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Perugia Sulle orme dei banditi e dei briganti del territorio arnate



Sulle orme dei banditi e dei briganti del territorio arnate a cura di Giuseppe Tufo e degli alunni della Scuola Media “Bonazzi–Lilli” sede di Ripa disegni di Giovanna Bastianelli, LOMA, Francesco Tufo

Indice Tutto ebbe inizio con il bandito Fabrizio da Ripa Il colonnello Francesco Alfani bandito a Castel d'Arna Da banditi a briganti per miseria Alessandro Ortica brigante di Ripa Il brigante Cinicchia nel territorio arnate



Presentazione

Il territorio rurale del comune di Perugia, tra i più estesi d’Italia, conserva numerose testimonianze della storia e della cultura dei popoli che vi hanno vissuto, documenti di pari dignità e valore rispetto a quelli, ben più noti, custoditi nell’acropoli cittadina. Nell’ambito del progetto di cooperazione interterritoriale “Valorizzazione integrata dei beni culturali minori e dei borghi rurali del Comune di Perugia”, programma di iniziativa comunitaria LEADER + 2000-2006, attivato tra GAL Media Valle del Tevere, GAL Trasimeno Orvietano, GAL Alta Umbria e Comune di Perugia, è stata recentemente pubblicata la guida Perugia Tesori nella campagna, uno strumento rivolto tanto al pubblico dei turisti, quanto a quello degli stessi perugini desiderosi di approfondire la conoscenza del proprio territorio. Gli apprezzamenti positivi riscossi da questo primo “esperimento”, hanno spinto a realizzare un secondo prodotto editoriale dedicato alla storia locale. Sulle orme dei banditi e dei briganti del territorio arnate intende portare l'attenzione su un’area del Comune di Perugia che ha saputo conservare intatto gran parte del suo patrimonio rurale e che ancora oggi è depositaria di tradizioni e manifestazioni della cultura popolare. Borghi, castelli e chiese si fanno testimoni di vicende passate, che nello scorrere dei secoli hanno lasciato tracce, più o meno evidenti, chiavi di lettura peculiari per giungere alla profonda comprensione del genius loci. Oggi, i segni di questo passato si svelano a coloro che, con occhi curiosi e attenti, desiderano scoprirli tra le antiche pietre modellate dal tempo, nei profili dei paesaggi plasmati dal lavoro dell'uomo e sui volti di chi in questo territorio abita e vive. Le storie dei banditi e dei briganti che del territorio arnate hanno fatto di volta in volta razzia o rifugio sono un invito a ripercorrere un viaggio, seguendo il filo rosso di episodi


lontani nel tempo, che pur non facendo parte della storia “ufficiale”, hanno avuto un ruolo determinate nella costituzione della comune cultura locale. Gli ottimi risultati ottenuti dalla collaborazione avviata tra il Comune di Perugia e i GAL, incoraggiano a seguire la strada di una programmazione integrata di qualità, che possa rivelarsi feconda di risultati a vantaggio dello sviluppo sociale, economico e culturale delle comunità rurali, al fine di un miglioramento della qualità della vita e di una maggiore consapevolezza del bene comune.

