tesi

Page 1

Indice Introduzione pag. I - VIII Premessa pag. 1-8 Cap. 1 – Il corpo e l’abito nella sottocultura punk pag. 9-50 1.1 Corpo e stile 1.2 Influenze artistiche nello stile punk:dadaismo e surrealismo 1.3 Il punk e la Body Art 1.4 Costruzione del corpo Punk attraverso l’abbigliamento 1.5 La classe borghese saccheggiata 1.6 Simboli e oggetti scioccanti Cap. 2 – Origini del punk in Italia pag 51-110 2.1 – Il 1977 italiano non è il 1977 inglese 2.2 – Eventi punk in Italia 2.3 – Filosofia del “Do It Yourself” 2.4 – Il punk a Roma 2.5 – Il punk a Milano 2.6 – Il punk a Bologna


Cap. 3 I processi di comunicazione del punk in Italia pag 111-128 3.1 – Le fanzine punk 3.2 – Le punkzine a partire dal Dada+Punk 3.3 – Differenza fra punk inglesi e italiani: “Xerox” 3.4 – Punkzine e politica italiana: “Attack” 3.5 – Le più famose punkzine Cap. 4 – Eredità punk: la moda oggi e le autoproduzioni pag 129-149 4.1 Dalla strada alla passerella 4.2 I Punk di oggi 4.3 Occhio del Riciclone 4.4 Intervista Bibliografia pag 150-153 Webgrafia pag 154


Introduzione

Introduzione Il punk è una sottocultura che lavora sulla negazione delle ideologie che qualificano la classe egemone. In Italia sottolinea la voglia di una ricerca della qualità della vita, proponendo di essa una visione artistica, emozionale, personale e politica. Prima di iniziare a trattare, nello specifico, la sottocultura punk, ho cercato di delinearne i contorni attraverso le letture di sociologi, filosofi e antropologi, da Kant a Hebdige, da Claude Lévi-Strauss a Ted Pohlemus. Ho tracciato un excursus sul cambiamento del concetto di cultura, mediante la costruzione dei Cultural Studies. Solo dopo aver assorbito queste nozioni ho avuto la possibilità di tracciare i motivi della nascita della sottocultura punk in Italia e le ripercussioni sui costumi dei giovani nelle tre città esaminate: Roma, Bologna, Milano. Nel primo capitolo ho dato importanza al significato che il corpo ha assunto all’interno di questo movimento e in che modo è stato costruito questo stile. Ho costatato che le sottoculture rappresentano un “rumore”, un meccanismo di disordine semantico. Infatti la violazione dei codici sociali su cui viene organizzata e vissuta una data sottocultura, equivale ad avere un forte potere di provocazione e disturbo. La musica, il look, lo stile, la sessualità e l’aggressività verso l’esterno vengono posti come difesa alla violenza pervasiva del conformismo sociale. E’ emerso, dalle mie ricerche, che i giornali e la televisione hanno sempre attribuito al punk un valore esclusivamente musicale, I


Introduzione

ma esso in realtà rappresenta molto di più. Come vedremo nel primo capitolo, infatti la musica, come il corpo, rappresentano dei veicoli di denuncia sociale. Sono una rottura totale con la politica tradizionale, fatta di mediazioni, di leader, di linguaggi di classe, di sacrifici nel presente per il più bel “radioso” avvenire. Atraverso il corpo il punk manifesta il proprio “ stile di vita” e la propria identità di inserimento nella sua collettività. I punk creano una simbologia, in contrasto con le ideologie delle culture dominanti. I punk, denaturalizzando determinati oggetti, provocano dei veri e propri insulti visivi e visibili, attraverso la costruzione di uno stile che li caratterizza e, d’altro canto, li allontana ed aliena da una società nella quale non si riconoscono. Gli oggetti usati, minuziosamente descritti e spiegati, rappresentano le ideologie di cui tutto lo stile punk si fa portavoce. Spille da balia, tatuaggi comportamenti ripresi da ambienti artistici che li hanno preceduti o che li hanno influenzati, servono ai punk come armi ideologiche. E’ il vestito e l’uso che si fa di esso a svelarci le caratteristiche di una compagine sociale, in quanto la nostra immagine, e quindi anche le scelte fatte dalle sottoculture per modificarla, è soggetta ai mutamenti che subisce al contatto con il mondo. Tale immagine finisce, quindi, per comunicare sempre il senso del racconto della nostra vita. Molti testi che ho consultato danno alla capigliatura un ruolo importate, è un espediente che indica un contrasto visivo. Un elemento evidente che ha sempre caratterizzato e reso visibile la modificazione del corpo. I capelli sono il primo dettaglio che

II


Introduzione

si nota di una persona distante e ci permette di identificarla già in lontananza. La funzione comunicativa dei capelli è legata ai contenuti che ogni società assegna al loro linguaggio. Una volta capito che i punk usano il corpo per comunicare il contrasto che vogliono dare nei confronti della società, ho voluto analizzare le forme di espressività, attraverso l’analisi degli oggetti con cui i componenti della sottocultura creano il loro stile. Pertanto ho descritto il modo nel quale trasformano la loro immagine. L’abbigliamento, descritto all’interno del primo capitolo, segnala il confine e il punto di contatto tra corpo e mondo. Un contatto che il punk contrasta cercando l’estraneazione dei soggetti, attraverso la creazione di una società che li rappresenti, rifiutando quella in cui vivono, infarcita di consumismi che non propongono loro alcun futuro L’utilizzo di un determinato abbigliamento, dunque, serve a creare un atteggiamento nei confronti dell’altro. Tutto il corpo punk è estraneo. Si fa portavoce di un disagio sociale, del degrado di una cultura e società. Ne distrugge i tabù del sesso e del pudore, utilizzando elementi provenienti dalle stesse sottoculture che li hanno preceduti o estrapolando oggetti comuni dai loro luoghi originali, ricontestualizzandoli e caricandoli di significati diversi rispetto a quelli di origine. Tra l’altro, per scioccare ed alienarsi, saccheggiano anche l’abbigliamento fetish e sadomaso, creando delle figure anomale per la società che li circonda. Nel corso della tesi, questo soggetto-oggetto creato artificialmente viene esaminato in contrapposizione ad un contesto sociale contrario alle loro ideologie e pertanto avverso alle loro richieste.

III


Introduzione

I punk comunicano con l’abbigliamento, scelgono di suscitare sentimenti e di porre l’animo dell’altro in una disposizione particolarmente contrastante. Ciò significa, altresì, modificare l’immagine personale per esteriorizzare idee, desideri e voglia di cambiamento. Il corpo, o meglio il corpo vestito è usato come denuncia e simbolo di essa, che si fa quindi tramite di un messaggio comprensibile alla società attraverso l’utilizzo di modificazioni corporee, quali tatuaggi e piercing che prendono piede in quel periodo in Italia. Tale sottocultura è influenzata dalla body art che esalta il feticismo, autolesionismo ed anche il masochismo e la violenza. Questi atteggiamenti rendono più scandalosi e comprensibili gli intenti rivoluzionari di quei ragazzi che non si riconoscono più in quegli abiti e in quei comportamenti ordinari. Per analizzare gli intenti di questa sottocultura ho delineato le situazioni socio- politiche dell’Italia nel momento in cui la sottocultura punk si “dà a vedere”. Ho preso in considerazione quali sono stati i primi episodi che hanno dato spazio alla nascita di ideologie avverse alla cultura dominante, rintracciando nel movimento del Settantasette italiano alcune comunanze con il nascente movimento punk. Entrambi vogliono mettere in primo piano l’individuo, i suoi bisogni, i suoi desideri e la sua voglia di esistere in quanto singolo e non in quanto ingranaggio di un sistema o componente di una classe o di una élite, seppure artistica. Come vedremo nel secondo capitolo questa sottocultura è strettamente legata ad una condizione sociale degradata, testimoniata già dai documenti sul Festival del Parco Lambro, a suo

IV


Introduzione

modo, precursore degli atteggiamenti antisociali che si sarebbero formati di lì a poco. Ma come dichiarano la loro rabbia? Quali sono i campi in cui questa si manifesta? L’utilizzo del corpo come linguaggio di denuncia è associato all’appropriazione di elementi giornalistici della creazione di un’editoria che si allontana dagli standard precostituiti creando le fanzine punk. Questa editoria viene da me analizzata nel terzo capitolo per far capire che non solo il corpo diventa, nella sottocultura, un medium – o mezzo - ma anche elemento editoriale. Le fanzine, negli anni Ottanta, avranno una diffusione ramificata sul territorio nazionale, occupando un settore di informazione “da punk per i punk”. Essi cercano, attraverso i volantini, le riviste come le punkzine e gli abiti autoprodotti, di creare una cultura autonoma, autogestita non soggetta a scopi di lucro. Tutto ciò che viene prodotto di punk è “self made”: dischi, riviste, abiti, concerti, per l’esigenza che tutto sia ”per le tasche di tutti”. Le punkzine in particolare servono per unire idee e intenti delle varie scene italiane interne al movimento. In un momento in cui a parlare di loro sono solo i quotidiani che cercano di sminuire questa sottocultura per inglobarla all’interno della società dominante. I punk costituiscono delle leggi proprie basate sulla filosofia del “Do It Yourself” che ha caratterizzato le loro pratiche. Seguendo questa logica, iniziano ad autogestire dei luoghi disabitati per creare spazi comuni nei quali riconoscersi, costruire abiti e incidere dischi, secondo il concetto del fai da te, per contrastare il mercato di mainstream.

V


Introduzione

Marco Philopat, scrittore proveniente dall’esperienza punk, é uno degli esponenti più attivi del movimento di quegli anni in Italia, ed è anche attraverso la sua esperienza che si possono comprendere molte delle caratteristiche di questa sottocultura. Nel suo romanzo Costretti a Sanguinare, alla domanda del padre su cosa volesse fare da grande risponde “Tra un po’ andrò a vivere in una casa occupata”. In questa frase è forse riunito il “discorso punk” caratterizzato dalla voglia di stare insieme, di formare una collettività per distruggere il sistema, dove creare e occupare spazi propri era ciò che dava a questi giovani un senso alla vita. Un’ attività significativa per il punk è il riciclare che diventa un’ossessione per rubare oggetti dall’uso quotidiano e decontestualizzarli. Come afferma Dick Hebdige rappresentano una “Cultura contro cultura e non cultura nella cultura”. In questa tesi si cerca di comprendere quali siano state le pratiche antisociali che hanno caratterizzato questo movimento, partendo dall’assunto che ogni cultura, anche quella più antisociale, è soggetta a regole interne precise: il punk che credenziali aveva? A cosa credeva? Quali erano i suoi “miti”? Attraverso l’analisi di alcuni comportamenti, descritti all’interno di libri redatti dagli stessi interpreti di questa sottocultura, possiamo capire che essi vogliono vivere una vita senza la presenza delle autorità, cercando di creare una comunità riconoscibile attraverso gli abiti, lo stile politico puramente anarchico e il tipo di musica. Nella mia analisi nel ripercorrere la storia della nascita del punk in Italia, evidenzio il percorso e l’introduzione nel contesto sociale italiano, sicuramente più tradizionalista rispetto ai paesi anglofoni

VI


Introduzione

dove il movimento è nato e si è sviluppato. Dalla ricerca emerge che il movimento presenta delle differenze tra Roma, Milano e Bologna anche se poi gli intenti erano gli stessi. Infatti, ciò che accomuna gli affiliati al punk è una medesima filosofia di vita. Dopo aver verificato gli stili di vita di questa sottocultura che negli anni è stata assorbita dal sistema moda, mi sono occupata di scoprire se ancora oggi esistono delle collettività che si rifanno alla cultura “Do it Yourself”. Inoltre ho cercato di capire in che campi ancora oggi tale filosofia è impiegata; quali siano stati gli ambienti, oltre quelli della moda, influenzati da questa sottocultura. La parte finale della mia tesi analizza l’influenza del do it yourself nel campo dell’abbigliamento autoprodotto di piccoli laboratori che riciclano gli abiti. Dalle strade si può dire che il mondo punk, e il suo abbigliamento, è arrivato sulle passerelle di tutto il mondo ed è presente nelle collezioni di prêt-à-porter e alta moda dei maggiori stilisti, italiani compresi. Occorre affermare che la sottocultura analizzata ha fatto capire, nell’arco degli anni, la possibilità che vi è di creare delle collettività, lontane dalla società nella quale, molte volte, non ci si riconosce. Ciò è fattibile nel momento in cui reinventiamo noi stessi e non ci facciamo plagiare dalle consuetudini e dai tipici problemi del sistema. Devo sottolineare che attraverso il mio lavoro ho potuto constatare come si sia evoluta la comunità punk in questi ultimi anni rispetto agli anni precedenti. Cosa ne è rimasto di tutto quel movimento?

VII


Introduzione

Ho trovato risposta a questa domanda nel’ esperienza di Occhio del Riciclone un laboratorio di giovani che – anche se tra mille difficoltà – applica in pieno, a Roma, la filosofia del “Do It Yourself”. La questione ambientale è negli ultimi venti anni diventata imperante e per assurdo la capacità di utilizzare scarti e rifiuti per un riuso successivo, senza sprechi, è persino finanziata da alcuni enti locali, compresa la formazione verso i più giovani che gli stessi ragazzi fanno da qualche anno. E allora viene da pensare: possibile che un movimento che ha attraversato il Vecchio Continente, che ha oltrepassato l’Oceano, che ha confuso i costumi di quei fatidici anni Ottanta, in realtà non avesse una solida base ideologica, ma fosse solo una moda, anche se spregiudicata? E se non fosse stato affatto quel modo originale di guardare al presente, ma solo una strumentalizzazione dei poteri politici? La risposta che mi verrebbe da dare è affermativa. Di quelle tracce nel presente che cosa è rimasto?

VIII


Premessa

Premessa La parola sottocultura è carica di mistero e suggerisce sia segretezza che mondo sotterraneo: essa è riconosciuta nel momento in cui dei soggetti, caratterizzati da uno stesso stile, si mettono in contrasto con la cultura egemonica del paese. Per comprendere il concetto di sottocultura dobbiamo spiegare in primo luogo quello di cultura ed andare a ritroso nel tempo cercando di capire quali siano state le definizioni letterarie e sociologiche riguardanti questo concetto. Sul Dizionario di lingua italiana si legge “cultura: dal latino colere = coltivare, parola metaforica con la quale si intende la coltivazione della facoltà del sentire, dell’intendere, del conoscere e perciò del trarre norma per l’agire, cioè l’educazione dell’anima. E’ l’insieme delle cognizioni intellettuali di cui è dotata una persona: dottrina, istruzione soprattutto quella universitaria, con riguardo a particolari discipline: letteratura, musica, arte, storia e filosofia. La parola cultura designa una più profonda rielaborazione non solo letterale ma anche spirituale, delle nozioni acquisite nei vari rami del sapere, che si risolve da un lato nella formazione della personalità morale dell’uomo e dall’altro nell’educazione del gusto” 1 La cultura è l’insieme delle credenze morali e religiose, delle ideologie, delle acquisizioni scientifiche e tecniche, la storia insomma del gusto e del costume di un certo gruppo umano in un 1 Giovanni Treccani, in Enciclopedia Italiana Lessico universale Italiano, Roma, volume V, voce: cultura

1


Premessa

periodo storico determinato e, in questo senso, cultura è equivalente di civiltà. Questa parola come afferma Dick Hebdige in Sottoculture il fascino di uno stile innaturale, è un concetto ambiguo. Nei secoli la parola ha acquisito significati diversi e alle volte molto contrastanti fra loro. Nella filosofia moderna, da More a Bacon, da Hobbes a Johnson, la cultura è il processo che investe la formazione del pensiero, della comprensione e dell’accrescimento. In Germania a partire dai post- romantici si inizia a dare importanza alla parola “Kultur” riferendola meno a ciò che è civilizzato e più a ciò che è coltivato, quindi ai frutti della coltivazione cioè al prodotto intellettuale. Già a partire dal XVIII secolo viene impiegata dagli intellettuali e letterati per portare l’attenzione su una serie di questioni controverse quali la qualità della vita, gli effetti della meccanizzazione sull’uomo, divisione del lavoro e creazione della società di massa. Nel 1957 Richard Hoggart pubblica un volume intitolato: The Uses of Literacy, nel quale valorizza le forme di vita tradizionali della classe operaia da cui egli stesso proviene. L’autore espone la tesi che il quotidiano, riguardante la vita di tutti i giorni del popolo al quale lui fa riferimento, diventa cultura, un po’ come fecero, a suo tempo, i pittori fiamminghi, rappresentando nei loro quadri azioni semplici di tutti i giorni così contrapponendole alle iconografie auliche che, all’epoca, rappresentavano la classe dominante. In questo studio vengono esaminati prodotti della cultura popolare: musica, giornali, quotidiani e via dicendo. L’anno successivo Raymond Williams nel suo fondamentale

2


Premessa

volume: Culture and Society, critica la separazione tra cultura e società. Dopo la pubblicazione di questi due libri viene ad evidenziarsi una contrapposizione del significato di cultura, alcuni, infatti, sostengono il significato classico e conservatrice per cui essa esprime “il meglio di ciò che è stato pensato e scritto”, altri, come Raymond Williams e Richard Hoggart riconoscono le radici di questo concetto nella quotidianità antropologica della vita che esprime, quindi, determinati valori non solo nell’arte e nell’alta cultura ma anche nelle istituzioni e nei comportamenti di tutti i giorni. Quest’ultimo concetto viene messo in risalto anche da Thomas S. Eliot nelle sue poesie che hanno espresso le angosce di una generazione in crisi. Infatti tutte le attività e gli interessi che caratterizzano un popolo, quali: una finale di coppa, il 25 Aprile in Italia o anche cibi tipici di un particolare luogo e via così dicendo, evidenziano stili di vita particolare che ne caratterizzano la espressività. Secondo R. Williams, però, questa definizione può essere accettata solo se si prende in esame “lo studio delle relazioni esistenti tra i vari elementi di uno stile particolare di vita”2, non per confrontarli tra loro, ma per scoprire attraverso lo studio dei modi in cui questi valori si sono trasformati, leggi o cicli generali tramite i quali si può comprendere meglio lo sviluppo sociale e culturale nel suo insieme. Raymond Williams propone una formulazione complessiva dei rapporti tra cultura e società che “attraverso l’analisi di specifici lavori cercasse di svelare le leggi generali e le tendenze sociali che giacciono sotto le apparenze della vita 2 Dick Hebdige, Sottoculture. Il fascino di uno stile innaturale, Costa &Nolan, Londra,1979

3


Premessa

quotidiana”3. Quando vengono inserite, all’interno degli studi universitari materie più specifiche come, ad esempio l’antropologia, si comincia ad analizzare anche il “quotidiano”. La cultura, quindi, non è più solo studio letterario ma anche analisi derivante dalla vita di tutti i giorni che forma, essa stessa, la cultura di un Paese. Richard Hoggart, nel 1966, stende le premesse fondamentali su cui vengono fondati gli studi culturali. Egli evidenzia come occorra analizzare sia le influenze letterarie classiche che i fenomeni sociali. Questo è infatti l’intento dei “Cultural Studies” che fanno del rapporto fra testo e contesto il centro della loro ricerca studiando le istituzioni, il contenuto dei prodotti, le condizioni sociali di un determinato periodo storico, le relazioni sociali e le forme estetiche. Leggere la società con una certa sottigliezza attraverso una sensibilità letteraria é il concetto che porta avanti Roland Barthes4. Egli vuole dimostrare come tutte le forme e i rituali spontanei delle società borghesi contemporanee sono soggetti ad una distorsione sistematica e sono suscettibili di essere destoricizzati, denaturalizzati e convertiti in mito. La nozione di cultura del sociologo si estende al di là delle biblioteche, teatri, sale da concerto perché abbraccia l’insieme della vita quotidiana. Egli esamina il complesso delle regole e dei codici occultati che rendono universali i significati specifici di dati gruppi ( quelli al potere) nei confronti della società. “Ciascun fenomeno è impressionato dalla retorica predominante 3 Ibidem 4 R. Barthes, Miti di oggi, Einaudi, Torino, 2005

4


Premessa

cioè quella del senso comune e volta in mito”5. L’applicazione da parte di Roland Barthes di una “metodologia linguistica” a sistemi di discorso diversi dalla lingua (moda, cinema, cibo) apre nuove possibilità, agli “studi culturali” contemporanei. Il vecchio discorso sulla cultura sembra pertanto ormai banale rispetto all’ipotesi di Barthes per cui la cultura è l’intero stile di vita di una società. Secondo Raymond Williams occorre studiare le relazioni esistenti tra vari elementi di un tipo particolare di conflitto. Per definire il conflitto è, d’altra parte, propedeutico comprendere il concetto di ideologia. La “ideologia”, sino al XIX secolo è stata definita come: “scienza delle idee”. Nel Novecento tale definizione si evolve inserendo la nozione di “sistema di idee” che si sviluppa al di sotto della coscienza nell’ambito di idee comunemente condivise dalla società. Il sociologo Raymond Williams studia queste idee per comprendere quale sia la visione del mondo di una classe sociale, ovvero gli atteggiamenti, le abitudini, i sentimenti, i comportamenti e gli impegni inconsapevolmente assunti. Egli pertanto focalizza il termine “ideologia” nel rapporto tra il peso dell’uso linguistico, il senso delle credenze organizzate, la produzione culturale che scaturisce dalla riproduzione sociale di tali credenze. Louis Althusser, filosofo francese, afferma che l’ideologia è inconscia. Essa è un sistema di rappresentazioni: esprime oggetti culturali percepiti, accettati ma anche subiti, che agiscono sugli uomini attraverso un processo che sfugge loro. In società molto 5 Ibidem

5


Premessa

complesse come, quelle europee che funzionano mediante un sistema distintamente graduato di divisione del lavoro, la questione cruciale deve essere quali ideologie specifiche prevarranno in un dato momento, in una data situazione e di quali gruppi e di quali classi rappresenteranno gli interessi. Alcuni gruppi godono di un maggior potere decisionale e quindi hanno un maggior potere “di adattare le regole” mentre altri hanno meno potere di produrre e imporre le proprie definizioni del mondo. Nelle ideologie, in genere, bisogna esaminare perché alcune diventano dominanti ed altre invece restano marginali. Occorre analizzare anche come funzionino specifiche ideologie. Secondo Stuart Hall le ideologie della classe dominante creano “mappe di significato”, sono cariche di una significazione potenziale esplosiva, poiché sono tracciate e ripercorse lungo le linee segnate dai discorsi dominanti, dalle ideologie dominanti. È importante comprendere l’evoluzione di alcune ideologie che da fenomeno marginale diventano di massa. L’egemonia culturale è un concetto che descrive il dominio culturale di un gruppo o di una classe che sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo. Ciò ci fa intendere come il concetto di ideologia è strettamente legato a quello di egemonia, anch’esso ampliamente studiato dai “Cultural Studies”. Antonio Gramsci afferma che “le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti la classe che dispone dei mezzi della produzione materiale, dispone anche dei mezzi della produzione

6


Premessa

intellettuale. Le idee dominanti sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono le espressioni dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio.6”. Il termine egemonia si riferisce all’alleanza provvisoria di certi gruppi sociali può esercitare un’autorità sociale totale su altri gruppi subordinati, “attraverso la conquista e la regolamentazione del consenso in modo che il potere delle classi dominanti appaia insieme legittimo e naturale”. Per far sì che queste idee rimangano egemoniche la classe che le possiede deve riuscire a dare forma a tutte le definizioni competitive che sono alla loro portata in modo da dimostrare che i gruppi subordinati sono compresi e controllati entro uno spazio ideologico. Queste egemonie devono, comunque, mantenere un consenso per continuare a esercitare il loro dominio che però può essere rotto, rifiutato, annullato. La resistenza a questi gruppi, che detengono il dominio, non può sempre essere respinta o facilmente assorbita. Henry Lefebvre, filosofo francese, afferma in problemi attuali del Marxismo che: “viviamo in una società in cui nella pratica, gli oggetti divengono segni e i segni oggetti. Una seconda natura si sostituisce alla prima natura”. Le sottoculture, rappresentano questa seconda natura eliminando il consenso. Esse si sono manifestate a partire dal periodo post bellico. La sfida all’egemonia di cui sono portavoce non è immessa da queste in maniera diretta, ma attraverso la costruzione di uno stile basato su idee che contrastano quelle egemoniche. Le contraddizioni attraverso lo stile vengono messe in mostra al livello delle apparenze. Gli oggetti assumono, in questo caso, dei 6 Dick Hebdige Sottoculture. Il fascino di uno stile innaturale, Costa&Nolan,Londra 1979 p. 17

7


Premessa

significati diversi da quelli che in origine la cultura dominante gli aveva attribuito. L’utilizzo diverso di questi oggetti porta a far sì che gli stessi siano identificati come un codice di “resistenza” e come volontà di insubordinazione. Queste trasformazioni di significato vanno contro natura interrompono il processo di normalizzazione, rappresentano visivamente le sfide al principio di unità e di coesione che servono a contraddire il mito del consenso. Per comprendere le sottoculture bisogna percepire i messaggi nascosti, scritti in codice “sulle lucide superfici dello stile”, intendendo con questo la trasformazione anche del proprio corpo come messaggio. I movimenti sottoculturali creano una violazione simbolica dell’ordine sociale. Più di tutti il movimento punk che, contrastando le ideologie della classe egemonica dal suo interno, sfatando concetti che la caratterizzano, ha cercato di tirarsi addosso una forte disapprovazione.

8


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

“Siamo attratti dagli oggetti più mondani-una spilla di sicurezza, delle scarpe a punta, una moto - assumono una dimensione simbolica, diventando una sorta di marchio,emblemi di un esilio volontario” (Dick Hebdige, Sottoculture il fascino di uno stile innaturale)

9


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

10


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

Il corpo e l’abito nella sottocultura punk 1.1 Corpo e stile Il corpo, nelle sottoculture e in particolare nel punk, viene utilizzato come mezzo o medium per portare all’attenzione dell’opinione pubblica la sfida, anche visiva, di un movimento all’avanguardia. L’affermazione che la moda sia un linguaggio e, pertanto, un “medium“, deriva dal sociologo Marshall McLuhan. Egli descrivendo i comportamenti delle culture tribali riconosce che uomini e donne si considerano sempre come parte integrante della natura. Sono coinvolti all’interno della società e “sperimentano la vita come mistica della partecipazione”1. E’ emerso, a tale proposito, nella civiltà occidentale un atteggiamento di distacco e di non coinvolgimento. Questo rifiuto a lasciarsi coinvolgere porta l’individuo a porre il suo stesso corpo in una posizione di alienazione nei confronti dell’ambiente circostante. Inoltre l’affermarsi dei media elettronici, nelle società occidentali in particolare, ha creato quello che il sociologo definisce “Villaggio Globale” nel quale “tutta l’informazione può essere condivisa simultaneamente da ciascuno”2. Per eliminare le confusioni create da questi nuovi media, bisogna selezionare e elaborare i dati che vengono fuori dall’impiego di determinate forme, siano esse di energia 1 Saggio di Marshall McLuhan, “Fashion è medium”, in Mercanti di stile le culture della moda dagli anni ’20 a oggi, a cura di P.Colaiacomo, V.Caratozzolo , Roma, 2002, p.207 2 Ibidem

11


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

o comportamentali. Questa energia e i relativi comportamenti permettono all’individuo di creare un ambiente personale “come gli artisti creano il loro spazio”. La moda ed il concetto di bellezza, intese, come attività artistiche, vengono manipolate e diventano le arti primarie dell’individuo, il modo più visibile per modificare se stessi e i propri spazi. La loro modificazione comporta impegno e creatività. La moda è pertanto un linguaggio, “parla affinché io possa vederti”3. Con riferimento al mondo tribale, l’arte appartiene all’ordinaria esperienza quotidiana per cui possiamo evincere che “tutta la vita è arte”. I componenti della tribù, quindi, curano e adornano il proprio corpo perché esso rappresenta l’interfaccia tra la propria interiorità e il mondo circostante. Perciò la vita interiore , “fa nascere nei membri della tribù l’abitudine a tenere in considerazione e abbellire il proprio corpo che diventa l’oggetto più immediato nella loro prospettiva del mondo”4. Dire che tutta la vita tribale è arte identifica proprio l’importanza che queste popolazioni danno al corpo, creano un’arte dei contrasti netti che Marshall McLuhan definisce “Hard Edge” e contrappone alla moda contemporanea. L’esperienza che questa moda evoca non è solo “visiva ma tattile, è il mondo degli happening , nel quale le superfici e gli eventi fanno attrito gli uni sulle altre creando forme nuove”5. La moda, dunque, diventa esperienza completa perché coinvolge tutti i sensi, contemporaneamente: il suono dei vestiti, la sensazione tattile del metallo e del cuoio, l’odore della pelle, il movimento 3 Ibidem 4 Ibidem, p.210 5 Ibidem, p 212

12


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

del corpo. “Tutti noi viviamo in un mondo in cui l’occhio ascolta, l’orecchio vede e i sensi si aiutano l’un l’altro in concerto nella sinfonia multistrati del sensorio.”6 La moda ha sempre obbedito ad una “forma pubblica” e l’individuo alfabetizzato indossa uno o l’altro vestito indifferentemente perché è ciò che tutti fanno e non implica una volontà individuale. Dall’avvento della produzione di massa, che ha originato consumatori di massa, con l’aiuto della stampa la moda assume un ruolo di “mania”. “Oggi niente è fuori moda perché tutto è di moda. Ogni donna diviene la propria stilista e selezionatrice di abiti. Ella crea il proprio tempo”7. L’abbigliamento cambia la sua funzione non è più “ un container. E’ diventato un’estensione della nostra pelle, del nostro carattere intimo”. Ora ognuno è in grado di affermare la propria identità e creare un proprio stile. D’altronde per comprendere i processi che hanno portato alla creazione dello stile punk, bisogna portare all’attenzione i rapporti tra i “mezzi di rappresentazione e oggetto rappresentato, tra quello che nell’estetica tradizionale è stato chiamato forma , contenuto di un’opera d’arte”8. Ogni stile sottoculturale si fonda su una pratica che ha molto in comune con “l’estetica radicale del collage” che crea il linguaggio dell’abbigliamento, “cut-up” di accessori che trasformano il corpo rendendolo espressione di un determinato gruppo. Così il corpo è idealizzato e distorto, percepibile attraverso vestiti e oggetti. 6-7 Saggio di Marshall McLuhan “Fashion è medium”, in Mercanti di stile le culture della moda dagli anni ’20 a oggi, a cura di P.Colaiacomo, V.Caratozzolo , Ed. Riuniti Roma, 2002 p.212 8 Dick Hebdige, Sottocultura il fascino di uno stile innaturale, Costa&Nolan, Londra 1979 p 131

