Il Volto santo di Manoppello

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Mario D’ALESSANDRO

Del Volto Santo di Manoppello Disegni di Lucio TROJANO



A Maria Domenica Conti in D’Alessandro, Madre di grande cuore, nel centenario (1907-2007) della nascita è dedicata, a nome dei Suoi undici figli, con l’immutato sentimento d’amore che ci ha uniti in vita, questa opera di poesia e di preghiera al Volto Santo del Signore, che, siamo certi, già contempla, Beata, da quando ci ha lasciati nel dolore e nella speranza di rivederLa nella gloria di Dio.



Mario D’Alessandro

Del Volto Santo di Manoppello Poemetto tra leggenda e storia

Opera Editrice novembre 2006 Chieti


© Copyright by Opera Editrice I Edizione: Novembre 2006 a a nostrerr

Collana: T

© Copyright Disegni Lucio Trojano Tutti i diritti riservati

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In copertina e all’interno disegni di Lucio Trojano



PREFAZIONE Uomo di cultura, per molti anni (dal 1964 al 2005) direttore della Biblioteca delle Facoltà umanistiche dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti, Mario D’Alessandro ha sempre manifestato la sua attenzione competente verso gli avvenimenti significativi del territorio locale (è stato anche cronista della redazione di Chieti del quotidiano “Il Messaggero” dal 1963 al 2004); senza disdegnare una curiosa e delicata ironia, della quale sono impressi soprattutto quei componimenti in lingua ed anche in dialetto, nei quali si è spesso cimentato, attraverso il suo personale tributo ad un genere letterario ben radicato nella tradizione locale, specialmente teatina, dal ‘700: il poemetto celebrativo d’occasione. L’occasione del presente elaborato in versi è la visita devozionale compiuta dal Santo Padre Benedetto XVI, il 1° settembre 2006, presso uno dei Santuari d’Abruzzo e d’Italia più sentiti ed amati: il Santuario del Volto Santo di Manoppello (Chieti). Oggetto di una devozione popolare importantissima, questo luogo rappresenta un mistero solenne, capace di catalizzare anche l’interesse di studiosi internazionali, teologi e scienziati. Nonostante ciò, se si eccettuano la tradizione folclorica e l’innistica legata al culto, sembra essere la prima volta che la letteratura, e nello specifico la poesia, si occupano con intenti eruditi e omnicomprensivi dell’oggetto sacro che in questo Santuario viene tutelato. La reliquia conservata a Manoppello, un telo sottilissimo con su impresso il Volto di Gesù sofferente, attraverso tratti visivi che la scienza ha dimostrato alieni da qualsiasi traccia di pittura, costituisce senz’altro un mistero immenso: i dati tecnici della natura chimica e pittorica di quel ‘Velo’ non lasciano adito a facili razionalizzazioni di natura scientifica. Le suggestioni che le domande suggerite da questa ‘presenza’ stimolano anche nei non credenti arrivano direttamente al cuore dei secoli della cristianità; dalla devozione popolare alla filologia, alla storia, fino ad arrivare alla scienza, questo mirabile oggetto di culto e questo luogo, immerso nella dolce drammaticità delle colline della Val Pescara, attirano sensibilità ed intelligenze (che il testo in molti casi ricorda e chiama per nome) di provenienze e di respiro cosmopolita e universale. Se la fisiognomica di quel Volto è stata sorprendentemente (e perfino geometricamente) allineata alle fattezze della Sacra Sindone conservata in Torino, è forse di ancor maggiore fascino l’ipotesi, avanzata da alcuni storici che questa reliquia possa addirittura identificarsi con la celeberrima “Veronica” che per circa un millennio attirò a Roma

