FERMIAMO LE TRIVELLE
n째centoquindici
GREENPEACE NEWS - N.115 - IV TRIMESTRE 2014 - ANNO XXVIII
Poste Italiane SpA. Spedizione in abbonamento postale D.L.353/03 (conv.in L.27/02/2004 n째46) art 1 comma 1 aut. DCB Roma
NEWS PERIODICO DI GREENPEACE ITALIA
SOMMARIO
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4 SPECIALE
Nuovo tour della Rainbow Warrior
FORESTE
CLIMA
Il legno illegale dall’Amazzonia
Un pessimo accordo
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Foto copertina/ © Francesco Alesi/Greenpeace
DAL MONDO
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Questo periodico è stampato su carta amica delle foreste: carta riciclata contenente alte quantità di fibre post-consumo e sbiancata senza cloro.
EDITORIALE di GIUSEPPE ONUFRIO
CON IL DECRETO Sblocca-Italia il governo Renzi ha deciso di proseguire sulla strada indicata dai precedenti governi Monti e Letta: dare spazio alle trivelle per estrarre tutto il petrolio e gas che c’è nel sottosuolo italiano, una spinta all’industria fossile che fa da contraltare a una sostanziale frenata nel campo delle fonti rinnovabili. Lo “sblocca trivelle” prevede una semplificazione dei processi di Valutazione di Impatto Ambientale e un accentramento delle competenze che dalle Regioni passerebbero allo Stato. Insomma, meno controlli e più distanza tra chi decide e i territori interessati. A parte il balletto delle cifre, per cui da parte petrolifera si parla di numeri doppi rispetto a quelli pubblicati anche quest’anno dal Ministero per lo Sviluppo Economico, anche ammettendo che siano vere le cifre più ottimiste, avremmo sotto il suolo italiano petrolio e gas per qualche anno dei nostri consumi. Se poi ci limitiamo al petrolio che sta sotto il mare, le quantità certe coprono appena un paio di mesi di consumo. Mettere a rischio i nostri mari per così poco è un’assurdità e proprio per questo il tour della Rainbow Warrior nei mari italiani, che si è chiuso a ottobre, è stato incentrato sulla campagna contro le trivellazioni in mare. La presenza della nostra nave, le iniziative congiunte con le altre associazioni ambientaliste hanno aiutato a compattare un fronte anti-trivelle (contro l’articolo 38 del decreto) che oggi vede istituzioni locali e regionali prendere iniziative e promuovere ricorsi. Nonostante questo, il governo imperterrito va avanti. Tacciare come “comitatini” chi si oppone a quell’articolo (anche diversi parlamentari) è un modo per non rispondere alle critiche, non dialogare, cercando di mortificare le posizioni altrui. Noi continueremo la battaglia. Nel frattempo, a livello internazionale, registriamo un importante successo: la campagna che chiedeva a Lego di rompere il contratto con la Shell (oltre un milione di firme, 70 mila in Italia)
ha avuto successo: come chiesto da Greenpeace, Lego ha stracciato – pur se malvolentieri – il contratto da 110 milioni di dollari con Shell per distanziarsi dall’impegno della compagnia petrolifera che vuol perseverare con le trivellazioni in Artico. In Alaska, dove le attività sono state interrotte dopo il disastro della Kulluk del gennaio 2013, Shell ha appena chiesto un’estensione di cinque anni dei permessi di ricerca. L’accordo in sede EU sugli obiettivi per la tutela del clima al 2030 è stato deludente. Si è preferito fare un accordo anche al ribasso piuttosto che rinviare, accontentando le posizioni contrarie a un impegno più serio sugli obiettivi delle rinnovabili e dell’efficienza energetica (quest’ultima a parole la vogliono tutti ma rimane sempre la cenerentola delle politiche). Guardando ai pochi aspetti positivi, il testo consente una revisione al rialzo, ma rappresenta una battuta d’arresto sulle rinnovabili, il cui tasso di crescita viene rallentato. Buone notizie arrivano invece sul fronte energetico nazionale: oltre alla cancellazione del progetto di conversione a carbone a Porto Tolle, battaglia storica di Greenpeace Italia iniziata otto anni fa, la principale azienda elettrica italiana, Enel, oggetto di una campagna anti-carbone, ha annunciato l’intenzione di ritirare 23 centrali a combustibili fossili (olio combustibile, carbone e alcune a gas naturale). Il ritiro di vecchi impianti senza progetti di sostituzione con altri impianti a combustibili fossili è una svolta nelle scelte energetiche dell’azienda. Certo, le rinnovabili stanno modificando il mercato, ma in questa svolta crediamo, insieme a tutto il movimento ambientalista, di avere avuto un ruolo. Mentre chiudiamo ci arriva anche la notizia dello storico accordo Usa-Cina sul clima, senz’altro una base da cui partire. Ma occorre più ambizione.