13


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

Le pratiche significanti comprese nel punk sono radicali, cioè esse ammiccano ad un “non luogo e cercano attivamente di rimanere mute e illeggibili” Lo stile punk rifiuta la coerenza nei confronti di un apparato di valori fondamentali facilmente identificabili. I punk si allontanano dalla cultura dei propri genitori, ponendosi all’esterno: “aldilà delle comprensioni dell’uomo medio in un futuro fantascientifico”9. Si pongono al mondo come alieni, impenetrabili. Rituali e oggetti vengono usati per significare l’assenza dalla working class. L’origine esatta di ciascuno di questi oggetti viene camuffata, “mascherata”dagli pseudonimi che sono usati come trucchi per sottrarsi al principio d’identità”10. Questi oggetti servono dunque a formare un’unità di base con le relazioni, le situazioni e le esperienze di gruppo. A tale proposito possiamo sottolineare la teorie di Eugenie Lemoine-Luccioni, secondo cui il corpo è reso riconoscibile e percepibile dalla società in cui nasce attraverso i capi di abbigliamento e gli oggetti che messi insieme vanno a costituire il significato che di questi vuole esprimere un dato soggetto, “Il vestito disegna il corpo in modo da farlo risultare culturalmente visibile, e lo articola in quanto forma significativa”11. Secondo questo assunto il vestito diventa significato nel momento in cui si rivela ad una data società rappresentando nel caso del movimento punk, attraverso gruppi musicali quali “Sex Pistols”, “ Clash”, “Skiantos”, “Bloody Riot”, un linguaggio non verbale costruito mediante simboli e atteggiamenti di contestazione. I punk manifestano attraverso questi oggetti due tipi di devianza: 9 Dick Hebdige, Le sottoculture. Il fascino di uno stile innaturale, cit. p.115 10 Ibidem 11 E. Lemoine-Luccioni, Psicanalisi della moda, Mondadori, Milano, 2002, p.147

14


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

quella sessuale e quella sociale affiancate per sconcertare “il più liberale degli osservatori”. I punk riflettono quello che Paul Picconi chiama “le realtà precategoriche” della società borghese: disuguaglianza, impotenza, alienazione, “ciò era possibile perché lo stile punk aveva operato una rottura decisiva”. Oltre ad essere rivolta verso la cultura dei genitori questa rottura si riferisce “ alla propria posizione all’interno di un’esperienza di vita”12. I punk reinterpretano questa rottura “nella forma di giochi di parole visivi (bondage, t-shirt strappate)”. Lo stile punk si basa sulla separazione tra esperienza e significazione. Phil Cohen afferma che gli appartenenti ad una sottocultura devono avere un linguaggio comune e “se lo stile è destinato a diffondersi, se è destinato a diventare automaticamente di larga diffusione, deve anticipare o incapsulare uno stato d’animo, un momento. Deve dar corpo ad una sensibilità”13. Gli elementi utilizzati “saccheggiati” dal guardaroba degli anni cinquanta e destinati ad “un uso ironico ed empio” vengono “smembrati” e rielaborati nello stile punk attraverso il “bricolage” e cioè attraverso un processo di costruzione dei significati basato sulla combinazione improvvisata e creativa di elementi discorsivi preesistenti. Questi oggetti creano un’immagine personale attraverso i “cut up” in cui si nascondono “accenni di disordine, di collasso e di confusione delle categorie: un desiderio non solo di distruggere i limiti di razza e di sesso, ma anche di confondere la successione cronologica mischiando assieme elementi particolari di periodi 12 Dick Hebdige, Le sottoculture. Il fascino di uno stile innaturale, cit. 13 Ibidem

15


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

diversi”14. Lo stile punk è, dunque, costantemente in uno stato di “assemblage”. Importanti, per capire la costruzione dello stile, sono le teorie di Ted Polhemus. Nel suo libro, Style Surfing, l’antropologo racconta dell’incontro con una ragazza vestita in minigonna rosa sgargiante, con degli stivali anfibi discutibili, nettamente in contrasto con la giornata fredda e piovosa londinese. Da questo esempio possiamo intendere cha anche la maniera di vestire più frivola e più assurda ha un fine ben preciso. Inoltre, enuncia che la maniera di vestirsi, di rappresentare se stessi è una comunicazione visiva di quello che l’individuo vuole dire, è una comunicazione visuale molto più immediata e incisiva di qualsiasi linguaggio verbale. E’ l’accurata e sottile manipolazione della nostra apparenza, a inviare in maniera precisa i giusti segnali. Le descrizioni verbali di un individuo ( essere femministe o demodé) non hanno successo e solamente la differenza di stile, “cioè tutto ciò che sfida il cambiamento e ricerca qualcosa che sia senza tempo”15, è capace di esprimere questa complessità. Sarebbe un errore, afferma Ted Polhemus, dire che questa apparenza semiotica sia un nuovo fenomeno. Attraverso lo sviluppo umano il corpo ha sempre funzionato come un segnale, una “carta d’identità”. Per esempio il corpo decorato ha presso le comunità tribali segnalato il tipo di tribù, il clan, l’età, il grado, la classe, la casta, lo stato sociale, la professione al quale un individuo apparteneva. La natura degli adornamenti e degli stili del vestito serviva come segnale di 14 Ibidem 15 Saggio di Ted Polhemus, “Fashion victims e strateghi dello stile”, in Mercanti di stile a cura di P.Colaiacomo , V.Caratozzolo,Ed. Riuniti, Roma, 2002 p.35

16


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

un desiderio dello status quo. Con la nascita delle sottoculture, come quella punk, è stato riesumato il ruolo della cultura delle apparenze come un segno dell’appartenenza ad un gruppo. Tutti questi messaggi di stile sottoculturale, tribale, hanno in comune una inerente semplicità. Essi pongono delle difficoltà solo nel momento in cui proviamo con la scrittura a definirle. Oggi, infatti, come afferma Ted Polhemus, “ci scontriamo con la complessità che rende la traduzione scritta di questi messaggi impossibili quasi fossero un esercizio di assurdità.”16 In altre parole la complessità e le contraddizioni abbondano fuori dai canoni stabiliti. Con la nascita di questi stili siamo, però, certi di trovarci in una fase di rottura delle regole in cui viene mischiato l’abbigliamento sportivo con quello di lavoro, il vecchio con il nuovo e, quindi,giustapponendo il naturale con l’artificiale, mettendo insieme il volgare con il rispettabile. Ciò serve per fare emergere segnali confusi e contraddittori. Per esprimere il contrasto ad essere catalogati a diventare stereotipi. I componenti della sottocultura vivono in diversi paesi e sono molte volte degli sconosciuti gli uni verso gli altri, si riconoscono attraverso uno stile comune uniforme che simboleggia un condiviso sistema di valori e credenze. Dick Hebdige, sociologo inglese, nel suo libro, Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale, afferma che la sottocultura punk è “Una cultura contro cultura e non una cultura nella cultura” che suggerisce “Segretezza, giuramenti da società segreta, un mondo sotterraneo”17,ed ubbidisce a regole e 16 Ted Polhemus, Style surfing. What to wear in the 3rd millennium, Thames and Hudson, London, 1996 17 D. Hebdige, Sottoculture. Il fascino di uno stile innaturale, Costa&Nolan, Londra,

17


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

canoni propri. Infatti i seguaci hanno un linguaggio comune, e il loro stile dà corpo a una sensibilità che si pone coscientemente in contrasto con gli altri stili e contesti, non come oggetti fuori dal tempo, ma come trasformazioni sovversive della cultura dominante. Secondo Roland Barthes il vestito rende significante il corpo, lo fa esistere, lo valorizza facendolo vedere. “Il soggetto si veste per esercitare la propria attività significante e nel darla a vedere permette di allargare l’analisi non solo all’individuo portatore di quella significanza, bensì a tutta la società e cultura che lo circonda di cui si fa portavoce o che contrasta”18. Vestire il corpo diventa perciò un linguaggio, rappresenta un “feroce attacco alla bellezza canonica”, per creare una differenza culturale anche negli atteggiamenti quotidiani. Lévi-Strauss afferma, in Mito e significato, che il soggetto per creare un suo corpo collega tra loro oggetti apparentemente privi di connessione che assumono in contrasto con il mondo una sorta di linguaggio, costituiscono un sistema segnico. I soggetti utilizzano il collage di oggetti per materializzare il senso che vogliono dare al corpo, creando così un linguaggio e uno stile. Esso si manifesta alla società attraverso il sistema di segni verbali e non. Lo stile rappresenta, quindi, un apparire di un determinato soggetto nel mondo. La natura dell’abbigliamento, secondo Angela Carter, è complessa “gli abiti sono tante cose contemporaneamente. I nostri gusci sociali, i sistemi di segnali con cui trasmettiamo le nostre intenzioni; 1979 18 R. Barthes, Il senso della moda. Forme e significati dell’abbigliamento, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2006, p. 82

18


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

spesso la proiezione dei nostri se fantasticati, l’uniforme ufficiale dei nostri ruoli. Gli abiti sono le nostre armi, le nostre sfide, i nostri insulti visibili”19. Tutti gli elementi che sono portatori di un significato diventano se mischiati “frammenti eclettici”, spogliati infatti del loro contenuto si trovano insieme a formare un “nuovo tutto, una teatralizzazione dell’individuo, uno stile personale”20. Tutto serve a costruire l’immagine dell’individuo. Lo stile in questo caso diventa “la presentazione del proprio sé come un oggetto d’arte tridimensionale, da ammirare e toccare”21. Questo nuovo sé, che implica la creazione di uno stile, serve a travestire il corpo. Questo mascheramento, è un gioco, “ci si traveste non con l’intento di ingannare, ma per creare una divagazione della propria personalità”22. Lo “stile” diventa il simbolo di un branco, di una tribù. Dunque, non un qualcosa da esibire per una stagione, bensì un modo di vivere, un mezzo per costruirsi un’identità fuori da una struttura di classe sovente immobile e spietata. L’abbigliamento, rappresenta una sorta di nevrosi che allo stesso tempo maschera e scopre. E’ un modo per parlare quando non si vuole usare la parola o meglio quando questa non basta! Questo stile è caratterizzato da un Patchwork di indumenti creato in una società in cui “i raggruppamenti sociali e sessuali si vanno disintegrando”. L’abbigliamento di questa sottocultura si identifica fondamentalmente con il rifiuto dei canoni della moda stessa e delle regole, ma non è del tutto originale perché guarda in termini 19 Saggio di Angela Carter “1967: note per una teoria dello stile anni’60” in Mercanti di stile a cura di P.Colaiacomo & V. Caratozzolo, Roma , 2002 p. 285 20 Ibidem p. 286 21 Ibidem 22 Ibidem

19


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

sia stilistici che comportamentali alle sottoculture del dopoguerra europeo. La scrittrice Valerie Steele afferma che il “passato storico esiste solo per essere cannibalizzato o riplasmato”23. La moda ma ancor prima gli stessi giovani delle sottoculture, saccheggiano il passato alla ricerca di immagini utilizzabili che vengono poi strappate dal loro contesto e “impietosamente spogliate di gran parte del significato originale”24. I segni sartoriali, non hanno significato, “i corpi diventano importanti in termini puramente visivi”25. Quello che resta del significato originario è trasformato e mitizzato, “tagliato su misura sui nostri preconcetti”26. ”All’interno della cultura nera, nella musica nera - Secondo Chamber - si trovano quei valori antitetici che in un contesto nuovo fungono da simboli e da sintomi delle contraddizioni e delle tensioni nella cultura giovanile dei bianchi”27. Dai “Teddy Boys” riprendono uno stile esagerato e il rifiuto per il lavoro e la routine; dai gruppi “Rhythm and Blues” acquisiscono la sfrontatezza e la velocità del ritmo musicale degli assolo di danza (che vediamo nel ballo pogo) e l’uso di anfetamine; dai gruppi proto punk, come i “Ramones”, si impossessano di un’estetica minimalista, del culto della strada e la tendenza all’autolacerazione; dal “Raggae” prendono il senso di identità proibita e la disinvoltura dei comportamenti ribelli, ad esempio 23 Saggio di Valerie Steele, “la moda retrò”, in Mercanti di stile a cura di P.Colaiacomo & V. Caratozzolo, Roma, 2002, p.200 24 Ibidem p.202 25 Ibidem p202 26 Ibidem p 203 27 D. Hebdige, Sottoculture. Il fascino di uno stile innaturale, cit. p. 45

20


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

i gruppi punk “Clash” e “Slits” immettono slogan e temi reggae nei testi delle loro canzoni. Si distaccano dallo stile “Glam rock” pur mantenendo il messaggio del maggiore esponente di questa sottocultura, David Bowie, che attraverso l’uso del trucco e dei capelli tinti con colori luminescenti cerca l’evasione dalla working class, dai tabù del sesso e dall’impegno sociale. Il punk, infatti, si avvale di un abbigliamento che dà l’impressione di perversione sessuale per sconcertare anche il più liberale degli osservatori e sfidare le frettolose asserzioni della società. La sottocultura punk guarda agli americani “Hell’s Angels”, bande di motociclisti californiani, che negli anni Sessanta rappresentano uno stile ribelle e duro “si bardano di croci di ferro, elmetti nazisti, girocolli e orecchini, si fanno crescere i capelli fino alle spalle e si tingono le barbe di verde, rosso e viola. Coltivano l’alitosi e gli afrori. Perfetti dandy della bestialità essi incarnano l’incubo americano”28. Questo abbigliamento fuorilegge, mediato dal cinema in tutta Europa, rappresenta un’autentica dissociazione dalla società. Hollywood mitizza ed esporta, di questi gruppi sottoculturali, uno stile particolare, caratterizzato da elementi quali il giubbotto di pelle nera, indossato sopra ai jeans, stivali e decorazioni con borchie, braccialetti di pelle, capelli corti e asimmetrici, e anfibi. Questo “stile” viene raccontato attraverso le imprese teppistiche in “Il Selvaggio”, interpretato da Marlon Brando nel 1954 e in “Gioventù Bruciata” con James Dean del 1955. Il fenomeno viene assorbito e rielaborato con segni caratteristici da un paese all’altro. Ovunque i giubbotti di pelle personalizzati, decorati con disegni e 28 Saggio di Angela Carter “1967: note per una teoria dello stile anni’60” in Mercanti di stile a cura di P.colaiacomo& V. Caratozzolo, Roma , 2002 p. 285

21


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

cerniere, piccole catene, applicazioni metalliche esaltano il mito di una mascolinità aggressiva, minacciosa, orgogliosa di esibire la sua emarginazione. Le sottoculture rappresentano, quindi, attraverso il loro “travestimento”, un “rumore”, un procedimento di disordine semantico, un meccanismo di disturbo all’interno degli usi di una società borghese imperante. Comunicare con il corpo vuol dire scegliere di suscitare sentimenti e porre l’animo dell’altro in una posizione particolarmente critica. Significa quindi modificare l’immagine personale per esteriorizzare idee, desideri e voglia di cambiamento. E’ per questo che le sottoculture usano il corpo, o meglio il corpo vestito, come denuncia e simbolo. Esso si fa quindi tramite di un messaggio comprensibile alla società, palesato dall’utilizzo di modificazione corporee come: il tatuaggio e i piercing. L’utilizzo di questa “materia”, è per il punk oggetto destinato alla formazione di “stili di vita” e identità collettive. Diventa una mera biografia dell’individuo che segnala il confine e il punto di contatto tra le ideologie della sottocultura e la concezione di vita della cultura conservatrice. Il vestito, che modifica il corpo, è l’emblema di uno specifico momento storico, poiché trasformiamo la nostra immagine per diffondere un messaggio, per comunicare il senso del racconto della vita personale di ciascun individuo inserito in un contesto sociale. Infatti, il corpo rivestito esprime il modo in cui il soggetto è al mondo attraverso la sua apparenza estetica, sensibile e le sue relazioni con altri corpi e con le proprie esperienze corporee vissute.

22


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

Il travestimento del corpo esprime la possibilità di giocare tra ironia e grottesco, tra armonia e dissonanza. Esso impone all’individuo determinati atteggiamenti. Possiamo pertanto affermare che il vestito punk esercita sul corpo un’influenza determinante, caratterizzandone il movimento e la postura. Secondo Freud, l’abbigliamento influisce sulla psiche. La superficie del corpo definita attraverso i vestiti diventa “l’Io” del soggetto. La funzione del vestito è quella di assemblare e soddisfare questo “Io” che la sottocultura punk pone in contrasto con la collettività dominante. E’ importante per questa sottocultura la psiche dell’individuo che indossa il vestito più che il vestito in sé perché ci permette di percepire i motivi personali che portano alla creazione di un certo tipo di abito e al motivo della scelta di un dato oggetto ripreso dalla cultura predominante. Si può comprendere, analizzando determinate scelte stilistiche, quale sia “l’espressione di sé” che la sottocultura punk vuole mettere in evidenza. Questa espressione si solidifica nel momento in cui “l’Io”si afferma perché in contrasto con l’egemonia imperante quale può essere la società perbenista degli anni Settanta in Italia. Il soggetto arriva così a considerare se stesso e il suo modo di essere e di comportarsi attraverso un punto di osservazione esterno. I punk dichiarano di essere contenti quando “gli altri”, cioè gli uomini che si comportano e si vestono secondo i canoni accettati dalla società, li scherniscono. Intendono così sottolineare che attraverso l’osservazione dell’altro il soggetto vede se stesso. Quindi l’essere scherniti significa aver raggiunto l’obiettivo,

23


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

ovvero la buona riuscita dell’abbigliamento adottato in linea con i temi del loro comportamento che è dichiaratamente antisociale. L’atteggiamento usato dai punk mette in rilievo una maniera di vestire che contrappone l’esuberanza, la leggiadria ad una società considerata civile e dotta al pudore e pertanto alla rinuncia dell’esibizionismo che nei punk è esaltata assumendo un comportamento anarchico. Lo stile punk si avvicina a quello che Roland Barthes identifica come “Flusso che non vuol distruggere niente, ma si contenta semplicemente di disorientare la legge”29, facendo della costruzione di questo corpo una minaccia all’ordine pubblico costituito. Il look punk, inteso in questo senso, si pone come “crimine sociale” non tanto nel suo contenuto diretto, quanto nel fatto che l’ostentazione di certi tratti distintivi “denaturalizza i discorsi mostrandone lo statuto semiotico”30. Pertanto l’abito, il travestimento, i segni che incidono e decorano sono forme attraverso cui il punk pone il corpo in relazione con il mondo, da un lato, e con gli altri componenti della sottocultura, dall’altro. Questo stile di riconoscimento è il sistema di segni verbali e non, attraverso il quale il linguaggio punk si manifesta. Il soggetto si costruisce tramite “L’aspetto visibile, il suo essere al mondo, il suo stile delle apparenze”. Secondo la socoiolinguista, Patrizia Calefato, il corpo è quindi inteso come performance, cioè costruzione sempre aperta “Dell’identità

29 Saggio di R.Barthes, “Il fenomeno vestimentario” in Il senso della moda. Forme e significati dell’abbigliamento, a cura di G.Marrone, piccola biblioteca Einaudi scienze sociali, Torino, 2006 p.38 30 P. Calefato, Mass moda. Linguaggio e immaginario del corpo rivestito, Costa&Nolan, Genova, 1996

24


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

materiale, come dimensione mondana della soggettività”31. 1.2 Le influenze artistiche nello stile punk: Dadaismo e surrealismo Le radici dell’arte punk sono da ricercare nei Dada che hanno messo in dubbio e stravolto le convenzioni dell’epoca. Quest’avanguardia propone il rifiuto della ragione e della logica, enfatizza la stravaganza, la derisione e l’umorismo. Gli artisti dada sono volutamente irrispettosi e anarchici, ricercano una libera creatività mediante l’uso di tutti i materiali e le forme disponibili. Il punk prende spunto da queste pratiche per creare il proprio corpo lasciando a briglie sciolte la fantasia. Un ruolo rilevante nelle pratiche punk lo ritroviamo nei manifesti di Andre Breton (1924-1929) che stabiliscono le premesse di base del surrealismo. Nei suoi manifesti egli elogia una nuova realtà che emerge dallo stravolgimento del senso comune, dal collasso delle classi e dalla celebrazione del normale e del proibito. Dick Hebdige riconosce che lo stile punk può essere definito “spiazzamento percettivo” di tipo surrealistico, esso crea un abbigliamento da confronto, una frattura tra contesto “artificiale” e contesto “naturale”. Questa artificialità è creata dall’utilizzo della tecnica di William S. Borroughs, il cut-up che consiste nell’affidarsi al caso nella costruzione di un significato che può essere stilistico, musicale o artistico, attribuendo a elementi derivati da ambiti totalmente diversi, significati completamente nuovi. “Un attacco alla sintassi 31 Ibidem

25


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

della vita quotidiana che impone la maniera di usare gli oggetti più mondani, inciterebbe ad una rivoluzione totale dell’oggetto: azione di sviarlo dal suo fine accompagnandolo ad un nuovo nome […]. Gli oggetti hanno in comune il fatto di derivare e di riuscire a differenziarsi dagli oggetti che ci circondano grazie ad una semplice mutazione di funzioni”32. Gli oggetti più irrilevanti e più impropri sono portati all’interno dello stile punk. Mediante la ricollocazione e ricontestualizzazione degli oggetti d’uso comune, modificati dai loro usi convenzionali, per acquisire dei nuovi impieghi, il punk spalanca il mondo degli oggetti a letture nuove. Il potere passa per le mani dei singoli, tutto è permesso: gli oggetti di uso comune ripresi e reinterpretati con maggior forza sono le spille da balia e le lamette per rasoi. La prima, impiegata in origine per fermare le fasce dei neonati, diventa piercing per i lobi, per le narici, per le guance, e talvolta anche per i palmi delle mani. La seconda, intesa come strumento di bellezza, di edonismo, di benessere e il - farsi la barba - sinonimo di cura personale, di conformismo, di attenzione alla propria immagine, viene posizionata come pendolo ai lobi, al collo, pronta per essere utilizzata come “penna” per scrivere il proprio messaggio sul corpo. Umberto Eco descrive queste pratiche sovversive “Guerriglia semiologica”. Infatti con ciò il punk crea una diversità, un’identità di gruppo perché rappresenta una frattura tra il contesto naturale e quello artificiale.

32 A. Breton, Manifesto del surrealismo, Editore Einaudi,Torino, 2003

26


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

1.3 Il punk e la body art I giornali analizzano l’impiego della lametta, della spilla da balia adoperati come piercing e degli altri oggetti in uso tra i punk come una sorta di autolesionismo, attraverso cui poter creare una provocazione “In modo da far venire a galla la nostra ingenuità”33. Questo autolesionismo è influenzato dalla body art che si sviluppa negli anni Sessanta, in Italia. Essa infatti ha un ascendente sulle pratiche punk soprattutto nel considerare il corpo come espressione artistica. Il corpo viene in entrambi i casi vissuto come luogo di azione sadomaso, come soggetto-oggetto di azioni violente, aggressive e masochistiche, come afferma Mario Perniola “Il dolore fisico costituisce la garanzia che l’eccitazione si può sempre rinnovare[…]. La sofferenza fisica costituisce un punto di appoggio esterno, una mediazione, un luogo di transito attraverso cui passano nello stesso tempo la sensazione corporea, l’umiliazione psichica e la coscienza intellettuale della propria superiorità morale”34. Come nel caso della contestazione dei punk ai sociologi a Milano nel 1982, in cui usano il loro corpo per violare dei codici di azione, tabù legati al sangue e alla violenza. Si autolacerano il petto con le lamette per creare un confronto tra loro e i sociologi, per smentire la definizione loro data di “cavie da laboratorio” di una società in trasformazione continua, di una cultura metropolitana disintegrata. Lo stesso corpo punk è performativo perché mira a produrre sensibilità, umori, inquietudini. Questo utilizzo di violente e crudeli 33 M.Philopat, Costretti a sanguinare,Giulio Einaudi, Torino, 2006, p. 25 34 M. Perniola, Il sex appeal dell’inorganico, Giulio Einaudi, Torino, 2004 p. 53-56

27


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

azioni fisiche è per il performer, e in questo soprattutto riconosciamo il punk, una sorta di psicosi nichilista. Questa crudeltà su se stessi è una risposta alla crudeltà del reale: “è una sorta di feedback che partendo dall’esistente arriva all’artista e da questo è rimandato al mondo elaborato esteticamente” 35.. Tra oggetto e lessico si stabilisce una reciproca complicità. Il corpo scritto con la tecnica del tatuaggio può essere concepito come luogo di intersezione tra “indumento” e linguaggio è stato abbondantemente utilizzato da popoli “primitivi”. All’interno di queste culture disegnare il proprio corpo, e soprattutto il volto, designa uno status, ha funzioni sociali, serve come messaggio spirituale ed educativo. Chi non è dipinto o tatuato è considerato “stupido”36. L’utilizzo del tatuaggio per il punk assume un significato di appartenenza ad un gruppo, ad una tribù. Il “travestimento”, completato da un trucco stravagante, caratterizzato da un largo uso di matita nera e ombretti dai colori sgargianti, diventa un mezzo per allontanarsi dalla realtà. E’ grazie al trucco che si coltiva la tendenza a un’ideale artificiale. L’utilizzo identifica una certa indifferenza per gli altri, rappresenta “dandola a vedere” una sorta di vittoria sui vecchi abiti di repressione sessuale. 1.4 Costruzione del corpo Punk attraverso l’abbigliamento E’ difficile identificare le origini precise dello stile punk. Data la mole di influenze provenienti dalle altre sottoculture, saccheggiano 35 T.Macrì, “Il corpo postorganico. Sconfinamenti della performance”, Costa&Nolan Genova-Milano, 1996, p.14 36 P. Calefato, “Mass moda: linguaggio immaginario del corpo rivestito”,Costa&Nolan Genova, 1996, p.15

28


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

oggetti da tutti gli ambiti che li circondano come afferma V. Westwood:37 “Passavamo al setaccio tutta la cultura a nostra disposizione […]. Guardavamo a tutti i culti che eccitavano la nostra fantasia cercando di mettere a fuoco la loro vitalità ed energia”38. Così, il look punk può essere definito eclettico “l’intero complesso di cose letteralmente tenute insieme con gli spilli, divenne il celebrato e fotogenico fenomeno noto come punk”39.In Italia si crea uno stile punk che risente delle influenze londinesi ispirati a quel poco materiale come foto o immagini dei paesi anglosassoni che vengono mediate dai giornali e dalla tv. Per i punk italiani Londra è una “Città dove ogni esperienza underground diventa un segnale, 37 Vivienne Westwood ,nasce a Tintwistle, piccolo villaggio del Derbyshire in Inghilterra. Dopo il primo matrimonio e un figlio con Derek Westwood, inizia una relazione con Malcolm McLaren, destinato a diventare il manager dei “Sex Pistols”. Nel 1971 insieme aprono il loro primo negozio, “Let it Rock”, al 430 di King’s Road, a Londra. E’ l’inizio di uno stile straordinario che continua a stupire e inventare nuove frontiere della moda ancora oggi. Il negozio prende diversi nomi nel corso degli anni, seguendo l’evoluzione stilistica di Vivienne: “Sex”, “Too fast to live too young to die”, “Seditionaries” e infine “World’s End”, rimasto fino ad oggi e conosciuto per la celebre insegna con l’orologio che gira al contrario. Negli anni ‘70 la Westwood contribuisce a creare lo stile punk, che ancora oggi rimane come impronta indelebile. Lacci, spille da balia, lamette, catene di bicicletta, collari a punte metalliche e accessori sadomaso riaffiorano ciclicamente nel suo lavoro di stilista. Accostando a questi accessori inusuali classici e tradizionali elementi dello stile britannico, come il tessuto tartan, il risultato complessivo diventa ancora più sconvolgente. La prima sfilata di Westwood a Londra è del marzo 1981, con la collezione “Pirate”. I suoi modelli ora non traggono più ispirazione soltanto dalla moda di strada e dal mondo giovanile, ma da tradizione e tecnica. La sua ricerca, prendendo vari spunti dalla storia del costume del XVII e XVIII secolo, esplora tutte le epoche: è stata la prima stilista contemporanea a riproporre con determinazione, modernizzandoli, il corsetto e il faux-cul, elementi di sartoria che sembravano ormai sepolti in un tempo lontano. La sua ispirazione trae inoltre forza da varie influenze che le derivano dall’amore per la storia, la pittura e l’impegno sociale e politico. Nel settembre 2005 Vivienne decide di dare il suo pieno appoggio al movimento per la difesa dei diritti civili, creando delle t-shirt da collezione che recano lo slogan “I am not a terrorist. Please don’t arrest me”. Non a caso le sue ultime collezioni si intitolano “Propaganda”, “Active Resistance e Active Resistance to Propaganda” e testimoniano il suo forte dissenso nei confronti delle Amministrazioni Blair e Bush. Nel corso degli ultimi anni la Westwood è insignita di varie onorificenze, tra le quali il titolo di Ufficiale dell’Impero Britannico, Dama Comandante dell’Impero Britannico e per due volte il premio per lo Stilista britannico dell’anno. 38 P. Colaiacomo e V. Caratozzolo, Mercanti di stile. Le culture della moda dagli anni ’20 ad oggi, Editori Riuniti, Roma, 2002, p. 385 39 D. Hebdige, Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale. cit. p. 27

