Rubens e i fiamminghi

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a cura di Sergio Gaddi

SilvanaEditoriale


In copertina Peter Paul Rubens, Borea rapisce Orizia, particolare, circa 1615. Vienna, Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste (grafica Rossana Gaddi)

Silvana Editoriale Progetto e realizzazione Arti Grafiche Amilcare Pizzi S.p.A. Direzione editoriale Dario Cimorelli Art Director Giacomo Merli Redazione Sergio Di Stefano Attilia Mazzola Impaginazione Donatella Ascorti Coordinamento organizzativo Michela Bramati Segreteria di redazione Valentina Miolo Ufficio iconografico Deborah D’Ippolito, Alessandra Olivari Ufficio stampa Lidia Masolini, press@silvanaeditoriale.it Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. L’editore è a disposizione degli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare © 2010 Silvana Editoriale S.p.A. Cinisello Balsamo, Milano © Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste, Vienna © Kunsthistorisches Museum, Vienna © Liechtenstein Museum, Vienna


Como, Villa Olmo 27 marzo - 25 luglio 2010

Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Mostra promossa e organizzata da

Mostra a cura di Sergio Gaddi Renate Trnek Coordinamento generale Sergio Gaddi Assessore alla Cultura del Comune di Como

Per l’elaborazione del progetto e per i prestiti è stato fondamentale il rapporto di collaborazione con i seguenti musei prestatori Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste, Vienna Kunsthistorisches Museum, Vienna Liechtenstein Museum, Vienna

Con il sostegno di Un particolare ringraziamento per il sostegno nella preparazione della mostra a Renate Trnek Direttrice Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste Sabine Haag Direttrice Kunsthistorisches Museum Johann Kraeftner Direttore Liechtenstein Museum

Media Partner

Con il contributo tecnico di

Con il contributo di


Segreteria tecnica e organizzativa Comune di Como - Assessorato alla Cultura Veronica Vittani, coordinatrice Onia D’Antuono Valentina Cavallari Francesca Testoni Federica Battaglia Rita Begnis Paola Chianese Mariolina Sala Arianna De Santi Maddalena Mussi Assistenza tecnico-scientifica dei musei prestatori Andrea Domanig Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste Karl Schütz, Elke Oberthaler Kunsthistorisches Museum Sophie Wistawel, Helga Musner, Michael Schweller Liechtenstein Museum Coordinamento relazioni internazionali Veronica Vittani Commissione tecnica comunale Tullio Saccenti Antonio Ferro Piera Pappalardo Coordinamento organizzativo Como Servizi Urbani Mariano Montini presidente Marco Benzoni direttore generale Graziella Muggiolu responsabile amministrativo collaborazione tecnica Orlando Ventimiglia

Progetto grafico e immagine coordinata Rossana Gaddi

Merchandising e bookshop Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo

Ufficio stampa CLP Relazioni Pubbliche, Milano

Biglietteria M.I.Da. Informatica, Bergamo

Relazioni pubbliche Vertex International Consulting, Milano

Visite guidate Team guide del Comune di Como

Progetto allestimento Ciro Mariani, EXNEXT®, Como

Audioguide Antenna Audio Italia, Roma

Grafica allestimento Rossana Gaddi

Servizi educativi Team didattico del Comune di Como

Ricerca iconografica e testi Chiara Rostagno

Apparati didattici Roberto Borghi Francesca Testoni

Realizzazione allestimento Krea Allestimenti di Massimo Marelli, Cantù Assistenza tecnica allestimento Sara Egle Parma Marco Ciceri Marco Pozzi Dino Vascotto Armando Annoni Daniele Belli Allestimento illuminotecnico CD’C Illuminotecnica, Como Restauri Alessandra Collina Andrea Domanig Astrid Lehner Robert Wald Impianti termici e microclimatici Turba Impianti, Como Impianti antintrusione e videosorveglianza Gr2 Impianti, Como

Progetto teatrale Laura Negretti, Teatro in Mostra, Como Video Art of Movie, Como Mc2 studio, Cantù OLO creative farm, Como Sito internet Vertex International Consulting, Milano Promozione IGP Decaux, Milano JMD comunicazione e marketing, Como Ferrari Promotion, Milano Telesia, Roma Premiere, Como Promos, Milano ISS Corti, Como Assicurazioni AXA Art, Monaco UNIQA, Vienna

Vigilanza Sicuritalia Group, Como

Trasporti Kunsttrans, Vienna Apice, Roma

Impianti audio-video Camponovo, Como

Movimentazione e logistica Easy Group, Como


Consulenza per ricerca sponsor Egg Events, Milano

Catalogo a cura di Sergio Gaddi

Informatica Soluzioni Software, Como

Coordinamento generale Chiara Rostagno

Traduzioni Globostudio, Como

Saggi di Sergio Gaddi Renate Trnek Renzo Villa Johann Kraeftner Karl Schütz

Fotografi Ferdinando Sacco Carlo Pozzoni Andrea Butti Mattia Vacca Tendostrutture Extend, Padova Spettacoli inaugurazione Rst Service, Verona Studio Tre Rose, Como OLO creative farm, Como

Schede Johann Kraeftner Karl Schütz Michael Schweller Renate Trnek Biografie Roberto Borghi Cronologia Renzo Villa

Un particolare ringraziamento a Monsignor Diego Coletti Vescovo della Diocesi di Como

Si ringraziano Cristina Acidini, Nino Anzani, Dario Bianchi, Mary Boggia, Roberta Butti, Valentino Carboncini, Leonardo Carioni, Giacomo Castiglioni, Roberto Cecchi, Cornelio Cetti, Dario Cimorelli, Giorgio Colombo, Fedele Confalonieri, Umberto D’Alessandro, Giovanni De Censi, Andrea De Micheli, Paolo De Santis, Aldo e Carlo Doglioni Majer, Jean-Marc Droulers, Joseph D’Souza, Fabrizio du Chène de Vère, Riccardo Ferrari, Giuseppe Fontana, Marco Fossi, Maurizio e Barbara Giunco, Cristina Lorini, Daniele Longo, Angelo Majocchi, Lorenzo Manca, Pinuccia Marino, Gilberto Menin, Angelo Palma, Franze Piunti, Daniela Porro Bonito, Elvira Rainone, Gianna Ratti, Antonello Regazzoni, Mario Resca, Daniele Rosa, Gianluigi Rossi, Ambrogio Taborelli, Michele Tomaselli, Silvana Vairo, Gianalberto Zapponini

Supervisione grafica Rossana Gaddi Traduzioni Roberta Butti Globostudio, Como

Si ringrazia per la preziosa collaborazione il Ministero per i Beni e le Attività Culturali



Il 2010 segna il settimo anno in cui la grande arte approda a Como, rendendo ormai tradizione un appuntamento nato lanciando una sfida nel 2004, con la rassegna dedicata a Miró, e consolidatosi negli anni successivi con le mostre su Picasso, Magritte, impressionisti e simbolisti, Klimt e Schiele, avanguardie russe.Tutti artisti straordinari, nomi di richiamo, capolavori indiscussi che sono riusciti ad attirare centinaia di migliaia di turisti sulle rive del Lario e hanno costituito l’occasione per far conoscere e apprezzare anche l’incanto delle bellezze naturali, il fascino dei monumenti, le peculiarità della cucina, gli eventi culturali. Nonostante le difficoltà connesse all’attuale congiuntura economica, l’Amministrazione comunale ha deciso di investire anche quest’anno nella realizzazione di una nuova grande mostra, consapevole del valore della cultura in sé e come preziosa molla di un ingranaggio che dà slancio al turismo e, quindi, all’economia del nostro territorio. Esprimo dunque gratitudine ancor più profonda nei confronti di quanti hanno scelto di partecipare in prima persona, sostenendo come sponsor l’organizzazione dell’evento. Di assoluta novità è poi il periodo artistico che sarà quest’anno oggetto d’indagine e valorizzazione negli splendidi saloni della nostra neoclassicaVilla Olmo. Mentre in precedenza si è puntato sull’arte moderna, con maestri dell’Ottocento e Novecento, ora la nostra attenzione si focalizzerà sulla ricca e immaginifica pittura fiamminga, che ci porterà a esplorare, tra la seconda metà del Cinquecento e il Seicento, innanzitutto il genio di Peter Paul Rubens, di cui si potranno ammirare ben venticinque capolavori, insieme a un’altra quarantina a firma di artisti del suo entourage, tra cui Anthonis van Dyck, opere provenienti da musei viennesi, che daranno modo di approfondire in modo ragguardevole le nostre conoscenze sulla pittura fiamminga e, più in generale, sull’epoca barocca. Sarà un viaggio in un’arte più immediatamente godibile anche da parte di un vasto pubblico, poiché si ritorna ai canoni di una rappresentazione classica e formalmente realistica, ma non mancheranno sottili allusioni e percorsi rari tutti da decifrare. E sarà interessante e nel contempo emozionante scoprire gli inimmaginati legami e le insospettabili suggestioni che connettono quegli artisti e quella sensibilità ad ambiti ed espressioni dell’arte moderna, in alcuni casi addirittura dell’arte contemporanea. Il Comune di Como ritiene quindi giusto impegnare risorse in un percorso che mira alla scoperta, alla valorizzazione e alla diffusione del bello, nella convinzione che persone stimolate nel segno della bellezza possano anche compiere scelte migliori.

