Anno
XIV
n. 610 Venerdì 29 Maggio 2015 Settimanale in pdf www.heos.it
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ASPETTANDO UN’ ONDATA DI ENERGIA RINNOVABILE PESCI
“INTELLIGENTI” E CONTABILITÀ STOCK ITTICI
MARTE E L’ENIGMA SILOE PATERA
Sommario PRIMO PIANO
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POMODORI E FRUTTI GIGANTI PRESTO REALTÀ ATTUALITÀ
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ANTIBIOTICI E NAFTALENE: I BATTERI INTESTINALI EVOLVONO CON NOI AUSTRALIA, ESPLORATO PER LA PRIMA VOLTA IL GRAND CANYON SOMMERSO AMBIENTE
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ASPETTANDO UN’ ONDATA DI ENERGIA RINNOVABILE PESCI “INTELLIGENTI” FANNO SBALLARE LE PRATICHE DI MONITORAGGIO STOCK ITTICI IN MARE TECNOLOGIA
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QOSMOS, TECNOLOGIA RADIO “COGNITIVA” PER L’UTILIZZO DELLA BANDA LIMITATA CON “FIBRETEMP” MENO AUTOCLAVI PER LA FABBRICAZIONE DI AEROMOBILI “FABRIGEN”, TESSUTI FV FORNIRANNO OMBRA ED ELETTRICITÀ SCIENZE
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TERAPIA GENICA PER LA PREVENZIONE DELLA MORTE CARDIACA IMPROVVISA NEI GIOVANI LO STUDIO DELLA MUSICA MODIFICA LA PERCEZIONE AUDIOVISIVA DEL MONDO SALUTE
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LUPINI, ARMA LETALE CONTRO IL COLESTEROLO QUANDO LA DISLESSIA È ISPIRATA DAI “GENI” SPAZIO
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MARTE E L’ENIGMA SILOE PATERA: METEORITE OPPURE CALDERA DI UN ANTICO SUPERVULCANO? “CHAMPAGNE” E BOLLICINE COSMICHE FOCUS
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“KAYRON” APRE LA STRADA AI TRASPORTI AUTOMATIZZATI CULTURA
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CARPACCIO - VITTORE E BENEDETTO DA VENEZIA ALL'ISTRIA L'AUTUNNO MAGICO DI UN MAESTRO
In copertina, il centro di prova di potenza delle onde chiamato Wave Hub al largo della costa nord della Cornovaglia, nel Regno Unito
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Newsletter settimanale di scienze politica cultura Direttore responsabile Umberto Pivatello Aut. Tr. Verona n°1258 -7 Marzo 1997 Roc n. 16281 Redazione Heos.it Via Muselle,n. 940 - 37050 Isola Rizza - Vr (It) Tel +fax +39- 345 9295137 E-mail heos@heos.it www.heos.it
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PRIMO PIANO
Regaliamoci un libro
LA LISTA DELLA SPESA
POMODORI E FRUTTI
La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare di Carlo Cottarelli
GIGANTI PRESTO REALTÀ
Feltrinelli maggio 2015 pp 208 € 15,00 “Il livello di spesa pubblica appropriato dipende anche da quanto un paese si può permettere. Non a caso, come motto per la revisione della spesa mi è stato suggerito un vecchio adagio cremonese: ‘Se se pol mia, se fa sensa’, ovvero: se non si può, si fa senza.”
