La Mia Autobiografia

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Sono nata alla fine degli anni ’20 e ho vissuto in periodi storici diversi dal punto di vista economico, sociale, culturale e storico: la Seconda Guerra Mondiale, il Dopoguerra, il boom economico, la crisi economica, l’“Austerity”, il recente “lockdown”...e nei miei ricordi ci sono avvenimenti, emozioni, eventi e piccole storie di vita quotidiana che possono sembrare banali, ma che ci raccontano come lo stile di vita sia cambiato negli ultimi novanta anni, quasi un secolo! Sono nata a Cerreto Guidi, un piccolo paese in provincia di Firenze, il 12 o il 13 febbraio 1928. Il 12 o il 13 in quanto, nata il 12 febbraio, fui registrata all’anagrafe da mio padre il giorno successivo. Mentre era in Comune mio padre, Pietro Salvi, decise di registrarmi con il nome di Giuseppina in onore di suo padre Giuseppe, anche se lui e mia madre, Lilia, avevano scelto per me il nome “Mara”. Tutti mi hanno sempre chiamato Mara, ma sulla carta d’identità il mio nome è Giuseppina. Fu dato il nome di Giuseppe, sempre in onore del mio nonno paterno, anche a mio fratello, che nacque nove anni dopo. Mara. 1929

Mio nonno, nato nel 1879, era morto in guerra lasciando la moglie Bianca con quattro figli: Pietro, Lino, detto Nilo, Leone e Pacifica, detta anche zia Pace. Essendo il figlio maggiore, mio padre aveva dovuto aiutare la madre a crescere i fratelli e la sorellina e questa per lui era stata una grandissima responsabilità.

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La tomba di mio nonno si trova nel Sacrario Militare di Redipuglia insieme a quella di moltissimi altri soldati deceduti durante la Prima Guerra Mondiale ed è stata ritrovata solo alcuni anni fa. Il Comune di Vinci ha fatto recentemente ricerche relative ai caduti in guerra ed è stata trovata una lettera indirizzata al Sindaco della città, nella quale mio nonno chiedeva una licenza per poter tornare a casa a sbrigare affari urgenti. La licenza non fu concessa e lui non tornò mai a casa. Mio nonno aveva un fratello, Pietro Salvi, il quale era Consigliere Comunale nel Comune di Vinci. Renato Fucini, famoso scrittore toscano, nelle “Veglie di Neri”, una sua opera in dialetto, scrisse che nel Consiglio Comunale di cui lui faceva parte, c’era “un certo Pietro Salvi, detto Salvino, che alla parola non dava mai la via se non era sicuro di dire una corbelleria”. Mio padre gestì il mulino di mio nonno a Cerreto Guidi fino a quando non decise di lasciarlo ai fratelli per iniziare a occuparsi dei due poderi che aveva a Salvino. Per questo motivo trascorsi i primi anni di vita con i miei genitori a Cerreto Guidi e a Salvino, un piccolo agglomerato di case situato vicino a Vinci. Quando avevo sei anni, andai a vivere a Lazzeretto, un paese non distante da Cerreto Guidi, dove potevo frequentare la scuola elementare e dove vivevano la mia nonna materna Isola, il mio nonno Giulio, e le due sorelle di mia madre, Lavinia e Giulia. I miei nonni avevano una casa molto grande e alcuni poderi con case coloniche, in cui vivevano famiglie di contadini che coltivavano grano e ortaggi, curavano i vigneti, si occupavano della vendemmia e della raccolta delle olive e della frutta, e allevavano mucche, vitelli, polli, conigli, oche, paperi e maiali. Vendevano i polli e i conigli al mercato e dopo aver ricavato il latte dalle mucche lo portavano alla latteria. I maiali, invece, venivano macellati e consumati dalle singole famiglie durante l’anno. Venivano, anche, preparati insaccati Nonno Giulio 3


come salsicce, prosciutto, salame e finocchiona. Tutti questi prodotti venivano, in parte, portati al “padrone”, il proprietario del podere, e per questo la mia famiglia poteva gustare tutte queste specialità. La casa dei miei nonni aveva tre piani. Al pian terreno c’erano un corridoio e una stanza dove si trovava l'ufficio postale del paese. Al primo piano c’era un salotto, un salottino e un’enorme cucina con un tavolo di legno coperto da un marmo bianco, una madia di legno, un acquaio, una grande vetrina e un camino con un gancio di ferro a cui era attaccato un paiolo di rame. Al secondo piano c’erano due camere e un ripostiglio. I letti delle camere erano di ferro battuto ed erano molto alti e i cassettoni, i comodini e gli armadi erano di uno stupendo legno di noce. A mezza scala c’era un “gabinetto”, chiamato “la latrina”, con una botola che faceva defluire le acque di scolo in un pozzo sottostante. La casa non aveva il bagno. In quel periodo le case non avevano i servizi igienici. Ci lavavamo in camera con un lavabo composto di una grande “catinella” bianca e un “brocchetto” contenente acqua pulita, che era freddissima in inverno. Non avevamo il riscaldamento, quindi accendevamo il camino in cucina per riscaldarci, ma nelle altre stanze la temperatura era bassissima. Per scaldare il letto avevamo lo scaldaletto di legno con un gancio a cui si attaccava un caldano con brace accesa. In inverno una volta la settimana, mia nonna e io andavamo alla Gora, in campagna, per cercare “cascellole”, bietola, rape e rosolacci. Dopo alcune ore tornavamo a casa, mettevamo tutto sul tavolo della cucina e mentre le mie zie pulivano e lavavano la verdura con cura, mio nonno accendeva il focolare e vi appendeva un “calderotto” con acqua in cui sarebbe stata cotta l’erba. Quando l’erba era cotta, veniva strizzata e venivano create tante palline pronte per essere cucinate con aglio e olio. Infine, mia nonna lavava le gambe a tutti noi nipoti con l’acqua in cui aveva cotto l’erba. Era un rito! In primavera i contadini ci portavano baccelli e piselli in grande quantità. Un piatto tipico nei periodi in cui avevamo poco cibo erano bucce di piselli 4


in umido oppure bucce di baccelli fritte. Erano deliziose e non costavano niente! Ci voleva molto tempo a prepararle, poiché i piselli e i baccelli dovevano essere sgusciati e puliti con cura! Nel mese di luglio partecipavo con entusiasmo alla battitura del grano. I contadini falciavano il grano e lo mettevano su una macchina, che divideva il grano dalla paglia. La paglia veniva ammassata creando il pagliaio. Era anche utilizzata per creare il giaciglio per i vitelli e le mucche che si trovavano nella stalla. I sacchi del grano venivano portati nei granai del padrone e del contadino e, successivamente, trasportati al mulino, dove il grano veniva macinato per ottenere farina bianca e crusca. In estate, nel primo pomeriggio, passava per le vie del paese il “Lucca”, un uomo che possedeva un carrettino bianco a tre ruote coperto da un coperchio di metallo lucido. Il carrettino conteneva gelato. Il Lucca gridava: ”Pronto! Gelato! Crema, limone e cioccolato!”. Noi ragazzi ci avvicinavamo con un soldo da dieci oppure venti centesimi e compravamo il gelato ed eravamo davvero felici. Il gelato da dieci centesimi era piccolo, mentre quello da venti centesimi era grande e munito di palettina di legno. I gelati venivano serviti nel cono. La domenica mattina i contadini passavano da casa nostra portando cetrioli, cocomeri, poponi, fichi, frutta e verdura di stagione e per noi bambini era sempre una festa. A Lazzeretto, in agosto, veniva organizzata una festa religiosa molto importante per celebrare la Madonna della Neve. Il paese era arricchito da numerosi banchi che vendevano brigidini e mente. Mi piaceva molto partecipare a questa festa. In quel periodo una “festa in paese” era l’occasione per incontrare amici e parenti e sfoggiare un vestito nuovo. Mia nonna mi raccontava che quando le mie zie avevano circa diciotto anni andarono con lei a Empoli da una bravissima sarta e ordinarono due vestiti bellissimi, scegliendo stoffe pregiate e modelli esclusivi. La sarta li avrebbe spediti in autobus all’ufficio postale di Lazzeretto in una scatola alcuni giorni prima dell’evento.

