Il Senso della Repubblica NEL QUADERNI Anno XII n. 8
DI
XXI SECOLO
STORIA
E
FILOSOFIA
Agosto 2019 Supplemento mensile del giornale online Heos.it
DIALOGO SULL’EUROPA
ALLA RICERCA DI UNA POSSIBILE ALTERNATIVA
INCONTRO CON LUISA TRUMELLINI, SEGRETARIA NAZIONALE DEL MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEO
RIPENSARE L’“EUROPA”
A cura di SAURO MATTARELLI
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opo decenni di dimenticanza, l’entrata nell’euro, le dinamiche economico-sociali seguite all’irLuisa Trumellini rompere della globalizzazione, le sfide tecnologiche e ambientali, hanno riportato il Vecchio continente al centro dell’interesse dei maggiori analisti politici. Riflettiamo su questo aspetto con Luisa Trumellini, pavese, segretaria del Movimento Federalista Europeo, membro del Bureau dell'Unione europea dei federalisti a Bruxelles e grande conoscitrice della storia che ha portato all’attuale assetto. A (Continua a pagina 2)
di FEDERICA MARTINY Proponiamo questo contributo con cui Federica Martiny, dell’Università di Pisa, presenta un importante testo sull’Europa, curato da lei stessa e da Tommaso Visone dell’Università di Roma "La Sapienza". Il volume è uscito in ebook (gratuito).
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a crisi dell’attuale assetto dell’Unione Europea negli ultimi anni è sotto gli occhi di tutti ma essa viene interpretata in modi significativamente diversi. La diagnosi più comune che viene proposta è quella dell’abbandono del progetto europeo in quanto tale. I diversi contributi che con Tommaso Visone ho raccolto nell’ebook gratuito Ripensare l’“Europa”. Istituzioni, mutamenti, concetti, invece, delineano una possibilità alternativa che non consiste nel nefasto e distruttivo ritorno al modello ottocentesco di relazioni tra gli
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...E SÌ, RIPENSIAMO ALLA POLITICA DI GIUSEPPE MOSCATI UN UOMO DELLA RAGIONE DI SAURO MATTARELLI ALMANACCO. JAMES WATT INGEGNERE E INVENTORE, E IACOPO FACCIOLATI, ERUDITO E COLLEZIONISTA A CURA DI PIERO VENTURELLI TORI E NAZIONALISMO: IL CASO DEL REFERENDUM CATALANO DI SIMONE TEPEDINO SULLE DIFFERENZE DI SESSO, GENERE E ORIENTAMENTO (RED.)
Ripensare l’“Europa”. Istituzioni, Mutamenti e concetti, a cura di Federica Martiny e Tommaso Visone, Pavia, Edizioni Altravista, 2019, pp. 144, ebook gratuito Stati sovrani. Si tratta di una diagnosi certamente più complessa e che implica una riflessione su aspetti come la democrazia, lo Stato nazione, il discorso sull’identità e sui concetti tramite i quali siamo soliti dare forma alla nostra coscienza politica. Ripensare l’“Europa”, ovvero l’integrazione euro(Continua a pagina 4)
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latere di questo dialogo, sempre su questi temi, presentiamo anche un interessante intervento di Federica Martiny. Partiamo dalle elezioni di maggio, dando per scontato che i nostri lettori conoscano le dinamiche storiche che hanno condotto l’Unione europea a “quota 28 Stati”, partendo dai sei Paesi fondatori: Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda Lussemburgo, può spiegare per quale motivo oggi l’Europa, pur mantenendo dopo questa consultazione una maggioranza “europeista” sembra vivere i suoi momenti più difficili o cruciali? Le ragioni profonde della crisi dell’Unione europea sono molteplici, ma una delle più dirompenti è sicuramente il profondo cambiamento avvenuto nel quadro internazionale. L’Europa, sin dal dopoguerra, ha affidato completamente agli Stati Uniti la responsabilità della propria sicurezza, insieme a quella che possiamo chiamare la gestione del “governo del mondo”. Oggi la leadership americana è profondamente in crisi e non c’è più coincidenza di interessi tra Stati Uniti ed Europa - anzi, è evidente che con l’attuale Amministrazione gli USA puntano a “disarticolare” l’Unione europea. Questo crea di per sé un rischio enorme alla sopravvivenza dell’Unione, che può salvarsi solo se si dota degli strumenti necessari per parlare con una voce unica e forte nel mondo, diventando capace di difendere i propri interessi, i propri cittadini, i propri valori - che includono la propria visone dei rapporti internazionali. Finché nel campo europeista non si afferma con forza la volontà politica di rafforzare in questo senso l’UE, e quin-
N. 8 Agosto 2019 di il progetto di trasformare l’Unione europea in una vera unione politica di natura federale non raggiunge il consenso necessario (anche solo tra un gruppo di Paesi) per potersi tradurre in riforme concrete, il rischio esistenziale per l’Unione europea resta reale. Quanto hanno influito le contraddizioni interne, risalenti soprattutto al momento della nascita dell’Euro e gli effetti delle “spinte globali” che incrinano un tessuto non ancora ben cementato politicamente, ad esempio in senso federale? Moltissimo. L’Euro è stato una tappa fondamentale per l’Europa, e alla nascita della moneta unica dobbiamo la stabilità di cui abbiamo goduto negli ultimi 20 anni, il successo del Mercato unico, e tutto ciò che ci ha - al di là delle difficoltà di oggi - permesso di fare enormi passi avanti dalla caduta del Muro di Berlino in poi. Senza l’Euro non ce l’avremmo fatta, i Paesi più fragili come l’Italia sarebbero andati a gambe all’aria entro la metà degli anni Novanta (come dovremmo aver imparato dalle vicende del ’92). Detto questo, l’idea originaria era quella di affiancare in tempi rapidissimi alla moneta anche un bilancio federale (ossia basato su un potere fiscale direttamente a livello europeo), premessa indispensabile per una vera unione economica e per il funzionamento ottimale di un’area valutaria unica. L’Euro, in parole semplici, era innanzitutto un progetto politico che doveva subito accompagnarsi con l’unione politica federale. Il fatto che gli Stati abbiano approfittato dei vantaggi che già la sola moneta garantiva per rimandare sine die il completamento del progetto ha impedito che l’Unione europea si dotasse degli strumenti economici e politici che le avrebbero permesso di fare molto di
Il senso della Repubblica
più di quanto non ha fatto - ed in particolare le ha impedito di diventare una potenza globale economica e politica tale da riuscire a guidare la globalizzazione, invece di subire la leadership americana che ha accumulato contraddizioni che noi patiamo più di altre aree. Si impone una riflessione su Brexit: alcuni osservatori hanno fatto notare come la vittoria del leaving abbia paradossalmente rafforzato lo spirito europeista nell’intero continente, tanto che in questa campagna elettorale solo pochissimi hanno parlato di uscita dall’Euro. Che cosa ha realmente significato il voto inglese per gli europei? Quali scenari si intravvedono ad oggi con l’importante successo elettorale di Farage, con Boris Johnson premier del Regno Unito e il contemporaneo rafforzamento di forze politiche contrarie al leaving? Analizzando il caso del Regno Unito si deve innanzitutto ricordare il rapporto particolare che questo Paese ha sempre avuto con la Comunità europea prima, e con l’Unione europea dopo Maastricht. La sua idea guida, e la sua ferma volontà, è sempre stata quella di far deragliare qualsiasi tentativo di approfondimento politico a favore di un rafforzamento dell’Europa intesa come grande mercato integrato. Con l’Euro però, le cose sono lentamente cambiate. La moneta unica (specialmente con la crisi del economica e finanziaria dal 2010) ha dimostrato di non poter reggere nel tempo senza evolvere verso un’unione politica, e questo ha costretto il Regno Unito a scegliere se continuare a boicottare la nascita di questa unione politica tra i paesi Euro (contribuendo così a mantenere la moneta unica in uno stato di pericolosa fragilità, tale da poter far (Continua a pagina 3)
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ANNO XI - QUADERNI DI STORIA E FILOSOFIA NEL XXI SECOLO - Supplemento mensile del giornale online www.heos.it Redazione Via Muselle, 940 - 37050 Isola Rizza (Vr) Italy ++39 345 92 95 137 heos@heos.it Direttore editoriale: Sauro Mattarelli (email: smattarelli@virgilio.it) Direttore responsabile Umberto Pivatello Comitato di redazione: Thomas Casadei, Maria Grazia Lenzi, Giuseppe Moscati, Serena Vantin, Piero Venturelli. Direzione scientifica e redazione: via Fosso Nuovo, 5 - 48125 S. P. in Vincoli - Ravenna (Italy) Tel. ++39 0544 551810
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fare “massa critica” in uno scenario mondiale dove agiscono colossi come Stati Uniti, Cina, India, Russia…?