29


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

c’è una produzione pazzesca di modelli diversificati di vita, tutto diventa una moda, le sottoculture si mischiano sulla strada ai più stravaganti individui […] I punk sono dappertutto da Oxford Street a Camden, da King’s Road a Portobello”40. Possiamo affermare che questa sottocultura non è soggetta ai dettami della moda perché lavora individualmente sulla costruzione del proprio look: “Punk is attitude not fashion. Punk è un modo di essere, non un modo di apparire” recitava così un motto degli anni Settanta non avendo canoni stabiliti, viene comunemente identificata con l’uso di determinati abiti e stili. Al grido di “No future, no dreams” vengono azzerati tutti i sogni e le speranze della generazione precedente. Nasce un immagine che stravolge gli stereotipi della società per negarne i valori e i tabù, per esaltarne lo sporco, il disgusto, la perversione, la volgarità, la distruzione,l’anarchia41 e 40M. Philopat Costretti a Sanguinare, Giulio Einaudi editore, Torino, 2006 , p. 31 41 L’anarchismo è un movimento politico che nasce nel corso del XVIII secolo. Affonda le sue radici nell’Illuminismo e si sviluppa nei due secoli successivi. Dare un quadro del pensiero anarchico e delle pratiche libertarie non è facile perché da un lato non si può, nel caso dell’anarchismo, ricondurre tutte le sue manifestazioni all’attività di un solo teorico e, dall’altro, perché esse sono lontane dall’essere espressione di un’ideologia fissa. Abitualmente ci si riferisce a Stirner, Proudhon e Bakunin come ai tre principali teorici di questa corrente di pensiero. Ciò in realtà è vero solo in parte perché, per quanto riguarda Stirner, il suo pensiero rimane fino alla fine del XIX secolo praticamente sconosciuto fuori dalla Germania e totalmente estraneo alla nascita del movimento libertario propriamente detto. Quanto a Proudhon, che può essere considerato giustamente come il “padre dell’anarchismo”, il suo pensiero ha subìto anche lunghi momenti di oblìo ed è stato oggetto, in alcuni casi, di grossolane deformazioni. Per quanto riguarda Bakunin, se la sua influenza è diretta e decisiva sul movimento libertario, questo prende il suo slancio ed assume le sue caratteristiche solamente dopo la morte. In realtà, le idee anarchiche sono conosciute essenzialmente attraverso l’opera dei suoi discepoli, come Pëtr Kropotkin ed Enrico Malatesta, che non esitano su punti importanti a modificare, precisare, allargare l’eredità bakuniniana approdando esplicitamente al comunismo libertario. Sul piano filosofico e delle idee, l’anarchismo può essere considerato come la manifestazione più estrema del processo di laicizzazione del pensiero occidentale che approda al rifiuto

30


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

il feticismo42 e per contrastarne alcuni fenomeni come la disoccupazione e la precarietà abitativa. A dispetto di quello che può sembrare, lo “stile” punk, non mira alla semplice distruzione dell’ordine costituito, bensì alla comunicazione del disagio sociale in cui sono inseriti i giovani di quegli anni. Tutto ciò esprime il desiderio di rendere il corpo una miscellanea di significati. “Il punk inizia a elaborare una sociologia di se stesso”43. Attraverso codici comunicati dal corpo il punk crea un aspetto scioccante. “Non stavamo iniziando nulla di nuovo ci appropriavamo delle nostre influenze preferite e giocavamo. E ancora: Una delle prerogative del punk consisteva nel rivolgersi al passato per trarre le influenze appropriate” - afferma Holmstrom44. di ogni forma d’autorità esterna o superiore agli uomini, sia essa “divina” o umana, e al rifiuto di tutti i principi che, in tempi, forme e con modalità differenti, sono stati utilizzati dalle classi dominanti per giustificare la loro dominazione sul resto della popolazione. Sul piano politico e sociale, l’anarchismo si ritiene continuatore dell’opera della Rivoluzione Francese, attraverso la realizzazione, accanto all’eguaglianza politica, di una vera eguaglianza economica e sociale; eguaglianza che nella società borghese si realizza attraverso la lotta contro il capitalismo e per l’abolizione del salariato. 42 V. Steele, Fetish. Moda sesso e potere, Maltemi Melusine, Roma 2005 Il termine feticismo deriva dalla parola”feticos”con la quale i colonizzatori portoghesi del XV secolo indicavano le pratiche della popolazione della Guinea centrate sull’utilizzo di oggetti inanimati come ciuffi di peli e frammenti di ossa. La lettura di Marx ha messo da parte l’ideale etnocentrico alla base di tale concetto per stigmatizzare quello che era il fenomeno più innovativo imposto dalla modernità industriale: il feticismo delle merci è il segno di una cattiva coscienza di una classe che non si riconosce come tale e che pertanto cede d’innanzi al potere seduttivo delle merci. Per Freud il feticismo è determinato da un movimento inverso, da un atto di simbolizzazione che assolve ad una funzione difensiva nei confronti della minaccia, della castrazione, una sorta di amuleto che è retaggio nel maschio adulto,delle fantasie infantili sul pene delle donne. 43 J. Savage, Punk! I Sex Pistols e il Rock inglese in rivolta, Arcana editrice, Milano, 1994, p.224 44 Ibidem, cap. 2

31


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

I punk annunciano un’estetica dissonante e “extravagante”, partendo da un abbigliamento violento. Il corpo per il punk non ha confini invalicabili, ogni punto della pelle può essere inciso da una spilla, solcato da una lametta, può essere associato all’esibizione di un oggetto assolutamente insolito, come una catena del gabinetto o un assorbente igienico. ”Naso labbra orecchie guance ed altre estremità sono trafitte da una moltitudine di spille e catene; le braccia e il corpo sono spesso tormentati con bruciature di sigarette e tagliuzzati con vetri e lamette da barba in pubblico. Questa umiliazione del corpo rappresenta la violenza che non si può esprimere altrimenti”45. E’ in questo periodo che il punk annuncia se stesso, con la sua polisemia di elementi tratti dalla storia della cultura giovanile. L’abbigliamento sessualmente feticista, il degrado urbano e le idee politiche estremiste caratterizzano questa sottocultura. I capi scuri, e soprattutto un largo utilizzo del nero, contraddistinguono questo vestiario costituito da un assemblaggio eclettico di oggetti di diversa provenienza, che mescola articoli da pornoshop, spille da balia, stivali, maglie, utilizzo della gomma, cerniere, guinzagli, catene, corpetti, scarpe con tacchi alti e pizzi. Questi oggetti che vengono estrapolati dal feticismo diventano negli anni Settanta un manifesto che connota l’identità della sottocultura. Le borchie e le catene esprimono una vocazione erotica di stampo sadomaso. Il feticismo pertanto si trasforma da iniziale segno di perversione a emblema di una diversità sotto culturale subalterna. Gli oggetti sono messi insieme per alludere 45 T. Macrì, Il corpo postorganico. Sconfinamenti della performance, Costa&Nolan, Milano, 2002

32


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

a parecchie cose: il primitivismo urbano, il crollo di fiducia in un linguaggio comune, in cui la moda assume un ruolo preponderante attraverso la modificazione corporea e l’utilizzo di abiti economici e di seconda mano. Il punk crea quindi un’immagine scioccante di sé nel senso benjaminiano del termine, che viene proposta dal patchwork di indumenti. Tutto quello che nel tempo viene attribuito al punk, dalle acconciature di colori innaturali, acidi, al gusto neobarocco, dagli abiti strappati in cui la stoffa e la pelle si alternano, rappresenta il trionfo contemporaneo del “lusso cadaverico e spettrale”46, in cui Benjamin rintraccia l’essenza stessa della moda. Il look e quindi l’esperienza del vestito come il corpo si radicalizza in quella del corpo come vestito, dove il trucco, il tatuaggio, l’hair dressing, rappresentano il cammino che porta il punk a diventare oggetto estetico di denuncia. In questa sottocultura si tende a sottolineare l’importanza del corpo che costituisce un veicolo per esteriorizzare i significati: il senso della differenza, della ribellione, il disprezzo della società. Esso ingloba segnali aggressivi. I punk pongono i vestiti come termine di paragone di una società e come afferma Flügél: ”Ciò che effettivamente vediamo e a cui reagiamo non sono i corpi ma gli abiti di coloro che ci circondano. E’ dai loro abiti che formiamo una prima impressione dei nostri simili quando li incontriamo. E’ il movimento impresso ai suoi abiti che ci consente di giudicare a prima vista l’intento del soggetto guardato” 47. Un esempio può 46 M. Perniola, Sex appeal dell’inorganico, Giulio Einaudi editore, Torino, 1994, p. 12 47 J.C. Flugel, Psicologia dell’abbigliamento, Franco Angeli editore, Milano 1974, p. 11-24

33


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

essere Jordan, commessa al negozio “Sex” della Westwood, che trasforma il suo corpo e lo rende veicolo di nuove ideologie che scandalizzando diventa un’opera d’arte. In questo periodo sia in Inghilterra con le esperienze di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren48, che in Italia con le esperienze dei giovani votati alla filosofia del “fai da te” ad imitazione dei modelli stranieri, l’abbigliamento diviene espressione di una ricca immaginazione, secondo un processo che aveva già influenzato i passati anni Sessanta. Periodo in cui, come afferma Angela Carter, tutto si porta con tutto, si crea un senso di “teatralizzazione dei propri sé”. L’individuo ripresentandosi come punk produce delle visioni inaspettate della propria personalità, si teatralizza adoperando gli abiti come “armi e insulti visibili49”. Le donne punk si mostrano alle volte come “consumate star”, portando minigonne, capelli decolorati, trucco nero pesante, giubbotti di pelle aderenti, calze a rete e tacchi a spillo. Riprendono tessuti scadenti ed economici come PVC, plastica, lurex da tempo scartati per ragioni di qualità o perché considerati kitsch dall’industria della moda. Le donne in particolare si appropriano dell’iconografia illecita del feticismo sessuale tirata fuori dai

48 Malcolm McLaren, è cresciuto nell’area nord di Londra. Per circa otto anni frequenta scuole d’arte, lavora come scenografo e realizza un happening alla galleria di Kingly street. Ancora studente del Goldsmith Art College organizza un festival sovversivo che è finito in tumulti. Avvia un negozio con Vivienne Westwood al 430 di Kings Road specializzato in oggetti e vestiti degli anni ’50. Per la diversa piega dell’abbigliamento in vendita che diventa di tipo feticista, cambia conseguentemente il nome del negozio in “Sex”. E’ stato manager dei New York Dolls per un po’ negli USA e dei Sex Pistols nel Regno Unito. 49 Saggio di Angela Carter “1967: note per una teoria dello stile anni’60” in Mercanti di stile a cura di P.colaiacomo& V. Caratozzolo, Roma , 2003 p. 285

34


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

“bodouir, dall’armadio e dal cinema pornografico”50 collocandola sulla strada. Le donne punk si appropriano dei concetti “proibiti” del feticismo per ridefinirne o delinearne i significati. Nel punk tutti possono essere chiunque attraverso la creazione di una maschera. Si riprendono gli stili d’Oltreoceano che creano una sorta di travestimento. come quelli delle “Dolls”: “Uso di cosmetici, tacchi alti, e vestiti pescati a poco prezzo in qualche negozietto”51. Ciò non permette un riconoscimento repentino del soggetto guardato e serve ad assumere atteggiamenti stravaganti. La “maschera” consente al punk di nascondersi e manifestare degli atteggiamenti estremi, asociali che con vestiti accettati dalla società non avrebbero avuto lo stesso significato. La spettacolarizzazione del corpo assume una forma di contestazione perché l’abito in realtà non ritrae solo l’individuo che lo crea e lo indossa, ma anche il nostro ambiente in modo istintivo. Anche i capelli tinti con colori “luminosi, scioccanti” sono un modo per sfidare le tradizionali demarcazioni di classe. Nel 1975 John Lydon, cantante del gruppo punk più scandaloso dell’epoca i “Sex Pistols”, viene cacciato di casa a causa del suo drastico taglio di capelli “Vedete a quei tempi i capelli lunghi erano accettati […] così li tagliai e li tinsi di verde. Sembravo un cavolo. Il mio vecchio non mi parlò più finché me ne andai via”52. Questi abbellimenti corporali servono ad attrarre l’attenzione di tipi “convenzionali” che così si rendono conto dell’esistenza di un soggetto diverso che, allontanandosi dai canoni estetici socialmente 50 V. Steele, Fetish:moda sesso e potere. cit. p.108 51 J. Savage Punk!.i Sex Pistols e il Rock inglese in rivolta,Arcana editrici, 1994 p. 62 52 J. Savage, Punk!.i Sex Pistols e il Rock inglese in rivolta, cit. p 50

35


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

accettati, si mette in contrasto con ciò che lo circonda. Tra il 1980 e il 1981 in Italia arriva la moda del “moicano”, che sottolinea l’avvento nella società di uno stile radicale. Si alzano i capelli “a cresta di gallo”, vengono colorati con tinte sgargianti che esprimono la ricerca di una forte appariscenza. I capelli devono stare in piedi e i metodi utilizzati per una buona riuscita sono tanti: dall’impiego del Tenax, una specie di brillantina untuosa e maleodorante che tende a dare una strana lucidità ai capelli fissandoli poco; allo zucchero che viene sparso sui capelli bagnati fino ad ottenere l’effetto inamidato; all’utilizzo del sapone, metodo considerato più efficace e anche più economico degli altri. Consiste nello strofinare la saponetta bagnata sui capelli e attendere a testa in giù l’asciugatura in modo da rendere i capelli “dritti come spilli”.L’importanza che il punk attribuisce ai capelli è, per Patrizia Calefato, una manifestazione della capacità ironica del grottesco, tagliare i capelli a cresta, ciocche diritte oppure pettinarli in sofisticate acconciature, colorarli in tinte eccessivamente artificiali serve non solo a creare un effetto innaturale spiazzante, ma anche a rendere il corpo sede di segni autoreferenziali in cui ogni componente della tribù può riconoscersi. Pertanto queste acconciature funzionano da “bandiera sub-culturale”, diventano l’insegna di un intero movimento giovanile caratterizzato anche da capi di abbigliamento come magliette o pantaloni. In questa sottocultura i dettagli, hanno un peso rilevante perché contengono una funzione distintiva. Vivienne Westwood trasforma a suo vantaggio l’inesperienza creando uno stile adottato da tutti: ”Un giorno stavo armeggiando

36


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

con due pezzi di stoffa quadrati, tentando di confezionare una maglia con le maniche. Ad un certo punto pensai: perché darsi pena per le maniche? Creai così la maglia nel modo più semplice possibile, cucendo i due pezzi insieme dando risalto alle cuciture. Meravigliosamente androgine le t-shirt avvolgevano il busto come un guanto”53. Questa inesperienza diventa una ricchezza che nasce da un non sapere e rende questi abiti ancora più significativi. Infatti, riproducono la logica punk e la filosofia del do it yourself. E’ effettivamente su un “non sapere “che si crea la sottocultura punk: non sai suonare ma ti fai una band, non sai cucire ma ti produci gli abiti che diventano quindi un marchio di originalità punk. Questo stile, infatti, mira a rinnegare la società in cui si esprime ad enfatizzare l’identità di ogni fruitore caratterizzata dal: “fai da te, ricuci l’usato, compra il militare e rifai”. Come testimonia Marco Philopat questo tipo di abbigliamento è molto usato in Italia, permette di porsi in un atteggiamento nuovo anticonformista in quanto i vestiti sono auto-costruiti. Gli elementi attraverso cui si riconosce subito un punk sono: giubbini di pelle nera con borchie e scritte sulla schiena, anfibi militari italiani54; jeans neri attillati e t-shirt strappate e “rattoppate”, con le spille da balia. Un ruolo fondamentale è ricoperto dal “badge” delle toppe di stoffa, che contengono frasi quali “no future”, “urlare in faccia alla gente”55. Tutto è messo in luce per definire il “discorso” punk. Come afferma 53 J. Savage, Punk! i Sex Pistols e il Rock inglese in rivolta, cit. p 69 54 Gli anfibi avevano una duplice funzione, oltre quella di tenere caldi i piedi per le lunghe ore passate in strada e nelle cantine mal riscaldate, venivano usati anche per “spaccare” le macchine della polizia alle manifestazioni vista la loro pesantezza e resistenza 55 M.Philopat, Costretti a Sanguinare, cit. p. 15

37


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

Dick Hebdige questi abiti servono per creare una propria identità e raggiungere una relativa autonomia, per essere definiti diversi attraverso la modificazione del loro aspetto, aiutandosi con la creazione di abiti nuovi in cui riconoscersi e farsi riconoscere. La forza innovatrice dello stile punk, provvede alla risemantizzazione di una serie di stilemi provenienti da ambiti totalmente diversi. Secondo Dick Hebdige, oggetti “umili”, come una spilla di sicurezza, possono essere rubati da parte di gruppi subordinati e resi portatori di significati segreti che esprimono, in codice, una forma di resistenza all’ordine garantendo la continuità della loro subordinazione. Attraverso l’impiego di questi dettagli i punk cercano di dare dei codici ai vestiti, di rendere il “vestirsi trasgressivo”, un atto di significazione, un atto sociale. Anche Mario Perniola nel “Sex appeal dell’inorganico” sottolinea che a farsi portatore di denuncie non sono i soggetti, ma gli oggetti che li caratterizzano. Il compito della sottocultura è di trasgredire e cioè di riconoscere, e al tempo stesso invertire, i significati degli oggetti che distinguono la cultura del “nemico”, estrapolando l’oggetto da distruggere modificandolo. 1.5 La classe borghese “saccheggiata” L’abbigliamento della Borghesia, classe sociale media, perbenista e bigotta, viene saccheggiato. Il messaggio non passa attraverso la comunicazione “standard” e quindi appropriandosi semplicemente dei loro abiti, bensì tramite la risemantizzazione di questi capi che svia l’attenzione da un abbigliamento che identifica uno status

38


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

sociale a un abbigliamento usato come simbolo sessuale, ora fallico, nel caso della cravatta, del pantalone stretto in vinile o pelle stile “bondage”56, ora vaginale come nel caso della giarrettiera, delle calze a rete, dei tacchi a spillo e gonna di gomma. Stile tipico della cantante “Siouxsie Sioux che indossa mutande nere in vinile, un reggiseno bordato stivale nero alto fino alla coscia e scarpe con tacchi alti con una cinghia alla caviglia con su scritto bondage” e della Westwood “calze di gomma, tacchi a spillo e completi bondage quando tutti portano pantaloni scampanati e zatteroni” 57. Gli abiti diventano la simbolizzazione degli organi genitali, essi si rendono ornamento del corpo per attrarre lo sguardo. Di conseguenza l’esibizionismo di questa sottocultura non sta nel corpo nudo, ma in quello vestito di tutti questi simboli. Una maniera più evidente per combattere anche i tabù. L’uso di elementi decontestualizzati dal loro ambito sociale sono pura decorazione, vengono usati come estraniamento da una condizione sociale che gli è imposta. La giacca, la cravatta e la camicia, sono indumenti che identificano un tenore di vita agiato, indice di uno status sociale rilevante, e attestano valori cardine della società civile. Il punk irrompe in tutto ciò e stravolge le regole costituendo un feroce attacco alla bellezza canonica rafforzando le barriere di classe. La cravatta, sgualcita e mal stretta, è sorretta da una spilla di 56 J.Savage,. Punk!, cit. p. 104 Bondage: pantaloni in materiale impermeabile con cerniere e lacci, è un pantalone che può stringersi diventando aderente. “Volevo conferirgli una qualità feticistica. Era buona l’idea di confezionare un pantalone largo che potesse diventare aderente: aveva quella proprietà, quella prerogativa di contrarsi. Poi mettemmo le lampo, non solo dietro su fino al ginocchio, ma anche sulla coscia. Ne mettemmo un’altra che attraversava i pantaloni e saliva dietro fino a metà: quello era un elemento feticistico”. Westwood 57 V. Steele, Fetish:moda sesso e potere, cit. p. 147

39


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

sicurezza che ha la funzione di tenere insieme le parti rotte degli abiti come un patchwork. La giacca, preferibilmente in tartan, dall’influenza inglese, è guarnita con borchie, spille e spalline militari; le camicie sono lacerate, rimesse insieme sempre con le spille e utilizzate come manifesto delle proprie idee. Le t-shirt si innalzano a fogli di denuncia sociale. Esse sono una vera e propria pagina di scrittura presentano poesie più o meno celebri, testi di canzoni, frasi a doppio senso, slogan politici. Tutto serve a fare della semplice t-shirt un “pezzo forte dello stile”58 Esempi significativi sono le magliette presenti nei negozi: “Let it Rock” e “Sex” di Vivienne Westwood e Malcom Mclaren che individuano il mondo della moda come luogo in cui “l’arte e la musica si fondono”, “creare abiti miei era come saltare dal versante musicale alla pittura”59. Le magliette assumono un significato di “cartellone di denuncia”. Sono un mezzo per trasgredire le convenzioni, deridere il mondo e portare all’eccesso il significato delle parole. Tra queste ricordiamo le t-shirt con le ossa di pollo cucite a formare la parola P-E-R-V (pervertito) e ROCK. Leggere o far leggere queste scritte diventa un gioco per ammiccare a valori, a gusti letterari e musicali. Esse sono “il luogo di intersezione tra indumento e linguaggio in cui il corpo rivestito diventa testo di scrittura”60 Lo spirito ribelle di questa sottocultura è espresso nei loro slogan che sintetizzano una visione del mondo sorprendente e sovversivo. In queste molte volte troviamo 58 P.Calefato, Mass moda. Linguaggio e immaginario del corpo rivestito, cit p. 23 59 P. Gorman, Look. Avventure della moda nel pop-rock. Introduzione di M. McLaren 60 P.Calefato, Mass moda. Linguaggio e immaginario del corpo rivestito, cit.

40


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

simboli sessuali come la maglietta con due cowboy che parlano tra loro senza indossare i pantaloni, con i membri che si toccano vestiti solo con stivali.61 Oppure slogan stampati con colori accesi per essere visti e provocare come la t-shirt che dice:”you’re gonna wake up one morning and know which side of the bed you’ve been Lying on …”(un giorno ti sveglierai e ti renderai conto da che parte del letto hai dormito) prodotta nel Novembre del 1974, esponeva gli odi e gli amori del negozio della Westwood in una lista scritta a macchina in colori che passavano dal rosso al blu; “I Groaned” prodotto nel 1974 con cerniere sui capezzoli in un rosa acceso e con una citazione tratta dal libro di Trocchi sulle fantasie lesbiche, “School of wives” (scuola per mogli) o “Tits” una delle creazioni “più brillanti del primo periodo di McLaren e della Westwood” sostiene Jon Savage parlando di questa maglietta che esibisce la foto di un seno femminile esattamente all’altezza del petto di chi lo indossa, ottenendo un effetto straniante e “Cambridge Rapist” 62 61 P.Gorman, Look, cit. p. 121,”Lonesome Cowboys: l’immagine di due cowboys nudi dalla vita in giù a parte gli stivali, con dei genitali enormi eloquentemente vicini, accompagnati dal seguente dialogo sconclusionato: “Ello Joe, been anywhere lately?”, “Nah, its all played aht Bill geting to straight”. A pochi giorni dalla produzione delle magliette, nell’agosto del 1975 il commesso Alan Jones fu arrestato in Piccadilly Circus perché ne indossava una. Accusati di “esibizionismo in pubblico di immagini indecenti” McLaren e Westwood sostennero di essere stati multati, ma Jones afferma che fu lui a dover pagare trenta sterline di multa, mentre loro non si presentarono nemmeno in tribunale. La maglietta vendette moltissimo e, quando alla fine degli anni Novanta fu rilanciata dall’etichetta Dead in England, che McLaren usava soltanto per l’esportazione, fu indossata da celebrità come il cantante Robbie Williams e da Meg Mathews.” 62 P.Gorman, Look, cit. p. 122 “Cambridge Rapist: uno dei prodotti più sconvolgenti del negozio. Il manager di Sex Michael Collins, fu interrogato dalla polizia che sospettava che lo stupratore seriale di giovani studentesse, attivo durante la metà degli anni Settanta, avesse acquistato il suo cappuccio di pelle in negozio. La T-shirt mostra il cappuccio in nero e verde e la misura di uno spartito con la frase “it’s been a hard day’s night…”Sotto c’è una falsa notizia d’agenzia che riferisce della morte di Brian Epstein nel 1967 e che sostiene che la scomparsa del manager dei Beatles è dovuta al fatto che la partecipazione

41


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

molto amata dal batterista Paul Cook. Queste maglie diventano un capo di abbigliamento universale, vengono dilaniate, identificano un’immagine di povertà, di mancanza di interesse per se stessi. Tali t-shirt sono utilizzate anche dai punk italiani come supporto per i loro messaggi che si riferiscono in modo esplicito agli eroi anarchici o a frasi rivoluzionarie “Considerate i vostri sogni realtà”,”Abbasso la Coca Cola” o d’impatto come quelle presenti sul giubbotto di Marco Philopat ”Costretti a sanguinare” e su quello del cantante degli Ultras “Sangue agli occhi”63, o frasi contro la guerra, il potere e il capitalismo. 1.6 Simboli e oggetti scioccanti Uno degli eventi più clamorosi fu l’avvento della svastica, influenzato dalle “Dolls” che cercano di dar vita ad un’identità pop, in un momento in cui l’attitudine del primo punk non è sufficiente a rappresentare le distanze dalla società canonica. Serviva un’iconografia riconosciuta a livello mondiale per ottenere un’ emozione sociale. Così impiegano questo simbolo, la svastica. “Alle elementari hai un quaderno ad anelli e le prime cose che ci a pratiche sadomasochiste lo fece sentire a casa” 63 R. Perciballi, Come se nulla fosse, Castelvecchi, Roma, 2000, p.21: “Non riuscii a capire che cazzo voleva dire, mi venne da pensare a quando sei troppo fatto e gli occhi ti si spaccano di rosso, ma dopo poco tempo proprio quel tipo salì sul palchetto del “UONNA” con altri tre punk e iniziarono a suonare.[…] il cantante decise che era arrivata l’ora di soddisfare brutalmente la mia curiosità[…] lo vidi afferrare una bottiglia di birra e, dopo averla spaccata in terra, tracciare violentemente un indelebile ricordo nella mia mente: con il collo di vetro della bottiglia appena rotta si sfregiò in mezzo alla fronte, da occhio a occhio facendosi uscire copiosamente il sangue che gli scese sugli occhi mentre continuava ad urlare-cantare come un ossesso, mischiando quel sangue su tutti noi ormai in delirio”.

42


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

disegni sopra sono una svastica e un teschio con le ossa incrociate - dichiara John Hansen nel 1976 - incidi una svastica sul banco, non sai cos’è il fascismo, non c’entra nulla con l’antisemitismo. Ai ragazzini non interessano quelle cazzate. Quando vuoi esprimere tutta la tua cattiveria lo fai in quel modo”64. Il valore originale è narcotizzato e, comunque, non c’è nessuna intenzione apologica nei confronti del nazismo. Essa sottolinea la critica sociale e la voglia continua di scioccare le altre persone. La svastica, svuotata dalle sue connotazioni politiche ma ricca di attrazione, serve per trarre in inganno, creare una reazione come avviene a Philopat durante un concerto del suo gruppo a Segrate dove indossando una maglietta con maniche lunghissime, con stampati una svastica e un crocifisso, stimola la reazione del tecnico che la prende sul personale perché ebreo e gli boicotta il concerto. Le t-shirt diventano veicoli per sconvolgere. I capi stile sadomaso, sono tipici della cantante punk “Siouxsie”: “tutta in pelle caratterizzate da un trucco pesante con occhi e orecchie dipinti di nero, i seni coperti da trasparenti veline nere”65. Questo abbigliamento permette di dare scandalo in maniera più vistosa, toccando il tabù del sesso. Le gonne ad esempio sono cortissime e hanno una lampo sul davanti. La Westwood e MacLaren percepiscono il potenziale trasgressivo delle devianze sessuali “la moda diventa sempre più transessuale”, dice McLaren aggiungendo che avrebbe chiesto alla psichiatra R.D. Laing di disegnare abiti per il negozio. Questi abiti rappresentano una maschera sovversiva altamente visibile e scioccante. 64 J.Savage, Punk! I Sex Pistols e il Rock inglese in rivolta, cit. p. 66 65 M.Philopat, Costretti a sanguinare, cit. p. 16

43


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

Un’ulteriore appropriazione indebita è quella ai danni degli oggetti appartenenti al quotidiano, resi feticci dai punk per esaltare il trionfo dell’artificiale, per creare un disprezzo nei confronti del mondo naturale per lodare una realtà fuori del conformismo. La volontà di mettere in crisi la forma mentis borghese stimola una strategia di spiazzamento, influenzata dal dadaismo. Altri elementi della vita comune sono trafugati per essere rielaborati come accessori: catene, lucchetti e oggetti per cani. Oggetti privi di qualsiasi significato se non quello della tutela della proprietà privata. Sono oggetti alla mercé di tutti perché costano poco. Le cinte, i bracciali, le collane e i portachiavi si diffondono tra i punk grazie anche a Sid Vicious, bassista dei “Sex Pistols”, morto di overdose a soli 21 anni, che indossa la catena al collo come pegno d’amore per Nancy Spunger, in perfetta sintonia con il comportamento punk che rifiuta qualsiasi tipi di romanticismo.

