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XIV

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LHCB FA IL PRIMO PIANO ALLE PARTICELLE ESOTICHE “PENTAQUARK” IL

PALEODENTISTA DI 14 MILA ANNI FA AL LAVORO SU UN MOLARE CARIATO

UN GEMELLO DI GIOVE ORBITA INTORNO A UN FRATELLO DEL SOLE


Sommario PRIMO PIANO

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“ENERGIA DI SCAMBIO” PER L’HARD DISC DEL FUTURO ATTUALITÀ

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LHCB FA IL PRIMO PIANO ALLE PARTICELLE ESOTICHE “PENTAQUARK” AMBIENTE

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ECCO LA PRIMA “VERTICAL FARM” ITALIANA IL “CONSUMO DI SUOLO” È PER SEMPRE LA BIOENERGIA DEL FUTURO: ELETTRICITÀ DA PAGLIA, ALGHE E SCARTI AGROINDUSTRIALI TECNOLOGIA

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LE STRADE ALBERATE E I BENEFICI SULLA NOSTRA SALUTE SCIENZE

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QUANDO IL GESTO DIVENTA SINTESI LA MUSICA MIGLIORA LA CAPACITÀ MOTORIA DELLE PERSONE COLPITE DA ICTUS SALUTE

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EUROCALIN: NUOVI FARMACI CONTRO L’ANEMIA X FRAGILE E AUTISMO: SCOPERTA VIA MOLECOLARE PER NUOVE TERAPIE SPAZIO

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UN GEMELLO DI GIOVE ORBITA INTORNO A UN FRATELLO DEL SOLE CERCA CASA IL PIÙ GRANDE TELESCOPIO GAMMA AL MONDO: PARANAL O LA PALMA FOCUS

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IL “PALEODENTISTA” DI 14 MILA ANNI FA AL LAVORO SU UN MOLARE CARIATO CULTURA

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IL RINASCIMENTO OLTRE L'IMMAGINE

In copertina, illustrazione artistica di pentaparticelle di quark (foto infn.it)

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Newsletter settimanale di scienze politica cultura Direttore responsabile Umberto Pivatello Aut. Tr. Verona n°1258 -7 Marzo 1997 Roc n. 16281 Redazione Heos.it Via Muselle,n. 940 - 37050 Isola Rizza - Vr (It) Tel +fax +39- 345 9295137 E-mail heos@heos.it www.heos.it

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PRIMO PIANO

Regaliamoci un libro

“ENERGIA DI SCAMBIO” PER L’HARD DISC

SCAMBI, EQUIVOCI EPPIÙ TORBIDI INGANNI di Gaetano Cappelli Marsilio Editore Luglio 2015 pp. 198, € 16,00

DEL FUTURO

C

he cos’è la fortuna? Un fluido etereo; magnetismo sulfureo? Oppure ...? Qualunque cosa sia, non c’è bisogno d’essere metafisici per sapere che esiste. E lo scrittore Lorenzo Dalré lo sa meglio di tutti. Un mestiere invidiabile, una casa confortevole, due deliziosi figlioletti, e, soprattutto, una magnifica moglie che mantenendolo, gli permette di fare il suo lavoro senza troppo affaticarsi. Così è da tempo che, invece di dedicarsi al suo fantomatico capolavoro, si trastulla in fantasiose acrobazie sessuali con una favolosamente bella, sebbene assai burina, amica della consorte. E tutto funziona alla perfezione finché, scoperta la tresca e trovatosi improvvisamente senza un soldo fuori di casa, Dalré cercherà rifugio dal padre Anacleto, generale ed eroe della patria, eppoi nuove distrazioni tra le braccia della sfrenata Sandra Bonsanti, cinica matrimonialista e moglie del deputato inquisito Filippo Torregrossa, inciampando, per un terribile equivoco, nell’inchiesta che interessa il politico ma, soprattutto, in Mauro Spaltro, l’inetto magistrato che farà del caso il trampolino di lancio verso l’ambita carriera politica.

U

n gruppo di ricercatori dell’Università di Roma “Sapienza”, in collaborazione con la Radboud University di Nijmegen e il Politecnico di Milano ha dimostrato che in futuro sarà possibile memorizzare dati a velocità diecimila volte superiori a quelle realizzabili con le attuali tecnologie. I ricercatori hanno dimostrato che manipolare le proprietà magnetiche di un materiale è alla base di moltissime applicazioni nella vita di tutti i giorni, come quella di memorizzare informazioni sull’hard disk del proprio computer. Finora ciò è stato realizzato utilizzando testine magnetiche di lettura/scrittura, che alterano l’orientazione relativa dei campi magnetici tra diversi domini all’interno di un materiale. In questo modo viene fornito un contributo all’energia elettrostatica, detto appunto energia di scambio, che codifica il bit di informazione. I ricercatori hanno sperimentato come sia possibile modificare direttamente l’energia di scambio, senza necessariamente alterare la struttura magnetica del materiale. Utilizzando impulsi laser ultra brevi con durata misurabile in miliardesimi di milionesimo di secondo) è stato osservato un aumento dell’energia di scambio, per un tempo limitato alla durata dell’impulso stesso, e dunque estremamente più rapido di quello ottenibile applicando un campo magnetico esterno. Lo studio è stato pubblicato Nature Photonics. Vedi www.polimi.it

E questo tra i quartieri borghesi, le palestre vip, i covi per scambisti e i salotti della Roma dei nostri giorni, alla vigilia dell’inchiesta “Mafia Capitale”, popolata da una galleria di coloratissimi personaggi come l’ex imprenditore e ora idraulico “per signore”, Paride Matelica; o Riccarda, la Bovary di Tor Bella Monaca, che legge le Cinquanta sfumature ma declama colte citazioni rubate da internet; o don Ario, missionario in Nigeria, afflitto dal senso di colpa per aver avuto tra i suoi scolari il fondatore di Boko Haram … L'autore. Gaetano Cappelli è nato a Potenza nel 1954. Ha pubblicato per Marsilio più d’una dozzina di romanzi, tra cui Romanzo irresistibile della mia vita vera, Volare basso, Il primo; e inoltre La vedova, Il santo e il segreto del pacchero estremo e Parenti lontani, che gli sono valsi il premio Hemingway e il Premio Internazionale John Fante. Grazie a Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo, tradotto in Francia e Germania, è diventato Chevalier de la Confrérie du Tastevin di Borgogna.

IL TORRENTE I CALANCHI E LA SPIAGGIA DI EN VAU Cassis e Marsiglia (Francia) si trova un tratto di costa che conserva Tcomerastupende baie e calette nascoste tra le rocce alte e le falesie conosciute Calanques. Tra le insenature più belle c’è quella di En Vau (nella foto) dall'omonimo torrente, raggiungibile via mare o attraverso un sentiero

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CRONACHE

DOPO UN INSEGUIMENTO DURATO MEZZO SECOLO

LHCB FA IL PRIMO PIANO

ALLE PARTICELLE ESOTICHE “PENTAQUARK” LHCb, uno dei quattro grandi esperimenti del Large Hadron Collider LHC, il superacceleratore del CERN a Ginevra, ha riportato la scoperta di una classe di particelle esotiche note come pentaquark.

«

Il pentaquark osservato non è soltanto una nuova particella - ha spiegato Alessandro Cardini, responsabile dell’esperimento LHCb per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare INFN – ma anche un nuovo modo in cui i quark, che rappresentano i costituenti fondamentali di neutroni e protoni, possono combinarsi tra loro, in uno schema mai osservato prima in oltre cinquant'anni di ricerche sperimentali. Ulteriori studi delle proprietà dei pentaquark ci permetteranno di comprendere meglio la natura di neutroni e protoni, i costituenti della materia di cui siamo fatti noi e tutto ciò che ci circonda». La comprensione della struttura della materia è stata rivoluzionata nel 1964, quando il fisico americano, Murray Gell