Ilio Liberati Assessore allo sviluppo economico e turismo Comune di Perugia


Tutto ebbe inizio con il bandito Fabrizio da Ripa Il territorio arnate, che comprende le località di Lidarno, S.Egidio, Civitella d'Arna, Ripa, Pilonico Paterno, Pianello e Castel d'Arna, è costituito da basse colline situate nel territorio perugino ad est della città, tra i fiumi Tevere e Chiascio, al confine con i comuni di Assisi, Gubbio e Valfabbrica. In questo comprensorio il fenomeno del banditismo prima, e del brigantaggio poi, ha avuto una certa rilevanza fin dal medioevo ma si è accentuato dopo il 1540, in seguito alla così detta “Guerra del Sale” quando Perugia, persa la sua autonomia comunale, si trasformò in semplice centro amministrativo di una vasta zona agricola dello Stato Pontificio. In modo particolare fu il castello di Ripa che, trasformandosi in ricettacolo di malviventi, divenne tristemente famoso tanto che si diceva “se a Ripa si piantano i fagioli, nascono ladri”1. Questa triste fama, probabilmente, ebbe inizio quando un certo Fabrizio di Ripa, verso la seconda metà del 1500 “da povero contadino era venuto un famoso bandito”2, egli operava con la sua banda composta da dodici uomini, tutti a cavallo e ben armati, ai confini est del contado perugino. Nessuno sa come Fabrizio fosse diventato bandito, quello che è certo è che il 26 di aprile del 1584, con la sua banda, era tornato a Ripa dove aveva ucciso il dottor Marcantonio Ghiberti, colpendolo a morte con due archibugiate ed oltre venti pugnalate3. Le sue azioni banditesche divennero così frequenti che il governo pontificio, per dargli la caccia, fu costretto ad assoldare anche truppe fiorentine. I primi risultati di tanto impegno si ebbero soltanto nell'ottobre del 1585 quando un drappello di cavalleggeri del duca di Fiorenza, dopo uno scontro con la banda del Fabrizio, riuscì ad uccidere tre malviventi le cui teste vennero appese presso la fontana maggiore di Perugia4. Tra omicidi e grassazioni Fabrizio continuò le sue azioni bandi1 W. Corelli, La veridica e fantasiosa storia del brigante Cinicchia, Perugia 1992, p.63 2 A. Fabretti, Cronache della città di Perugia, Torino 1892, v. V, p. 108. 3 A. Fabretti, Cronache… cit., v. IV, p. 118. 4 A. Fabretti, Cronache…cit., v. V, p. 63.


Ripa

tesche per un paio d'anni ancora, fino al drammatico 2 dicembre 1587, giorno nel quale, dopo un processo sommario, venne eseguita la condanna alla decapitazione e, come raccontano le cronache dell'epoca, “la sua testa …fu messa su li ferri alla fonte della piazza”5 a Perugia. Fabrizio, come detto, proveniva da quella folta schiera di poveri braccianti agricoli, detti casenghi (pigionanti) che, pur di tirare avanti, si adattavano ad accettare qualsiasi tipo di lavoro. Purtroppo, quando questi disperati non trovavano occupazione, per sopravvivere, costituivano piccole bande di ladri. I reati che commettevano erano quelli propri del cosiddetto "banditismo di passo" fatto di “… agguati in zone isolate a chi tornava dalle fiere … grassazioni a case isolate tanto dei possidenti terrieri quanto dei contadini dalle condizioni più agiate… depredavano tutto … dai gioielli al denaro, dai generi alimentari fino alla biancheria …”6. il Bandito Fabrizio da Ripa Disegno di LOMA 5

Ivi., p. 118. G. Baronti, W. Corelli, Disagio sociale e banditismo, il caso del bandito Cinicchia, in R. Rossi, Storia illustrata delle città dell'Umbria, Perugia, v. II, Bergamo 1993, p. 536. 6


Il colonnello Francesco Alfani bandito a Castel d'Arna Accanto al controllo della malavita nel contado perugino, i governatori pontifici si dovettero impegnare a fondo anche in città per ridurre“ quei comportamenti delle classi giovanili, tradizionalmente e proverbialmente riottose, bellicose e ribelli ai freni imposti dall'alto “7. Uno di questi giovani facinorosi fu Francesco Alfani; ultimo dei tre figli del conte Severo Alfani, come tutti i nobili del tempo, ricevette una buona educazione e a 14 anni iniziò la carriera militare8. La sua vita si svolse tranquilla fino alla quaresima del 1584 quando, partecipando ad un giuoco tra nobili, venne offeso dal conte Anastagi. Francesco si vendicò dell'insulto ricevuto uccidendo un servitore degli Anastagi; da questo fatto iniziò una serie di vendette che portarono il giovane Alfani ad essere bandito, cioè cacciato, dalla città di Perugia. Radunati attorno a sé altri malviventi, nel 1586, Francesco costituì una banda di briganti e pose la sua roccaforte a Castel d'Arna, antico possedimento della famiglia Alfani. Il luogo, grazie alla collocazione geografica, era particolarmente adatto a diventare covo di banditi, infatti, era un piccolo ma robusto castello, collocato in cima ad una ripida collina, praticamente inespugnabile. Il castello, edificato in epoca longobarda, controllava un tratto dell'importante “via regale di Porta Sole” che conduceva, attraverso l'Appennino, da Perugia a Fossato di Vico dove, congiungendosi con la via Flaminia, arrivava fino ai mercati dell'Adriatico. Ultima caratteristica per la quale Francesco scelse questo luogo era che Castel d'Arna si trovava vicino al confine con il Ducato di Urbino, ragione per la quale, se si fosse trovato in difficoltà, sarebbe potuto fuggire nei territori del ducato, dove i perugini non avrebbero potuto inseguirlo9.