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Due ragazze sbirciarono nella scatola inviata dalla sarta all’ufficio postale e la loro madre cucì due vestiti identici per loro, utilizzando le stesse stoffe e copiandone il modello. La mattina della festa le due ragazze andarono alla Messa indossando gli abiti nuovi e pavoneggiandosi per le vie del paese. Più tardi, anche le mie zie si avviarono verso la chiesa, ma rimasero meravigliate vedendo che gli amici le guardavano ridendo. Solo entrando in chiesa si accorsero, con grande stupore, che le due sorelle indossavano vestiti identici ai loro! Immaginatevi la rabbia delle zie che, nel pomeriggio, dovettero anche sfilare in processione con i vestiti uguali alle due ragazze sfidando i commenti e le risate di tutti gli abitanti del paese. Nel mese di ottobre partecipavo alla vendemmia. Andavo nei vigneti con i miei familiari e i miei amici e riempivo i panieri con ciocche di uva, che venivano, in seguito, messe nelle bigonce e trasportate nei tini che si trovavano nelle cantine. Mi divertivo molto e mi piaceva il momento in cui i contadini si riunivano per il pranzo. I cibi erano molto buoni: cappone e papero in umido, vino in abbondanza e minestra di pane, e le conversazioni erano animate e scherzose. Il Natale era una festa, soprattutto per noi bambini, anche se non ricevevamo regali come adesso. La mattina di Natale, mia nonna mi portava un cestino di vimini in camera. Ero molto contenta, poiché la cestina conteneva due mandarini, due mele, cinque caramelle, due mente e anche due cioccolatini!! Che gioia! La Vigilia di Natale nonno Giulio doveva “pelare” i capponi e infiascare due damigiane di vino: una di vino bianco e una di vino rosso. Travasava il vino dalla damigiana ai fiaschi per mezzo di una gomma ricurva. I capponi venivano portati in cucina, dove mia nonna li sistemava. Accendeva il fuoco nel camino per togliere le penne rimaste, perché la pelle rimanesse pulita in quanto veniva mangiata. Metteva sul fuoco una pentola grande con acqua, un pezzetto di lesso e un cappone sul fornello e li lessava. In seguito, prendeva una teglia e vi metteva l’altro cappone a pezzi. La teglia veniva 6


posta su un treppiede di ferro posizionato sulla brace ardente del camino. In questo modo il cappone veniva arrostito perfettamente. Tutte le famiglie si recavano alla Messa la mattina del giorno di Natale. Dopo la Messa mia nonna stendeva una tovaglia di lino bianca sul tavolo di cucina, che era grandissimo e aveva posto per quattordici persone. Ogni commensale aveva un tovagliolo di lino bianco, due piatti di Ginori e posate e bicchieri raffinati, che venivano usati solo in occasioni importanti come a Natale, a Pasqua, per i battesimi e i matrimoni. Al centro del tavolo metteva una formaggiera di cristallo colma di parmigiano grattugiato, due fiaschi impagliati, uno di vino bianco e uno di vino rosso, e due caraffe di vetro piene d'acqua che mia nonna prendeva dal pozzo immergendovi una brocca di rame. Il pranzo di Natale veniva consumato a casa di mia nonna. Era una grande festa!

Le mie zie e i loro mariti. Anni ‘30

C’erano mia madre, mio padre, mio fratello Beppino e le mie zie, Lavinia e Giulia. Quando ero più grande, c’erano anche i mariti delle mie zie, Eugenio e Alberto, e i miei cugini: Luigi, Franco, Liliana e Giuseppina. La famiglia era così al completo e miei nonni erano felici. Il pranzo consisteva in crostini con sugo di carne, minestra a brodo, cappone lesso e arrosto, patate lesse, panforte e ricciarelli. Il cappone era “nostrale”, cioè allevato da mia nonna durante l’anno. 7


Per l’Epifania mi vestivo da Befana, indossando gli abiti più vecchi di mia nonna. Mi mettevo una “pezzuola” in testa dalla quale usciva un batuffolo di cotone bianco e andavo in cucina, dove erano i miei cugini più piccoli, i quali agitati e quasi impauriti, mi facevano domande sulla mia identità. Una mia cugina, la più piccola del gruppo, una volta, mi disse con voce eccitata : “Puoi andare anche da Celestino? Lui è un bambino buono! E’ il mio amico, sai Celestino quel bambino che sta a Vinci vicino a casa mia? Non gli portare il carbone! Lui è buono!” Io dovetti prometterglielo. Ai bambini di solito portavo carbone, ma anche cavallucci e clementini. L’Epifania è sempre stata una festa importante per la mia famiglia in quanto mio fratello è nato proprio il 6 gennaio, il giorno dell’Epifania. Abbiamo sempre festeggiato il suo compleanno con tutti i parenti più cari e anche dopo il suo matrimonio questo compleanno è occasione per un pranzo eccezionale in famiglia. Sua moglie Grazia prepara piatti estremamente deliziosi e invita me e la mia famiglia a casa sua a Empoli per tracorrere insieme il giorno dell’Epifania e festeggiare il compleanno di Beppino. A Carnevale mia nonna faceva un dolce buonissimo, il berlingozzo, chiamato anche zuccherino, dolce tipico di Lamporecchio, fatto con uova e zucchero. Era un dolce giallo a forma di ciambella ed era bassissimo, morbido dentro e friabile fuori. A Pasqua preparava una grande quantità di schiacciate di Pasqua. Erano deliziose in quanto fatte con le uova delle galline del suo famoso pollaio. Le schiacciate venivano preparate molti giorni prima della domenica di Pasqua, lasciate a riposare per una settimana e, infine, cotte nel forno a legna. Erano molto diverse da quelle che si comprano nei supermercati e nelle pasticcerie oggi! Erano più gialle, ben lievitate e profumavano di anice. Un'attività che era molto comune a Lazzeretto era l’impagliatura dei fiaschi. C’erano molte ”fiascaie”, che con sala e “salello”, “cordine” e “ciambelle” rivestivano i fiaschi da vino di vetro prodotti a Empoli e a San Miniato in fabbriche chiamate fiaschetterie oppure vetrerie. In alcuni mesi dell’anno la 8


sala veniva sbiancata mettendola al sole e, successivamente, in stanze piene di zolfo e chiamata “carzolo”. Con il “carzolo” bianco si rivestivano piccoli fiaschi di vetro, in cui veniva messo vin santo e vino pregiato. Le fiascaie si riunivano in gruppi composti di tre persone e lavoravano in casa oppure in giardino, chiacchierando animatamente tra loro. Ricordo i loro nomi molto particolari: Natalina, Ionia, Leta, Tisbe, Tisbe di Emorre, Amelinda, Persiede, Concetta, Lisetta, Rosina, Luvige, Noemi, Elodia, Amabilia, Agarita, Gina di Paccheo, Gina di Tamarre, Clarissa, ...Anche i nomi degli uomini erano particolari come Emorre, Ermindo, detto Mindo, Paccheo, Emorre, Tamarre,… Mio nonno Giulio aveva due fratelli e insieme a loro gestiva la vestizione dei fiaschi. Uno dei due fratelli di mio nonno si chiamava Ermindo, detto Zi’ Mindo, ed era un vecchietto arzillo e acuto, che quando attraversava la strada guardava bene prima a destra e poi a sinistra e rivolgendosi alle sue nipoti diceva: ”Mimma, ma te ne tieni di avere uno zio furbo così?”. L’altro fratello si chiamava Emilio, detto Zi’ Milio. A Lazzeretto gli uomini facevano quasi tutti i calzolai; ognuno di loro aveva, nella propria casa, un banchetto, un tavolino molto piccolo e basso con trincetto, punteruolo, pezzi di pelle, pezzetti di cuoio e forme per le scarpe. Facevano scarpe da uomo, le quali venivano spedite a un negoziante a Fucecchio, che le vendeva alle migliori calzolerie della zona. In quel periodo non si vedevano automobili nel paese in quanto solo pochi italiani le possedevano e le persone si muovevano a piedi, in bicicletta e in autobus. Le prime automobili iniziarono a circolare quando la FIAT produsse la 600, nel 1955. Non avevamo la TV, ma avevamo una radio rivestita di legno. Trascorrevamo le serate e il tempo libero ascoltando la radio, facendo passeggiate nei campi, giocando a nascondino e a “uno, due, tre...stella” e anche giocando a tombola dopo cena.

