DEI e SEMIDEI dell'ANTICO EGITTO - Pietro Testa

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Saggi di Harmakis 40

DEI e SEMIDEI dell’ANTICO EGITTO Pietro Testa


A volte vi è più saggezza nei sogni che nella realtà del risveglio. Cervo Nero (Hehaka Sapa-1853-1950;

Tribù degli Oglala).


© Tutti i diritti riservati alla Harmakis Edizioni Divisione S.E.A. Servizi Editoriali Avanzati, Sede Legale in Via Volga, 44 - 52025 Montevarchi (AR) Sede Operativa, la medesima sopra citata. Direttore Editoriale Paola Agnolucci www.harmakisedizioni.org info@harmakisedizioni.org I fatti e le opinioni riportate in questo libro impegnano esclusivamente l’Autore. Possono essere pubblicati nell’Opera varie informazioni, comunque di pubblico dominio, salvo dove diversamente specificato. ISBN: 978-88-85519-16-9 Finito di stampare Settembre 2017 © Impaginazione ed elaborazione grafica: Sara Barbagli


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PREFAZIONE L’antico Egitto ha lasciato segni tangibili e incisivi della sua ‘religione’ attraverso i monumenti e gli scritti. I templi abbondano d’immagini a bassorilievo e a tutto tondo, dipinte con vivaci colori, complete di didascalie e iscrizioni. Le tombe regali e nobiliari non sono da meno e sono queste che ci hanno tramandato figure e testi di grande finezza artigianale. Gli scritti funerari e magici sono degli esempi unici di miniaturistica grafica delle entità divine e di descrizioni dell’aldilà. Dall’osservazione di queste testimonianze, emerge un numero infinito di divinità, principali, secondarie, demoni, e semidei. Questa folla di entità antropomorfe, ma spesso zoomorfe o miscuglio di varie parti umane e animali, lasciò disorientati i primi egittologi, dando origine a una congerie d’ipotesi, interpretazioni alcune volte distorte, e duelli letterari di vario genere. Non si può negare l’esorbitante numero di divinità che si presenta agli occhi dello spettatore che ancora oggi può restare disorientato. Questa folla di entità non è però frutto di fantasia sfrenata o ottusa, ma risultato di un ragionamento logico che ha le sue basi nella preistoria. Attraverso il cammino intellettuale della civiltà egiziana, il ricordo è divenuto mito e ha acquistato una sua completa organizzazione nella sistemazione e ordinamento delle manifestazioni del dio creatore. Qui entriamo in un dominio delicato che ha qualche punto in comune con il nostro modo di pensare, ma che pure è da esso differente: il pensiero speculativo. La speculazione è un modo di conoscenza intuitivo che trascende l’esperienza tentando di spiegarla, unificarla e coordinarla, distinguendosi quindi dalla mera speculazione oziosa. Nell’antico Egitto, e in genere nei popoli dell’antico Medio Oriente, la speculazione trovava illimitate possibilità di sviluppo, non essendo ristretta alla ricerca di una verità di carattere scienti-