7 G. Baronti, Controllo sociale e criminalità in età moderna, in R. Rossi, Storia illustrata... cit.v.II, p. 518. 8 Per tutto ciò che concerne la vita dell'Alfani le notizie sono state attinte da S. Pascolini, Il Colonnello Francesco Alfani a Castel D'Arno, in RaccontArna, eventi, uomini e monumenti del comprensorio “arnate”, atti delle conferenze 24 aprile – 12 giugno 1999, Ponte San Giovanni 2001, pp. 39 – 49. 9 Oggi il castello di Castel d'Arno, che con la sua mole sovrasta l'abitato di Pianello, è quasi disabitato e in cattivo stato di conservazione anche a causa dei danni provocati dal terremoto del 1997.


Un cronista del tempo così descrive l'Alfani: “mediocre di statura, di giovanile e delicata faccia, dai capelli castagni, di viso tondo e carnagione bianca…”10. Divenuto Papa Clemente VIII, Francesco fu riabilitato e gli furono perdonati tutti i misfatti fino ad allora commessi, a patto che, con i suoi uomini, si fosse arruolato nell'esercito pontificio. Fu un ottimo comandante, si distinse in Francia nella guerra contro gli Ugonotti tanto da divenire un colonnello delle truppe pontificie. Tornato a casa ritrovò i vecchi amici, ricostituì la banda di briganti e, assieme al fedele Angelo Boncambi, riprese a far razzie in tutto il contado. La sua crudeltà lo portò a rubare addirittura nella Badia Celestina di Civitella Benazzone e ad uccidere persino l'abate poi, furbescamente, per ingraziarsi gli abitanti del posto, divise il bottino con mezzadri e braccianti11. Per molti anni questa impresa sopravvisse grazie ai racconti dei contadini che paragonavano l'Alfani ad una specie di Robin Hood del contado perugino. La fama del colonnello - brigante si propagò velocemente per tutto il contado tanto che le sue gesta, vennero cantate negli angoli delle vie cittadine “... da uno di quei giovani che mettono le robe alla ventura…"12. La sfrontatezza dell'Alfani arrivò anche a sfidare il nuovo governatore di Perugia, Monsignor Schiaffinati, mandato in città con il preciso scopo di arrestarlo. Alla taglia che il governatore mise sulla sua testa Francesco, notte tempo, rispose tappezzando le mura di Perugia con cartelli in cui prometteva mille scudi a chi lo avesse aiutato ad uccidere il nuovo governatore. La fortuna del colonnello durò ancora alcuni anni, a lui furono attribuiti

Stemma dei Conti Alfani

S. Pascolini, Il Colonnello Francesco Alfani… cit, p. 41. Ivi, pp. 45,46. 12 Biblioteca Augusta di Perugia, Ms. 1949. 10

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oltre settanta omicidi ed una infinità di rapine ma, nel 1598, venne arrestato e incarcerato nella Rocca Paolina con la “sola” accusa di stupro nei confronti di una giovane contadina. Il processo, però, non fu mai fatto perché l'Alfani, come aveva promesso al momento della cattura, riuscì a fuggire dalla Rocca . Ormai stanco della vita pericolosa che aveva condotto, decise di cambiarla radicalmente e, dopo essersi sposato con Almenia Lamberti dalla quale ebbe tre figli, si trasferì a Cortona nel Ducato di Toscana, dove visse fino al 1635, anno della sua morte13.

il Colonnello Francesco Alfani Disegno di LOMA

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S. Pascolini, Il Colonnello Francesco Alfani… cit, p. 45.


