Su Patiu n 35

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Notiziario della Parrocchia Sant’Ignazio di Loyola - Oliena

N. 35 - Aprile 2018

Rinascere a vita nuova

La fede nella risurrezione genera una speranza che coinvolge l’intera creazione

“P

er mezzo di lui rinascono a vita nuova i figli della luce e si aprono ai credenti le porte del regno dei cieli. In lui morto è redenta la nostra morte; in lui risorto tutta la vita risorge” (Prefazio Pasquale II). Il messaggio che proviene dalla Pasqua è colmo di gioia e di grande speranza. “Quanti siamo stati battezzati nel nome di Cristo, siamo stati resi solidali nella sua morte e così abbiamo ricevuto una vita nuova, come Cristo è stato risuscitato per la potenza vittoriosa di Dio” (Rm 6,3-5). La Pasqua, trionfo della vita sulla morte, ci invita a riscoprire e a risalire alle origini di questa illuminazione che altro non è se non il dono della fede ricevuto nel battesimo. Celebrare la Pasqua è credere che la solidarietà di amore di Gesù con il nostro peccato si è trasformata, per mezzo di lui Vivente, in una vita nuova che «redime la nostra morte facendo risorgere in lui tutta la vita». Da questa realtà pasquale nasce la Chiesa, comunità dei credenti, chiamata a testimoniare nella storia concreta di ogni giorno questa trasformazione interiore e morale che coinvolge le stesse realtà terrestri. La comunità credente deve essere capace di testimoniare i cieli nuovi e la terra nuova scaturiti dalla Pasqua di Cristo. La fede nella risurrezione genera una speranza che coinvolge l’intera creazione. “Tuttavia pag. 1

@ChiesaOliena

Pasqua di questo anno ci fa vivere un segno di rinascita e di vita nuova nell’introdurci nella chiesa parrocchiale ristrutturata e rinnovata. Una chiesa che aveva i segni del tempo, con le sue zone d’ombra, con le sue ferite, con le sue incrostazioni, con le sue sofferenze strutturali. Ritorna a essere splendente con i suoi colori originali, con la sua luminosità, con il senso e il profumo del pulito, con la sua solenne sobrietà gesuitica, pronta per accogliere la vera Chiesa che è la comunità dei battezzati che potranno riscoprire anche lo spazio della loro rinascita nel battesimo. È soprattutto il segno di un cammino caratterizzato dall’impegno umile e paziente nel sanare le ferite presenti nella comunità e nel ricostruire e tessere nuovamente le trame dell’unità e della comunione. Questo è stato il lavoro più importante, le strutture vengono dopo e ne sono quasi la conseguenza e il coronamento. Anche per questo è motivo di gioia e di rendimento di grazie al Risorto per il dono della vita nuova, per la grazia di rinascere e di sperimentare sempre la sua presenza. Con questi sentimenti, anche a nome di Don Luca e di Don Tomaso, auguro a tutti buone festività pasquali con l’impegno e l’esortazione ad amare sempre più la nostra Chiesa.

l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo della umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo” (GS 39). La

www. parrocchiaoliena.it

Don Giuseppe Mattana

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Cronaca di vita parrocchiale

Cronaca di vita parrocchiale Avvenimenti vissuti nella nostra comunità dal mese di novembre 2017 al mese di marzo 2018

Il 4 novembre, come ogni anno, vengono ricordati i Caduti di tutte le guerre con la partecipazione delle autorità civili e militari del paese. Il 5 novembre l’Azione Cattolica parrocchiale organizza la Festa annuale del “CIAO”. Il 12 novembre nella chiesa di San Saturnino a Cagliari, il Parroco Don Giuseppe Mattana riceve l’investitura a Cavaliere dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme da parte di S. E. Mons. Arrigo Miglio, Arcivescovo di Cagliari e Gran Priore dell’Ordine. Dal 13 al 17 novembre il Parroco è agli Esercizi Spirituali presso la Casa Divin Maestro ad Ariccia. Il 25 e il 26 novembre il gruppo AGESCI di Oliena ricorda con un INDIRIZZI e NUMERI TELEFONICI Parrocchia Sant’Ignazio di Loyola Piazza Collegio, 7 - 08025 OLIENA (Nu) Tel. e Fax 0784.285655 mail: p.santignazio@tiscali.it web: www.parrocchiaoliena.it Don Mattana tel. 0784.285655 - 340.7661593 Don Luca tel. 349.5484738 Don Puddu tel. 0784.288707 Per le vostre eventuali offerte: Conto Corrente Postale n. 13151071 intestato a: Parrocchia S. Ignazio di Loyola - Oliena

importante Convegno i 40 anni di fondazione e di attività. Il 29 novembre ha inizio la Novena in preparazione alla Solennità dell’Immacolata. Il 9 dicembre Don Antonello Corrias fa l’ingresso a Budoni come nuovo Parroco, accompagnato da un nutrito gruppo di fedeli di Orgosolo e di Oliena. Il 13 dicembre, alle ore 20.00, si svolge l’incontro con i genitori di tutti coloro che frequentano il catechismo. Il 16 dicembre ha inizio la Novena in preparazione al Natale

NOTIZIARIO della Parrocchia Sant’Ignazio di Loyola - OLIENA

Aprile 2018 - n. 35

Direttore Responsabile: GIUSEPPE MATTANA Gruppo Redazione: LUCA MELE, ANTONELLO PULIGHEDDU, PEPPINO NIEDDU, FRANCO GARDU, FRANCESCO PALIMODDE, FRANCA MASSAIU, MATTIA SANNA, GUGLIELMO PULIGHEDDU, BASTIANINA CANUDU Grafica: Antonello Puligheddu - Stampa: Arti Grafiche Su Craminu - Dorgali Iscrizione Reg. G. e P. N. del Trib. di Nuoro n. 03/2004 del 20 Ottobre 2004

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e nello stesso giorno si celebra l’annuale “Natale degli uomini”. Il 17 dicembre viene celebrato il “Natale” dell’ADI presso i locali del Ristorante “Maccione” Il 28 dicembre viene posta e benedetta la prima pietra dei nuovi locali dell’ASO, alla presenza del Direttivo, del Presidente del Consiglio Regionale On. Garau, del Sen. Giuseppe Luigi Cucca, dell’On. Luigi Crisponi, del Dott. Manuel Delogu, Commissario del Comune e dei Sindaci emeriti di Oliena. Dal 5 al 7 gennaio Don Giuseppe Mattana guida gli Esercizi Spirituali degli Adulti di Azione Cattolica presso il Centro di Spiritualità a Galanoli. Il 7 gennaio il Gruppo di canto “Istelotte” di Dorgali, anima la Celebrazione Eucaristica nella chiesa di Santa Maria. Il 13 gennaio ha inizio il Corso di preparazione al matrimonio. Il 14 gennaio si svolge a Nuoro presso la Parrocchia di San Giupag. 2