-Mann, ha proposto che una categoria di particelle, note come barioni, e che comprende protoni e neutroni, fossero composti di tre oggetti chiamati quark, e che un’altra categoria, i mesoni, fossero invece formati di coppie quark-antiquark. Gell-Mann fu insignito per questo lavoro del Premio Nobel per la fisica nel 1969. Ma il modello a quark elaborato da GellMann permette anche l'esistenza di altri stati di aggregati di quark, come il pentaquark, appunto, composto da quattro quark e un antiquark. Fino ad ora, tuttavia, nonostante una ricerca serrata durata mezzo secolo e condotta da parte di molti esperimenti in tutto il mondo, non era mai stata portata nessuna prova conclusiva dell’esistenza del pentaquark. I ricercatori di LHCb hanno cercato stati di pentaquark esaminando il decadimento di un barione, conosciuto come Λb (Lambda b), in altre tre particelle: una J/ψ (J-psi), un protone e un kaone carico. Lo studio della distribuzione dell’energia della J/ψ e del protone ha rivelato che stati di aggregazione di materia intermedi, i

pentaquark appunto, si formano a volte nel corso del decadimento di questi barioni. «Approfittando della grande mole di dati forniti da LHC, e potendo contare sull'eccellente precisione del nostro rivelatore, abbiamo esaminato tutte le possibilità per questi segnali, e abbiamo concluso che si può spiegare solo con stati di pentaquark», spiega il fisico della collaborazione internazionale LHCb Tomasz Skwarnicki, della Syracuse University negli Stati Uniti, che ha coordinato lo studio. «Più precisamente gli stati devono essere formati da due quark up, un quark down, un quark charm e un anti-quark charm», conclude Skwarnicki. La ricerca di questi nuovi agglomerati di quark dura come detto da mezzo secolo e conta numerosi risultati che inizialmente erano sembrati positivi ma che successivamente, sottoposti a ulteriori verifiche, si sono rivelati invece inconcludenti. Ora, il risultato dell’esperimento LHCb è forte di un’analisi dei dati estremamente accurata a rigorosa, basata su un’elevatissima statistica, mai raggiunta prima, e su un’altissima precisione del rivelatore. LHCb è stato così in grado di studiare i pentaquark da molte prospettive, e tutte puntano alla stessa conclusione. In pratica è come se gli studi precedenti avessero individuato delle silhouette nel buio e le avessero associate ai pentaquark, mentre LHCb ha condotto la sua ricerca a luci accese e da tutte le angolazioni. «L'esistenza di particelle esotiche, quelle che non riusciamo a inquadrare

RASSEGNA STAMPA. LA VIGNETTE DELLA SETTIMANA Corriere.it 17 Luglio

Corriere.it 16 Luglio

italiaoggi.it 17 Luglio

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Italiaoggi.it 16 Luglio


nei modelli che descrivono mesoni e barioni, è ormai un fatto sperimentalmente accertato: ad esempio, stati con quattro quark sono già stati scoperti in diversi esperimenti, incluso LHCb», sottolinea Pierluigi Campana, a capo della collaborazione internazionale LHCb dal 2011 al 2014. «Però adesso abbiamo una forte indicazione di qualcosa di equivalente per i cinque quark. E questo grazie alla capacità di LHCb di riconoscere la natura delle particelle, in mezzo a quella tempesta di tracce che ci è generosamente offerta dalle collisioni a LHC», conclude Campana. Ma questo risultato non è conclusivo, perché i pentaquark sono una classe di particelle che ci può aprire le porte a una comprensione molto più approfondita della materia. Infatti, se noi conosciamo bene la forza elettromagnetica che tiene legati assieme gli atomi, cioè i nucleoni e gli elettroni, non altrettanto possiamo dire della forza forte, che tiene legati sia i protoni e i neutroni all’interno del nucleo,

A lato, illustrazione artistica di pentaparticelle di quark (foto infn.it)

sia i quark che li compongono tra di loro. «La scoperta della collaborazione LHCb, di uno stato composto da cinque quark, se sarà confermata, arriva gradita, ma non inattesa», commenta Luciano Maiani, fisico teorico fra coloro che hanno maggiormente contribuito agli studi sui quark. «Nel lavoro in cui introduceva i quark, Gell-Mann aveva anche suggerito che, oltre ai

«I quark pesanti non possono sparire»

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dee sulla struttura di tetra e pentaquark sono state avanzate da diversi autori a partire dagli anni ’70 del secolo scorso (R. Jaffe, poi G. Rossi e G. Veneziano e successivamente R. Jaffe e F. Wilczeck), ma nessuna prova sperimentale indicava allora la presenza di particelle più complicate del minimo necessario. La situazione è cambiata con la scoperta di particelle costituite da quark “pesanti”, il quark charm e il quark beauty. Nel decadimento di una particella con quark pesanti, questi ultimi non possono “sparire”: li possiamo rintracciare nelle particelle dello stato finale e vedere se nella particella iniziale non ce ne dovessero essere degli altri. L’idea che alcuni mesoni , osservati a partire dal 2003 e non interpretabili nello schema tradizionale fossero tetraquark formati da una coppia di quark pesanti e una di quark leggeri, è stata avanzata nel 2005 dal nostro gruppo (L. Maiani, A. Polosa, F. Piccinini, V. Riquer) e approfondita negli anni successivi, tra gli altri da S. Weinberg e da S. Brodsky, negli USA . Mesoni contenenti una coppia di quark beauty sono stati interpretati come tetraquark da A. Ali e altri collaboratori del laboratorio DESY, in Germania. Nel 2007, la scoperta del mesone Z+, da parte della collaborazione BELLE in Giappone, è stata confermata nel 2014 da LHCb. Oltre a una coppia charmanticharm, che ha nel complesso carica elettrica zero, lo Z+ “deve” contenere una coppia di quark leggeri, per arrivare alla carica elettrica positiva osservata, proprio come previsto dai nostri tetraquark. I pentaquark osservati sono di questo tipo: decadono in un mesone charm-anticharm e in un protone, quindi devono contenere, in aggiunta, due quark up e un quark down. L’esistenza dei pentaquark è una logica conseguenza dell’esistenza dei tetraquark. Luciano Maiani

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mesoni noti fatti da una coppia quarkantiquark, potessero esistere particelle mesoniche composte da due coppie quark-antiquark (tetraquark) e che, oltre alle particelle barioniche composte da tre quark, potessero esserci dei pentaquark. Ci attende adesso l’esplorazione di un nuovo mondo di particelle, al CERN e ai collisori elettronepositrone in Giappone e in Cina. Speriamo di trovare, nei pentaquark, quella “pistola fumante” che convinca anche gli scettici dell’esistenza di una nuova serie di particelle subnucleari, che ci daranno informazioni cruciali sulle, ancora misteriose, interazioni forti», conclude Maiani. In sintesi si può affermare che si apre ora tutto un nuovo filone di ricerca. Il passo successivo per l'analisi sarà studiare come i quark sono legati all'interno dei pentaquark. I quark, infatti, potrebbero essere strettamente vincolati, oppure potrebbero essere tenuti assieme più debolmente in una sorta di molecola mesone-barione, in cui il mesone e il barione risentono del residuo dell’interazione forte, la stessa forza che lega protoni e neutroni a formare i nuclei. Saranno quindi necessari ulteriori studi per distinguere tra queste possibilità, e per vedere che cosa i pentaquark possono insegnarci. I nuovi dati che LHCb raccoglierà durante il RUN2 di LHC consentiranno di compiere progressi in questo campo. (Red) La scoperta è stata pubblicata sul sito arXiv.org e su Physical Review Letters

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AMBIENTE

A sinistra nella foto, la Vertical Farm italiana , alta 4,5 metri, dove le piante (lattuga e basilico) sono coltivate su più strati, in cubetti di torba pressata immersi in acqua con soluzioni nutritive a riciclo continuo (sistema idroponico), l’illuminazione è con LED ad alta efficienza che riproducono il ciclo della fotosintesi clorofilliana

È stata inaugurata all’EXPO di Milano la prima Vertical Farm italiana. Realizzata dall’ENEA, l’Agenzia per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, è una serra verticale alta 4,5 metri nella quale si sperimenta l’agricoltura del futuro, ovvero l’agricoltura 3.0: zero pesticidi, zero km., zero consumo di suolo.

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e piante (lattuga e basilico) sono coltivate su più strati, in cubetti di torba pressata immersi in acqua con soluzioni nutritive a riciclo continuo (sistema idroponico), l’illuminazione è con LED ad alta efficienza che riproducono il ciclo della fotosintesi clorofilliana. La produzione è praticamente doppia rispetto alle colture tradizionali: per l’insalata, ad esempio, si passa da 6 a 14 cicli di raccolta/anno per ogni piano, con un risparmio del 95% di acqua (2 soli litri per un 1kg di lattuga contro i 40-45 litri/kg in un campo tradizionale). La Vertical Farm è l’emblema delle tecnologie per l’agricoltura del futuro, alle quali si lavora nei nove Centri ENEA sul territorio nazionale: prodotti, servizi, processi concepiti per le imprese del settore e raccolti nell’Atlante dell’innovazione tecnologica, una sorta di catalogo online con oltre 500 voci in

REALIZZATA DALL’ENEA. RADDOPPIA I RACCOLTI E RISPARMIA FINO AL 95% DI ACQUA

ECCO LA PRIMA “VERTICAL FARM” ITALIANA diversi settori. Fra le innovazioni per l’agricoltura, i bioinsetticidi, i sensori per scoprire l’adulterazione dei prodotti alimentari, i processi per il recupero di sostanze utili dalle acque di scarico, le tecnologie per la tracciabilità degli alimenti, lo sviluppo dell’agricoltura di precisione (anche utilizzando droni e satelliti) per coltivare con meno acqua, usando modelli climatici innovativi. La scheda tecnica La Vertical Farm (VF) è una serra multistrato chiusa con colture in orizzontale su piani sovrapposti. Consente di coltivare in assenza di terra, utilizzando colture idroponiche: le piante vengono inserite su piccole zolle di torba e crescono con l’apporto di acqua e nutrienti. Si tratta di una innovazione tecnologica di gran-