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Mia nonna non pagava mai il pegno per giocare a tombola in quanto diceva che “metteva il lume”, cioè pagava la luce per la stanza in cui giocavamo, di solito la nostra cucina. Mentre ero a Lazzeretto, un giorno, sentimmo nel cuore della notte un certo brusio e i miei nonni ed io ci affacciammo alla finestra, stando dietro gli “scurini”, e, con grande meraviglia, vedemmo due uomini con impermeabile beige e cappello nero che chiamavano un nostro vicino di casa dicendogli di uscire, perché dovevano parlargli. Appena lo videro lo attaccarono con cazzotti e calci e lo buttarono dentro un camion con violenza e poi partirono. L’uomo non tornò più a casa. Ci fu detto che era uno dei “deportati”. Nella nostra zona ci furono molti deportati, persone che venivano prelevate a casa dai Nazifascisti e non tornavano più. In questo periodo mentre io vivevo con i miei nonni e le mie due zie a Lazzeretto, mio fratello Giuseppe viveva a Salvino con i miei genitori. Era biondo con gli occhi azzurri come mio padre, mentre io ero una bambina con capelli e occhi castani come mia madre. Frequentai i primi quattro anni di scuola elementare a Lazzeretto e nel 1938 mi trasferii a Salvino per frequentare la quinta elementare a Vinci, che distava da quel paese cinque chilometri. Ogni mattina andavo a piedi a Vinci Giuseppe, mio fratello insieme a Rino e Alvo, due miei amici. Per andare a scuola i miei genitori mi comprarono stivali di gomma, chiamati “chantilly”, e un impermeabile beige, perché dovevamo attraversare un ruscello. Per pochi mesi tutto andò bene, ma ben presto mi ammalai di polmonite e dovetti rimanere in casa per diversi mesi. Mentre ero a letto, veniva a trovarmi la mia amica, Giustina. Un giorno mi comunicò che era morto Papa Pio XI. Era il febbraio 1939. A causa della polmonite, non andai a scuola per tutto l’anno e persi un anno scolastico. 10


Ricordo che a Salvino e a Vinci alcune donne facevano trecce in tredici fili di paglia nel tempo libero. Veniva un uomo da Firenze e portava loro mazzetti di fili di paglia lunghi dieci centimetri. Loro prendevano i tredici fili, li legavano insieme in basso e facevano due gruppi di fili, un gruppo composto di sei fili e un gruppo composto di sette fili. Il settimo filo serviva per iniziare la treccia. La treccia era larga tre centimetri e lunga parecchi metri. La potevano fare camminando, stando in piedi oppure sedute. Di solito passeggiavano mentre facevano la treccia. Le trecce, poi, venivano date ad altre donne, che le cucivano. Inizialmente facevano un cerchio, che era la parte superiore del cappello, poi piegavano la treccia usando una forma di legno e formavano il cappello che veniva terminato creando una tesa. La tesa dei cappelli da uomo era lunga cinque centimetri e la tesa dei cappelli da donna era più ampia. Quando i cappelli erano finiti, l'uomo che aveva portato la paglia veniva a prendere i cappelli e li portava a Firenze, dove venivano ornati con nastri e fiori. Questi erano i famosi cappelli di paglia di Firenze. I cappelli da donna si chiamavano pamele. Nell’ottobre 1939 mio padre trovò lavoro allo “Stanic”, una famosa raffineria a Livorno, così mi trasferii con tutta la famiglia a Livorno. Lì frequentai la quinta elementare e sostenni l’esame di ammissione alla scuola media. Era il periodo in cui Mussolini, leader del partito Fascista, era al potere. Durante le adunate le ragazze dagli otto ai tredici anni si dovevano vestire da “Piccole Italiane”: scarpe nere, calze bianche, gonna nera plissettata sotto il ginocchio, camicetta bianca e berretto nero. I ragazzi da otto a quattordici anni erano chiamati “Balilla” e indossavano un cappello in lana nera, camicia in cotone nero, fazzolettone triangolare in cotone azzurro, fascia alla vita in stoffa nera, pantaloni corti in lana grigio-verde, calzettoni in lana grigio-verde, scarpe in cuoio nero e guanti neri. Il sabato c’era l'adunata, durante la quale sfilavamo a gruppi e ascoltavamo i discorsi del Duce. Quando il Duce parlava alla radio, tutti dovevano alzarsi in piedi e stare “ sull'attenti”.

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Tutti dovevano sapere a mente una poesia:”28 ottobre. Ciò che dice questa data ogni italiano lo sa, dice che l’Italia è rinata per opera del Duce anni fa. Ora che è grande e potente ognuno la deve servire col braccio, col cuore e con la mente a costo di morire. Piccole Camicie Nere, mandate un evviva al Duce e marciate dietro le bandiere dove egli vi conduce.” Il 10 giugno 1940 andai con la mia famiglia in piazza Cavour a Livorno per sentire il discorso del Duce, il quale disse: ”Le dichiarazioni di guerra sono state consegnate agli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna.” Questo fu l’inizio della Seconda Guerra Mondiale per l’Italia, che si fece sentire pochi giorni dopo, il 16 giugno 1940, con un forte bombardamento della città di Livorno nella notte. Dopo questo evento mio padre decise di lasciare il lavoro e trasferirsi a Empoli in casa di mio zio Nilo, che era andato in guerra. Mia zia Velleda, sua moglie, era tornata a casa sua con il figlio, Salvo, dopo la partenza del marito per la guerra. La casa era piccola e freddissima ed era situata sul fiume Arno. Dopo qualche giorno iniziai a frequentare la scuola media di Empoli, città in cui non c'erano bombardamenti. Dopo qualche mese mio padre trovò lavoro in una segheria a Limite sull’Arno, così ci trasferimmo a Limite sull’Arno, paese in cui feci amicizia con ragazzi e ragazze della mia età, come i figli del dottore: Elsa, Maria e Rinaldo. Durante i primi anni della guerra abitai in questo paese e conseguii la licenza di terza Media nel 1943. Questo fu un periodo molto difficile con tanti eventi e preoccupazioni. La mattina andavo in bicicletta a scuola a Empoli. La mia compagna di viaggio si chiamava Sara. Un giorno, alcuni docenti ci chiesero se noi non avesssimo genitori, visto che andavamo tutti i giorni a scuola nonostante ci fossero i bombardamenti e fosse molto pericoloso. Da quel giorno decidemmo di stare a casa. Il 26 dicembre 1943, il giorno dopo Natale, vidi il bombardamento di Empoli da casa mia, situata al terzo piano di un palazzo. Le bombe luccicavano al sole e il rumore era assordante. Fu bombardata la stazione di Empoli. Morirono molte persone; morirono anche i genitori di Grazia 12


Carolina Maestrelli, che sarebbe diventata la moglie di mio fratello. Mentre i suoi genitori si trovavano in casa, le bombe distrussero l’abitazione. Per fortuna, lei era in giardino in braccio a suo nonno e si salvò. Spesso c'erano bombardamenti da una sponda all’altra dell’Arno. Sentivamo suonare l’allarme e le sirene e noi eravamo costretti a fuggire nei campi e nei rifugi, che erano grotte scavate nelle colline. La mia famiglia era fortunata, poiché viveva con noi zia Pace con il marito, la figlia Maria Giovanna e il loro cane, il quale iniziava ad abbaiare dieci minuti prima che suonassero le sirene. I cani hanno un udito più sviluppato degli uomini, quindi il cane ci permetteva di metterci in salvo prima di altre persone. Iniziarono, poi, i cannoneggiamenti su Limite provenienti da Empoli e da San Miniato. Visto che erano forti e pericolosi decidemmo di trasferirci a Salvino, che era in una zona più sicura e lontana dall’Arno. Contemporaneamente la stessa decisione fu presa dai miei nonni, che vivevano a Lazzeretto. Loro presero i carri agricoli trainati da buoi, che mio nonno possedeva, caricarono le cose necessarie e si avviarono a Salvino. Con i miei nonni c'erano anche zia Giulia, suo marito Alberto e i figli, Luigi e Liliana. Zia Lavinia era sposata con Eugenio Lunardi e viveva a Vinci. Ci incontrammo tutti a Salvino dopo un viaggio scomodo e difficile e andammo a vivere in casa di mio padre. La casa era spaziosa e situata in una zona in campagna lontana dai pericoli della guerra. Mio fratello Beppino giocava con Luigi; erano due bambini vivaci, rispettivamente di sei e otto anni, che ci rallegravano le giornate con le loro risate e racconti. La mia cugina Liliana era piccola e io trascorrevo molto tempo con lei e mia zia sull’aia. Talvolta si sedevano con noi giovani tedeschi, e Liliana diceva: ”Mamma, il Lecco mi tocca!” per dire che i tedeschi la toccavano per giocare con lei. A Liliana piaceva la mia compagnia, perché avevamo trascorso alcuni anni insieme a casa dei miei nonni a Lazzeretto. Ricordo che quando aveva pochi mesi, zia Giulia le preparava una farinata fatta con farina tostata, zucchero e latte e io e Piero, fratello di Floria, una mia cugina,