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La lezione da trarre? Il tema dell’autogoverno è giusto e merita attenzione; ma non va confuso con la pretesa dell’indipendenza “nazionale”, e non deve andare a discapito della forme necessarie di solidarietà tra cittadini. Dimostra che i processi storici e politici in corso avrebbero bisogno di essere gestiti tramite istituzioni federali multilivello: allora sì che l’autogoverno si inserirebbe in modo virtuoso in un sistema statale capace di garantire l’autonomia e al tempo stesso il coordinamento di tutti i possibili livelli di governo. In questo modo ci sarebbe partecipazione diretta sul territorio, la giusta flessibilità per governare le specificità di ciascuna regione, ma anche una forte unità complessiva, suggellata dall’efficacia nell’affrontare i problemi macro che hanno dimensione continentale. La soluzione quindi non è la secessione o la separazione con la nascita di nuovi micro-Stati, ma la riforma in senso federale dell’Europa innanzitutto, e in questo quadro anche dei sistemi nazionali. Ovviamente non tocco in questo modo i casi specifici, come può esserlo la Scozia in questa fase.
esplodere una crisi di proporzioni mondiali devastanti); oppure se accettare di creare formalmente diversi livelli di integrazione nel quadro dell’UE, con i Paesi Euro che danno vita ad una vera unione di tipo federale, e quelli non-Euro che negoziano come preservare i propri diritti e i propri interessi nel nuovo quadro. Da questo nuova visione (oltre che dai giochi interni al partito dei Tories) nasce l’idea del referendum, per fissare una volta per tutte la strategia del Regno Unito all’interno dell’UE. In questa ottica, la vittoria del Leave è stata davvero uno spot a favore dell’UE, mostrando che disastro sia uscire dal Mercato Unico? Sì e no, a mio parere. Se votassero oggi i britannici sarebbero ancora divisi a metà, nonostante stia diventando chiaro per chiunque abbia occhi per vedere che non sarà solo una immane catastrofe economica, ma anche (e già lo è) una tragedia politica. Insomma, è un fatto che il Regno Unito si suicida uscendo dall’UE (salvo nel caso in cui continui a rimanere di fatto, pur senza più diritti e senza un ruolo attivo, nel Mercato Unico) e che la politica è entrata in una crisi drammatica perché non riesce a gestire questa follia. Eppure metà della popolazione non vuole vedere i fatti, e sceglie ideologicamente il Britain first. Per il resto d’Europa si tratta di una lezione? Io credo che lo sarà solo se e quando il Regno Unito sarà uscito dall’UE, dimostrando che un Paese può scegliere contro i propri interessi, ciecamente, contro ogni ragionevolezza. Per ora il vero guardiano contro le uscite unilaterali all’UE o dall’Euro continuano ad essere i mercati, con tutti i loro limiti; sono comunque loro che fanno temere anche ad un Paese come l’Italia di non poter restare senza la protezione europea. La Brexit pertanto, a mio parere, è soprattutto un segnale drammatico di pericolo. Gli europei non devono cullarsi nello status quo, illudendosi che il peggio non possa accadere; la storia (e la Brexit) ci insegnano il contrario.
Macron in Francia appare ridimensionato: è ancora realizzabile ed auspicabile a suo avviso l’idea di un’Europa a “due velocità”? Credo che in realtà Macron abbia segnato un punto a suo favore con queste elezioni europee. Ovviamente rimane un leader che fatica a trovare riscontro al suo progetto di un’Europa politica, a partire dai Paesi che sono pronti a condividere questa visione per certi aspetti alternativa rispetto a quella degli ultimi 25 anni. Ma ora con l’ingresso del suo partito, Renaissance, nel nuovo gruppo liberale (ridenominato significativamente Renew Europe) ha una voce anche nel Parlamento europeo, dove i giochi si sono fatti più aperti rispetto alla scorsa legislatura; e la Spagna di Sánchez può appoggiarlo nel Consiglio. Quindi, anche se gli spazi di manovra sono davvero pochi, si può lavorare per preparare un dibattito ampio che porti ad un processo di rifondazione dell’Unione europea grazie ai fatti che ne dimostrano la necessità e ai pericoli che incombono sul nostro continente e che lo minacciano.
Cosa ne pensa delle spinte disgregatrici interne all’Europa, ci riferiamo alle varie richieste di maggiore autonomia a livello regionale, alle spinte secessioniste (dal caso catalano a quello che si prospetta in Scozia, peraltro in un contesto molto diverso): si possono intendere come spinte “glocalistiche” in reazione alla globalizzazione?
Brexit, i Paesi del gruppo Visegrád *Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia ndr+, le grandi spinte “sovraniste” che, seppur contenute, si sono tuttavia manifestate soprattutto in paesi fondatori importanti come Italia e Francia e dunque influiranno le future politiche europee, sono solo il frutto di una dinamica (degenerativa) generale in atto nell’Occidente o, a suo avviso, denunciano un male profondo, i problemi irrisolti di una costruzione “rimasta a metà”? Che scenari futuri si prospettano? Siamo davvero giunti al ghisleriano “definirsi o sparire” o si può tirare avanti ancora qualche tempo secondo gli schemi finora consueti?
C’è sicuramente molto “glocalismo” nei movimenti separatisti e secessionisti: c’è il problema dell’identità, che non riesce a sottrarsi al modello “nazionale”, in un mondo che però mette in crisi gli Stati nazionali formatisi storicamente nell’epoca moderna e contemporanea; c’è l’egoismo delle regioni ricche; c’è la difficoltà di governare a livello territoriale processi di trasformazione che hanno impatti diversi per aree geografiche. Possiamo trarre da queste esperienze utili insegnamenti o, semplicemente, constatare che ostacolano l’esigenza di
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Purtroppo temo che il tempo dei tentennamenti si stia davvero esaurendo. È chiaro - e rimando in questo senso alla mia prima risposta - che oggi l’Europa deve diventare una potenza gentile, stabilizzatrice, capace di proporre un modello positivo fin che si vuole, ma comunque dotata di capacità di agire e di contare sulla scena internazionale, inclusa una propria autonomia sul piano della sicurezza, per poter difendere il proprio modello e i propri interessi. Questo passaggio da Europa-grande mercato a Europa-potenza politica (a partire già dal diverso modo di usare la sua attuale forza in campo commerciale ed economico) implica la creazione di una sovranità europea in campo fiscale e l’attribuzione alla Commissione di competenze e poteri di governo nei settori della politica economica, della politica estera e della sicurezza, incluse la ricerca, la politica migratoria, la politica ambientale; e il pieno potere legislativo e di controllo democratico al Parlamento europeo, in codecisione con un Consiglio trasformato in Senato degli Stati, dove l’abolizione del diritto di veto sia il risultato di un cambio dei rapporti di forza tra livello europeo e Stati membri. In sintesi: una rifondazione su basi federali dell’Unione europea, ovviamente prevedendo che all’inizio solo una parte degli Stati membri facciano parte dell’unione politica federale – e lasciando quindi che gli Stati che non vogliono entrarvi restino nel cerchio più esterno dell’attuale Unione europea e del Mercato unico.