I
l libro è un viaggio nei meandri di come e quanto la Penisola spende ma anche un vademecum contro qualunquismi e leggende metropolitane. Per esempio non è vero che “tutta la spesa è spreco” né che “se si taglia si distrugge il welfare state“. Carlo Cottarelli ha goduto per qualche tempo di grande attenzione mediatica. È stato nominato commissario straordinario alla spending review, dal suo lavoro dovevano arrivare milioni di euro per le esauste casse dello stato italiano, al termine del suo mandato è stato invitato in tutte le televisioni e intervistato da tutti i giornali. A distanza di mesi, Cottarelli affida a questo libro le sue riflessioni, i suoi ricordi, le sue diagnosi per cercare di spiegare al grande pubblico uno dei grandi misteri dell’Italia: quell’enorme calderone che è la nostra spesa pubblica. Senza tecnicismi ma non tralasciando nulla di importante, Cottarelli ci guida nei meandri del bilancio statale, facendoci scoprire man mano il grande meccanismo che regola la nostra vita di cittadini, un meccanismo di cui abbiamo solo una vaga percezione, al tempo stesso minacciosa e sfocata. Dove vanno a finire tutti i soldi che paghiamo con le tasse? Davvero spendiamo troppo per i servizi pubblici? Perché si finisce sempre a parlare di tagli alle pensioni? Sprecano di più i comuni, le regioni o lo stato centrale? Perché tutti i politici dicono che taglieranno gli sprechi e nessuno lo fa mai? Ma gli altri paesi come fanno? Un libro chiaro e autorevole, per fare le pulci alla macchina statale italiana, al di là dei luoghi comuni e delle polemiche giornalistiche: perché analizzare un bilancio statale può sembrare arido e difficile, ma con la guida giusta può diventare la lettura più acuta, sorprendente e accurata di un paese intero. (Red)
U
n gruppo di ricercatori dei laboratori Cold Spring Harbor di New York ha scoperto gli "interruttori" che controllano le cellule staminali dei pomodori più grandi esistenti in natura, i “cuore di bue”. Secondo gli studiosi gli stessi geni potrebbero essere attivati anche in altre piante. Si otterrebbero così frutti con dimensioni da record. Come noto in natura i frutti generalmente sono molto piccoli, come bacche mentre in tavola ne arrivano di tutte le dimensioni dovute a secoli di incroci e selezioni per ottenere varietà sempre più grandi ma non sempre più gustose. Tra i pomodori, il più grande in natura è il “cuore di bue” (arriva a pesare anche mezzo chilo) giunto in Europa a bordo delle navi spagnole di ritorno dalle Americhe nel XVI secolo. Per le sue caratteristiche il “cuore di bue” da anni è al centro di ricerche per carpire il segreto della sua crescita, regolata da meccanismi genetici e molecolari. Adesso i ricercatori del Cold Spring Harbor hanno scoperto che la chiave di tutto sta nel numero delle cellule staminali del frutto e in due geni detti “antagonisti” che comandano le staminali: uno le fa proliferare e l'altro le limita. Se salta questo equilibrio anche i pomodori vanno incontro a malformazioni. Il prossimo step per i ricercatori dunque sarà mettere mano a questo meccanismo di altre piante in modo da controllare la dimensione dei loro frutti. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista rivista Nature Genetics. (fRed) Vedi http://www.cshl.edu/
COLOURING WATER HA VINTO IL CONCORSO ESA on questa foto dal titolo “Colouring water” l’olandese Michael Angelo C Richardson ha vinto il concorso “Colour vision” dell’Esa (Agenzia spaziale europea). L’immagine è stata scelta da una giuria di esperti tra oltre 400 partecipanti. Il concorso era legato alla missione della sonda Sentinel-2. Sarà lanciata il 12 giugno: analizzerà la copertura vegetale e lo stato delle coltivazioni proprio grazie alle variazioni di colore (foto esa.int)
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CRONACHE
ANTIBIOTICI E NAFTALENE: I BATTERI INTESTINALI EVOLVONO CON NOI
L
’uso sempre più frequente di antibiotici nei paesi industrializzati sta favorendo la nascita di specifici geni di resistenza nei batteri intestinali. Un campanello d’allarme preoccupante che può portare alla riduzione dell’efficacia dei trattamenti, con conseguenze dannose per la nostra salute. È uno dei risultati che emergono da un nuovo studio portato avanti da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna e pubblicato sull’importante rivista internazionale Current Biology (Cell Press). Lo studio, realizzato nel contesto di una collaborazione internazionale che coinvolge istituzioni di tre diversi paesi (Max Planck Institute, Germania; Istituto di Tecnologie Biomediche CNR, Milano; Università del Nevada, USA; Università di Bologna), è il primo al mondo ad analizzare il genoma delle centinaia di specie batteriche benefiche che popolano l’intestino umano degli Hadza della Tanzania - una delle ultime popolazioni di cacciatori-raccoglitori rimaste sul pianeta - mettendolo a confronto con quello di soggetti italiani provenienti dall’area urbana di Bologna.