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numerosissimi pellegrini, quasi come il vero punto d’arrivo simbolico di quel cammino avventuroso e sacro che rappresentò la più grande allegoria della salvezza, ma anche un impegno concreto per milioni di uomini e donne. L’importanza della ‘Veronica’, il suo impatto sull’immaginario dei cristiani, certamente superavano la meta ufficiale di quel viaggio: la visita alla tomba dell’Apostolo Pietro. La ‘Veronica’ attestata da tutti gli scrittori medievali e in particolare da Dante Alighieri e Francesco Petrarca, con versi struggenti e definitivi, scomparve da Roma al cadere degli ultimi scampoli del Medio Evo e probabilmente durante il sacco di Roma del 1527, ad opera dei Lanzichenecchi, (circostanza citata ma non condivisa nel poemetto). Mario D’Alessandro muove in questa rievocazione proprio da quel “giallo”, ma senza enfasi eccessive da “scoop” giornalistico, semplicemente lascia aleggiare una suggestiva spiegazione, partendo nel racconto in versi dai fatti semplici e di sapore quotidiano, attestati dai primi documenti. Quella ipotesi affascinante e tutte le considerazioni che fin qui abbiamo fatto arrivano solo in un secondo tempo, aprendo a ventaglio il quadro di questa vicenda. E non ha remore l’Autore ad abbracciare nella sua pienezza ciò che i cristiani credettero per secoli, quasi aggirando con slancio le notizie più aride e filologiche di cui pur dimostra nel poemetto un’attenta documentazione: quel ‘Velo’, ed è ciò che a lui interessa veramente dire, è sicuramente il ‘Velo’ di cui parla il Vangelo, con cui la pia donna Veronica asciugò il Volto sanguinante di Cristo sofferente al Calvario! Questa verità, sentita prepotentemente e con semplice evidenza, non impedisce, però, all’Autore di mettere poi a frutto la sua esperienza di studioso e bibliotecario, avente dimestichezza con i libri e i documenti, attraverso la ricostruzione di quegli eventi e personaggi che condussero dapprima il ‘Velo’ a Manoppello, tramite le mani non sempre rispettose dei privati, a quelle dei religiosi. In un secondo tempo, con deferenza certosina, sono le fasi della fondazione e dell’allargamento del culto ad essere seguite, avvolgendo in un ‘climax’ agnitivo la rivelazione di questo grande mistero storico. L’Autore sceglie per questa operazione il metro dell’ottava, la cui cadenza semplice e popolare illumina a tratti di una luce di stupore il susseguirsi dei fatti narrati: ma al contempo dona alla narrazione il tono dell’epica colta, riecheggiata nei cantari medievali; uno status poetico che trapela e pare emergere dal tessuto apparentemente didascalico. Si tratta, insomma, di un tentativo letterario raffinato, che nei suoi ritmi allude ad una tradizione ancora più antica di quella già indicata per questo genere letterario del poema d’occasione e che può farsi risalire, nelle tonalità del racconto, addirittura all’epica aquilana di Buccio di

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Ranallo, che raccontò con altro metro la battaglia di Tagliacozzo del 1268, quando gli Svevi furono definitivamente sconfitti e cominciò il regno degli Angioini nel meridione d’Italia. L’ascendenza è senz’altro esagerata, ma può essere riscontrata la stessa ottica dell’uomo colto, calato negli eventi contemporanei, che mentre esprime la piena appartenenza alla sua gente, alla quale si rivolge in modo privilegiato il suo verseggiare, conserva tuttavia la pensosità propria dell’osservatore cosciente e colto. Altra differenza è che si passa dalla sfera politica a quella sacra: eppure è evidente come l’oggi tenda a confondere in modo stridente i due ambiti. L’anima dell’erudito si lega così al candore del devoto e a momenti abbandonati alla freschezza del racconto popolare tipica del cantastorie ‘contadino’. Gli eventi locali sono colti nel punto in cui l’Abruzzo diventa palcoscenico degli avvenimenti mondiali, con il medesimo piglio avvincente e modesto, da vero appartenente a questo popolo. Alacre e umile nella sua sensibilità riservata: eppure fiera, consapevole del contributo che queste terre hanno dato all’umanità, pur da una posizione appartata, o liminare. Il racconto degli studi svolti in questi ultimi cinque secoli sul Volto Santo di Manoppello, dei riconoscimenti e delle indagini aperte sull’oggetto sacro e sul suo culto sempre più diffuso, la quasi pignola rendicontazione dei contributi, mentre senz’altro accolgono la storia religiosa (locale, ma anche ‘pietrina’), puntualizzando i vari momenti di persecuzione e ostacolo da parte del potere politico, danno spazio nondimeno ai momenti forti dell’incontro del semplice popolo cristiano con questo mistero della reliquia; restituendola a quella luce di celeste umiltà, le cui valenze sono sicuramente di portata ecumenica La visita del Papa va intesa come il vertice di un lungo percorso, in cui hanno avuto voce insigni studiosi, ma anche umili prelati, e ancor più umili scalpellini e muratori, intenti alle migliorie e allargamenti del Santuario. Va inteso come una sorta di processione devozionale il lungo elenco di queste figure e di questi interventi, cui le alte gerarchie della Chiesa hanno solo dato il ‘la’ nel corso dei decenni e dei secoli. Ma questo punto d’arrivo, che poi è stato il motore iniziale del componimento, la venuta a Manoppello di Papa Benedetto XVI, non appare come un momento pomposo e solenne, una apoteosi della storia, come forse con facilità sarebbe accaduto nei progenitori ottocenteschi di questo genere letterario. D’Alessandro evita con intelligenza la retorica: quello che potrebbe essere descritto come un evento quasi mondano viene invece narrato (ancora una volta con stupore sospeso) puntando l’attenzione