Stefano Bruni Sindaco di Como



“La bellezza salverà il mondo.” Riconosco in questa frase di Dostoevskij un’occasione significativa per fermarci a riflettere sull’importanza, per la nostra vita, di un valore che oggi sembra essere dominante, ma che in realtà non riusciamo a vivere appieno: la bellezza. Nella società contemporanea la “bellezza” è stata ridotta ad “apparenza”, con standard magari qualitativamente elevati, ma effimeri, perché non hanno radici profonde e una volta evaporata l’immediata parvenza del “bello”, sotto la superficie non resta nulla. È una bellezza consumistica, del “tutto e subito”, che non sa reggere il confronto del tempo e dei contenuti. L’esperienza del bello, purtroppo, è appiattita alla dimensione della pura e sola esperienza sensibile e dell’emozione. Aspetti che ne fanno certamente parte ma che ne costituiscono soltanto un momento superficiale. Quella che ci salverà, invece, è la bellezza che gli occhi sanno cogliere, che la mente sa leggere e di cui l’anima sa nutrirsi, fino a rendere il cuore libero dalla schiavitù dell’immagine e capace di comprendere l’essenziale. La grande mostra internazionale che Como ospita, dedicata a Rubens e ai fiamminghi, è senza dubbio un’opportunità culturale preziosa per allenarci nell’impegnativo ma splendido esercizio dell’educare noi stessi ad apprezzare il bello. Rubens, e la schiera di pittori suoi conterranei che vediamo in questa esposizione, ci introducono in un’epoca storica e artistica di grandi rivoluzioni. Il barocco è qui nella sua fase embrionale, ma già vediamo la ricchezza dei racconti, anche espressivi, e l’iconografia sovrabbondante di particolari e di colori. Rubens, poi, nella propria produzione religiosa, diventa strumento di una Controriforma che vuole tornare ad affermare la dignità dell’arte e della rappresentazione sacra rispetto alla severità del calvinismo, che nei Paesi Bassi molto era penetrato, portando al rifiuto di ogni forma di immagine. Fermandoci a osservare, con sguardo attento e curioso queste tele, con un solo colpo d’occhio riusciamo a imparare molto della storia, del contesto, del carattere di persone ed epoche passate ma giunte a noi grazie a chi ha saputo vedere e conservare la bellezza di tali opere. Resta, infine, lo stupore che il genio, il gusto e l’abilità dell’artista suscitano con forza in chi osserva. Sono doni e talenti che l’intelligenza e l’animo umano sanno trafficare, per regalare a tutti opere d’arte che stupiscono e arricchiscono. Mi auguro che in tanti vorranno cogliere l’opportunità di visitare questa mostra, di fermarsi ammirati al cospetto del tratto energico e impetuoso di Rubens e dei fiamminghi per riscoprirsi rinvigoriti e allenati alla conoscenza del bello. Diego Coletti Vescovo della Diocesi di Como



La mostra Rubens e i fiamminghi celebra la genialità del maestro e la sua modernità, che continua a sorprendere per la potenza grandiosa ed esuberante della pennellata che ha reso universale il barocco europeo. La ressegna è un traguardo che qualifica in modo prestigioso il programma Grandi mostre Como, giunto alla settima edizione. La fitta rete di relazioni internazionali, i legami con il sistema dell’arte e soprattutto gli intensi rapporti con importanti istituzioni museali europee hanno permesso la realizzazione di un progetto che, per qualità e quantità di opere esposte, assume particolare rilievo tra quelli dedicati al maestro fiammingo negli ultimi vent’anni in Italia. Un artista che, secondo Federico Zeri, è “di gran lunga il più grande pittore di tutti i tempi, dal punto di vista della materia pittorica, del modo di adoperarla e della varietà del suo repertorio”. Il percorso espositivo, strutturato secondo la logica della narrazione emotiva, diventata ormai tradizione delle grandi mostre di Como, si snoda attraverso i temi caratteristici della pittura del maestro, dai soggetti sacri ai riferimenti alla storia, al mito e all’allegoria, esaltando la straordinaria forza di seduzione della sua opera con tutta l’articolata ricchezza tematica e compositiva. Un’occasione unica per ammirare non solo l’intera grande collezione rubensiana dell’Accademia di Belle Arti diVienna, ma anche una serie di capolavori proveniente dal Liechtenstein Museum e dal Kunsthistorisches Museum diVienna. A ciò si aggiunge una raffinata selezione di opere di maestri fiamminghi come Anthonis van Dyck, Jacob Jordaens, Gaspar de Crayer, Peter Boel, Cornelis deVos,Theodoor van Thulden, attraverso i quali si evoca l’atmosfera delle Fiandre nel Seicento tramite l’indagine del tema naturalistico, della pittura di genere e della grande tradizione delle nature morte. Anche questo progetto, ideato e curato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Como, è stato realizzato secondo la logica dell’organizzazione diretta da parte dell’Amministrazione, che ha compiutamente acquisito al proprio interno strutture e competenze qualificanti per la gestione di grandi progetti espositivi internazionali. Il lavoro si è sviluppato nell’ambito del più ampio programma operativo Como città della cultura, costruito sulla consapevolezza del valore della cultura come elemento primario e insostituibile dello sviluppo strategico urbano.

Sergio Gaddi Assessore alla Cultura del Comune di Como



Sommario

17

Rubens e i fiamminghi: la passione per l’infinita bellezza del mondo Sergio Gaddi

35

Le opere di Rubens presso la Galleria dell’Accademia di Belle Arti di Vienna Renate Trnek

41

Academia Rubeniana: umanesimo e colore nelle invenzioni di Rubens RenzoVilla

63

La collezione dei Rubens della casa regnante del Liechtenstein Johann Kraeftner

67

Storia della collezione dei Rubens nella Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum Karl Schütz

73

Catalogo

232

Biografie degli artisti a cura di Roberto Borghi

236

I luoghi e i tempi di Peter Paul Rubens a cura di RenzoVilla



Rubens e i fiamminghi: la passione per l’infinita bellezza del mondo Sergio Gaddi

L’opera di questo maestro è una formidabile ode alla gioia. L’ode che ogni grande artista compone in queste ore radiose della sua esistenza, che Dante immagina coronando la sua Divina Commedia dei cerchi dorati del Paradiso, che Shakespeare mescola sotto forma di fééries al suo teatro convulso e cruento, che Beethoven intercala in una tumultuosa e tragica sinfonia, lui, Rubens, la canta con allegria e forza singolari, lungo tutta la sua esistenza. Ecco il suo miracolo. Emile Verhaeren