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aspettavamo che avesse finito di fare merenda per poter assaggiare quella deliziosa farinata. Un giorno la mia famiglia decise di andare a Limite a vedere cosa fosse accaduto e trovammo la strada che portava da Spicchio a Limite minata. Per arrivare a destinazione fummo costretti a passare tra le mine in bicicletta, cercando di evitarle. Quando arrivammo a Limite fummo molto sorpresi, la mia casa era stata completamente abbattuta dalle cannonate. Scavammo tra le macerie, ma riuscimmo a trovare solo la paletta di ferro del caminetto, il resto era tutto distrutto. I mobili delle camere, del salotto e della cucina non esistevano più e tutte le nostre cose: piatti, vestiti, coperte e lenzuoli erano sotto le macerie. Non avevamo più niente. Fortunatamente avevamo lasciato la casa prima del bombardamento! A Salvino vedevamo passare gruppi di soldati tedeschi, che andavano al fronte, che si trovava sull'Arno a Empoli. Purtroppo, se la mattina passavano sei soldati tedeschi, la sera di solito ne tornavano la metà, gli altri erano rimasti vittime del fronte. Fu un periodo difficile, perché non avevamo cibo e medicine. Eravamo a contatto con pattuglie di tedeschi, che ci chiedevano cibo e bevande e andavano a rubare i polli nei pollai dei contadini per, poi, farli cuocere dalle nostre mamme. Non avendo cibo a sufficienza eravamo molto affamati, così i miei nonni decisero di uccidere i buoi che avevano trainato il loro carro e per giorni mangiammo la loro carne distribuendo grandi pezzi di manzo anche alle famiglie vicine. I tedeschi ci chiedevano spesso piatti di cipolle e pomodori, mentre noi mangiavamo molta frutta, specialmente fichi e pere in quanto avevamo frutta in abbondanza nei nostri campi. Andavo con Piero, fratello di Giustina, la mia amica, che aveva circa dodici anni, a cogliere i fichi. Una volta lui non aveva voglia di salire sul fico e mi disse “Io non viengo e chi vole anda’ andia”. Mi ricordo ancora questa frase, che è rimasta una frase simbolica, che ho spesso usato in modo scherzoso quando qualcuno non aveva voglia di andare in un luogo oppure fare qualcosa. 14


Nel primo pomeriggio, ogni giorno, iniziavano i cannoneggiamenti e dovevamo nasconderci nei rifugi oppure nelle cantine per salvarsi la vita. Alcuni miei vicini morirono a causa di questi cannoneggiamenti, quindi eravamo molto impauriti. Trascorrevamo le giornate in casa oppure sull’aia in compagnia dei giovani tedeschi, che si mostravano cordiali e rispettosi. Una notte, nell’estate del 1944, i tedeschi minarono i due ponti che si trovano vicino a Salvino sulla strada che porta a San Baronto e ci fu un gran frastuono. Ci impaurimmo moltissimo. I tedeschi, intanto, si stavano ritirando verso il nord d’Italia, perché da sud si avvicinavano gli americani. Dopo tre giorni di tranquillità passarono da Salvino gli Alleati. Erano americani e canadesi. Camminavano in fila indiana, era una fila lunghissima e gettavano caramelle, sigarette, cubetti di marmellata, dolci, chewing gum, confetti, cioccolatini e pane a noi spettatori meravigliati. Non avevamo più visto questi prodotti da anni. Gli americani presero il posto dei tedeschi, ma non chiedevano cibo, anzi ci offrivano cibi e bevande. Spesso corteggiavano le ragazze del paese facendo promesse che non venivano mantenute. Alla fine dell’estate 1945 la situazione cambiò, perché tutti noi lasciammo Salvino. La guerra era finita. La mia famiglia partì da Salvino su un carretto trainato da un ciuco, su cui avevamo caricato tutto quello che avevamo. Quando arrivammo al fiume Arno, vedemmo che il ponte era stato abbattuto, quindi dovemmo attraversare il fiume su una chiatta spinta da un uomo che la faceva spostare in avanti utilizzando un bastone che toccava il fondo del fiume. I miei nonni ritornarono a Lazzeretto e noi andammo a vivere a Empoli in una camera ammobiliata con la cucina in comune con un’altra famiglia. L’altra famiglia era composta dal padre Raffaello, capo ferroviere e Generale Fascista, la moglie e due figlie, Franca e Rosanna.

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Rosanna aveva la mia stessa età, aveva frequentato la classe quinta elementare e aveva smesso di andare a scuola in quanto suo padre pensava che le ragazze dovevano solo prepararsi a gestire la casa e a sposarsi. Io, invece, mi ero iscritta al Ginnasio presso il Liceo Classico “Virgilio” di Empoli, perché la mia mamma era più moderna di suo padre e desiderava che mi laureassi. A Empoli c’era il Liceo Classico, che era statale e gratuito, e la Scuola Magistrale, gestita dalle suore Domenicane, in cui gli studenti dovevano pagare la retta. Mio padre aveva pochi soldi e non avrebbe potuto pagare la retta.

Mara. 1940

Mara. 1940

In estate, Rosanna ed io ci divertivamo ad andare alla fiera, al pattinaggio, al mercato, contente di non essere più in guerra, ma memori del periodo difficile che avevamo attraversato. Dopo cena venivano organizzate feste da ballo, dove tutti noi, adulti e giovani, ci divertivamo al suono della musica e ballavamo.

Mara. 1940

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Era l’occasione per incontrare amici e fare conoscenza con ragazzi e ragazze della nostra età. La vita era molto diversa da quella di adesso. Non andavamo dal parrucchiere a farsi i capelli; c’erano pochissimi parrucchieri ed erano molto costosi. I capelli venivano lavati in casa molto raramente, e, per lo più, in estate in quanto non esisteva l'asciugacapelli e quindi li dovevamo asciugare al sole. Li lavavamo con il sapone di Marsiglia e, poi, li sciacquavamo abbondantemente. L’acqua calda non veniva dal rubinetto quindi doveva essere scaldata in una pentola. Io avevo i capelli molto lunghi e portavo le trecce. I capelli venivano tagliati in casa dai genitori oppure andavamo dal barbiere. Le donne e le ragazze indossavano di solito una gonna lunga sotto il ginocchio, una camicetta e un cardigan di lana oppure di cotone, calzettoni e scarpe di cuoio. Non esistevano le calze di nylon e le scarpe da ginnastica e non potevano indossare pantaloni e abiti corti. I ragazzi indossavano pantaloni corti sopra il ginocchio in estate e in inverno, un maglione, calzettoni e scarpe di cuoio. Gli uomini indossavano pantaloni lunghi con la piega ben stirata, camicia, pullover, cravatta, calzini e scarpe di cuoio. Le donne non andavano a lavorare in uffici o fabbriche, ma facevano le maestre, le sarte, le casalinghe, oppure lavoravano nei campi. Non avevamo la televisione e il telefono, ma avevamo la luce elettrica e la radio. Non avevamo la macchina e ci muovevamo in bicicletta, a piedi oppure in autobus e treno. Non esisteva il termosifone e ci scaldavamo con i caldani a brace. Non esistevano le lavatrici e i vestiti e i lenzuoli venivano lavati in varechina e acqua calda, risciacquati e stesi al sole. Questa, per me, era una novità. Quando ero a Lazzaretto, le contadine passavano con un carretto a prendere i panni sporchi ogni due o tre mesi e li portavano al lavatoio, che si trovava in campagna. Lì venivano insaponati e messi in una conca forata chiusa da un rubinetto. Sopra la conca veniva messo un cenerone, cioè un pezzo di stoffa pesante trasparente su cui veniva posata parecchia cenere.