SPECIALE RAINBOW WARRIOR
NUOVO TOUR DELLA NAVE PER DIRE NO ALLE TRIVELLE
© Francesco Alesi/Greenpeace
di GIORGIA MONTI
LA RAINBOW WARRIOR, nave simbolo di Greenpeace, ha concluso a ottobre il tour “Non è un Paese per fossili”, iniziato l’estate scorsa. Nuova tappa in Sicilia, una delle aree maggiormente interessate da progetti di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare. Letto il decreto Sblocca Italia, che sembra piuttosto uno “sblocca trivelle”, abbiamo deciso di andare a visitare direttamente le comunità minacciate e di dar voce ai “comitatini” (come li ha arrogantemente definiti il primo ministro Renzi) che si oppongono con forza alle trivellazioni. Lo Sblocca Italia indebolisce le valutazioni d’impatto ambientale, già oggi spesso lacunose, ed emargina i governi locali, che avranno ben poca voce in capitolo rispetto a progetti che impatteranno pesantemente sui loro territori. A rischio economie locali fondamentali, come pesca e turismo, a fronte di un ritorno occupazionale minimo, uno scarsissimo gettito fiscale e, visto che stiamo parlando di ben poco gas e petrolio, di nessuna garanzia di indipendenza energetica. LE TAPPE Il nostro tour parte da Licata, affacciata sul Canale di Sicilia, dove 15 progetti di ricerca idrocarburi attendono autorizzazione. A bordo della Rainbow si svolge il primo incontro di coordinamento dei Comuni
siciliani contro le trivellazioni in mare: presenti ANCI Sicilia e ben otto amministrazioni, mentre altre dodici ci appoggiano. I Comuni decidono di promuovere una delibera per chiedere al governatore della Regione Siciliana di impugnare l’articolo 38 dello Sblocca Italia come incostituzionale. Oltre venti comitati si incontrano poi a bordo della nostra nave per organizzare l’opposizione alle trivelle. Proprio a loro vogliono dare voce gli attivisti che pochi giorni dopo partono dalla Rainbow Warrior a bordo di gommoni alla volta della piattaforma Prezioso di Eni Mediterranea. Sono una decina a scalare la piattaforma aprendo uno striscione di 120 metri quadri su cui è raffigurato il premier Renzi che promette “PIÙ TRIVELLE PER TUTTI”. Un’azione per contrastare la politica del governo, e proteggere le vere risorse dell’Italia: il mare, il paesaggio, la biodiversità. Non distante da questa, Eni vorrebbe realizzare una nuova piattaforma, due pozzi esplorativi, sei pozzi di produzione e i relativi oleodotti. Contro il parere positivo dato dal Ministero dell’Ambiente a questo progetto, denominato “Offshore Ibleo”, abbiamo presentato un ricorso al Tar del Lazio, insieme a ben cinque amministrazioni locali. Mentre i nostri attivisti sono sulla piattaforma chiediamo al presidente del Consiglio di confrontarsi con i “comitatini” che in tutta
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Italia sono preoccupati per la deregulation delle trivellazioni. Purtroppo la risposta del governo non arriva e dopo oltre 30 ore di occupazione i nostri attivisti decidono di scendere lasciando il testimone della protesta ai territori. La nave ha quindi fatto rotta su Siracusa per incontrare i parlamentari nazionali siciliani. Insieme a un ospite d’eccezione, Enzo Maiorca, viene presentato un rapporto per denunciare le bugie dei petrolieri svelate analizzando gli studi di impatto ambientale presentati per fare ricerca nel Canale di Sicilia. Ci sono “errori” così grossolani da rendere difficile non pensare alla malafede. La Rainbow Warrior ha concluso a Napoli il tour “Non è un Paese per fossili”, con la presentazione di un rapporto sul valore aggiunto delle rinnovabili in Italia. Contro la propaganda della lobby fossile che dice che le rinnovabili sono solo un costo, il rapporto svela che sono una grande possibilità di sviluppo per l’economia e l’occupazione e la vera alternativa alla disastrosa politica energetica di questo governo. Le migliaia di persone che in queste settimane hanno visitato la Rainbow Warrior testimoniano che gli italiani si stanno muovendo per chiedere un futuro fatto di rinnovabili, efficienza e tutela del territorio e del mare.