La forza dell’amore appassionato e profondo che lega il maestro fiammingo alla pittura è una delle chiavi di lettura più immediate della sua opera ed è un’evidenza che non si spegne con il finire della vita fisica del maestro. Oggi, come nel Seicento, la passione rivoluzionaria di Rubens assume una valenza estetica che supera il tempo e rende vitale e innovativo un genio vissuto quattrocento anni or sono. È evidente che il segno indelebile lasciato dal maestro fiammingo nella storia dell’arte ha modificato i canoni espressivi dell’epoca dando vita a un nuovo stile, ma se è vero – come sostiene Benedetto Croce – che “tutta la storia è storia contemporanea”1, allora è interessante leggere la modernità dell’esperienza rubensiana nello spazio ancora aperto della contemporaneità, dove l’attualità del messaggio si misura nella sua capacità di influenza e di indirizzo delle tendenze. La scelta delle opere e il piano della mostra sono costruiti con l’intento di celebrare la genialità di Rubens e la sua modernità, che continua a sorprendere per la potenza grandiosa ed esuberante della pennellata che ha reso universale il barocco europeo. Rubens, in realtà, è sempre contemporaneo perché fissa nel tempo l’infinita bellezza del mondo e riesce a infondere la vita alle sue creazioni attraverso la luce e il colore. La sua pittura è una festa per l’anima e per gli occhi e le opere esposte raccontano l’inesauribile gusto per la vita del grande artista e la prodigiosa forza di seduzione che nasce dalle sue visioni. Nella sua pittura l’immaginazione è forza vitale e la sua creatività arriva ai limiti dell’irrazionalità, intesa come invenzione pura che sorprende la ragione. Oltre all’efficace ritratto di Rubens delineato dal poeta simbolista Emile Verhaeren, i riferimenti letterari possono essere molteplici: tra i molti che la storiografia ci consegna, è forse opportuno ricordare Baudelaire, che paragona l’artista fiammingo a una sorta di fiume, nel quale “la vita fluisce e di continuo s’agita, come l’aria nel cielo e il mare dentro il mare”2. Ma, al di là delle figure retoriche, appare chiaro che l’opera di Rubens è la rappresentazione visiva della passione, della forza esuberante della vita che spezza i canoni espressivi della tradizione. Per cercare di cogliere i meccanismi della seduzione istantanea e non-mediata che nascono dall’opera di Rubens, possono essere efficaci alcuni cenni alla sua vicenda umana. Occorre guardare all’uomo per arrivare a comprendere la sua straordinaria capacità di accordare ogni elemento delle sue creazioni (soggetto, tecnica, equilibrio compositivo, colore) con il variega17


to universo delle emozioni umane, arrivando alla perfezione dell’opera che sconfigge il tempo e che vibra in ogni epoca storica sulle medesime corde emotive dell’osservatore. Dopo l’esperienza d’erudizione acquisita negli otto anni trascorsi in Italia, al suo ritorno ad Anversa nel 1608, Peter Paul Rubens ottiene rapidamente una serie di prestigiose commesse, arrivando a conoscere rapidamente fama e ricchezza. Al di là dello straordinario talento di “pittore”, termine con il quale egli stesso ama definirsi, Rubens possiede una stupefacente capacità e pratica diplomatica. Tale virtù gli permette di entrare in rapporto di familiarità con le grandi corti europee e lo porta a ottenere veri e propri incarichi diplomatici, che diventano ulteriori amplificatori delle sue capacità, procurandogli onori e commesse. Lavora per la pace tra Spagna e Inghilterra, e si confronta direttamente nelle corti dei re Filippo IV e Carlo I (figg. 1-2). Diventa consigliere di stato del sovrano spagnolo mentre quello inglese gli conferisce un titolo nobiliare3. La grande casa-studio che costruisce ad Anversa (fig. 3) e che diventa anche il nucleo vitale della sua celebrata bottega, possiede al suo interno ambienti d’impronta differente. È una sorta di metafora architettonica sia dell’anima fiamminga della tradizione familiare sia della sensibilità mediterranea importata dall’Italia e dalla Spagna. La luce che invade lo studio, dalle grandi vetrate a soffitto, è emblema della vita che – grazie anche alla luce – l’artista infonde nelle sue creazioni. Peter Paul Rubens è uomo di sconfinata e articolata cultura. La passione per le lettere classiche, per l’archeologia, per la musica e per il collezionismo alimenta una personalità multiforme 18

1. Peter Paul Rubens, Ritratto della marchesa Maria Serra Pallavicino, 1606. Kingston Lacy, The National Trust 2. Peter Paul Rubens, Ritratto di Giovan Carlo Doria a cavallo, 1606. Genova, Palazzo Spinola, Galleria Nazionale della Liguria


3. Cornelis de Baellieur, Veduta della casa di Rubens. Firenze, Galleria Palatina

che gli permette – secondo quanto recano le fonti storiche – di dipingere elegantemente vestito e “di dettare al medesimo tempo lettere in svariate lingue, di ascoltare letture di Tacito o di Virgilio e di ricevere ambasciatori”4. La pittura rubensiana trasuda gioia di vivere e la sua vita, salvo alcuni lutti prematuri, è tangibilmente felice. L’artista fiammingo non corrisponde a nessun modello di pittore “maledetto” o sofferente, e in ciò è immediatamente chiara la differenza tra il suo temperamento e quello – tormentato e impetuoso – del quasi coetaneo Caravaggio, che opera a Roma nello stesso periodo. Di lui, il giovane fiammingo intuisce immediatamente la straordinaria portata innovativa e tecnica. Lo studia a fondo, lo interpreta e ne metabolizza l’insegnamento. L’ampia cultura gli permette di seguire gli stimoli di una curiosità senza limiti per i soggetti esotici, per i temi insoliti e i personaggi particolari. Il rifiuto di ogni intellettualismo di maniera lo porta ad assumere uno stile di vita sicuro ed esuberante, come la sua pennellata. Ne è pienamente cosciente: “Una dote innata mi ha chiamato a eseguire grandi opere piuttosto che piccole curiosità. Ciascuno ha la sua maniera. Il mio talento è di siffatta guisa che nessuna impresa, per quanto grande e multiforme nell’oggetto, potrà sormontare la fiducia che ripongo in me stesso”5. L’inizio del percorso espositivo evoca l’atmosfera delle Fiandre e accompagna il visitatore entro una narrazione emotiva, che è diventata tradizione delle grandi mostre di Como. Mistero, meraviglia, fantasia animano la pittura fiamminga del paesaggio, sin dalla fine del Cinquecento. Con il Seicento si consolida la propensione a indagare il paesaggio secondo un approccio realistico, che seduce, in particolare, per la stupefacente capacità di penetrare nell’essenza della natura e di restituirla con esuberanza figurativa, sapienza analitica e un’ostinata nitidezza e definizione ottica. Due sono i principali temi che s’intersecano nella produzione del XVII secolo. Da un lato c’è la seduzione per la natura indomita, che trova il suo cardine nel mistero silvestre e nella sua sconfinata gamma coloristica. Dall’altro c’è il fascino esercitato dalla concezione barocca dello spazio, che si rivela nella presenza di corpi netti e nell’uso insistito di diagonali, che convergono in lontananza: l’estensione spaziale dello sguardo si coniuga con la ricerca dell’enfasi del movimento. 19


4. Peter Paul Rubens, Rubens ed Hélène Fourment in giardino, particolare, circa 1631. Monaco, Alte Pinakothek

Nella composizione è preminente la ricerca del rapporto fra interno ed esterno, fra uomo e paesaggio, fra Natura naturans e Natura naturata, ovvero fra la natura indomita e la natura intesa quale luogo dell’invenzione (fig. 4). La prima opera in mostra è Musicanti all’aperto, un lavoro del 1610 di David Vinckboons, artista specializzato nel paesaggio e nella pittura di genere coetaneo di Rubens, che evoca in modo delicato e quasi subliminale uno dei fili narrativi della mostra, ovvero il senso della carnalità e della passione. La tela di Vinckboons, un piccolo capolavoro di armonia e freschezza pittorica, si ispira esplicitamente al tema e alle atmosfere del “giardino d’amore” (fig. 5): lo spazio fisico e psicologico del corteggiamento, che diventa anche il titolo del celeberrimo 20


5. Peter Paul Rubens, Il giardino d’amore, particolare, circa 1632-1633. Madrid, Museo del Prado

lavoro di Rubens esposto al Prado, a testimonianza di quanto fossero popolari i temi e le immagini dei giochi nobiliari sullo sfondo dell’allusione erotica. Si può tentare una comparazione, naturalmente solo tematica, tra il lavoro di Vinckboons, che mostra un gruppo aristocratico impegnato in danze e allegre conversazioni sotto gli effetti bacchici del vino, e la raffigurazione di Rubens che presenta un analogo gruppo di nobili che passeggiano e amoreggiano sotto gli auspici di Venere, circondata da amorini, che fa fluire acqua dal proprio seno. L’atmosfera cambia radicalmente, diventando molto più rarefatta nel Paesaggio con viandanti di Joos de Momper, così come nel Saccheggio di un villaggio di Peter Snayers, artista membro della gilda di San Luca, che manifesta esplicitamente nella sua pittura l’influenza di Pieter Brueghel il Vecchio. Il tema naturalistico viene approfondito con il trittico formato dal Paesaggio con parco e castellum acquae di Jan Wildens, dal Paesaggio di dune di Adriaen Brower e dal Paesaggio collinare di Jacques d’Arthois, opere che, sia per la resa stilistica della natura che per la sua presenza autonoma rispetto alla componente narrativa, portano a proseguire sulla via del “paesaggio universale”, tracciata all’inizio del XVI secolo dal pittore fiammingo “paesaggista” Joachim Patinier. Ma ancora una volta è il genio di Rubens a creare discontinuità, sviluppando l’analisi sul tema della rappresentazione della natura con esiti imprevedibili, caricando di un accentuato dinamismo la peculiare staticità del paesaggio fiammingo. 21


