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COMPLESSITÀ E PLURALISMO DI ROSARIA PIROSA
NERO D’INFERNO
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Nel numero di dicembre della nostra rivista abbiamo dialogato con Elena Papadia, storica dell’Università Sapienza di Roma e autrice di un bel saggio su anarchici e socialisti in Italia intitolato La forza dei sentimenti, edito dal Mulino. L’autrice, tra l’altro, dedica un capitolo all’amicizia, uno all’amore, uno, quello finale, all’odio. Dalle tue ricerche e alla luce del tuo libro, cosa puoi dirci riguardo i sentimenti di queste frange? In altri termini: “Amore e Rivolta”, possono convivere?
I sentimenti hanno un ruolo fondamentale in chi decide di dedicare la vita alla politica, soprattutto se in maniera radicale. La passione guida ogni scelta, anche a discapito della ragione. Nel caso degli anarchici il sentimento predominante era la giustizia. Volevano portare la giustizia in un mondo pieno di ingiustizia; in questo caso l’ingiustizia era dettata anche dalla situazione in cui vivevano gli italiani in USA, sfruttati e vessati. L’amore e l’amicizia era funzionali alla “causa”, e venivano dopo. L’amicizia era intesa come lealtà all’idea e ai compagni. L’amore era più complicato perché chi aderiva al movimento anarchico italiano in America di Galleani e Buda era destinato alla vita in clandestinità e quindi era molto pericoloso, e spesso capitava di pagare conseguenze molto care.
Che cosa è il nero d’inferno? Solo il colore delle scarpe preferito da Buda o una paurosa metafora?
Durante le indagini di ricostruzione di questa vicenda ho scoperto che Buda, che era un calzolaio, aveva la predilezione per la tinta da scarpe chiamata Nero d’inferno. Mi ha affascinato molto questo dettaglio, visto che spesso gli italiani avevano paragonato la loro condizione di vita in USA all’inferno e oltretutto il nero è il colore della anarchia… ▪
ITINERARI DI PARITÀ
“CRONACA” DEL CONVEGNO NAZIONALE “GENERE E R-ESISTENZE IN MOVIMENTO” COMPLESSITÀ E PLURALISMO
di ROSARIA PIROSA *
Il 31 gennaio e il 1° febbraio scorsi si è tenuto a Trento il convegno nazionale “Genere e R-Esistenze in Movimento. Soggettività, Azioni, Prospettive” promosso e organizzato dal Centro Studi Interdisciplinari di Genere e dall’Università di Trento, in collaborazione con il Laboratorio Interdisciplinare per la Qualità e l’Innovazione della Didattica (LIQuID) e il Centro di Alti Studi Umanistici (CeASUM).
La parola chiave del convegno, giunto alla sua sesta edizione, quest’anno è stata “resistenza”. Nell’intervento di apertura dei lavori, Barbara Poggio (Università di Trento), Prorettrice alle Politiche di Equità e Diversità, ha illustrato le motivazioni che si sono poste alla base della scelta di questo termine: “abbiamo cercato una parola dai confini semantici ampi e dai rimandi plurali, anche antitetici, una parola che consentisse di rivolgerci al genere attraverso una prospettiva diacronica”.
Il lemma “resistenza” rimanda, infatti, in un solo movimento, a tutte le “r-esistenze” espresse ed agite dalle soggettività individuali e collettive rispetto alle discriminazioni e alle violazioni, ma sottolinea anche l’urgenza di prendere in considerazione la “resistenza” che l’ideologia antigender ha opposto alle azioni e alle prospettive incentrate sull’eguaglianza e la giustizia sociale. Questa resistenza non è quella che, in coerenza con l’etimologia di derivazione latina, “tiene la forza”, ma quella che “usa la forza”.
Come ha spiegato Barbara Poggio, infatti, le minacce e le pressioni volte ad ostacolare l'attività dei Centri di Studi e di Ricerca sul Genere e delle realtà associative, in Trentino Alto Adige, sono state numerose e si sono estrinsecate in veri e propri attacchi personali. Alessia Donà (Università di Trento), Coordinatrice del Centro Studi Interdisciplinari di Genere, dando il benvenuto ai partecipanti, ha evidenziato che la gender research riveste una posizione secondaria nello spazio accademico e che, in una cultura reazionaria, “l’antigenderismo” può ambire ad incarnare un territorio di sapere alternativo.
Entrambe le relazioni hanno marcato il legame tra la dimensione dell’attivismo e quella del pluralismo metodologico e dell'interdisciplinarietà, come strumenti cardine della conoscenza, della ricerca, del dialogo e del dibattito scientifico.