Cronaca di vita Parrocchiale seppe il primo incontro diocesano della “Scuola della Parola”. Il 15 gennaio si svolge a Oliena l’incontro con i Sacerdoti della Forania. Il 19 gennaio si riunisce il Consiglio Pastorale parrocchiale. Il 20 gennaio la nostra Forania si ritrova a Mamoiada per la Celebrazione, presieduta dal Vescovo, in occasione dell’Ottavario di preghiera per l’Unità dei cristiani. Domenica 21 gennaio, alle ore 18, Celebrazione nella chiesa Cattedrale a Nuoro per la Conclusione della Visita Pastorale. Con la partecipazione di tutte le Comunità parrocchiali della Diocesi. Il 28 gennaio l’Azione Cattolica parrocchiale celebra la Giornata della Pace. Il 2 febbraio, Festa della Presentazione del Signore, si è rinnovato il rito della Professione delle nuove Prioresse. Il 14 febbraio ha inizio la Quaresima con l’austero rito dell’imposizione delle Ceneri. Da martedì 20 febbraio e per tutti i martedì di Quaresima si tiene la Catechesi quaresimale avendo come tema: “Amiamo la nostra Chiesa”, con riscoperta degli spazi celebrativi all’interno della chiesa. Il 20 febbraio si svolge la Celebrazione comunitaria della Riconciliazione. Il 22 febbraio Don Giuseppe Mattana e Don Luca Mele partecipa-

no all’incontro dei sacerdoti e dei parroci presso il Pontificio Seminario Regionale a Cagliari. Il 24 febbraio si svolge presso il Ponte di Oloè una significativa manifestazione popolare per sollecitare la riapertura della viabilità. Il 25 febbraio si svolge a Oliena la Giornata del Pensiero da parte di tutta la Zona AGESCI. Il 1° marzo Mons. Mosè Marcìa, Vescovo di Nuoro, nomina Don Giuseppe Mattana Canonico del Capitolo della Cattedrale, insieme a Don Giovanni Maria Chessa e a Don Alessandro Fadda. Il 4 marzo si svolgono le elezioni per eleggere il nuovo Parlamento. Il 10 marzo ha inizio la Novena in preparazione alla festa di San Giuseppe. Il 14 marzo, organizzato dall’Ufficio Catechistico Diocesano, si tiene a Oliena l’incontro foraniale di formazione per i catechisti. Il 18 marzo, nella chiesa Cattedrale di Nuoro, il Vescovo Mons. Mosè Marcìa, conferisce il Canonicato al Parroco Don Giuseppe Mattana, insieme a Don Giovanni Maria Chessa e a Don Alessandro Fadda. Il 19 marzo viene solennemente celebrata la Festa di San Giuseppe, con la Processione, la celebrazione della Santa Messa e il momento conviviale organizzato dal vicinato.

SONO TORNATI ALLA CASA DEL PADRE: Giuseppe Lussorio Rubanu Luigino Fiori Peppino Fele Giovanna Fadda Giovanna Luisa Carrus Peppino Demontis Grazia Sanna Assunta Fancello Giuseppe Porcu Giuseppe Manca Maria Cossu Giovanna Cattide Pietro Piga Pietro Deiana Salvatore Catte Maria Giovanna Puligheddu Annelise Duschl Mariantonia Congiu Giuseppe Musa Francesco Ignazio Fronteddu Antoniangelo Congiu Antoniangela Carai Pasqua Medde Anna Maria Massaiu Sebastiano Palimodde Mariantonia Cabboi 2018 Francesca Manconi Paola Podda Andrea Salis Giuseppa Pau Giovanni Sanna Matteo Falferi Grazia Salis Giuseppa Puddu Giuseppe Mereu Monserrata Tolu Giuseppa Rosa Curreli Emanuela Salis Giuseppe Boi Francesco Carrus Cosimo Maisola Maria Antonia Marongiu Antoniangelo Flore SONO STATI BATTEZZATI IN CRISTO: Gloria Dezzola Arianna Puddu Alice Putzu Armando Acquas Mattia Lapia Elisa Carta 2018 Angelo Piga

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Tradizioni

Paraliturgia de S’Incontru Tradizione e modernità

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’Incontru, così come noi lo conosciamo, è il risultato di una stratificazione e sedimentazione culturale che unisce elementi della tradizione barbaricina, medioevale e iberica. A ben guardare, dentro i riti della Settimana Santa, rappresenta il momento più alto di tutta la rievocazione: la Resurrezione. La tradizione olianese ha ben conservato la rappresentazione di questo momento come di altri riconducibili alla drammaturgia sacra. S’Incontru tra il Cristo e la Madonna è testimoniato dalla tradizione orale coeva dei vangeli apocrifi, ma non figura nei vangeli canonici, ciò non di meno è saldamente inserito nella tradizione devozionale. Ad Oliena, in questo rito, prevale la tradizione iberica: catalano-aragonese e castigliana. Già all’indomani della nascita del regno di Spagna, verso la fine del XV secolo (1479) si vanno affermando vieppiù, in tutta la Sardegna, usi e costumi spagnoli sia in ambito civile che religioso. Oliena non è estranea a questo processo di iberizzazione che, iniziato nel 1324, si concluse nel 1720. I lasciti di questa lunga presen-

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za sono testimoniati nella lingua, nell’architettura, nella religione, nei mestieri. In ambito religioso la devozione popolare trasportò, dalle chiese all’esterno di esse, momenti significativi dei riti della Settimana Santa, facendone una sorta di rappresentazione teatrale sacra e accentuandone sempre più i caratteri spagnoleggianti. Il canovaccio, infatti, resta ancora oggi quello di matrice spagnola con i tre momenti topici che narrano la passione, morte e resurrezione di Cristo. Il Giovedì Santo si celebrava S’incravamentu – El enclavamiento de Christo en la Cruz – con simulacro ligneo dalle braccia snodabili. Il Venerdì Santo la deposizione, S’Iscravamentu – El esclavamiento de la Cruz –. Era anche consuetudine allestire, nella chiesa di Santa Croce, addobbata con candidi veli bianchi, tra fiori di violacea pervinca ad indicare il lutto, il Santo Sepolcro. Tutto attorno, profumato rosmarino, felci e arhèmissa, vasetti di germogli di grano e legumi. La domenica, giorno di Pasqua, S’Incontru – El Encuentro –. Tali riti, di alto contenuto emotivo, erano governati dalle confraternite che

ebbero grande impulso, anche in Sardegna, specie dopo il Concilio di Trento 1545-1563. Ad Oliena la prima confraternita, fondata il 16 giugno 1588, era la “confraternita dei disciplinati” di chiara matrice controriformistica, che aveva sede nella chiesa di Santa Croce così come la confraternita del Santissimo Sacramento – 1591 – e quella delle Anime del Purgatorio. Quella di Nostra Signora d’Itria è del 28 maggio 1613 (cfc. Luisa Lecca 2009). Quando poi arrivarono ad Oliena i primi gesuiti, 1644-1645, provenienti dalla provincia aragonese, si ebbe l’apertura delle prime scuole ad indirizzo umanistico, con l’insegnamento di grammatica, umanità e retorica. Intorno all’anno 1652, le scuole erano già funzionanti. È da supporre che, con lo studio dell’arte drammatica antica e la declamazione della parola, venissero rappresentati dagli studenti diversi testi teatrali in lingua spagnola, tra cui quello di Francisco Carmona risalente al 1631, che era anche il più diffuso. Questa tradizione si radicò ad Oliena a tal punto che un olienese, Raimondo Congiu, che aveva frequentato le scuole gesuitiche, prendendo poi il baccellierato in teologia, scrisse “Passione et morte de Nustru Segnore Gesù Cristu”. Il testo del Congiu veniva rappresentato quasi certamente ad Oliena e sicuramente a Fonni, Mamoiada, Olzai, Gavoi, almeno sino al 1883. Ad Oliena un tale fermento culturale e religioso, protrattosi per lunghi anni, ha consentito di tenere viva e rafforzare, arricchendola, la tradizione antecedente, dei riti della Settimana Santa, accrescendone sacralità e partecipazione. Nella loro originaria semplicità ed essenzialità i riti, veicolati dalle cofradias, si vanno affermando sempre di più. pag. 4