La concezione rubensiana del paesaggio segna una chiave di volta nella produzione fiamminga. Nel confronto con la natura egli conduce una sorta di purificazione delle forme, sino a condurle alla loro sintesi cromatica e luminosa: le figure umane rimangono imprigionate in un’orgia di forme e movimento6. La persuasione dei sensi affiora dalla pellicola pittorica: “C’è una sorta di vibrazione la quale passa dalle figure rappresentate fino allo spazio esterno”7. Sulla base della tradizione fiamminga e ribaltando, dopo averlo metabolizzato, l’ordine compositivo e prospettico della classicità geometrica di Annibale Carracci, Rubens sembra infondere il soffio vitale del vento, l’energia del sole e il senso del movimento a quella natura che da soggetto dell’ispirazione diventa oggetto della sua rappresentazione. Opere come il Watering Place del 1620 e Het Steen del 1636, entrambe conservate alla National Gallery di Londra, sono punti di svolta radicali nella storia dell’arte. Il nuovo paesaggio di Rubens prelude le atmosfere romantiche, l’idea che Constable e Turner interpreteranno in Inghilterra alla fine del Settecento, sulla scorta delle esperienze di Thomas Gainsborough: artista cresciuto nel solco di Rubens e Van Dyck. Ma l’aspetto forse più insolito è l’esiguità della produzione paesaggistica rubensiana – i paesaggi sono solo una quarantina in tutto – dipinta nell’arco di trent’anni. Il tema del paesaggio non rientra fra le opere più praticate dalla bottega di Wapper. Il maestro pare ritroso e tende ad avere lo stesso atteggiamento protettivo che sviluppa nei confronti dei disegni, che preferisce allontanare dal pubblico e dal mercato quasi come fossero elementi di un tesoro personale e indisponibile, parte di uno spazio intimo da proteggere dal mondo e dalle influenze esterne. Si annuncia poi il tema cardine della pittura di genere, vale a dire l’indagine della realtà quotidiana, estesa anche a quella delle classi più umili, colta sullo sfondo dell’ambiente urbano o contadino. Gli avvenimenti vengono afferrati nell’attimo, sebbene siano poi restituiti con una precisione del tratto che rimanda all’accuratezza analitica e alla dovizia figurativa del realismo fiammingo e olandese. I corpi sono ritratti con esibita naturalità e con una gestualità che rimanda alla centralità dell’attività da essi condotta. Non c’è una postura preordinata e i volti solo raramente presentano uno sguardo diretto: tutto vive dell’enfasi del momento e del tumulto che contrassegna l’esistenza umana. La rappresentazione drammaticamente partecipe del reale trova il suo apice nelle scene corali, come Il pranzo dei contadini, di Gillis van Tilborgh, che ricorda lo stile delle celebri Nozze contadine realizzate attorno al 1568 da Peter Brueghel il Vecchio, caposcuola di un filone espressivo solo apparentemente semplice, in quanto focalizzato sulla vita rustica, ma che in realtà stimola l’attenzione alla ricerca di elementi paradigmatici delle passioni, delle miserie e delle debolezze umane che proprio attraverso la libertà espressiva dei contadini riescono a disfarsi della maschera dell’artificio. Il filone di Brueghel si sviluppa fino a superare il confine delle Fiandre per essere perfezionato dall’olandese Jan Steen, che sviluppa ironia e introspezione psicologica come dimostrato dalla Festa per un battesimo del 1664 e da Nella lussuria fa attenzione del 1660. La pescivendola di Abraham van Beyeren è un’opera che offre una sorta di anteprima rispetto alle grandi nature morte che si incontreranno alla fine del percorso espositivo di Villa Olmo. In entrambi i casi la percezione visiva di un’esperienza quasi tattile di fronte al quadro è un elemento centrale nel rapporto di lettura dell’opera. Qui si legge la consistenza del pesce così come, più avanti, si percepirà l’impressione del pelo della selvaggina e della maturazione della frutta. La meticolosa riproduzione della realtà, che per uno strano paradosso visivo sembra prendere vita proprio nella rappresentazione di corpi di animali esanimi, gioca con la contrapposizione della potenza e dello splendore della composizione. In questo dipinto la ricchezza del mare è fonte e metafora della ricchezza del paese. D’altra parte lo stesso Rubens nel 1631 compie una breve azione diplomatica in Olanda, con la quale sostiene la restituzione di alcuni prigionieri in cambio della libertà di piccola pesca ne “l’Océan”8. Al tema della raffigurazione delle scene di genere si contrappone l’universo dell’allegoria, ovvero delle scene storiche o mitologiche, nelle quali prevale l’astrazione e l’intento di raffigurare un’idea priva di immediati riferimenti tangibili. È il caso dell’Iniziazione alla stregoneria di David Teniers il Giovane, dove le figure femminili al centro della scena sembrano guardare con indifferenza il carosello infernale che si muove 22


intorno a loro. Teniers inizia la sua attività ad Anversa, dove nel 1637 sposa la figlia di Jan Brueghel dei Velluti, importante collaboratore di Rubens. Nella raffigurazione del mito, l’obiettivo cardine dell’opera è quello di tradurre in termini realistici un episodio astratto. In questo risiede il significato autentico del termine allegoria: ovvero il “parlare d’altro”. Le figure umane personificano gli enti supremi, gli stati dell’animo, le ambizioni, le attese: sono la pace, la virtù, l’abbondanza, le divinità. Laddove il soggetto trae origine da un evento o personaggio storico, le composizioni s’incentrano sulla voluta supremazia del soggetto raffigurato, sulla sua apoteosi che viene celebrata attraverso ampi e articolati apparati allegorici. Propaganda fide Al ritorno di Rubens ad Anversa dopo gli otto anni passati in Italia, le Fiandre spagnole e cattoliche stanno per firmare la tregua di dodici anni con le Province Unite dell’Olanda protestante dopo quarant’anni di guerra ininterrotta. L’aspetto delle chiese e dei conventi, sfigurato dalla furia iconoclasta della riforma luterana, impone in modo sempre più pressante la necessità di restituire splendore e onore alle architetture, nel solco e nel rispetto dell’ortodossia cattolica della quale i gesuiti diventano i custodi e difensori più attenti. La traduzione estetica della spiritualità di Ignazio di Loyola predilige la vicinanza anche “fisica” del fedele a Cristo9. L’esigenza realista della Controriforma porta ad apprezzare maggiormente la rappresentazione dove lo spettatore è partecipe della scena dipinta, e in questo Rubens è facilitato per aver magistralmente acquisito una propensione alla monumentalità della composizione pittorica, propria della cultura italiana e pressoché sconosciuta alla tradizione pittorica del Nord. L’urgenza di individuare un interprete che potesse riuscire nell’arduo compito di restituzione della gloria artistica della tradizione cristiana vede in Rubens le caratteristiche dell’artista interprete privilegiato della Controriforma. L’incarico ricevuto per la decorazione della cattedrale di Anversa, definito da Federico Zeri10 il suo capolavoro assoluto, viene interpretato in modo straordinario dal maestro. Egli realizza un prodigio di spazialità con la raffigurazione dei personaggi della Bibbia e della tradizione cristiana secondo una prospettiva dal basso verso l’alto che crea un effetto di attraversamento del limite fisico della volta, dimostrando come il maestro fiammingo abbia colto la suggestione dell’esperienza prospettica di Paolo Veronese. La chiesa dei Gesuiti viene distrutta da un incendio nel 1718 e la definitiva scomparsa delle grandi tele porta ad attribuire inevitabilmente ancora maggiore importanza agli straordinari bozzetti a olio preparatori, esposti insieme alla tela di Anton Ghering, che mostra l’originaria architettura interna della cattedrale. Ma la grande qualità dei bozzetti non è solo la conseguenza della drammatica scomparsa dell’opera finale. Il loro valore intrinseco risiede nel fatto che questi lavori siano eseguiti per mano unica del maestro e testimoniano, oltre al pensiero più vero dell’autore tradotto dal pennello che vi sedimenta la sua personale calligrafia, anche tutte le fasi del progetto creativo: dall’idea compositiva iniziale fino alla stesura del colore e alle dinamiche narrative. L’infinità di tavole realizzate in Italia di fronte alla potenza muscolare delle statue romane, lo studio della plasticità di Michelangelo e di Leonardo, l’analisi meticolosa di Tiziano, tutto ciò lo porta ad assumere come patrimonio di esperienze una sconfinata ricchezza visiva che si riversa nei disegni e negli schizzi su carta. La genesi dell’idea passa dalla mente alla mano e, di qui, al bozzetto che si arricchisce di osservazioni e annotazioni autografe e diventa un tesoro privato, del quale il maestro è molto geloso. Con buona probabilità Rubens non avrebbe mai permesso l’esposizione dei disegni preparatori e dei bozzetti poiché sono ritenuti personali, troppo legati alla sua anima e troppo carichi di indizi sul suo modo di lavorare e di costruire la forma. Altra cosa, invece, è l’articolazione della bottega, che anche se frequentata da decine di artisti di talento è un supporto e non giunge mai a una sostituzione completa della mano del maestro. Lui stesso delinea i contorni dell’importanza assunta dai propri discepoli in una lettera all’ambasciatore d’Inghilterra, del 28 aprile 1618. Nel proporre lo scambio tra alcune sue 23