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de rilevanza, un prototipo in scala (3 m x 3 m x 4,5 m di altezza) perfettamente replicabile a livello industriale. In Italia ad oggi non esistono ancora delle serre verticali; ne esistono solo alcune nel mondo. La crescita delle piante è anche possibile grazie all’uso di illuminazione artificiale, con lampade a Led ad altissima efficienza e a basso consumo. Vengono utilizzati i led perché forniscono luce fredda nelle colorazioni più idonee, tipicamente blu e rosso, perfetta a riprodurre le condizioni che favoriscono la fotosintesi clorofilliana, essenziale per la crescita delle piante. La CO2 prodotta viene completamente riciclata e riassorbita dalle piante durante la fase notturna quando non ci sono le luci dei led accese. I led sono in funzione durante tutta la giornata e vengono

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A sinistra, la vertical farm dell’Enea dove le piantina sono illuminate con led di vari colori

spenti di notte. Coltivare con un sistema idroponico consente di ottimizzare gli usi dell’acqua. Il sistema necessita di circa 2 litri di acqua ogni kg di lattuga contro i 45 kg di coltivazione tradizionale. Coltivare su più piani soprapposti consente di avere una coltivazione di 3-4 volte superiore a quella di una coltura una serra tradizionale e di 7-8 volte in più rispetto ad una coltura in campo aperto. Nelle VF Expo ogni 3 settimane si produrranno 500 piante di ottima qualità. Ogni ciclo di crescita è di 3 settimane per un totale di 14 cicli l’anno di produzioni. In un sistema chiuso come quello della VF, non c’è bisogno di grosse quantità di concimi e rispetto ai sistemi di coltura tradizionali si arriva a risparmiarne il 50%. Anche per quanto riguarda l’irrigazione, ogni ora c’è un ciclo di irrigazione mentre di notte solo una volta entrano in funzione le pompe. Una pompa programmata entra in funzione periodicamente ogni ora e attraverso un ciclo detto a flusso e riflusso consente l’erogazione dell’acqua per l’allagamento dei bancali e consentire alle piante di assorbire l’acqua necessaria per la crescita. Per alcuni secondi ogni ora, quindi, le radici assorbono l’acqua necessaria dopodiché l’acqua per gravità viene ricondotta nelle vasche sottostanti. Un fertirrigatore computerizzato, ovvero un’unità di miscelazione, controlla periodicamente il PH e la salinità della soluzione, integra nell’acqua la quantità di sostanze da erogare e le distribuisce attraverso l’irrigazione. La VF è composta da 12 piani di coltivazioni, ciascuno di 1 metro quadrato

per un totale di 12 metri quadrati di superficie coltivata. Le piantine vengono inserite nella torba e completano il loro ciclo di crescita in 3 settimane. Per ogni ciclo si producono 250 piante di lattuga e 250 piante di basilico. Coltivare a ciclo chiuso consente di non sprecare nulla e di non produrre scarti o rifiuti. I prodotti sono privi di sostanze inquinanti, come pesticidi o fitofarmaci. Il sistema della VF è progettato per essere completamente robotizzato, non serve quasi la presenza dell’uomo. Nel caso della Vertical Farm dell’Expo, nel sistema non è previsto il robot, ma è un agronomo ogni 3 settimane ad occuparsi delle produzioni, della raccolta e del ricambio delle piante. Il clima all’interno della VF è completamente controllato. Attraverso un sistema di climatizzazione, temperatura e umidità vengono ottimizzate in funzione delle esigenze delle piante. La temperatura è ottimizzata sia per la crescita del basilico che della lattuga con 17-18 gradi per il giorno, quando avviene la fotosintesi e 10-12 gradi per la notte, quando i led sono spenti. Telecamere collegate ai computer controllano tutto il sistema e anche anomalie o blackout. L’ambiente chiuso è completamente sterile, ossia non entrano insetti o parassiti. Le colture dal punto di vista della qualità sono ottime. Le pareti sono vetrate, per consentire al pubblico di vedere le coltivazioni, ma nelle strutture industriali le pareti sono opache. Le coltivazione è incentrata sull’utilizzo di luce artificia-

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le. Il consumo di energia elettrica è pertanto la maggiore problematica presente in questi sistemi. Infatti, anche se i Led hanno consumi ridottissimi, i consumi energetici sono elevati. Biomasse prodotte con il riciclaggio dei rifiuti urbani o energia da fonti rinnovabili sono soluzioni sicuramente praticabili per ridurre i costi. Inoltre nel futuro realizzazioni tecnologiche come queste potrebbero essere un contributo alla soluzione dei problemi di scarsità di acqua e di materie. Uno dei maggiori vantaggi di questi sistemi chiusi consiste nel poter produrre in qualunque posto sul nostro pianeta, anche in paesi con caratteristiche climatiche non adatte. Rendere possibile la coltivazione a km 0 significa abbattere i costi di trasporto ed esportazione, che incidono notevolmente sul prodotto finale. Oltre a richiedere meno spazio rispetto a una coltivazione tradizionale, le coltivazioni all’interno della Vertical Farm (VF) non hanno bisogno di suolo, ma solo di acqua e di elementi nutritivi: è il cosiddetto sistema idroponico, che consente a qualsiasi tipo di pianta di crescere in substrati alternativi alla terra - come ad esempio la torba pressata, l’argilla espansa o la lana di roccia – immersi in acqua con soluzioni nutritive a riciclo continuo. La crescita delle piante è poi assicurata da un’illuminazione a LED che replica le condizioni naturali e accelera la fotosintesi clorofilliana. La VF rappresenta una delle soluzioni dell’agricoltura del terzo millennio per la produzione di ortaggi fuori suolo, multistrato, a ciclo chiuso integrale (riciclo totale dell’acqua e dei fertilizzanti), in ambiente protetto e climatizzato, senza utilizzo di pesticidi e insetticidi e ad illuminazione artificiale a LED. Il prototipo dell’ENEA sarà il primo esempio italiano ad applicare tutti questi sistemi. La VF non produce rifiuti, in quanto tutti i prodotti utilizzati per la crescita delle piante vengono continuamente riciclati al suo interno. Non vengono nemmeno prodotti rumori molesti, tranne un leggero ronzio dell'impianto di aria condizionata, anch’essa completamente riciclata all'interno della VF. (Red)

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IL “CONSUMO DI SUOLO” È PER SEMPRE to di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibimet-Cnr) si parlato anche del recente disegno di legge in materia di contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato, in discussione nelle commissioni riunite Agricoltura e Ambiente della Camera dei deputati.

Il consumo di suolo, l’arretramento di aree agricole a causa dell’antropizzazione, è stato il tema della tavola rotonda organizzata dal Consiglio nazionale delle ricerche ad Expo.

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o calpestiamo tutti i giorni ma è essenziale per la nostra esistenza. Produttore di cibo, regolatore di emissioni di gas serra, sede di almeno un terzo della biodiversità terrestre, il suolo trattiene l’acqua piovana, alimentando le falde e producendo acqua potabile. Questa preziosissima risorsa ambientale però non è rinnovabile, e il rischio concreto cui va incontro si chiama “consumo di suolo”, ossia la riduzione delle aree agricole e verdi a causa dell’espansione di città, edificazioni, impermeabilizzazioni. È in atto una profonda alterazione biofisica, irreversibile nella gran parte dei casi, con impatti sull’equilibrio ambientale a scala locale e globale. Durante i lavori del convegno coordinata da Teodoro Georgiadis dell’Istitu-

Le nuove stime del Rapporto Ispra “Consumo di suolo in Italia” 2015, confermano una velocità media di perdita di 6 - 7 m2 al secondo, per un totale di 55 ettari al giorno, prevalentemente in aree agricole (quasi il 60%), ma anche urbane (22%) e naturali (19%). Da questi dati si evince che sia stato cancellato anche il 20% della fascia costiera italiana, insieme a 34.000 ettari all’interno di aree protette, il 9% delle zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di fiumi e laghi. Le città continuano a espandersi disordinatamente (sprawl urbano), con un tessuto urbano a bassa densità che frammenta il paesaggio e gli habitat naturali. «Le modifiche al suolo influiscono anche sul microclima urbano, favorendo le variazioni di temperatura tra città e campagna. Un meccanismo di naturalizzazione dell’urbanizzato, grazie alla reintroduzione strategica della vegetazione in aree pubbliche e private, favorirebbe un processo di mitigazione, abbassando la temperatura anche di diversi gradi», spiega Georgiadis. Quindi aggiunge: «L’Ibimet, ha portato avanti una ricerca sulla quantificazione dei processi collegati al clima urbano, all'interno della quale è stato dimostrato quanto sia significativamente associato il consumo di suolo al livello termico della città, collegandolo ai rischi da caldo per le classi di popolazione fragili come per esempio gli