44


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

45


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

46


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

47


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

48


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

49


Capitolo 1 -Il corpo e l’abito nella sottocultura punk

50


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

“La Democrazia parla di libertà Ma noi siamo oppressi in questa città Contro lo stato non è reato Contro lo stato è reazione” (Roberto Perciballi 1982)

51


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

52


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

Origini del punk in Italia Per comprendere in profondità la sottocultura punk italiana,nata nel 1977, bisogna esaminare la compagine sociale e il momento storico in cui questa si è sviluppata. Dal punto di vista politico se per un verso anticipano gli anni Ottanta per l’altro sono ancora delle forme influenzate dalle “rivoluzioni dietro l’angolo”, dalla speranza di costruire una società migliore che ha accompagnato il clima degli anni Sessanta. Si sviluppa da un lato una realtà intrisa di competitività, portata all’esasperazione da industriali senza scrupoli che il movimento punk pone tra la lista dei suoi “nemici”; dall’altro si radica un sintomo di ribellione per contrastare il fenomeno della disoccupazione che stava trasformando le città italiane. E’ in questi anni che la RAI, sul secondo canale, inizia a mandare in onda servizi riguardanti la sottocultura punk inglese portando all’attenzione dell’opinione pubblica un fenomeno intriso di ribellione individuale e di rivolta in strada. In televisione iniziano a filtrare le prime immagini “alternative” di un fenomeno che sta sconvolgendo il costume giovanile dei paesi anglosassoni. “Si chiama punk e fa ribrezzo. E’ l’inizio della fine, dice qualcuno. Ed i padroni della cultura giovanile si affrettano subito a decretare che i ragazzi italiani sono troppo intelligenti per farsi coinvolgere” 1. All’interno di trasmissioni come “Odeon - Tutto 1 Il servizio è tratto dal programma televisivo all’interno del Tg2, Odeon.Tutto quanto fa spettacolo. Puntata dal titolo “Punk nella jungla”, andato in onda il: 4.10.1977. Gli

53


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

quanto fa spettacolo” e “L’altra domenica”2 sul secondo canale RAI, rete che all’epoca rispetto al primo canale si distingueva per il carattere progressista del suo palinsesto, che l’italiano medio entra in contatto con il punk, acquisendo le prime informazioni su Johnny Rotten e Sid Vicious, esponenti del più incisivo gruppo punk londinese. Il punk, quindi, arriva in Italia già mediato, manipolato, da questi servizi televisivi che intendono trasmettere gli intenti e le idee di questa sottocultura che vuole sovvertire i valori centrali del mondo caratterizzati da: sobrietà, ambizione e conformismo per sostituirli con i loro opposti: edonismo, sfida dell’autorità, ricerca di cose eccitanti. I media attraverso l’impiego di determinate immagini fruiscono i termini delle “culture della resistenza” e manipolano le menti di chi vede la televisione e legge i giornali. Pertanto, i servizi di Odeon sul Tg2 intitolati “Punk nella giungla” cercano di minimizzare questa sottocultura presentandola come una nuova “moda” musicale e stilistica. In realtà essa rappresenta, all’interno della cultura egemonica, un “rumore”, un disordine semantico, reso udibile dalla creazione di una musica particolare. Essa riprende il reggae esasperandone il “dub” ovvero il ritmo, e l’abbigliamento che in questo caso diventa argomenti trattati nella puntata furono: musica punk rock inglese, e caratteristiche del movimento e della moda collegati; gruppo punk femminile e fenomeno occupazione case disabitate a Londra; gruppi punk suonano canzoni in repertorio tratti da videoclip e servizi filmati; musica punk in sottofondo; immagini di gruppi punk rock; locali e negozi punk. 2 Servizio in onda su Rai 2, nel programma L’altra domenica, condotto da Renzo Arbore. Le puntate che trattano il movimento punk londinese e americano sono: del 26.11.1978 e 5.8.1979. Gli argomenti delle puntate sono: commenti sulla vita di Jimy Hendrix; intervista agli Skiantos sulla loro attività artistica; canzone “Don’t come close” eseguita dai Ramones con videoclip in cui cantano e suonano in una cantina e “Light my fire” eseguita da Amy Stuart; con videoclip in cui canta e balla in uno studio di registrazione.

54


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

“una bandiera sottoculturale”3. Serve a minacciare la cultura dal sua interno, creando delle figure alienanti che celebrano in termini eroicomici la morte della comunità e il collasso delle forme di significato tradizionali. Questo rumore serve a sovvertire i linguaggi canonici, trasformare se stessi per esprimere dei contenuti proibiti della società. I punk creano la possibilità di una diversità attraverso la trasgressione dei codici della moda, la creazione di un proprio linguaggio e di un proprio stile. Un primo esempio di questo è il gruppo musicale “Le Dolls”, che costruiscono il loro corpo e la musica per emanare il rumore come lo “stridere del metrò”, all’interno della società americana. Per questo la sottocultura viene definita profana, “innaturale” e la musica esprime al meglio questo concetto. Infatti attraverso l’uso di un ritmo sfrenato i punk costituiscono un linguaggio e si presentano ai media come degenerati e come segni di una “depressione”. Questo ritmo è pertanto espressione di una aggressività, di una frustrazione, che si trasforma in “panico morale” sfidando in modo simbolico la “naturalità” degli stereotipi di classe e sesso, sovvertiti attraverso la sporcizia e la rozzezza insita nei loro comportamenti e nei loro abiti. I punk teatralizzano i loro corpi per denunciare il degrado del contesto sociale in cui vivono. Perciò studiare e comprendere i motivi e i significati delle ideologie portate avanti, vuol dire prendere in considerazione i metodi di trasformazione del corpo, di creazione di uno stile e il perché dell’utilizzo di una determinata musica. Tutto ciò deve essere collocato all’interno di un contesto sociale ben definito in quanto le varie “unità stilistiche adottate 3 Saggio K. Silverman “Frammenti di un discorso di moda”, in Mercanti di stile, a cura di P. Colaiacomo & V.Caratozzolo, Editori riuniti, Roma 2002, p. 45

55


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

dai punk” sono espressione di una frustrazione e della creazione di un contrasto nei confronti della società nella quale nascono .Per delinearne gli intenti bisogna prendere in considerazione quelli che Peul Piccone chiame “le realtà precategoriche” della società borghese denunciate da una rottura decisiva che opera lo stile punk sia con la cultura dei genitori che con la propria posizione all’interno di un’esperienza di vita. Questa rottura è espressa nelle pratiche significanti dello stile punk rappresentando , “ripresentando” l’esperienza della contraddizione sociale nella forma di giochi di parole visive attraverso l’utilizzo di determinati oggetti “sovversivi” come il bondage, le t-shirt strappate che servono a far fruire attraverso i media le loro ideologie. Attraverso i loro corpi, le loro scelte editoriali e musicali si rendono udibili e visibili i loro intenti. In Italia i primi “mover” della scena punk tentano fin da subito di organizzarsi a livello cittadino aprendo locali e negozi che diventano il punto di ritrovo per chi è interessato ad abbracciare questa cultura. Le scene più importanti che iniziano a delinearsi lungo tutta la penisola sono quella milanese, che fa capo al Centro giovanile Santa Marta, quella bolognese e quella romana che nascono dall’intento di contrastare la Borghesia, loro “nemico primario”, che vive un momento di ascesa all’interno di una più netta divisione delle classi sociali, che caratterizza il periodo più cupo della storia post bellica italiana riconosciuto con l’appellativo di “anni di piombo”. Il senso di emarginazione si diffonde tra le giovani generazioni, contribuendo al rifiuto della vita in un’epoca, a torto o a ragione, 56


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

considerata disumana in cui, secondo il “movimento” punk, non trovano spazio i valori della solidarietà e della ricerca di luoghi sociali autonomi. La scena nazionale politica è composta dai partiti dell’arco costituzionale, numerosissimi, cresciuti sulle tradizionali ideologie politiche quindi i partiti: Partito Liberale, Repubblicano, Socialista, Comunista e Democratico Cristiano. Quest’ultimo è il partito con il più largo consenso popolare, che ha la maggioranza in Parlamento ed anche la guida dei governi. L’acuirsi della crisi economica determina il riaccendersi del terrorismo e la grande avanzata del Partito Comunista nelle elezioni prima amministrative e poi politiche4. Sarà Enrico Berlinguer a mettere in atto la proposta di un compromesso storico: sodalizio tra il partito dei lavoratori (PCI) e il partito della Borghesia (DC). I problemi più complessi sorgono dall’evento cruciale del sequestro di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. La notizia del suo sequestro e del massacro della sua scorta viene diffusa il 16 marzo alla radio, alla televisione e dalle edizioni straordinarie di molti quotidiani. I giornalisti contribuiscono alla mobilitazione dei cittadini e all’alimentazione dello smarrimento e del panico nella popolazione.5 Il dilemma se trattare o no con terroristi delle Brigate Rosse, per tentare di salvare la vita di Moro, divide il Partito Socialista dagli altri partiti della maggioranza di unità nazionale e coinvolge anche i diversi strati della popolazione. I punk, influenzati dalle 4 P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 247 5 G. Beghelloni, “Il colpo di stato in diretta”, in Problemi dell’informazione, n.1, 1978, pp. 3-19

57


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

filosofie anarchiche e dalle frange minoritarie del movimento del ’77, che giudica il Partito Comunista e i Sindacati la nuova polizia, si associano da subito con le BR perché ritengono il gruppo terroristico l’unico viatico per contrastare una situazione fatiscente. La polemica è accesissima. Mentre a livello politico i toni sono alti di accuse reciproche, le frange contestatrici, tra cui i punk, prendono il sopravvento. La violenza dilaga nelle strade, la polizia avvia azioni di rappresaglia, gli studenti attivisti occupano le università. Insomma, l’Italia di questo periodo è pervasa dallo scontro ideologico tra l’azione e la reazione, con il movimento punk all’apice della sua fase interventista; basti pensare ai cortei di Bologna, nei quali l’Autonomia operaia, altro movimento estremista, è ad un passo dall’ufficializzare il suo passaggio alla lotta armata. L’identificazione dei punk con i movimenti terroristici fa prendere alla popolazione le distanze perché esaltano i canoni della violenza e della destabilizzazione politica. E’ di quegli anni la legge che vieta gli assembramenti di piazza6. Le leggi autorizzano la perquisizione personale, non solo nelle caserme, ma direttamente sul luogo di fermo, senza l’autorizzazione di un magistrato, nonostante la Costituzione (art.13, comma 2) non ammetta “alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale”. Le leggi speciali e di controllo poliziesco consentono le perquisizioni 6 Sentenza 15/1982 della Corte costituzionale, “Di fronte ad una situazione d’emergenza [...] Parlamento e Governo hanno non solo il diritto e potere, ma anche il preciso ed indeclinabile dovere di provvedere, adottando una apposita legislazione d’emergenza”. La legge n.497 del 14/10/1974 reintroduce l’interrogatorio del fermato da parte della polizia giudiziaria, abolito nel 1969 La legge n.152 del 22/5/1975 (“Legge Reale”) all’art.8 La “legge Reale” conteneva molti altre innovazioni liberticide.

58


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

di persone il cui “atteggiamento” o la cui presenza in un dato posto non apparissero “giustificabili”, anche se la Costituzione (art.16) prevede la libera circolazione dei cittadini all’interno del Paese. I punk, per il fatto di essere facilmente riconoscibili sia da un punto di vista estetico, dovuto a determinate scelte stilistiche considerate eccentriche e devianti dalla società che comportamentale, catalizzano l’attenzione delle forze di polizia. A questo clima di repressione i punk reagiscono violentemente nella convinzione di essere l’unica forma di attività politico-culturale. E’ all’interno di questa instabilità che il movimento punk cerca i suoi martiri, inabissandosi così in una lotta contro tutto e contro tutti, alimentando la miscela di violenza che si manifesta anche attraverso gli espropri proletari secondo la filosofia del “Do It Yourself (DIY)”. Ma come i partiti politici vedono il movimento punk? La Democrazia Cristiana, lo percepisce come qualcosa di eccessivo e fuori dalle righe. La Destra italiana, invece, inizialmente accoglie il movimento come una delle poche occasioni per rimpadronirsi della “piazza”, retaggio delle sinistre, per poi rendersi conto della sua ingestibilità. Il Partito Comunista si apre verso il movimento e la Fiat Mirafiori diventa il luogo simbolo della”lotta operaia” e luogo di riferimento anche per i punk. Di lì partono le rivendicazioni degli operai: dal salario garantito, alla maggiore considerazione dei lavoratori delle fabbriche. In Italia, più che in altri paesi, si assiste a un connubio tra il punk e le aree di movimento non convenzionali: anarchici, antimilitaristi, animalisti, antisessisti e vegetariani. I punk italiani rifiutano l’isolamento a loro imposto, esprimono una ribellione individuale 59


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

e, come il movimento del ’77, il diritto di saccheggiare le merci e di sprecarle in una logica di affronto al consumismo. Diventano i promotori di alcune iniziative, come la protesta contro l’installazione dei missili americani a Comiso, dove partecipano in centinaia provenienti da tutta Europa. In quella circostanza, chiamati a raduno attraverso la rivista italiana autogestita “Punkaminazione”, partecipano anche esponenti di spicco del gruppo musicale inglese “Crass”. L’odio e la rabbia, che cresce all’interno del periodo sono portati aventi tanto dai punk quanto dai terroristi. Il libro “Lumi di punk”7, di Marco Philopat, è uno spaccato di quel periodo, magistralmente raccontato attraverso trenta testimonianze di esponenti del movimento punk, dalle quali emerge la voglia di continuare a uscire per le strade, a urlare il proprio diritto a esprimersi. Sono indicativi gli slogan:“DARSI UNA MOSSA”, “NON SOGNARE, FALLO!”. Quest’ultimo è il motto di Benzo, cantante degli spezini “Fall out”8. Nella povertà di mezzi, il punk resiste e si radica soprattutto nell’esperienza dei centri sociali, delle occupazioni e delle autoproduzioni editoriali, le funzine,9 e musicali. 7 M. Philopat, Lumi di punk-la scena italiana raccontata dai protagonisti, Agenzia X, Milano, 2006. 8 FALL OUT: un gruppo composto da Benzo (voce), Marco (chitarra), Beppe (basso) e Giampus (batteria). Nasce nel 1979 a La Spezia e da subito si pone nel neonato panorama punk italiano come una delle realtà più incisive. Denuncia la brutalità della guerra, l’oscurantismo della religione. I suoi componenti sono i fautori dell’unione tra i Punk. Nel 1985 esce la demo “Zona d’insurrezione” e nel 1988 il primo Lp “Mondo criminale”. Nel 1992 esce “Xenodrome - Il circolo dell’odio”(Cobra Rec.). Nel settembre 2008 esce il primo disco live “Colpo su Colpo” completamente autoprodotto, registrato durante due concerti alla Skaletta Rock Club di La Spezia per festeggiare i 30 anni dei FALL OUT. 9 Fanzine: rivista dei sostenitori del movimento punk. V. Cap. 2

60


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

Le autoproduzioni rappresentano la costruzione di un’economia interna, un’economia alternativa a quello che era l’establishment tradizionale, che significa vendere i prodotti a un “prezzo politico”, fare servizi a un “prezzo politico”. ”Nel nostro piccolo, nella nostra scemenza infantile e adolescenziale, ci occupavamo di fare i dischi, le fanzine, i video, fare tutti questi materiali così scarsi dal punto di vista rivoluzionario [..] ci ponevamo il problema di un’economia che mettesse in contraddizione quella ufficiale, per far funzionare tutte le cose al nostro interno senza avere a che fare con quell’altro mondo” 10. Queste autoproduzioni sono le espressioni più dirette e vitali del punk, del suo modo di esistere, parlare, suonare e scrivere. Esse rappresentano strumenti concreti che servono al movimento per portare fuori dal Paese i loro intenti stilistici e politici, le inquietudini relative alla sessualità, le tensioni fra conformismo e devianza, fra la famiglia e la scuola fra il lavoro e il tempo libero. Come afferma Helèna Velena “Era politico stare insieme, fare le cose insieme, andare ai concerti insieme. Una cosa vibrazionale, colorata, sessuata, non Asessuata ma Sessuata, intensa”,cosicché quando il punk giunge al capolinea non è per le mille pulsioni centripete che animano il movimento del 1977, ma perché probabilmente ha ottenuto, lottando, quanto voleva. 11 10 M. Philopat, Lumi di punk, intervento di Helena Veleno ,cit 11 R. Pedrini, Ordigni. Storia del punk a Bologna, Roma, Castelvecchi, 1998

61


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

2.1 - Il 1977 italiano e il 1977 inglese Malcom McLaren e Vivienne Westwood sono due esponenti del punk inglese. Rivoluzionano il costume e la musica. Stampano slogan situazionisti12, su capi di abbigliamento, sfruttano idee di pensatori come Charles Fourier e di eloquenti esponenti britannici del pensiero anarchico come William Morris e Digger Gerard Winstanley e si fanno portavoce delle idee che esprime Guy Deboard nel suo libro “la società dello spettacolo”. Inoltre costituiscono una delle più grandi e meglio conosciute punk band: i “Sex Pistols”. Essi sembrano il tramite ideale per trasmettere concetti a quanti non ricevono il messaggio proveniente dalla sinistra”13. Le frasi di “Anarchy in the UK” sono potenti quanto basta per insinuare l’idea dell’anarchia come rimedio omeopatico in una società che si sta polarizzando. Anche in Inghilterra, come in Italia, le cifre della disoccupazione sono elevatissime. La recessione provoca una crisi economica che porta il paese ad un lento declino. Nonostante i trionfi socialisti del dopoguerra, il conflitto sembra aver preservato lo status quo. I film celebrano la resistenza e la vittoria dell’Inghilterra che 12 P. Colaiacomo e V. Caratozzolo, Mercanti di stile. Le letterature della moda dagli anni ’20 ad oggi, Editori Riuniti, Roma, 2002, p. 391, “Jamie Reid ora viveva con Sophie Richmond. Stavano cercando di far sollevare le casalinghe della zona di Croydon pubblicando una rivista situazionista e affiggendo manifesti situazionisti. Attaccavano nei supermercati degli adesivi nei quali si annunciava che quel giorno tutto era gratis. Oppure incollavano alle fermate degli autobus fogli dall’aria ufficiale si quali si leggeva: “spiacenti, il vostro autobus è in ritardo. Ma francamente non ce ne potrebbe fregare di meno”. Queste tattiche situazioniste avevano lo scopo di corrodere il senso della vita di tutti i giorni”. 13 Jon Savage, Punk. I Sex Pistols e il rock inglese in rivolta, Arcana editrici, Milano, 1994, traduzione italiana p. 198

62


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

permette alla popolazione di “fasciarsi gli occhi” davanti ad un necessario cambiamento economico. I punk creano uno stile ironico che contrasta l’arroganza sociale. Vanno contro tutto ciò che è superficiale e bello e tutto ciò che cerca di nascondere la condizione sociale del presente. I punk inglesi, come quelli italiani, si fanno portavoce di una crisi moderna che parla di disoccupazione, depressione e espansione dei media. Attraverso la nascita preponderante della televisione, i mutamenti dell’organizzazione scolastica e del lavoro, i cambiamenti relativi al rapporto lavorotempo libero, la comunità operaia si frammenta rendendo il paese terreno fertile per la costruzione di questa sottocultura. Il punk inglese assume un atteggiamento disfattista che affonda le sue radici nelle pessime condizioni di vita dei giovani che appartengono alla working class britannica. Diversamente il punk italiano è legato ad una condizione esistenziale giovanile in contrasto con la situazione socio-politica del paese. La scena punk inglese influenza le frange dei giovani rivoluzionari italiani soprattutto nello stile. Tutto viene trasformato in icone e per questo creano una forte simbologia, non troppo dissimile da quella nazista: catene, toppe con svastiche, cuoio, lamette, croci uncinate e così via. Secondo Cohen14 il punk elabora in termini eroicomici la morte della comunità e il collasso delle forme di significato tradizionali. Questo stile giovanile parte dall’Inghilterra e si diffonde anche in Italia attraverso forme di resistenza simbolica: la musica, l’abbigliamento, i metodi di editoria e le occupazioni di spazi per i giovani. Essere punk 14 Phil Cohen: vicino ai “Sex Pistols” un circospetto studente fallito di Cambridge, i cui scritti seminali sul potenziale rivoluzionario dei culti dei giovani sono filtrati nella corrente sociologica di moda della sottocultura.

63


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

significa porsi al di fuori della società! Secondo Helena Velena punk è un’attitudine, un approccio, un modo di essere, di vivere di rapportarsi non solo con la musica, ma con tutta la realtà. I “Sex Pistols”15 cantano il “NO FUTURE”. Si identificano quali unici alfieri di questo genere musicale esordiente. Il palcoscenico inglese è pronto per farsi portavoce di un dramma fatto di conflitto, colpa e castigo. Contro la Thatcher i punk iniziano a rappresentare il caos trasformando il loro atteggiamento in una rabbia estrema che per loro diventa pura energia. Ne scaturisce un processo di oblìo volontario, una negazione del presente, uno sguardo al passato perché non esiste futuro. I punk vogliono esprimersi in modo negativo, perché nell’aria inglese c’è un forte nichilismo16 15 L’inizio del gruppo dei “Sex Pistols”, originariamente composto dal cantante Johnny Rotten, dal chitarrista Steve Jones, dal batterista Paul Cook e dal bassista Glen Matlock, poi sostituito da Sid Vicious, risale al 1975, a Londra. Il nome deriva da quello di una banda di teppisti newyorkesi della metà degli anni Settanta che Mclaren, manager del gruppo, aveva sentito suonare mentre si occupava dei Dolls. Anche se la loro carriera durò solo tre anni, facendo scandalo con la canzone “God Save the Queen”, pubblicato appositamente durante il giubileo d’argento della Regina d’Inghilterra, è stato considerato un attacco alla monarchia e al nazionalismo inglesi. I “Sex Pistols” sono descritti dalla BBC come “la sola punk rock band inglese”. Il gruppo è spesso indicato come il fondatore del movimento punk britannico e il creatore del primo divario generazionale con il rock ‘n’ roll. Come si legge nel “Sex Pistols Story” di Fred e Judy Vermorel: “Questo è stato più di un gruppo pop. E’ stato un incubo della cultura inglese. Sono giunti al successo pur disprezzandolo. Non c’è mai stato niente di simile nel mondo della musica. Messi al bando dai media. Denunciati dall’alto dei pulpiti. Inseguiti per tutta Londra dai teppisti. Sono stati un complotto marxista, o la voce di una segreta, nuova maggioranza?”, p. 7. 16 Il Nichilismo: (volontà del nulla) è un orientamento filosofico che nega l’esistenza di valori e di realtà comunemente ammessi. La diffusione del termine risale alla fine del ‘700 (latino NIHIL=nulla) quando Jacobi caratterizzò come nichilista la filosofia trascendentale di Kant e soprattutto la ripresa fattane da Fitche. Secondo Jacobi il sistema della pura ragione “annichila ogni cosa che sussista fuori di sé”. Successivamente Schopenhauer riprende in chiave nichilista il problema della conoscibilità e dell’essenza del reale. La realtà fenomenica è l’apparenza nullificante e dolorosa della Volontà irrazionale e inconscia che origina il cosmo intero. L’uomo può liberarsi solo cessando di volere la vita e di volere stesso, per abbracciare il nulla.

64


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

un desiderio di morte vista la loro repulsione nei confronti della società. Il tentativo è quello di scardinare il conformismo culturale al quale ormai la società si inchina data la forza imperante dei media. Rappresentano quindi un rifiuto disperatamente ostinato del mondo, un ripudio assoluto, come afferma Charlotte Pressler:”Converrebbe ricordare che noi tutti siamo cresciuti con le esercitazioni della Difesa Civile e sognando la bomba di notte; da bambini ci era stata promessa la fine del mondo e non l’abbiamo avuta”.17 Sia il comportamento deviante che l’identificazione di un abbigliamento, scatenano all’interno di una società un panico morale.

2.2 – Eventi punk in Italia In Italia, Maurizio Arceri, già leader dei New Dada, con la moglie Cristina, fa scandalo creando i “Krisma”. Portano la prima ondata del punk in Italia e diventano bersaglio degli autonomi di sinistra solo perché vestono di nero. Il punk non è ancora esploso come fenomeno musicale legato all’anarchia e quindi non è compreso da tutti,:“Erano anni difficili di continua trasformazione, allora eravamo i primi a fare determinate cose e quindi sapevamo di avere molti contro”18. spiega Maurizio Arceri. A Reggiolo durante un concerto denominato “finger job” (taglio del dito, ndr). di fronte a cinquemila persone e ad un cordone di 17 J. Savage, “Punk! I Sex Pistols e il rock inglese in rivolta”, cit p.130 18 Dal sito internet www3.varesenews.it

65


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

carabinieri a difesa del palco, in un momento di follia, Arceri si taglia un dito che dopo il concerto si fa ricucire in ospedale. Questo estremismo comporta la cancellazione di quaranta date della tournée e i Krisma lasciano l’Italia per Londra dove danno vita al movimento della musica elettronica. Un evento storico è il Festival del Parco Lambro del 26 Giugno 1976, raccontato da un interminabile film girato da alcune troupe, coordinate da Alberto Grifi19 e dai servizi di Francesco Bortolini e Roberto Cacciaguerra che fanno parte di una rubrica “Rewind” in onda su Rai Educational. Gli organizzatori e promotori sono “Re Nudo”, la rivista dell’Autonomia Operaia, Lotta Continua, “Collettivo di Rosso”, “Umanità Nuova”, “Rivista Anarchica”, “Falce e Martello” e Partito Radicale. I partecipanti sono milioni di giovani, collettivi di femministe e omosessuali, giovani di ogni ideologia provenienti 19 Alberto Grifi: (Roma, 29 maggio 1938 – Roma, 22 aprile 2007) è stato regista, pittore e autore di dispositivi video-cinematografici italiano. E’ considerato tra i massimi esponenti del cinema sperimentale. Esordisce filmando l’opera teatrale Cristo ‘63 di Carmelo Bene che però viene censurata e la registrazione, sequestrata dalla polizia, è da considerarsi perduta. Tra le sue opere principali si ricordano “La Verifica incerta” (1964, con Gianfranco Baruchello), film di montaggio che scompone celebri film hollywoodiani suscitando l’entusiasmo di Man Ray, John Cage e Max Ernst; “In viaggio con Patrizia” (1965), viaggio nella poesia fonetica di Patrizia Vicinelli con musiche di Paolo Fresu; “No stop grammatica” (1967), happening di 12 ore con una colonna sonora di pezzi di pellicola magnetica distribuiti tra la folla e poi rimontati; “Non soffiare nel narghilè” (1970), girato nella comune hippy di Terrasini; “Anna” (1972-1973, co-regia di Massimo Sarchielli), forse la più celebre delle sue opere, realizzata con il primo videoregistratore portatile open reel da un quarto di pollice arrivato in Italia, presentata nel 1975 al Festival di Berlino, alla Biennale di Venezia e al Festival di Cannes; “Michele alla ricerca della felicità” (1978), film sulla condizione carceraria commissionato e poi censurato dalla Rai. Grifi ha anche ideato e realizzato il macchinario lavanastri per la rigenerazione dello stato fisico dell’emulsione dei nastri analogici e la restituzione su supporto digitale, una struttura specificatamente progettata per restaurare videonastri incisi negli anni ‘60-’70. La macchina, unica nel suo genere, è ospitata dal parco scientifico di Tortona.

66


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

da tutta Italia. L’evento ha due spazi distinti: un palco grande per la rappresentazione di concerti live con una posizione centrale nel parco e uno più piccolo rivendicato dagli stessi partecipanti per autogestire uno spazio sul quale fare dibattiti su temi più disparati dalla condizione della donna, all’emarginazione sessuale, alla droga e via dicendo. L’onda del Festival, secondo Patrizio Farinelli, è quella dei grandi raduni giovanili americani come Woodstock: “La differenza di quello che succedeva in Italia e quello che accadeva in America è la forte politicizzazione di quello che poi verrà chiamato il proletariato giovanile italiano”20. Il programma del Festival promette a questi giovani quattro giorni di animazione, balli, mostre di fumetti, yoga, massaggi. Tutti questi accadimenti si accompagnano a momenti di disagio e di guerriglia. Il parco Lambro, che si propone di essere un paradiso per i giorni stabiliti, diventa luogo di rabbia e tensione di tanti giovani provenienti dai quartieri, dalle fabbriche, dalle città e dai piccoli paesi di provincia. ”Sono venuto a questo Festival perché pensavo di trovare gente che mirava a qualcosa a livello di compagni, di Comunismo, di rapporti fra i compagni. Questo non è avvenuto perché la gente si è divisa in due gruppi, da un lato i compagni, dall’altro gli hippie”. Vogliono attraverso l’evento portare “l’attacco al cuore dello stato”21. Si nota, dalle immagini, che nonostante il look e l’abbigliamento siano diversi, gli sproloqui e le argomentazioni dei partecipanti al 20 Patrizio Farinelli, www.youtube.it Intervento video sul Parco Lambro 21 RAI EDU2, www.youtube/parcolambro.it, video sul Festival del parco Lambro

67


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

Festival si avvicinano sorprendentemente a quelle dei punk: rifiuto del lavoro, centralità del soggetto desiderante, crisi della militanza e della forma partito. Soprattutto esprimono preoccupazione per un futuro che senz’altro sarebbe stato radicalmente diverso, non solo da quello dei padri, ma anche da quello dei loro fratelli maggiori. Secondo Villetti questi giovani partecipanti rappresentano la “punta di un iceberg” alla cui base c’è un disagio, un senso di inquietudine e di scontentezza. Il Festival manifesta una rottura che è già avvenuta e che si sta radicando, una crisi che colpisce i giovani nella loro collocazione sociale. C’è stato - afferma D’Alema - un rifiuto di valori che sembravano acquisiti, consolidati: “Si manifesta la ricerca di qualcosa di nuovo che non è soltanto nella politica ma anche nel modo in cui si vive, nella ricerca della felicità di nuove forme di vita collettiva”22.