LEGNO ILLEGALE DALL’ AMAZZONIA ANCHE A CASA NOSTRA
FORESTE
© Otàvio Almeida/Greenpeace
di ESPERANZA MORA
NUOVE INDAGINI sulle importazioni di legno dall’Amazzonia svelano un traffico di legno illegale nello stato brasiliano del Parà, che viene successivamente esportato in diversi Paesi in tutto il mondo, tra cui l’Italia. Le segherie brasiliane lavorano il legno proveniente dal taglio illegale in Amazzonia e lo vendono grazie a documenti contraffatti agli esportatori. I nostri attivisti hanno monitorato, tramite localizzatori GPS nascosti, dei camion che trasportavano legno: è emerso così che di giorno questi camion partivano vuoti e viaggiavano nel cuore della foresta amazzonica, nelle aree dove il taglio è vietato. Di notte questi stessi camion venivano usati per trasferire il legno da queste aree illegali a tre segherie di Santarém, centro dell’industria forestale dello stato del Pará. Le segherie dichiaravano di ricevere il legno da fornitori e concessioni forestali in piena regola, ma il nostro lavoro sul campo ha svelato una realtà ben diversa. Il taglio del legno avviene il più delle volte in aree non autorizzate, oppure le segherie operano illegalmente. I documenti ottenuti attraverso questa macchinosa frode, come per magia, fanno diventare perfettamente regolare del legno tagliato illegalmente.
AZIENDE ITALIANE COINVOLTE Siamo finiti sulle tracce di importazioni effettuate da sei aziende italiane dopo l’entrata in vigore il Regolamento Europeo del Legno (European Union Timber Regulation – EUTR), che vieta l’immissione e il commercio di legno illegale sul mercato comunitario: Arnosti Legnami, Art e Parquet, Luca Bolotti, Ravaioli Legnami, Tropical Wood e Wellness Italia. Anche dopo le nostre denunce a maggio con il rapporto “Allarme Amazzonia”, alcune di queste aziende hanno continuato a importare legno dalla foresta amazzonica. Per estrarre legni pregiati – come ipé, jatobá, cumarú, massaranduba e garapa – la foresta viene frammentata e degradata: vengono abbattute ampie porzioni di foresta per tracciare strade che consentono un accesso più facile per il successivo taglio a raso. Allo stato attuale e anche grazie alle nostre richieste, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali sta provvedendo all’implementazione dell'EUTR con un decreto legge. Se il decreto venisse davvero applicato e rispettato, il legno illegale che entra in Europa per la prima volta dal nostro Paese dovrebbe essere confiscato dal Corpo forestale dello Stato.