Tradizioni

I cofradios, avvolti nei loro camicioni bianchi, in qualche caso con mantellina e cordoni rossi, recanti croci segnate a lutto, che portavano con fierezza sos labaros, che nei propri oratori celebravano insieme “l’ultima cena”, ne erano gli insostituibili protagonisti. La scomparsa delle confraternite, intorno ai primi anni sessanta del Novecento, insieme al processo di secolarizzazione, introducono il riti nella modernità con forme celebrative talora meno conservative e aderenti alla tradizione. Non vengono però intaccati il senso di appartenenza, la partecipazione, le relazioni sociali che sottendono a queste celebrazioni. La modernità, come si sa, tende a svuotare, in qualche modo, la dimensione sacra dei riti che, in generale, vanno assumendo negli anni una nuova e talora incerta fisionomia. Il rito de S’Incontru, che per intensità e partecipazione celebrativa è il segno più evidente della festa, va perciò fieramente preservato, evitando di disancorarlo dalla più autentica devozione e plurisecolare tradizione. Numerose testimonianze orali e documenti fotografici ci restituiscono il seguente quadro d’insieme: il simulacro del Cristo – Su Servadore – appare rappresentato seminudo, coperto pag. 5

da un drappo, dal volto radioso, con in mano Sa Pandela – il vessillo – a testimoniare il trionfo di Cristo sulla morte, arricchito, proprio nella fase di passaggio alla modernità, da numerosi ex voto in oro. La Madonna, contrariamente ad altre località, appare ancora segnata dal lutto, ma non doveva essere così in passato, col capo coperto da un velo nero, vestita però a festa con le mani inanellate e adornata con collane e monili. I due simulacri trasportati da giovani portantini – aggarradores – in costume locale, seguiti dalle prioresse – piores – e da una folla orante, raggiungono, da versanti opposti, la storica piazza di Santa Maria, solo da venti anni a questa parte ricoperta per l’occasione di erbe aromatiche. L’atmosfera è di compostezza. In un silenzio reso irreale dal raccoglimento e dalla pietas, i portatori dei simulacri avanzano ritmicamente con un portamento grave e solenne. Nella piazza gremita, tra due ali di giovani ben agghindati, ieratici, nei loro splendidi e rutilanti costumi, la Madonna va incontro al Figlio risorto. Trovandosi l’uno difronte all’altro, i due simulacri compiono tre inchini – indrenucrones –. Dal loro riuscito sincronismo, in passato, si traevano auspici favo-

revoli o meno sulla imminente annata agraria. È il momento forte e conclusivo: il sacerdote rimuove il segno del lutto dal capo della Madonna. I due simulacri si avvicinano sino a sfiorarsi. È il momento del pathos, momento sospeso tra terra e cielo. È S’Incontru. Da questo momento le campane suonano a distesa e l’eco degli spari rintrona potente in tutto il paese. La gioia esplode all’unisono. È la coralità della festa, la comunità si riconcilia rivivendo il rito catartico della morte che si fa vita. I due simulacri, in un profluvio di colori, di suoni e canti, vengono accompagnati in processione verso la chiesa parrocchiale per la celebrazione della Santa Messa. Tutto si conclude con l’accoglienza dei forestieri, su Humbidu, offrendo loro, tra balli e canti, i dolci della tradizione e il generoso Nepente. Questo è S’Incontru, entrato nella modernità senza essere snaturato perché gli olianesi hanno saputo riplasmarlo, arricchendolo e modellandolo sulle nuove esigenze e sulla nuova realtà. Sarà così ancora per lunghi anni se si eviterà di occhieggiare alla televisione, evitando il pittoresco e rinforzando i contenuti valoriali della nostra tradizione cristiana. Francesco Palimodde Su Patiu - Aprile 2018 - n. 35


Ammentos

Oliena: una sola chiesa in memoria di San Giuseppe

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a tempo immemorabile, il Rio Golathi, nato dal seno della montagna più bella che Dio abbia mai fatto, nel suo scendere a valle raccoglieva le acque meteoriche nonché quelle sorgive, assumendo talvolta carattere impetuoso; in tanti millenni aveva scavato profondamente il suo alveo, contribuendo a dividere fisicamente l’abitato di Oliena in due parti distinte “Sa Banda Manna” e “Sa Banditta”. Orgoglio del Rione “Sa Banditta” era ed è la piccola e modesta chiesetta, dedicata a San Giuseppe, edificata su una collinetta rocciosa a poca distanza dal citato torrente. Nella sacrestia, ancora negli anni '60, si potevano venerare tre statue lignee rappresentanti la Sacra Famiglia (che fine abbiano fatto non è dato sapere). Della chiesetta si narra che possedesse due case accanto, l’omonima piazza antistante ed un orto adiacente; inoltre una vigna con dei castagni in località “Gurtidduthi”, un pezzo di terra da 30 starelli d’orzo in località Morforo, altri terreni in Sas Thovas Sarturiddai e sa Cucuvrica, un predio in località Sartalai. La chiesa è fornita anche di tutti i paramenti e arredi necessari per celebrare Messa. Queste informazioni si ritrovano anche tra le scarne notizie in lingua spagnola riportate da un documento conosciuto come “Questionario Corongiu” e redato nel 1777 dal vicario perpetuo di Oliena, Salvatore Lovico. Da sempre, l’allegro rintoccare della campana, issata sulla vela sopra il portone della chiesa, annunciava al vicinato che la novena in onore del Santo era iniziata; sarebbe culminata con la processione del simulacro e seguita subito dopo dalla Messa solenne: due giorni più tardi sarebbe arrivata la primavera! La processione e la Messa sono sempre state frequentate da moltissimi uomini battezzati con il nome dello sposo di Maria, nonché da una folta rappresentanza di artigiani. Poiché la chiesa non poteva contenere tutti i partecipanti, questi restavano all’esterno, in attesa della fine della celebrazione, per potersi scambiare gli auguri e gustare, in allegra compagnia, “su Humbidu”, servito