Da banditi a briganti per miseria Il fenomeno del banditismo, con l'arrivo delle truppe napoleoniche, assunse il nome di brigantaggio14, ciò che non cambiò fu la causa che lo produsse e cioè l'endemica miseria in cui viveva la povera gente. Una drammatica testimonianza di quanto fosse diffusa la povertà nei paesi arnati ce la offre don Luigi Tobia, parroco di S. Emiliano di Ripa, il quale nel 1769, inviò all'allora vescovo di Perugia un elenco di oltre duecento “miserabili” della sua parrocchia, così lui stesso li definiva. Questa povera gente viveva, secondo il parroco: “… cibandosi la maggior parte di ghiande …”15; questo costante bisogno di cibo favorì il prolificare dei furti campestri e delle rapine a viandanti isolati. Le condizioni di miseria continuarono anche nell'ottocento e Ripa, purtroppo, divenne un luogo frequentato da malviventi tanto che il 28 ottobre del 1852, venne inviato nel paese un distaccamento di 40 soldati austriaci e due ufficiali “onde punire la mal'intenzionata comune di Ripa, ove … per replicate volte furono eseguite resistenze all'Autorità Governativa, ove specialmente in caso di tentato arresto di malviventi, fu fatta resistenza agli organi di legge, ed ove invece di consegnare tali contravventori alla punitiva giustizia, loro si procacciava ricovero, e si somministravano i mezzi onde sottrarsi al meritato castigo…”16. Dopo otto giorni di permanenza i soldati riuscirono ad arrestare ben undici uomini e una donna che furono imprigionati e condannati per furto, ricettazione e resistenza alla forza pubblica.

T. Maiorino, Storia e leggende di briganti e brigantesse, Casale Monferrato 1997, p.31. 15 Archivio della Diocesi di Perugia, Cartella dei poveri, S. Emiliano di Ripa, 1769. 16 Biblioteca Augusta di Perugia, Notificazione I. R. Comando di Stazione in Perugia, 1852. 14


Alessandro Ortica brigante di Ripa Tra i malviventi ripajoli il più famoso fu il famigerato Alessandro Ortica, primo degli otto figli di Pietro Ortica, era nato a Ripa nel 182717; da sempre era stato considerato un prepotente, non rispettava le regole e questo lo portò, già nel febbraio del 1855, a finire nelle carceri pontificie della città di Perugia, assieme a due compaesani Domenico Bistocco e Antonio Rosini, per non aver rispettato il divieto di giochi proibiti in un giorno di festa18. Qualche anno dopo, con l'accusa di furto, venne rinchiuso nella rocca di Narni, da dove riuscì a fuggire nel 1860. “Tornato a Ripa, ed essendo cambiato nel frattempo il governo, si era rifatto una facciata di rispettabilità rilevando la bottega di generi alimentari dei genitori, che ben presto trasformò in un centro di ricettazione al quale facevano capo vari delinquenti provenienti da diverse zone”19. Le azioni di brigantaggio di Alessandro ebbero termine la notte del 23 febbraio 1862 quando le guardie di pubblica sicurezza lo uccisero nella sua casa di Ripa.

il Brigante Alessandro Ortica

Disegno di LOMA

Riporto ora, in parte, il rapporto fatto dal Prefetto di Perugia al Ministero degli Interni: “Dopo varie grassazioni, fra cui quella commessa nei primi del caduto dicembre a danno della famiglia Bonucci, … si proseguirono le indagini di questa Delegazione Centrale di Pubblica Sicurezza e si riseppe che facessero parte di sì terribile e facinorosa banda: Alessandro Ortica, fuggito dalla rocca di Narni, ove dal passato governo fu condannato già per grassazio-

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Archivio della Diocesi di Perugia, Stato delle Anime di S. Maria Assunta e S.Emiliano di Ripa, 1855. 18 Archivio della Diocesi di Perugia, Protocollo Cause, 1842 – 1845, n. 16. 19 W. Corelli, La veridica e fantasiosa storia….cit, p. 63. 20 Ivi , pp. 64,65.


