Relax Trading Anteprima Book

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Relax Trading Il Trading facile per tutti

RO B E RT O Z A R E T T I


ROBERTO ZARETTI

Copyright © 2018 Roberto Zaretti Tutti i diritti riservati. È vietata ogni riproduzione, anche parziale. I marchi “Relax Trading”, “Trading Relax” e “Trading In Relax” sono di proprietà della società Hekla Money SL Grafica e illustrazioni: Mariella Frangi Revisione e controllo bozze: Annamaria Cardinali Le richieste per l’utilizzo della presente opera, o di parte di essa, in contesti diversi dalla lettura privata devono essere inviati a: roberto@zaretti.it ISBN: ISBN Prima Edizione Gennaio 2018

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RELAX TRADING

“Il trader è una persona che rischia il proprio denaro per la libertà, piuttosto che vendere la propria libertà per denaro.”

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ROBERTO ZARETTI

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RELAX TRADING

Introduzione Il titolo che avete letto in copertina non è quello originale. Inizialmente avrebbe dovuto essere Spread trading e materie prime. Tuttavia, un simile titolo avrebbe fornito l’impressione di un manuale tecnico, di quelli difficili da leggere, figurarsi da apprendere. Così è stato cambiato. La scelta di Relax TradingR per certi versi è piuttosto estrema. A molti, specie ai trader esperti, potrebbe apparire un azzardo, una trovata commerciale. Quante volte mi sono sentito dire “nel trading non si può essere rilassati, occorre essere aggressivi”. O, ancora, “non può esistere un trading rilassante, perché per sua natura questa attività è stressante”. Del resto, lo stereotipo di colui o colei che fa trading è proprio quello di una persona che passa le giornate davanti a un monitor, spesso più di uno, alla ricerca del momento giusto per aprire o chiudere una posizione. Vedremo più avanti cosa vuol dire Relax TradingR, e come sia tutt’altro che una boutade. Per il momento, anche ai più scettici, chiedo di sospendere il giudizio. Prima di partire, vediamo di porre al centro dell’attenzione una questione che ricorre spesso: è possibile vivere di trading?
 Se provassimo a digitare questa domanda su un qualsiasi social, magari in uno dei gruppi dedicati al trading, verremmo sepolti da risposte affermative e negative in egual misura, spesso farcite di insulti e maledizioni da parte dei soliti haters.
 Il trading è un campo variegato, dove occorre muoversi con circospezione. È affascinante, per certi versi anche troppo. Le scuole, i consulenti, i formatori, o più genericamente i personaggi che si vendono per esperti nascono con frequenza giornaliera, e con altrettanta velocità spariscono dalla scena, spesso dopo aver procurato danni ingenti agli sventurati da cui hanno ricevuto credito.
 Il trading è anche il regno dei luoghi comuni. Una volta qualcuno se ne uscì con la frase “chi sa fa, chi non sa insegna”, e da allora pare diventato un assioma, una specie di totem da tirar fuori ogni volta che c’è da denigrare chiunque si azzardi a proporre qualcosa a riguardo. Con buona !5


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pace dei vari Larry Williams, George Kleinman, Joe Ross e altri, che a un’inconfutabile esperienza di trading, e pur potendosi permettere di vivere di quello, hanno scelto di fare della formazione il loro mestiere. Altro luogo comune: “per quale motivo uno che è in grado di guadagnare con il trading dovrebbe insegnarlo? Se insegna vuol dire che con il trading non ci campa, quindi è un millantatore”. Senza tornare a scomodare i tre personaggi menzionati poco sopra, che campano di trading e lo insegnano pure, secondo questa teoria qualsiasi imprenditore affermato, anziché cercare nuove fonti di business, dovrebbe trascorrere le giornate sul divano di casa, per il semplice fatto che possa permettersi di non lavorare.
 Ma questa non è la mentalità di un imprenditore. Si pensi a Richard Branson, giusto per fare un nome, che si ostina a lavorare e addirittura a progettare voli intergalattici quando potrebbe starsene tranquillamente a pescare aragoste nella acque di Necker Island. La stessa cosa vale per Elon Musk, Jeff Bezos, Jack Ma (il fondatore di Alibaba) e più in generale per qualsiasi multimilionario del pianeta. Queste persone non lavorano per il solo profitto, ma per il gusto di intraprendere continuamente nuove strade e nuove sfide. Evidentemente, per coloro che amano il proprio lavoro, ambire a nuovi progetti e fissare nuovi obiettivi rappresenta il sale della vita, e non esiste traguardo economico che potrebbe farli desistere dal scendere in campo ogni volta che se ne presenti l’occasione. Una cosa è certa. Il trading è un grande business. Lo hanno capito in tanti, diciamo pure in troppi. È legittimo il sospetto che chi trae profitto dal vendere piattaforme di trading, corsi, consulenze e altro (pure i libri, perché no?), sia in numero maggiore rispetto a chi vive dei proventi delle operazioni di trading vere e proprie. Ma la vera insidia del trading è quella di apparire come un mondo di soldi facili, che possano piovere dal cielo digitando su una tastiera, magari dalle spiagge della Polinesia o da qualche angolo esotico di mondo. Come vedremo, le cose non stanno in questi termini. Da questo punto di vista, per tornare agli aforismi, il detto “non esistono pasti gratis” trova sicuramente applicazione.