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Usanze e qualche ricordo

per l’occasione dalle prioresse: caffè, vino bianco e biscotti. Subito dopo, in nome dell’ospitalità, le donne del vicinato attuavano il rito “de sa hasciadura”, consistente nell’invitare comari e conoscenti ad entrare nelle proprie abitazioni per, ancora, una tazzina di caffè e gli immancabili biscotti; gli uomini, dal loro canto, aprivano con orgoglio le cantine, proponendo l’assaggio dei vini nuovi accompagnati da salsicce, formaggio e pane carasu. E così un’intreccio di “processioni” diverse, da cantina a cantina o di casa in casa, animava il rione con partecipanti sempre più allegri dagli occhi sempre più lucidi... Questa tradizione de “su Humbidu”, che si perpetuava da sempre, fu interrotta per una volta sola nel marzo del 1928, allorquando un editto dei Vescovi Sardi, per rendere la Quaresima più sobria, ne vietava l’uso, suscitando non poche polemiche nel popolo ed anche all’interno dello stesso clero. In quell’occasione la gente aveva mormorato: “ohannu Santu Gioseppe l’ammos estau in asciuttu”. Naturalmente, già dall’anno successivo, la tradizione riprese il sopravvento e si ritornò a “Su Connotu”: come spesso succede nelle vicende umane, a molti giovani col nome di Giuseppe ed ad altri scalpitan-

ti, la festa così com’era restava un po’ stretta; riunitisi in comitato, effettuarono una questua ed eretto un palco sotto la chiesa e organizzarono una gara di poesia estemporanea. L’idea non era malvagia, ma a causa delle abbondanti libagioni sopra e sotto il palco, il risultato fu un completo disastro. Qualcuno ripropose l’intuizione per l’anno successivo, ma senza consenso popolare, la cosa morì sul nascere (si vede che a San Giuseppe bastava ed avanzava la festa religiosa). Correva voce tra gli anziani che portare il nome del Santo e assistere alla sua Festa portasse giovamento e salvezza dell’anima: “l’aviada promintu Gesù Gristu matessi, hando y morinde su babbu, Santu Gioseppe!”. Il compianto Don S. Fancello, attento osservatore, nel celebrare la festa del patrono universale della Chiesa, aveva percepito il disagio quasi fisico di molti uomini restii ad entrare in chiesa mischiati alle donne e gli era venuta la soluzione: una Messa per soli uomini. L’idea piacque a tutti e da allora nacque prima la Pasqua degli uomini e poi, a seguire, il Natale degli uomini, quali appuntamenti per prepararsi alle feste più importanti del cristiano. P. Nieddu pag. 6


L’ANGOLO dei PIU’ PICCOLI

Pasqua 2018

a cura di Don Luca Mele

U

ltimamente, insieme ai nostri catechisti, ci è capitato di riflettere in modo speciale sul cammino di fede dei ragazzi affidati alla parrocchia, soffermandoci sulla partecipazione alla Messa domenicale, sulla presenza all’ora settimanale della catechesi e sul significato che oggi si dà ai sacramenti dell’iniziazione cristiana. Constatando alcune innegabili difficoltà, nel tentativo di riscoprire maggiore entusiasmo e recuperare il vero senso delle tappe della crescita spirituale, abbiamo pensato di intervistare alcuni anziani di Oliena, non per fare dietrologia e rimanere nostalgici di un passato che nemmeno abbiamo conosciuto, ma perché la testimonianza gioiosa dei grandi diventi stimolo e incoraggiamento! Siamo stati ospiti dei coniugi Giovanna Manca e Salvatore Cossu (rispettivamente nati nel 1932 e 1926), di Pietrino Bianchi (classe 1933) e Maria Congiu (del 1928). Ci permettiamo di citarli con titolo di “ciu” o “cia” solo per confermare la grande familiarità che caratterizza il loro legame con la Parrocchia. Ringraziandoli di vero cuore per la disponibilità, godiamoci i loro ricordi leggendo quanto segue!

Ciu Badore Ricordo che da bambini eravamo tutti affezionati al nostro rione, insieme alle nostre famiglie. Io abitavo oltre il fiume che divideva il paese, nella zona di ponente chiamata “sa Bandita” (ovvero “la Parte piccola”), dove c’erano le chiesette dedicate a San Giuseppe e alla Madonna del Buon Cammino. Ovviamente andavo anche alla chiesa di Sant’Ignazio, dove facevo pure il chierichetto, ma ero troppo piccolo di età e di statura per spostare i libri liturgici da una parte all’altra dell’altare e can. Bisi non ci lasciava salire sul campanile, privilegio concesso solo a “sos jacanos mannos”, i quali suonavano le campane. A San Giuseppe, già dall’età dei 5 anni, con i miei compagni frequentavo il catechismo tenuto dalle zie di don Vincenzo Salis! Loro, come tanti anziani del vicinato, ci insegnavano a fidarci sempre della volontà di Dio... Primo fra tutti, mio babbo, che diceva sempre: “Volente Deus”! Ottant’anni fa non c’era la possibilità di studiare, ma la gente aveva grande fede e tutto veniva ricondotto al Signore. Io ho frequentato la prima elementare dove ora c’è il Municipio e il mio maestro, già con quarant’anni di pag. 7

servizio alle spalle, insegnava ad aver grande rispetto del sacro, considerando Dio presente anche dentro la scuola, nei nostri impegni e nelle nostre relazioni. Ricordo anche maestra Carboni e maestra Monni: erano buone, ci aiutavano sempre... ma apparivano severissime quando ci si assentava dalla Messa o si entrava in chiesa disordinati (io ero sempre presente e ubbidiente). Proprio in prima elementare, con altri sessanta amici, feci la Prima Comunione, vestito con abiti comuni; e ricordo un invito al termine della celebrazione, dove era bello stare insieme. Della Cresima, ricevuta a 9 anni, ricordo che mio padrino, l’on. Mannironi, scelto con i miei genitori, mi regalò un bellissimo orologio Lanco, che, però, indossò babbo per diversi anni, visto che io ero ancora piccolo! Forse sembrerà meno importante, ma io non dimenticherò mai la curiosità di noi ragazzi quando veniva il Vescovo, perché giungeva a Oliena con la sua bella macchina! In paese c’erano già alcune vetture, ma non era belle come quella di Monsignore e ammirarla era uno spettacolo! Gli anni della mia infanzia, vicino a Gesù e alla Chiesa, mi hanno dato tanto! Sono sempre fedele alla preghiera, affezionato a San Francesco che – come raccontavano zia e nonna – mi ha salvato da neonato (per questo, da piccino, ne indossavo il saio) e quando viaggio il primo luogo che voglio visitare di un paese è la chiesa. A voi, bambini di oggi, vorrei assicurarvi che Dio c’è sempre, vede e ci vuole bene! Su Patiu - Aprile 2018 - n. 35


Cia Juvannedda Io ho fatto il catechismo nella chiesetta di Buon Cammino! Portavamo un quaderno, la matita con la tempera e nei mesi freddi un rametto di legno per fare il fuoco e scaldarci. Ricordo il maestro Respano e la maestra Carboni che ci insegnavano tante cose e ci interrogavano! Anche il Parroco, in vista della Prima della Comunione, ci sottoponeva a un vero e proprio esame affinché fossimo più coscienti possibile del valore e della grandezza dei sacramenti. Io ho ricevuto Gesù Eucaristia che avevo 9 anni insieme alle mie compagnette, alcune vestite da angiolette, altre – se non riuscivano nemmeno a farsi prestare l’abito bianco – con i capi di tutti i giorni. Dopo la Messa si entrava in sacrestia per bere il caffè (riservato alle mamme, non per noi) e mangiare i biscotti preparati sempre dalle maestre. Comunque a me piaceva tanto cantare e con le amiche ci riunivamo o all’asilo, che piano piano stava nascendo, o nella cappella del Sacro Cuore della chiesa parrocchiale. Partecipavano anche don Bisi e maestro Gardu, i quali ci preparavano all’animazione della liturgia oppure ci intrattenevano con altri simpatici ritornelli come questo “Fa la gallina: cocodè cocodè cocodè!”. Della Cresima posso dire che non si rispettava un’età precisa per riceverla, perché influivano molto le situazioni familiari e le scelte di vita! Quando ricevetti io il sacramento Io auguro a tutti i bambini di avere la gioia che nella della Confermazione, ricordo con piacere una modesta fe- semplicità di allora ho vissuto anch’io e porto sempre sticciola in casa con la madrina e i padrini del Battesimo. nel cuore.