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fico, e quindi disciplinato. Non esisteva una netta distinzione tra natura ed essere umano. I cosiddetti popoli primitivi e gli antichi consideravano l’essere umano come un tassello facente parte del regno della natura: due mondi non contrapposti e che non richiedevano distinti modi di conoscenza. Se per noi il mondo fenomenico è innanzitutto un ‘che cosa?’, per l’antico è un ‘Tu’. Al primitivo il mondo circostante non appare inanimato, ma pieno di vita sprizzante dall’essere umano, dall’animale, dalla pianta, dal tuono, dal sole: in poche parole dai costituenti del regno della natura. Dinanzi a un fenomeno, l’uomo antico non dice ‘cos’è?’ ma dice ‘Tu’: il ‘Tu’ rivela l’individualità, le qualità e la volontà del fenomeno. In questa prospettiva il fenomeno diventa esperienza di una vita rispetto a un’altra, impegnando le facoltà dell’uomo in un rapporto reciproco. Avviene che ogni esperienza di un ‘Tu’ diventa individuale, e tali esperienze sono delle azioni che si configurano in narrazione: questa diventa un “mito” in luogo di analisi e conclusioni. Il mito non serviva a divertire né a spiegare determinati fenomeni, bensì a esporre certi avvenimenti in cui era impegnata l’esistenza stessa dell’uomo, la sua esperienza diretta di un conflitto di forze ostili e benefiche. Le immagini del mito non sono metafora ma un velo accuratamente scelto per rivestire un pensiero astratto. Le immagini non sono separate dal pensiero, poiché rappresentano la forma in cui l’esperienza è diventata autocosciente. Gli antichi, dunque, esprimevano il loro pensiero emotivo in termini di causa ed effetto, spiegando i fenomeni in un ambito temporale, spaziale e numerico. Gli antichi, si badi bene, sapevano ragionare logicamente, altrimenti non avremmo le grandi civiltà che conosciamo: semplicemente spesso un’attitudine puramente intellettuale male si adattava alle esperienze della realtà, senz’altro più significative. Per l’uomo antico il contrasto tra realtà e apparenza non aveva significato. È il caso dei sogni, tenuti in grande considerazione, e di entità ibride e non, ispirate al dubbio dell’ignoto fisico. Lo stesso avveniva per una mancata distinzione tra mondo dei vivi e dei


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defunti, poiché i morti entravano nella realtà umana dell’angoscia, della speranza e del risentimento. Di dizionari sulle divinità dell’antico Egitto ve ne sono parecchi (la maggior parte in lingua straniera) dai più dettagliati ai generici. Il mio intento vorrebbe essere quello di dare al lettore un quadro mediamente dettagliato delle divinità importanti, secondarie, dei semidei e dei ‘demoni’ che popolavano la quarta dimensione dell’antico Egitto: il tutto nella nostra lingua italiana, ancora (semi) sconosciuta nel campo dell’egittologia. Ho ritenuto opportuno riportare i nomi geroglifici delle divinità, inserendo nel testo le illustrazioni più efficaci, con note esplicative e bibliografiche laddove era necessario. Naturalmente ho ritenuto utile fare precedere la lista delle entità da una breve introduzione sulla ‘religione’ egiziana e su alcuni suoi fenomeni che dovrebbero aiutare il lettore a comprendere meglio il tutto.

Pietro Testa Napoli 2017


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CAPITOLO 1 CENNI SULLA RELIGIONE EGIZIANA 1.1. Generalità L’antico storico greco Erodoto, che si suppone abbia visitato l’Egitto nel V secolo a.c., descrive gli Egiziani come religiosi all’eccesso più di ogni altra razza umana. Parecchi di noi hanno la stessa impressione. A parte le tombe, la manifestazione più eclatante ed immanente dell’architettura egiziana è rappresentata dai templi; l’arte egiziana è dominata dalle figure degli dei; i nomi di molti Egiziani onorano gli dei; ed è difficile trovare un testo egiziano che non menzioni uno o più dei. L’asserzione di Erodoto però riflette una particolare nozione occidentale della religione che (a partire dai Greci) ha religioni distinte per le varie sfere dell’esistenza umana, come il governo, il comportamento sociale, la ricerca intellettuale e la scienza. Nell’antico Egitto non vi era tale distinzione. Ciò che noi chiamiamo religione egiziana non è altro che il modo con cui gli antichi Egiziani comprendevano il loro mondo e a esso si rapportavano. Credano o meno nell’esistenza di un dio (o di dei), molte società odierne guardano il mondo obiettivamente come un insieme di elementi e forze impersonali. Noi comprendiamo, ad esempio, che il vento nasce dalla differenza di aree di alta e bassa pressione; la gente si ammala a causa dei germi o dei virus; le cose crescono e cambiano a causa di processi chimici e biologici. Questa conoscenza è l’eredità di secoli di esperimenti e pensieri scientifici. Essa ci fornisce oggi una dettagliata comprensione di come va il mondo e come dobbiamo comportarci in relazione ad esso per vivere meglio e più comodamente. Gli antichi Egiziani affrontarono lo stesso nostro universo fisico