pea, allora significa innanzitutto cercare di comprendere le ragioni della sua crisi a partire dalle questioni irrisolte della governance dell’Unione. Questa riflessione è articolata in diversi momenti e prende in considerazione vari elementi che finiscono per intrecciarsi l’un con l’altro, utilizzando un approccio autenticamente pluridisciplinare ed interdisciplinare: in questo volume trovano spazio e dialogano tra loro il diritto, l’economia, la storia, la filosofia, la scienza politica e la biologia, nei saggi di Salvatore Aloisio, Fabio Masini, Antonella Braga, Tommaso Visone, Francesco Pigozzo, Daniela Martinelli e Federica Martiny. In generale, emerge un’analisi della “trasformazione intergovernativa” subita dal quadro istituzionale dell’Unione; la dialettica tra la componente sovranazionale e quella intergovernativa a livello dei rapporti tra le Istituzioni e questa stessa dinamica nel contesto della governance economico-finanziaria dell’UE ci mostrano come la gestione delle varie crisi che attanagliano l’Europa di oggi deriva direttamente dal modo in cui essa viene prodotta: la continua ricerca di soluzioni di compromesso tra gli Stati membri non solo ripropone le dinamiche dei rapporti di forza tra Paesi più ricchi e più poveri, più grandi e più piccoli, ma si sostituisce alla ricerca dell’interesse generale dell’Europa tutta. Un primo elemento della nostra diagnosi dunque postula la necessità di una riforma istituzionale dell’attuale governance europea, nel complesso quadro di crisi dello Stato -nazione e di crisi della democrazia. Un secondo elemento centrale nella riflessione ruota intorno ad un concetto, quello di nazionalismo, che da alcuni viene proposto come cura e che invece è una delle concause della malattia, per continuare con la metafora medica. A partire da una genealogia dei concetti di Stato, sovranità, nazione, Stato nazionale e nazionalismo, il saggio di Antonella Braga contrappone l’idea della cittadinanza europea - un nuovo modello di cittadinanza più inclusivo e articolato su molteplici livelli di appartenenza - a quella di nazionalismo - che ha generato nel corso del tempo la repressione delle minoranze, la pulizia etnica, il razzismo, le guerre imperialiste e i totalitarismi sino ai due conflitti mondiali -. Esso oggi si ripresenta nella veste di “sovranismo”, aiutato in questo in qualche misura da quella che l’autrice definisce una “visione naziocentrica”, che ci viene proposta anche dai mass media tradizionali (stampa, radio, televisione). L’esigenza del superamento del nazionalismo al tempo di quella che è definita da Ulrich Beck come “società globale del rischio”, si colloca anche nel contesto della crisi della democrazia. Nel saggio di Tommaso Visone, dunque, viene proposta un’analisi delle differenze tra la democrazia degli antichi e quella dei moderni, attraverso una definizione della democrazia come un “meticciato secondo ragione”,
In Italia la Lega “sovranista” ha registrato un indubbio successo politico. Come si delinea nel futuro immediato il ruolo del nostro Paese all’interno della UE? Ritiene, inoltre, esista davvero una vasta “area grigia”, trasversale, ambigua, europeista a parole, ma pronta a scaricare su Bruxelles problemi che in realtà oggi sono ascrivibili alle politiche nazionali? Ci sono partiti immuni da questa sindrome? Il nostro Paese è oggi isolato e debole nell’UE. E questo è un danno grave per noi come Italiani, e ed è un danno grave per noi come Europei, perché l’Italia ha giocato davvero in passato (e ancora potrebbe giocarlo) un ruolo positivo, spingendo per un’integrazione politica di tipo sovrannazionale, e per un’Europa più forte. I partiti al governo usano una retorica anti-europea pericolosa e autolesionista, ed è facile assimilare questi atteggiamenti a quelli che hanno intossicato il Regno Unito. In questa situazione, per le opposizioni l’obiettivo deve necessariamente diventare quello di contribuire, sia all’interno del Parlamento europeo, sia lavorando a livello nazionale nel Paese, ad avviare il confronto europeo sull’Europa sovrana e democratica e il processo della sua rifondazione. ▪
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ovvero come una dinamica trasformativa volta a dare vita a una mescolanza tra i cittadini orientata al reciproco riconoscimento e all’eguaglianza nella partecipazione. Il tema dell’odierna crisi della democrazia viene così spiegata alla luce dell’interruzione e nella mancata “re-invenzione” di questa peculiare dinamica secondo una modalità che le consenta di fare fronte alle sfide del contesto contemporaneo. Tra queste sfide possiamo certamente includere il tema del ritorno del razzismo e della xenofobia, di un egoismo che si tenta erroneamente di ricondurre all’istinto primario della sopravvivenza. Questi elementi sono complementari gli uni rispetto agli altri: infatti, il “direttorio degli esecutivi” che si è istaurato di fatto a partire dalla crisi del 2008 è, al di là delle singole responsabilità individuali, intrinsecamente soggetto a produrre delle decisioni inefficaci ed illegittime. Se c’è una cosa che insegna la profonda involuzione dell’Unione degli ultimi dieci anni, con le conseguenti spinte centrifughe e la rottura dei, già in molti casi fragili, equilibri interni a diverse realtà nazionali, è che questo tipo di assetto alimenta un nazionalismo di ritorno che - sia volto a strumentalizzare l’Ue, a ricusarne le politiche o ad uscirne finisce per danneggiare l’intero progetto comune. L’idea di fondo di questo ebook è quella per cui occorre seriamente ripensare l’Europa, in maniera critica, profonda e propositiva. Secondo gli autori la soluzione verso cui tendere resta quella di un governo, e non di una mera governance, un governo che sia il braccio esecutivo di una vivace democrazia multilivello su scala continentale, in cui, all’interno di una sfera pubblica adeguata, agiscano forze politiche transazionali, ma l’invito ad una riflessione seria per ripensare l’Europa è aperto. ▪
...E SÌ, RIPENSIAMO ALLA POLITICA di GIUSEPPE MOSCATI A lato, Emanuele Profumi, Alfonso Maria Iacono, Ripensare la politica. Immagini del possibile e dell’alterità, Pisa, Ets, 2019, pp. 259, euro 25.00
delle donne, ma l’atto stesso del reimmaginare esige che ci si misuri proprio con il possibile e con l’alterità. Il possibile è ciò che segna un confine (non del tutto invalicabile, peraltro): senza dimenticare la lezione del realismo politico-filosofico, il possibile stimola a individuare una sempre nuova riapertura del presente all’avvenire. Ma tale “gioco” costruttivo-proiettivo non avrebbe granché senso se non fosse modulato sulla ricerca di un’alternativa (possibile, appunto), che nella fattispecie senza tanti giri di parole può essere chiamata alternativa alla deriva del neoliberismo.