L'iniziativa, svoltasi al Dipartimento di Sociologia e il Dipartimento di Lettere e Filosofia, si è articolata in quattro sessioni, ciascuna comprendente quattro panels tematici paralleli, per un totale di sedici workshops: “Pratiche di r-esistenza e accademia”; “Generi, r-esistenze e narrazioni”; “LGBTQI+: azioni, pratiche, resistenze nei contesti educativo-formativi”; “Lavoro, genere, carriera: riflessioni ed esperienze”; “LGBTQI+: riflessioni ed esperienze intersezionali”; “Generi, educazioni e contesti scolastici”; “I generi nello spazio medico scientifico: narrazioni e contro narrazioni”; “R-esistenze non binarie: linguaggi e corpi”; “Corpi resistenti: pratiche, costruzioni, identità”; “La Resistenza: le donne negli anni del nazifascismo in Europa”; “Pratiche di r-esistenza e spazi istituzionali”; “Donne, genere, etnia: pratiche e sfide”; “R-Esistenze social: Linguaggi e i nuovi media”; “R-Esistenze urbane”; “Il movimento femminista in Italia: prospettive”; “R-Esistenza e nuovi movimenti: la quarta ondata”. Hanno presieduto i tavoli e moderato il dibattito: Barbara Poggio, Francesca di (Continua a pagina 6)
COMPLESSITÀ E PLURALISMO
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Blasio, Maria Paola Paladino, Alessia Donà, Giulia Selmi, Giovanna Covi, Silvia Gherardi, Maria Micaela Coppola, Chiara Bassetti, Cecilia Nubola, Anna Simonati, Ester Gallo, Elena Pavan, Elisa Bellè. Tra i temi trattati: le disuguaglianze di genere nel sistema accademico e le resistenze nell'implementazione di politiche alternative; il ripensamento della genitorialità a partire dall'irriducibilità della genitorialità omossessuale rispetto a quella eterosessuale; l'inclusione degli studenti LGBTQI+ nei contesti accademici; le esperienze interistituzionali di contrasto all'omotransnegatività; l'adultizzazione nelle pedagogie anti-gender; le pratiche di r-esistenza delle donne straniere nello sviluppo delle carriere professionali; la mancanza di chiarezza teorico epistemologica nel concetto di intersex come base della patologizzazione; il minority stress tra agency e vittimizzazione; la maternità intensiva e il concetto di modern blame nella torsione da welfare a workstate; lo healthism come dispositivo neogovernamentale nella prospettiva intersezionale e la stereotipizzazione di conio liberale; il riflesso dell’eteronormatività sulla narrativa delle pratiche sessuali; la resistenza e il contrasto alla violenza attraverso l’operato dei centri anti -violenza.
Ogni panel ha incluso la presentazione di interventi e forum di discussione che hanno raccolto chiavi interpretative interdisciplinari e linee di ricerca per ogni tematica.
La prima giornata del convegno si è conclusa, in sessione plenaria presso Palazzo Paolo Prodi, con la relazione di Igiaba Scego Black Body in travel. Una prospettiva di genere, nella quale la linguista e scrittrice afro -italiana ha dato un saggio dei percorsi di costruzione dei personaggi e delle “personagge” - ha aggiunto sorridendo - dei suoi libri, nell’intersezione tra vissuto personale, “storie” non consacrate dalla storiografia ufficiale, iconologia e iconografia nell'arte scultorea e pittorica. Per vincoli contrattuali, l’autrice non ha potuto parlare del suo prossimo libro in uscita il 12 febbraio 2020, ma ha posto dei riferimenti importanti alla necessità di superare un modello di cittadinanza nazionale che escluda la rilevanza delle origini e delle pregresse esperienze di vita. Significativo è stato il riferimento all'approccio storiografico “mainstream” sul colonialismo italiano, in cui quest’esperienza viene relegata ad una dimensione circoscritta, “relativizzata” nelle sue conseguenze nefaste sulle popolazioni assoggettate e perpetuata dal mito degli “italiani brava gente”. Altrettanto importante il richiamo alla vicenda dei campi libici e alla necessità di una piena soggettivazione dei migranti, trattati troppo spesso come “oggetti” e non come “soggetti” di studi e narrative. A seguire Carlotta Cossutta ha presentato la rete “GIFTS”, rete degli Studi di Genere, Intersex, Femministi, Transfemministi e sulla Sessualità.
Nella seconda giornata, dopo l’ultima sessione del convegno, si è svolta la presentazione dell’opera GenderBlast e il cappello da Cowboy, pubblicata dalla Casa Editrice Contrabbandiera, con disegni di Michel e Micol Muratori e testo di Maria Micaela Coppola. Si tratta della prima storia a fumetti che intende offrire uno strumento pratico e user-friendly da utilizzare in contesti formativi per riflettere con ironia su stereotipi, pregiudizi e ruoli di genere. I lavori si sono conclusi con l’attesissimo intervento 30 Years of Theorizing Justice di Kimberlé Crenshaw, filosofa e sociologa del diritto, Critical Race Theorist, da sempre attiva nella lotta per la tutela dei diritti. Molto nota anche fuori dai circuiti accademici per aver messo a tema il concetto di intersezionalità, la professoressa Crenshaw
(Harvard University) ha evidenziato le diverse valenze di questa nozione: come term, framework, way of thinking, catching-word, ma anche template e buzzword. L’intersezionalità considera la produzione di disuguaglianze come un fenomeno complesso da interpretare e affrontare a partire dalla pluralità dei fattori e delle condizioni personali e studia le identità in rapporto alle dinamiche escludenti delle relazioni di potere. Dunque, non scompone il soggetto in parti scisse e irrelate tra loro.
Alla luce di alcuni dei significativi passaggi della relazione di Kimberlé Crenshaw, come quella sulle posizioni mediatiche che hanno assimilato l’intersezionalità ad una causa dell’antisemitismo, risulta spontaneo discutere lo statuto della critica “postintersezionale”, posto che “molto di quello che circola come versione critica dell'intersezionalità riflette una mancanza di approfondimento sia della letteratura che ha dato origine a questo pensiero, sia della letteratura successiva”. Kimberlé ha parlato di discriminazione razziale con la profondità scientifica del suo sguardo, ma soprattutto con i volti di donne uccise per il colore della pelle. Il vigore umano, oltreché scientifico, la carica e l'empatia di questa eminente studiosa, hanno reso tangibile l'idea che la ricerca scientifica muore se non si riconduce ad uno slancio verso il cambiamento sociale e a una dimensione di attivismo. E soffre, se ripudia la complessità e il pluralismo come “valore” e come “metodo”. L’esperienza di questi due giorni a Trento hanno rappresentato un passo importante nell'affermazione e nella pratica di questa idea. ▪
*Università di Firenze