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Ciu Pietrinu Il Catechismo veniva chiamato “sa Dottrina” e iniziava con l’ingresso nella scuola. Avevamo della maestre non proprio giovani che bonariamente chiamavamo “sas bigottas”; non in senso dispregiativo, quindi, ma perché erano sempre in chiesa ad offrire il loro prezioso servizio in aiuto a don Bisi: c’erano cia Bustiana Tundu, cia Chicca Piras, cia Mallena, sa sorre ‘e Campanile, la cognata di Pupusu... Erano brave e allo stesso tempo molto esigenti! Ricordo che quando cia Chicca “piccihavada, li abbaravada su anciu in manos”. Non mancava la visita di don Bisi, che sembrava comandasse tutta Oliena, considerato che ogni cittadino faceva riferimento a lui per qualsiasi necessità. Le suore non erano ancora arrivate; più avanti, dopo qualche anno, la prima ad Oliena fu suor Silvia, che ci chiamò all’asilo per accogliere la notizia dell’elezione del nuovo Papa, Eugenio Pacelli, che prese il nome di Pio XII. Ho fatto la Prima Comunione durante le elementari e sia io che i miei amici non indossavamo abiti speciali... anzi, eravamo quasi tutti scalzi! E mica c’erano regali! C’era, comunque, un’atmosfera di felicità e tanta voglia di stare insieme, mangiando i dolci preparati con le uova che i parrocchiani regalavano in occasione de “su Linna linna”, ovvero la Benedizione delle famiglie di casa in casa. La Cresima l’ho fatta da giovanotto, presentandomi in Vescovado con l’amico Tupponi: lui non sapeva che io avevo come padrino l’on. Gardu e io ignoravo che lui fosse accompagnato dall’on. Melis... nemmeno loro, protagonisti nel dibattito politico del tempo, pensavano di incontrarsi a Nuoro per la stessa occasione! E, sebbene tutti in paese fossero convinti dell’assoluta incompatibilità tra due esponenti di diversi schieramenti, li vedevo chiacchierare serenamente e andarsene per conto loro come fratelli. Al di là di questi giorni straordinari, i miei amici frequentavamo molto e volentieri la parrocchia. Ci si ritrovava al circolo, l’attuale pinacoteca, e ci piaceva tanto recitare: una volta abbiamo rappresentato uno spettacolo dove i protagonisti erano i carabinieri, nostri vicini di casa perché risiedevano nei piani superiori del collegio. Nei teatrini, come a tutti momenti ricreativi, partecipavano anche i seminaristi ed io ero molto amico di Nunzio Calaresu, che poi divenne prete. Quando già studiava a Cuglieri, andammo con l’Alfa del fratello a fargli visita, portando “unu paccu pag. 9

‘e pipinita”: credo che da questo dono nacque l’idea per il titolo del suo giornalino, per il quale scrivevo anch’io qualche poesia. Ricordo quella redatta nel ‘51, anno dello scontro politico tra la Dc e i sardisti e della caduta del ponte di Sas Concias, dedicata alle ragazze che entravano in convento ma poi uscivano prima della professione... La recitai di nuovo al mio amico e compaesano sacerdote quando rientrò dall’Argentina e fu un concerto di risate! Io, che grazie agli insegnamenti ricevuti ancora recito il Rosario tutti i giorni sintonizzandomi su TV2000, vorrei incoraggiare i ragazzi e i genitori del mio paese, perché creino l’entusiasmo intorno alla vita di fede e ricevano serenamente tutti i sacramenti di Dio e della Chiesa.

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Cia Maria Io partecipavo ogni domenica alla Messa, entrando dalla porta laterale della chiesa parrocchiale dove ora si trova l’altare di Gesù bambino. E al pomeriggio frequentavo il catechismo, sempre nella chiesa di Sant’Ignazio (dove si restava fino alla “Benedizione” eucaristica) o in casa della nostra maestra Carboni. Lei ci voleva tanto bene e anche noi eravamo molto affezionate a lei, come nei confronti della maestra Gardu: per questo obbedivamo senza indugio ad ogni invito che ci veniva rivolto... se qualcuno disobbediva, non mancava la punizione. Oggi mi sembra che i ragazzi credono di essere indipendenti e autonomi già dagli anni delle medie, senza orari e senza limiti nelle spese... non ci sono più regole, quasi quasi. Io sono felicissima dell’educazione ricevuta in casa e al catechismo! Ho imparato tutte le preghiere sin da piccola: il Padre nostro, l’Ave Maria, l’Atto di fede, di speranza, di carità, di dolore, la Salve Regina... ancora adesso, quando mi corico, recito la preghiera in sardo che mia mamma mi insegnò fin da piccola. Il catechismo iniziava con la prima elementare e spesso ci visitava don Bisi che aveva sempre la battuta pronta con noi bambini. Ho fatto la Prima Comunione in prima elementare e la Cresima in quinta: mi regalarono qualche soldino, che amministrò mia mamma per comprare quanto serviva. E, crescendo, padrino e madrina non dimenticavano mai di fare qualche pensiero, segno di una vicinanza e un affetto che durano nel tempo, come il bellissimo broccato donatomi per il costume tradizionale di Oliena. C’è sempre stato un bel legame con i padrini fin dal Battesimo! Questo Sacramento si celebrava all’ottavo giorno dalla nascita, dopo che il papà e la mamma, scoprendo se si trattasse di un maschietto o di una femminuccia, avevano scelto il nome. A volte la mamma era impossibilitata a partecipare al rito, perché partorendo in casa le condizioni di salute non sempre lo permettevano; in questi casi, appena ripresa, accompagnava lei il proprio figlio “pro lu increiare”, una presentazione informale al Signore fatta in chiesa con l’offerta di una candela. Vorrei dire ai ragazzi di oggi di essere più buoni e generosi, di seguire i consigli di babbo e di mamma! Mi permetto di incoraggiare anche i genitori, affinché dialoghino sempre più e di tutto con i propri figli, sicuri dell’aiuto di Dio. Ovviamente le dichiarazioni degli altri intervistati sono state adattate per ragioni giornalistiche. Rinnoviamo ancora la sincera riconoscenza, augurando lunga vita e serenità a loro e a tutti gli anziani del nostro paese, memoria viva della società civile e della comunità ecclesiale! Parte delle fotografie è stata presa liberamente dal Web e un grazie è doveroso anche nei confronti di chi ama condividere con le immagini le testimonianze del passato. La responsabilità degli strafalcioni grammaticali nelle espressioni dialettali riportate nelle citazioni in sardo sono esclusivamente del curatore di questo spazio, il quale chiede venia e come straniero alle falde del Corrasi confida nella caritatevole comprensione del lettore. Su Patiu - Aprile 2018 - n. 35