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Secondo il Regolamento EUTR tutte le aziende e gli importatori europei sono obbligati a esercitare la “dovuta diligenza”, un sistema che obbliga a presentare tutti i documenti di legalità della merce e a ridurre al minimo il rischio della presenza di legno illegale nelle proprie filiere. Ma è evidente che se si riesce a frodare il sistema di controllo brasiliano per falsificare i documenti, il legno amazzonico arriva con documenti legali nel mercato europeo. Stiamo lavorando per chiedere a tutte le aziende che operano nella filiera del legno di riconoscere il legno tropicale amazzonico come “legname ad alto rischio”, e prendere le opportune misure per evitarne il commercio. Chiediamo anche al Corpo forestale dello Stato di effettuare gli opportuni controlli sulle aziende italiane e, nel caso in cui si trovino tracce di legno illegale, applicare sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, come prevede il Regolamento europeo. Continueremo a monitorare governi e aziende affinché il legno amazzonico non venga sottratto illegalmente per entrare in casa nostra. La recente azione al porto di Rotterdam per denunciare un carico sospetto in arrivo è solo il primo passo.
UN PESSIMO ACCORDO UE SENZA LEADERSHIP
di LUCA IACOBONI
© Riccardo De Luca/Greenpeace
CLIMA
UN ACCORDO decisamente deludente, inferiore non solo alle richieste delle associazioni ambientaliste, ma anche alla mozione votata dal Parlamento Europeo lo scorso febbraio, e perfino inferiore alla proposta della stessa Commissione Europea (che aveva indicato per l’efficienza energetica un obiettivo del 30 per cento). Il Consiglio Europeo del 23-24 ottobre ha stabilito gli obiettivi comunitari al 2030 per clima e energia. I leader europei si sono accordati per un taglio del 40 per cento delle emissioni di CO2 (da declinarsi in obiettivi nazionali), una quota di almeno il 27 per cento di energia da fonti rinnovabili (obiettivo vincolante a livello europeo) e un incremento di almeno il 27 per cento dell’efficienza energetica (obiettivo solamente indicativo). La politica ha dimostrato ancora una volta di non voler ascoltare i cittadini e le loro ragioni. Non più tardi di un mese fa più di un milione di persone in 159 paesi di tutto il mondo è sceso in piazza per chiedere un accordo globale contro i cambiamenti climatici. E la politica sembra non voler ascoltare neanche quelle imprese, come Ikea, Philips e Swarovsky, che recentemente hanno chiesto all’UE di firmare accordi ambiziosi, in particolare su rinno-
vabili ed efficienza energetica.Non è andata bene dunque, ma poteva andare anche peggio visto che alcuni Paesi puntavano a un singolo obiettivo per il taglio della CO2, ignorando completamente rinnovabili ed efficienza energetica. Resta positivo il fatto che le cifre dell’accordo potranno essere riviste al rialzo in occasione delle conferenza sul clima di Parigi 2015, dalla quale ci si attende un accordo mondiale sui cambiamenti climatici. Per quell’appuntamento l’Unione Europea dovrà aver aumentato l’ambizione dei propri obiettivi se vuole davvero essere leader contro i cambiamenti climatici, in un momento in cui, per la prima volta nella storia, Cina e Stati Uniti, le due superpotenze economiche più importanti al mondo - le maggiori responsabili delle emissioni di gas serra nell’atmosfera - hanno siglato un impegno sul clima. Questi accordi sono ancora lontani dal cambiare le regole del gioco nella lotta al riscaldamento globale, ma sono un punto di partenza su cui costruire politiche ambiziose. RENZI NON PERVENUTO L’Italia, che aveva la presidenza di turno dell’UE, avrebbe potuto giocare un ruolo decisivo ma si è nascosta nell’anonimato. Il
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presidente Renzi, dopo i proclami di New York in cui ha definito i cambiamenti climatici “la sfida del nostro tempo”, ha perso la possibilità di far seguire i fatti alle parole. Purtroppo, a ricordarci che il clima sta cambiando ci sono eventi meteorologici estremi come l’alluvione che ha sommerso di nuovo Genova, nell’indifferenza della politica incapace di collegare questi disastri con le proprie scellerate scelte energetiche. La “rivoluzione energetica” è iniziata, grazie ai cittadini e a molte imprese che stanno puntando sempre di più su rinnovabili e efficienza.In Italia la nostra petizione #nonfossilizziamoci, per chiedere un futuro senza trivelle e carbone, ha raggiunto le 80 mila firme. Su Twitter in 24 ore hanno condiviso il nostro appello a Renzi in 10 mila. Il recente rapporto Ipcc (braccio scientifico delle Nazioni Unite) non lascia dubbi sulla direzione da adottare nei prossimi anni: entro il 2050 bisognerà soddisfare con energie rinnovabili almeno l’80 percento delle necessità energetiche globali, ed entro il 2100 i combustibili fossili andranno completamente eliminati. Solo così riusciremo ad arrivare ad un'economia a emissioni zero in tempo per evitare che le conseguenze del riscaldamento globale diventino irreversibili.