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redo sia da accogliere appieno l’invito che il volume ben curato da Emanuele Profumi e Alfonso Maurizio Iacono per i tipi di Ets lancia un po’ come meditata riflessione sul difficile esercizio dell’“amministrazione” del bene comune e un po’ anche a mo’ di provocazione: Ripensare la politica. Immagini del possibile e dell’alterità. Come si fa a non partire da questi due elementi? Possibile e alterità rappresentano due corni della principale delle questioni che i saggi raccolti pongono: per cogliere a fondo come poterla veramente ed efficacemente ripensare, questa politica, è necessario reimmaginare la societas degli uomini e 5
Lo sentite quel che si porta dietro l’ismo del neoliberismo o, come qualcuno dice, dell’ipercapitalismo? Dietro le quinte, mi viene da dire in agguato, ci sono il sovranismo e il populismo, o forse dovremmo dire i sovranismi e i populismo; c’è poi quel patologico processo di trasformazione dell’economia che risponde all’orrendo nome di finanziarizzazione; ci sono, ancora, le sirene dell’individualismo e la concezione ottusamente “privatistica” del diritto, per cui la questione politica è ridotta a terreno di mera e perenne conflittualità tra aventi diritto al proprio recinto protettivo. Che fine fanno i diritti sociali? E c’è persino il rischio ma onestamente devo ammettere che con ogni probabilità questo lo vediamo in pochi - di identificare giustizia e (Continua a pagina 6)
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giustizialismo. Ne nasce uno stato di salute assai precaria della pólis, tormentata dalla precarizzazione del lavoro in ogni dove e dallo scadimento del potere - che bella parola e che bel nucleo semantico originario! - a meschino dominio del più forte a svantaggio della vittima di turno. Torna prepotentemente la critica capitiniana alla “insufficienza della realtà”, ovvero la proposta di persuasione nonviolenta di un filosofo sui generis come Aldo Capitini che, non a caso, è presente nel volume da cui queste righe hanno preso le mosse. A parte il fatto che di Capitini vengono opportunamente riproposti alcuni significativi stralci dalla fondamentale opera Il potere di tutti, il libro offre diversi spunti di matrice capitiniana, specie nelle pagine a firma di Profumi. Il quale, per esempio, proprio al fine di ricondurre l’idea di potere democratico al suo autentico e creativo alveo semantico, ma anche di decostruire quel “processo egemonico” che porta all’autogiustificazione della violenza politica, scrive che “la reificazione di un’istanza simbolica destinata a dominare sulle altre, l’omologazione delle differenze, la repressione delle possibilità sociali, il consenso per coercizione, altro non sono che dinamiche costitutive che escludono l’eguaglianza e la cooperazione solidale verso l’alterità dal processo di creazione del senso sociale, e non ritagliano nessuno spazio per la libertà di giudizio e di riflessione” (p. 244). Il volume, d’altra parte, muove da un’inevitabile critica del presente: oltre a Iacono, che analizza l’attuale antipolitica e le nuove forme di schiavitù e di diseguaglianza, c’è Mats Rosengren che si chiede se sia possibile e in che misura essere democratici oggi. Esso, poi, recupera l’attualità della filosofia: ecco Foucault che, molto più complice Nietzsche di Marx, riporta la liberazione al cuore dell’esistenza quale irridu-
N. 8 Agosto 2019 cibilità di ogni individuo, e MerleauPonty che riscopre la centralità della natura in luogo di un deludente progetto umanistico marxista che l’ha asservita alla prassi (Manlio Iofrida); ecco la ricerca antropologico-filosofica sulle relazioni tese a rinnovare “effettive pratiche di emancipazione” cui allude Ubaldo Fadini; ed ecco anche la prospettiva del Pensare la politica dall’ontologia (José Manuel Bermudo Ávila), pregevole sforzo di integrazione dell’ontologia dialettica di Marx. Ma questo libro ci torna utile (chiedo venia per questo così sbrigativo aggettivo) pure per ricontestualizzare i temi, i nodi e le finalità stesse della politica. Il suo corpo centrale, infatti, quello che occupa le sezioni Sulla sfera politica e Al centro della riflessione, prima affronta l’inedito prodotto dal mondo digitale e dallo spazio “pubblico” del web (oddio, c’è pure il populismo digitale!), con tanto di ricadute su consenso e fiducia/sfiducia nella politica (Daniele Santoro); poi articola una critica dell’antipolitica (e dell’“asse antipolitico”) che passa attraverso la disamina del populismo attuale quale “fenomeno ibrido e di basso profilo”, realtà estranea agli Stati costituzionali di diritto (Lluis Pla); infine tematizza sia le fragilità e sofferenze identitarie in rapporto alla crisi dei partiti senza trascurare il “bisogno di utopia” (Maria Antonella Galanti), sia l’“attenzione nella new economy” in un dibattito ancora aperto e vivace (Enrico Campo). Il lavoro di prospettiva è affidato così a un sempre lucido Serge Latouche, il quale presenta da par suo il “progetto metapolitico” della decrescita come piattaforma democratica e concreta utopia sociale; e al solido impianto teoretico dell’elaborazione di uno Stefano Petrucciani che ci (ri)porta Dal contratto sociale al patto politico globale in relazione al cosmopolitismo, facendoci riassaporare il piacere di rincontrare il buon vecchio Kant. Ci inchioda alla responsabilità di una risposta “piena” e sensata l’interrogativo posto da Yves Sintomer, che ricostruisce genesi, ascesa e parabola discendente della democrazia liberale: 6
Condannati alla post-democrazia? Il nostro auspicio, naturalmente, è che al bivio cruciale si possa imboccare la strada che porti a una nuova, nonviolenta rivoluzione democratica. E piuttosto denso è il lavoro che Sophie Klimis costruisce attorno all’idea della democrazia diretta (dal basso, aggiungiamo ancora con Capitini), facendo emergere alcuni luoghi comuni e suggerendo la via di una “educazione continua alla politica”. Sì, magari educazione ed autoeducazione. Ripensare la politica, allora, è riprogettarla rivedendo in profondità il senso ultimo (o primo?) della relazione società-democrazia. Solo così potremo evitare di ricadere nel vizio di riproporre una politica in un certo senso autocratica. E la democrazia, anzi, è geneticamente basata sul rispetto e sulla valorizzazione delle alternative, che poi significa, da una parte, fare tesoro della risorsa del dissenso e, dall’altra, non smettere mai di ascoltare le minoranze. Già sento Paolo Protopapa fare eco - produttiva, felice eco - con la promozione di una cultura delle piccole patrie. Se intendiamo però provare a risolvere il più pernicioso dei problemi che attanagliano il pensare e il fare politica nel nostro tempo, vale a dire quella che per brevità chiamiamo crisi della rappresentanza, non possiamo che riscoprire la dote euristica della politica stessa. Non c’è bisogno di scomodare filosofi e teorici della tradizione anglosassone per approdare alla presa di consapevolezza che qui ci vuole un atteggiamento pragmatico. L’elaborazione politica, del resto, va ripensata alla luce dei problemi emergenti in materia di migranti, di Welfare, di scuola e di sanità pubbliche, di giustizia sociale… Ripensando la politica, dunque, avremo la preziosa opportunità di ripensare la cittadinanza, di ripensare le relazioni interpersonali e quelle tra i popoli, di ripensare l’agorà e l’abitare oggi la democrazia. ▪
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Sergio Gnani (1942-2019) è stato anche collaboratore di questa rivista. I lettori ricorderanno il suo importante contributo di apertura del numero di marzo 2016 sulle tematiche europee
UN UOMO DELLA RAGIONE
