Intrecci in sardegna

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Copertina Intrecci_Sovraccoperta Intrecci 28/11/11 11.16 Pagina 1

INTRECCI

INTRECCI Storia, linguaggio e innovazione in Sardegna

ISBN 978-88-6202-084-8

9 788862 020848

In sovraccoperta: Cesto, Sinnai, prima metĂ XX sec.


1 Introduzione, Cossu, Lupinu, Camarda Demartis 1:Intrecci 1 21/11/11 17.28 Pagina 100

167. Il corredo dei manufatti a intreccio (sa scraria), San Vero Milis, anni Cinquanta XX sec. Seneghe, collezione privata. Parte (mancano solo pochi elementi) del corredo nuziale (realizzato da Gesuina Poddighe) commissionato dalla madre della sposa. Sa scraria completa comprende due cesti, carrigu/chirrigu; due cesti pi첫 piccoli, carrigheddus/chirrigheddos; due canisteddas; tre crobis per ogni misura. Entravano a far parte del corredo anche i crivelli chibiru/chiliros suddivisi nelle tipologie principali su chiliru de chirrinzonare, su chiliru de prugai, su chiliru de cherrere.

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528. Cestino (pischedda), Bosa, anni Ottanta XX sec. orditura di pertiche di olivastro non decortecciate e lentisco e tessitura in canne, h 33 cm, Ă˜ 30 cm, Bosa, collezione privata. Cesto, con base circolare sopraelevata, destinato al trasporto manuale di frutta e ortaggi. 529. Cestino (pischezone), Narbolia, 2010 orditura di sottili pertiche di olivastro e tessitura in canne, h 43 cm, Ă˜ 25 cm, Narbolia, collezione privata. I listelli utilizzati nella tessitura di questo cesto sono particolarmente sottili, ciascuno risulta essere un dodicesimo della canna intera. Il manico ad arco è ricavato da pertiche di olivastro lavorato con due trecce piatte e sovrapposte una all’altra fissate con tre fermi di pertica precedentemente sfibrata, poi arrotolata a spirale sul manico.

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548. Cesto per la conservazione del formaggio, Nurra, metà XX sec. orditura di pertiche di olivastro e tessitura in canne, h 49 cm, Ø 35 cm, Castelsardo, Museo dell’intreccio mediterraneo.

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549. Tramoggia, Ittiri, anni Sessanta XX sec. orditura di pertiche di olivastro, tessitura in giunco e canne, h 104 cm, Ø 62 cm, Castelsardo, Museo dell’intreccio mediterraneo.

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550. Cesto per la raccolta dello zafferano, San Gavino Monreale, 2011 orditura di pertiche di salice e tessitura in canne, h 46 cm, Ø 34 cm, Nuoro, collezione privata. Questo particolare manufatto nasceva come contenitore per la raccolta e la conservazione delle lumache (aveva infatti la bocca più chiusa e un tappo). Oggi, grazie alla sua conformazione, che protegge il contenuto dal vento, viene utilizzato durante la raccolta dei fiori di zafferano.

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551-552. Cesto per le lumache (cadinu po sintzigorrusu), Ales, metà XX sec. orditura di pertiche di olivastro e tessitura in canne, h 40 cm, Ø 41 cm, Castelsardo, Museo dell’intreccio mediterraneo. Questo contenitore con coperchio veniva utilizzato per “spurgare” le lumache.

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366-367. Cofanetto con coperchio (coffinu), Quartu Sant’Elena, prima metà XX sec. ordito in culmi di grano e tessitura in giunco con inserti in panno, interno rivestito in broccato, largh. 25 cm, Quartu Sant’Elena, collezione privata.

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621. Nassa da fiume, Castelsardo, seconda metà XX sec. giunco e olivastro, h 34 cm, largh. 26 cm, Castelsardo, Museo dell’intreccio mediterraneo. 622-623. Nassa per la pesca delle anguille, Nord Sardegna, metà XX sec. giunco, h 56 cm, largh. 23 cm, Sassari, collezione privata.

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posture del corpo e gestualità del tutto simili a quelle scattate a Porto Torres, a indicare ricorrenze tecniche nella pratica della pesca. Lo stesso può dirsi per la tecnica d’armatura della rete. Le reti sono formate da fili incrociati, annodati fra loro a distanze regolari in modo da creare maglie romboidali le cui misure e robustezza cambiano in base al loro impiego. Il materiale da intreccio più usato tradizionalmente era la canapa, ma anche il cocco, il crine e altri materiali, in relazione alle diverse tipologie. Le reti variano per forma, estensione e robustezza dei filati, in funzione del tipo di pesca praticata, che a sua volta esprime la conoscenza della preda da catturare. Si pensi al complesso sistema di reti delle tonnare (ampiamente diffuse in Sardegna dal XVI secolo agli anni Settanta del secolo scorso), che costituisce un vero e proprio edificio subacqueo diviso in più sezioni intercomunicanti chiamate camere, collegato alle coste con un lungo pedale, che ha la funzione di deviare il corso dei tonni in viaggio sottocosta per condurli fino alla camera della morte dove avverrà la mattanza.21 Le reti, intrecciate con filati di ampelodesmo, cocco, manilla e canapa, erano costruite con maglie via via più strette e robu-