Il Parco Lambro offre lo spettacolo di questa collettività in crisi che attraverso il sesso, la droga e la violenza cerca di ricompattarsi, per non lasciare i singoli da soli a combattere il sistema. Molti di questi movimenti si accontentano non di distruggere, ma di disorientare l’apparato statale. Secondo Roland Barthes le sottoculture, se contrapposte alle culture dei genitori considerate egemoniche23, possono essere più o 22 Villetti, Campagnano D’Alema su www.youtube.it/parcolambro, video del dibattito sul Parco Lambro 23 D. Hebdige, Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale, Costa&Nolan, Londra, 1979. Per Antonio Gramsci “le idee della classe dominante, sono in ogni epoca le idee dominanti. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone perciò dei mezzi della produzione intellettuale[…]le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono l’espressione dei rapporti che fanno di una classe, la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio”. p. 19

68


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

meno conservatrici o progressiste. Nella sottocultura punk ci sono dei tentativi simbolici di “recuperare alcuni elementi di coesione sociale che erano andati distrutti nella cultura dei genitori”24 e

la voglia di creare, con questi tentativi simbolici, l’espressione di un’identità di gruppo strutturata e circoscritta, resa visibile dalle nudità ostentate dai partecipanti al Festival del Parco Lambro. I corpi nudi creano una “significanza” perché da un lato vogliono impressionare la logica convenzionale e dall’altro rifiutare i condizionamenti sociali che l’abbigliarsi porta in sé.25 Le vicende del Parco Lambro destano l’interesse dei media nazionali, che guardano a questo fenomeno con molta curiosità. Le immagini che cominciano a girare via etere sono respinte dall’opinione pubblica di massa, ma accettate e anzi prese come esempio dalla nascente sottocultura punk italiana. Dal Parco Lambro i giovani partecipanti comprendono l’importanza della piazza e della strada quali luoghi deputati alla manifestazione del disagio. Infatti, una prova schiacciante di come fosse grande la voglia di stare insieme, ascoltare, discutere, confrontarsi e divertirsi è Bologna Rock, grande serata organizzata al Palasport il 2 aprile 1979. Sul palco diverse band della città suonano davanti a ben seimila persone arrivate grazie ad un tam tam pubblicitario che percorre

24 D. Hebdige, Sottocultura, il fascino di uno stile innaturale, cit. 25 D. Hebdige, Sottocultura, il fascino di uno stile innaturale, cit. cap. 8, p. 127 Utilizzando la città e la vita quotidiana come laboratorio e osservando le dinamiche attraverso la prospettiva fornita dal metodo dell’osservazione partecipante, a cui spesso la sociologia ed antropologia fanno ricorso, Hebdige ci mostra sempre più chiaramente come individui e gruppi sociali siano la risultante dell’ambiente naturale e sociale di appartenenza. Al fine di costruire una propria identità e raggiungere una relativa autonomia, le sottoculture generano ed ibridano stili di cultura e immagini disponibili. Cultura contro cultura, piuttosto che cultura nella cultura.

69


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

la penisola coinvolgendo ragazzi e addetti ai lavori che guardano a Bologna come esempio. Ma questo evento non viene accettato dalle frange più estremiste del movimento che descrivono il Comune emiliano come una “grossa macchina di integrazione giovanile”. I punk in quella occasione rivendicano la paternità di certa musica che deve essere fatta e promossa dal movimento punk. L’Amministrazione cerca invano di ricucire quello strappo avvenuto con l’uccisione dell’anarchico Francesco Lo Russo autorizzando a Piazza Maggiore il concerto del gruppo di punta della ribellione giovanile di quegli anni: i “Clash”. Il concerto è gratis per tutti e questo è visto come uno smacco, si sentono defraudati di quello che è il loro tessuto, la loro musica e i loro valori che con tanta fatica hanno messo insieme. Le contestazioni dei punk sono rivolte all’Amministrazione comunale di cui contrastano l’istituzionalizzazione e il tentativo di aprire un dialogo con la parte più giovane della popolazione punk che non vuole però essere addomesticata al potere. I media in queste occasioni svolgono un ruolo centrale, organizzano e interpretano un’esperienza rendendola accettabile agli occhi dello spettatore medio. Tutto quello che si trova codificato nella sottocultura viene manipolato da questi media che veicolano la loro interpretazione del messaggio punk attraverso delle immagini selezionate per banalizzarlo. Infatti come afferma Stuart Hall l’importanza mediatica ha un significato centrale all’interno di queste sottoculture. Attraverso la fruizione di eventi sottoculturali, ma indetti da enti pubblici, come nel caso del concerto di Bologna, i media attivano un processo di recupero reintegrando la sottocultura all’interno di quella dominante. 70


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

In Italia assistiamo ad una differenza di messa a punto della sottocultura punk in base alle città in cui questa si è sviluppata. Il desiderio comune è quello di allontanarsi sia dalla musica che la precede, sia da una cultura di massa per creare una sua controcultura alternativa, politicamente basata sul concetto di individualità e di anticonformismo, distante dalle spinte reazionarie come dalle influenze della Sinistra. Stagione ricchissima, il post-punk accoglie in sé studenti della scuola d’arte e autodidatti, fondando la sua forza innovatrice proprio sugli stimoli contrapposti che da essi provenivano. Il punk si sviluppa diversamente in ogni città perché risente delle caratteristiche urbane, grandi capoluoghi rispetto ai piccoli centri, del diverso style of live. Queste differenze sono contenute nei libri scritti dagli esponenti di questa sottocultura: Roberto Perciballi per Roma, Marco Philopat per Milano, Roberto Pedrini e testimonianze di Helèna Velena per Bologna, ma esprimono anche delle comunanze nel descrivere il disagio giovanile derivato dalla difficile scena sia economica che politica descritta in precedenza. Mettono in pratica la filosofia di questa sottocultura, in vari modi. Ad un primo esame potrebbero sembrare dissocianti, ma dopo un’analisi più attenta, ci si rende conto come a differenziare una scena da un’altra siano solo i modi e gli atteggiamenti di messa in pratica di quella che viene definita la filosofia del “Do It Yourself”.

2.3 - Filosofia del “Do It Yourself” In origine abbreviato D.I.Y., significa do it yourself frase, o per 71


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

meglio dire slogan, inglese che si potrebbe in primo luogo tradurre rozzamente come “fallo da te”. In realtà in Italia si usano due termini che rendono molto più efficacemente l’idea di quello che questo slogan vuole esprimere: “autoproduzione” e, per estensione, “autogestione”. Il gruppo punk inglese Crass rappresenta il precedente storico più significativo per il movimento DIY. Il suo particolare modo di agire e autogestire le proprie espressioni culturali e musicali getta le basi e l’esempio per la creazione e la strutturazione di quella che col tempo si autodefinirà “cultura DIY”. Questo gruppo, anarchico e pacifista, dedito ad un’ampia propaganda politico-sociale, si distingue per questo dall’attitudine marcatamente nichilista, violenta e superficiale dei gruppi punk di quel periodo. Inoltre l’anarchia cui fanno riferimento non è quella dei “Sex Pistols”, ma si presenta come una visione del mondo e uno stile di vita scaturiti da una miscela d’idealismo hippy, resistenza, energia punk e faccia tosta con l’aggiunta di alcune strategie culturali ispirate ai situazionisti. Attratti in principio dai gruppi e dal movimento punk ben presto i “Crass” si rendono conto di quanto le loro idee e il loro modo di agire siano così distanti dalle loro e come il punk fosse chiaramente una semplice moda passeggera: “Decidemmo di vestirci di nero per protestare contro il pavoneggiarsi narcisistico della moda punk, iniziammo ad utilizzare video e filmati durante i nostri spettacoli, ci dedicammo alla stampa di volantini per spiegare le nostre posizioni e pubblicammo un giornale “International anthem”. E per smentire le voci messe in giro dalla stampa, secondo cui non eravamo che degli estremisti di destra e/o di sinistra, decidemmo 72


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

di attaccare dietro il palco ai nostri concerti, una bandiera col simbolo dell’anarchia. La stessa vita in una comune rappresenta un esperimento utopico che coinvolgeva l’esperienza nella sua globalità compreso lo stile di vita e il vivere all’interno di ciò che il teorico anarchico Murray Bookchin definisce un “gruppo di affinità”. Ma che soprattutto rappresentava al meglio il tentativo concreto di “colmare il divario fra teoria e prassi, un risultato raramente conseguito nella storia del pensiero e dei movimenti anarchici”26. L’anarco-pacifismo proposto dai “Crass” è rivolto ad una ricerca concreta di autonomia e agisce sulla propria vita reale (vivere in una comune, le occupazioni, le autoproduzioni e via dicendo) senza nemmeno fare riferimento alla tradizione storica anarchica, anzi ignorandola: “Nonostante il casino, ci si divertiva enormemente. Ispirati profondamente dal concetto di azione diretta e nonviolenta, utilizzarono questo modo di agire per risolvere gran parte dei loro problemi nonché per organizzare festival, manifestazioni e sabotaggi”. Scopo dei “Crass” è costruire una “estetica della rabbia” anziché “(…) adottare la strategia degli attivisti anarchici inglesi della generazione precedente, quelli delle Angry Brigade, con le loro cellule terroristiche, le bombe e le rivendicazioni”. Centrale per il movimento DIY è l’opposizione ad ogni forma di discriminazione. Gli anarchici credono nel concetto di uguaglianza fra tutti gli individui indifferentemente dalla propria etnia, genere o orientamenti sessuali. Tale presupposto viene ritenuto fondamentale per creare una società realmente libera dove tutti 26 M.Philopat, Costretti a Sanguinare, cit.

73


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

possano collaborare nel fine comune di una esistenza migliore. “L’anarchismo è la filosofia della libertà personale, responsabilità personale e mutuo rispetto tra tutte le persone. (…) crediamo in una società dove la libertà di un individuo sia limitata solo dalla libertà di qualcun altro. (Nella società odierna…) nonostante nasciamo liberi, siamo tutti schiavi.”27 La forte rilevanza che viene data al concetto di libertà porta alla critica di qualsiasi forma statale compresa quella democratica Intanto in Europa e negli Stati Uniti cominciano a diffondersi le idee sul DIY e proprio in Italia si trova una scena estremamente politicizzata ispirata all’asse Crass – Discharge e molto legata ai posti occupati: gli squats. L’occupazione risponde spesso a condizioni socio-economiche critiche, dove l’impossibilità di affrontare un affitto oppure estrema povertà spingono determinati individui ad occupare abusivamente uno stabile. “L’occupazione è una immediata e pratica soluzione ad un immediato e concreto problema: hai bisogno di un posto dove stare e non ne hai uno. Dopo averne individuato uno abbandonato, averne forzato la serratura, esserci entrati e averlo reso relativamente abitabile, lo stabile risolve il problema. (…) occupare, anziché pagare un affitto, permette di destinare i soldi che ti rimangono per cibo e vestiario o, se ne hai abbastanza, per “beni di lusso”.28 L’occupazione non è chiaramente pratica esclusiva del movimento DIY, ma ne rappresenta un aspetto di fondamentale importanza. Le occupazioni infatti, oltre che da impellenti necessità economico– 27 Autore anonimo, Il movimento DIY culture di resistenza e azione diretta, www.thrash. splinder.com, ricerca del 2001-2002 28 Ibidem

74


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

sociali, sono spesso frutto di una ferma volontà di opposizione politico–sociale che persegue un preciso obiettivo. “La costruzione di momenti di socializzazione, di crescita collettiva, di espressione ad ogni livello è il nostro percorso di autogestione che ci dà gli strumenti e gli spazi per essere realmente, giorno per giorno, in opposizione al sistema e al di fuori delle dinamiche della cultura dominante. Questo è un percorso che è potenzialmente di tutti; invitiamo quindi tutti ad esserci realmente, lealmente e soprattutto nel rispetto degli altri, o altrimenti a starne fuori…” Oltre a necessità e desideri particolari, gli squatters (“occupanti abusivi”) sottolineano come l’occupazione sia in realtà un modo per riappropriarsi di risorse, numerose abitazioni ed edifici industriali, abbandonate a se stesse e spesso in avanzato stato di degrado. L’Italia svilupperà un gran numero di situazioni antagoniste ed un particolare suono: l’hardcore/punk italiano, spesso cantato in lingua madre, che rimarrà leggendario sino ai giorni nostri. Sono infatti moltissime le fanzines di tutto il mondo che usano l’hc italiano (HC è una comunissima abbreviazione del termine hardcore) come definizione di genere, oltre a dedicarvi ancora articoli (il più recente è apparso su “Maximum Rocknroll”, n. 215, Aprile 2001, USA). L’hc italiano crea una rete totalmente autogestita di autoproduzioni, legata ad alcune occupazioni promosse proprio dai collettivi punk in cerca di posti dove suonare e dove poter organizzare altre attività socio-politiche. “(…) riteniamo indispensabile cantare in italiano e condurre attività parallele alla sola attività musicale (volantini, militanza antimilitarista ecc.). sarebbe inutile e senza senso lanciare un messaggio che non sia immediatamente comprensibile 75


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

da chi ascolta e partecipa”. L’Italia punk/alternativa è costituita da una serie di piccoli raggruppamenti locali (una serie di “città stato” nella definizione di un anarchico inglese), generalmente cementati da simili gusti musicali, di linguaggio e abbigliamento.” Tali “città stato” si sono particolarmente concentrati nell’Italia centro settentrionale ed in particolare nelle città di Milano (luogo principe è il Virus), Bologna (attiva con l’etichetta Attack Punk) e Roma. Malgrado queste concentrazioni “(…)dovute principalmente al fatto che in queste città avevano dei posti, occupati o meno, dove poter tener concerti e quindi aggregare persone (…) i vari collettivi seppero collaborare fra loro organizzando iniziative comuni come ad esempio “Pankaminazione”, una pubblicazione a diffusione nazionale volta a cercare di informare la scena sulle autoproduzioni e le attività dei vari collettivi italiani. Anche politicamente la scena italiana rompe con il passato: “(…) le sovrapposizioni e le convergenze tra punks e gli anarchici preesistenti (… i tradizionalisti, così vennero etichettati!) furono rare e sporadiche” tanto da spingere Sergio Tosato, cantante del gruppo torinese “Contrazione”, ad affermazioni quali “la nostra e la vostra anarchia forse non s’incontreranno mai” durante il Meeting Internazionale Anarchico di Venezia del settembre 1984. Ruolo chiave per la cultura del DIY è l’autoproduzione di tutti i propri supporti culturali e informativi che sono principalmente dischi, libri e fanzines. L’autoproduzione è un concetto che è stato introdotto nei primissimi anni Ottanta da uno storico gruppo musicale anarchico e pacifista: i “Crass”. Provenienti da 76


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

esperienze di stampo post hippie (alcuni membri del loro collettivo partecipano all’organizzazione dei primi festival di Stonehenge), i “Crass” hanno un effetto dirompente sulla scena punk di quel periodo, tanto che tuttora vengono ritenuti il più importante gruppo DIY punk mai esistito. Essi hanno il merito di introdurre la pratica dell’autoproduzione in contrapposizione all’industria discografica che, allora come oggi, cerca di influenzare a scopo commerciale la musica e le idee degli artisti sotto contratto. Tema caro a Derek Jerman che in “Jubilee” fa presente tale situazione in cui le major29 cercano di appropriarsi di questo nuovo stile giovanile. I “Crass” fondano una propria etichetta musicale autogestita, la Crass Records, e cominciano a diffondere i loro prodotti culturali (oltre a dischi pubblicano anche libri) a prezzi molto vicini alle spese di produzione. Ciò permette la diffusione di un altro concetto molto importante nel DIY: il No Profit. Tutti i materiali culturali autoprodotti vengono venduti a prezzi estremamente bassi, che garantiscono comunque un piccolo profitto che viene reinvestito nella propria attività. Questo è il modo più efficace per mantenere la propria indipendenza dalle pressioni che le case discografiche fanno sugli artisti al fine di commercializzare la propria musica per poter avere un prodotto più vendibile. Principalmente la vera differenza si gioca proprio qui: per una grossa casa discografica il disco è un “prodotto”, una merce su cui investire. Per l’artista è invece un mezzo per comunicare agli altri il frutto della propria creatività che, in quanto manifestazione di libera espressione, non accetta di essere manipolata. Ma oltre che artistico, lo sfruttamento dell’artista 29 Etichetta Discografica

77


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

da parte della major avviene anche in campo economico. Il desiderio di indipendenza dal mercato discografico non si ferma alla semplice produzione dei propri materiali culturali. Dagli anni ‘80 in poi il DIY è strutturato in una rete sempre più fitta di piccole e grandi distribuzioni di materiale autoprodotto che hanno il merito di diffondere localmente materiali altrimenti introvabili. Anche i “Crass” all’inizio, pur autoproducendosi, per la diffusione si appoggiano alla rete di negozi specializzati e non. Per questo sono costretti a mettere un prezzo di copertina per fare fronte alle spese vive. Da questa esigenza nasce successivamente l’abitudine dei collettivi di prezzare, anche se in maniera contenuta, le pubblicazioni sotto forma di sostegno alla causa. Le piccole distribuzioni generalmente iniziano con un’autoproduzione o una coproduzione che consiste nello sforzo congiunto di più piccole etichette che partecipano alla produzione dello stesso disco, spartendosi alla fine le copie prodotte (in media un disco autoprodotto viene stampato in mille copie, a meno che non si tratti di un gruppo piuttosto noto). Una volta ottenute le proprie copie, l’autoproduttore prende contatti con altre etichette DIY sparse nel mondo. Propone uno scambio e, se viene accettato, invia per posta le sue copie e attende in cambio le copie dell’altra etichetta. I contatti si possono reperire nelle fanzines leggendo annunci, recensioni o interviste. Oppure visitando qualche sito internet o passando in rassegna i flyers (volantini) che in genere accompagnano le lettere o i pacchetti postali che si ricevono. Una volta ottenuta una certa quantità di dischi differenti, il piccolo distributore può improvvisare banchetti ai concerti, creare cataloghi 78


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

e via dicendo. I prezzi per tutte le distribuzioni/etichette si aggirano da anni attorno ad un certo standard tanto che nell’ultimo periodo molti gruppi non ritengono più necessario mettere il prezzo imposto, dato che è lo stesso circuito DIY a garantire prezzi bassi e accessibili. In questo contesto si inserisce anche la critica al copyright e ai diritti d’autore. Tesi base del DIY è che la cultura, l’arte e l’informazione dovrebbero essere libere da vincoli e da interessi commerciali. Gli “eventi” inerenti alla cultura del DIY ruotano attorno a spazi “liberati” dove non trovano posto promoter, organismi governativi, poliziotti e qualsiasi altra forma di controllo sulle proprie attività. La cultura del DIY è strettamente legata a tali luoghi dove vengono organizzate le proprie attività, siano esse un concerto oppure un dibattito politico sociale. Tali spazi “liberati” si dividono in due grandi tipologie: permanenti e temporanei. Gli spazi liberati permanenti (Permanent Autonomous Zone) sono essenzialmente le case occupate, gli squats. Spesso usate come vere e proprie abitazioni dal collettivo che le ha occupate, esse rappresentano il teatro principale per gli eventi DIY in quanto garantiscono la condivisione della stessa visione politica, prezzo politico all’ingresso (quando c’è), ospitalità e via dicendo. Tutti si danno da fare come possono, non esistono rock star o figure del genere (gruppi o atteggiamenti del genere verrebbero immediatamente boicottati ed esclusi). “Un concerto DIY è un’esperienza molto diversa da quella alla quale lo star system ci ha abituato. In un concerto DIY non c’è divisione fra pubblico e gruppo, spesso anche il palco viene eliminato (…) ti può capitare di stare a parlare per un po’ con qualcuno che di lì a 79


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

poco sale sul palco a suonare”. L’organizzazione di concerti o feste è sempre fatta seguendo uno spirito amichevole e informale appoggiandosi alla fitta rete di contatti che anima il sottobosco underground DIY. Quando il concerto si svolge in uno squat c’è la garanzia che la stanza è data ad un prezzo molto basso, sufficiente anche per coprire le spese del vitto. Grazie al clima che si instaura il concerto smette di essere uno spettacolo fine a se stesso fruito in mezzo ad una massa di persone indifferenti le une alle altre per diventare un momento di intensa socialità e comunicazione. In questo contesto di rivendicazione della propria autonomia sia attraverso l’occupazione di aree cadute in disuso e la conseguente autogestione, sia attraverso l’autoproduzione e distribuzione delle proprie forme d’espressione, si inserisce una forte politicizzazione di stampo anarchico ed ecologista. I concetti ispiratori dalla cultura del DIY: La lotta al sessismo viene portata avanti sia cercando di contrastare ignoranza e pregiudizi sia come profonda critica alla società patriarcale, causa essa stessa di violenze e discriminazioni e l’opposizione al razzismo. La politicizzazione del movimento DIY punk è divenuta negli anni sempre più radicale. Elaborando e dibattendo nuove idee, nel desiderio di una maggiore coerenza, moltissimi punk si avvicinano a pratiche di azione diretta formando collettivi, prendendo parte a manifestazioni e sabotaggi e occupando stabili. La radicalizzazione del pensiero e delle azioni del DIY punk anarchico, porta molti attivisti da una parte a dissociarsi da quelle frange ritenute non politicizzate e, dall’altra, ad avvicinarsi ai quei movimenti ritenuti 80


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

più coerenti e realmente controculturali. La cultura DIY descrive spesso il mondo odierno come falso e corrotto dove l’interesse personale, economico e di potere, prevale su ogni altra cosa ed essere vivente, modellandoli secondo i suoi canoni. La critica ai mass media completa questa visione in quanto considerati al servizio dei potenti. Il sistema viene quindi visto come un qualcosa da combattere “ad ogni costo” e la verità risiede nella visione unanime del movimento. Per gli attivisti DIY ogni azione è possibile a condizione che questa non arrechi danno fisico ad altre persone o ne danneggi la libertà individuale.

2.4 - Il punk a Roma Nella Capitale troviamo delle fasce estremiste di reazione a quella che viene definita il “contrattacco all’apatia”. Roberto Perciballi, nel suo romanzo “ Come se nulla fosse”30 ritiene che i ragazzi che abbracciano il punk appartengono alla classe sociale definita “Proletariato giovanile”. Non sono “coatti”31, non sono studenti o lavoratori omologati, non sono militanti rivoluzionari, rappresentano il sopraggiungere anche in Italia di un altro Settantasette meno politicizzato e più “articizzato”32 per interpretare 30 R. Perciballi, Come se nulla fosse. Storie di punk a Roma (1980-2000), Castelvecchi, Roma, 2000 31 Nel dialetto romano sta a significare un ragazzo di bassa estrazione sociale, che aggredisce senza un motivo preciso. Ci si riferisce ad individuo aggressivo, dall’abbigliamento pacchiano e dalla parlata volgare. Negli anni novanta la figura del coatto, col progressivo imborghesirsi dei ceti impiegatizi romani, è diventata molto simile a quella del paninaro milanese, tanto per l’abbigliamento ed i modi di fare violenti, quanto per i luoghi frequentati, discoteche, palestre, bar, centri estetici, sale giochi. 32 R. Perciballi, “Come se nulla fosse” cit.

81


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

il “NO-FUTURO”. La condizione di questi ragazzi è quella di giovane proletario-non periferico, ma che vive in un quartiere centrale “blindato” e che quindi funziona quasi da periferia. Perciballi descrive strade del centro storico di Roma: via Venezia, che si affaccia su Via Nazionale, tra via Agostino Depretis e via Genova, dove nel palazzo del Viminale, c’è la sede del Ministero dell’Interno, e a poche centinaia di metri quella della Questura Centrale e della Banca d’Italia. Un luogo simbolo del potere politico ed economico che “era in mano alle guardie”. I ragazzi “pischelli”, residenti in quell’area, che frequentano i Licei e gli Istituti presenti, e “La Sapienza” poco lontana, per reazione allo status quo si organizzano nel Collettivo “Zona Centro” da dove pianificano tutte le occupazioni, autogestioni, manifestazioni di piazza dell’intera città. Non è un caso quindi che prenda piede anche il movimento punk nel Centro, per l’esigenza di riappropriazione degli spazi fisici e di quelli mentali, oltre alle motivazioni economiche scaturite dall’esigenza di “crescere” rispetto ai genitori. Questa sensazione che, come dice Perciballi, “è quasi identificabile, data la giovane età”, li rende furenti contro la società in cui vivono. Sono il segnale tangibile di un’insoddisfazione ambientale. I primi punk presenti a Roma si riuniscono alla “ Birreria Peroni”, o in piazza Santi Apostoli davanti al “Bibo bar”, alla birreria di Raffaella in Via Palermo o al Bar “Mokaino” in via Venezia. Tutti loro incarnano la cultura anglosassone attraverso gli ascolti di quelli che sono definiti i pionieri come i “Clash” e i “Sex Pistols”, considerati gli artefici di un vento nuovo. Infatti, per tutti quelli 82


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

che vengono definiti “punk italiani”, Londra rappresenta una tappa obbligatoria. Le informazioni che circolano sulla capitale inglese sono numerose e tutte positive: è facile trovare lavoro, arrangiarsi a dormire negli appartamenti occupati, mangiare con pochi penny, vivere a contatto con esponenti punk di tutto il mondo, in una città cosmopolita per eccellenza. I viaggi a Londra hanno il duplice significato di evasione e di assimilazione dei modelli da esportare poi nei luoghi di provenienza per denunciare e contrastare la società. Ormai l’insoddisfazione ambientale è divenuta lacerazione interiore he sfocia nell’aggressività33 su se stessi e verso l’esterno. 33 L’aggressività è definita una disposizione intenzionale, consapevole o inconsapevole, a un comportamento lesivo sotto il profilo fisico o psicologico, diretto a persone, animali o cose. Il termine ha trovato diffusione nel ‘900 e se ne contano ben più di 250 definizioni. Le correnti di pensiero risalgono fino al 1930 con il sociologo Kurl Lewin non ha iniziato i primi studi sul comportamento aggressivo negli esseri umani. Nella tradizione di psicologia sperimentale ci si è principalmente concentrati sul modello di comportamento mentale secondo lo schema Stimolo-Risposta. A questo scopo i primi esperimenti sono stati effettuati su animali, studiando le reazioni e le risposte aggressive o meno agli stimoli alimentari, mentre John Dollar, dello stesso periodo, invece si è concentrato sul rapporto frustrazione-aggressività. Altri autori invece appartengono alla tradizione clinico-dinamica: debitori della psicoanalisi, essi si sono concentrati sulla ricerca di pensieri, fantasie, intenzioni del soggetto che risulta essere un singolo personaggio con una sua storia irripetibile e che risponde quindi a condizionamenti, stimoli, eventi in base a un suo vissuto interno. L’aggressività in questo caso è un evento motivato, retto da intenzioni consapevoli o meno che nascono all’interno dell’individuo anche in modo completamente indipendente da stimoli o contingenze ambientali. Ci si è chiesti quindi quale sia l’origine dell’aggressività, quale sia il peso delle componenti innate a fronte delle componenti acquisite, quanto peso ha il condizionamento del carattere personale dell’individuo. Gli studi di Sigmund Freud portano ad individuare la componente attiva di pulsione, spinta (il Drang tedesco) che dà l’avvio ad una reazione. Adler, allievo di Freud, propone l’idea di una pulsione aggressiva, che per via di processi psichici esprime il bisogno di compensazione che vive la persona che soffre di un sentimento di inadeguatezza. In questo caso l’aggressività assume allora valenza positiva perché mira all’affermazione di sé e del proprio valore. Non esiste quindi soltanto un aspetto negativo nell’aggressività, ma anche un aspetto positivo, un’aggressività che esalta la competizione e il successo individuale. Fromm la studiò anche dal punto di vista di un’aggressività che mira alla conservazione della specie. Nel frattempo con l’evoluzione degli studi sulle radici del comportamento umano, gli etologi hanno stabilito una correlazione tra il pa-

83


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

Questi viaggi a Londra però deludono in massima parte i punk romani perché non rispecchiano le aspettative, trovando un atteggiamento addirittura più “morbido” del loro. Li definiscono “dei coglioni vestiti da deficienti”34. Non molti sono i locali a Roma dove si può ascoltare questo tipo di musica. Tra questi il più importante è riconosciuto il “Uonna Club”, teatro di continue risse inizialmente tra autonomi e coattorocchettari del primissimo punk e in seguito tra coatti e punk. In poco tempo questo locale fa da specchio al cambiamento sociale. Spariscono i frequentatori di sinistra. Un presagio di ciò che si manifesta nel decennio successivo nella politica italiana e mondiale: accadde alla fine degli anni ottanta nella politica italiana trimonio comune dell’uomo e quello degli animali mentre gli antropologi esaminano le caratteristiche sociali e i comportamenti dei nostri antenati di milioni di anni fa. Questi studi hanno creato la tradizione etologica e antropologica, che si sviluppa dal paradigma evoluzionistico di Darwin. Secondo Konrad Lorenz l’uomo è soggetto alle leggi della selezione naturale e dell’adattamento né più e né meno degli animali; e l’aggressività è pertanto un elemento che serve come mezzo per l’evoluzione della specie; è un comportamento innato, istintivo, un imprinting insito nell’individuo. Skinner invece ritiene che sia appresa gradualmente. L’apprendimento quindi, in quanto cultura, è la variabile significativa che gestisce il comportamento aggressivo e le reazioni che l’uomo mette in campo in risposta agli avvenimenti. Un comportamento quindi che viene adattato alle contingenze, alle situazioni, alle caratteristiche della vita associativa. Non va dimenticata la teoria lorenziana dell’appetenza: l’aggressività è un processo di accumulo endogeno di energia aggressiva che deve essere scaricata periodicamente. Secondo Dollard, l’aggressività è la conseguenza sempre di una frustrazione, intesa come ogni sorta di ostacolo o impedimento, che si manifesta quando la risposta subisce un’interferenza. L’aggressività, una volta attivata, deve esprimersi comunque. Lo stesso concetto di frustrazione uguale violenza lo si ritrova in Karl Marx che la ritiene una conseguenza dell’oppressione dei proletari. Non tutte le situazioni frustranti producono aggressività palese. L’aggressività non-palese può esprimersi nella persona “adirata” o “furiosa dentro di sé”, la cui aggressività ma si evidenzia con attività quali imprecare o litigare, che sono tutte azioni facilmente constatabili. O nel caso dei punk, sfogarla su se stessi. L’autoaggressività è una delle altre forme in cui l’aggressività si esprime in modo indiretto quando è inibita la sua espressione diretta. La persona ferisce se stesso anziché l’oggetto primario. 34 R.Perciballa, Come se nulla fosse, cit. cap. 2, p 172