LA SCOMPARSA DI SERGIO GNANI: FU PRESIDENTE DEL CIRCOLO CULTURALE “C. CATTANEO” DI RAVENNA di SAURO MATTARELLI
S
e ne è andato in una calda giornata d’agosto, lui che amava il mare e il sole, ghermito da un male inesorabile, rapido, silenzioso. Sergio Gnani apparteneva a una generazione in via di estinzione: non per motivi strettamente anagrafici, ma per via di quel passaggio epocale che ci trascina dal tempo dei sacrifici, degli studi severi, delle letture approfondite, a una fase “social” e meno sociale, verbosa e nel contempo ormai quasi incapace di attribuire senso alle parole. Un bel guaio per un uomo della ragione che per anni aveva guidato a Ravenna un circolo culturale intitolato a Carlo Cattaneo ispirandosi soprattutto al raziocinio dei “lumi”, a un’etica “senza fedi” sostenuta da un umanesimo progressista che rifuggiva dai facili assistenzialismi. Keynesiano, aveva conosciuto e apprezzato Ugo La Malfa e Bruno Visentini dalla particolare prospettiva di quel mondo repubblicano e mazziniano romagnolo a cui apparteneva, almeno in parte; ma da uomo libero, della specie di chi si fa da sé attraverso rinunce, ore di letture sottratte al sonno e allo svago. Figlio di Armando, un noto e stimato sindacalista della UIL, aveva studiato lavorando sempre, fino a diplomarsi e poi a laurearsi in economia, a Bologna, dopo aver frequentato la scuola anconetana di Giorgio Fuà. Poi lavori qualificati, in banca, nel mondo della cooperazione, come libero professionista, uniti in un tutt’uno con l’amore per la ricerca, soprattutto quella storiografica. Da quella passione erano nati libri frutto di scavi archivistici originali come
A lato, il circolo culturale “C. Cattaneo” sosteneva un coro che riscoprì e propose canzoni politiche e sociali dal Risorgimento alla Resistenza Sopra, il primo numero di “Argomenti”, la prestigiosa rivista del circolo culturale “C. Cattaneo”, diretta da Gianni Celletti e con una redazione formata, inizialmente, da Sergio Gnani, Gastone Scheraggi, Graziella Gardini Pasini A lato, Da movimento armato a partito politico, Ravenna 1979
I repubblicani ravennati di fronte al fascismo (1919-1925), Ravenna 1976; La cooperativa muratori di Cervia, Modena 1977; Da movimento armato a partito politico, Ravenna 1979; e poi innumerevoli articoli, saggi in opere collettive, tra cui va citato un volume su tutti: Tessere repubblicane. Un percorso in immagini, Ravenna 1981 per il quale profuse lavoro, energie, intelligenza. Opere che hanno la prefazione di Luigi Lotti, Piergiovanni Permoli, Italico Santoro, Giovanni Spadolini. Ma Gnani amava anche la musica, la poesia, la logica, la matematica… come un pensatore d’altri tempi, a tutto tondo: esplo-
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ratore curioso di ciò che lo circonda e grande stimolatore dei pochi, fortunati, amici che lo frequentarono. Il Circolo culturale “C. Cattaneo” di cui fu fondatore e anima insieme con Gastone Scheraggi, Gianni Celletti, Graziella Gardini Pasini per una decina d’anni propose ricerche, pubblicazioni, studi con lo scopo, non tanto celato, di formare giovani intellettuali, capaci di arricchire le istituzioni (culturali e non). In questo contesto, aiutato tra gli altri da sua moglie Giovanna Lacagnina e dal figlio Rienzo, vivificava perfino un coro che riscoprì e propose in tutta Italia (Continua a pagina 8)
QUADERNI DI S&F UN UOMO DELLA RAGIONE (Continua da pagina 7)
cante politiche e sociali dopo una ricerca pluriennale che sfociò anche in una pubblicazione importante: Noi vogliam che ricchi e poveri… canzoni politiche sociali dal Risorgimento alla Resistenza, Ravenna 1978. Quella di Gnani era, dunque, quasi una scuola poliedrica, che ruotava attorno a una rivista, “Argomenti”, prestigiosa, rispettata, capace di ospitare collaboratori dai nomi eccellenti: da Norberto Bobbio a Giovanni Spadolini, da Ugo La Malfa a Michele Cifarelli, Elena Croce, AntonLuigi Aiazzi, Giogio La Malfa, Bruno Di Porto, Ubaldo Bardi, Giovanni Ferrara, Ethel Porzio Serravalle, Carlo Cassola, Michel Ostenc, Lidia Storoni Mazzolani, Richard Knowles, Giuseppe Tramarollo… accanto a intellettuali locali, come Ennio Dirani, Domenico Berardi, Egidio Conti, Pino Morgagni, Maria Paola Patuelli, Michele Vincieri, Aristide Canosani… e giovani, come: Pietro Barberini, Lorenzo Cottignoli, Maria Luisa Cicognani, Giannantonio Migozzi, Maria Grazia Lenzi, Paola Morigi, Paolo Sassetti e anche chi scrive queste note. Non inganni l’eterogeneità: al “Cattaneo” e ad “Argomenti” si praticava un rigore laico, attraverso una “selezione naturale” severa, tesa a premiare ingegno, forza di volontà, capacità, indipendenza. Si cercavano persone autenticamente libere attraverso il libero confronto, infiniti ragionamenti, lo scambio franco e a volte brusco delle opinioni; mai circolarono “affari”, convenienze, carriere, basse richieste, conventicole. In questa sede ci piace salutarlo così, tralasciando magari aspetti, importanti, come la sua vita professionale, gli incarichi nelle istituzioni, gli anni di militanza nel PRI, i dialoghi e, spesso, le discussioni con Gianni Ravaglia, Amerigo Battistuli, Fabio e Fabrizio Bocchini, Giorgio Brunelli… In questa sede possiamo solo sottolineare semplicemente il suo modo di concepire la libertà repubblicana, attraverso la dignità, la coerenza, l’assunzione diretta delle responsabilità. ▪
N. 8 Agosto 2019
ALMANACCO. ANNIVERSARI, AGOSTO 2019
JAMES WATT, INGEGNERE E INVENTORE E IACOPO FACCIOLATI, ERUDITO E COLLEZIONISTA a cura di PIERO VENTURELLI
JAMES WATT 25 agosto 1819 - Presso Heathfield Hall, la sua dimora situata vicino a Handsworth, località della contea delle West Midlands che nel 1911 fu incorporata nella città di Birmingham, si spense James Watt, celebre ingegnere e inventore britannico il cui contributo al perfezionamento della macchina a vapore ebbe un ruolo di primissimo piano durante la Rivoluzione industriale. Le sue spoglie vennero inumate il 2 settembre nel locale cimitero parrocchiale, presso la St Mary’s Church, tempio anglicano che fu in seguito notevolmente ampliato e che venne a includere al proprio interno questa sepoltura, dove è tuttora situata. Heathfield Hall, dopo alcuni passaggi di proprietà, venne demolita nel 1927. Watt nacque il 19 gennaio 1736 nella cittadina scozzese di Greenock, nell’Inverclyde, da genitori di religione presbiteriana, religione dalla quale egli poi si allontanò per abbracciare il deismo: il padre, suo omonimo (16981782), era un agiato armatore che fu anche un alto magistrato (chief baillie) di Greenock; la madre, Agnes Muirhead (1703-1755), proveniva da una famiglia di elevate condizioni sociali ed economiche. Il nonno paterno, Thomas Watt (1642-1734), era stato sia un noto insegnante di matematica e scienze nautiche sia il baillie del barone di Cartsburn. La madre s’incaricò per alcuni anni d’istruire in casa il giovane Watt, che poi venne iscritto alla Greenock Grammar School, dove dimostrò subito eccezionale attitudine per la matematica. Appassionatosi alla costruzione di 8
James Watt
strumenti scientifici di precisione, egli soggiornò per breve tempo a Londra e, in seguito, tornò in Scozia, stabilendosi a Glasgow. Lì frequentò la locale Università, provvide per conto di quest’ultima a mantenere perfettamente funzionanti e - quando era il caso - a riparare gli strumenti scientifici di precisione utilizzati presso diverse strutture dell’Alma Mater, si dedicò - a partire dal 1757 - agli studi e alle sperimentazioni che gli stavano più a cuore in un laboratorio che aveva potuto fondare all’interno dell’Ateneo grazie all’aiuto di tre professori. Due di questi tre docenti erano, a dispetto dell’abbastanza giovane età, personaggi ragguardevoli della comunità culturale scozzese dell’epoca e diventarono suoi grandi amici ed estimatori: si trattava del filosofo Adam Smith (1723-1790) e dello scienziato Joseph Black (1728-1799). Nel 1759 Watt fondò con l’architetto e uomo d’affari John Craig un’azienda per produrre e commercializzare una vasta gamma di prodotti, fra i quali (Continua a pagina 9)