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sul messaggio intimo e spirituale racchiuso nel mistero del Volto Santo, e suggerito dalle stesse parole pronunciate dal Papa per l’occasione: parole che si incarnano nella poesia stessa del poemetto, trasfigurando l’avvenimento di cronaca. Il messaggio ‘eucaristico’ di quel velo di bisso, giunto a noi nel silenzio e nella riservatezza dei secoli, ha attraversato turbolenze della storia, diatribe polemiche che sono tutt’altro che fugate dal presente. Alla luce di questo, il percorso documentario che l’Autore ha arditamente messo in versi, lungi dall’apparire come un’arida e burocratica sequenza di ‘carte’ e testimonianze di storia locale, appare come il sigillo concreto dell’attenzione devota con cui gli uomini di questa terra d’Abruzzo, come in un autentico percorso di fede collettivo, aperto a tutte le genti, hanno saputo accogliere in cinque secoli questo sublime ‘ospite’.

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Nicola Fidanza


NOTA DELL’AUTORE A Manoppello, per misteriose vie, cinquecento anni fa, nel maggio 1506, giunse uno sconosciuto che, chiamato da parte un farmacista (“dottore fisico”) Giacomantonio Leonelli, che si intratteneva dinanzi alla chiesa di San Nicola con alcuni paesani, entrato in chiesa, gli consegnò quello che il primo cronista della vicenda, padre Donato da Bomba, francescano cappuccino, chiamò “fardelletto”. Quando Giacomantonio Leonelli lo aprì si ritrovò tra le mani un velo di finissimo lino con ritrattata un’immagine del volto di Gesù Cristo. Volendo avere più notizie di quel velo alzò gli occhi verso lo sconosciuto, ma non lo vide più e, uscito in piazza, ebbe conferma che nessuno dei paesani che lo avevano visto entrare in chiesa in sua compagnia, aveva visto uscire altre persone che non fosse lui. Comincia così la vicenda del Volto Santo di Manoppello, esposto in una teca tra due vetri con cornice di noce dal 1638, da quando il dottor Donatantonio de Fabritiis, che lo aveva comprato per 4 scudi, nel 1618 da Marzia Leonelli, pronipote di Giacomantonio, costretta a venderlo per far uscire di prigione il marito Pancrazio Petrucci, lo ha donato ai Frati Cappuccini del Convento di San Michele Arcangelo, cominciato a costruire, sul Colle Tarigni, poco fuori il paese nel 1620. Di questa vicenda narra il poemetto, che vuole farla conoscere, in versi endecasillabi ed in ottave (ottava rima), stanza o strofe con i primi sei versi in rima alternata e gli ultimi due in rima baciata (abababcc), cercando di seguire le orme di altri Autori, primo fra tutti il grande Ludovico Ariosto dell’”Orlando Furioso”, re dell’ottava rima. Chi scrive non è certo Ariosto, né l’argomento è epico come l’”Orlando Furioso”, ma animato dall’amore per le “cose d’Abruzzo”, l’Autore spera di poter contare su quei 25 lettori, sufficienti a soddisfare un grande scrittore come Alessandro Manzoni per i suoi “Promessi Sposi”. Se ce ne fossero di più non per questo insuperbirebbe, si rallegrerebbe soltanto perché ci sono lettori in più di un’opera letteraria o che ambisce essere tale.

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Manoppello (manipoli di grano e di fede)

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I Del Volto Santo vi voglio narrare, il Velo della Veronica detto, che a Manoppello hanno visto arrivare ben racchiuso dentro ad un “fardelletto”, varie person che stavano a parlare, nella piazza appoggiate ad un muretto: videro all’improvviso un forestiero con tunica bianca e un mantello nero. II Manoppello, in Abruzzo Citeriore, feudo un tempo di Napoleone Orsini, il qual per anni ha retto con onore di grande parte d’Abruzzo i destini, negli anni durante i qual fu signore di molte città e di tanti paesini. Manoppello mantien di tanta storia solo poche tracce nella memoria. III Duecentocinquanta metri sul mare, alle verdi falde del Monte Maiella, sta Manoppello, paese collinare, in posizione amena alquanto bella, che a “Manipulum” fa ognuno pensare, del covone di grano la mannella. Son circa seimila i manoppellesi, tra i più tenaci tra i forti abruzzesi.