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anziani (studio recentemente pubblicato su Plos a cura di Marco Morabito, Alfonso Crisci e altri)». E conclude: «Per avere un’idea: 40 campi di calcio di suolo consumato vogliono dire 1 °C in media in più nelle citta italiane». Nel corso della tavola rotonda è stato presentato in anteprima il portale Soil Monitor per la valutazione e quantificazione del consumo di suolo su scala nazionale, un’applicazione geospaziale via web ancora in via sperimentale, il cui lancio ufficiale è previsto per il prossimo autunno, che fornisce risposte in tempo reale sulla dinamica dell’antropizzazione e frammentazione del territorio rurale. «Il portale si avvale di dati su scala nazionale liberamente disponibili, ma anche di quelli dell’Ispra con il quale abbiamo aperto una collaborazione. Recentemente è giunto anche il supporto dell’Istituto nazionale di urbanistica (Inu)», afferma Angelo Basile, ricercatore dell'Istituto per i sistemi agricoli e forestali del mediterraneo (Isafom) del Cnr. «Il portale è stato realizzato dal Centro di ricerca interdipartimentale per il supporto alla gestione del paesaggio e dell’agroambiente (Crisp) in cui confluiscono ricercatori dell'Università di Napoli Federico II e dell’Isafom-Cnr, assieme a Geosolutions srl». Infine, sempre durante i lavori del convegno, è stato possibile sperimentare le funzioni del portale europeo Soilconsweb, in grado di calcolare la perdita di funzioni eco sistemiche, tra cui il corrispettivo in grano equivalente perso. Il portale contiene numerosi dati informativi spaziali di alta qualità relativi al suolo e al paesaggio, cui hanno contribuito il Cnr-Isafom, la Federico II, la Regione Campania e Ariespace srl. Attualmente il programma è operativo su un’area campione di circa 20.000 ettari nella Valle Telesina, in provincia di Benevento. (Red)

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In un futuro non lontano l’energia elettrica sarà prodotta da biogas ottenuto con paglia, microalghe e scarti agroindustriali. Si tratta della cosiddetta bioenergia, l’energia prodotta dalle biomasse. In questo settore, ricerca e innovazione permettono di ridurre i costi e dimezzare i tempi di produzione del biogas, abbattere gli inquinanti e incrementare le rese energetiche.

LA BIOENERGIA DEL FUTURO: ELETTRICITÀ DA PAGLIA, ALGHE E SCARTI AGROINDUSTRIALI con contenuto di inquinante intorno a 400 p.p.m. (parti per milione).

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risultati della ricerca nel settore delle bioenergie sono stati presentati all’ENEA nei giorni scorsi durante un workshop organizzato nell’ambito del ciclo di seminari di presentazione dei risultati della Ricerca di Sistema Elettrico. Nell’occasione è stato fatto il punto sulle innovazioni tecnologiche più recenti: dalla produzione di elettricità da biomasse per sviluppare nuovi processi al fine di ottenere biocombustibili gassosi a più alto valore energetico, alle caldaie a sali fusi e a cicli termodinamici non convenzionali per incrementare le rese energetiche, ai nuovi dispositivi per ridurre le emissioni prodotte dalla combustione delle biomasse. Per quanto riguarda i biocombustibili gassosi, i ricercatori dell’ENEA hanno realizzato un impianto pilota alimentato a scotta, uno scarto delle industrie casearie, che consente di dimezzare i tempi di produzione del biogas e aumentare del 35% la resa energetica complessiva. Tutto ciò grazie ad un processo di digestione anaerobica a “doppio stadio”, con un primo reattore nel quale avviene la degradazione delle biomasse, ed un secondo, in cui si produce biogas. Risultati molto promettenti sono stati ottenuti utilizzando funghi ruminali, assieme ai microrganismi responsabili della fermentazione anaerobica, per produrre biogas da paglia, ricca di cellulosa, con rese in metano aumentate fino al 68% rispetto a quanto prodotto da un processo convenzionale. Non solo. Per incrementare la produzione di biogas e, allo stesso tempo, ridurre i costi di produzione della biomassa sono state sfruttate le potenzialità fertilizzanti del digestato, un sottoprodotto della digestione anaerobica,

per far crescere colture di microalghe da utilizzarsi per ottenere nuovo biogas dopo il riciclo dei nutrienti. La ricerca, dunque, sta portando a nuovi sistemi per la valorizzazione energetica di una più ampia varietà di biomasse, in grado di migliorare l’efficienza di conversione in biogas di alghe, scarti lignocellulosici e specie vegetali coltivabili in terreni marginali e utilizzabili per la co-generazione di elettricità e calore in sistemi decentralizzati di piccola-media taglia o per l’immissione come biometano nella rete di distribuzione del gas, dopo un trattamento di pulizia e purificazione del gas. Nell’ambito della ricerca di Sistema Elettrico, l’ENEA sta infatti conducendo numerose attività di ricerca e sviluppo sulle tecnologie per la cleanup e l’upgrading del biogas e del syngas, con l’obiettivo di arrivare alla loro validazione in impianti pilota su cui testare processi, materiali e componenti innovativi. Le attività dei ricercatori si sono rivolte anche verso la rimozione dei contaminanti come ad esempio l’idrogeno solforato o H2S, in modo da ottenere un biocombustibile gassoso, costituito da metano praticamente puro (97-99%). Sono stati studiati e sperimentati sistemi di pulizia di tipo sia chimico-fisico, sia biologico, arrivando anche all’abbattimento totale dell’H2S, per un biogas

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Per quel che riguarda invece l’upgrading, ovvero la trasformazione del biogas in biometano, l’attenzione è stata rivolta sia ai processi basati sull’assorbimento della CO2 in soluzioni di ammine in fase organica, che limitano la corrosione degli impianti e i consumi di energia rispetto a quelli attualmente in uso, sia a quelli basati sulla formazione-dissociazione selettiva di gas idrati che consentono di arrivare ad una miscela con un contenuto in metano pari all’80% in un solo passaggio. Nel Centro ENEA della Trisaia è stato invece studiato e sperimentato su un impianto pilota un processo per la conversione in metano (bio-SNG) del syngas ottenuto dalla gassificazione di biomasse lignocellulosiche, basato sull’azione combinata di sorbenti per la cattura della CO2. Sul fronte della lotta all’inquinamento, al Centro Ricerche ENEA di Saluggia, sono stati effettuati test sperimentali per la riduzione delle emissioni di inquinanti dagli impianti di combustione delle biomasse. Grazie allo sviluppo di filtri ceramici innovativi di tipo “wallflow” in carburo di silicio, attivati con un catalizzatore a base di ferrite di rame, i test hanno dimostrato elevate efficienze (oltre il 92%) di abbattimento del particolato fine nei fumi di combustione di caldaie alimentate a biomasse legnose. I filtri sono poi rigenerati a intervalli prestabiliti mediante un dispositivo a microonde che, operando direttamente sul filtro, consente di ridurre i tempi necessari per la rigenerazione e i relativi consumi di energia. (Red)

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Vedi www.enea.it


LE STRADE ALBERATE E I BENEFICI SULLA NOSTRA SALUTE

istruzione. Entrando nello specifico, nello studio è stato sottolineato che il fatto di avere in media dieci alberi in più in un isolato, migliora la percezione della salute in un modo che è comparabile a un aumento del reddito personale annuo approssimativamente di 10.000 dollari o al fatto di essere sette anni più giovani. Gli autori al riguardo hanno scritto: «Abbiamo anche scoperto che avere 11 alberi in più in un isolato, in media, diminuisce le patologie cardiometaboliche in un modo che è comparabile a un aumento del reddito personale annuo di 20.000 dollari e al trasferirsi in un quartiere con un reddito medio più elevato di 20.000 dollari o al fatto di essere più giovani di 1,4 anni». Il Washington Post riferisce un’altra interessante scoperta: gli alberi lungo le strade sembrano avere un effetto più benefico rispetto a quelli privati o nei giardini delle casa. Questo – fanno notare gli autori – potrebbe essere spiegato dal fatto che essi sono più accessibili a tutti i residenti in un certo quartiere.

Le persone che vivono in quartieri molto alberati riferiscono di sentirsi più in salute e di avere meno patologie cardio-metaboliche.