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Le donne facevano bollire molta acqua su un fuoco e con un secchio a poco a poco la versavano sul cenerone insieme alla lisciva. L’acqua usciva dal fondo della conca. Questo procedimento veniva fatto tante volte. L’acqua che fuoriusciva e aveva imbiancato i panni si chiamava ranno. Lasciavano la conca con i panni dentro per un giorno e il giorno dopo i panni venivano sciacquati in acqua pulita, presa dal pozzo, nello “sciacquatoio”. Successivamente, i panni venivano stesi e quando erano asciutti riportati alle case con il carretto. Le persone che non avevano il pozzo e lo “sciacquatoio” sciacquavano i panni nel fiume Vincio, mentre noi bambini giocavamo sull'argine del fiume. Questo fu un periodo in cui soffrimmo la fame. Fortunatamente mio padre portò da Salvino un bottiglione di olio e mia nonna ci dette un sacco di farina bianca, così potevamo cucinare farinate e pane. Mia madre faceva il pane in casa e lo portava a cuocere in un forno vicino. Di solito, lo metteva sulla mia bicicletta ed io lo portavo al forno. Mi vergognavo moltissimo a passare in bicicletta nel centro di Empoli con quel pane! Il pane, però, era buonissimo! I piatti più comuni erano bucce di piselli in umido e bucce di baccelli fritte, fagioli oppure ceci lessi e minestra di fagioli. Ricordo che tutte le mattine vedevo mia madre mettere sul fornello una pentola grande di fagioli e una pentola di minestra di verdura, quello era il nostro pranzo e anche la nostra cena abituale. La verdura e i fagioli non costavano niente in quanto venivano coltivati nei poderi di mia nonna. Fu una grande festa per tutti a Empoli quando fu possibile comprare i primi baccalà. Nell'autunno 1945, mio padre e mio zio Nilo, che avevano un vecchio camioncino, iniziarono ad andare insieme a Ferrara per affari. Riempivano il camioncino di mele a Ferrara e vendevano queste mele a Empoli. A Ferrara le mele erano gratuite, perché nessuno le coglieva per venderle, lasciandole marcire sugli alberi. Il 2 giugno 1946 si svolse il referendum sulla forma istituzionale dello Stato, e gli italiani, e, per la prima volta, le italiane, furono convocati alle urne per scegliere tra Repubblica e Monarchia. L’Italia divenne una Repubblica. Le 18


donne che avevano più di ventun’ anni avevano ottenuto il diritto al voto nel 1945. In questo periodo mio padre acquistò un terreno a Empoli con l’intenzione di costruirci una casa e dopo poco tempo iniziò da solo a costruirla. Dietro la casa costruì anche una segheria e iniziò a produrre stecchine per gelato. Aveva finalmente trovato un lavoro fisso. Beppino, mio fratello, iniziò a lavorare con lui non appena finì la scuola media. Mia madre continuò a fare la casalinga, e anche lei aiutava mio padre nella segheria. Frequentai il Ginnasio per due anni e, successivamente, il Liceo Classico per tre anni. Mio padre era solito andare a parlare con i miei professori e dire loro che se non ero brava, mi facessero ripetere l’anno scolastico, mentre i genitori dei miei compagni di scuola andavano a raccomandarsi che promuovessero i figli portando loro regali. Classe Prima Ginnasio. 1944

La mia classe. Esame di maturità.1948

La mia classe era composta di venti alunni, ma alla maturità fummo promossi solo in tre: Piero, Francesca ed io. Gli altri furono rimandati a settembre oppure respinti. Nel 1948 m’iscrissi all'università. Scelsi la Facoltà di Matematica con grande meraviglia di tutti i miei compagni e nel luglio 1953 mi laureai.

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Mara. 1948

Mara. 1948

I primi anni di università furono difficili per me che avevo frequentato il Liceo Classico. Studiai moltissimo anche con amici che frequentavano la Facoltà di Ingegneria, i quali mi aiutarono molto. Incontrai una ragazza molto brava all'università, Nives, e talvolta studiavo a casa sua. Lei viveva con la sorella, il cognato e il nipotino a viale dei Colli, vicino a Piazzale Michelangelo, a Firenze. Nives era di Pescara ed era venuta a studiare a Firenze. Andava a Pescara a trovare i suoi genitori, le altre sue due sorelle e suo fratello nelle vacanze. Un giorno decidemmo di andare a Pescara insieme e soggiornai a casa sua per una settimana. Fu un vero divertimento! Durante l’ultimo anno di università, mentre stava andando a Pescara in treno, incontrò un ragazzo, Glauco, fecero amicizia e, in seguito, si fidanzarono e si sposarono, trasferendosi a Torino. Non ho più visto Nives da allora. Quando andavo all'università, non andavo a mensa o in un bar a pranzo, ma portavo sempre da casa due fette di pane con la frittata. Era buonissimo e costava poco. In quel periodo avevo un solo paio di scarpe molto vecchie e sfondate, ma prima di laurearmi riuscii a

Mara e le amiche.1955 20


comprare un paio di scarpe nuove, spendendo i soldi che avevo guadagnato facendo lezioni private agli alunni del Liceo “Calasanzio”, scuola gestita da preti. I soldi guadagnati mi servirono anche per farmi il famoso “corredo”: lenzuoli, asciugamani e tovaglie, e anche per far fare la porta della casa in cui vivevo. Un anno in estate andai a Forte dei Marmi ad accompagnare venti bambine alla colonia estiva organizzata dal Proposto di Empoli. La colonia era una pensione, in cui il prete poteva organizzare periodi di vacanza per i ragazzi della sua parrocchia. Io avevo il compito di sorvegliare le bambine, farle dormire, lavare e vestire. Le dovevo portare in spiaggia e accompagnarle a fare delle passeggiate. Fu la prima volta che vidi la Versilia e m’innamorai di questa zona. Talvolta, ero stata al mare a Livorno in quanto zia Giulia abitava lì da molto tempo e mia madre, mio fratello ed io andavamo a trovarla e trascorrevamo alcuni giorni ospiti a casa sua. A Livorno non c’era la spiaggia, perché la costa è alta e rocciosa, quindi la spiaggia sabbiosa della Versilia era una novità per me.

Mara.1947.

Mara.1947

Dopo la laurea feci molte ripetizioni e a ottobre fui chiamata a insegnare presso Il “Conservatorio della S.S. Annunziata” a Empoli. Insegnai in questo istituto magistrale per quattro anni. In quel periodo passeggiando per Empoli incontrai il Dottor Gino Bianucci, che avevo conosciuto in treno, mentre andavo all'università. Eravamo andati talvolta di pomeriggio a teatro

Mara.1951

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alla Pergola insieme ai nostri amici. Andavamo nel Loggione, un’area del teatro in cui spendevamo poco. Ci piaceva molto vedere le opere liriche come la “Turandot” di Giacomo Puccini. Un giorno, nel 1957, passeggiavo per Via Roma con lui parlando tranquillamente, quando lui, improvvisamente, mi disse: ”Mara, vuoi sposarmi?” ed io risposi subito di sì. Quel giorno ci fidanzammo e il 2 ottobre 1958 ci sposammo a Empoli nella chiesa del “Conservatorio della S.S. Annunziata”. Organizzammo il pranzo di nozze presso l’”Hotel Tazza d’Oro” nel centro di Empoli. C’erano molti invitati e la festa fu meravigliosa.

Mara e Gino.1958 Mara.1958

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Gino aveva una macchina, una FIAT 600 grigia, così andammo in viaggio di nozze a Pompei, Napoli, Capri e Roma in macchina. Al ritorno mi sorpresi quando, arrivati a Ponte a Elsa, Gino girò decisamente verso San Miniato Basso invece che verso Empoli. Iniziava così una nuova vita. Arrivammo nella nostra casa a San Miniato Basso all’ora di cena e trovammo ad aspettarci la sorella di Gino, Onelia, e sua madre Assunta, che ci avevano preparato una teglia di coniglio arrosto con patate. Nel luglio 1958 andai con tutta la famiglia al mare a Motrone, in Versilia, poiché era molto caldo ed io aspettavo una bambina.