QUADERNI DI S&F
N. 8 Agosto 2019 JAMES WATT (Continua da pagina 8)
figuravano strumenti musicali e giocattoli. La morte di Craig, avvenuta nel 1765, convinse Watt a ritirarsi dalla società, che a quel tempo dava lavoro a sedici operai. Sul fronte degli studi e delle sperimentazioni, all’inizio degli anni Sessanta il giovane scienziato scozzese cominciò a occuparsi con crescente interesse del funzionamento delle macchine a vapore. Nel 1765, avendo notato le perdite di vapore nella macchina a effetto semplice messa a punto nel 1712 dall’inventore inglese Thomas Newcomen (1664-1729), Watt riuscì a ridurle sviluppando un modello di condensatore separato dal cilindro. Nel 1768, assistito dall’inventore inglese John Roebuck (1718-1794), ideò e costruì la sua innovativa macchina a vapore. Trasferitosi a Birmingham nel 1772, Watt tentò invano di commercializzare in proprio il suo modello. Nel 1775, però, conobbe l’imprenditore inglese Matthew Boulton (1728-1809), e i due diedero vita a una prospera collaborazione durata trent’anni. Nel 1782 l’ingegnere scozzese brevettò la macchina a doppio effetto e il regolatore di forza centrifugo per il controllo automatico della macchina; il parallelogramma articolato per lo sfruttamento del doppio effetto, invece, risale al 1784. Watt introdusse un’unità di misura chiamata “cavallo vapore” per comparare la potenza prodotta dalle macchine a vapore. Utilizzata ancora oggi per indicare la potenza dei motori degli autoveicoli, tale unità di misura prese poi il nome dello scienziato scozzese e tuttora figura a pieno titolo nel Sistema Internazionale di Unità (SI). Oggi è poco noto, ma Watt fu profondamente interessato anche agli sviluppi della chimica: vi si dedicò in special modo negli anni Ottanta, allorché studiò e sperimentò sistemi per sbiancare i tessuti che fossero, nello stesso tempo, efficaci e a buon mercato. Lo scienziato scozzese venne insi-
gnito di numerosi onori e diventò membro di varie importanti istituzioni internazionali: fu socio, fra le altre, della Royal Society di Edimburgo, della Bataafsch Genootschap voor Proefondervindelijke Wijsbegeerte di Rotterdam, delle londinesi Royal Society e Society of Civil Engineers (la quale venne denominata, in un secondo tempo, Smeatonian Society of Civil Engineers), della Lunar Society di Birmingham e dell’Académie Française di Parigi. Nel 1763 fu iniziato alla massoneria scozzese nella Glasgow Royal Arch Lodge (numero 77), una loggia che cessò di esistere nel 1810. Watt si sposò due volte: nel 1764 con la cugina Margaret (Peggy) Miller, dalla quale ebbe cinque figli, dei quali arrivarono all’età adulta solo James Jr. (17691848), che portò avanti gli studi del padre e la commercializzazione dei suoi progetti e brevetti, e Margaret (1767-1796); nel 1775, due anni dopo essere rimasto vedovo, con Ann MacGrigor († 1832), figlia di James, fabbricante di colori a Glasgow e collaboratore dello stesso Watt, la quale gli diede due figli, Gregory (1777-1804), che ebbe una breve carriera come geologo e mineralogista, spezzata dalla morte prematura, e Janet (17791794). ▪
the Firm of Boulton & Watt. 1775-1805, London, Longmans, Green & Co., 1930; H.W. Dickinson, James Watt. Craftsman & Engineer, Cambridge, Cambridge University Press, 1935; Id. - H.P. Vowles, James Watt and the Industrial Revolution. Illustrated, London, The British Council by Longmans Green & Co., 1943 (II edizione: 1948); D.K. Hulse, The Early Development of the Steam Engine, Leamington Spa, TEE, 1999; Id., The Development of Rotary Motion by Steam Power, Leamington Spa, TEE, 2001; R.L. Hills, James Watt, 3 voll., Ashbourne, Landmark, 2002-2006; B. Marsden, Watt’s Perfect Engine. Steam and the Age of Invention, Cambridge, Icon, 2002 (e, anche, New York, Columbia University Press, 2002); D.Ph. Miller, James Watt, Chemist. Understanding the Origins of the Steam Age, London, Routledge, 2015.
IACOPO FACCIOLATI
Per approfondimenti J.P. Muirhead, The Origin and Progress of the Mechanical Inventions of James Watt. Illustrated by his Correspondence with his Friends and the Specifications of his Patents, 3 voll., London, John Murray, 1854; Id., The Life of James Watt. With Selections from his Correspondence, London, John Murray, 1858; S. Smiles, Lives of Boulton and Watt *…+. Comprising also a History of the Invention and Introduction of the Steam-Engine, London, John Murray, 1865 (poi, in Id., Lives of the Engineers, 5 voll., London, John Murray, 1874-1879, vol. IV *The Steam-Engine. Boulton and Watt, 1878+); T.E. Thorpe, James Watt and the Discovery of the Composition of Water, in Id., Essays in Historical Chemistry, London New York, Macmillan, 1902, pp. 98-122; A. Carnegie, James Watt, Edinburgh, Oliphant, Anderson & Ferrier, s.d. *ma: 1905+; Th.H. Marshall, James Watt, London- Boston, Parsons - Small, Maynard and Company, 1925; E. Roll, An Early Experiment in Industrial Organisation. Being a History of
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26 agosto 1769 - Morì a Padova il dottissimo uomo di lettere Iacopo Facciolati; venne sepolto in quella stessa città, nella chiesa di Santa Maria del Torresino. Il suo profondo amore per le lingue antiche e per la lingua italiana, così come per la logica, per le opere di Cicerone e per i grammatici tardo -rinascimentali, lo resero uno degli eruditi europei più famosi e autorevoli del Settecento. Nato il 4 gennaio 1682 a Torreglia, piccola località padovana situata nella zona dei Colli Euganei, da una famiglia condizioni economiche tutt’altro che prospere, Facciolati godette da ragazzo della protezione del vescovo di Padova, il cardinale Gregorio Barbarigo (Continua a pagina 10)
QUADERNI DI S&F IACOPO FACCIOLATI (Continua da pagina 9)
(1625-1697), illustre religioso veneziano che venne proclamato santo nel 1960. Grazie a questo potente sostegno, il giovane poté condurre gli studi nel Collegio di Tresto, presso Este, e poi entrare gratuitamente nel Seminario patavino, in quel periodo attivissimo centro di cultura umanistica. Il 1704 fu un anno fondamentale per Facciolati: venne ordinato sacerdote, si laureò in Teologia e iniziò a insegnare nel Seminario ove si era formato. Fattosi ben presto notare sia per la prodigiosa memoria sia per la robusta e ampia cultura sia per le ragguardevoli capacità di organizzatore delle attività scolastiche, nell’ambito delle quali promosse con zelo tutti gli esercizi che egli considerava indispensabili per la formazione intellettuale e morale della gioventù, a partire dall’apprendimento e dalla consuetudine con le lingue classiche, nel 1711 il religioso padovano diventò direttore della locale Accademia, importante scuola che riuniva i giovani distintisi nello studio delle belle lettere e all’interno della quale egli non mancò di prestare la sua opera di docente. Nel 1723, lasciati i vari incarichi fino ad allora rivestiti presso il Seminario e l’Accademia, Facciolati cominciò a insegnare Logica all’Università di Padova. Sette anni dopo, pur rimanendo docente presso quest’Ateneo, tornò a occuparsi in varie vesti della vita del Seminario cittadino. Nel 1739 rinunciò alla sua cattedra universitaria e, accettato l’incarico di storiografo dello Studium patavino, dedicò molti e prolungati sforzi a riordinarne il trascurato archivio e a stendere la storia di tale prestigiosa istituzione dal 1260 alla metà del Settecento. Frutto di indefessi studi e di una lunga esperienza d’insegnamento furono le innumerevoli rilevantissime opere di Facciolati, alcune delle quali vennero più volte ristampate; diverse, poi, ebbero notevole diffusione anche oltralpe. Tra le maggiori che egli licenziò nella prima maturità, non è possibile
