi. Ma la critica che io faccio è che esistono molti spazi stupendi ma non per far incontrare persone. Manca uno spazio di scambio, fisi­ co. Non Facebook, il telefonino, le mail... Poi non c’è la cultura della condivisionedeiprogetti.Ognuno si tiene i suoi, forse per paura. Ep­ pure dovremmo imparare: se a Como c’era uno che faceva la seta e teneva tutto per se sarebbe rima­ sto sempre uno da solo in quel campo, invece è nato un intero comparto economico scambian­ do le informazioni. Le comunità che crescono e riescono ad emer­ gere sono quelle che sanno con­ nettersi tra di loro e scambiarsi le conoscenze. Il presupposto è sen­ tirsi appartenenti a una comunità propria. Como lo è.


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