84


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

e mondiale: la fine di un certo tipo di comunismo ortodosso e di massa. Poco tempo dopo il “Uonna Club” prende piede a San Giovanni il “Tube”, con una sala prove aperta dal pomeriggio, che trasforma questo locale nel luogo di aggregazione di tanti giovani musicisti. I gestori sono Rina e Marco, detto “Cavallo Pazzo”, stessi proprietari dello storico “Metal-X” a Borgo Pio che è l’unico locale punk esistente nella Capitale. Il quartiere più frequentato dai punk che fanno parte di gruppi musicali è il Rione Monti, dove iniziano ad aprire sala prove nella zona più vecchia: la Suburra. Vanno a Piazza Sonnino, Trastevere, dove c’è il punto d’incontro notturno dei “borchiati romani” che frequentano il “Magia” un locale discoteca che si trova precisamente a piazza Trilussa, in Trastevere. Frequentano assiduamente anche il “Mattatoio” dove c’è uno dei primissimi intrattenimenti serali romani, la storica rassegna cinematografica “Massenzio”, nata come manifestazione dei giovani alternativi, quasi un cineforum all’aperto, che oggi è inserita tra le iniziative della “Estate Romana”. Come in molte altre città italiane anche a Roma è difficile acquistare dischi punk. Uno di questi rari negozi è “Disfunzioni Musicali”, a via dei Faisci, a San Lorenzo. Esso può essere definito come il primo negozio di dischi alternativi della città. La filosofia di vita è quella del rubare più che del comprare, ma sono anche assolutamente contrari alla raccolta soldi per strada perché comunque poco dignitoso. I concerti proposti dalla città di Roma a quei tempi sono veramente pochi. La città Eterna risente di tutto il peso della Storia, e della 85


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

presenza di tutte le sedi Istituzionali del Paese e anche del Parlamento e del Governo. Tra i primi ricordiamo quello dei “B’52”, al Palazzetto dello Sport dell’Eur e quello dei “Devo” e dei “Ramones” a Castel Sant’Angelo. A questi concerti partecipano sia i punk, che gli autonomi di sinistra. Autonomi o comunisti si divertivano “a pestare” qualsiasi ragazzo che fosse vestito di nero, violenza che i punk non approvano. La maggior parte non ama la violenza gratuita e in particolare quella inutile tra i giovani. Essi cercano di più la lotta contro le istituzioni alle manifestazioni e contro le guardie, anche perché le risse quando esplodono coinvolgono tutta la massa. Visto dall’esterno sembra “una mandria che si calpesta”35. Un ammasso di corpi e di mani che si agitano, menano ad occhi chiusi. Tutte queste violenze di gruppo sono amplificate dall’utilizzo spasmodico di alcool e droghe anche se molti punk sono contrari a questa situazione e soprattutto all’eroina che sta portando ancora di più il degrado sociale. Molti movimenti affrontano il tema scrivendo canzoni di denuncia come fanno i “Bloody Riot” oppure innalzando slogan o facendo manifestazioni contro quella nuova “moda” che sta intaccando anche la cultura punk. I gruppi musicali punk già a partire dagli anni ottanta sono numerosi, ma più vecchio e convinto è quello dei “Centocelle Siti Rochers”36, ma anche i “Shotung Solution” che hanno una cantina vicino a Piazza degli Zingari. E’ l’unico gruppo musicale che ha alle spalle un critico musicale: Federico Guglielmi. 35 ibidem 36 Componenti del gruppo erano:Amedeo Grammatico, Luigi Bonanni, Francesco Briscese, Augusto, Manuela, Anna

86


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

Il primo raduno vero e proprio di gruppi punk-skins a Roma è organizzato da Marco Bratz all’Istituto Tecnico Industriale “Armellini”, nel quartiere San Paolo. Nell’Aula Magna della scuola ospitano “I Fun”, “I Bratz” e “I Bloody Riot”37 che ricoprono un ruolo importante all’interno della scena Romana. “I Bloody Riot”, romani per eccellenza, prediligono uno stile più violento: “Noi ci esprimevamo bevendo, rubando, spaccando tutto, odiavamo le assemblee, le riunioni, i dibattiti, i cortei pacifisti e tutte le pippe politiche in assoluto.”38. Si rifanno a gruppi musicali americani e inglesi più estremisti come “I death Kennedy’s”, gli “Exploited”, i “Blitz”, gli “Shotung Solution” che usano la musica come elemento di scontro creando un “rumore e frastuono metallico”39. I punk romani considerano i punk bolognesi e milanesi, seguaci del gruppo inglese dei “Crass” “rumore senza anima e in più di un caso anche triste comizio politico”40. I punk romani hanno sempre cercato di distaccarsi dall’impegno politico fin da quando, come racconta Perciballi, nell’Aula Magna dell’Università “La Sapienza” di Roma durante la prima grande 37 “Bloody Riot” è un gruppo formato da R. Perciballi, Lorenzo Canevacci, Alessandro Vargiu, Fabiano Bianco. Nascono nel 1982. Inizialmente con il nome “Riot”, poi “Next Riot” e infine “Bloody Riot”, nome ispirato alle Brigate Rosse, di cui prendono le iniziali. Dediti ad un furioso e travolgente hardcore punk cantano parte in inglese e parte in italiano. Sono stati una delle formazioni di punta dell’underground romano degli anni ’80. Oltre ad aver composto alcuni piccoli inni, quali: “No Eroina”, “Naja de merda”, “Bloody Riot”, il quartetto realizza la prima autoproduzione discografica dell’arca capitolina nel 1983. Nel 1985 il gruppo confeziona l’omonimo album “Bloody Riot”, sintesi eccellente di uno stile aggressivo e senza compromessi. Nel 1993 la band si riforma per alcune esibizioni dal vivo e per festeggiare il decimo anniversario della nascita, incide un singolo contenente: “Gioventù Bruciata” e “ No Eroina”. 38 ibidem 39 Fanzine, Bloody Riot hardcore fanzine di Roma, n. 1 40 Vedi nota 14

87


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

Assemblea Operaia, i giovani di “Radio Onda Rossa” e “Radio Proletaria” iniziano a picchiarsi “radio contro radio”. Nei punk inizia a farsi strada il pensiero che se quella è la via della politica che avrebbe dovuto assicurare un progresso, questo non si sarebbe mai attuato. I punk romani lasciano ben poche tracce costruttive rispetto ad altre scene italiane, visto il loro scarso impegno politico, ma molto concrete in quanto a produzioni di dischi, testi e concerti. Nel 1982 Roberto Perciballi, cantante “urlatore”e scrittore dei testi, Lorenzo Canevacci alla chitarra, Pierpaolo Rossi al basso e Francesco Latessa alla batteria, formano il primo nucleo del “Riot” che diviene presto “Next Riot” e successivamente “Bloody Riot”, nome ispirato alle Brigate Rosse, i loro idoli. Le iniziali BR e la stella a cinque punte è quello che interessa loro di più. Decidono che “deve essere come un qualsiasi fan club di calcio”41 votato alle BR che in quel periodo erano molto attivi e noti. La differenza sta nel fatto che le BR sono una organizzazione terroristica in piena regola, mentre i Riot sono ragazzi anarchici “con la voglia di fare casino e spaccare tutto ogni qual volta se ne fosse presentata l’occasione”42. Loro amano tutte le azioni che sono compiute da questo movimento , secondo loro, contro chi non ha fretta di cambiare le cose. Pertanto questo gruppo cresce in quell’atmosfera di surreale violenza trovano nella musica come altri gruppi un mezzo di denuncia. Infatti è per questo che dopo poco tempo decidono di abbandonare la lingua inglese per cantare in italiano. Sono convinti che la gente a quella velocità, caratteristica della musica punk, 41 R.Perciballi, Come se nulla fosse, cit. p. 68 42 Ibidem

88


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

non avrebbe capito il senso dei testi che esprimono il messaggio rivoluzionario che doveva essere assimilato e facilmente recepibile. Bisogna sottolineare che non sono altruisti, non sperano di risolvere la vita con la musica, ma cercano di usarla come portavoce per far comprendere le loro idee in maniera integrale. Usare l’italiano non ha un significato patriottico nazionalista, ma per necessità di comunicazione reale e produttiva. Essi vogliono far capire le loro idee prima di tutto alla gente che li circonda e poi ad un pubblico di altri paesi. Per risolvere questo problema durante l’esordio del gruppo Perciballi redige una fanzine “Bloody Riot Hardcore fanzine di Roma” su cui scrive i testi delle canzoni con traduzione in italiano. E’ una piccola serie di fotocopie, distribuita gratis ai loro concerti e contenente anche fotografie, la storia ed i programmi futuri del gruppo, il tutto in bianco e nero. La sala prove che frequentano è quella dei “Raff”, a Piazza degli Zingari. Il gruppo subisce subito dei cambiamenti e al posto di Pierpaolo arriva Alex Vargiu, ex “Stigma” altro gruppo punk romano, e al posto di Latessa arriva alla batteria Cesare di Porto. Il loro esordio dal vivo il 25 dicembre 1982 al “Uonna Club” è un successo. Suonano e urlano le loro canzoni con i titoli spesso trovati sui muri della città: “Contro lo Stato, Polizia assassina, Naja de merda, Gioventù bruciata, Partigiani degli anni’80, No eroina”. Tutto è rivolto allo sballo: i concerti dove ci si ubriaca, la scuola dove ci si droga con la tecnica dell’iperventilazione tecnica ultra economica43. Suonano alla discoteca “K”, sulla Via Tiburtina, 43 Tecnica che consisteva nel fare una decina di flessioni sulle gambe con grandi respiri alla fine dei quali ci si drizzava in piedi e ci si metteva un dito in bocca andando così in iperventilazione

89


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

dove l’incasso viene devoluto alla piantumazione di alberi lungo le strade di Via Pietralata (quartiere popolare e degradato vicino a San Lorenzo). Ormai influenti nella scena punk iniziano a suonare anche in altre città come Bari, al “Virus” di Milano, considerato una buona vetrina per ogni gruppo punk. I punk Milanesi sono completamente differenti da quelli romani perché molto organizzati, politicizzati e le virusiane femministe sono contrarie al concerto tenuto al Virus in quanto i “Riot” cantano un pezzo intitolato “Bitch”, un testo sessista, scritto “contro tutti coloro che usano sessualmente il corpo per cercare di avere dei vantaggi nella vita o nella carriera e quindi contro tutti quelli che, uomini e donne, si fanno scopare per ottenere vantaggi e non per il puro piacere di fare l’amore”44. I milanesi apparentemente sembrano più tranquilli e vista la situazione dopo quella rivolta delle Virusiane tornano a Roma per suonare al Forte Prenestino. Questo centro sociale situato ancora oggi a Centocelle è già centro di iniziative che si svolgono nello spazio circolare di fronte al cancello d’ingresso, all’esterno del Forte stesso. Le serate, al Forte, cominciano nell’83, con le “Feste del non lavoro”45 appoggiando la filosofia punk dell’anti-lavoro. Le organizzano un gruppo di compagni di Centocelle (gruppo storico che lo ha poi occupato), gli autonomi di San Lorenzo e di Roma Sud. Questa è creata per rispondere ai concerti “autorizzati” che si tengono a San Giovanni il 1° Maggio. L’appuntamento al Forte nasce quindi il 1°Maggio 1983 contro la Festa Nazionale 44 Ibidem p. 103 45 Ancora oggi si tiene al “Forte Prenestino”, appuntamento alternativo di Roma.

90


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

dei lavoratori, da allora fino ad oggi un evento simbolo della lotta operaia, in esplicito dissenso nei confronti di quello che dai punk è stato definito lavoro forzato. Questa iniziativa rappresenta per la scena romana una delle prime occasioni in cui i punk fanno esistere in maniera concreta il loro dissenso passando attraverso uno dei metodi più radicati in questa sottocultura e cioè la denuncia attraverso la musica. Si inizia a capire come la rabbia sonora insieme all’impegno politico degli autonomi può dare vita a solide iniziative alternative ancore in lavorazione nella “flaccida Roma degli anni ‘80”. Il punk ha da sempre abbracciato e sostenuto esigenze ed esperienze di autogestione dando vita, nel tempo, a una nuova cultura: l’autodeterminazione dei giovani che nella Capitale si concretizza attraverso le occupazioni e autogestioni degli anni Novanta. Come segnale forte di espansione del movimento punk a Roma, nel 1986 vengono occupati tre centri sociali, grazie all’appoggio del movimento studentesco dell’85 e al movimento della contestazione universitaria chiamato “Pantera”: a febbraio “Quinto”, nel quartiere Conca D’oro; a marzo il “Blitz”, a Colli Aniene e a maggio il “Forte Prenestino” a Centocelle. La prima fase è influenzata da quella che era la cultura punk e dai retaggi dell’autonomia. Questi furono gli anni Pioneristici che finirono con la resistenza allo sgombro del Leoncavallo e del “Cox18” a Milano. I centri sociali assumono un posto di rilievo: finalmente raggiungono l’obiettivo di avere i tanto desiderati spazi autogestiti, dove poter fare musica e discussioni politiche. I “Bloody Riot”, ormai famosi sono invitati a Bologna ad un 91


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

meeting di tre giorni, organizzato da “Radio UnderDog”, che cerca, tramite questi ed altri programmi, di ottenere l’assegnazione di spazi dove promuovere l’aggregazione e l’auto-organizzazione. In questa occasione l’evento è recensito da Alberto Gorrani che nel suo articolo elogia il gruppo definendo la loro musica “hardcore violentissimo anche se non esente da qualche riflesso Oltreoceano e Oltremanica, riesce originalissimo e molto vibrante”46. Questi concerti sono veicolo per comunicare a chi di certe realtà non sa nulla e non le capisce cercando di invadere “con il rumore” situazioni anche antagoniste, come quelle delle discoteche tipo “Piper” di Roma, luogo di ritrovo dei ragazzi della Roma bene, e da dove è partita la lunga carriera della sua prima proprietaria, la cantante Patty Bravo. I “Bloody Riot” ricoprono non solo un’importanza elevata all’interno della scena punk romana, ma anche il podio all’interno della cultura dell’autoproduzione musicale. Infatti furono i primi ad autoprodurre un disco. L’ultimo concerto di rilievo del gruppo è quello al centro sociale autogestito “Casal Bernocchi”, tra Roma e Ostia il 23 settembre 1984, data in cui esce anche il loro primo LP di cui si occupa Lorenzo Canevacci, insieme alla “Toast Record” di Giulio Tedeschi. In quei tre/quattro anni i “Bloody Riot” oltre a fare tanti concerti compongono due dischi che rappresentano in Italia uno dei primi esempi di Autoproduzione musicale, confermando l’atteggiamento di chiusura verso le logiche del mercato e quelle degli affari. I due dischi dei “Bloody Riot” sono pubblicati in mille esemplari 46 Fanzine: “Rockerilla”, n. 36, luglio-agosto 1983

92


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

ciascuno. I “Bloody Riot” si riuniscono nel 1993 per festeggiare l’uscita di un 45 giri sempre co-prodotto da Giulio Tedeschi in occasione del 1° Maggio al “Forte Prenestino” dove fanno anche il loro ultimo concerto nel 1994 quando suonano come spalla ai “Fratelli di Soledad” (gruppo di Torino con forti influenze ska). Quella sera suonano per “Radio Onda Rossa” e Prospero Gallinari in una serata dedicata al potenziamento dell’impianto della radio che veniva oscurata da “Radio Vaticana”. Dopo questi ultimi eventi i “Bloody Riot” si sciolgono e due componenti del precedente gruppo formano i “Vegetabol” dedicato all’umanità di quegli anni: vuota, assente, che ricalca perfettamente la legge antica del “non vedo, non sento, non parlo”. La critica del gruppo è rivolta alla borghesia che continua a vivere giorno per giorno, ma nel suo pensare solo a se stesso vegeta tanto da far diventare il cammino del progresso esasperatamente lento. “Vegetabol” è un nome perfetto per un gruppo che va ostinatamente contro la società in un periodo in cui tutti non vogliono pensare, ma “solo vegetare”. Insomma i Punk romani, anche se più estremisti degli altri punk, hanno gli stessi desideri: raggiungere la libertà democratica ed economica.

2.5 - Il punk a Milano Milano negli anni ’80 è in trasformazione. Sta vivendo una grande stagione di sviluppo industriale ed economico, avvicinandosi sempre più alle principali città europee, in un contesto cosmopolita, forse l’unico in Italia. Di conseguenza la società ben presto si trova 93


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

a fare i conti con le strutture di classe e le relative stratificazioni. La classe operaia è sempre più emarginata a tutto vantaggio di quella industriale e borghese. In un contesto così complesso anche la stessa città si trova ad essere materialmente divisa con i luoghi deputati all’una o all’altra parte della società. Si evidenzia una “Milano da bere” e una “Milano da Pere”. La prima per identificare una città medio borghese che ha i bar e i locali notturni come luoghi di ritrovo e convivialità e la seconda per i numerosi eroinomani. Si crea una tangibile spaccatura all’interno del vissuto quotidiano. La modifica dei modelli e dei ruoli apre la strada alla nascita di frange anarco-insurrezionaliste che trovano nei punk il massimo riferimento. Nel 1982 c’è un riflusso socialista perbenista della “Milano da bere” per l’ascesa al potere del leader del Partito Socialista, Bettino Craxi. Il movimento è una tabula rasa. I punk, unici giovani “bocconcini sovversivi” per uno spropositato apparato di repressione poliziesca, si barricano dentro il covo del “Virus” a Milano e, insieme a tutta Italia, gioiscono per le imprese calcistiche del centravanti della Nazionale, Pablito Rossi. Il punk in questa situazione diventa un bisogno di dire cose urgenti, il messaggio rivoluzionario è importante. Esso viene emesso dalla musica dall’impeto del suono, dall’utilizzo di frequenze alte e basse portate alla distorsione senza un utilizzo di canoni musicali. Il Ballo detto “Pogo”, usato come elemento di denuncia, ricalca le pose sociali di “vuoti robot”. L’uso sfrenato di questi movimenti “a spintoni”, usati ai concerti, identificano quella voglia di trovare un contatto di eliminare gli stereotipi di divismo rendendosi tutti sullo stesso 94


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

piano, sulla stessa pista a prendere le stesse “botte”. Non c’erano cantanti e spettatori: gli uni erano anche gli altri. Alcuni punk iniziano in quel periodo a frequentare la libreria “Calusca” di Primo Moroni e a capire meglio gli avvenimenti degli anni Settanta. Probabilmente, se non ci fosse stato questo incontro, i punk milanesi non sarebbero riusciti ad aprire lo “scrigno blindato”, ad occupare la città nei cosiddetti anni di piombo. Forse, avrebbero presto pensato che ogni cosa inventata, creata e scaturita nella loro gioventù era spazzatura, se paragonata alle imprese sessantottine. Le differenze radicali tra i punk di diverse città non devono essere ricondotte alle idee, in realtà comuni a tutti, ma al modo di metterle in pratica. I romani approcciano la società con un atteggiamento duro e violento;i milanesi al contrario assumono un atteggiamento più pacato e meglio organizzato anche politicamente. L’influenza dei “Crass” è molto forte sul movimento milanese al quale si rifanno per dare vita ad una comunità organizzata con tanto di etichetta musicale e punkzine indipendenti. Vengono occupati dei luoghi disabitati (magazzini, fabbriche dismesse, palazzi fatiscenti) per creare quelli che poi diventeranno centri sociali come il “Vidicon”, il “Virus” e il “Cox 18”. La scena punk a Milano ha le sue radici nella periferia e in modo particolare nella zona del Ticinese. Ad appoggiare quella, che diventerà una vera e propria sottocultura, sono le fasce meno abbienti del sottoproletariato. Secondo Primo Moroni, infatti, all’interno della città di Milano ci sono due città completamente differenti: una legata alla società in evoluzione ed un’altra legata ad una struttura di fabbrica che sta cambiando l’assetto del 95


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

territorio, ma non le condizioni dell’operaio-cittadino. Sono chiari i segni del passaggio dal modello produttivo Fordista, cioè quello delle grandi fabbriche, ad un modello Post-Fordista che è quello della fabbrica diffusa sul territorio. Il quartiere operaio di Baggio, quartiere dell’adolescenza di Marco Philopat, rispecchia questo tipo di distacco. Alla fine degli anni Settanta, inizio anni Ottanta, Milano non presenta tanti modi e luoghi di svago per i giovani. La città propone a quei tempi la sinistra “dei compagni impenetrabili e per chi aveva dai sedici anni in giù è molto difficile capire il loro linguaggio, i loro rapporti”47 quei pochi discorsi politici sembrano indecifrabili e anche le sale prova a quei tempi sono costosissime. Con l’arrivo dell’eroina nella periferia e l’arresto di tanti “fratelli maggiori”, i giovani punk si trasferiscono nel centro della città. La provocazione parte dai luoghi di incontro. Questa voglia di rivoluzione coincide con quella di crearsi spazi sociali, liberi; luoghi per provare con i gruppi musicali. Obiettivo che si può però raggiungere solo con le occupazione. Il primo preso di mira è “Vidicon”, il capannone della ex fabbrica Mellin, di prodotti per neonati, poi diventato spazio multimediale nell’area occupata di via Correggio. Tutta l’area è occupata nel 1975 quando il Comitato di Quartiere consegna la maggior parte degli appartamenti a famiglie e disoccupati. In realtà i “compagni” usano come abitazione solo i locali degli uffici. Dentro al centro sociale vengono organizzate serate a tema sulle avanguardie artistiche, mostre, feste, le prime installazioni video e anche qualche concerto a scopo di denuncia, come quello 47 M. Philopat, Lumi di punk, Intervento di Cristina Xina, fondatrice del “Virus”

96


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

organizzato contro l’eroina. L’azione degli occupanti della casa serve ad aprire dei varchi importanti, i primi ad adibire un capannone industriale a luogo di iniziative culturali, considerando i concerti e la musica come azione politica. “Chi sale sul palco diventa un oratore”48. In questo periodo iniziano a nascere nelle case occupate alcune band come quella degli “Hnc” formata da Philopat (cantante), Gianmaria (al basso), Nino (alla chitarra) e Carlo (alla batteria). Le prove le fanno presso la casa occupata di Via Garibaldi, una delle prime occupazioni milanesi. L’idea di creare occupazioni ed avere nuovi spazi è anche legata alla possibilità di fare concerti autogestiti perché per la cultura punk, a differenza di quella dei “compagni” di sinistra, la musica ha un ruolo fondamentale: è linfa vitale, scintilla attraverso la quale si può tornare a vivere decentemente. Nascono le “Kandeggina”, unica band di sole donne, di cui fa parte anche Jo Squillo, spudoratamente contrarie al maschilismo, provocano gli uomini in continuazione con il loro look punk. “Sono una bomba”. Scrive Philopat. I testi delle loro canzoni sono ironici “Violentami, violentami, piccolo. Violentami, violentami sul metro”. A piazza Duomo l’8 marzo fanno un concerto lanciando tampax tinti di rosso. Le Kandeggina si sciolgono dopo la chiusura del Centro “Santa Marta”. Comunque le prime band Milanesi e soprattutto gli “Hcn” preferiscono cantare in inglese definendo questa lingua: suono. “Cantare in italiano non esiste sa di autarchia-carcadèMussolini” afferma Carlo degli “Hcn” nel libro “Costretti a sanguinare”. Gli “Hcn” preferiscono che la loro venga definita 48 M. Philopat, Costretti a sanguinare, cit. p. 109

97


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

non-musica, ma rumore “E’ rumore non musica”.49 Quasi tutti i punk sono contrari alle case discografiche che li rendono prodotto e non si dissociano gli “Hcn” i quali ammettono che, prendere contatti con queste, significa vendersi perché tanto “Quando potranno farci diventare prodotto lo faranno. Anche lo schifo si potrà vendere”. Afferma Marco Philopat. In occasione del concerto alla Palazzina Liberty50, a sostegno dei carcerati politici, gli “Hcn” traducono i testi delle loro canzoni in italiano per renderli comprensibili a tutti. La musica è un veicolo di denuncia attraverso il quale si può esprimere la propria rabbia. Il gruppo partecipa a questo evento per sottolineare un avvicinamento ai movimenti politici di quel periodo per far capire che il punk ricopre un ruolo estremista all’interno del movimento. Gli “Hcn” si riformano per un ultimo concerto al teatro “Miele”, occupato dai circoli e da “Bollettino” contro la repressione. Il locale è poi passato in mano a “Mustacchia” e ai gruppi teatrali di base. Il Teatro Miele diventa sede di uno dei più importanti happening di quattro giorni: “Action + incontro dell’intelligenza urbana”, organizzato da “poesia metropolitana”, azionisti di “Quarto Oggiaro”. Dopo l’iniziativa del concerto contro l’eroina al “Vidicon”, inizia a radicarsi la voglia di avere spazi comuni, di appropriarsi della città, di creare una location per concerti. Su questa scia viene occupato il “Virus“. È considerato uno dei primissimi centri sociali italiani, e viene identificato come il luogo di diffusione della prima scena punk in Italia. 49 Ibidem p 39 50 Organizzata da Franca Rame e Dario Fo per calmare gli animi

98


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

Il “Virus” nasce in via Correggio 18 a Milano in seguito all’incontro tra alcuni punk milanesi (M. Philopat è uno dei principali animatori del centro autogestito) e il locale “Vidicon“. Dopo varie vicissitudini sul modo di chiamare questo spazio di cui la prima proposta è “Titanic”, come simbolo di un capitalismo che affonda, si opta per “Virus” nome trovato sulla rivista “Fangoria” nell’archivio punk di Maniglia, non immaginando tutte le interpretazioni di giornalisti e sociologi che associano il nome “Virus”, all’emergenza HIV. Il problema della proliferazione dell’AIDS si affaccia prepotente in tutto il mondo. Si concentrano gli studiosi sull’amplificazione del contagio e anche i giovani punk si trovano a dover fare i conti con un problema del quale ancora non si conoscevano tutti i risvolti. Per presentare “Virus” viene scritto un documento intitolato: “Virus, espansione di immagini suoni e rumori”, firmato punk anarchici con la dicitura in grassetto “punk/attivi Virusiani”. L’apertura ufficiale del locale con il nome “Virus” avviene nel febbraio 1982, seguita da un grande successo in occasione della “Offensiva di Primavera” nell’aprile dello stesso anno. Tre giorni di concerti - dieci ore al giorno - al quale partecipano trenta gruppi e quasi tremila punk provenienti da tutta Italia. Sul manifesto sono rappresentati una decina di teste bianche tutte uguali con un punk che le calpesta per simboleggiare una società alienante schiacciata da una cultura dal basso. Il “Virus” diviene punto di riferimento per tutto il movimento punk nazionale che inizia ad allacciare un rapporto con gruppi e realtà alternative, europee e non. Infatti è riconosciuta ai punk milanesi la capacità di dare continuità alle iniziative e ai concerti, facendo arrivare gruppi da tutta Europa. 99


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

Le decisioni sulla programmazione musicale, culturale e sulle iniziative politiche sono costantemente prese secondo modalità assembleari. Oltre all’organizzazione dei concerti, all’interno del “Virus“, il collettivo riesce a dare vita a realtà rivolte verso l’esterno, tra le quali spiccano la casa editrice ”Antiutopia Produzioni”, la distributrice “Virus Diffusioni” e “Punkaminazione” addetta all’organizzazione di concerti. Questa è una rivista con redazione itinerante, gestita dalle varie comunità punk sparse per l’Italia; ha a disposizione una pagina per esporre le realtà locali. Dentro a questo giornale, composto e stampato a rotazione dai diversi collettivi, si mescolano gli interventi teorici, le informazioni sui concerti, aggiornamenti sulle nuove uscite discografiche, sulle novità editoriali dei punk, sulle manifestazioni e i nuovi luoghi autogestiti, aprendo così l’attività internazionale di “Punkaminazione” e permettendo a band di tutta Europa di suonare in luoghi non contaminati dalle logiche del mercato. Importanti sono le due azioni di via Correggio: una contro le droghe e l’altra contro le discoteche. La prima nasce dalla consapevolezza che il centro sta imboccando una strada sbagliata, infatti molti ragazzi vanno via di casa per vivere al “Virus”, riducendosi nel giro di pochi giorni a “larve umane”. La droga viene intesa come abitudine e l’intento del collettivo è di interromperne l’assunzione, per un periodo limitato, per poi comprendere meglio gli effetti delle sostanze allucinogene. Con la seconda azione vogliono contrastare le discoteche che vendono a caro prezzo la musica di gruppi punk. Infatti alcuni dei concerti organizzati in quel periodo, in alcuni locali milanesi, li 100


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

“scimmiottano”. I Virusiani attaccano questi eventi con volantini dal titolo “Le vostre credenziali punk non ci fottono più” o “Espansioni di azioni immagini e rumori”. Quest’ultimo presenta uno pseudo progetto del “Virus” in dieci punti che riassumono gli scopi del centro sociale. Il Virus “Non è commercio o commerciabile per questo gli spettacoli saranno più veri e reali […]cmq il prezzo del biglietto è certamente più basso”51. Delle manifestazioni di grosso impatto a cui i “punx virusiani” partecipano, ne spiccano due in modo particolare: - la mobilitazione contro l’installazione di missili statunitensi, presso la base militare di Comiso nell’estate del 1983, a cui partecipano realtà alternative da tutta Europa con il volantino dei “Virusiani” che recita “COMISO BASE DI MORTE- i governanti italiani prostituiscono il paese e lo fanno penetrare da cazzi nucleari statunitensi”52; - la mobilitazione “Chaos Tag” sostenuta da migliaia di punk europei contro la manifestazione, organizzata dai naziskin ad Hannover il 2 agosto 1984. Vista la sua posizione al centro di Milano la gestione diventa complicata: gli abitanti degli stabili adiacenti, infatti, costituiscono un Comitato diffondendo un volantino molto duro e di denuncia contro la realtà del Virus, considerata “cultura di stampo nazista”53. Giornali e riviste non aiutano la situazione, neppure la creazione delle fanzine serve a evitare lo sgombro. Dopo alcuni tentativi 51 M.Philopat, Costretti a sanguinare, Giulio Einaudi editore, Torino, 2006 52 Ibidem p. 1 53 Ibidem p. 137