U

n nuovo studio, pubblicato su Scientific Reports , ha lavorato per valutare quanto gli alberi che fiancheggiano le strade delle nostre città potrebbero migliorare la salute della popolazione. Lo studio, condotto dallo psicologo Omid Kardan dell’Università di Chicago (Usa), si è concentrato sulla grande popolazione urbana di Toronto in Canada. I ricercatori hanno collegato gli ambiti degli spazi verdi e della salute mettendo insieme immagini satellitari ad alta risoluzione e dati sui singoli alberi con 31.000 test di autovalutazione basati su questionari riguardanti la percezione della salute in generale, le condizioni cardio-metaboliche (come

ad esempio malattie cardiache o diabete) e le malattie mentali provenienti dall’Ontario Health Study. I ricercatori hanno definito lo spazio verde solo come una copertura data dagli alberi, e non come prati o cespugli urbani. Questo si è basato sulla supposizione che gli alberi sono le componenti verdi più costanti in un’area e potenzialmente la componente più importante per produrre effetti benefici. I risultati ottenuti da regressioni multiple e “analisi multivariate della correlazione canonica” suggeriscono ai ricercatori che le persone che vivono in quartieri con una più elevata densità di alberi sulle loro strade riferiscono una percezione notevolmente migliore della salute e significativamente meno patologie cardiometaboliche. I ricercatori hanno verificato i risultati in base a fattori demografici quali reddito, età e livello di

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Non è tutto. Iflscience.com riferisce che i risultati dello studio hanno trovato una correlazione tra alberi e salute, ma non è stato tuttavia in grado di mostrare causa ed effetto: «I ricercatori non sono stati capaci di determinare il motivo per cui gli alberi sembrano migliorare la salute, ma suggeriscono che potrebbe avere qualcosa a che fare con un miglioramento della qualità dell’aria, un alleviamento dello stress, o la promozione dell’attività fisica». Il sito web inoltre segnala che lo studio è stato limitato dai dati che sono stati utilizzati poiché, anche se i ricercatori hanno controllato un gran numero di fattori, la percezione della gente relativa alla propria salute è soggettiva. I ricercatori sperano adesso di verificare le loro scoperte in un “modo più esauriente che eviti i limiti menzionati”. Per adesso raccomandano di piantare altri 10 alberi per ogni isolato. (Red)

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Vedi http://cordis.europa.eu/


SCIENZE

«Per ciascun gesto sono state scattate foto frontali, con varianti regionali-dialettali e soggettive, coinvolgenti mimica facciale e movimenti o posture caratteristiche, compiuti da sei individui, tre maschi e tre femmine, di età compresa tra i 24 e i 27 anni, per un totale di 1.222 gesti. Gli stimoli sono stati validati da 18 coetanei, anch’essi studenti universitari», spiega Alberto Zani, ricercatore dell’Ibfm-Cnr. Aggiunge: «Di questi gesti, 800 sono stati selezionati e abbinati ad una descrizione verbale, per la metà incongruente, al fine di testare i meccanismi di comprensione semantica da parte degli studenti, di 14 dei quali sono stati registrati i potenziali bioelettrici cerebrali (ERPs)».

QUANDO IL GESTO DIVENTA SINTESI

U

n passaggio evolutivo dal paraverbale al linguaggio. Ricercatori dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Cnr di Segrate e dell’Università di Milano-Bicocca hanno studiato i meccanismi neurali che supportano la comprensione della gestualità spontanea. Scoprendo una risposta a metà tra il linguaggio corporeo affettivo e quello che regola la comunicazione tra i non udenti, che fa ipotizzare un passaggio evolutivo dal paraverbale al linguaggio. Il dito che oscilla per dire “no”, il braccio che indica la direzione di un luogo, due dita ravvicinate nella zona delle labbra per mimare “sta fumando” oppure, pollice e indice congiunti, la mano che scrive nell’aria “il conto per piacere”. Sono solo alcune delle diverse tipologie di gesti analizzate dall’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Segrate (Ibfm-Cnr) e il Cognitive Electrophysiology lab dell’Università di MilanoBicocca. I ricercatori hanno studiato i meccanismi neurali che supportano la comprensione della gestualità spontanea negli udenti, partendo da una batteria di 187 gesti utilizzati spontaneamente per accompagnare o sostituire la comunicazione uditivo-verbale nella lingua italiana. Lo studio, intitolato Semantic brain areas are involved in gesture comprehension: An electrical neuroimaging study, è pubblicato online sulla rivista Brain and Language della Elsevier ed è in prossima uscita nella versione cartacea.

L’osservazione sperimentale dei soggetti impegnati nella comprensione ha mostrato «un’ampia risposta bioelettrica chiamata N400 frontale, che indica il riconoscimento automatico di un’incongruenza di significato tra gesto e descrizione, circa 400 millisecondi dopo la stimolazione», prosegue Zani. «I segnali neurali ottenuti corrispondono ad aree cerebrali linguistiche-semantiche (lobo temporale mediale sinistro e talamo) e sintattiche (lobo temporale superiore per il linguaggio audiovisivo). Sono risultati attivi anche il sistema di osservazione dell'azione noto come “sistema di neuroni specchio frontoparietale” (corteccia premotoria e corteccia parietale inferiore sinistra) e le aree coinvolte nell’elaborazione delle parti del corpo e del volto». In particolare, l’esperimento voleva indagare se il meccanismo cerebrale di comprensione ed utilizzo dei gesti spontanei fosse più simile a quello che governa il linguaggio del corpo affettivo (body language), da cui traspare per esempio se siamo adirati o imbarazzati, o a quello che controlla il linguaggio dei segni nei non udenti. «I risultati dello studio indicano l'esistenza di un complesso sistema neurale per la comprensione della lingua dei segni spontanea, che potremmo ipotizzare a metà strada tra un linguaggio formale dei segni, come quello utilizzato dai non-udenti, e un linguaggio del corpo emozionale (emotional body language)», conclude Alice Mado Proverbio, docente dell’Università di Milano-Bicocca e coordinatrice dello studio. «Ciò permette di supporre che vi sia stata una transizione filogenetica tra il sistema di comunicazione linguistica esclusivamente gestuale e quello più propriamente uditivo-verbale. La coesistenza di un sistema avanzato di comunicazione gestuale e di capacità imitative spiccate potrebbe aver reso possibile, negli ominidi, la nascita di protosegni con chiari significati semantici, dotati di specifiche regole d’uso e utilizzati in assenza del referente, caratteristica tipica del linguaggio verbale moderno». (Red) La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Brain and Language Vedi http://www.ibfm.cnr.it/

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L

a musica come aiuto alle persone colpite da ictus nel riacquistare le capacità motorie. Lo dimostra uno studio dell’Università di Milano-Bicocca, condotto in collaborazione con l’Istituto Auxologico Italiano-IRCCS. La ricerca ha coinvolto undici persone colpite da ictus dell’emisfero destro e affette da un deficit di esplorazione dello spazio sinistro. Le lesioni all’emisfero destro, infatti, compromettono la cognizione spaziale, essenziale per attività quotidiane come attraversare la strada o vestirsi autonomamente. I ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di MilanoBicocca e dell’Istituto Auxologico Italiano-IRCCS dunque hanno studiato gli effetti della musica sui pazienti colpiti da ictus. Tre le fasi dell’esperimento. In un primo momento è stato chiesto ai partecipanti di premere da destra a sinistra i tasti di una tastiera spenta. Senza percepire i suoni, i pazienti si fermavano molto prima di raggiungere l’ultimo tasto, come se la metà sinistra della tastiera non esistesse. In una seconda fase la tastiera è stata accesa, ma i tasti riproducevano dei suoni casuali. Anche in questo caso i partecipanti all’esperimento non completavano l’esercizio e si fermavano prima della fine della tastiera. Nella terza fase, la tastiera riproduceva fedelmente l’ordine della scala musicale. E con le note in ordine, gli undici partecipanti riuscivano a spingersi oltre nell’esplorazione della

LA MUSICA MIGLIORA LA CAPACITÀ MOTORIA DELLE PERSONE COLPITE DA ICTUS ne affette da ictus che, a causa dei danni cerebrali, non percepiscono più lo spazio sinistro con gravi ripercussioni sulla capacità motoria.

tastiera, in alcuni casi arrivando fino alla fine della strumento. I ricercatori hanno quindi dimostrato che riprodurre i suoni della scala musicale migliora significativamente l’esplorazione dello spazio nelle persone affette da lesione cerebrale all’emisfero destro. Ecco perché inserire alcuni esercizi musicali all’interno dei classici percorsi riabilitativi potrebbe migliorare la capacità motoria delle perso-

«Accoppiare l’esplorazione dello spazio a una sequenza di suoni familiare come la scala musicale – spiegano Giuseppe Vallar e Nicolò Francesco Bernardi, autori della ricerca e rispettivamente Ordinario di Psicobiologia e Psicologia Fisiologica dell’Università di Milano-Bicocca e ricercatore di Psicologia dell’Università McGill di Montreal -, reintegra temporaneamente le capacità di esplorazione spaziale che i pazienti hanno perso dopo l’ictus. L’uso di strumenti musicali potrebbe diventare un elemento chiave in nuove tecniche di riabilitazione cognitiva e motoria». (Red) Lo studio è stato pubblicato su Journal of Neuropsychology (Improving left spatial neglect through music-scale playing DOI:10.1111/jnp.12078). Vedi www.unimib.it