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Libro I


IV In quegli anni di storia alquanto oscura, Manoppello tempi tristi viveva, e la gente sottostava alla paura, or Carlo Ottavo in Italia scendeva, abbatteva città con le sue mura, e Pardo Orsini il suo feudo perdeva: nel millecinquecentosei i Teatini fin lì estendevano i loro confini. V Il forestiero, giunto di sorpresa, Giacomantonio Leonelli avvicina, gli dice di seguirlo nella chiesa, gli consegna la reliquia divina e mentre il dottore, con ansia tesa, guarda curioso ciò che gli propina, scompar lo sconosciuto forestiero, aumentando ancora di più il mistero. VI Era un giorno di maggio, di mattino, quando Leonelli svolse il “fardelletto”, vi trovò un telo di bisso marino, con un viso in un rettangolo stretto, con negli occhi un lampo divino e sulle labbra un leggero baffetto. Si voltò per dir grazie al portatore, ma in chiesa non c’era più quel signore.

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VII Ora il telo avuto osserva Leonelli, con l’immagine che invita a pregare, quegli occhi dolci, quei lunghi capelli, che fan riflettere, fanno pensare, chissà che mano, con quali pennelli, è riuscito quel volto a immortalare. Vorrebbe il forestiero rintracciare, perché indeciso non sa cosa fare.

VIII Di corsa esce Leonelli sul sagrato, chiedendo ai suoi compagni incuriosito se qualcuno di là fosse passato, ma gli vien detto: “Nessun di qui è uscito. Certo è un Angelo dal Cielo mandato, e già in Cielo avrà tutto riferito”. Nel sole di maggio, pien di calore, quel telo manda un celestial fulgore. IX Leonelli il telo ancora osserva attento quell’immagine lo ha proprio colpito, gli sorge in cuore un dolce sentimento, che rimaner lo fa lieto e stupito, capisce che si tratta di un portento passandovi anche sopra con un dito. Come tutti, guardandolo soltanto, vuole esclamar: “Di certo è un Volto Santo”.

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X Non c’è traccia, però, di alcun colore, il disegno non appar ricamato, era chi l’ha fatto un grande pittore perché il Volto di Cristo ha ritrattato. “È questo il Volto di Nostro Signore, quando fu nel sepolcro sotterrato”, dice Leonelli, stringendolo al petto, “deve esser conservato con rispetto”. XI Lo guarda, lo riguarda, lo rimira, così nota un altro particolare, che da qualsiasi parte lo si gira, in trasparenza sempre un volto appare, guarda un lato, dall’altro lo rigira, riman trasecolato a meditare: “È questo un messaggio inviato dal Cielo, veneriamo in ginocchio il Sacro Velo”. XII Nella piazza, nel mattino di maggio, mentre vi accorre affannata la gente, la qual già ha ricevuto quel messaggio, dovunque diffuso velocemente, al Telo Santo viene reso omaggio dalla folla osannante e pur plaudente: da quella, in ginocchio, in venerazione, viene iniziata l’attual tradizione.

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XIII Quella che ogni anno viene celebrata, con solenne gran partecipazione quando la teca d’argento intarsiata dal Santuario è portata in processione, su un piccolo ponte fa una fermata, salutata con filial devozione, coi fuochi d’artificio della festa per ripartire con la banda in testa.

XIV Ma chi guarda quel Velo ognor si chiede da dove a Manoppello sia venuto, è il Volto Santo ognun di certo crede, si vuol saper di quello sconosciuto, per dar più forza alla spontanea fede: chi un sì prezioso don non si è tenuto? Un oggetto di così gran valore, nessun essere può avere in orrore. XV “Che far della reliquia benedetta?” Giacomantonio Leonelli si chiede, in casa porla in una cappelletta, la migliore cosa da fare crede. Verso la sua dimora ecco si affretta e altro modo di conservar non vede, costruisce per quel bel Telo un altare e nessun altro lo può venerare.