N. 8 Agosto 2019 fare a meno di segnalare i Compendiaria Graecae grammatices institutio in usum Seminarii Patavini (Patavii, 1705) e la versione emendata e accresciuta del Dictionarium latino dell’erudito e lessicografo bergamasco, eremitano di Sant’Agostino, Ambrogio Calepio (1435 ca. - 1509), ossia il celebre vocabolario - detto Calepino - del quale erano uscite la prima edizione nel 1502 e la ventiquattresima e definitiva edizione nel 1520 (postuma, a cura dei confratelli); la versione corretta e ampliata a cura del religioso padovano vide la luce, in due volumi, nella città di sant’Antonio, nel 1718, sotto il titolo di Septem linguarum Calepinus. Hoc est lexicon Latinum, variarum linguarum interpretatione adjecta. Negli anni successivi, Facciolati mandò alle stampe, fra l’altro, l’Ortografia moderna italiana con qualche altra cosa di lingua (Padova, 1721), i Logicae disciplinae rudimenta ex optimis fontibus ducta *…+ (Venetiis, 1728), le Exercitationes in M.T. Ciceronis orationes 2. Pro P. Quinctio, et Pro Sex. Roscio Amerino (Patavii, 1732), l’ampia revisione del lessico latino raccolto dal brescellese Mario Nizzoli (detto Nizolio, 1488-1566) nel 1535 sotto il titolo di Observationes in M. Tullium Ciceronem (Nizolii apparatus linguae Latinae, crebris locis refectus et auctus ex formulis elegantioribus Doleti, Patavii, 1734), le Institutiones logicae peripateticae (Venetiis, 1737), Il giovane cittadino istruito nella scienza civile, e nelle leggi dell’amicizia (Padova, 1740), la storia dell’Università di Padova dal titolo Fasti Gymnasii Patavini (2 voll., Patavii, 1757), la Vita M. Tullii Ciceronis litteraria (Patavii, 1760) e numerose orazioni latine. Nel mondo della cultura, tuttavia, il nome di Facciolati è oggigiorno legato meno a tali scritti che a un’ambiziosissima iniziativa editoriale che nella seconda metà del Settecento riscosse uno straordinario successo, vale a dire l’accurata compilazione del più vasto e completo vocabolario di lingua latina che fosse mai apparso. Nella lunga preparazione dell’opera, egli fu affiancato da un solerte e scrupoloso assistente, il filologo e lessicografo Egidio Forcellini (1688-1768), sacerdote origi10
nario del Bellunese formatosi anch’egli presso il Seminario di Padova e coinvolto da Facciolati pure in altri suoi progetti. I due studiosi, però, morirono prima di vedere pubblicato questo monumentale Totius Latinitatis lexicon, che poté uscire soltanto nel 1771 (4 voll., Patavii). Durante la sua laboriosa e prolifica esistenza, la fama di Facciolati con il tempo si estese al punto che egli ebbe la possibilità d’intrattenere frequenti contatti con molti dei più stimati rappresentanti del mondo intellettuale settecentesco. All’epoca, tuttavia, la sua enorme notorietà presso le persone di cultura derivava non solo dalla sterminata erudizione e da numerose opere a stampa eminenti, ma anche da una superba collezione di quadri, da lui organizzata nella propria dimora quasi come una mostra permanente: allestita in senso didattico, questa preziosissima pinacoteca mirava a mostrare lo sviluppo dell’arte pittorica dai “bizantini al XVIII secolo”. La notevole curiosità suscitata da tale raccolta rese l’abitazione di Facciolati meta ambita delle visite di illustri personaggi, italiani e stranieri, alla città di Padova. Per approfondimenti Vita di Jacopo Facciolati scritta da Giuseppe Gennari pubblicata in occasione che il reverendissimo signor d. Antonio Savorin fa il solenne suo ingresso alla chiesa arcipretale di Breganze, Padova, Nella Tipografia del Seminario, 1818 (opuscolo); G. Vedova, Facciolati *…+ ab. (Jacopo), in Id., Biografia degli scrittori padovani, 2 voll., Padova, Coi Tipi della Minerva, 1832-1836 (edizione anastatica: Bologna, Forni, 1967), vol. I *1832+, pp. 374-383; *N.+ Tommaseo, Facciolati (Jacopo), in Biografia degli Italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII, e de’ contemporanei compilata da letterati italiani di ogni provincia e pubblicata per cura del professore Emilio De Tipaldo, 10 voll., Venezia, Dalla Tipografia di Alvisopoli, 1834-1845, vol. VIII *1841+, pp. 231-249; S. Serena, Jacopo Facciolati professore di logica, “Padova”, settembre 1934, pp. 45-51 (anche in opuscolo a sé: s.l., s.n., 1934); L. Serianni, Norma dei puristi e lingua d’uso nell’Ottocento nella testimonianza del lessicografo romano Tommaso Azzocchi, Firenze, Presso l’Accademia della Crusca, 1981, p. 24; A. Masini, Jacopo (Continua a pagina 11)
QUADERNI DI S&F
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TORI E NAZIONALISMO: IL CASO DEL REFERENDUM CATALANO di SIMONE TEPEDINO*
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n terra iberica l’indipendentismo ha una storia lunga e dalle molteplici sfaccettature. Sicuramente il caso più noto per la sua violenza è quello di ETA (Euskadi Ta Askatasuna, traducibile con “Paese basco e libertà”), associazione responsabile nel corso della sua storia di svariati attentati e sequestri. Ciò nondimeno, oltre al basco esiste un movimento indipendentista altrettanto conosciuto al di fuori della penisola iberica: il catalano, nato nella seconda metà del XIX secolo grazie alla corrente letteraria denominata Reinaxença (“Rinascimento”, in catalano). La Reinaxença si rifaceva allo spirito del Romanticismo dell’epoca, promuovendo valori come l’esaltazione patriottica, l’idealismo, il predominio dei sentimenti e concentrandosi su tematiche a
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Facciolati, l’Ortografia Moderna Italiana di Padova e la IV edizione del Vocabolario della Crusca, in Aa.Vv., La Crusca nella tradizione letteraria e linguistica italiana, Atti del Congresso internazionale per il IV Centenario dell’Accademia della Crusca (Firenze, 29 settembre - 2 ottobre 1983), Firenze, Presso l’Accademia della Crusca, 1985, pp. 173-182 (poi, con lo stesso titolo, in A. Masini, Scritti di storia della lingua italiana, Milano, Cisalpino, 2010, pp. 253266); M. Boscaino, Facciolati, Iacopo, in Dizionario bibliografico degli Italiani, vol. XLIV, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1994, pp. 65-68; C. Marazzini, lessicografia, in Enciclopedia dell’Italiano, direttore R. Simone, 2 voll., Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2010-2011, vol. I *A-L, 2010+, pp. 784-788: 785 (in § 3: Autorità fiorentina: la Crusca, interamente a p. 785).
sfondo storico. Su queste basi Valentín Almirall prima e Enric Prat de la Riba poi fondarono l’ideologia catalanista: il popolo catalano, maggiormente produttivo ed energico rispetto allo spagnolo, non poteva più sottostare al giogo di Madrid. Dopo la perdita definitiva delle colonie nel 1898, questo pensiero si radicalizzò. Le spinte di spagnolizzazione forzata di Primo de Rivera e successivamente di Francisco Franco repressero duramente il catalanismo, le cui ragioni iniziarono ad essere riconosciute a partire dalla Costituzione del 1978.
capitale spagnola si moltiplicavano le bandiere nazionali esposte sui terrazzi delle case. Ma, benché possa sembrare strano di primo acchito, un termometro affidabile di questo dibattito nazionalpopolare può essere la corrida moderna. Essa, nata in Spagna alla fine del Settecento, da sempre è stata oggetto di contenziosi politici: utilizzata per raccogliere fondi in quanto generatrice di denaro, oppure per scopi faziosi, come quando Franco celebrava toreri famosi come Manolete o El Cordobés per ragioni propagandistiche - a cui spesso i matadores non si sottraevano.