Secondo i ricercatori, sarebbero i batteri che ospitiamo nell’intestino ad averci fornito la necessaria flessibilità metabolica che ha consentito l’adattamento della nostra specie a diversi regimi alimentari e strategie di sussistenza. Elemento che ha costituito un fattore chiave nella nostra evoluzione recente, nel corso della quale abbiamo dovuto affrontare drastici cambiamenti di alimentazione e stile di vita durante il passaggio da cacciatori e raccoglitori del Paleolitico alle prime comunità agricole del Neolitico, fino alle moderne società industriali. I risultati dello studio dimostrano come siano proprio i microrganismi intestinali a fornirci, ad esempio, gli amminoacidi essenziali che sono carenti nella nostra dieta, e dimostrano inoltre come i microrganismi intestinali si specializzino nella degradazione dei carboidrati di cui ci alimentiamo: polisaccaridi complessi di origine vegetale per gli Hadza, zuccheri semplici e raffinati per gli italiani. Altra scoperta molto interessante. I batteri intestinali degli italiani sono caratterizzati da specifiche
funzioni deputate alla degradazione di composti nocivi per la salute (definiti “xenobiotici”), come il naftalene, ottenuto dalla raffinazione del petrolio, i benzoati, comuni conservanti alimentari, e gli xileni. Una caratteristica questa, tipica dei batteri intestinali di popolazioni urbane, che è frutto di una risposta adattiva dei microrganismi e che si traduce, fortunatamente, nella detossificazione di tali sostanze, con un conseguente beneficio per l’ospite in termini di riduzione dell’impatto nocivo sulla salute. Meno rassicuranti sono le scoperte relative all’utilizzo di antibiotici. Poiché gli Hadza sono una delle pochissime popolazioni esistenti sul pianeta che non è esposta al loro utilizzo, è stato infatti possibile per la prima volta valutare l’impatto dell’uso di antibiotici sui profili di resistenza intrinseca dei batteri che ospitiamo nell’intestino. I dati ottenuti dimostrano come l’uso di antibiotici nei paesi occidentalizzati in campo medico e alimentare, stia favorendo non solo l’insorgenza di specifici geni di resistenza nei batteri intestinali ma anche un incremento della loro mobilità, e quindi del potenziale di trasferimento da microrganismo a microrganismo. Fattori che costituiscono un importante campanello d’allarme, con rischi assolutamente non trascurabili in termini di riduzione dell’efficacia dei trattamenti, ed insorgenza di effetti dannosi per la nostra salute. (Red) Vedi http://www.magazine.unibo.it/ http://www.cell.com/current-biology/ abstract/S0960-9822(15)00537-0
RASSEGNA STAMPA. LA VIGNETTE DELLA SETTIMANA Corriere.it 29 Maggio
Corriere.it 28 Maggio
Italiaoggi.it 29 Maggio
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Italiaoggi.it 28 Maggio
Aggiunge: «Si tratta di un ritrovamento significativo poiché, essendo questa specie diffusa in tutto il mondo, incluso il Mar Mediterraneo, permetterà di comprendere meglio la distribuzione geografica della fauna che si cela nelle grandi profondità marine».
Sopra, nella foto la nave Falkor. A lato, dall’alto in basso, un corallo solitario e la mappa del Perth Canyon
AUSTRALIA, ESPLORATO PER LA PRIMA VOLTA IL GRAND CANYON SOMMERSO L’impresa è stata compiuta al largo dell’Australia da un team internazionale che comprende l’Ismar-Cnr. I ricercatori hanno mappato in dettaglio 4.000 chilometri quadrati, rinvenendo pareti di corallo solitario e scogliere viventi e subfossili di coralli coloniali. I campionamenti permetteranno di comprendere meglio l’evoluzione climatica degli oceani
S
i è conclusa la campagna oceanografica della nave Falkor che ha per la prima volta esplorato visualmente il Canyon di Perth, nell’Oceano Indiano al largo delle coste dell’Australia occidentale, rilevando fra l’altro la presenza di coralli viventi e subfossili. A realizzare
l’impresa, un team scientifico che comprende l’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) di Bologna. «Abbiamo scoperto il corallo solitario di profondità Desmophyllum dianthus che, in una parete verticale del Canyon, si presenta come una sorta di muro formato da numerosissimi individui. Le associazioni più ricche sono state individuate per la prima volta fra i 600 e i 1.000 metri di profondità», spiega Marco Taviani dell’Ismar-Cnr, che ha descritto le caratteristiche geologiche e biologiche del fondale man mano che il Rov (Remotely Operated Vehicle) “Comanche”, imbarcato sulla Falkor, mandava in diretta le immagini.