L’INDUSTRIA TESSILE: PIÙ GREEN NEL CORSO dell’ultima kermesse milanese della Settimana della Moda abbiamo annunciato l'impegno per la produzione di tessuti e accessori liberi da sostanze tossiche da parte di sei importanti produttori del tessile italiano: Miroglio, Berbrand, Tessitura Attilio Imperiali, Italdenim, Besani e Zip. L’impegno sottoscritto da queste “magnifiche sei” ha un livello di ambizione mai raggiunto finora da qualsiasi altro impegno Detox. Queste aziende infatti già da oggi hanno eliminato dalla propria filiera produttiva otto degli undici gruppi di sostanze chimiche pericolose che secondo Greenpeace è urgente eliminare. Tra questi gli ftalati e i nonilfenoletossilati, interferenti endocrini che possono avere potenzialmente effetti dannosi sul sistema riproduttivo, ormonale o immunitario. I tessuti e gli accessori prodotti da queste aziende saranno utilizzati anche da quei marchi del lusso che continuano ad ignorare l'impatto che i loro vestiti hanno sull'ambiente e sulla salute di tutti noi. A questi marchi abbiamo mandato un messaggio forte e chiaro. La rivoluzione Detox è già iniziata e Greenpeace insieme all'industria del tessile, a milioni di consumatori e a marchi come Valentino, Benetton, Burberry, Zara non intende fermarla. CHIARA CAMPIONE
LA CENTRALE a olio combustibile Enel di Porto Tolle (Rovigo), un impianto già fermo da alcuni anni, non verrà riconvertita a carbone. Enel ha annunciato ufficialmente la cancellazione del suo progetto industriale nel Polesine, nel bel mezzo del parco naturale del Delta del Po. Abbiamo contrastato la realizzazione di quell'impianto con azioni pacifiche e non violente, rischiando denunce e condanne. Lo abbiamo fatto nelle aule giudiziarie – dove abbiamo opposto un serrato sbarramento ai progetti di Enel – e con una campagna che ha sfidato apertamente l'azienda, la sua immagine, le sue strategie industriali insostenibili. Enel aveva progettato un impianto capace di emettere, in un anno, quattro volte l'anidride carbonica prodotta dall'intera città di Milano e oltre il doppio degli ossidi di zolfo provenienti dall'intero settore trasporti italiano. Le stime dell'impatto sanitario che quell'impianto avrebbe determinato erano terribili: 85 casi di morte prematura l'anno. Considerando che una centrale rimane in funzione anche per quarant'anni, la cancellazione di Porto Tolle vuol dire molte migliaia di vita salvate. ANDREA BORASCHI
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© Alessandro Vasari/Greenpeace
VITTORIA A PORTO TOLLE
© Jiri Rezac/Greenpeace
© Alessandro Vasari/Greenpeace
BREVI DAL MONDO
LEGO ROMPE CON SHELL CI SIAMO riusciti! LEGO ha scelto di stare dalla parte dell’Artico, e, ascoltando più di un milione di persone che hanno sostenuto la nostra campagna, ha chiuso i rapporti commerciali con il gigante del petrolio Shell! I difensori artici hanno chiesto all’azienda di giocattoli di non permettere a Shell di “rifarsi il look”, piazzando il proprio logo sui mattoncini più amati del mondo. Tutto questo è stato possibile grazie ad un video che ha raggiunto seimilioni di visualizzazioni su Youtube, grazie alle mini-proteste degli omini LEGO in tutto il mondo, grazie ad una mobilitazione globale incredibile! Una doppia vittoria, non solo perché Shell si trova sprovvista di un “partner” tanto amato, ma perché dimostra che possiamo farci sentire e convincere anche grandi aziende ad essere più attente. Ora che LEGO ha lasciato Shell, continueremo a chiedere a Shell di lasciare l'Artico. La compagnia ha infatti annunciato di voler trivellare l’Alaska nel 2015 nonostante gli enormi rischi che comporta lavorare in un ambiente così fragile, come dimostrano le denunce di Greenpeace e gli insuccessi accumulati finora da Shell. CARLOTTA GIOVANNUCCI