Ripa


ne, Carlo Cavalajo, Domenico Patuma, un tale soprachiamato il Moro e tal Geniale Pascolini. Per la qual cosa formato un distaccamento di guardie di Pubblica Sicurezza…guidato dal delegato Agneni ... il Distaccamento stesso la notte de 23 febbraio sorprendeva l'Ortica, e nell'atto appunto che questi stava per esplodere il proprio pistone contro le guardie, una di esse, cioè l'appuntato Cerroni, fu pronto a scaricare la carabina verso l'Ortica stesso, che poco appresso cessò di vivere”20. Dopo la morte del capo, la banda del brigante Ortica rimase inattiva per qualche mese poi, sotto la guida del Moro, luogotenente dell'Ortica, riprese l'attività e, la notte del 28 settembre 1862, assalì la casa di un certo Urbano Marani; il poveretto venne barbaramente giustiziato perché ritenuto la spia che aveva contribuito all'uccisione del loro capo. Quella notte furono feriti anche altri due ripajoli: Antonio Capettini e Luigi Barili. E' ancora il verbale del prefetto di Perugia che testimonia i fatti accaduti: “Avvi motivo a ritenere che i malviventi sieno il residuo ora ricomparso in provincia della banda che nello scorso inverno, e nel giugno passato, commise grassazioni in questo circondario e in quello di Fuligno, un individuo nella persona del famigerato Alessandro Ortica venne nel colluttamento con la forza ucciso nel passato febbraio dalla guardia di P.S., e si ritiene essere devenuti a quest'ultimo crimine nella supposizione che gli offesi avessero deposto contro l'Ortica e altri della banda”21. Mentre la banda continuò ad agire nella stessa zona, il Moro, nuovo capo, era riuscito a radunare attorno a sé circa una ventina di briganti che, il primo di ottobre dello stesso anno, assalirono la casa di Luigi Cardinali portando via refurtiva per il valore di duemila e duecento lire. Scrive ancora il Prefetto: “una banda armata di malfattori si è aggirata nei giorni scorsi nei due circondari di Perugia e Fuligno; si fa ascendere a circa venti individui e credesi quella medesima che ha commesso omicidio e ferimento in Ripa e grassazione nel mandamento di Assisi, di che sopra si è parlato”22. Dopo quest'ultimo colpo il Moro, con parte dei suoi, si aggregò alla banda del “Cinicchia” il più temuto brigante umbro dell'ottocento. 21 22

Ivi, p. 77 Ivi , pp 77,78.


Il brigante Cinicchia nel territorio arnate Il più famoso brigante della nostra regione fu il famigerato Cinicchia, il cui vero nome era Nazzareno Guglielmi, nato ad Assisi il 30 gennaio 1830, primo degli otto figli del bracciante agricolo Giovanni23. Il soprannome "Cinicchia", con cui Nazzareno fu chiamato da bandito, era dato a tutti i maschi della famiglia Guglielmi, che lo avevano ereditato da un loro trisavolo basso di statura, ma particolarmente violento. Cinicchia si adattava perfettamente a Nazzareno che fin da bambino, nonostante fosse piuttosto basso, era irascibile e violento. Da prima seguì il padre nei campi, poi cominciò a fare il muratore, nel 1854 si sposò con Teresa dalla quale ebbe una figlia che chiamò Maria. La scarsità del lavoro, il bisogno di sfamare la famiglia e il suo carattere violento lo portarono a frequentare tipi poco raccomandabili che lo condussero sulla cattiva strada. Purtroppo nel novembre del 1857 venne arrestato per aver commesso un furto ad Assisi; ma il carcere non lo trattenne a lungo infatti, la notte del 20 aprile del 1859, riuscì a fuggire diventando, da quel momento, il brigante Cinicchia: temuto dai ricchi e amato dai poveri che spesso aiutava. A lui furono attribuite molte rapine e omicidi sia in Umbria che nelle Marche; in modo particolare fu incolpato dell'omicidio avvenuto il 21 ottobre del 1863,

il Cinicchia Disegno di Francesco Tufo

23 Tutte le notizie relative al Cinicchia sono state prese da W. Corelli, La veridica e fantasiosa storia ... cit, e da G. Baronti e W. Corelli, Disagio sociale e banditismo, il


presso “il ponte della croce” di Pianello, nel territorio arnate, dell'ufficiale Cesare Bellini, capitano della guardia nazionale di Valfabbrica, residente a Civitella d'Arna. La notizia di questo delitto ebbe una risonanza nazionale, tanto da essere subito riportata dalla Gazzetta del popolo di Firenze che addossò la colpa al Cinicchia, perché nella sua banda aveva raccolto molti renitenti alla leva che, invece, il capitano Bellini cercava di arrestare.