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Musica Sacra

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CANTICOS SAGRADOS

opo il Medioevo nelle chiese di tutta Europa si iniziano a rappresentare episodi descritti dai Vangeli ufficiali o da quelli Apocrifi, sviluppando la tematica della Passione di Cristo e non solo. A volte sui sagrati delle chiese, altre all’interno degli edifici religiosi, si allestivano semplici scenografie che servivano per creare un ambiente atto a valorizzare i momenti più significativi del Credo Cattolico Cristiano, descritti nel Nuovo Testamento. Inizialmente queste rappresentazioni apparivano come dei quadri; col tempo questi si “animarono” e si aggiunsero anche le descrizioni riportate in modo declamatorio da parte dei prelati, i quali ne evidenziavano gli aspetti principali. In alcuni luoghi tali messe in scena sono uscite dalle chiese ed hanno invaso i borghi e i paesi coinvolgendo le intere comunità. In Sardegna le sacre rappresentazioni trovano la loro massima espressione a partire dal XVI e XVII secolo quando l’Isola era sotto la dominazione della cattolicissima Spagna. Ancora oggi in molte chiese sarde durante la Settimana Santa ed in particolare il Venerdì Santo si rivivono forti emozioni che vengono suscitate da questi antichi riti paraliturgici: a Castelsardo ad esempio si vive un crescendo di emozione che inizia il “Luni Santi” (il Lunedì Santo) con una lunga, mesta, coinvolgente processione che si snoda lungo le anguste vie ciottolate dell’antico borgo medioevale, illuminato soltanto dalle fiaccole, durante la quale si fanno sfilare i simboli della passione e crocifissione di Cristo, accompagnati dai drammatici e struggenti canti dei cori delle confraternite. In altri luoghi sono le cerimonie del Venerdì Santo con “S’Iscravamentu” a rendere tangibile l’emozione del dolore per la morte del Cristo, anche attraverso l’allestimento del sepolcro decorato con i pallidi “Nenneres”: piatti in ceramica nei quali è stato fatto crescere il grano in assenza di luce e decorato con fiori e nastri viola, al centro dei quali viene sistemato un lumino. Le emozioni dei gesti sono esaltate dal ricco patrimonio di canto, nato in

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di Emanuele Garau*

seno alle confraternite all’interno delle quali si sono sviluppati i cori definiti a “Cuncordu” sorti per accompagnare le cerimonie liturgiche e paraliturgiche. Le confraternite laiche maschili e femminili furono istituite dopo il Concilio di Trento (1545-1563) a supporto delle attività religiose. Il repertorio canoro delle confraternite in prevalenza maschili, è ricchissimo e molti testi sono eseguiti in latino; tra questi troviamo lo Stabat Mater, il Miserere e il Kyrie che sono tra i più noti e hanno la capacità di far destare mondi emozionali spesso sopiti. Tra le espressioni di maggiore intensità si possono ricordare le esecuzioni delle confraternite di Santu Lussurgiu, di Orosei, di Scano Montiferro, Seneghe oltre quelle già citate di Castelsardo, ma per grande fortuna ancora in molti paesi della Sardegna sono presenti tanti altri cori nei quali la tradizione musicale religiosa è ancora fortemente presente. Tanti sono gli etnomusicologi che si sono occupati del repertorio religioso sardo, il noto Bernard Lortat-Jacob ha dedicato molti anni della sua vita allo studio dei canti della Confraternita di Castelsardo. Tra gli autori di testi religiosi più interpretati in tutta l’Isola, in merito ai canti della Settimana Santa, vi è sicuramente il frate Gesuita Bonaventura Licheri,

originario di Neoneli, vissuto a cavallo tra il XVIII e XIX secolo, il quale ha scritto la maggior parte dei testi dei canti religiosi che ancora oggi si possono ascoltare in varie parti della Sardegna durante i riti paraliturgici. Il Licheri nell’ultimo scorcio del Settecento scrisse “Su Settenariu pro sa Chida Santa”, una serie di sette canti dedicati alla passione e morte del Cristo, scanditi nelle sette giornate della Settimana Santa. In genere i suoi canti sono noti per il principale verso che li denota, come ad esempio il famosissimo “Sett’ispadas de dolore” o “No mi giamedas Maria”, canti dedicati al dolore della Madonna. Oltre duecento anni di storia musicale perpetuata in maniera rigorosa grazie alla memoria dei sardi, che pur analfabeti sono stati capaci di conservare e tramandare le radici delle colonne sonore del loro credo religioso. La suggestione che le comunità della Sardegna amano ricreare nei giorni della Settimana Santa sono assolutamente straordinarie: la partecipazione reale e sentita per le ingiustizie subite dal Cristo, l’identificazione di molte madri sarde nella figura della Madonna, afflitta dalle sette spade di dolore e impotente di fronte all’iniquità, concorrono a rendere ancor più intensi e vivi questi antichi riti, supportati da colonne sonore drammatiche e condivise dall’intero popolo sardo.

*Nato a Cagliari, compie gli studi universitari presso la scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Sassari. A partire dal 1995 comincia la sua attività di interprete solista degli antichi canti sardi attraverso lo studio e la conoscenza approfondita del repertorio tradizionale, fino all’incisione di alcuni dischi. Nel 2000 vince il primo premio al Music World di Fivizzano (MS).

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Vita Parrocchiale

Ristrutturazione chiesa parrocchiale Relazione tecnica dell’Arch. Angelo Ziranu

I

l 28 gennaio 2016, a seguito del contratto d’appalto, datato 7 settembre 2015, e stipulato tra la Diocesi di Nuoro e l’impresa esecutrice SOVANA s.r.l., con legale rappresentante il sign. Piero Pinna, si è disposta la consegna e l’inizio dei lavori all’interno della chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Oliena. All’inizio del 2016, la fabbrica presentava, in tutte le murature e fino ai due metri di altezza, i segni di problematiche legate all’umidità ascendente, fenomeno accentuato sia dalla scarsa aereazione delle superfici intonacate, sia dalla sovrapposizione di un alto zoccolo marmoreo lungo tutto il perimetro interno della chiesa. Durante gli interventi precedenti, inoltre, tutte le superfici intonacate sono state rifinite superficialmente con delle tinteggiature sintetiche che, non essendo compatibili con la struttura muraria, hanno comportato la proliferazione di microrganismi, croste nere e numerose alterazioni biologiche visibili sia sulle superfici piane che in prossimità delle cornici e delle intersezioni tra alzati, volte e archi. Gli interventi previsti in sede di contratto prevedevano: la rimo-

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zione del rivestimento interno, fino all’altezza di 0,80 m; l’asportazione delle parti di intonaco ammalorato, o eseguito con malte cementizie, e il suo completo rifacimento, fino all’altezza di 2 m; la raschiatura delle vecchie tinteggiature, con successiva rasatura e ritinteggiatura, dai 2 m in su; le iniezioni di malta reoplastica per il consolidamento della volta; l’installazione del nuovo impianto elettrico. A seguito della rimozione delle lastre marmoree interne di base, durante i lavori riguardanti gli intonaci interni si è però riscontrata la presenza di intonaci antichi sotto quelli sintetici che si stavano andando a rimuovere. A seguito di questa scoperta, tramite una comunicazione con la Soprintendenza, si è per cui deciso di intervenire con l’asportazione delle superfici intonacate di strati di tinta sintetica interne nella loro totalità, con successivo nuovo strato di intonaco civile liscio a base di calce, formato da un primo strato di rinzaffo antisale, un secondo strato tirato in piano e rifinito con sovrastante strato di malta, successiva rasatura e strato di tinteggiatura finale a base di grassello di calce. Durante la spicconatura d’intonaco della parte bassa delle superfici si è riscontrato come anche

le superfici degli altari presenti nelle cappelle laterali fossero state oggetto di ridipinture durante interventi recenti. In collaborazione con una restauratrice sono state quindi eseguite delle indagini stratigrafiche per la verifica delle coloriture antiche e la comprensione del sistema decorativo. L’obiettivo è quello di eseguire un intervento che restituisca alle opere una leggibilità delle loro decorazioni attraverso la rimozione degli strati soprammessi e il restauro conservativo dei materiali costitutivi. In alcune porzioni di superficie sia verticale che a volta, si sono anche riscontrate numerose lesioni e fratturazioni, tanto da dover