6-7. Caravaggio, Morte dellaVergine, 1604. Parigi, Museé du Louvre

opere e una collezione di marmi antichi, l’artista fiammingo chiarisce che il “Prometeo legato sul monte Caucaso e di cui un’aquila tormenta il fegato con il becco [è] dipinto da me eccetto l’aquila che è di Snijders”. Il sacro Due opere in mostra, la Vergine in gloria adorata dagli angeli, e la Circoncisione di Cristo (rispettivamente i modelli per la pala dell’altare maggiore della chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma e per l’ancona dell’altare maggiore della chiesa dei gesuiti di Sant’Ambrogio a Genova) trasmettono il valore dell’esperienza italiana dell’autore. “Quando l’occasione più bella e più splendida in tutta Roma si presentò, la mia ambizione mi spinse ad avvalermi della possibilità. È il grande altare della nuova chiesa dei Preti dell’Oratorio, chiamata S[anta] Maria in Vallicella, senza dubbio la più celebrata e frequentata chiesa oggi in Roma, situata proprio nel centro della città, che deve essere adornata dagli sforzi congiunti dei più abili pittori in Italia”11. Così Rubens si rivolge ad Annibale Chieppio, luogotenente del duca di Mantova, il 2 dicembre del 160612: egli invoca il permesso di rimanere a Roma per realizzare l’opera. Ma la commessa, ottenuta alcuni mesi prima per intercessione dell’influente monsignor Giacomo Serra, subisce immediatamente la diffidenza dei committenti per via dell’ubicazione marginale dell’immagine miracolosa della Vergine. L’incarico, in realtà, prevedeva la valoriz24


zazione e il trasferimento sull’altare maggiore di un venerato dipinto del XIV secolo della Madonna in gloria. L’insoddisfazione manifestata dai padri oratoriani per l’opera finita, nonostante la presentazione di numerosi bozzetti preliminari, spinge Rubens a realizzare una nuova versione della tavola, che presenta l’elevazione al cielo dell’immagine della Vergine. Questa seconda versione era composta da tre pannelli in ardesia, al posto dell’unico pezzo originario, con una lastra di rame a copertura della “finestra” ricavata nella tavola e destinata a ospitare l’antico dipinto della Madonna che veniva svelato e mostrato ai fedeli solo durante le ricorrenze di maggiore importanza. La lunghezza e la complessità nella realizzazione della pala, dovuta alle perplessità degli oratoriani, porta a un esito finale animato da uno stile personale e innovativo che il maestro non avrebbe più abbandonato nel corso della sua carriera. L’opera, fondamentale per lo sviluppo successivo della pittura barocca, vede in primo piano una moltitudine di angeli adoranti dalle fattezze caravaggesche, organizzati secondo uno schema semicircolare sui quali si innalza un gruppo di putti alati che sostengono l’immagine della Vergine. Un’impostazione ancor più teatrale è rintracciabile nella Circoncisione di Cristo, tavola nella quale lo sguardo è rapito da una prospettiva delineata da un fascio di luce divina che irrompe nella scena nell’esatto momento in cui il Salvatore, ancora bambino, versa il suo primo sangue. Rubens contravviene le prescrizioni della tradizione ebraica aggiungendo le donne sulla scena e coglie, con grande delicatezza, il sentimento di dolore che spinge la Madonna ad allontanare lo sguardo dall’azione fisica compiuta sul corpo del bambino. L’opera porta a un’immediata immedesimazione corporea ed empatica con la vicenda rappresentata. La composizione assorbe lo spettatore nell’azione. Altre figure bibliche arricchiscono e completano la scena: il profeta Simeone che riconosce la potenza della divinità nonostante la sua cecità, la profetessa Anna e il Giovanni Battista bambino con la madre. Rubens interpreta appieno il desiderio e le aspettative controriformistiche dei gesuiti di trasmettere l’esperienza religiosa non come fatto privato, chiuso entro una logica puramente intellettuale e privo di un coinvolgimento dei sensi, ma come stile di vita da manifestare all’esterno. La trascendenza del confine tra la vita e la morte assume particolare vigore espressivo nelle raffigurazioni sacre, dove la realtà dei sentimenti umani è accostata al mistero della fede. Il solco tracciato dalla Morte della Vergine di Caravaggio (figg. 6-7) risulterà indelebile. Peter Paul Rubens interviene per l’acquisto dell’opera di Michelangelo Merisi, in favore del duca di Mantova. L’opera era stata rifiutata dalla chiesa di Santa Maria della Scala a causa dello scarso decoro della donna del popolo – una cortigiana si disse – scelta per rappresentare la 25


Vergine. L’umanità assurge al divino: “L’angoscia di quegli astanti sembra prender senso e autorità infinita dal chiarore devastante che, irrompendo a sinistra […] sosta per un attimo sul viso arrovesciato della Madonna Morta, sulle calvizie lunate, sui colli pulsanti, sulle mani disfatte degli apostoli; fende di traverso il viso dolente di Giovanni; fa della Maddalena seduta in pianto un solo massello luminoso; della sua mano sul ginocchio un grumo solo di luce rappresa”13. Per la cosiddetta linea fiamminga l’eredità dell’esperienza artistica caravaggesca ha un’importanza capitale per l’unicità del suo segno, nel quale si sostanzia l’accordo “deciso e perentorio fra fisico e metafisico”. “Così nella macchia astratta e dirupata del chiaroscuro caravaggesco […] emerge subitamente, e come per fatale incidenza, l’avvenimento più vero, più tangibile, più naturale”14. Non occorrono allegorie. Non c’è amore più viscerale di quello di un genitore per il proprio figlio. Non c’è dolore più struggente di quello che accompagna la morte. Peter Paul Rubens lo aveva compreso in profondità con la morte di Claire Serene, sua figlia, e di Isabella, sua moglie. E tale consapevolezza affiora e si rafforza nei suoi dipinti religiosi, nei quali la concezione dell’opera ruota sulla semplicità dei moti dell’animo: l’affetto, la gioia, il dolore. Il sacro e l’umano si incontrano nelle lacrime che solcano un volto al cospetto della deposizione di Cristo, nelle braccia protese al cielo al culmine della disperazione, nell’incarnato livido di un corpo esangue: la grammatica dei sentimenti è universale. Il tema religioso è una costante nell’esperienza rubensiana, e il percorso espositivo presenta due coppie di opere che entrano in relazione narrativa tra loro. Il primo rapporto si sviluppa tra le intense tavole di Sant’Anna che orna di fiori laVergine, del 1610, e di San Francesco davanti al crocifisso, del 1625, dove i gesti e le posture attorno alla Madonna nella scena familiare vengono richiamate nello sguardo e nella fiduciosa apertura delle braccia di san Francesco, che entra in relazione estatica con la visione del Crocifisso e con la rivelazione del mistero. Bisogna sempre tenere presente che le istanze già evidenziate della Controriforma di suscitare nell’osservatore sentimenti di immediata partecipazione alla scena rappresentata trovano piena soddisfazione nella mirabile capacità di Rubens di rendere la tensione dinamica delle figure, secondo le esigenze educative della committenza. È interessante leggere il dialogo tra l’Assunzione dellaVergine, un’opera di Van Dyck, e Il pacifico regno di Giacomo I di Rubens. Osservando contemporaneamente i due lavori, si percepisce subito la maggiore inquietudine del tratto di Van Dyck rispetto alla tridimensionalità delle masse compositive proprie di Rubens, che si ispira all’Apoteosi diVenezia di Paolo Veronese (Venezia, Palazzo Ducale), dove l’allegoria laica ricalca i moduli compositivi caratteristici dell’iconografia del giudizio universale15. L’opera di Rubens possiede una forza di seduzione che trova nell’uso del colore uno degli elementi di maggiore magnetismo. La sua pittura diventa un caleidoscopio cromatico per la sensibilità dell’osservatore, ma è interessante notare come l’artista quasi si schermisca. Naturalmente l’uso del colore possiede un ruolo preminente nelle sue visioni: “Della impressione gagliarda che fanno gli oggietti visibili nelli ochi di V.S., mi pare più strana quella delle linee e dei contorni de corpi, che delli colori, e manco di quelli somiglianti a l’iride che si fossero proprii delli oggetti. Ma io non sono tanto versato in questa materia, come V.S. pensa ne stimo degne le mie osservazioni di comparire in scritto, ma bene dirò sempre volentieri quello che mi venirà in mente”16. Il confronto con l’opera di Tiziano, Paolo Veronese e Tintoretto lo porta ad assaporare appieno la forza espressiva del chiaroscuro e delle “masse tinte”. Con grande stupore dei contemporanei, la pittura rubensiana trasfigura i codici cromatici consolidati attingendo dal “buon colorito veneziano”, pur padroneggiando la tradizione tecnica fiamminga che trasmette una luminosità della pennellata data dalla sovrapposizione attenta e calibrata degli strati pittorici. “Colorì dal naturale, e fu veemente nelle mistioni, radiando lume con la contrarietà dei corpi ombrosi, sicché fu mirabile nelle opposizioni dell’ombre e de’ lumi. Si mantenne si unito e risoluto […] come si riconosce nella Galleria di Lussemburgo, che è tutta armoniosa, e ritiene gli effetti più stupendi del colore; ed è il più bello e ’l più glorioso parto del suo pennello”17. 26