Mara, Onelia, Lilia e Gino.1959

Mara.1958

Mara, Lilia e Beppino.1959

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Mia figlia, Maria Beatrice, nacque un anno dopo, il 18 ottobre 1959, nell'ospedale di Via degli Alfani, a Firenze. Iniziai a insegnare a San Miniato, alla Scuola Media e al Liceo Scientifico, in cui avevo come Preside il mio professore di Storia e Filosofia del Liceo. Feci il concorso a Roma per la Scuola Media ed entrai di ruolo nella Scuola Media Statale. Mara e Beatrice. 1960

All'inizio insegnai alla Scuola Media di San Miniato e molti anni dopo fui trasferita alla Scuola Media di San Miniato Basso. Andavo a scuola in macchina accompagnata da mio marito, in quanto non sapevo guidare. Talvolta, quando insegnavo a San Miniato Basso, andavo a scuola in bicicletta, il mezzo di trasporto che ho sempre preferito. In questo periodo mio padre comprò un podere con una casa colonica e una villetta padronale a Poggio Piedi. La casa colonica e il podere furono dati in gestione a una famiglia di contadini. Noi eravamo soliti trascorrere il fine settimana e le vacanze nella Mara a scuola. Anni’70 villetta, che era completamente arredata. Aveva comprato anche una cavalla che fu chiamata Lola. Ci divertivamo molto a Poggio Piedi in quanto potevamo andare in giro per la campagna su un carro trainato da Lola e anche coltivare e raccogliere frutta e verdura nell’orto accanto alla casa. Nel 1966 Beppino, mio fratello, si sposò con Grazia Maestrelli, e nell’aprile 1968 ebbero una figlia, Tania, che ora è sposata con Simone e ha due figli, Bianca e Alessandro. Vivono in una casa a Empoli. 24


Il 4 novembre 1968 ci fu l’alluvione a Firenze. Ci furono violente e intense precipitazioni e piogge torrenziali che portarono l’Arno a straripare. Chiese, edifici e molte opere d'arte furono danneggiati. Gli angeli del fango, in prevalenza giovani, provenienti da tutta Italia, andarono a Firenze per aiutare la popolazione e recuperare preziose opere d’arte. Alla fine degli anni ‘60 Gino ed io decidemmo di ristrutturare la casa e aggiungemmo due stanze al primo piano, coprendo un ampio balcone. Furono create, quindi, la cameretta per mia figlia e un ampio salone con sala da pranzo. Acquistammo mobili antichi per il salone e decidemmo anche di mettere la carta da parati in camera e nella sala. In questo periodo la carta da parati era molto alla moda. Acquistammo, anche, del terreno dietro la nostra casa per ampliare il giardino e l’orto. Nel 1973 ci fu un periodo denominato “Austerity”. Il governo dispose un drastico contenimento del consumo energetico, in seguito alla crisi petrolifera. Non potevamo accendere il termosifone, quindi nelle case faceva molto freddo. Decisi di andare a San Miniato dal nostro muratore, Vittorio, e gli chiesi di attivarmi la cucina economica a legna, che avevamo in garage. Usavamo la legna che era in giardino, ma soprattutto stecchine scartate prodotte nella ditta di mio padre e mio fratello. La cucina a legna ci permetteva di scaldarci e cucinare. La domenica le macchine non potevano circolare. Questa fu l’occasione per andare in bicicletta ovunque. Andammo a Empoli, Ponte a Egola, Fucecchio e Ponte a Elsa percorrendo la Via Tosco Romagnola Est usualmente percorsa da camion e macchine, divertendoci moltissimo. Negli anni '70 iniziai a fare la collezione di francobolli, poiché in quel periodo ricevevamo molte lettere da parenti e amici. Comprai pinze, lenti di ingrandimento, cataloghi, e iniziai a catalogare i francobolli. Era necessaria molta pazienza, costanza e precisione. Continuai la collezione per molti anni con l'aiuto di un esperto. Smisi quando le persone 25


iniziarono a inviare email invece di lettere e cartoline. Era molto emozionante aprire le lettere oppure leggere le cartoline che ogni giorno trovavamo nella cassetta della posta! Oggi riceviamo solo cataloghi, pubblicità e bollettini da pagare. Gino era pediatra o meglio, come disse un suo collega, “il pediatra”; era il pediatra di San Miniato Basso, e per moltissimi anni l’unico pediatra della zona. Aveva un gran numero di clienti ed era molto apprezzato. Nato nel 1918 a Spicchio, un paese vicino a Empoli, si era trasferito a San Miniato Basso da bambino. Suo padre, Michele, era ferroviere e sua madre, Assunta, figlia di contadini, aveva alcuni campi da coltivare a San Miniato Basso. Aveva frequentato il Liceo Classico ”Galilei” in via Cavour a Firenze e, successivamente, aveva studiato presso l' Università di Medicina a Firenze ottenendo la specializzazione in Pediatria. Aveva svolto un tirocinio di dieci anni presso l'Ospedale Pediatrico “Meyer” di Firenze, dove aveva imparato moltissimo. Gino era un uomo di grande cultura; era appassionato di letteratura, storia, arte, filosofia e politica, si ricordava poesie ed eventi storici a memoria con date e dettagli. Conosceva moltissime cose, non solo la medicina, probabilmente perché aveva studiato con passione a scuola e aveva vissuto a contatto con persone e docenti molto preparati e colti a Firenze. In questa città aveva avuto la possibilità di visitare chiese, musei e gallerie d’arte. Amava molto i quadri di pittori del passato e contemporanei, e collezionava quadri di pittori famosi e anche di pittori che erano suoi amici, come Dilvo Lotti. Era interessato a tutto, faceva parte di organizzazioni ed enti locali. Era consigliere della “Cassa di Risparmio di San Miniato”, socio fondatore, presidente o governatore di molte associazioni come “La Misericordia di

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San Miniato Basso”, la “Sala Parrocchiale”, i “Medici Cattolici”,...Era anche impegnato in politica. Era un vero dottore, un pediatra che nessuno può dimenticare, sempre disponibile, allegro, sereno, sincero e pronto ad aiutare il prossimo, a dare consigli, a sorridere con dolcezza, a dare senza chiedere niente. Era spinto da una grandissima passione per la medicina, ma soprattutto da un grande affetto per i suoi clienti e un immenso amore per gli altri. Fare il medico era per lui una missione, non solo un lavoro. Le sue parole e i suoi consigli sono ancora per alcune persone di San Miniato norme da seguire. Per quanto riguarda la vita sociale, dopo qualche anno che ero sposata, feci molte amicizie a San Miniato. Partecipavamo a feste, cene ed eventi organizzati da associazioni di cui lui faceva parte, come i “Medici Cattolici” e la “Cassa di Risparmio” di San Miniato. Erano bellissime le cene ai “Cappuccini” organizzate dalla “Cassa di Risparmio” di San Miniato dopo la “Prima del Teatro” e le cene con i “Medici Cattolici”, a cui partecipavano i medici, ma anche le loro mogli. Le cene con i “Medici Cattolici” venivano organizzate al Castagno oppure a San Vivaldo e l’invito, ogni volta, comunicava che era stata organizzata la riunione dei “Medici Cattolici” alla quale sarebbe seguita una “modesta” cena, il che suscitava le risate di tutti, vista l’abbondanza e varietà dei piatti che venivano serviti. Durante il periodo di Quaresima i “Medici Cattolici” organizzavano una cena del tutto particolare a base di pane e acqua alla “Nunziatina” a San Miniato. Alla fine della cena veniva presentata una forma di formaggio pecorino, ma solo alcuni lo mangiavano. In certi periodi dell’anno, come a Carnevale oppure per l'Ultimo dell’Anno, venivano organizzate cene presso la casa di amici e il divertimento era assicurato. Ogni signora portava la sua specialità culinaria alla festa, quindi il menù era ricco e prelibato. Organizzavamo balli e facevamo una tombola a premi e io vincevo spesso. Una volta vinsi un galletto vivo, che decisi di lasciare alla padrona di casa. 27