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Torniamo alla domanda di apertura: è possibile vivere di trading? La risposta implica valutare parecchi parametri, tra cui il proprio reddito, lo stile di vita, il capitale di cui si dispone, la propensione al rischio, e molte altre cose. Volendo generalizzare, possiamo dire che la risposta è sì, ma è subordinata a diverse condizioni che devono essere realizzate, e che vedremo passo passo nel prosieguo.
 Vediamo di chiarire subito alcune condizioni fondamentali, in assenza delle quali non si va da nessuna parte:
 1. per vivere di trading occorre un capitale adeguato da investire. Il trading non è una scatola magica per stampare denaro, può solo far fruttare adeguatamente un capitale che comunque ci deve essere. Se non si dispone di un capitale adeguato, la buona notizia è che risulta possibile raggiungere l’obiettivo per strade traverse. Vale a dire, pensare di partire con un piccolo capitale e di farlo crescere nel tempo, fino al giorno in cui la sua entità sia tale da soddisfare la condizione appena vista. In alternativa, l’obiettivo può diventare quello di generare una rendita mensile, che possa integrare uno stipendio, o comunque la fonte principale di reddito. 2. il trading si compone di operazioni che vengono chiuse in profitto e di operazioni che vengono chiuse in perdita. Non è escluso che le seconde possano essere in numero maggiore rispetto alle prime. Non si tratta pertanto di un percorso lineare, una specie di piano d’accumulo. Occorre mettere in conto di perdere denaro, il che, senza un’adeguata preparazione, anche di tipo psicologico, a molti potrebbe risultare difficile;
 3. occorre studiare, darsi da fare, fare propria una strategia che funzioni, confrontarsi con altri, disporre di un coach che ti possa seguire. Soprattutto, avere l’umiltà e la disciplina necessaria per rispettare le regole del gioco. Chi, alle prime armi, pensa di fare di testa propria o di mettere mano a una strategia collaudata perché si reputa uber alles, è

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destinato a non andare lontano;
 4. come già detto, occorre mettersi in testa che il trading, quello vero, non è sinonimo di soldi facili. Fare trading in maniera profittevole non vuol dire semplicemente indovinare se il mercato sale o scende e cliccare il pulsante verde o quello rosso sulla app di uno smartphone. Come tutte le professioni di questo mondo, implica studio, applicazione, costante aggiornamento e buona volontà.
 5. Al di là del fatto che ci si possa campare o meno - come abbiamo visto i parametri da valutare sono molti - non vi è dubbio sul fatto che il trading, se affrontato con le competenze necessarie e il giusto atteggiamento mentale, possa rendere, e pure molto. Si tenga sempre presente che proprio il trading è una delle attività principali su cui guadagnano le banche. Non sono certo gli utili dei conti correnti ad alimentare il fatturato e a far quadrare il bilancio degli istituti di credito. 
 In questo libro vedremo come affrontare questi aspetti, come costruirsi passo passo una carriera di trader profittevole, e soprattutto come evitare quegli errori che commettono in molti, e che sono dovuti in buona parte all’improvvisazione e al sogno effimero dei soldi facili. Impareremo insieme come muovere i primi passi, cosa nasconde questo mondo, e quali sono i punti fondamentali per intraprendere quella che rimane una della professioni più ambite e gratificanti. A meno di disporre di capitali adeguati, l’obiettivo iniziale non sarà quello di sostituire la propria attività lavorativa con il trading, bensì di integrarla, di percepire un reddito supplementare. Con il tempo, e disponendo di un capitale adeguato, si potrà pensare di allargare i propri orizzonti e di puntare più in alto.
 Nelle ultime pagine troverete riassunti i link delle società citate nel testo, nonché quelli dei report più importanti di volta in volta menzionati.

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È anche presente un glossario dei termini, per cominciare a familiarizzare con questo mondo, che, visto dall’esterno, potrebbe apparire elitario. Un’ultima precisazione: il linguaggio e la modalità di esposizione dei concetti che vengono esposti in questo libro sono volutamente elementari, pensati per essere alla portata di tutti, anche di chi si affacci per la prima volta al mondo del trading. Chi mi conosce, chi segue i miei corsi, sa bene che tale è sempre stato e rimane il mio modo di comunicare e di interpretare la formazione, anche se gli addetti ai lavori potranno storcere il naso. L’augurio è che anche i più esperti possano trarre spunti interessanti, e magari rinfrescare concetti già noti ma presentati con un taglio differente. Vale il concetto per cui repetita iuvant. Buona lettura Roberto Zaretti