Nella sua maturità più piena, il colore prevale sull’attinenza al reale: la significazione prevale sulla somiglianza. I corpi vengono espressi attraverso macchie pure che – in lontananza – trasmettono l’impressione della vera carne: delle emozioni che la percorrono, del dolore che la lacera. La veemenza cromatica di Rubens è uno strumento di persuasione che attrae entro una spirale sensoriale irrefrenabile: la “retorica del colore diviene luogo della seduzione”18. Alla rappresentazione sacra, tema cruciale nel suo percorso espressivo, fa da contraltare una visione più profana e carnale della vita, dove anche le figure della mitologia partecipano al gioco della seduzione, come Venere che contempla allo specchio la propria perfezione (Venere allo specchio, Liechtenstein Museum). Lo stesso maestro è rapito dalla bellezza femminile. Quattro anni dopo la scomparsa della moglie, l’adorata Isabella Brant, “tutta buona, tutta honesta y per le sue virtù amata in vita y dopo morte [e] pianta universalmente da tutti”, sposa la sedicenne Hélène Fourment, “moribus et venustate incomparabilis”19. Lo scegliere in sposa una giovane cittadina “di parenthi onesti” e non una nobildonna viene spiegato dall’artista (nel dicembre 1634), con grande franchezza: “Mi piacque una che non s’arrosserebbe vedendomi pigliar gli pennelli in mano, et a dire il vero tesoro della preziosa libertà mi parve duro di perdere col cambio delli abbracciamenti di una vecchia”20. L’arte dei corpi Nudità svelate, corpi esibiti nella pienezza delle loro forme, membra tese dalla forza dinamica dei movimenti che l’opera trattiene, gestualità che vivono delle tensioni che si dibattono nell’animo umano: quelle di Peter Paul Rubens sono “figure eseguite in un corso di pennello ed ispirate in un fiato”21. In realtà, il tema della bellezza e della nudità femminile può essere ricercato nella pittura veneziana del XV e XVI secolo, nell’opera di Tiziano (Venere con lo specchio, Washington, National Gallery of Art) e di Veronese (Venere al bagno, Omaha, Joslyn Art Museum). Il salone centrale della mostra è dedicato all’analisi sulla percezione del colore come mezzo espressivo, al quale si aggiunge la tridimensionalità e l’invenzione dello spazio che abbraccia anche uno sguardo voluttuoso e carnale. In questa esuberante capacità di espressione il maestro di Anversa è insuperabile innovatore, e se la modernità è anche rottura degli equilibri e degli schemi consolidati, il prodigio della seduzione rubensiana irrompe nella tradizione e scompagina la logica del vedere. La tensione ideativa che investe i corpi che animano l’opera e gli studi anatomici rubensiani si svincola dalle proporzioni classiche e personifica i tratti distintivi degli esseri viventi, la loro bellezza, la loro capacità di sedurre i sensi con le loro gesta e con la forza cromatica degli incarnati. Il corpo umano viene colto come una tra le manifestazioni più elevate della natura e della sua essenza e, come tale, diviene oggetto di studio. Nel De imitazione statuarum, Peter Paul Rubens palesa la specificità del proprio rapporto con le opere del passato. Nel riprodurle, il tratto si ferma sugli aspetti che coincidono con la concezione espressiva ch’egli andava maturando. Il confronto con le eredità artistiche è il principio di un percorso interpretativo: “Nel comporre poi se ne serviva di motivo e ne arricchiva li suoi componimenti”22. La ricerca di una compiuta adesione al reale diviene centrale. L’artista trae dal confronto con il mondo tangibile la propria forza immaginativa, che vive del piacere e del desiderio che l’esperienza del bello suscita. Nel testo apocrifo di Peter Paul Rubens, Théorie de la figure humaine considérée dans ses principies, soit en repos ou en mouvement, viene espresso compiutamente il ruolo che la forza e il moto possiedono nella concezione dell’opera. Rubens si avvale delle figure umane anche nella strutturazione spazio-temporale del dipinto. Gli sguardi, i moti e le azioni definiscono la profondità e le spazialità che si intersecano e si contrappongono nella superficie pittorica. I corpi conducono lo sguardo nella drammaturgia dell’opera, nella sua architettura temporale. Borea rapisce Orizia ne è un esempio evidente; non solo figura pittorica del racconto mitologico del rapimento della figlia del re Eretteo da parte del signore dei venti, ma al tempo stesso paradigma della bellezza dinamica dei corpi. La tensione muscolare di Borea dimostra 27