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Vita Parrocchiale dare vita ad uno studio approfondito del quadro fessurativo della chiesa. Oltre alcune lesioni verticali caratterizzanti, internamente, la facciata principale e alcune campate adiacenti ad essa, si è proceduti all’analisi approfondita di un’importante lesione presente lungo tutta la volta della navata centrale. Sulle lesioni meno invasive si è intervenuti tramite un intervento di sigillatura dei distacchi con idonee malte, ma sulle lesioni più importati si è dovuto procedere ad eseguire delle chiodature tramite barre filettate in acciaio F8 e resina epossidica, con successiva iniezione di boiacca premiscelata di calce pozzolanica, priva di cemento, a granulometria finissima e sigillatura conclusiva. I lavori di consolidamento hanno interessato anche i cornicioni/marcapiani esistenti a sezione semplice che si presentavano in parte erosi e con delle importanti mancanze. Per concludere il tutto ad opera d’arte, come previsto dal progetto approvato dalla Soprintendenza, si è proceduti a studiare, proporre e realizzare un impianto di illuminazione interno che tenesse in considerazione quelle che sono le reali necessità della parrocchia. Per questo si è eseguito un calcolo illuminotecnico approfondito che ha poi guidato l’ideazione dell’impianto elettrico previsto, comprendente ben 95 elementi illuminanti. Arch. Angelo Ziranu

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Approfondimenti

“Va’, Francesco, ripara la mia casa” Dio vuole servirsi di noi per la costruzione di “piccole Chiese domestiche”

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gli inizi del Duecento un giovane Francesco d’Assisi, con l’animo tormentato si chiedeva cosa fare della propria vita, come tanti nostri giovani di oggi. Trovandosi nei pressi della chiesetta diroccata di San Damiano decise di entrarci e, chino in preghiera, chiedere a Dio quale fosse il progetto che Egli avesse per lui. In quel piccolo luogo campeggiava un Crocifisso, che stranamente non rappresentava un Cristo sofferente, il suo corpo non era piegato dal dolore, dimostrava che, nonostante fosse ancora sulla Croce, aveva già vinto sulla morte. Il Suo viso luminoso e i Suoi occhi penetranti incontrarono quelli del giovane Francesco fino a toccare il più intimo del suo cuore, gli chiese: «Va’, ripara la mia casa». Si rimboccò le maniche e ricostruì la chiesetta, affinché anche le pietre potessero esprimere l’amore che Dio ha per ciascuno di noi. Ben presto comprese che era chiamato ad una missione più grande: la casa da ricostruire doveva essere edificata con pietre vive. Ciò che Cristo gli chiedeva non poteva avvenire se per primo non si fosse lasciato restaurare il cuore da Lui. Forse questo rappresentava un compito ancora più arduo, che presupponeva una profonda riflessione su sé stesso. Francesco quindi mise in moto la sua vita verso il Vangelo da annunciare ad un mondo che, allora come oggi, aveva bisogno di persone innamorate di Cristo, che sapessero vivere a pieno la vita e che, in definitiva, fossero felici, non con il piglio del maestro, ma con l’esempio di una vita vissuta ad imitazione di Lui. Aveva compreso che lo spazio dell’incontro è prima di tutto quello dell’ascolto, che era necessario fare spazio nel suo cuore in cui l’“io” doveva farsi piccolo, altrimenti non si poteva incontrare veramente l’altro. Quindi Gesù desiderava che lui diventasse missionario della gioia, perché non si poteva essere felici se gli altri non lo erano, la gioia quindi doveva essere condivisa. Anche oggi il Crocifisso che sovrasta l’altare della chiesa di Santa Maria ad Oliena, continua a dire ad ognuno di noi come allora a Francesco: «Va’, ripara la mia casa». Egli, attraverso il restauro della nostra chiesa parrocchiale, che finalmente si riapre alle celebrazioni, ci invita a ricostruire i nostri cuori, la nostra vita e assegna a ciascuno di noi una missio-

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ne invitandoci ad essere “costruttori” in ogni circostanza del nostro agire, in ogni relazione: con noi stessi, con gli altri, con Dio. A secoli di distanza, la Chiesa ha ancora bisogno di costruttori di chiese di pietre vive. Dio agisce nelle nostre vite, scopriamolo nascosto nel cuore degli avvenimenti del nostro quotidiano, vuole servirsi di noi per la costruzione di “piccole Chiese domestiche”. Egli ci chiede di entrare nei suoi Progetti, vuole che collaboriamo con Lui, ce ne dà la capacità e ci fa anche sperimentare la gioia profonda del sentirci coinvolti nella sua Opera.

Desidera trascinarci in quello che potremo chiamare “slancio” missionario. “Va’”, è una chiamata che implica un “andare” un lasciare noi stessi e i nostri abituali atteggiamenti. Gesù ci chiede la nostra autentica disponibilità a metterci in gioco, a lasciare i nostri spazi, i nostri tempi, non c’è modo di cambiare se non c’è la disponibilità a lasciare. Anche il Papa spinge perché la Chiesa sia missionaria, “una Chiesa in uscita” che valorizzi l’impegno e la generosità di uomini e donne per un dialogo aperto con le realtà del mondo, che ha bisogno di uomini e donne competenti e generosi, che si mettano al servizio del bene comune. Il Cristo di San Damiano ci invita a impegnarci con serietà nel lavoro o nello studio, a coltivare i nostri talenti e a metterli al servizio del prossimo. Anche nel nostro tempo il modo di vivere dei cristiani sembra a volte stanco ed annoiato, invece la Chiesa ha bisogno di missionari entusiasti, che portino la gioia a coloro che soffrono, a coloro che sono in ricerca, nelle famiglie, nelle scuole e università, nei luoghi di lavoro e nei gruppi di amici, là dove ognuno di noi vive, solo così ci dimostreremo credibili e il nostro modo di essere diventerà contagioso e costruttivo. Bastianina Canudu pag. 14


Social

Ripensare la comunicazione ai tempi dei social Q

La Pasqua: periodo utile per recuperare i propri rapporti col prossimo, nei vari ambiti della società civile

uaresima e Pasqua, tempo di rigenerazione, rinascita, purificazione. Periodo utile anche per “recuperare” i propri rapporti col prossimo, all’interno della società civile, in tutti i vari ambiti. Per esempio ripensando la comunicazione. Proprio la comunicazione di questi ultimi tempi non gode di ottima salute. Indipendentemente dal canale utilizzato ormai essa è quasi sempre urlata. Sui social regnano l’insulto e l’odio. I moderati battono in ritirata di fronte a haters, accusatori anonimi, spargitori d’odio. Ma anche di fronte a semplici persone che non capendo appieno la potenza del mezzo, ne fanno un uso improprio. Abbiamo già parlato dell’argomento bufale. Anni fa parevano essere opera di qualche mitomane desideroso di notorietà. Col tempo sono diventate strumento potentissimo per ancora meno nobili scopi: orientare l’opinione pubblica circa un particolare argomento, istigare al boicottaggio di un prodotto, indirizzare un appuntamento elettorale, screditare avversari politici o chiunque la pensi in maniera diversa. Ultimamente è di moda il griefing, quel tipo di bufala costruita ad arte per deridere un determinato soggetto, inducendolo a dei comportamenti autolesionisti o umilianti, a