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SALUTE

Brevi

EUROCALIN: NUOVI FARMACI CONTRO L’ANEMIA

2025, DNA SEQUANZIATO PER 1 MLD DI PERSONE

L

e prime sperimentazioni cliniche di un’innovativa proteina terapeutica potrebbero, un giorno non molto lontano, portare cure migliori per i malati di anemia da malattia cronica. Le sperimentazioni, iniziate a dicembre 2014 nell’ambito del progetto EUROCALIN finanziato dall’UE, hanno lo scopo di valutare la sicurezza e la tollerabilità della proteina in volontari sani. I ricercatori sperano di portare il farmaco – chiamato PRS-080 – un passo più vicino ai pazienti che attualmente non rispondono alle cure per l’anemia. La nuova terapia funziona mobilitando il ferro intrappolato nelle cellule che hanno il compito di immagazinarlo. Anche se ci sono tanti tipi diversi di anemia e diverse cause per questa malattia, l’anemia da deficienza di ferro è il tipo più comune. I dati della fase iniziale di questi esperimenti clinici dovrebbero essere disponibili entro la fine di quest’anno, quando è prevista la conclusione del progetto EUROCALIN. Se il PRS-080 si dimostrerà efficace, allora i malati affetti dalla cosiddetta anemia da malattia cronica dovrebbero avere grandi vantaggi. Questa malattia è caratterizzata da una deficienza di globuli rossi o di emoglobina nel sangue, il che ha come risultato pallore e stanchezza. In certe circostanze (come le infezioni croniche, l’attivazione immunitaria cronica o la malignità), il ferro – che porta ossigeno nei globuli rossi – si riduce nell’organismo. La gravità. L’anemia nei malati di malattia renale cronica, per esempio, spesso viene curata somministrando i cosiddetti agenti stimolanti l’eritropoiesi (ASE). Circa il 10 % dei pazienti però reagisce poco o per niente agli ASE e questo stato di cose li lascia senza opzioni efficaci di cura. È un problema di salute molto serio a cui si cerca di dare un’adeguata risposta. Il progetto EUROCALIN, che è cominciato nell’agosto 2011, ha riunito dieci aziende e istituti accademici di tutta Europa per definire un nuovo trattamento proteico da somministrare a chi soffre di anemia da malattia cronica per mezzo delle prime fasi della valutazione clinica. Il trattamento si concentra su un piccolo peptide che si trova nel sangue umano e che potrebbe avere un ruolo chiave nella regolazione negativa della stabilità del ferro. Bloccando questo peptide – chiamato epcidina – il PRS-080 potrebbe aumentare la disponibilità di ferro nella circolazione del corpo e così aumentare i livelli di emoglobina nei malati di anemia. Sono stati fatti esperimenti in uno studio con controllo placebo usando 48 soggetti sani. A circa 36 volontari è stato somministrato il PRS-080 mentre ai rimanenti 12 è stato somministrato il placebo. A questo punto, oltre a spingere il PRS-080 più avanti nel cammino verso la commercializzazione, i partner del progetto EUROCALIN sperano anche che l’esperimento aiuti a semplificare il processo per lo sviluppo di simili terapie a base di proteine. Non solo. Il team del progetto EUROCALIN è sicuro che gli esperimenti clinici avranno come risultato l’introduzione di cure sicure ed efficienti per ridurre l’anemia e migliorare la risposta dei pazienti affetti da anemia da malattia cronica e aiutare il futuro sviluppo di simili interventi terapeutici per altre malattie. Dopo il completamento dell’esperimento e la divulgazione dei risultati, il team che ha progettato il farmaco spera di cominciare uno studio su pazienti affetti da malattia renale in diverse località d’ Europa. (red) Vedihttp://www.eurocalin-fp7.eu/ http://cordis.europa.eu/ 13 - n. 617 | Venerdì 17 Luglio 2015

S

econdo uno studio del Cold Spring Harbor Laboratory di New York pubblicato dalla rivista PLoS Biology entro il 2025 un miliardo di persone avrà il proprio genoma sequenziato e i dati andrebbero inseriti in una specie di “Google del Dna”. I ricercatori avvertono che la crescita dei dati derivanti dalle analisi del Dna aumentano più velocemente di quelli di YouTube o Twitter. Al tasso attuale, spiegano gli autori, la quantità di dati genomici prodotta ogni giorno raddoppia ogni sette mesi. Questo vuol dire che entro il 2025 si produrranno tra 2 e 40 exabytes all'anno, con un exabyte che equivale allo spazio di un miliardo degli attuali hard disk. In altre parole oggi gli utilizzatori di YouTube caricano 300 ore di video ogni minuto e le proiezioni sono che si arriverà entro il 2025 a 1.700 ore al minuto, cioè 2 esabyte all'anno.

IDENTIFICATA LA PROTEINA CHE AZZERA LA CHEMIO

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lcuni ricercatori dell'università di Manchester hanno trovato il modo di “ammorbidire” il tumore prima di colpirlo con i farmaci della chemioterapia. Hanno scoperto come il cancro diventa resistente ai medicinali più usati, per via di una particolare proteina, che però può essere usata come bersaglio per superare le difese del tumore. Secondo gli scienziati combinando la proteina con nuovi inibitori si possono prendere i tumori resistenti e renderli così più sensibili ai farmaci.

UK, MEDICI CHIEDONO TASSE SU BIBITE GASSATE

L

a British Medical Association (Bma) ha proposto che sia introdotta una tassa extra del 20% su tutte le bevande a base di zucchero, di solito gassate. Motivo: limitare il consumo, identificato come uno dei fattori principali della crescente diffusione dell'obesità soprattutto tra i giovani. L'appello dei medici è stato rilanciato dai media di Sua Maestà. Secondo i medici si rischia di avere il 30% della popolazione britannica obesa entro il 2030 e questo si deve in larga parte al quantitativo di zuccheri consumati spesso senza rendercene conto.

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X FRAGILE E AUTISMO: SCOPERTA VIA MOLECOLARE PER NUOVE TERAPIE

A sinistra, la proteina APP è rappresentata da Janus Bifronte perché può essere processata in due modi: quando viene processata dall’enzima BACE genera A beta che porta ad invecchiamento/ neurodegenerazione/alzheimer (vecchio); quando viene processata dal ADAM10 porta alla formazione di sAPPalpha in giovane età (giovane). Quando sAPP alpha è in eccesso - come nel caso della Sindrome dell X Fragile si hanno problemi del neuro sviluppo

l

ivelli alterati della proteina APP, coinvolta nella malattia neurodegenerativa dell’Alzheimer, siano legati ad alcune manifestazioni della sindrome di X Fragile, la più comune causa di disabilità intellettiva ereditaria. Lo ha dimostrato un gruppo di ricercatori dell’università di Roma “Tor Vergata” e dell’università di Lovanio (Belgio), guidato dalla Claudia Bagni. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Neuron. Lo studio, condotto da Emanuela Pasciuto, ricercatrice nel laboratorio diretto da Claudia Bagni, all’università di Lovanio/VIB (Belgio) e Università di Roma “Tor Vergata”, in collaborazione con altri importanti atenei italiani (università di Milano) ed europei (università di Heidelberg e di Losanna) e americani (università della California a Davis), ha scoperto un legame tra la proteina APP coinvolta nella malattia di Alzheimer e la sindrome dell’X Fragile, malattia del neurosviluppo. Nel dettaglio gli scienziati, utilizzando un modello FXS murino, hanno individuato il meccanismo molecolare che porta a un aumento dei livelli del prodotto solubile derivante dalla maturazione di

APP durante un periodo di sviluppo postnatale chiamato sinaptogenesi, critico per la formazione dei circuiti neuronali, formazione e consolidamento dei contatti tra le cellule nervose. Lo studio ha dimostrato, nel modello murino, che è possibile migliorare alcune delle problematiche molecolari e comportamentali caratteristiche della sindrome dell’X Fragile (FXS) con una terapia somministrata successivamente alla nascita. Degno di nota il fatto che la proteina APP sia anche coinvolta in una malattia neurodegenerativa come il morbo di Alzheimer, che interessa invece le fasi più avanzate della vita dell’uomo. La sindrome dell’X fragile è causata dall'assenza o dalla non corretta produzione della proteina FMRP (Fragile X-Mental Retardation Protein). L’assenza della proteina FMRP porta, dopo la nascita, ad una eccessiva produzione di APP e dell’enzima responsabile del suo processamento ADAM10. Conseguenza di questa doppia de-regolazione è l’incremento del prodotto solubile derivato dal