101


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

avvenuti già nel Novembre del 1982, il 15 maggio 1984 - a causa dell’incontro tra gli interessi economici del proprietario dello stabile e della volontà dell’Amministrazione comunale – viene sgombrato il “Virus” per eliminare una realtà scomoda. Un evento particolare crea scompiglio all’interno della scena milanese è il convegno organizzato dall’Università, sovvenzionato da un centro studi e ricerche sulla devianza e l’emarginazione (Cserde), per presentare la ricerca sociologica sulle “Bande spettacolari giovanili: una realtà degli anni ‘80”. La prima parte della ricerca esamina il soggetto punk associato al mod-rockerskin-rokabilly, e solo le ultime otto pagine sono dedicate alla situazione milanese, contenente anche un’analisi sul “Virus”. I risultati di questa ricerca sono presentati in momenti diversi dal 1 al 7 aprile 1982, all’interno di strutture diversificate sul territorio. Quella che fa più scandalo è la giornata organizzata presso la Sala Affreschi del Palazzo della Provincia, nella centrale via Monforte. Sono presenti giornalisti, sociologi, ma anche i punk anarchici. La contestazione è inevitabile. Da una parte c’è la sociologa Boioli con la sua équipe che tenta di spiegare origini, motivazioni, finalità del loro lavoro; dall’altra i punk che rivendicano il diritto a non essere considerati un fenomeno da baraccone o cavie per sperimentazioni intellettuali e sociologiche. I punk contestano l’intera ricerca. Attraverso la performance, l’auto-lacerazione (tagliandosi il petto con le lamette), sporcando con il loro sangue un volantino che recita: “Questo è il mio sangue: analizzatelo! Forse scoprirete quali sono i miei veri bisogni”.54 54 in “Rivista anarchica”, maggio 1984, numero 119

102


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

Boicottano le tavole rotonde organizzate e riescono a fermare l’evento occupando il teatro di Porta Romana, luogo dove si sarebbe dovuta tenere un’altra riunione. L’edificio viene sgombrato poi la sera successiva dalle forze dell’ordine. Dopo lo sgombro di via Correggio il gruppo si sfalda. Alcuni partono verso mete europee, altri invece restano a Milano e occupano una casa nella periferia, a Rogoreto. Un edificio fatiscente con muri di cartone, infiltrazioni d’acqua e condizioni igieniche precarie. Il “Virus”, come spazio collettivo, si trasferisce in un centro sociale dal tetto pericolante in via Piave dove continua l’attività del collettivo virusiano con vari concerti di gruppi italiani europei e con le sala prove. Arrivano sulla scena gruppi nuovi che fanno musica industriale. A questo punto i punk si sentono scavalcati. In realtà la musica mantiene la grinta e la velocità punk, gli strumenti però sono cambiati: alla classica chitarra si sostituiscono i tamburi ricavati da bidoni dell’olio, tubi, catene e corde d’acciaio. Nel frattempo emergono le attività del centro sociale “Leon Cavallo”, che ospita gruppi appartenenti alla scena new wave e dark. Dopo un negativo tentativo di rifondare il “Virus” a piazza Bonomelli, i più si spostano nella zona del Ticinese dove viene aperto uno spazio di diffusione dei materiali punk in una stanza della Calusca, storica libreria di Primo Moroni, che diventa principale luogo di aggregazione. Questi cambiamenti non fanno però abbassare la guardia al movimento punk. Infatti nel 1988 il rinnovamento dell’occupazione di via Conchetta dà vita al “Cox 18”, centro sociale ancora oggi autogestito nelle vicinanze della libreria Moroni, che custodisce gli scritti di Primo Moroni. 103


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

2.6 - Il punk a Bologna Il punk Bolognese, come afferma Petrini, ha poco a che fare con la musica. Piuttosto ha a che fare con se stesso e cioè con i climi, i modi e le ossessioni di Bologna. Il 1973 segna in questa città un momento di svolta, il modello di gestione del potere, del PCI, basato su un certo zelo riformatore e sulla mediazione, sull’alleanza fra le classi e sul mantenimento ad ogni costo della pace sociale, entra in crisi. L’unica riforma veramente significativa, quella più densa di implicazioni politiche fallisce. Il piano per l’edilizia economica e popolare svanisce. Continuando e ampliando i presupposti ideali di questa politica, le autorità locali propongono allora di espropriare, con indennità adeguate, i palazzi del centro storico e di consegnarli, dopo i restauri, a cooperative di proprietari e di inquilini. Negli anni Settanta non è difficile per le autorità locali svolgere un ruolo di mediazione tra lavoratori e imprenditori, perché allora, probabilmente tutti elettori del PCI. Cresce il lavoro nero, aumenta il decentramento produttivo. Si sviluppano i contratti atipici, a tempo determinato. PCI e CIGL si rivelano impotenti di fronte al mutamento del paesaggio produttivo. E’ sempre di quel periodo un settore di forza lavoro emarginato, precario e profondamente sfruttato, spesso molto giovane, vive fianco a fianco con la classe operaia tradizionale. Nel 1977 una massa di giovani studenti e anche lavoratori esce per sempre dall’area di influenza del partito del Pci e nello stesso anno si trova davanti alle barricate. La normalizzazione comincia all’indomani 104


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

del “Convegno contro la repressione”. “Imparammo ad essere punk in un certo senso dai media ufficiali” afferma Pedrini55. Ci si rendeva conto della portata rivoluzionaria, insita nel semplice fatto di radersi i capelli, mettersi un paio di pantaloni a tubo, andarsene in giro con i vestiti trafitti da un bel po’ di spille da balia. Significava rifiutare in blocco, consapevolmente o inconsapevolmente, anni e anni di controcultura, di liberazione del corpo, significava invertire scientemente un’immagine giovanile allora dominante“. Tutti portano i jeans a campana, tutti si interessano di politica. La società circostante diventa un luogo frustrante, poco divertente e repressivo. I punk significano per gli autonomi l’azzeramento, l’annichilimento. Sono contro la borghesia, contro la scuola, contro il lavoro e anche contro gli hippy. La città è l’unico luogo possibile, bisogna girarla in lungo e in largo. Vedere diversi scenari urbani significa appropriarsi delle vite di chi ci abita. Il legame con la città ha dei risvolti affettivi. I muri, il vetro, l’asfalto costituiscono l’ambiente del punk.

55 R. Pedrini, Ordigni di punk, Castelvecchi, Roma, 1998 p. 19

105


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

106


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

107


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

108


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

109


Capitolo 2 - Origini del Punk in Italia

110


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

111


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

112


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

I processi di comunicazione del punk in Italia

3.1 - le Fanzine punk Il corpo , lo stile punk e i suoi intenti viene mediato tramite le fanzine che rappresentano un prodotto do it yourself. Queste nascono per sfatare i miti creati sulla sottocultura punk dalla società circostante e per dare voce ai corpi dei punk che senza queste pubblicazioni appaiono come semplici insulti visivi banalizzati dai quotidiani. E’ nel 1977 in un momento di forte emulazione del modello inglese, che nascono le prime fanzine punk italiane. Nel biennio 19771978, in Italia, esistono solo quattro riviste rock a cui possono rivolgersi i ragazzi: “Ciao2001”, settimanale ad alta tiratura, e i mensili “Popster”, ”Mucchio selvaggio” e “Rockerilla”. I termini fanzine e punkzine, usati molte volte come sinonimi, esprimono, secondo alcuni interpreti della scena come Giorgio Senesi, due realtà completamente diverse. La “fanzine punk” nasce, infatti, dalla fusione dei due termini inglesi “fan” (= appassionato, tifoso, seguace) e “magazine” (= rivista) e rappresenta qualcosa di vago, di non ben precisato. E’ una rivista che parla di punk e si rivolge ad un gruppo di appassionati. La “punkzine”, invece, si fa veicolo di caos espressivo, creatività libertaria senza compromessi e mediazioni politiche. E’ il primo esempio di produzione DIY. Secondo Susanna Vigoni, autrice della 113


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

tesi “ Storia del Virus”: “La punkzine fa riferimento chiaramente all’area culturale punk di cui si fa portavoce dei bisogni ,delle idee, degli interessi. Un elemento chiave delle punkzine è quello della self-comunication, cioè l’autoappagamento, la crescita personale, la nascita di un dialogo con se stesso che porta l’individuo a interessarsi di problemi e fatti sociali di cui prima non si era mai occupato”. La punkzine fa riferimento all’area culturale punk di cui esprime bisogni, idee e interessi. E’ indirizzata esclusivamente a esponenti della scena punk ed è caratterizzata da un linguaggio provocatorio. Essa intende sovvertire i modelli della comunicazione artistica e politica, per questo utilizza fogli dattiloscritti e ciclostilati con notizie prettamente musicali, collage e traduzione delle canzoni inglesi. Il linguaggio usato è immediato, colloquiale, gergale e a tratti volgare e scioccante. Rappresenta anche uno spazio critico e alternativo in grado di contrapporsi ai servizi ostili e manipolati dei media di mainstream. L’elemento chiave della punkzine è la self-communication, cioè l’autoproduzione, l’autoappagamento, la crescita personale, che porta l’individuo a interessarsi di una serie di problemi e fatti sociali di cui prima non si era mai occupato. Di solito le punkzine sono prodotte da un gruppo molto ristretto di persone, o addirittura da una sola persona che si occupa di tutte le fasi della produzione: scrivere gli articoli, fare le interviste, realizzare servizi fotografici, disegnare i fumetti, fotocopiare la rivista, assemblare le copie, comprese le fasi di distribuzione e vendita. Con questi “giornali sovversivi” i punk combattono una forma di

114


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

giornalismo canonico. Il loro prodotto è un esempio di informazione costruita dal basso e intende stravolgere i modelli editoriali consuetudinari riguardo l’informazione e la divulgazione. Per modelli canonici si intende una stampa tradizionale, subordinata in via primaria, all’informazione politica. Più di metà della tiratura è controllata dai grandi gruppi industriali, un decimo da banche e enti parastatali, un altro decimo da associazioni cattoliche. Il quarto restante si suddivide tra un 16% di stampa di partito e un altro decimo di stampa indipendente1, soprattutto della sinistra extraparlamentare: “Manifesto”, “Lotta continua”, “Il quotidiano dei lavoratori”. La stampa nazionale si dibatte tra il ruolo di strumento e garante del diritto pubblico all’informazione e la logica del profitto privato di oligopoli mediatici multinazionali sempre più grandi e potenti2. Le punkzine di fatto, per sottolineare la loro “alternatività”, coinvolgono esclusivamente soggetti dilettanti di comunicazione e giornalismo che fanno fruire il messaggio soprattutto attraverso i fumetti. Sembra un ritorno involontario ai primi del secolo quando l‘informazione passava attraverso queste immagini per l‘elevata percentuale di analfabeti3. Si sperimenta, così, un diverso tipo di estetica e vengono rappresentate quelle che sono definite dalle sottoculture giovanili delle mere icone: lattine di birra, le città alla

1 A. Cavallari, La fabbrica del presente. Lezioni di informazione pubblica, Feltrinelli, Milano, 1990 2 G. Gozzini, Storia del giornalismo, Bruno Mondadori Editore, Milano, 2000, p. 282 3 Ibidem

115


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

“Blade Runner”4, le magliette con la “A cerchiata”5. Le punkzine diventano anche elemento di sfogo e di lettura per chi non ha completato il ciclo di studi e sono uno strumento comunicativo. I temi presenti all’interno di queste punkzine trattano di argomenti di cronaca politica, di informazione musicale e contengono piccole inserzioni pubblicitarie delle attività collegate al “fai da te”. Insomma questo metodo di comunicazione diventa un sistema divulgativo. Rappresenta la voce di ogni punk il modo di comunicare tra loro e di farsi conoscere da chi il punk non lo segue e anzi lo critica. La loro distribuzione avviene sia attraverso librerie (alcune erano legate ad una funzione studentesca), sia attraverso la posta, ai concerti o nelle messaggerie musicali. Le fanzine, per un periodo di almeno quindici anni, diventano l’unico mezzo di comunicazione all’interno della scena sottoculturale e fonte di informazioni, notizie e approfondimenti sul mondo punk A contrastare l’ascesa di questi “nuovi comunicatori” ci pensa la legge sulla stampa italiana che obbliga ogni pubblicazione ad essere 4 Blade Runner è un film del 1982, diretto da Ridley Scott. È uno dei più celebri film di fantascienza ed è liberamente ispirato al romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Do Androids Dream of Electric Sheep?, anche noto in Italia come Il cacciatore di androidi) di Philip K. Dick. Il film è interamente ambientato a Los Angeles, nel novembre del 2019. Il pianeta Terra, a causa dell’inquinamento e del sovraffollamento, è diventato invivibile. Chi può si trasferisce nelle colonie extramondo, mentre sulla Terra rimangono coloro che sono stati scartati alla visita perché malati. La città di Los Angeles è perennemente avvolta dalla nebbia prodotta dall’inquinamento, che offusca il Sole e produce una pioggia continua. I moderni grattacieli e le industrie sorgono accanto ai palazzi più antichi, per lo più fatiscenti e adattati alle “nuove tecnologie” facendo passare le tubazioni sulle facciate esterne. L’assenza totale del bello contribuisce a trasmettere allo spettatore la sensazione di claustrofobia. 5 E.Guarnieri detto “Gomma”, Punx. Creatività e Rabbia, Dvd Shake edizioni Underground, Milano, 2006

116


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

sottoposta all’autorizzazione del Tribunale e ad avere la firma di un direttore responsabile, iscritto all’Ordine dei Giornalisti6. Per aggirare questo ostacolo, fin dagli inizi degli anni Settanta, molti autori di fanzine si avvalgono dell’esperienza di Maurizio Baraghini, fondatore della rivista “Stampa Alternativa”, di cui centinaia di pubblicazioni autogestite figurano come supplementi. Baranghini è indicato come direttore responsabile di ognuna di queste fanzine, ricevendo in cambio una lunga serie di procedimenti penali per reati di opinione. Dal 1977 al 1979 assistiamo agli albori dell’editoria Punk anche se in realtà raggiungerà il suo apice solo negli anni Ottanta. È impossibile censire con certezza il numero di punkzine in circolazione in quegli anni, e sopratutto identificare la prima uscita considerando la modalità domestica della distribuzione. Possiamo, tuttavia, definire il capoluogo lombardo come luogo principale della nascita di questo tipo di editoria, vista la sua collocazione geografica, che permetteva una più facile distribuzione sul territorio limitrofo e maggiori mezzi a disposizione. ”Era punk” per la facilità di diffusione delle punkzine in un territorio caratterizzato da numerosi piccoli centri urbani, satelliti di Milano, collegati alla città da una fitta rete di trasporti pubblici, treni, metropolitane ecc.. Il primo prototipo di fanzine punk nasce a Milano nel settembre 1977 con la rivista “PUNKADELIC” a cura di Marzio Bianchi, che contiene alcune traduzioni tratte dal giornale inglese “Rockfolk” e alcune fotografie. 6 Legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti del 3 febbraio 1963, n. 63

117


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

Ma per avere una vera pubblicazione autogestita bisogna attendere l’arrivo di “Duda”.

3.2 - Le punkzine a partire dal Dada+ Punk Nell’ottobre del ’77 esce in mille copie al prezzo di lire 3.000 ciascuna “DUDU”, che prende il nome dalla fusione di DADA + PUNK. E’ un foglio di agitazione dadaista, ancora infarcito di demenzialità, di disperazione e di rabbia. “Dudu” è considerata la prima punkzine italiana, organo del movimento duduista. Della rivista escono in tutto sei numeri, influenzati da ciò che stava accadendo in Inghilterra. E’ il primo esempio di rivista caratterizzata da uno stile nuovo; in cui gli argomenti trattati risentono del movimento del Settantasette: “Siamo i dudu siamo la rabbia vogliamo ribellarci ora! Rifiutiamo il lavoro nelle fabbriche e soprattutto attacchiamo frontalmente la logica della militanza, il personale è politico” e ancora :”infondo a noi non ce ne frega niente, neanche della musica punk o dei punk, a noi interessa solo l’abolizione del futuro e della memoria”7. È la prima rivista in Italia a pubblicare le traduzioni integrali delle canzoni dei “Sex Pistols”, dei “Crash” e delle “Slits”. Nel gennaio del 1978 “Dudu” cambia nome e diventa “Pogo”8, dal 7 M.Philopat Costretti a Sanguinare. Romanzo sul punk 1977-1984, Giulio Einaudi editore, Torino 2006 8 Questa rivista prende il nome da pogo che è un modo di ballare punk che predilige “la mossa”, il ballare tutti insieme a spintoni e spallate. David Dalton, “Con un lucchetto al collo”, Sperling&Kupfer, p. 46: “Eccomi là al concerto dei Sex Pistols: nel pieno parossismo dello spirito santo comincio a saltare su e giù con libero divertimento (in realtà lo facevo per vedere quegli stupidi stronzi suonare saltando al di sopra delle teste di quelli che stavano davanti a me) e, potessi crepare non invento mica casualmente il pogo, grazie al quale ottengo l’immortalità?” Sid Vicious

118


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

famoso ballo punk. Con il nuovo nome escono solo tre numeri. A cambiare non è solo il nome, bensì anche la grafica e i contenuti che si avvicinano sempre più all’universo punk. L’aspetto stilistico, fondato sull’uso continuo del collage e su una grafica infantili, guarda alla tecnica che caratterizza le copertine dei dischi dei “Sex Pistols”, ideata da Helen Wallington – Lloyd, come afferma McLaren “E’ stata Helen, la ricordo seduta sul pavimento nell’alloggio in Bell Street che tagliuzza l’Evening Standard. La grafica in formato A4 ha lo stile di richiesta di riscatto che è una prerogativa dei criminali e dei militanti clandestini poiché i caratteri di stampa non forniscono impronte digitali come le macchine per scrivere o la scrittura manuale”9. Gli articoli di “Pogo” sono caratterizzati dalle interviste a gruppi musicali punk italiani e stranieri, o Steve Jones che parla di Ronald Biggs – personaggio divenuto famoso per l’assalto al treno dei valori che negli anni Settanta lo trasformò in un ricchissimo proprietario terriero in Brasile. Altri temi fondamentali che vengono trattati all’interno della rivista si riferiscono ai problemi pratici che deve affrontare un giovane che si avvicina alla filosofia punk del “Fai da te”, D.I.Y. (do it yourself) 10. Vengono dati consigli su come creare un look punk senza spendere molto e su come formare una band.

9 J.Savage, Punk!, cit. p. 195 10 D. Curcio, Rumore di carta. Storia delle fanzine punk e hardcore italiane dal 1977 al 2007, Redazione, Genova, 2007

119


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

3.3 - Differenza fra il punk inglese e il punk italiano: “Xerox” A Milano Anna Melluso, in arte “Helena Velena”, forte della sua esperienza inglese, dà il via nel Marzo del 1979 a “Xerox”, che in pochi numeri, inizia a dare visibilità alle band italiane. Marco Philopat nel suo libro “Costretti a sanguinare” descrive Helena Velena: ”grazie a diversi viaggi in Inghilterra era diventata punk già da tempo- è proprio lei che si fa promotrice della nuova pubblicazione- nei primi mesi del settantanove esce Xerox – la prima rivista interamente stampata con la fotocopiatrice”11. La rivista è prodotta interamente con la fotocopiatrice Xerox - il cui uso si diffonde proprio in quegli anni – e da essa deriva infatti il nome della punkzine, in puro stile “fai da te” che riprende l’esperienza di “Pogo”. Nel primo numero fotocopiato e venduto a cinquecento lire, troviamo un’intervista ad Adam&Ants e altri articoli su Sid Vicious, le Slits e accanto alla testata compare la scritta “Se volete contattarci cercateci”. Lo stile grafico è più essenziale e originale rispetto all’editoria classica. I contenuti sono pungenti e critici. Si parla meno di musica, ma si dà ampio spazio alla trattazione dei problemi legati alla condizione dei punk italiani. Caratteristiche della rivista sono le provocazioni imperanti che Helena Velena rivolge al provincialismo italiano che identifica il punk come un movimento estetico votato esclusivamente alla violenza, senza capire invece che il punk è attitudine e provocazione ideologica: ”La PROVOCAZIONE è 11 M.Philopat, Costretti a Sanguinare, cit.

120


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

ben altra cosa, non il costume del sabato o la discoteca-ghetto, è L’ATTITUDINE, come vivi da quando apri gli occhi la mattina a quando li richiudi di notte- non è un etichetta che compri né da Seditionaries di Vivienne Westwood né da Carù, unico negozio di dischi punk- e allora chi continua a parlare di punk e perché? chi ne parla è un estraneo altrimenti avrebbe vergogna a usare una parola inventata da altri- per inscatolare e soffocare/ definire chi questa cosa se la vive e basta- qualsiasi nome abbia - QUINDI IL PUNK NON è MAI MORTO perché PER FORTUNA UN MOVIMENTO PUNK NON è MAI NATO”12.

3.4 - Punkzine politica italiana: “Attack” Negli anni Ottanta sulla scia della nascita dell’ HC ( hardcore) e del forte impegno socio-politico punk, vengono prodotte numerose fanzine che per merito dell’attivismo dei seguaci del movimento porta quasi ogni città ad avere delle uscite cartacee indipendenti. Una vera e propria fanzine politica italiana uscirà solo nel 1981, a Bologna, intitolata “Attack”. La pubblicazione serve a informare e rendere noto ciò che il monopolio della stampa cerca di nascondere. Il primo editoriale dichiara: “Dunque questa punkzine serve proprio ad informare, a rendere noto ciò che il monopolio della stampa borghese, infarinandoci di SOLO MUSICA cerca di nascondere, e ciò che l’editoriale di sinistra, dopo averci per anni accusati di fascismo o atteggiamenti nazisti, e ora resasi conto del 12 M.Philopat, Costretti a Sanguinare, cit.

121


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

colossale abbaglio, cerca di propinarci in modo aleatorio, esterno e tendenzioso sul punk. Perciò questa punkzine come informazione in primo luogo e come lotta alla misinterpretazione del punk, perché nessuno meglio di noi può dire ciò che noi siamo”.13 Nonostante fosse di difficile lettura per la grafica disordinata, la rivista è consultata da molti, e porta alla formazione di numerosi collettivi punk, soprattutto nella provincia bolognese, prima di allora isolata. I contenuti, anche se stilati in maniera confusionaria, sono molto significativi. Le critiche non tardano ad arrivare perché una parte dei componenti del movimento punk non riusciva a leggere il prodotto così complesso, ma i responsabili rispondono che: “un contenuto rivoluzionario non può essere espresso se non in forma rivoluzionaria. Pertanto la facile leggibilità avrebbe sminuito il tutto”14. Con “Attack” si apre un nuovo periodo in cui nasceranno molte altre punkzine proprio per dare una comunicazione diretta da “punk a punk”.

3.5 - Le più famose punkzine Tra le più famose punkzine italiane troviamo : “T. V. O. R. (Teste Vuote Ossa Rotte)”, “Anti Utopia”, “Punkaminazione”. La prima tratta principalmente della scena hardcore italiana e americana. Pubblicata tra il 1980 e il 1985, inizialmente da Stefano Valli “Stiv Rottame” e successivamente con la collaborazione di 13 D.Curcio, Rumore di Carta. Storia delle fanzine punk e hardcore italiane dal 1977 al 2007, cit. p.78 14 R.Pedrini, Ordigni. Storia del punk a Bologna, Roma, Castelvecchi, 1998, p.50

122


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

Maniglia. La rivista - nei cinque anni di diffusione - è stata un punto di riferimento per tutti i punk, italiani e non, che a suo tempo hanno avuto modo di leggerla o semplicemente di sfogliarla. È più volte definita una delle migliori fanzine mai uscite: geniale e innovativa nella grafica e nei contenuti, ricca di foto spettacolari e di interviste fatte a un numero considerevole di gruppi hardcore punk. “T.V.O.R” fa rivivere e racconta, in chiave sempre ironica e intelligente, tutto il meglio della scena mondiale dei primi anni ottanta. Il primo numero è redatto nel settembre del 1981. Al suo interno si possono trovare traduzioni di canzoni dei “Crass”, “Discharge”, “Black Flag” e il live report del concerto dei “Dead Kennedys” a Gorizia. Già dalla seconda uscita i collaboratori della rivista iniziano a contattare le band estere per avere più foto possibili. Il numero tre segna una svolta nei metodi di stampa. Infatti, se inizialmente ad avere un ruolo preponderante era la fotocopiatrice, il terzo numero viene stampato in tipografia. Gli aspetti interessanti di questo numero sono le pagine dedicate alle recensioni delle fanzine e dei dischi autoprodotti. “T.V.O.R”. comincia ad assomigliare sempre più ad una rivista vera e propria, si avvale di foto reporter, supera per qualità e contenuti molti mensili musicali da edicola. Ma non tutto è facile. Arrivano le difficoltà per l’uscita dei numeri successivi sia per i costi molto alti di produzione che della spedizione. L’Aprile del 1985, il quinto numero di 104 pagine segna la fine della pubblicazione della rivista. Realizzare la rivista è diventato troppo faticoso: “Ci volevano mesi solo per assemblare il materiale,magari eri in attesa della risposta di un gruppo che volevi mettere a tutti i costi e quindi tardavi a 123


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

chiudere la fanzine. Era diventato un lavoro molto pesante. Anche i costi di produzione erano lievitati a livelli immaginabili.”15 Le altre punkzine sono:“Anti Utopia”, scritta dal collettivo che gestisce il “Virus” a Milano, diventa un giornale con approfondimenti politici e sociali;“Punkaminazione”, che ricopre un ruolo importante per i collegamenti tra tutti i punk del territorio nazionale, è un bollettino di coordinamento tra le varie realtà punk italiane, dove vengono segnalati date e luoghi sia dei concerti di gruppi italiani e stranieri, che degli appuntamenti dei collettivi e delle manifestazioni pubbliche;“Rockerilla” e “Mucchio Selvaggio” che si diversificano dalle prime per le migliori competenze giornalistiche dei componenti della redazione. Durante gli anni Novanta fino ad oggi, nonostante l’Hardcore non sia scomparso,le funzine di questo periodo si caratterizzano per essere più garage/rock. Seguono fanzine più sdrammatizzanti, ma non per questo meno efficaci e puntuali nell’informazione, da “AbBestia!” a “Non Ce N’è”, da “Parcodio” a “Bam!”. La prima, scritta e diretta da Andrea Pomini, tra il 1992 e il 1997 di cui si annoverano sette numeri, è definita “eclettica” dagli appassionati. Contiene decine di recensioni di dischi, demo e lunghi articoli su argomenti non necessariamente legati alla musica e alla scena punk. Oggi la si può definire un Blog in cui l’autore esprime liberamente il suo punto di vista istaurando un rapporto diretto con i lettori. L’idea di pubblicare questa fanzine è quella comune a tutte le altre di comunicare per iscritto, di fissare le opinioni dell’autore e di renderle pubbliche. Nasce quindi da 15 Intervista a Stefano Rottame del 10 gennaio 2007, in Rumore di carta, cit. p.130

124


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

un esigenza. ”E’ il fotografare qualcosa che si pensa valga e che nessuno altrimenti fotograferà, il dire la propria senza aspettare che qualcuno la chieda”16. Il mondo “fanzinaro” degli anni Novanta è vivo e in fermento. C’era molto scambio e molta comunicazione, anche se i mezzi sono ancora quelli pre-internet, canale che invece ha aiutato la fruizione delle più recenti webzine. L’avvento della rete ha esposto sul web parte delle attività. Ci sono tutt’ora esponenti che preferiscono il cartaceo. Tra le varie webzine, ricordiamo “Lovehate80” e “Lamette”.