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e, come noi, cercarono di comprenderlo e di comportarsi in relazione ad esso. Ma, senza il beneficio della nostra secolare esperienza, essi dovevano cercare una spiegazione dei fenomeni naturali e i mezzi per comportarsi di conseguenza. Le risposte che essi dettero sono ciò che noi chiamiamo religione. Laddove noi vediamo elementi e forze impersonali che agiscono nel mondo, gli Egiziani vedevano voleri e azioni di esseri più grandi di loro: gli dei. Ad esempio, non conoscendo l’origine scientifica di un malanno, loro potevano solo immaginare che qualche forza maligna era in esso. Anche se potevano, e facevano, sviluppare rimedi pratici per combattere i malanni, credevano anche che era necessario in primo luogo allontanare o pacificare la forza che aveva causato la malattia. I testi medici egiziani dunque contengono non solo descrizioni dettagliate di malattie fisiche e prescrizioni farmaceutiche, ma anche formule magiche da usarsi per combattere forze malvagie. Ciò che noi distinguiamo fra scienza della medicina e religione della magia, per gli Egiziani era la stessa cosa. Gli dei e le dee dell’antico Egitto non sono né più né meno che gli elementi e le forze dell’universo. Gli dei non controllavano questi fenomeni, come il dio greco Zeus con i fulmini: essi erano gli elementi e le forze del mondo. Noi esprimiamo questa peculiarità dicendo che gli dei erano immanenti nei fenomeni della natura. Ad esempio, il vento era il dio Shu; quando un Egiziano sentiva il vento in faccia, egli sentiva che Shu lo sfiorava. Come vi sono centinaia di elementi e forze in natura, così vi erano centinaia di dei egiziani. I più importanti, logicamente, erano i maggiori fenomeni naturali. Essi comprendevano Atum, la fonte originaria di tutte le sostanze, e la sua discendenza: Geb e Nut, la terra e il cielo; Shu, l’atmosfera; Ra, il sole; Osiride, la potenza maschile generatrice; Iside, il principio femminile della maternità. Ciò che noi considereremmo principi astratti di comportamenti umani, erano anche dei e dee: ad esempio, l’ordine e l’armonia (Maat), il disordine ed il caos (Seth), la creazione (Ptah), la ragione (Thoth), l’ira (Sekhmet), l’amore (Hathor). La potenza della regalità anche era un dio (Horus), personificato non solo dal sole come forza dominante della natura, ma anche nella persona del faraone come forza dominante della società