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Paolo Montagna dell’Ismar-Cnr dal canto suo rileva: «L’analisi in laboratorio degli individui di Desmophyllum campionati fornirà inoltre importanti dati sull’evoluzione climatica degli oceani, dato che gli scheletri calcarei di questi coralli sono autentici archivi della storia del mare. I loro “cugini” mediterranei sono stati rivelatori della variazione della temperatura e fertilità del mare, fornendo indicazioni per gli scenari futuri sul riscaldamento globale e sulla progressiva acidificazione delle acque marine. Oltre ai coralli solitari sono stati trovati cespugli di corallo rosso, una specie diversa da quella che s’incontra in Mediterraneo, e piccole scogliere viventi e subfossili di coralli coloniali. La datazione dei coralli fossili mediante il metodo dell’uranio/torio permetterà di comprendere meglio la storia evolutiva di uno dei più diffusi ma inosservati ecosistemi dell’intero pianeta, le scogliere coralline di grande profondità». Il Canyon di Perth è una grande incisione nel margine continentale australiano, a cinquanta chilometri dalla cittadina di Fremantle. Presenta all’incirca le dimensioni del Grand Canyon americano, del quale è più profondo, spingendosi fino a 4.200 metri, mentre la parte superficiale arriva a circa 50 metri. I ricercatori hanno mappato in grande dettaglio un’area vasta 4.000 chilometri quadrati. Alla missione, coordinata da Malcolm McCulloch dell’Università di Western Australia, partecipano anche il Western Australian Museum e la Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation. La Falkor è stata messa a disposizione dallo Schmidt Ocean Institute, un’organizzazione filantropica per lo studio delle ultime frontiere marine. (Red)
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Vedi www.cnr.it
I
l cervello di un musicista è in grado di ricordare milioni di note musicali, di produrre 1.200 movimenti al minuto, e di percepire differenze infinitesime nelle altezze dei suoni. Ma come sono rappresentate tutte queste abilità nel nostro cervello? Sono intrecciate tra di loro in modo multimodale. Questa capacità richiede un complesso apprendimento da parte del cervello che interessa numerose regioni cerebrali (visive, uditive e motorie) e che continua anche dopo 12, 15, addirittura 18 anni di studio. Lo ha dimostrato la ricerca, “The effect of musical practice on gesture-sound pairing” (autori Alice M. Proverbio, Lapo Attardo, Matteo Cozzi e Alberto Zani) da poco pubblicata su Frontiers in Auditory Cognitive Neuroscience. Lo studio è stato realizzato dal Milan Center for Neuroscience dell’Università di Milano-Bicocca (Dipartimento di Psicologia) in collaborazione con i docenti e gli studenti del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano ed è stato coordinato da Alice Mado Proverbio, docente di Psicobiologia e Psicologia Fisiologica presso l’Ateneo milanese. In questo studio trasversale del tutto inedito è stato indagato per la prima volta come cambia anno per anno la rappresentazione in memoria dei suoni musicali, in relazione al gesto motorio necessario per produrli. I ricercatori della Bicocca sono entrati nelle classi di violino e clarinetto del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano per osservare da vicino lo sviluppo dei sistemi specchio audiovisuomotori nei giovani allievi a partire dal secondo anno di corso, fino al Master e oltre. Il compito propo-
LO STUDIO DELLA MUSICA MODIFICA LA PERCEZIONE AUDIOVISIVA DEL MONDO sto agli allievi era apparentemente semplice, indovinare esattamente le note suonate da un altro sul proprio strumento, solo osservando la scena: sembra facile, ma non lo è. I dati mostrano che la quantità di tempo che un individuo impegna nell’esercizio (in questa ricerca corrispondono agli anni di studio effettivo al Conservatorio di Milano) è direttamente correlata alla qualità della prestazione di quell'individuo, che mostra un sensibile beneficio nell’esercitarsi continuamente, indipendentemente dalle qualità innate di ciascuno. È come se gli allievi più avanzati avessero interiorizzato così solidamente il collegamento tra suono, gesto e immagine da percepire in maniera automatica un’eventuale incongruenza, con una percentuale di errore che diminuisce in modo lineare all’aumentare degli anni di pratica. Questo accade grazie alla capacità dei neuroni multimodali di creare correlazioni audio-visuomotorie che aumentano con gli anni di studio e di pratica, indipendentemente dal talento e dall’età dell’individuo. I primi effetti della modificazione cerebrale sono osservabili dopo 4-6 anni di studio intensivo e continuano progressi-
vamente dopo il diploma e il master: veder suonare attiva anche il sapere suonare ed evoca il suono associato al gesto. Fino a tre anni di studio la percentuale di errore di un musicista è vicina al 50%, mentre solo dopo aver conseguito il diploma (e almeno 12.000 -18.000 ore di studio), la percentuale scende sotto il 10%, come per i professori. La ricerca ha coinvolto diciannove allievi: dieci violinisti e nove clarinettisti, con un’età tra i 14 e i 24 anni, con alle spalle dai 2 ai 18 anni di studio dello strumento. I partecipanti hanno visto 396 video di violinisti e clarinettisti professionisti che suonavano 200 combinazioni totalmente nuove di note doppie o singole che coprivano tutte le altezze dei suoni, riprodotte in modo non melodico. I musicisti avevano semplicemente il compito di indicare la congruenza tra il gesto e il suono sulla base della vista. La ricerca pertanto ha messo in luce il ruolo cruciale dell’esercizio nel plasmare le funzioni musicali del cervello, indipendentemente dal talento musicale. (Red) Vedi www.unimib.it
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