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volte pericolosi. Ne sono esempi la bufala che invita a mettere un bicchiere d’acqua durante la friggitura delle patatine per renderle più croccanti (non provateci, assistereste ad una pericolosa esplosione). Oppure la bufala delle lunghe file di persone in coda per il reddito di cittadinanza il giorno successivo alle ultime elezioni politiche. Proprio in ambito politico sempre più spesso si fa leva sull’ingenuità di una certa fascia di popolazione mettendo in pratica azioni subdole atte a screditare l’avversario. Niente di nuovo sotto il sole. In Italia da sempre una certa parte politica ha nel DNA la convinzione di una propria superiorità intellettuale e morale. Un tempo era facile verificare l’attendibilità delle fonti di una notizia. Ultimamente spesso anche i grandi TG o i principali quotidiani cadono nella tentazione di avvalorare le bufale. Forse perché esse fanno buon gioco al loro tentativo di indirizzamento dell’opinione pubblica o anche semplicemente per pigrizia del redattore di turno che non va a verificare i fatti. Un capitolo a parte meriterebbero le false notizie che circolano come catene su WhatsApp, tipo le assurde richieste di sangue, oppure l’impossibilità, tutta italiana, di poter distinguere cronaca e

commento negli articoli di giornale e nei servizi televisivi. Per tutti questi motivi la comunicazione oggi è fortemente inquinata. Bisogna prenderne coscienza. Se vogliamo la rigenerazione, se vogliamo ripensare la comunicazione, dobbiamo capire cosa non va. È fondamentale che il comunicare non diventi semplice trasmettere. Il problema, già evidenziato per i media tradizionali da Danilo Dolci negli anni ‘80 e ‘90, è ancora oggi di grande attualità. Nonostante una delle caratteristiche principali dei social sia proprio la multi-direzionalità del messaggio, è sempre forte la tentazione di comunicare a senso unico, senza tenere in considerazione le opinioni degli altri. La vita è sempre più frenetica e si ha meno tempo da dedicare all’ascolto degli altri. Ci interessa trasmettere un messaggio ma non ascoltare quello altrui. Non ascoltando non riusciamo ad interagire positivamente col prossimo; ci isoliamo rendendo la società ancora più egoista e individualista. Allo stesso tempo è necessario informarsi, studiare, cercare di capire il funzionamento di ciò che non si conosce bene. I social, così importanti per la comunicazione, sono mezzi neutri ma potentissimi. Conoscerli a fondo aiuta ad utilizzarli nel modo corretto invece che esserne vittime. Per conoscerli meglio basterebbe osservarli per un certo periodo, evitando di postare compulsivamente qualsiasi pensiero ci passi per la mente. Fermarsi a riflettere quando ci si trova davanti a post o commenti che ci fanno sussultare. Pensarci due volte quando una notizia ci sembra troppo strana, o troppo diversa dal solito. Ecco. Forse tre strumenti per un ripensamento della comunicazione li abbiamo trovati: l’informazione, la riflessione e l’ascolto. Guglielmo Puligheddu Su Patiu - Aprile 2018 - n. 35


Recensioni

“Wonder”capolavoro del regista Stephen Chbosky

ha la capacità di suggestionare e coinvolgere, di far sorridere e divertire, costringe a riflettere, commuove

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oraggio. Gentilezza. Amicizia. Carattere. Queste sono le qualità che ci definiscono esseri umani e ci spingono, a volte, alla grandezza”. Se si volesse dare un significato alla recente opera cinematografica “Wonder”, capolavoro del regista Stephen Chbosky, certamente la si potrebbe riassumere proprio attorno ad una delle frasi più eloquenti dell’intero pregiato prodotto artistico. August Pullman è un vivace bambino di undici anni, segnato sul volto da una malformazione facciale, che gli segna la naturale esistenza di un comune bambino. Alle spalle circa ventisette interventi chirurgici, responsabili, assieme al timore di un raffronto con il mondo esterno, della sua prolungata assenza da scuola. Tuttavia, arrivato il momento di frequentare la prima media, i genitori decidono che per August è arrivato il

momento di uscire da questa sorta di dimensione protettiva, spiccando il volo e vivendo un’esperienza fatta di consuetudine e abitualità, di rapporti e relazioni immerse nella realtà quotidiana. L’esordio alla Beecher Prep School, però, non sarà così semplice. L’immagine più triste rappresenta il povero Auggie seduto solo ad un tavolo, durante la pausa pranzo, escluso e allontanato da tutti. Le vessazioni, le prese in giro, il rifiuto di alcuni non fermerà il coraggio e la tenacia di un ragazzino dalla simpatia contagiosa, dall’intelligenza spiccata, temerario e determinato negli obiettivi. “Penso che ci dovrebbe essere una regola secondo la quale tutti nel mondo, dovrebbero avere una standing ovation almeno una volta nella loro vita”. E questo lungo applauso, dopo lo smarrimento e il pianto, frutto di situazioni che sembrano insuperabili, per il piccolo August alla

fine arriverà, determinando un incoraggiante ed entusiasmante lieto fine dalla forte carica emotiva. “Wonder” ha la capacità di suggestionare e coinvolgere, di far sorridere e divertire, costringe a riflettere, commuove. La pellicola, adattamento dell’omonimo romanzo, che vede tra gli attori protagonisti la straordinaria Julia Roberts, è un patrimonio di valori da condividere e divulgare. Un patrimonio immateriale, capace di raccontare e far capire il bisogno fondamentale di una rivoluzione gentile, di un cambio di rotta a favore di principi sacrosanti. Il rispetto reciproco, la bontà di cuore, la solidarietà, sentimenti di fratellanza leale e reciproca. “Wonder”, insomma, apre uno sguardo su un mondo attuale, su situazioni ed episodi, che brutalmente e vergognosamente macchiano alcune istituzioni scolastiche, anche vicine, purtroppo con sempre maggiore risonanza. Talvolta racchiuse attorno ad una bolla di omertà, talvolta tollerati o giustificati. Talvolta fortunatamente oggetto di attenzione, biasimo e accompagnate dalle dovute contromisure. Alle famiglie spetta, senz’altro, in prima battuta il compito di rispondere efficacemente a comportamenti deplorevoli, rendendosi compartecipi di quella sferzata valoriale, non più rinviabile. La costruzione di un mondo migliore passa, infatti, attraverso tanti piccoli gesti, attenzioni educative e formative. Perché non ci siano più vittime né carnefici. “La debolezza è ciò che porta l’ignoranza, la convenienza, il razzismo, l’omofobia, la disperazione, la crudeltà, la brutalità, tutte cose che non faranno altro che tenere una società incatenata al suolo e il piede inchiodato al pavimento” (Henry Rollins).

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Mattia Sanna pag. 16


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