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umana. La nostra distinzione tra religione e governo sarebbe stata incomprensibile per un antico Egiziano, per il quale la regalità era una forza divina. Per quanto gli antichi Egiziani potevano, e lo facevano, ribellarsi contro dei re e addirittura anche assassinarli, non hanno mai sostituito il sistema faraonico con un altro metodo di governo. Sarebbe stato come sostituire il sole con qualche altra cosa. Gli Egiziani vedevano la volontà e le azioni dei loro dei nell’azione nei fenomeni della vita di ogni giorno: Ra, nel ritorno giornaliero della luce e del calore; Osiride ed Iside, nel miracolo della nascita; Maat o Seth, nell’armonia o nel disordine delle relazioni umane; Ptah e Thoth, nella creazione di edifici, arte e letteratura; Horus, nel re il cui governo era vita. In molti casi loro vedevano la presenza degli dei anche in alcune specie di animali: ad esempio, Horus nel falco che vola al di sopra di tutte le creature viventi, o Sekhmet nella ferocia e determinazione del leone. Quest’associazione è la chiave di lettura di numerose immagini di dei a testa di animale nell’arte egiziana. Per un Egiziano l’immagine di una donna leontocefala, ad esempio, faceva convergere due cose in una: primo, essa non era l’immagine di una donna e si riferiva a una dea; secondo, la dea in questione era Sekhmet. Queste figure non erano un tentativo di ritratto di come gli dei potevano apparire o come essi potevano essere visti; al contrario, esse non erano altro che degli ideogrammi ingranditi. Poiché gli Egiziani vedevano gli dei in azione in tutti i comportamenti naturali e umani, il loro tentativo di spiegare e trattare questi comportamenti si focalizzò nelle divinità. I miti egiziani sono la controparte dei nostri testi scientifici: entrambi spiegano perché il mondo è così e perché si comporta in questo modo. Gli inni, le preghiere e i rituali d’offerta hanno lo stesso scopo delle nostre fabbriche d’ingegneria genetica e forza nucleare: entrambi sono un tentativo di mediare gli effetti delle forze naturali e di usarle a vantaggio dell’umanità. Anche se gli Egiziani ammettevano i fenomeni naturali e sociali come forze divine separate, si accorsero anche che molte di queste erano collegate fra loro e potevano anche essere comprese come aspetti differenti di una singola forza divina. La realizzazione è espressa nella pratica conosciuta come sincretismo, cioè la


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combinazione di diversi dei in uno solo. Ad esempio, il sole non può essere visto solo come forza fisica di calore e luce (Ra), ma anche come forza governante della natura (Horus), la cui apparizione all’alba rende possibile tutta la vita, una percezione incorporata nel dio composito Re-Harakhty (Re, Horus dei due orizzonti). La tendenza al sincretismo è visibile in tutti i periodi della storia egiziana. Esso spiega non solo la combinazione di vari dei egiziani, ma anche la facilità con cui gli Egiziani accettavano divinità straniere, come Baal e Astante, nel loro panteon come forme differenti dai loro dei familiari. Dalla XVIII dinastia in poi i teologi egiziani hanno anche iniziato a riconoscere che tutte le forze divine potevano essere comprese come aspetti di un unico grande dio, Amon, re degli dei. Il nome Amon significa il nascosto. Anche se il suo volere e le sue azioni potevano essere intesi come fenomeni individuali della natura, Amon stesso era innanzitutto nascosto. Di tutti gli dei egiziani Amon solo esisteva al di fuori della natura, poiché la sua presenza si percepiva in tutti i fenomeni della vita quotidiana. Gli Egiziani espressero questo carattere duale nella forma composita Amon-Ra: un dio che era nascosto, ma manifesto nelle forze più grandi e naturali. Nonostante questa scoperta, però gli antichi Egiziani non abbandonarono mai la loro credenza in molti dei. Sotto questo aspetto, la comprensione egiziana della divinità era simile al tardo concetto cristiano della Trinità: una credenza che un dio poteva avere più di una persona. Per quanto bizzarri possano apparire gli dei egiziani all’occhio della persona di oggi, la religione dell’antico Egitto non è molto differente da altre religioni più familiari a noi. Lontano dall’essere un fenomeno isolato della storia umana, la religione egiziana oggi si colloca all’inizio della moderna ricerca e sviluppo intellettuale. 1.2.Il ba ( ; ; )1 Poiché spesso ci troveremo davanti al termine ba di una divini1. Žabkar L. V., A Study of the Ba Concept in Ancient Egyptian Texts, Studies in Ancient Oriental Civilization, 34, Chicago, 1968.