Quando eravamo a casa della famiglia Anfossi-De Luca, che viveva a Palazzo Grifoni, a sorpresa, Derna, la cuoca, a metà della cena, portava in tavola due grosse frittate di cipolle che venivano molto apprezzate e consumate avidamente. Ricordo con piacere le gite organizzate dalla ”Cassa di Risparmio” di San Miniato, tra cui la crociera con la “Costa Crociere” in Corsica, la gita a Parigi e Versailles e la gita a Vienna. Durante questo periodo, decisi di iscrivermi all’ “Associazione delle Dame della Carità di San Vincenzo”. Una volta il mese ci riunivamo in una stanza messa a disposizione da un sacerdote a San Miniato. Prendevamo in esame situazioni di disagio economico e programmavamo aiuti alle famiglie bisognose. Portavamo soldi o la spesa ad alcune famiglie. Ogni mese pagavamo una somma di denaro, ma soprattutto le nostre entrate venivano dalla “Fiera di Beneficenza” organizzata in occasione della “Festa del Tartufo” a San Miniato. Gli oggetti che venivano esposti erano offerti da negozi e fabbriche della zona, ma anche creati da noi membri dell’associazione. Ognuna di noi faceva maglioni, cappelli, sciarpe a maglia e all’uncinetto; i lavori più belli venivano venduti, mentre gli altri venivano usati per fare la lotteria. Le adunanze delle “Dame di Carità” erano occasione per incontrare le mie amiche, Angela Montanelli e Edda Serafini, che, a turno, venivano a prendermi a casa in macchina in quanto io non guidavo. Spesso si fermavano a casa mia a prendere un tè e a chiacchierare quando l’incontro era finito. Dopo gli anni di crisi economica, guerra e carestia tutti apprezzavano una vita sociale ed economica più serena e tranquilla. Ormai tutti avevano la macchina. Noi avevamo una Lancia Fulvia bianca così potevamo fare gite in macchina. Andavamo a Montecatini Terme, Firenze e San Gimignano di domenica, ma anche al mare oppure in montagna in estate.

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In luglio andavamo per un mese a Fiumetto e in agosto andavamo per dieci giorni sulle Dolomiti oppure all’Abetone per ammirare le bellezze naturali italiane. Andammo a Cortina d’Ampezzo, Canazei, Ortisei, Chamonix, Courmayeur, Aosta…Andammo anche a Roma, Venezia, Assisi, Gubbio, Ravenna, Padova, … Nel 1976 Gino si ammalò gravemente e fu operato alla “Clinica di San Rossore”. Fu un periodo terribile. Fortunatamente, dopo qualche mese guarì completamente e riprese la sua attività di pediatra. Nel febbraio 1980 decidemmo di comprare una casa a Fiumetto, località balneare in cui andavamo per un mese in estate ogni anno dal 1959. Per anni avevamo visto ed esaminato tutte le case in vendita della zona. Alla fine comprammo un appartamento indipendente in una villa in stile liberty nella strada parallela al “Viale a mare”. La casa non era molto grande, ma progettata in modo molto originale da un'architetta di Parma, la proprietaria. Mi occupai di arredare e sistemare l’appartamento e a luglio era pronto. Finalmente potevamo soggiornare al mare per tre mesi invece di uno! Nel 1982 iniziammo a prendere in affitto un ombrellone al Bagno Milano, poiché il bagno era gestito dalla mia cugina Giuseppina Vignozzi, figlia di mio zio Leone. Questo fu il modo per incontrare più spesso la sua famiglia, ma anche sua madre, Duna, e sua sorella, Maria, e la sua famiglia. Da allora, nonostante il bagno non sia più gestito da loro, ogni anno prendiamo in affitto una tenda e una cabina a quel bagno. In estate Beatrice ed io spesso andavamo per alcuni giorni a Torre Mozza. Mio fratello e Grazia possedevano una roulotte ben attrezzata, che mettevano ogni anno in un campeggio vicino al mare in quella località. Ci divertivamo molto in quanto la vita in campeggio era molto vivace. Beppino e i suoi amici andavano in barca a pescare e la sera venivano organizzate cene, durante le quali veniva consumato il loro pesce. Una volta ci trattenemmo per più di una settimana e dormimmo in casa di un contadino vicino al campeggio. Era insolito per noi vedere oche bianche,

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paperi, tacchini e gruppi di galline sulla spiaggia, che beccavano tranquillamente. Il mare era pulitissimo e la compagnia piacevole. Dopo qualche anno Beppino e Grazia comprarono una casa a Riva Verde e m’invitavano spesso ad andare con loro in giugno per trascorrere insieme delle giornate al mare. Nel settembre 1985 Gino ed io decidemmo di portare Beatrice a Londra visto che si era laureata in inglese. Andammo in treno e traghetto e soggiornammo in un bellissimo hotel, il ”Park Lane Hotel” a Piccadilly. Trascorremmo dieci giorni correndo da una parte all’altra della città per vedere tutto. Certamente fu una bellissima esperienza, anche se il cibo non era buonissimo e dovevamo mangiare spesso hamburger e patatine da “Wimpy” oppure accontentarci di minestre di verdure fredde e cibi particolari serviti nella stupenda sala da pranzo dell’hotel. Fortunatamente avevamo trovato un bar che faceva il caffè italiano a Oxford Street e delle bancarelle a Notting Hill, che vendevano l’uva e la frutta. Visitammo anche Windsor, Oxford e Stratford-upon-Avon in pullman accompagnati da una guida inglese. L’anno successivo andai per un mese con Beatrice a Hove, una stazione balneare vicino a Brighton, con il treno e il traghetto. Il viaggio di ritorno non fu piacevole. Il mare era molto mosso ed io decisi di non tornare più in Inghilterra. Trascorrevo la mattina e il pomeriggio in camera, e uscivo con Beatrice quando lei tornava da scuola. Andavo a fare la spesa, ma non sapendo l’inglese mi facevo capire a gesti facendo sorridere le commesse. Era luglio ed erano 18° gradi, pertanto il clima era adatto a me, che non amo il caldo, ma non mi piaceva il cibo. Visitammo molte città come Brighton, Bath e Stonehenge. Una domenica andammo a pranzo a Brighton e io feci stupire tutto il ristorante in quanto ordinai lasagne, pollo fritto, patate fritte e pane. Quando mia figlia ordinò anche la frutta per me, tutti rimasero stupiti, loro stavano bevendo del tè con biscotti ed era l’ora di pranzo!

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Nel 1987 Beatrice si sposò ed io feci per lei la “wedding planner”, organizzando il matrimonio. Avevamo ristrutturato il pian terreno della nostra casa allo scopo di creare un appartamento per mia figlia. Il matrimonio fu celebrato nel “Santuario del S.S. Crocifisso” a San Miniato e il pranzo fu organizzato alla “Villa dei Cento Camini” a Artimino e molti furono gli ospiti.

Mara e Elisa.1992

Nel 1989, dopo quaranta anni di servizio, andai in pensione. Nel 1992 nacque la mia nipote Elisa, alla quale dedicai molto del mio tempo, in quanto mia figlia era impegnata con la scuola. Durante questo periodo mi appassionai a fare lavori a maglia con i ferri come pullover, maglioni e sciarpe e lavori con l’uncinetto come centri per i tavoli e coperte. Riuscii a fare una coperta di cotone bianca e una più bella di cotone beige. Mi aveva insegnato mia madre, la quale aveva fatto molte coperte colorate all’uncinetto. Lei era ipovedente e non poteva più lavorare a maglia. Stava tutto il giorno seduta su una sedia e mi guardava fare la maglia. Morì a novantadue anni, nel 1995. Mi prendevo cura di lei, ma anche di Elisa. Ero la sua babysitter, la mettevo a letto, la vestivo, le davo colazione e pranzo, la portavo fuori in passeggino a vedere i cani nei vari giardini e a parlare con due bambine gemelle, che vivevano in una casa vicino a noi. Elisa non voleva mangiare.