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Il fardelletto giunto a Manoppello nel 1506

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Libro II I Cent’anni passan da quell’evento, il Volto Santo è un bene familiare, lo tiene il dottor Leonelli contento, e i figli lo possono ereditare, non c’è ancora a Manoppello un convento; tra qualche anno si vedrà fabbricare, nel milleseicentootto, all’improvviso, un fatto avvien, di sviluppo impreciso. II Giacomantonio Leonelli, il dottore, che il Telo in chiesa aveva ricevuto, carico d’anni per malattia muore, quel Telo da lui sempre mantenuto, non riceve più rispetto ed onore, dalla figlia Marzia, erede, ottenuto, da Pancrazio Petrucci, suo signore, con prepotenza viene via portato, ma per questo finisce carcerato. III La moglie Marzia affranta e disperata, per potere il marito liberare, dallo stesso consorte consigliata, il denar che ci vuole va a cercare. La roba in casa di valor trovata, al migliore offerente vuole dare: Donatantonio de Fabritiis chiede di ottenere quell’oggetto di fede. 17


IV Per quattro scudi divien possessore, insieme con altri oggetti, acquistati di quel Telo col Volto del Signore, si rivolge immediatamente ai frati già con passione e religioso ardore nell’erigere un convento impegnati: Fra Remigio da Rapino, felice quel Volto Santo racchiude in cornice.

V Vien fondato il Convento francescano con i frati minori cappuccini, e padre Celestino da Lanciano, che in futuro ne segnerà i destini, ne è il primo osservante Padre Guardiano, molto apprezzato da quei cittadini. Ed anche una chiesa vi sorge a lato, San Michele Arcangelo vi è onorato. VI Siam giunti al milleseicentotrentotto, anno importante per il Telo Santo, ha il Convento sviluppo ininterrotto, Donatantonio de Fabritiis, intanto, da spirito religioso condotto, dona ai Cappuccini quel Volto Santo: posto in una nicchia accanto all’altare, solo i Frati lo posson contemplare.

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VII Fra Donato da Bomba, cappuccino, due anni dopo scrive la relazione, che è frutto di uno studio certosino, con la storia, fattasi tradizione, dello strano miracolo divino, di cui nessun sa dare spiegazione: del Volto Santo a Manoppello giunto, raccontato a tutti punto per punto. VIII La “Relazione Historica” suddetta, in cinque anni scritta ed elaborata, in presenza di notabili è letta, con un verbale vien convalidata, la versione ritenuta corretta, vien con la firma di tutti approvata: di Manoppello c’è il Luogotenente ed anche de Fabritiis è presente. IX Quarant’anni passan da quella data, al Telo Santo fanno una cappella, dove la teca argentea è conservata, di altare e tabernacolo si abbella, e al Volto Santo viene intitolata. Ben presto si diffonde la novella: Padre Giuseppe di Chieti è il Guardiano, che del pubblico culto è antesignano.

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X Infin, nel milleseicentonovanta, la prima festa viene celebrata, il sei d’agosto, una giornata santa, della Trasfigurazione chiamata. La folla che vi partecipa è tanta, da quel Velo prodigioso incantata. Non c’è ancor la pubblica esposizione, ma c’è già una convinta devozione. XI Passano tredici anni e finalmente, si tiene anche la prima processione con grande afflusso di tutta la gente. Fra Bonifacio avvia l’esposizione ed un nuovo prodigio, stranamente, stupisce e suscita gran sensazione: quando i vetri si vanno a sostituire il Volto Santo è visto scomparire. XII Il fenomeno si ripete ancora, quando undici anni dopo un altro frate, vuol rifar l’esperimento d’allora. La teca ornando in lamine argentate, cui l’orafo De Laurentiis lavora, da padre Antonio Poschiavo ordinate, l’immagine senza i vetri scompare, rimettendoli subito riappare.

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XIII Quattro anni dopo, un gran papa romano, che Clemente Undicesimo è chiamato, firma una bolla con poter sovrano, con cui solennemente ha decretato, che valido sia un settennio sano, per quanti la chiesa abbian visitato: con decisione certo straordinaria, concessa vien l’indulgenza plenaria. XIV Si fan più numerosi i pellegrini, che il Volto Santo vanno a venerare, in prima fila sono i cittadini, che la reliquia voglion celebrare, così la Curia e i frati Cappuccini, le feste decidono d’approvare: a maggio, la domenica seconda, il sei d’agosto la festa seconda. XV Le feste vengon regolamentate per contener dei fedeli le spese, che con le lotte a premi organizzate, erano apparse al Provinciale offese, per cui quelle aste vennero vietate salvaguardando il decoro del paese: fra Serafino da Chieti interviene con un divieto imposto a fin di bene.

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Fra Bernardo Valera

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..... continua......


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