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tà, sarà pene illustrare questo concetto, valido per il mondo creato. Il ba (bA) è uno delle maggiori componenti dell’individuo. In genere è tradotto con ‘anima’ ma questo termine rende poco il concetto egiziano. Sotto una certa visuale il ba sembra essere osservato più dal punto di vista di un osservatore che dell’individuo stesso a cui è associato. Questo aspetto del ba è incorporato in un termine astratto: bau (bAw) che significa qualcosa come ’imponenza’, ‘effetto’ o ‘reputazione’. Le azioni del re contro i nemici d’Egitto o intervento della divinità nelle questioni umane sono spesso chiamate bau dei loro agenti. Lo stesso ba sembra essere una caratteristica dell’essere umano o degli dei, ma la nozione di bau è associata anche agli oggetti che, di regola, sono inanimati. Come l’’anima’ il ba non sembra essere fisico. Però, a differenza dell’’anima’ esso potrebbe essere inteso come un modo fisico di esistenza separato dal suo proprietario anche prima della morte. Ogni fenomeno in cui s’intuisce la presenza o l’azione di un dio può essere inteso come il suo ba: ad esempio, il sole come ba di Ra; il toro Apis come il ba di Osiride. Nel periodo tardo spesso le sacre scritture sono chiamate ‘i bau di Ra’. Un dio può anche essere considerato come il ba di un altro: ciò riguarda particolarmente Ra e Osiride che ogni notte si ritrovano insieme nell’aldilà in un’unione in cui Ra riceve la forza e la rinascita e Osiride è resuscitato da Ra. Le due forze divine sono così occasionalmente definite ‘quello dei due ba’. Come gli dei, anche il re può essere presente come ba in un altro modo di esistenza. Spesso le piramidi dell’Antico Regno sono definite come ba del loro proprietario: ad esempio, la piramide del re Nefer-ir-ka-Ra è chiamata ‘il ba del re N.’. Anche gli ufficiali sovente portano dei nomi che li identificano come ba del re. 1.3. Lo zoomorfismo delle divinità in rapporto alla religione Partiamo dalla precisazione che i termini ‘uomini; esseri umani’ (rmT) si devono intendere come ‘umanità egiziana’. Nelle tombe del Nuovo Regno l’intera umanità, sulla quale regna il dio sole Ra,


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si divide in ‘Uomini (rmT), Asiatici, Nubiani e Libici’. Quando gli Ittiti, meravigliati e affranti dal massacro operato da Ramesse III a Qadesh, gridano:2 non è certo un umano (rmT) che è fra essi, ma Sutekh il grande di potenza! si potrebbe intendere il termine rmT come ‘un Egiziano qualsiasi’: ‘umano’ in questo caso è ‘Uomo’ con l’U maiuscola. Quando un dio ha volto umano, si dice che ha volto di un pat (pat), termine designante la fascia sociale più elevata della società egiziana, e non potrebbe essere altrimenti: un dio non può avere il volto di un Egiziano comune, ma quello di un ‘patrizio’. Gli animali sono enumerati particolareggiatamente. A iniziare dal Nuovo Regno questi esseri sono elencati in base alla taglia: grande bestiame, piccolo bestiame, volatili, pesci, insetti, ecc. In questi elenchi il termine awt, piccolo bestiame, indica le capre, i montoni, i porci, gli asini, le gazzelle e le antilopi. In definitiva la parola awt acquista il senso di ‘animali’ e serve a designare l’animale sacro, di qualsiasi specie esso sia. Quindi ciò che meglio l’animale simbolizza, per l’Egiziano fa parte essenzialmente del suo contesto più immediato. È così che si crea un rapporto tra l’uomo e la divinità: essa può essere chiamata ‘il pastore protettore del suo bestiame (awt)’ cioè ‘ il genere umano ’. Questa immagine evoca la posizione degli uomini nella creazione; essi fanno parte della creazione, cioè esseri animati creati dal Demiurgo. Così una forza soprannaturale può assumere una qualsiasi forma, animale o umana: quest’ultima è una tra le altre possibili. Gli esseri animati sono della stessa natura e li accomuna il medesimo destino. Ad esempio, un gatto dopo che è vissuto insieme al proprio padrone, può essere sepolto in un piccolo sarcofago ed essere proclamato ‘venerabile presso il grande dio’ e beneficiare

2. KRI, II, 54.


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