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Capitolo 1

Nulla è mai come sembra

L’avevo sognata per anni. Non avevo ancora conseguito la patente per poterla guidare ma, dal primo giorno che la vidi posteggiata davanti a un supermercato, mi resi conto che un giorno sarebbe stata la mia auto. Sportiva, dal design avveniristico per l’epoca, tre posti secchi, una grinta da paura. Quando riuscii ad acquistarla avevo ventun anni, ma la vita cominciava quel giorno, con una chiave di accensione inserita in un quadro. Un mondo di successi e di ragazze mi si parava davanti, e nei mesi a venire mi ci sarei tuffato. A onor del vero la scena era tanta, la sostanza decisamente meno. La Matra, azienda aeronautica francese, che si era messa a costruire bolidi e a farli correre in formula uno, aveva prodotto un’auto esteticamente molto bella. Purtroppo, per contenere i costi, lo aveva fatto in collaborazione con la Simca, altra casa francese, che aveva preso parte al progetto fornendo il motore di una propria berlina di media cilindrata. Innovativa lo era, a cominciare dal fatto che fosse interamente in vetroresina (a dire dei profani era fatta di plastica, e questa cosa mi mandava in bestia!), ma tecnicamente era un 1400 un po’ più pompato. Tuttavia, per l’utilizzo che intendevo farne, si trattava di un particolare assolutamente trascurabile. All’epoca, il sogno dei ragazzi della mia età si chiamava Golf GTI o Ritmo 105, dove il numero stava a indicare i cavalli di potenza. Due auto dalle prestazioni simili, sebbene la prima più blasonata. Ebbene, la mia Matra, forte anche dei due carburatori doppio corpo che montava e di un paio di interventi di elaborazione borderline, le batteva entrambe in accelerazione, seppur di poco. E questo era tutto ciò che mi serviva per tener testa agli sfottò degli amici, alimentati dall’invidia. Sfottò peraltro destinati a trasformarsi in bevute di birra, guadagnate a suon di scommesse, che di notte trasformavano in autodromi i viali della

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Brianza lecchese.
 Nei confronti della Ritmo non c’era storia, ma con la GTI dovevo stare attento. Se prendeva qualche metro in partenza non c’era verso di recuperarlo. Prima di accettare una scommessa, era inoltre fondamentale accertarsi che non avesse subito alcuna elaborazione, altrimenti di sicuro ci avrei rimesso la paga settimanale. Una notte, a un semaforo in Brianza, mi si affiancò una Ritmo, alla guida della quale stava un tipo dall’aria tronfia, spalleggiato da una bionda seduta al suo fianco. Li sorpresi a lanciare al mio indirizzo sguardi di sfida misti a commiserazione, per quella che evidentemente dovevano aver reputato poco più che un’utilitaria, e come tale meritevole di disprezzo. Il tipo diede un paio di accelerate da fermo, lanciando il tipico segnale di sfida che non puoi permetterti di ignorare, specie in presenza di una donna. Risposi con altrettante sgasate, e per un istante sollevai pure la frizione, facendo balzare il mostro di qualche metro. Operazione prontamente replicata dal soggetto in questione, la cui autostima doveva essere tale da aver trasformato nella sua mente una Ritmo in un jet. L’avevo fregata decine di volte, la Ritmo 105, e non avevo alcun dubbio che lo avrei fatto ancora, avesse voluto dire sparare i pistoni del motore Simca sui balconi delle case circostanti. Attesi freneticamente che il semaforo diventasse verde, mandando su di giri il motore, e quando fu il momento mollai la frizione.
 In un frastuono assordante di gomme, sicuramente accompagnato dalle maledizioni degli abitanti delle case lì intorno, pregustai una vittoria morale che sarebbe servita ad alimentare la mia autostima, che all’epoca di tali circostanze si nutriva. In realtà, ciò che riuscì a vedere fu solo una nuvola di fumo. Prima che potessi rendermi conto di cosa fosse accaduto, l’auto del mio avversario sparì all’orizzonte, al punto che feci appena in tempo a notare la luce dei fari sfumare nella notte.

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Non fu solo una sconfitta, ma una disfatta. Le cicatrici morali mi sarebbero rimaste addosso per parecchio tempo, almeno fino all’età della ragione. Passai il resto della notte a domandarmi cosa diavolo fosse successo, come una cosa del genere potesse essere accaduta. Non esisteva elaborazione al mondo in grado di trasformare una Ritmo in un dragster. Lo scoprì il giorno dopo, quando raccontai l’accaduto a un amico esperto di auto, il quale fece una rivelazione che mi gettò nella costernazione più profonda: da qualche giorno, la Fiat aveva messo sul mercato un nuovo modello di Ritmo, denominato 125, elaborato dalla Abarth, e in quello ero malauguratamente incappato.
 Esteticamente molto simile all’altra, montava un bialbero a carburatore doppio corpo di 1995 cm³ da 125 CV. Qualcosa come 190 km/h di velocità di punta, e meno di 9 secondi per passare da 0-100. Non avrei mai potuto competere. Quel giorno maturai la consapevolezza di due aspetti importanti, che fino ad allora avevo ignorato:
 • •

nulla è mai come sembra; le sconfitte più brucianti non arrivano quando sei alle prime armi, ma quando ormai ti senti sicuro, quando hai maturato l’effimera certezza di avere imparato, di sapere tutto. È lì che ci lasci i denti.

Quell’insegnamento mi sarebbe servito.

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