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processamento di APP, sAPPa, sia nel topo FXS sia in cellule di pazienti FXS. La de-regolazione di APP-ADAM10 si verifica in una precisa finestra temporale postnatale, che coincide con la formazione dei contatti sinaptici e quindi con la costruzione dei circuiti neuronali, con effetti sulla morfologia neuronale, sulla trasmissione sinaptica e sul comportamento. Questa osservazione rafforza il potenziale valore di strategie terapeutiche volte a correggere i livelli di APP-ADAM10 prima della età adulta. Il team della prof. Bagni ha dimostrato che l’uso, nel modello murino di FXS, di un peptide non tossico identificato dal gruppo della prof. Monica Di Luca (Università di Milano), è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e di agire diminuendo l’attività di ADAM10. Questo approccio sperimentale ha migliorato il funzionamento cerebrale nel topo, il fenotipo delle spine dendritiche, i livelli eccessivi di sintesi proteica ed i deficit di memorizzazione e socializzazione associati con FXS ed Autismo. «La nostra ricerca sottolinea il ruolo cruciale di FMRP durante lo sviluppo postnatale ed identifica un meccanismo che, almeno nel topo, può essere migliorato nelle fasi successive alla nascita. Questa scoperta pone le basi per futuri approcci terapeutici mirati al miglioramento della sindrome dell’X Fragile ma anche di altre disabilità intellettive come l’autismo caratterizzate dal patologico incremento del processamento di APP. Ulteriori studi preclinici sono necessari perché tali risultati possano essere utilizzati nell’uomo», sottolinea Claudia Bagni. La sindrome dell’X Fragile è la più comune causa di disabilità intellettiva ereditaria e la più frequente causa monogenica dei disturbi dello spettro autistico (ASD). Attualmente non è disponibile una cura per questa malattia. Numerosi studi clinici in corso negli ultimi anni sono stati interrotti (www.clinicaltrial.org) rendendo ad oggi impellente la necessità di esplorare nuove efficaci strategie terapeutiche. (Red)

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SPAZIO

Sopra, immagine artistica del pianeta gassoso HIP 11915 simile a Giove che orbita attorno alla sua stella simile al nostro Sole (eso.org)

ALLA RICERCA DEL SISTEMA SOLARE 2.0

UN GEMELLO DI GIOVE ORBITA INTORNO A UN FRATELLO DEL SOLE

U

n'equipe internazionale di astronomi ha identificato un pianeta simile a Giove, denominato HIP 11915, in orbita a una distanza comparabile a quella di Giove intorno a una stella analoga al Sole. La nuova scoperta è stata realizzata per mezzo di HARPS, uno dei più precisi cercatori di pianeti al mondo, montato sul telescopio da 3,6 metri dell'ESO (European Southern Observatory) all'Osservatorio di La Silla in Cile. Secondo le teorie attuali, la formazione di pianeti di massa paragonabile a quella di Giove svolge un ruolo fondamentale nel plasmare l'architettura dei sistemi planetari. L'esistenza stessa di un pianeta di massa gioviana in un'orbita gioviana intorno a una stella simile al Sole apre le porte alla possibilità che il sistema planetario che circonda questa stella possa essere un analogo del Sistema Solare. HIP 11915 ha un'età e una composizione paragonabili a quella del Sole: ciò fa pensare che ci possano essere anche dei pianeti rocciosi in orbita più vicini alla stella. Finora la ricerca di esopianeti è stata più sensibile ai sistemi planetari popolati, nelle zone interne, da pianeti massicci, fino a qualche volta la massa della Terra. Caratteristiche in contrasta con il nostro Sistema Solare, in cui i pianeti rocciosi abitano le regioni interne mentre i giganti gas-

sosi come Giove si trovano più lontani. Secondo le teorie più recenti, la struttura del Sistema Solare, che ha portato al nascere della vita, è stata possibile grazie alla presenza di Giove e all'influenza gravitazionale che questo gigante gassoso ha esercitato sull’intero Sistema Solare durante l'epoca della formazione. Sembrerebbe perciò che trovare un gemello di Giove sia una tappa fondamentale sulla via per trovare un sistema planetario simile al nostro. Anche se sono stati trovati molti altri pianeti simili a Giove a diverse distanze da stelle simili al Sole, questo pianeta appena scoperto è il più accurato analogo mai trovato finora di Giove e del Sole, sia in termini di massa e distanza dalla stella, sia in termini di somiglianza tra la stella madre e il nostro Sole. La stella madre, il gemello solare HIP 11915, non solo ha una massa simile a quella del Sole, ma anche più o meno la stessa età. Per rafforzare la somiglianza, la composizione delle due stelle è analoga. L'impronta chimica del Sole potrebbe essere influenzata dalla presenza di pianeti rocciosi nel Sistema Solare, e ciò suggerisce la possibilità di trovare pianeti rocciosi anche intorno a HIP 11915. Secondo Jorge Melendez, dell'Universidade de São Paulo,

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(Continua a pagina 16)

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te di un sistema planetario simile al nostro.

(Continua da pagina 15)

Brasile, a capo dell'equipe e coautore dell'articolo, «la ricerca di una Terra 2.0 e di un Sistema Solare 2.0 completo sono una delle imprese più emozionati in astronomia». Megan Bedell, dell'Università di Chicago e prima autrice dell'articolo, al riguardo conclude: «Dopo due decenni di caccia agli esopianeti stiamo finalmente iniziando a trovare pianeti giganti gassosi di lungo periodo simili a quelli del Sistema Solare, grazie alla stabilità a lungo termine di strumenti di ricerca come HARPS. La scoperta è, a tutti gli effetti, un'indicazione emozionante che ci siano altri sistemi planetari come il nostro in attesa di essere scoperti». Naturalmente sono necessarie ulteriori e approfondite indagini per confermare e vincolare la scoperta, ma HIP 19115 rimane uno dei candidati più promettenti come ospi-

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TELESCOPIO GAMMA AL MONDO: PARANAL O LA PALMA

I

l Cherenkov Telescope Array (CTA) Resource Board ha comunicato la sua decisione di avviare i negoziati per definire i dettagli di contratto con i due siti individuati per ospitare il futuro telescopio per raggi gamma (fotoni di altissima energia) di nuova generazione, che sarà anche il più grande al mondo. I siti prescelti sono, per l’emisfero sud del pianeta, lo European Southern Observatory (ESO) a Paranal (Cile), mentre per l’emisfero nord l' Instituto de Astrofisica de Canarias, a Roque de los Muchachos (isola di La Palma), in Spagna. Il Resource Board di CTA, è composto da rappresentanti dei ministeri e delle agenzie di finanziamento di Austria, Brasile, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Italia, Repubblica della Namibia, Paesi Bassi, Giappone, Polonia, Sud Africa, Spagna, Svizzera e Regno Unito. La Namibia e i siti messicani verranno conservati come valide alternative. «Questa decisione rappresenta un passo fondamentale per dare slancio e credibilità a un importante progetto scientifico internazionale, che vede l'Italia, con l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) in prima linea», commenta il vicepresidente dell’INFN, Antonio Masiero, che è membro

HARPS acronimo di High Accuracy Radial velocity Planet Searcher for the Northern emisphere è uno spettrografo di grande precisione, installato sul telescopio di 3,6 metri di diametro dell'ESO (Osservatorio di La Silla, Cile). Il principale obiettivo scientifico di questo strumento è la scoperta e caratterizzazione di pianeti extrasolari di taglia terrestre. L'osservazione si basa sul principio della variazione della velocità radiale di una stella soggetta a forze gravitazionali di corpi ruotanti attorno ad essa. HARPS ha un gemello, HARPS-N, installato nel 2012 sul Telescopio Nazionale Galileo (TNG), ubicato nell'Osservatorio del Roque de Los Muchachos (isola di La Palma, Canarie). (Red) Vedi www.eso.org

osservatore nel Resource Board di CTA. «In particolare, - prosegue Masiero - la scelta del sito nord a La Palma è per noi significativo poiché alle Canarie si è concentrata la nostra attività, sia nel progetto precursore MAGIC, sia nella costruzione del prototipo del Large Telescope di CTA». Patrizia Caraveo, rappresentante INAF nel Resource Board, al riguardo aggiunge: «La scelta è ricaduta su siti che consentono di iniziare immediatamente la costruzione dei primi telescopi. Adesso potremo finalizzare rapidamente i contratti per la costruzione del Mini-Array di piccoli telescopi nell'ambito del programma Astronomia Industriale, finanziato dal MISE». Il progetto CTA È un'iniziativa per costruire un telescopio terrestre di nuova generazione, per lo studio dei raggi gamma di altissima energia. Il rivelatore consterà di oltre 100 telescopi di tre tipi: grandi telescopi da 23 metri di diametro, telescopi medi da 12 metri di diametro e telescopi piccoli da 4-6 metri di diametro. CTA sarà uno strumento che consentirà una profonda conoscenza dell'universo ad alta energia non termica. Gli obiettivi del progetto possono essere sintetizzati in tre grandi temi: la comprensione dell'origine dei raggi cosmici e del loro ruolo nell'universo; lo studio dei meccanismi di accelerazione delle particelle nelle vicinanze dei buchi neri; la ricerca di fisica oltre il Modello Standard. L'attuale generazione di telescopi Cherenkov (HESS, MAGIC e VERITAS) negli ultimi anni ha aperto la porta della cosiddetta astronomia gamma, cioè dello studio del cosmo basato sull’analisi dei fotoni di altissima energia. I raggi gamma sono fotoni, come quelli che compongono la luce visibile, ma molto più energetici. (Red) Vedi www.infn.it Nella foto in alto, immagine artistica di un insieme di telescopi del progetto Cherenkov Telescope Array