638. Lavorazione di una nassa, Cabras, San Giovanni di Sinis, 1955-58 (foto Mario De Biasi). 638

639. Capanni (barraccheddas de càstiu), Cabras, San Giovanni di Sinis, 2011 (foto Nelly Dietzel).

ste man mano che ci si avvicinava alla camera della morte, che rispetto alle altre camere era munita anche di un pavimento, sempre di rete. La costruzione, armatura e cala della tonnara era un lavoro molto impegnativo, che richiedeva maestranze specializzate. A mattanza avvenuta parte delle reti venivano tagliate e lasciate in mare in quanto deteriorate e inutilizzabili per la cala dell’anno successivo. Essendo di materiale bio-degradabile non c’erano problemi di inquinamento. Prima dell’introduzione del nylon, avvenuta negli anni Cinquanta del secolo scorso, nelle famiglie di pescatori, in specie in quelle originarie del Sud d’Italia, la produzione delle reti era un fatto esclusivamente domestico: si acquistava canapa e lino che venivano filati dalle donne, quindi si procedeva all’intreccio e infine alla colorazione. Il materiale colorante si otteneva triturando e bollendo la corteccia di pino, dentro il cui infuso venivano immerse le reti, che assumevano un caratteristico colore rossiccio. La colorazione si ripeteva più volte nel corso dell’anno, e, secondo i pescatori, non solo poteva favorire il mimetismo delle reti col fondale marino, ma anche conferire una maggiore resistenza alle reti stesse. Gli strumenti per la costruzione delle reti erano semplici: una spola su cui avvolgere il filo, un paio di forbici e “modani” di diverse misure e forme. I modani, strumenti cilindrici di legno, servivano per la misura dei lati delle maglie, che dovevano replicarsi perfettamente uguali. Per una rete a maglia molto ampia si usava come modano una tavoletta di legno rettangolare. 369


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587. Gerla (coffa ardaulesa), Ardauli, metà XX sec. orditura in pertiche di olivastro e lentisco, tessitura semplice con liane di Clemantide Cirrosa ritorte, h 46 cm, Ø 59 cm, Paulilatino, Museo Civico “Palazzo Atzori”. Questa gerla era destinata al trasporto a dorso d’asino o cavallo, la sua forma a bisaccia consentiva che fosse legata e sistemata in coppia sulla sella o sul dorso dell’animale; veniva utilizzata soprattutto per il trasporto e il commercio delle ciliegie, spesso era venduta insieme ai frutti.

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588. Gerla (coffa ardaulesa), Ardauli, metà XX sec. orditura in pertiche di olivastro e lentisco, tessitura semplice con liane di Clemantide Cirrosa ritorte, h 42 cm, Ø 39 cm, Paulilatino, Museo Civico “Palazzo Atzori”.

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per trasportare il pescato ed erano muniti di due manici di cordame. I marruffi erano dei grossi cesti a forma conica, il cui fondo piatto poteva raggiungere i due metri di diametro, sostenuto da verghe robuste a cui venivano intrecciati giunchi grossi, ma anche polloni di piante più resistenti e flessibili. Venivano tenuti in mare, in zone sabbiose vicino alla costa, per conservare le aragoste in vivo, in attesa del passaggio delle golette dei commercianti. Di dimensioni più ridotte ma ugualmente robuste erano le anciusas, grosse nasse anch’esse destinate alla conservazione del pescato in vivo, in uso fra i nassaioli algheresi che frequentavano stagionalmente le coste dell’Oristanese.19 L’intreccio delle reti Come s’è visto in apertura di questa riflessione, non meno delle nasse risale ad antica data l’intreccio delle reti. In Sardegna, quando condussi la mia ricerca di campo, molte tecniche di pesca con le reti erano ormai solo oggetto di memoria, ma si sottolineava la necessità di una esperienza manuale per l’armatura e il rammendo. Rammendare le reti è infatti un’operazione delicata, che richiede la conoscenza della tecnica specifica di intreccio. Ancora oggi è frequente, nei porti pescherecci, vedere i pescatori seduti a terra intenti a rammendare le reti. Qui si vede all’opera quanto afferma l’antropologo Marcel Mauss quando sostiene che il corpo è il primo e più importante strumento dell’uomo:20 il pescatore è chino sulla rete, una gamba sta distesa e l’alluce funge da gancio per tenerla tesa, le mani sono intente ad annodare e la bocca può reggere l’ago (agugella) quando le mani s’impegnano nella misura delle maglie o nel far procedere il pezzo di rete su cui sta lavorando. Si tratta di un’immagine che ho potuto osservare nei porti del Mediterraneo e dell’Atlantico: alcune foto scattate a Vigo, in Galizia, riproducono

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634. Nassa vivaio (marruffu), seconda metà XX sec. giunco e olivastro, h 65 cm, Castelsardo, Museo dell’intreccio mediterraneo. 635. Cesto palamito, seconda metà XX sec. giunco, olivastro e sughero, Ø 62 cm, Castelsardo, Museo dell’intreccio mediterraneo. Sulla parte in sughero del bordo vengono collocati gli ami. La zucca, all’interno, funge da galleggiante. 636. Nasse e cesto per il pescato sulla spiaggia, Porto Pino, 2011 (foto Gianfranco Corona). 635

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637. Capanne dei pescatori dello stagno, Cagliari, 1905 (foto Max Leopold Wagner).

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