Mara e Elisa.1993

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Andavo in bicicletta dai contadini della zona, compravo conigli e polli, li lessavo e omogeneizzavo, le facevo la pasta al pomodoro e la minestra, ma lei non voleva mangiare niente di ciò, amava solo latte e biscotti e una crema di frutta con miele alla quale aggiungevamo un liofilizzato di carne per farle mangiare qualche proteina. Provammo ad assumere diverse babysitter, ma lei non voleva stare con loro, voleva stare con me. Quando loro arrivavano, lei fuggiva al piano di sopra. Decidemmo di non assumere babysitter. All'età di tre anni Elisa andò all’asilo. Mio marito ed io la portavamo all’asilo la mattina in macchina e andavamo a prenderla alle quattro. Trascorrevamo il pomeriggio a vedere cartoni animati e a fare puzzle e quando era più grande, la aiutavo a fare le lezioni. Giocavamo anche con Onelia. Io dettavo parole difficili in italiano ed Elisa e Onelia le dovevano scrivere. Successivamente, le correggevo. Elisa amava questo gioco, perché Onelia faceva più errori di lei. Mia figlia tornava tardi a casa in quanto insegnava in provincia di Pistoia quindi spesso davo cena a Elisa e la mettevo a letto dopo averle dato un biberon di latte. Durante questo periodo mi dedicai anche alla cucina preparando piatti che avevo visto cucinare da mia madre o usando le ricette che le mie amiche mi suggerivano. Alcune ricette verranno descritte in questa autobiografia. Nel febbraio 1997 nacque mio nipote Gregorio. Beatrice trascorse nove mesi a letto ed io mi occupai di Elisa. Quando Gregorio aveva tre mesi, decidemmo di prendere una babysitter, che ci potesse aiutare in quanto Beatrice andava a scuola. Mara, Elisa, Gregorio e Beatrice.2007

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Mara.2018 Mara e Beatrice.2015

Gino morÏ nell’aprile 1998 e dopo pochi mesi iniziai ad avere problemi di vista. Iniziai a vedere i pali degli ombrelloni storti sulla spiaggia e dopo essere stata da diversi oculisti, mi diagnosticarono la degenerazione maculare. Ho la degenerazione maculare dal 2000. Vivo ancora a San Miniato Basso con mia figlia, mio genero e i miei due nipoti, Elisa e Gregorio, che hanno rispettivamente ventotto e ventitrÊ anni. Trascorro le giornate in casa ascoltando la radio oppure guardando la TV. Mi piace molto Radio Maria.

Mara, Elisa, Grazia e Beppino.2015

Mara, Beatrice e Elisa. 2015 33


Durante questo periodo di “lockdown� ho deciso di scrivere questa breve autobiografia in modo che mia figlia e i miei nipoti non dimentichino quello che negli anni ho raccontato loro nelle giornate trascorse insieme quando erano piccoli oppure quando loro studiavano alcuni periodi storici in cui io ho vissuto.

Mara.2020

Mara e Beatrice.2017

Mara. Gregorio e Beatrice.2017 34


Mara, Elisa e Gregorio.1997

Mara e Gregorio.2020

Mara e Elisa. 2020

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Le Mie Ricette Baccalà con cipolle e bietola Preparazione Mettere abbondante olio in una teglia grande, aggiungere quattro cipolle rosse tagliate a fette, prezzemolo tritato, cinque pezzetti di baccalà pulito lavato e sfilettato, un po’ di sale e far bollire per un’ora. Pulire, lavare e tagliare a pezzetti due mazzetti di bietola. Aggiungere un bicchiere di passato di pomodoro e sale. Cuocere per un’ora. Preparare la polenta secondo la ricetta preferita. Servire il baccalà con la bietola insieme a fette di polenta.

Latte alla Portoghese Preparazione Bollire un litro e mezzo di latte con un pezzetto di scorza di limone. Sbattere in una vaschetta 4 uova e 8 tuorli e 12 cucchiai di zucchero. Aggiungere il latte fatto raffreddare. Mettere in uno stampo 3 cucchiai di zucchero e far caramellare. Aggiungere il composto nello stampo. Cuocere a bagnomaria per un’ora in forno. Controllare se il dolce è cotto usando uno stecchino da denti di legno.

Crema Preparazione Mescolare 2 cucchiai di zucchero con 2 uova in un pentolino. Mescolare 2 cucchiai di farina e 2 bicchieri di latte in una scodella e versare nel pentolino. Cuocere a fuoco basso per 10 minuti circa.

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Torta di mele Preparazione Mescolare 100 grammi di burro con 135 grammi di zucchero, 135 grammi di farina, un bicchierino di vinsanto o liquore, una bustina di lievito e 2 uova. Imburrare una teglia da forno rotonda, cospargere con un cucchiaio di pangrattato, versare il composto nella teglia e aggiungere le mele sbucciate e tagliate a fettine sottilissime nell’impasto. Cuocere in forno a 180°per 40 minuti. Quando il dolce e cotto, spolverizzare con zucchero a velo.

Torta di pane Preparazione Mettere 350 grammi di pane raffermo in un litro di latte e sbriciolare lentamente. Aggiungere 250 grammi di zucchero, 100 grammi di burro, una tazzina da caffè di rhum o altro liquore, 5 uova, 200 grammi di uvetta, una bustina di lievito. Imburrare e infarinare una pirofila rotonda. Versare l’impasto nella pirofila. Cuocere a 180° per un’ora.

Penne alla Bianucci Preparazione Tritare un mazzetto di prezzemolo e 3 spicchi di aglio e far rosolare in olio. Aggiungere un vasetto di pomodori pelati o pomodori molto maturi a pezzetti, sale e peperoncino. Cuocere per 15 minuti. Cuocere le penne in una pentola con acqua e sale. Versare le penne nella salsa. Aggiungere due mozzarelle tagliate a pezzetti e far cuocere per 5 minuti. Servire caldo.

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Cannoli al pomodoro Preparazione Utilizzare la pasta per lasagne pronta o cuocere la pasta da lasagne in acqua salata per qualche minuto. Soffriggere uno spicchio di aglio nell'olio in una padella e versare due vasetti di pomodoro a pezzetti nella padella con basilico e sale. Cuocere per 20 minuti. Mettere su ciascuna striscia di pasta da lasagne due cucchiai di salsa di pomodoro, un cucchiaio di parmigiano, 5 fettine di mozzarella e sale e arrotolare la pasta facendo dei cannoli. Mettere 3 cucchiai di salsa di pomodoro su una teglia da forno e aggiungere i cannoli creati. Cospargere i cannoli con salsa di pomodoro, parmigiano grattugiato e fiocchetti di burro. Cuocere in forno per 30 minuti.

Besciamella Preparazione Sciogliere 50 grammi di burro in una pentola. Aggiungere 8 cucchiai di farina. Mescolare. Aggiungere 500 grammi di latte caldo e sale. Cuocere a fuoco lento girando con un cucchiaio di legno fino a quando non è stata raggiunta la densità desiderata.

Acciughe marinate Preparazione Lavare, diliscare e passare le acciughe nell’aceto. Preparare un battuto di aglio, prezzemolo e peperoncino. Mettete le acciughe a strati in un recipiente con il battuto. Coprire con abbondante olio d’oliva. 38


Minestra di pane Preparazione Mettere in una padella un bicchiere di olio, una cipolla a fette e 5 spicchi di aglio e far soffriggere. Aggiungere un vasetto di polpa di pomodoro e cuocere per 45 minuti. Cuocere mezzo chilo di fagioli in una pentola con acqua. Passare i fagioli con il passatutto. In una pentola grande mettere il passato di fagioli, acqua, un dado e sale e far bollire. Aggiungere la verdura mista tagliata a pezzi abbastanza grossi (1 cavolo rasagnino, 8 foglie di bietola, 3 cucchiai di fagioli, 3 carote, 3 zucchini, 3 patate, 3 cucchiai di piselli, 2 foglie di salvia, 10 fagiolini, sedano, prezzemolo, basilico, e perpolina). Far cuocere per un’ora circa. Aggiungere il soffritto e far bollire per 15 minuti. Tagliare un chilo di pane raffermo a fette sottili. In un tegame molto grande e fondo mettere uno strato di verdura e uno strato di pane, uno strato di verdura e uno strato di pane, uno strato di verdura e uno strato di pane e infine uno strato di verdura. Bucare la minestra di pane con un cucchiaio molte volte in modo che il pane non rimanga secco in fondo. Servire calda o fredda.

Sformato Preparazione Lessare 1 cavolfiore e 3 finocchi . Tritare la verdura e togliere l’acqua rimasta. Aggiungere 3 uova, besciamella, formaggio grattugiato e sale. Ungere una teglia da forno. Versare il composto nella teglia e cospargerlo di pan grattato. Cuocere in forno per 30 minuti.

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