Tuttavia, in tempi recenti la Catalogna si è ritagliata un posto di primaria importanza nella cronaca politica, quando il 6 settembre 2017 il Parlamento della Comunità autonoma decise di indire un referendum per separarsi definitivamente dalla Spagna. Azione unilaterale giudicata illegale dall’allora governo centrale, che reagì opponendo la forza ai seggi elettorali considerati abusivi. Non mancarono scontri tra la polizia locale (i Mossos d’Esquadra) e quella spagnola (la Guardia Civil). Le immagini di quei momenti di tensione fecero il giro del mondo, dando risalto internazionale a una questione dalle radici profonde e che forse in Spagna non si è ancora affrontata nella maniera adeguata, vale a dire con un serio negoziato che tenga conto delle spinte centrifughe catalane. Ciò accade perché, probabilmente, all’interno della società iberica sembrano prevalere i poli opposti, senza possibilità di mediazione. Chi scrive ha passato quasi tutto il 2017 a Madrid per motivi di ricerca, ed ha potuto assistere direttamente all’esacerbarsi delle posizioni in merito all’independentismo catalano. Solo un piccolo ma chiaro esempio: con l’avvicinarsi del 1° ottobre 2017, data del referendum, nella
Non a caso la Catalogna si è espressa in maniera chiara a riguardo: nel 2012, dando seguito alla decisione del Parlamento del 2010, sono state abolite le corride - mantenendo però i vari festejos che utilizzano il toro in modo ludico. Ecco quindi un’altra fucina di conflitto (escludendo dall’analisi la ragione animalista): per i catalani, la corrida è mostra del centralismo spagnolo e sua imposizione; per gli aficionados, la Catalogna vuole distruggere la Spagna rifiutando uno dei suoi simboli. L’immagine accanto al titolo (tratta da un articolo di “ABC” on line¹) esemplifica in modo evidente la presa di posizione taurina. Era il 1° ottobre 2017 e si chiudeva la Feria de Otoño a Madrid, ultima festa della stagione dei tori. Quale migliore occasione della concomitanza del referendum per esternare dei “Viva España!”, “Viva la tauromaquia!”, o “España es taurina!”, che risuonavano per tutta l’arena in un tripudio di bandiere spagnole? Così, un’altra volta, la penisola iberica si divideva in un conflitto interno nel quale gli aficionados partecipavano, durante una corrida, esprimendo una chiara opinione. Di certo sarebbe interessante capire se, nello scacchiere
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QUADERNI DI S&F
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l libro esplora le diverse componenti dell’identità sessuale, illustrando la dimensione del sesso (chi sono a livello biologico), dell’identità di genere (di quale genere mi sento), dell’espressione di genere (come esprimo il mio genere) e dell’orientamento sessuale (chi mi piace), illustrando le varianti che esse possono assumere: intersessualità, transessualità, non-conformità di genere e omo/bi/ asessualità. Sulla scena sociale si affacciano, infatti, identità inedite che sfidano le conoscenze comuni e che interrogano le pratiche sociali e istituzionali. Che cosa significa includere queste differenze? L’inclusione è la capacità sociale di una collettività di stare in relazione positiva con le sue parti - i gruppi sociali - che deviano dalla norma, di tenerle all’interno del corpo comunitario riconoscendole e non cercando di espellerle, né di normalizzarle. In sostanza significa innanzitutto riconoscere i processi psico-socio-culturali di costruzione delle differenze e quali significati sono stati loro apposti. Il concetto di omotransnegatività, delineato nel testo, chiarisce come le rappresen-
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politico odierno, sia contemplata una posizione taurina e indipendentista, oppure una maggiormente sfumata, nella quale un catalano - anche non necessariamente integralista, ma magari favorevole a maggiori concessioni da parte di Madrid - possa auspicare il ritorno dei tori nella sua terra. O, al contrario, verificare l’esistenza di antitaurini catalani che si oppongono all’indipendentismo. ▪ * Università di Modena e Reggio Emilia Nota 1. A. Amorós, Feria de Otoño: la tarde del Desastre, “ABC”, 1° ottobre 2017, https:// www.abc.es/cultura/toros/abci-directobautista-y-urena-mano-mano-adolfosventas-201710011616_directo.html (ultimo accesso, 23 luglio 2019).
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ITINERARI DELLA PARITÀ
SULLE DIFFERENZE DI SESSO, GENERE E ORIENTAMENTO tazioni culturali e le pratiche sociali hanno attribuito nel corso del tempo precisi significati negativi a queste varianti minoritarie. In secondo luogo, includere non riguarda solo il contrasto alle discriminazioni ma si prefigura, nella sua realizzazione piena, come valorizzazione delle differenze, ossia come riconoscimento di un valore positivo. Quali sono le azioni più efficaci per promuovere l’inclusione? La tesi principale del libro è quella secondo cui la conoscenza acquisita attraverso un percorso condiviso svolga un ruolo cruciale nei processi di cambiamento individuale e sociale. L’ostilità nei confronti delle persone “altre” (intersessuali/omosessuali/ bisessuali/asessuali/gender non conforming/transgender) non origina da una variabile intrapsichica, bensì da un pregiudizio socialmente costruito e da pratiche sociali e istituzionali diseguali. Ed è su questo fronte che occorre agire, creando occasioni sociali di incontro e confronto per ridurre i pregiudizi, decostruire gli stereotipi e individuare pratiche sociali inclusive. Le persone possono cambiare opinioni e atteggiamenti nel momento in cui hanno l’opportunità di conoscere chi appartiene al target delle loro credenze negative. Le istituzioni svolgono un ruolo chiave per promuovere e agevolare questo incontro, per unire i diversi gruppi sociali e per superare lo stigma e le discriminazioni che invece li separano. Per questo il volume dedica una parte alla formazione in quanto essa possiede la capacità di incidere sia sulle convinzioni personali sia sulle pratiche adottate da un determinato contesto. In particolar modo la formazione promossa all’interno delle istituzioni ha la prerogativa di promuovere il cambiamento di opinioni, di atteggiamenti e di azioni. Nel testo viene presentato un indice di valutazione del livello di inclusione istituzionale, un insieme di quesiti che permettono da un lato di esplorare la
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Margherita Graglia, Le differenze di sesso, genere e orientamento. Buone prassi per l’inclusione, Roma, Carocci, 2019, pp. 224, euro 19.00 situazione istituzionale, mettendo a fuoco le dimensioni principali dell’inclusione e dall’altro di misurare il livello di inclusione raggiunto. Tra le varie buone prassi presentate, trova spazio un esempio innovativo di inclusione, il Tavolo per il contrasto all’omotransnegatività e per l’inclusione delle persone LGBT del Comune di Reggio Emilia, primo esempio in Italia di coinvolgimento di tutte le istituzioni locali, a cui si stanno ispirando altre amministrazioni. Nel 2017 è stato realizzato il Primo Protocollo di intesa sui principi e nel 2019 è stato sottoscritto il secondo, quello operativo, in cui le istituzioni si sono impegnate ad attuare buone prassi, e la formazione al personale è proprio una di queste. L’inclusione non si caratterizza esclusivamente per la presenza di precisi contenuti, ma anche per il metodo adottato, in questo caso quello proposto ai lettori e che costituisce il filo con cui è intessuto il testo è quello maieutico, ossia quel metodo basato sul confronto costante e sull’impostazione di un contesto relazionale fondato sull’ascolto e sulla capacità di gestire il conflitto. Ogni capitolo del testo prevede infatti una parte iniziale e conclusiva costituita da domande, strumento principale del metodo maieutico, con cui si cerca di esplorare il tema proposto. Siamo infatti persuasi che la domanda, spingendoci dal noto all’ignoto, ci aiuti a stare insieme nelle differenze. (Red.)