La stele che ricorda l’omicidio del Bellini vicino al Chiascio nei pressi di Pianello

I fatti, però, non erano così semplici e a mettere un po' di ordine nel racconto degli accadimenti fu il figlio tredicenne del Bellini il quale, avendo assistito alla scena, raccontò al pubblico ministero Ciro Cane quanto era accaduto. Il giovinetto riferì che il padre, per salvare la vita, aveva offerto tutto il suo denaro ai briganti, ma essi lo avevano rifiutato; visto questo gesto il padre si era gettato nel fiume Chiascio perché aveva capito che volevano ucciderlo. Appena arrivato sull'altra sponda i malviventi gli spararono due scariche di fucile che lo uccisero all'istante. Il fatto che gli assassini non avevano preso il denaro insospettì il pubblico ministero che avviò un’indagine più approfondita per scoprire se il comandante Bellini avesse avuto nemici, così acerrimi, da volerlo morto. Dopo aver ascoltato vari testimoni scoprì che il sindaco di Disegno di Francesco Tufo Valfabbrica, un certo Angelo Calisti, aveva pubblicamente affermato che avrebbe assoldato il Cinicchia per far fuori il Bellini che, da troppo tempo, stava ostacolando i suoi affari.


Da prima fu arrestato il Calisti, ma poco tempo dopo venne scarcerato per mancanza di prove. Il Cinicchia invece non fu mai arrestato perché, dopo altri furti ed omicidi, emigrò in Argentina dove si persero le sue tracce. Con la fuga del Cinicchia, il fenomeno del brigantaggio cominciò a diminuire; i vecchi compagni del brigante Ortica, come scrive il Corelli, furono tutti arrestati: Domenico Patuma detto Salvalanima fu condannato a cinque anni di carcere; Giuseppe Ragni detto Ribicchiola venne condannato a venti anni di lavori forzati; Francesco Venturelli detto Cavalajo fu condannato ai lavori forzati a vita e il Moro, nel novembre del 1864, fu condannato alla pena di morte. L'intensificazione della lotta contro i renitenti alla leva, tra i quali venivano reclutati i nuovi briganti e la scomparsa dei vecchi capi, nel giro di pochi anni, fece sparire il fenomeno del brigantaggio dal comprensorio arnate e, più in generale, dall' intera regione ormai divenuta parte integrata dello stato italiano.

Ripa - il vicolo dove si apriva la bottega dell’Ortica disegno di Giovanna Bastianelli


L’annotazione conclusiva fatta da Don Tobia all' elenco dei poveri del 1769


Civitella D’Arna

Castel D’Arno oggi



Bibliografia A. Fabretti, Cronache della città di Perugia, Torino 1892, v. V. S. Pascolini, Il colonnello Francesco Alfani a Castel D'Arno, in AA VV, RaccontArna, Ponte San Giovanni 2001, pp. 339 - 349. L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860 a cura di G. Innamorati, v. II, Città di Castello 1960, pp. 200-217 G. Baronti e W. Corelli, Disagio sociale e banditismo, il caso del Bandito Cinicchia, in R. Rossi, Storia illustrata delle città dell'Umbria, Perugia, v. II, ed. E. Sellino, Bergamo 1993, pp. 529 - 544. G. Baronti, Controllo sociale e criminalità in età moderna, in R. Rossi, Storia illustrata delle città dell'Umbria, Perugia, v. II, ed. E. Sellino, Bergamo 1993, pp. 513 - 528. W. Corelli, La veridica e fantasiosa storia del brigante Cinicchia, Perugia 1992. T. Maiorino, Storie e leggende di briganti e brigantesse, ed. Piemme, Asti 1997.

Fonti inedite Archivio della Diocesi di Perugia, Cartella dei Poveri, S. Emiliano di Ripa, 1769. Stato delle Anime, S. Maria Assunta e S. Emiliano di Ripa 1855. Protocollo cause, 1842 - 1845, n. 16 Biblioteca Augusta di Perugia, Manoscritto n. 1949. Ripa, Notificazione I. R. Comando di Stazione in Perugia del 28 ottobre 1852



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