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FOCUS

IL “PALEODENTISTA” DI 14 MILA ANNI FA AL LAVORO SU UN MOLARE CARIATO A sinistra, il molare del paleolitico sottoposto alla rimozione della carie e gli attrezzi usati Dal dentista dell’età della piertra

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n dentista di 14 mila anni ha trattato e ripulita la carie di un molare di un individuo usando una punta di pietra opportunamente scheggiata. La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori dall'Università di Bologna con l'Università di Ferrara e l'Università di Firenze. In dettaglio. Una delle ultime ricerche pubblicate sulla rivista “Scientific Reports”, ha retrodatato al tardo paleolitico superiore la più antica evidenza archeologica di intervento manuale per trattare le lesioni cariose. Il team di ricerca, ha analizzato una lesione cariosa, presente sul terzo molare inferiore, appartenente ad un individuo maschile datato di circa 14.000 anni fa e scoperto nel 1988, presso il Riparo Villabruna (Belluno), nelle dolomiti venete, dal team dell’Università di Ferrara. Varie analisi scientifiche confermano che la cavità cariosa è stata intenzionalmente trattata, al fine di ripulirne il tessuto infetto, tramite l’utilizzo di una punta microlitica. Fino ad oggi le più antiche evidenze di trattamento dentale erano datate a 9.000-7.000 anni fa, ma la nuova scoperta retrodata di 5.000 anni le prime evidenze di trattamento dentale. I risultati hanno

notevoli implicazioni sulla conoscenza delle prime forme di intervento odontoiatrico, suggerendo come, nell’evoluzione umana, le forme rudimentali di trattamento dentale fossero un adattamento del già noto “toothpicking” (bastoncini di legno/ osso utilizzati già a partire da 2 milioni di anni fa per esportare piccoli frammenti di cibo rimasti intrappolati tra i denti), riutilizzato per sollevare ed asportare (ma non trapanare) il tessuto infetto. La carie rappresenta una patologia molto diffusa nella società moderna, e la necessità di curarla è ben documentata fin dalla preistoria. Il Villabruna, datato a 14,000 anni fa, attesta la presenza di forme rudimentali di intervento curativo dentale almeno durante le fasi finali del Paleolitico superiore. Il risultato è stato reso possibile grazie a numerose analisi multidisciplinari: ricostruzione funzionale della dentizione del Villabruna (per confermare che la morfologia della cavità non è stata prodotta durante la masticazione); analisi tramite microscopio elettronico a scansione (SEM) unitamente all’analisi delle strie in sezione (per visualizzare ed analizzare le strie presenti all’interno della

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cavità dentale); test sperimentali volti a confermare che queste strie, presenti all’interno della cavità, sono state prodotte da uno strumento microlitico. «Quello che mostrano i risultati dichiara Stefano Benazzi, dell'Università di Bologna coordinatore del gruppo di ricerca - è che il dente del Villabruna rappresenta la più antica evidenza di intervento manuale su una condizione patologica, in questo caso una carie. Villabruna retrodata qualsiasi caso di intervento dentale e di chirurgia craniale attualmente noto. Questa scoperta suggerisce inoltre che nel Paleolitico Superiore finale l’uomo era consapevole degli effetti deleteri delle infezioni cariose e della necessità di intervenire, tramite l’ausilio di strumenti microlitici, sul tessuto malato per rimuoverlo o pulirlo in profondità». Gregorio Oxilia, dottorando all’università di Firenze, e Matteo Romandini, assegnista di ricerca all’università di Ferrara, commentano inoltre: «Il dente del Villabruna indica che il Toothpicking, documentato sin dall’inizio dell’evoluzione del genere Homo (2,5 milioni di anni fa), è stato intenzionalmente adattato per sollevare ed asportare il tessuto dentale infetto tramite l’utilizzo di una punta microlitica. «Questa scoperta suggerisce come la prima forma odontoiatrica fosse basata sul sollevamento ed asportazione del tessuto carioso piuttosto che sulla trapanazione dentale, la quale invece costituisce la procedura riscontrata dal Neolitico ad oggi». Marco Peresani (università di Ferrara) dal canto suo sottolinea: «La nostra scoperta mostra come gli albori della medicina dentale sfrutti abilità, competenze creative e tecnologiche presenti ben prima del Neolitico, facendo quindi risalire al Paleolitico Superiore finale lo sviluppo, seppur incipiente, delle pratiche chirurgiche dentali». E conclude: «I fossili umani paleolitici sono molto rari, ed è solo grazie alla collaborazione di numerosi istituti che è stata resa possibile l’identificazione del primo trattamento dentale». (Red)

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CULTURA

ANCONA. AL MUSEO TATTILE STATALE FINO AL 4 OTTOBRE

IL RINASCIMENTO OLTRE L'IMMAGINE Per la prima volta ad Ancona, gli inediti giovanili di Donatello, “Madonna con Bambino”, terracotta policroma caratterizzata da una forte espressività dei volti, tipica dell’artista agli esordi, e di Verrocchio, “Testa di Cristo”, terracotta dal grande pathos nell’espressione dolente del Cristo, molto in voga nell’iconografia europea a partire dalla seconda metà del XIV secolo.

I

l rinascimento oltre l’immagine è una mostra unica per il valore delle opere e l’eccezionale esperienza fruitiva. Promossa e organizzata dal Museo Tattile Statale Omero di Ancona e dal Museo Privato Bellini di Firenze, con questa esposizione si propone opere originali di grandi maestri del Rinascimento, appartenenti alla famiglia Bellini, dinastia di collezionisti fiorentini da più di sei secoli. Dall’incontro tra Aldo Grassini, presidente del Museo Omero, e Luigi Bellini ha preso avvio il progetto di creare uno spazio dove rivivere quel periodo di ineguagliato splendore. Una mostra con preziosi lavori rinascimentali e con un valore aggiunto: la possibilità di percepirli oltre l'immagine, utilizzando tutti i sensi in un allestimento. Tutto ciò a cura di Massimiliano Trubbiani, che prevede profumi e musiche del tempo, e lascia alla mano la possibilità di toccare quei marmi, quei bronzi, quei legni, quelle terrecotte, aggiungendo emozioni ad emozioni.

Da ammirare anche le candide ceramiche della famiglia Della Robbia, l’iconico “San Giovannino Benedicente” e la leggiadra “Dovizia”; la “Coppia di Putti” di Baccio Bandinelli. Senza tralasciare la tela di Paolo Veronese “Trasfigurazione di Cristo”. In esposizione anche opere più antiche, come un rarissimo Cristo benedicente del XII secolo in legno policromo. Il catalogo, in vendita in mostra e nelle librerie Feltrinelli, ha immagini e dettagliate schede tecniche di tutte le opere con interventi di Aldo Grassini e Luigi Bellini, di cui riportiamo alcu-

La scheda Dove. Ancona, Museo Tattile Statale Omero - Mole Vanvitelliana Cosa. Il Rinascimento oltre l'immagine Quando. Fino al 4 Ottobre Orario. Orario: dal mar. al ven. 18 - 22 sab.e dom. 10-13 /18–22 Costo. € 6.00; Riduzioni € 5.00 Prenotazione: Facoltativa Info. web: http://www.museoomero.it http://www.beniculturali.it/

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ne note. Ventuno sculture e quattro tele ci danno uno spaccato della luminosa civiltà che, muovendo dall'Italia, conquistò i popoli d'Europa e fissò i canoni estetici di un'età che ha esaltato la bellezza. Ciò è stato possibile grazie all'incontro con un personaggio d'altri tempi: quel Luigi Bellini che possiede una tal collezione di capolavori, raccolti dalla sua famiglia nell'arco di sei secoli, da farci ricordare nel suo palazzo quattrocentesco di Firenze i fasti di un'epoca lontana, quando l'opulenza si sposava alla bellezza e il potere amava esprimersi nel fulgore delle “arti belle”. Gli organizzatori sottolineano l’importanza dell’avvio di un progetto innovativo che ha portato alla necessità di ridurre le distanze che separano l’arte e gli uomini, avvicinando le persone alle Opere d’Arte, innescando tra essi la possibilità di un dialogo con tutti e cinque i sensi. Sentire l’Opera: questo è diventato il fil rouge che ha spinto gli organizzatori a collaborare ad un comune progetto. L’obiettivo di fondo è che tutti devono avere la possibilità di sentire le Opere d’Arte e venire scossi dalle vibrazioni che lo scalpello per lo scultore o il pennello per il pittore vi hanno lasciato impresse. La mostra è promossa dal Museo Tattile Statale Omero e dal Museo Privato Bellini, sotto l’alto patronato UNIPAX, in collaborazione con l’Associazione Per il Museo Omero Tattile Statale Omero ONLUS, il Comune di Ancona, Servizio Civile Regionale, Garanzia Giovani. (Red)

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