l’inalterato vigore dell’anziano sovrano, a dispetto dell’età e dello sforzo. La tridimensionalità del corpo di Orizia viene esaltata dall’incarnato vibrante e dall’intenso velo rosso che segue il profilo delle forme. Nello sguardo della donna, in realtà, si intuisce che lo sgomento per la violenza del rapimento diventerà presto estasi d’amore. La voluttà, in altri termini, prenderà il posto della paura, la mano alzata sulla destra del quadro sembra essere più l’anticipo di un abbraccio che una richiesta d’aiuto. Amor vincit omnia. Ancora una volta la passione vitale dei sensi domina ogni previsione umana, compreso il rifiuto di Eretteo di concedere la figlia Orizia in sposa al potente Borea. Un fatto ci appare evidente. Il pittore fiammingo desume dal passato la sua idea di bellezza. In Théorie de la figure humaine... indaga e declina l’equazione secondo la quale l’aspetto dell’atleta sia equivalente al sublime: “La démarche des Athlètes a quelque chofe de plus fier & de plus fublime que celle des autres hommes”. La perfezione corporea è fonte di bellezza assoluta. Le forme virili celebrano la figura umana, la sua capacità di movimento. Forti e robuste, esse incarnano un’idea di armonia che trova spunto nel corpo d’atleta celebrato nella tradizione statuaria. Nell’approfondimento delle fonti antiche – scritte e figurative – Rubens compie una sorta di esegesi delle forme e del bello che trova poi espressione nella sua opera, anche sacra. C’è sempre passione nei suoi corpi, intesa come incontenibile forza vitale che manifesta la sua necessità anche per negazione. Gli effetti della sua assenza sono manifesti in Senza Cerere e Bacco si raffreddaVenere. Il dipinto presenta una Venere intirizzita davanti al piccolo fuoco che Amore tenta di rinvigorire con ogni sforzo, sacrificando anche una parte dell’arco, suo prezioso strumento. Entrambi sono stati abbandonati da Cerere, dea della fertilità, e da Bacco. L’evidente allegoria mostra il pericolo dell’assenza del benessere e della passione. L’avvertimento è chiaro: se le relazioni amorose non sfociano nella ricchezza della fecondità (Cerere) e non attingono all’ebbrezza vitale (Bacco) corrono il rischio di dissiparsi. Nel divertito indugiare rubensiano nella storia e nella favolistica troviamo espressa la particolare cifra del suo operare. Possiede una vasta e articolata cultura, che lo porterà a esibire nelle sue opere una piena confidenza con i temi storici e mitologici e una grande capacità di ideazione. Possedendo in profondità tali temi, Rubens è capace di congegnare impianti compositivi semplici e diretti. Lo studio dell’antico incarnato da Rubens s’inscrive nei moti di comprensione della contemporaneità, nella ricerca di una propria e autonoma poetica. Ancora una volta riaffiora l’influenza di Tiziano del quale vede, tra le molte opere, le poesie, cioè i dipinti mitologici sui temi delle Metamorfosi di Ovidio, che gli permettono di fondere l’eredità rinascimentale italiana con il suo retroterra di artista del Nord. Le Tre Grazie è un capolavoro che si presenta come luogo del piacere della pittura, che a sua volta trasmette ai sensi la pienezza della carne. Il tema, peraltro consueto nell’arco della vita del maestro, si presta alla manifestazione di uno degli effetti più tipici della sua pittura, il movimento, che può essere letto come il necessario complemento dello studio e dell’inserimento della forma nello spazio e della tridimensionalità dei volumi. Nelle Tre Grazie si coglie l’idea pittorica che rende la dinamica di un accennato passo di danza che rompe lo schema circolare del blocco scultoreo originale, fa voltare la figura centrale che non mostra più la schiena e fa torcere leggermente la figura di destra per rendere plastico e armonico il movimento. E anche la prosperità quasi tangibile delle donne dà prova della prodigiosa padronanza tecnica del maestro, che renda la figura con una tridimensionalità michelangiolesca, già incontrata nel Borea rapisce Orizia, sconosciuta in terra di Fiandra. Alle soglie del XVII secolo il viaggio d’erudizione nei principali centri artistici italiani costituisce un’esperienza senza equivalenti per i maestri e gli apprendisti fiamminghi, francesi, tedeschi, spagnoli. L’Italia diviene, per antonomasia, il luogo d’incontro con l’antichità classica e con la nozione del bello a essa riconducibile. Il pittore fiammingo vi attingerà senza ritrosie e con una profondità che porterà Berenson a dire: “Rubens è un italiano”23. La Lotta per lo stendardo è una versione rubensiana dell’affresco incompiuto di Leonardo, la Battaglia di Anghiari, commissionatogli nel 1503 per il salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio di Firenze. La parete opposta del palazzo viene affidata a Michelangelo, che realizza la 28


8. Peter Paul Rubens, Decio Mure si vota alla morte, particolare, 1616-1617. Vaduz-Vienna, Liechtenstein Museum

Battaglia di Cascina. Leonardo, però, lascia Firenze nel 1506 e abbandona l’opera. Il cartone leonardesco viene poi distrutto, ma artisti contemporanei ne realizzano numerose versioni. La battaglia celebra la vittoria di Firenze sulle armate milanesi di Filippo Maria Visconti nel 1440, e rappresenta la lotta violenta e ravvicinata tra uomini e animali, accentuata dalla durezza delle espressioni di crudeltà dei soldati e della brutalità della battaglia. Leonardo viene studiato a lungo da Rubens durante il suo soggiorno italiano, e in questa sua interpretazione del testo leonardesco carica il tono cromatico e aggiunge alcuni elementi come la coda del cavallo di destra, gli zoccoli di quello di sinistra, le ginocchia del valletto e le braccia dei soldati che incrociano così le spade al centro dell’opera, sottolineando in questo modo il senso drammatico della scena24. 29


Il tema della guerra e dell’eroismo umano si ritrova con molta chiarezza nel ciclo di Decio Mure, grande serie pittorica realizzata da Rubens, dedicata alla vittoria e alla morte del console romano (fig. 8) . La storia, riportata da Livio25 (Ab urbe condita, libro VII, capp. 6, 9 e 10), racconta della sfida verso Roma degli abitanti della pianura laziale, forti di un esercito più numeroso. I comandanti romani Decio Mure e Tito Manlio hanno in sogno la stessa visione, e cioè che l’esercito di colui il quale avesse consacrato se stesso agli dei avrebbe vinto: la vita di uno dei due condottieri sarà il prezzo per la vittoria e le monumentali tele esposte di Vittoria e Virtù e il Trofeo di armi lo esprimono compiutamente. La virtù militare è il presupposto naturale per la vittoria e il sacrificio di Decio Mure, che scopre dagli aruspici di essere il predestinato, si prepara stoicamente alla bataglia, che combatte con furore e cade, come ovviamente previsto dagli dei. Rubens rappresenta tutte le fasi della vicenda, dal sogno premonitore alle esequie finali di Decio Mure, e celebra in pittura la figura dell’eroe, dimostrando conoscenza e passione per la storia romana. Il percorso narrativo della mostra porta anche a indagare il realismo proprio della pittura fiamminga, che trova un suo apice espressivo nel ritratto. Sul principio del XVII secolo la tradizione ritrattistica si connota per incontrare le istanze d’affermazione della classe borghese che si affianca alle consuetudini celebrative della nobiltà. Nella composizione c’è una sorta d’alterigia, sancita nella rigidità e nella fissità delle figure, che tende a stemperarsi nella raffigurazione d’insieme. Rubens segna un punto a capo. Fa ardere il ritratto di passione. Tratta il volto come specchio dell’animo e il corpo come una rivelazione dell’indole umana, espressa con azioni dinamiche e “il trionfo di linee diagonali”26. Compendio di tale concezione è il ritratto equestre, nel quale l’incedere del destriero scuote la composizione, dilata lo spazio ed esalta la tenacità del cavaliere. Nel solco tracciato da Van Dyck, l’enfasi coloristica di Rubens si ricompone in una rinnovata compostezza. Il tumulto espressivo e la sicurezza della gioventù, magistralmente espressi nell’autoritratto del 1613-1614, avranno modo di sedimentarsi in una progressiva purificazione del segno. “Grande per la Fiandra era la fama di Pietro Paolo Rubens, quando in Anversa nella sua scuola sollevossi un giovinetto portato da così nobile generosità di costumi e da così bello spirito nella pittura che ben diede segno d’illustrarla e accrescerle splendore in quella dignità ed eccellenza alla quale il maestro l’aveva inalzata. Fu questi Anthonis Van Dyck, nato nella medesima città l’anno 1599”27. Le opere della sala dedicate a Van Dyck trasmettono immediatamente la sua capacità introspettiva, in grado di cogliere l’anima e di trasferirla nello sguardo. Lo straordinario autoritratto giovanile, realizzato dall’artista quindicenne, è una perfetta combinazione di analisi psicologica e sicurezza tecnica. La determinazione della pennellata singola, mentre tratteggia il colletto della camicia, illumina il volto e copre, nell’oscurità della giacca e dello sfondo, la reale sensibilità dell’artista fragilmente difesa dalla sicurezza solo apparente dello sguardo. Anche gli altri due ritratti mantengono una matrice stilistica compiuta e riconoscibile28. Luce e colore enfatizzano le qualità espressive dei volti, la gestualità dei corpi che appena affiorano da sfondi bruni e la purezza dello spazio architettonico dove le figure manifestano l’intensità della loro presenza. Nel Ritratto di giovane uomo, probabilmente Paul de Vos, il protagonista si staglia sul raffinato sfondo di un paesaggio urbano, mentre nel Ritratto di giovane generale l’uomo in armi è nobile e fiero, la lucentezza del ferro è specchio della chiarezza di intenti che traspare dall’atteggiamento di tutta la figura. Naturalia, artificialia, exotica Il percorso espositivo si compie con una sezione dedicata alle nature morte (dette originariamente pitture di “oggetti da ferma” o “inanimati”), che celebrano una rinnovata concezione della natura e dell’apporto che l’indagine empirica del reale può recare alla conoscenza. 30


9. Anthonis van Dyck (e bottega), Ritratto di Thomas Howard duca di Arundel e di sua moglie Alathea Talbot, particolare, circa 1639-1640. Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie

Nel periodo più tardo, compreso fra la seconda metà del Seicento e la fine del secolo, nelle nature morte “alla maniera fiamminga” si celebra il culto per ciò che è raro, pregiato, esotico secondo i tre principali cardini delle collezioni nobiliari dell’epoca: naturalia, artificialia, exotica, a seconda che gli oggetti collezionati fossero forme della natura, creazioni artistiche frutto dell’abilità umana o provenienti da mondi esotici e lontani. La Natura morta con mappamondo, tappeto e cacatua di Peter Boel è una summa di artificialia ed exotica, con il grande piatto dorato minuziosamente cesellato in primo piano, lo splendido tappeto riccamente decorato e le ciotole di porcellana cinese che ricordano i legami commerciali tra l’Europa e il lontano Est asiatico, legami ulteriormente sottolineati dalla vicinanza del globo terrestre. Lo stesso senso di esotismo del viaggio si legge nell’opera di Van Dyck della sala precedente, il Ritratto di Thomas Howard duca di Arundel e di sua moglie Alathea Talbot (fig. 9), dove si nota la mano dell’uomo che indica le terre d’Oriente su un altro grande mappamondo, e anche nel quadro di Jan van der Heyden, la Natura morta con mappamondo e volumi, che raffigura nel “gabinetto delle curiosità”, minuziosamente raffigurato nella tela, un mappamondo centrale che richiama l’immagine di terre lontane. L’anelito al futuro riecheggia nella presenza degli oggetti scientifici, che vengono esibiti senza ritrosie nelle composizioni: mappamondi, compassi di proporzione e strumenti di calcolo. Le scienze, tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento, sono percorse da irruenti stravolgimenti. Avvengono le contrastate ricerche di Giordano Bruno e le rivoluzionarie scoperte di Galileo Galilei, dalle quali si sostanzia un irreversibile passaggio di prospettiva nella conoscenza: “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, e altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”29. La bellezza e la ricchezza della natura vengono esaltate in un trittico di opere che inizia con la sontuosa Natura morta con pappagallo di Jan Davidsz de Heem, straordinaria nella sua abbondanza di elementi che suggeriscono la pienezza della vita e dei suoi piaceri, ma anche 31


raffinata nell’introdurre segni della tradizione cristiana, come il grano e le noci sulla sinistra, e il pane e vino sulla destra, che richiamano il senso della redenzione di Cristo come soluzione all’estrema vanità del mondo e della sua bellezza che, nonostante le apparenze, non sono sufficienti per la salvezza umana. La rarità è celebrata nell’accuratezza del tratto che si coniuga con i fondamenti dell’indagine empirica. L’esatta e minuziosa restituzione del reale è un tema polisenso: “Così l’idea costituisce il perfetto della bellezza naturale e unisce il vero al verisimile delle cose sottoposte all’occhio, sempre aspirando all’ottimo, e al meraviglioso, onde solo emula, ma superiore fassi alla natura, palesandoci l’opere sue eleganti e compite, quali essa non è solita dimostrarci in ogni parte”30. Jan Fyt è l’autore di nature morte più noto per quanto riguarda la riproduzione della vita animale, tanto da imporre un genere nella pittura fiamminga barocca, e proprio per questo motivo assumono ancora più importanza le due composizioni con frutta e scimmia e con grappoli d’uva, pappagallo e scimmietta, in quanto produzioni dell’artista certamente più rare. 32


10. Peter Paul Rubens, Ratto delle figlie di Leucippo, circa 1615-1616. Monaco, Alte Pinakothek

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Le scene di cacciagione sono concepite quali componenti integranti delle decorazioni per le dimore di delizia e di campagna. In esse si celebra il bello sublime, svincolato dalla naturalezza del vero: non v’è consunzione o corruzione dei corpi. La morte è restituita come stasi delle figure, colte nella loro bellezza più colma. Non c’è alcun rimando alla caducità della vita. La precisione del tratto indugia sui caratteri materiali degli elementi raffigurati e giunge a restituirne, con una precisione tipicamente fiamminga e olandese, la consistenza tattile delle cose e dei corpi. In questo risiede il gioco delle opposizioni che alimenta la composizione dei dipinti: soffice e ruvido, caldo e inerte, vivo ed esanime, stupefacente e consueto. Il loisir, il compiacimento dei sensi e la loro illusione sono gli elementi dominanti della composizione. Sia il lavoro di Jan Weenix che quelli di Melchior d’Hondecoeter presentano, sullo sfondo della selvaggina e degli uccelli in primo piano, prospettive di paesaggio che, idealmente, si ricollegano alle opere in mostra e chiudono in una sorta di movimento circolare l’esposizione. E anche le visioni del paesaggio riprendono i temi compositivi e l’impianto vegetale dei giardini francesi, con prospettive che si perdono all’infinito: “Alla natura regolare, succede l’idea della natura capricciosa, ricca di imprevisti e di invenzioni”. Il giardino come “luogo meraviglioso e fantastico, o addirittura magico o fatato, concorre a eliminare il limite dei recinti e a trasformare il giardino in un insieme di luoghi di natura variamente caratterizzati in rapporto ai sentimenti umani”31. “Amo la notte con passione. L’amo come si ama il proprio paese o la propria amante, d’un amore istintivo, profondo, invincibile. L’amo con tutti i miei sensi, con i miei occhi che la vedono, il naso che la respira, e orecchie che ne ascoltano il silenzio, con tutto il mio corpo che le tenebre accarezzano”32. Se, con gesto futurista, potessimo sostituire il sostantivo notte con pittura, ecco che l’inizio di un celebre racconto di Maupassant della seconda metà dell’Ottocento potrebbe molto verosimilmente sembrare un pensiero autografo di Rubens scritto circa duecento anni prima. È la dimostrazione, semmai ve ne fosse bisogno, di come la verità sia sempre più forte del tempo.

B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Bari 1998, p. 5. 2 C. Baudelaire, I fari, in Opere, a cura di G. Raboni, G. Montesano, Milano 2006. 3 D. Bodart, Cronologia, in Pietro Paolo Rubens, a cura di D. Bodart, catalogo della mostra (PadovaRoma-Milano, 1990), Roma 1990, pp. 273-287. 4 F. Zeri, Abecedario pittorico, Milano 2004, p. 223. 5 Lettera di Peter Paul Rubens a William Trumbull, 13 settembre 1621, in Pietro Paolo Rubens cit., p. 277 6 C. Limentani Virdis, Lo specchio magico di Rubens: il colore e la seduzione, ivi, pp. 29-34. 7 Zeri, Abecedario pittorico cit., p. 225. 8 Bodart, Cronologia cit., p. 283. 9 Si veda E.H. Gombrich, Visione e visioni. L’Europa Cattolica. La prima metà del Seicento, in La storia dell’arte, Milano 2003, pp. 387-411; si veda dello stesso autore anche Sentieri verso l’arte, Milano 1997. 10 F. Zeri, Abecedario pittorico cit., p. 227.

11 M. Jaffé, Peter Paul Rubens and the Oratorian Father, in “Proporzioni”, IV, 1963, pp. 211-213. 12 Si veda cat. 5. 13 R. Longhi, Caravaggio, Roma 1968. 14 R. Longhi, Me pinxit e quesiti caravaggeschi: i precedenti (“Opere di Roberto Longhi”), Firenze 1992. 15 G.M. Pilo, Rubens e l’eredità del Rinascimento italiano, in Pietro Paolo Rubens cit., p. 21. 16 Lettera di Peter Paul Rubens a Peirese, 16 agosto 1635, in Pietro Paolo Rubens cit., pp. 284-285. 17 G.P. Bellori, Vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni, Roma 1672. Di grande interesse risulta anche essere R. De Piles, Dissertations sur les ouvrages des plus fameux peintres comparés avec ceux de Rubens, Paris 1681. 18 Limentani Virdis, Lo specchio magico cit. Sul tema si rimanda anche al fondamentale Peter Paul Rubens. The drawings, New Haven-London 2005. 19 Bodart, Cronologia cit., p. 282.

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Ibidem. Bellori, Vite de’ pittori cit. 22 Ibidem. 23 Secondo quanto reca Federico Zeri Bernard Berenson asserì: “Rubens è praticamente un artista italiano”: Zeri, Abecedario pittorico cit., p. 227. 24 Si veda cat. 1. 25 Si vedano cat. 11-12. 26 F. Huemer, Rubens and the Mantuan altar, in “Studies in Iconography”, III, 1977, pp. 105144. 27 Bellori, Vite de’ pittori cit. 28 Si vedano cat. 52-53. 29 Galileo Galilei, Il saggiatore, con prefazione di G. Giorello, Milano 2008. 30 Bellori, Vite de’ pittori cit. 31 G.C. Argan, ad vocem Giardino e parco, in Enciclopedia Universale dell’Arte, vol. VI, Firenze 1958. 32 G. Maupassant, Amo la notte con passione, a cura di N. Cerioli, Fidenza 2008, p. 7. 21

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