TONNO IN SCATOLA: NON CI SIAMO LA “CLASSIFICA ROMPISCATOLE” arriva anche in Francia dove le imprese che si nascondono dietro le scatolette di tonno sono spesso le stesse che operano in Italia. Purtroppo la maggior parte del tonno che finisce in scatola, in Francia come in Italia, arriva da una pesca eccessiva e distruttiva, troppo spesso fatta con sistemi di aggregazione per pesci (FAD) che causano la cattura accessoria di squali, tartarughe e cetacei. Agli ultimi posti della classifica francese il colosso MWB, che possiede in Italia Mareblu. In Francia non ha assunto impegni, mentre da noi pur essendosi impegnato a utilizzare entro il 2016 solo tonno sostenibile, secondo un’indagine fatta dai nostri volontari nei supermercati meno del 4 per cento dei prodotti esaminati è pescato “a canna”, uno dei metodi con minor impatto ambientale. Non brilla neanche Bolton Alimentari, colosso italiano proprietario di Riomare, che aveva promesso solo tonno sostenibile nel 45 per cento dei propri prodotti entro il 2013, ma in Francia non ha rispettato l’impegno e in Italia solo il 6 per cento dei prodotti esaminati conteneva tonno pescato a canna. G.M.
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IN RICORDO DI LUCIANA FRISONE
Il lascito a Greenpeace. Per lasciare il Pianeta senza abbandonarlo. Per saperne di più: lasciti.it@greenpeace.org oppure 06 68 13 60 61 - interno 229
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Luciana "Luly" è stata la mia carissima amica per 56 anni, una vita. E' stata mia compagna di studi nell'insegnamento filosofico che seguivamo da più di 25 anni e insieme abbiamo sostenuto Greenpeace per oltre un ventennio. Se ne è andata lo scorso 20 ottobre lasciando in me un grande vuoto, ma mi consola sapere che in futuro ci ritroveremo per vivere una nuova vita. La tua amica Liliana
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1. Città del Messico, Messico – Attivisti protestano
4. Wuppertal, Germania – Greenpeace insieme ad
2. Roma, Italia – Anche quest’anno in diverse città
5. Berlino, Germania – Attivisti aprono uno striscio-
contro la politica distruttiva per l’ambiente del Presidente del Messico, Nieto. ©Ivan Castaneira/Greenpeace
del mondo si è organizzata la pedalata polare in difesa dell’Artico. ©Lorenzo Moscia/Greenpeace
3. Busan, Korea del Sud – In azione contro il
peschereccio koreano 'Insung No3' sorpreso a pescare illegalmente. ©Paul Hilton/Greenpeace
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altre associazioni manifestano contro il TTIP, l’accordo commerciale tra USA e Europa. ©Pascal Amos Rest/Greenpeace
ne sul tetto della SPD per protestare contro le politiche a favore del carbone del partito tedesco. ©Gordon Welters/Greenpeace
6. Auckland, Nuova Zelanda – Attivisti protestano contro la Statoil e i suoi piani di trivellazione nell’Artico. ©Greenpeace.
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CLICK & CO.
di MASSIMO GUIDI