16 Intervista ad Andrea Pomini del 18 gennaio 2007, in Rumore di Carta, cit. p 136

125


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

126


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

127


Capitolo 3 - I processi di comunicazione del punk in Italia

128


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

“C’è una tale quantità di informazioni che cammina ogni giorno per strada

che è impossibile non esserne ispirati”

(John Bartlett, Excess)

129


Capitolo 4 - EreditĂ punk nella moda e nella societĂ

130


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

Eredità punk nella moda e nella società

4.1 Dalla strada alla passerella Nel corso della sua storia il punk è stato assorbito dall’industria della moda. Roland. Barthes ci insegna che il sistema della moda e, la sua industria, si appropria dello stile sottoculturale nel momento in cui la sua forza ideologica originaria non può essere ignorata perché essa ha vinto “non solo una guerra ma una battaglia culturale campale”1. La moda negli anni Ottanta e Novanta acquisisce lo stile della strada ispirandosi alle sottoculture. Essa, attraverso l’assorbimento di alcuni oggetti che caratterizzano lo stile di una determinata sottocultura, “burocratizza” ogni progetto di singolarità, come testimonia Roland Barthes nel suo saggio “La figura del Dendy”.Il sociologo sottolinea che la moda ha distrutto la figura del dendy nel momento in cui i suoi abiti che caratterizzano vengono istituzionalizzati e resi conformi alla moda “Inoculare attraverso la moda un po’ di dandismo ad ogni vestito contemporaneo ha significato uccidere fatalmente il dandismo”2. Lo stesso concetto possiamo riportarlo nel caso del punk infatti, in quanto la moda ha ucciso lo stile punk nel momento in cui se ne è appropriata. E’alla fine degli anni Ottanta che molte case 1 R. Barthes, Il senso della moda, p.81 2 Saggio di Roland Barthes “La fine del Dandismo” in Il senso della moda. Forme e significati dell’abbigliamento, a cura di G. Marrone, Einaudi, Torini, 2006, p.74

131


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

di moda adottano indumenti e accessori tipici della scenografia sadomasochista di cui si sono appropriati i punk: pelle nera, latex, stivali alti, pellicce, reggicalze, busti, lacci, borchie. Quando tutti gli ardori rivoluzionari sono esauriti, la logica del sistema industriale riesce a impadronirsi degli stilemi fondamentali dell’estetica punk, ma solo per quanto concerne il loro versante estetico perché tutto lo stile viene elaborato e stemperato delle componenti eversive che lo caratterizzano. Infatti quello che viene ripreso dalla strada deve essere manipolato dallo stilista per agevolarne l’entrata nella moda. L’oggetto ora deve essere “agibile” a tutti ed essere trasformato per avvicinarlo al concetto di “bellezza”. Pertanto, quasi sempre, esso rappresenta, e il punk ne è un esempio, il frutto di una rivolta individuale o più spesso la creazione di gruppi sfaccettati che si rifanno a determinate sottoculture. Ci vuole, pertanto, la mediazione dello stilista affinché i vestiti, portavoce di una sottocultura diventino dei veri modelli fruiti dalle masse. La moda eliminando l’identità sotto culturale dello stile punk, crea un trend. Lo stilista che si rifà al punk, per la creazione delle collezioni, manipola i capi di abbigliamento cambiandone i significati simbolici, mantenendo però di questi: l’essenza, l’atmosfera di ribellione. La stilista che per prima ha portato capi di abbigliamento punk sulle passerelle è Vivienne Westwood. Possiamo sostenere che grazie a lei approdano nella moda le t-shirt strappate, le spille da balia e gli slogan situazionisti. La prima sfilata della stilista avviene a Londra nel marzo 1981, con la collezione “Pirates”, ma i suoi modelli non traggono più ispirazione solo dal punk ma anche da elementi relativi

132


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

ai costumi del XVII e XVIII secolo, tra cui il corsetto e il fauxcul sincretizzandoli con gli oggetti fondamentali del punk. E’ ancora lei che riesce a sdoganare accessori e indumenti d’ispirazione sadomasochista come lo stile borchiato, il reggiseno di pizzo o di gomma messo sopra ai vestiti, che definiscono il “punk fashion”. Vivienne Westwood, musa e icona del punk”, continua ancora oggi a caratterizzare le sue collezioni con capi ispirati al punk. La linea “Red Label” ne è una prova. Per la sua presentazione la stilista mette in scena uno show per omaggiare tutte le ragazze che hanno “trasformato King’s Road in uno spettacolo di moda senza fine a partire dagli anni Settanta. C’erano tutte: segretarie sexy, ragazze punk e glam”3. In questi ultimi anni Vivienne Westwood è tornata a Londra con una seconda linea fatta di tessuti rigati, kilt in tartan, cardigan e cappotti. E’ lei che rende fashion una semplice spilla da balia con la sua nuova collezione chiamata “Hardcore Diamonds”. La spilla da balia è stato uno degli elementi che la moda ha maggiormente ripreso dallo stile punk e non caratterizzano solo lo stile della Westwood, ma anche quello di altri stilisti come Versace. Lo stilista italiano ha scandalizzato l’establishment con l’abito “Safety-pin dress” indossato da Elizabeth Hurley in occasione della Premier londinese, nel 1994, di “Quattro matrimoni e un funerale”, che è ormai entrato a far parte della top ten dei più memorabili vestiti da Red Carpet:“Richard Martin legge e mislegge questo abito come versione anti borghese del piccolo abito nero di Chanel. L’abito di Chanel infatti esprime la rinuncia ad un abbigliamento 3 Sito internet www.pittiimmagine.it

133


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

d’elite. Lei traduce in termini sartoriali la voglia di emancipazione della donna. Così l’abito di Versace espone il corpo con audacia, lo spettacolarizza.” 4 Chanel col suo abitino nero dà “diritto di presenza” al corpo femminile in quanto lo rende libero da tutti gli ornamenti che costringevano la silhouette come i busti che falsavano la volumetria. “L’abito nella sua valenza innovativa viene rapidamente metabolizzato e fatto oggetto di consumo di massa”. L’abito creato da Versace per Elizabeth Hurley contiene lo stesso messaggio sovversivo dell’abito nero di Chanel che viene ricostruito mediante l’utilizzo dell’oggetto punk per eccellenza: la spilla da balia. Il vestito Safety-pin esibisce il fisico con audacia, mettendone in risalto l’unione tra corpo e vestito; esorcizza il corpo “Il seno, raccolto appena quanto basta da un corpino precariamente sostenuto da spalline appuntate con piccole Safety pins bijoux, irrompe dall’ampio e profondo décolletage, e la pelle esposta sul fianco destro, presa nella continuità di tessuto e corpo, si fa tutt’uno con le grandi spille, safety pins, in oro e argento che suturano il vestito lungo l’apertura laterale”5. Questo spacco, che rende altamente visibile buona parte del corpo, sciocca ancora dopo l’ormai satura lezione del punk. Sembrerebbe che nulla ormai potesse scandalizzare; ma in realtà ci rendiamo conto che la piccola dimensione dell’abito rende visibili alcune parti del corpo. Esso manifesta un’audacia, una voglia di femminilità che porta ad annullare i vecchi intenti e i vecchi significati della spilla 4 Vittoria C. Caratozzolo, “Una safety pin per Elizabeth. Un accessorio Hard-edge. Dalla sottocultura punk all’alta moda” in Abito e identità. Ricerche letteraria e culturale a cura di Cristina Giorcelli vol.V p.245 5 Ibidem p.248

134


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

da balia. Questi vengono aboliti nel momento in cui si trasformano in veri bijoux dorati o d’argento che espongono il marchio dello stilista. Diventano essi stessi elementi caratterizzanti di uno stile non più appartenenti solo alla sottocultura, ma anche all’alta moda. Ma è possibile che uno stile che ha cercato di scandalizzare con i suoi capi oggi è solo elemento di moda? E la filosofia del do it yourself, che ne ha caratterizzato i modi di messa in pratica di questo stile, che fine ha fatto? Tutte le pratiche di autoproduzione caratterizzanti il movimento punk oggi non ci sono più? Esistono ancora delle pratiche che si rifanno alla filosofia do it yourself? Le autoproduzioni che si basavano sulla teoria del no profit, materiali autoprodotti e poi venduti a prezzi bassi per garantire un minimo di auto sostentamento, oggi esistono ancora? 4.2 I Punk di oggi Un esempio della sua esistenza sono tutti quei laboratori che sussistono autoproducendo arte, musica e abbigliamento. Tra questi porto l’esempio di Roma dove un network chiamato “Occhio del Riciclone” si avvale del concetto punk per creare una scena secondaria e di contrasto alle pratiche vestimentarie di mainstream. Costruire questi laboratori è il modo più efficace per mantenere la propria indipendenza dalle pressioni che “l’establishment” fa sugli artisti. Il desiderio di autonomia non si ferma alla semplice autoproduzione. Gli eventi inerenti alla cultura del do it yourself ruotano attorno a spazi dove non trovano posto promoter, organismi

135


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

governativi e poliziotti. Un esempio di autoproduzione è “Occhio del Riciclone”. Questo collettivo attraverso la creazione di una sartoria indipendente porta aventi quelle che sono le ideologie del “do it yourself”. Ancora oggi le sottoculture tentano di ri-organizzare la vita, appropriandosi di spazi nei quali lavorare liberamente per creare uno spazio che contrasta il mondo che ancora oggi è visto, sempre più minacciato in nome del potere, dello sfruttamento e del denaro. 4.3 “Occhio del Riciclone” L’Occhio del Riciclone è una cooperativa di giovani che nasce agli inizi del 2003. Ne fanno parte: rigattieri abusivi, svuota-cantine, baraccati, occupanti di case e artisti che riutilizzano gli scarti. Dalla sua nascita questo network ha realizzato un gran numero di esposizioni artigianali e artistiche nelle feste e nelle fiere, e alcune mostre in luoghi di nicchia come, ad esempio, i centri sociali. Molto importante nell’Occhio del Riciclone è la realizzazione di un laboratorio sartoriale. Costituitosi in cooperativa, ha inaugurato nella Primavera del 2006 la prima sartoria artistica italiana, fondata esclusivamente sul riuso. Le sarte dell’Occhio del Riciclone recuperano materiali tessili di scarto e li ri-impiegano per la creazione di nuovi capi e accessori di abbigliamento. La costante tensione creativa necessaria per inventare modelli, partendo da materiali sempre diversi, trova impulso da un grande grado di contaminazione prodotto dalle pratiche punk. Attraverso il riuso cercano di provocare la società per sensibilizzarla con

136


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

occhio però attento alle improcrastinabili esigenze ambientali. Pongono attraverso il riutilizzo di materiali che all’apparenza sembrerebbero ormai storia conclusa, un contrasto, una denuncia verso la società che pone i problemi senza trovarvi rimedio. In questo riconosciamo gli intenti punk, cioè i rimedi ad una società ormai votata al consumismo. Il laboratorio cerca di “educare” il pubblico a riusare oggetti che erano stati gettati, ma che secondo loro ancora non avevano “concluso la loro vita”. In colloquio con Roberto Perciballi ci siamo posti la domanda: Su cosa i giovani oggi cercano di porre l’accento? Egli sottolinea che prima, nella sottocultura punk, i dibattiti erano precursori di una rivolta culturale, oggi sembrano fine a se stessi. I giovani nell’epoca attuale vogliono cambiare le condizioni sfavorevoli in cui vivono, ma i dibattiti restano solo pura teoria perché non valicano i confini dei centri all’interno dei quali si sviluppano. Al contrario, l’Occhio del Riciclone sembra voler suscitare nella popolazione una sensibilità, sia verso il degrado urbano che verso quello psicologico Le ragazze del laboratorio tengono dei seminari di educazione “ al riciclaggio” all’interno delle suole per sensibilizzare la popolazione e scardinare le ideologie di massa. Cercano di abolire l’idea per cui un capo ben fatto e bello deve essere di marca ma che esso con le stesse caratteristiche può essere creato con tessuti riciclati. Attraverso molte iniziative, e grazie alla vendita di un abbigliamento autoprodotto, le fondatrici di Occhio del Riciclone, si autofinanziano la sartoria, creando al suo interno un laboratorio sartoriale per donne in tarda età.

137


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

4.4 Intervista Per capire meglio cosa è “Occhio del Riciclone” e quale sono state le influenze, ho intervistato Ciska, una delle fondatrici della sartoria dell’Occhio del Riciclone. Per aprire la sartoria avete chiesto dei finanziamenti? Sì. Abbiamo chiesto il finanziamento come previsto dal Ministro Bersani nell’ultimo Governo della Sinistra, per l’acquisto di attrezzature e per affrontare le spese iniziali di affitto, e le utenze varie. Cosa vi ha portato a chiedere un finanziamento? Noi tutti veniamo da una situazione di controcultura, veniamo dalle occupazioni, dalle logiche extra rivoluzionarie. Ciò che ci ha fatto diventare “istituzionali” è che quando parli di uso e riciclo bisogna stare attenti a ciò che vai a focalizzare. È ovvio che se parlo di uso e riciclo e poi devo stare al di fuori delle Istituzioni non riesco ad accedere ad esempio ai teloni pubblicitari, che possono essere riusati. Fare una cooperativa e istituzionalizzarsi, ufficializzarsi o legalizzarsi, è servito per accedere a varie azienda che forniscono il materiale di scarto. E’ comunque funzionale all’intento del riuso la quantità. Io fino a quando stavo in occupazione avevo per esempio la mia bella stanzetta, la mia bella macchina da cucire, ma a livello di quantità non è che andassi a riciclare chissà che cosa. Facevo la mia parte grazie all’aiuto degli amici che mi portavano oggetti e io li decontestualizzavo e li trasformavo. Insomma, la mia bella figura la facevo ma era più di immagine che di aiuto sociale o 138


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

ambientale. Era fine a se stessa. Allora secondo te le autoproduzioni oggi non si possono più fare a livello extraistituzionale? No. Non dico questo. Però effettivamente noi non abbiamo trovato tutte questi sbocchi anche se è vero che non ci siamo fortemente cimentati. Sicuramente veniamo tutti da una situazione contro il sistema, ma il concetto di metterti contro non ci ha più fatto stare bene. Noi abbiamo preso una filosofia che più di mettermi contro non ti do proprio retta, io faccio quello che devo fare. Che cosa è Occhio del Riciclone? E come nasce? Nasce nel 2003 al centro sociale occupato, chiamato “Strike”, a Roma, da un gruppo di ricicli. È un gruppo di artisti, artigiani, operatori: cioè più che operatori, direi studiosi dei rifiuti; appassionati a portare avanti gli studi sul riciclo. Diciamo che Occhio del Riciclone è diviso in due parti. Una comprende gli studiosi e l’altra invece gli artigiani, cioè noi con il laboratorio sartoriale. Gli studiosi si occupano soprattutto di consigliare le Amministrazioni su come adottare il riuso. E’ quella parte che attesta, attraverso degli studi, dei fogli scritti, che il riuso se fatto in piccola scala è meglio rispetto al riciclaggio delle industrie. Ad esempio se si trova un tavolino rotto, lo puoi aggiustare, decontestualizzare e farci un’altra cosa, sempre a livello artigianale, e poi o lo tieni o lo immetti sul mercato dell’usato. Noi parliamo molto di riciclo, ma in realtà è riuso. Noi diciamo che facciamo la politica del rifiuto, anche con i rom, che sono

139


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

culturalmente votati a questa, e vengono definiti dei rifiuti umani come d’altronde lo siamo pure noi che veniamo dalle occupazioni del sistema, dalle “feste” cioè da tutte situazioni di degrado, da sbattimenti mentali insomma da tutte situazioni di lotte e rifiutati, rifiutati sempre. E’ come se ci stessimo autoriciclando. Abbiamo sempre provocato nella gente un’irritazione quindi diciamo che noi stiamo tentando di auto riciclarci per stare in pace con noi stessi, attraverso la creatività. Quanti siete in laboratorio? Siamo in sette: Basil e Sevril che sono la coppia Rom; Federica e Francesca che si occupano dei laboratori e del riciclo- riuso dell’arredamento e Aurelia ed io. E’ tra di noi una collaborazione continua. Con cosa avete iniziato? Abbiamo iniziato cinque anni fa con gli abiti usati perché noi veniamo da quell’ambiente. Mano a mano ci siamo accorti che gli abiti usati già avevano un canale di riciclo perché ci fanno gli stracci, ci sono i mercati dell’usato, c’è già un bel flusso di riciclo. Non è quindi che andando a riciclare facessimo tutto questo cambiamento. Ci siamo focalizzati sugli scarti di produzione, sugli scarti del taglio, sia tessili che di Pvc, e cioè i teloni dei camion. Poi usiamo camere d’aria, cinture delle macchine, pezzi che troviamo nei cassonetti che andiamo a riesumare, a sistemare, dandogli un contesto tutto nostro. Effettivamente il nostro fine è quello di dimostrare alle Istituzioni che non è vero che gli scarti si possono

140


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

riciclare, superando il luogo comune che andare a riciclare gli scarti è difficile, perché non necessariamente trovi quello che ti serve. Invece non è vero. Mi puoi fare un esempio? Ci avevano commissionato 15 borse per le biciclette. Mentre ero sull’autobus, una signora titolare dei teloni pubblicitari, mi mette in contatto con chi smonta questi teloni. Nel frattempo Aurelia trova questo lavoro: chiedevano 15 borse rosse e uno dei teloni in pvc era proprio rosso. Pieghammo questo telone e appoggiammo il modello e, pensa un po’, gli strati erano esattamente quindici. Che rapporto avete con la politica e con i luoghi autogestiti? Noi siamo autonomi. Non facciamo parte di un partito politico. Non ci appoggiamo a nessuno, ma cerchiamo di proporre delle idee pratiche, anche economiche, alle Amministrazioni per il riciclo dei rifiuti. Il rapporto che abbiamo con la politica, sarebbe la parte più ambientale, cerchiamo di proporre delle idee ambientali e alle volte collaboriamo con il WWF. Non siamo assoggettati, scegliamo di collaborare perché ci sono dei progetti, come il “porta a porta”, che ci interessano molto. Se ci sono delle cose in ballo partecipiamo, è una nostra voglia per portare avanti le idee del riciclo e riuso. Cerchiamo di educare. L’aspetto formativo è una parte preponderante perché cerchiamo di fare corsi nelle scuole, corsi di riuso con bambini, adulti e insegnanti. Quindi siete all’interno dell’Istituzione scuola, non a livello 141


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

politico, ma come educazione all’ambiente? Sì, non a livello politico. Cerchiamo di sensibilizzare i bambini all’educazione ambientale. Ora facciamo anche sfilate per bambini e ci hanno approvato un progetto per fare sfilate, sempre con abiti di riciclo, nelle scuole medie di periferia. Questo è molto bello perché sentiamo di poter in qualche maniera contrastare il consumismo sfrenato, tipico di quella fascia di età facilmente influenzabile da tutte le griffe. Stanno tutti avvelenati con le marche, invece con questi laboratori gli fai capire che con gli scarti, non realizzi un pantalone fatto male, ma puoi creare un prodotto che potrebbe essere anche di massa perché potrebbe anche diventare un modello: piacere a tutti. Quale è il mood del vostro brand, quali sono i tagli sartoriali ai quali vi ispirate? Io sto molto sull’orientale devo dirti la verità. Mi piacciono i tagli a kimono, stiamo sul sobrio, anche se io vengo da una cultura punkstreet e ho alle spalle elementi e tagli più da strada. Infatti, mi sono cimentata di più sull’abbigliamento da uomo, perché è un abbigliamento più blusato, che si avvicina più ad un mio ideale. I capi da donna invece sono creati dalla mia socia Aurelia, perché ha uno stile più retrò, con scollature profonde, molto femminili. Ci siamo suddivise il lavoro, anche se in realtà è una suddivisione fittizia. Perché create abiti con le camere d’aria e la gomma? Sembra che con l’utilizzo di elementi feticistici imitiate molto lo stile

142


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

punk. E’ vero? Sì, perché Aurelia ed io veniamo dagli ambienti delle occupazioni. Vediamo molte volte gli abiti come costumi e li utilizziamo per le istallazioni. Diciamo che la camera d’aria è un materiale curioso perché alcune sono semplici tubi e quindi il risultato dipende dal modo in cui la tagli. Ci sono poi quelle tonde in cui la parte interna è curva in un modo e la parte esterna che è curva nel verso opposto. Significa che tecnicamente hai delle parti già bombate che ti permettono di avere delle pens naturali. Venite allora anche influenzate da quella che è la parte fetish del punk? Sì. Nei nostri capi di abbigliamento anche normali mettiamo elementi in gomma che diventano una sorta di riconoscimento. Ad esempio Aurelia, su alcune gonnelline, metteva il bordino in camera d’aria. Sicuramente non faccio una gonna in camera d’aria, anche se c’è il modo di far indossare questi capi. Se si realizza una gonnellina in camera d’aria, ben foderata, con tecniche adeguate, può diventare un capo indossabile, anche quotidianamente. Nel commercio però sarebbe un po’ anomala. E’ necessaria una fase di sperimentazione prima di lanciarle, perché non puoi imporle e perché non possiamo permetterci di avere delle perdite di produzione. Quali studi avete fatto, se li avete fatti, prima di aprire la sartoria?

143


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

Io sono autodidatta. Quando ero piccola ho fatto sartoria con mia mamma, tipico percorso meridionale. Poi mi sono dedicata all’ambente e iscritta a Geologia. C’erano all’interno delle occupazioni delle mie amiche che già sapevano cucire e mi sono cimentata in questo. Sono partita prima da un riutilizzo in generale dei materiali e poi mi sono data alla sartoria. Quindi tutto ti viene da una sorta di non sapere? Sì. Diciamo che mi sono interessata e poi ho imparato mentre lavoravo e mentre riciclavo. Mi sono autofinanziata la mia cultura sartoriale. Non ho frequentato scuole di sartoria. Abbiamo inventato la linea di “Discarica alchemica”, separata dalla nostra produzione principale, per unire anche altre espressioni artistiche. Ciò ha portato alla creazione di “costumi” in camere d’aria con le cinture di sicurezza. Cosa vuol dire contrastare la società? Il “Do it Yourself” è ancora oggi una contrapposizione al consumismo? Sì. Ci contrapponiamo, con l’autoproduzione, al consumo di massa. Per noi è possibile autoprodursi e fare le cose da sé. Questa filosofia non solo non è morta, ma è oggi ancora più viva. Ci troviamo in un momento di grave crisi economica e questa filosofia potrebbe essere una soluzione. Anche tu sei un’artista e puoi quindi capirci. Noi cerchiamo di dare una soluzione anche a questo degrado ambientale. L’autoprodursi sarebbe la soluzione ambientale per eccellenza. Anche per sfatare il mito dell’industria di massa? Sì, e anche per dare delle credenziali diverse ai dodicenni e

144


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

quattordicenni che pensano che ormai è solo tutto marca e multinazionali. Come se non ci fosse una via d’uscita. Vogliamo far capire che è possibile fare qualcosa anche se inizialmente non sai farlo. Bisogna alimentare i propri interessi. Quali sono le vostre forme di guadagno? Abbiamo due fonti di guadagno: una è quella della produzione e l’altra è quella delle sfilate. Con le istallazioni abbiamo scoperto che è meglio lasciar perdere perché si guadagna molto poco. Le istallazioni sono un percorso che si fa per la visibilità e perché piacciono. Invece il guadagno entra dalla produzione, dalle sfilate e dai laboratori nelle scuole. Sarebbero quindi quelle le tre fonti di guadagno. Però. Le sfilate e i laboratori determinano un rapporto molto complicato e controverso con le Istituzioni, direi quasi squallido perché è malcostume autorizzare i pagamenti sempre con molto ritardo. Quali sfilate avete fatto da quando è nato l’Occhio del Riciclone? Orami sono due anni che facciamo sfilate. Abbiamo iniziato in varie città italiane, perché la Regione Lazio, o il Comune di Roma, non ricordo bene, ci hanno approvato il progetto itinerante “Basura show”. Siamo stati a Padova, Bari, Roma organizzando sfilate sul riuso, con l’obiettivo di far vedere cosa si può realizzare con gli scarti autoproducendoti. Portavamo avanti la filosofia del riuso. Infatti, oltre alla sfilata, c’era il dibattito organizzato da Pietro che si occupa di studi sull’impatto ambientale. I suoi interventi

145


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

erano tutti mirati alla spiegazione di come fondare un’economia basata sul riuso, di grande utilità anche per le Amministrazioni locali. Abbiamo organizzato anche altre sfilate, una anche a Ragusa. Insomma, tutti eventi sul riuso ambientale. Poi qualche sfilata all’estero, meno istituzionale, con amiche che fanno offfashion, artisti che si cimentano nella sartoria, a differenza di noi che facciamo cose più sartoriali, loro creano costumi più da esibire, che da indossare. Siamo state anche a Parigi dove abbiamo portato l’istallazione con le camere d’aria “Campo magnetico” con i Patchwork; a Berlino e a Londra abbiamo portato abiti più underground. Le occupazioni nascono in concomitanza con il movimento punk degli anni Ottanta. Oggi come le interpreti? E’ ancora un concetto così forte? Penso che il concetto di comune è ancora molto forte ma si sta sviluppando verso una linea più pacifica invece che stare lì occupare e poi subito farsi sgombrare. Alla fine oggi occupare è come andarsi “a suicidare”, con questo nuovo Governo, perché occupi e dopo due mesi ti cacciano e ti denunciano. Frequento persone e compagni che hanno aperto dei locali per tutti coloro che ne hanno bisogno, in una visione libertaria. Sono sempre posti in affitto, o associazione. Alla fine vedo che in generale tutti hanno capito che occupare è come un suicidio. Le occupazioni che ci stanno attualmente sono mezzo tramortite non le vedo neanche così aperte tanto è vero che non ho neanche più lo stimolo di partecipare alle assemblee. Ci sono forse dei posti di cui non siamo a conoscenza, ma c’è ormai

146


Capitolo 4 - Eredità punk nella moda e nella società

una chiusura mentale nei discorsi. Oggi siamo in una fase strana non si capisce che fine faranno le occupazione ma al di fuori ci sta un grande background di autoproduzioni. Che cosa è oggi la sottocultura? È una cosa possibile. E’ dimostrare con la propria arte e manualità che oggi le autoproduzioni sono possibili, anche se la mia constatazione è limitata a quello che faccio, perché in realtà dovremmo anche parlare della grande produzione delle fanzine che ha preso piede grazie al web. Oggi con la rete è più facile organizzarsi al livello sottoculturale ed è più facile promuovere la propria autoproduzione. Ora una classica domanda :Quali sono i progetti per il futuro di Occhio del Riciclone? Per quanto riguarda la parte ambientale proponiamo a Roma la nascita di un’isola ecologica, fondata sul riuso, dove i cittadini possono portare le cose rotte ai laboratori di “aggiustaggio” interni all’isola. Questa è un’idea che secondo noi potrebbe abbassare la crisi ambientale. Gli artigiani che aggiustano le cose potrebbe far diminuire la quantità dei rifiuti in maniera considerevole. Altro aspetto è dare più considerazione alla cultura Rom. Per la sartoria, che è il nostro modo di sussistenza primaria, l’obiettivo è quello di diffondere le nostre cose e il concetto stesso che abbiamo applicato. Vorremo che diventasse di uso comune ed entrare nella cultura. Vorremmo far passare in maniera più capillare il messaggio che autoprodursi e autofinanziarsi è possibile.

147


Capitolo 4 - EreditĂ punk nella moda e nella societĂ

148


Capitolo 4 - EreditĂ punk nella moda e nella societĂ

149


Bibliografia Baldelli P., Informazione e controinformazione”, Mazzotta, Milano, 1972

Barthes R., Il senso della moda, Einaudi editore, Milano, 2000 Barthes R., Elementi di Semiologia, Einaudi Editore, Milano, 2002 Beghelloni G., “Il colpo di stato in diretta”, in Problemi dell’informazione, n.1, 1978 Barile N., Sulla moda, della comunicazione, Sassella, Roma, 2001 Barile N., Vol II, “Moda e stili”, in Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda, Roma, Meltemi, 2005 Breton R., Manifesto del surrealismo, Einaudi, Milano, 2003 Calefato P., Mass moda. Linguaggio e immaginario del corpo rivestito, Costa & Nolan, Genova, 1996. Calefato P., I sensi del vestire. L’abito, il corpo, la moda, Castelvecchi, Roma 1999. Cavallari A., La fabbrica del presente. Lezioni di informazione pubblica, Feltrinelli, Milano, 1990 Colaiacomo P., Caratozzolo V., Mercanti di stile. Le letterature della moda dagli anni ’20 ad oggi, Editori Riuniti, Roma, 2002

150


Curcio D., Rumore di carta, Red@zione editore, 2007

Debord G., La società dello spettacolo, Baldini Castoldi Dalai Editore, Milano 2006 Flügel J. Carl., Psicologia dell’abbigliamento, Franco Angeli editore, Milano 1974 Giorcelli C., Abito e identità. Rierca di storia letteraria e culturale, “Una Safety-pin per Elizabeth. Un accessorio Hard-edge. Dalla sottocultura punk all’alta moda”, Ila Palma, Palermo, 2004

Gorman P., Look. Avventure della moda nel pop-rock, Introduzione di Malcolm McLaren Gozzini G., Storia del giornalismo, Bruno Mondadori Editore, Milano, 2000 Grandi R., I Mass Media tra testo e contesto”, Editori di Comunicazione, Milano, 1994 Guarnieri E., Punx. Creatività e Rabbia, Libro in Dvd Shake edizioni Underground, Milano, 2006 Hebdige D., Sottocultura, il fascino di uno stile innaturale, Costa&Nolan, London, 1979 Lemoine-Luccioni E., Psicanalisi della moda, Mondadori, Milano, 2002 Macrì T., Il corpo postorganico. Sconfinamenti della performance, Costa&Nolan, Genova-Milano, 1996 Marletti C., Media e politica, Franco Angeli, Milano, 1984

151


Mckay G., Atti insensati di Bellezza, Shake edizioni Underground, Milano, 2000 McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967

Monneyron F., Sociologia della moda, edizioni Laterza,Bari, 2008 Montesquieu, Saggio sul gusto, Abscondita, Parigi, 2006 Murialdi P., Storia del giornalismo italiano, Il Mulino, Bologna, 2006 Pedrini R., Ordigni. Storia del punk a Bologna, Roma, Castelvecchi, 1998 Perciballi R.,Come se nulla fosse. Storie di punk a Roma (19802000), Castelvecchi, Roma, 2000 Perniola M., “Sex appeal dell’inorganico”, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1994 Philopat M., “Costretti a Sanguinare” Giulio Einaudi editore, Torino, 2006 Philopat M., Lumi di punk-la scena italiana raccontata dai protagonisti, Agenzia X, Milano, 2006 Polhemus T., Style surfing, What to wear in the 3rd millennium, Thames and Hudson, London, 1996 Romani M., Storia economica dell’Italia nel XIX Secolo, Editori riuniti, Milano, 2000

152


Savage J., Punk. I Sex Pistols e il rock inglese in rivolta, Arcana editrici, Milano, 1994, traduzione italiana Saviolo S., Testa S., Le imprese del sistema moda il management al servizio della creativitĂ , Etas, Milano, 2005 Steele V., Fetish: Moda, Sesso e Potere, a cura di Nello Barile, Roma, Meltemi editore s.r.l., 2005.

153


WEBGRAFIA

www.anarchaos.it www.culturalstudies.it www.dellamoda.it www.diy.splinder.com www.geocities.com/punkscenes www.gproni.org/dispense_poli/semio_trend.pdf www.jewelleryofzandrarhodes.com www.laprugnaelettrica.it www.punkadeka.it www.punksunidos.com.ar www.punkwave.it www.riflessioni.it/enciclopedia/nichilismo.htm www.radioclash.it www.scaruffi.it www.sempre-italia.de/service www.uniurb.it/giornalismo/lavori/crociani : www.culturalstudies.it/dizionario/lemmi/fashion_theory.html www.meltemieditore.it/GiornaleElementi.asp?IdGiornale=53 www.pittiimmagine.it/pittiblog www.maltemieditore.it www.corriere.it www.Occhiodelriciclone.it www.punkcouture.com

154


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.