Amica internazional numero da collezione 17122016

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* non vendibile separatamente dal Corriere della sera - â‚Ź10 + il prezzo del quotidiano

amica i n t e r n a t i o n a l numero da collezione euro 10,00*

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ARMANI.COM


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editoriale Emanuela Testori

he cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo anno? Per avere una risposta chiara ci vorrebbe un indovino. Il mondo della moda è in trasformazione, ancora non sappiamo dove porterà questo movimento ondulatorio. Si è discusso a lungo di see-now-buy-now, concetto affine a certi marchi, quelli più commerciali, ma non ai veri protagonisti del lusso. Chi ha bisogno di creare sogni, desideri e aspettative male si coniuga con una proposta che vorrebbe mettere in vendita le collezioni appena uscite in passerella. Alcune Maison hanno annunciato che faranno sfilare uomo e donna insieme, soluzione interessante per sottolineare e dare enfasi alla propria immagine e identità. Ma un unico show è realizzabile solo se si ha la forza di rivoluzionare parte della produzione e delle consegne. Impensabile per i più piccoli che si affidano a produttori esterni. Si parla di sfilate/evento (e si sono già viste), alle quali può partecipare anche un pubblico di non addetti ai lavori, pagando il biglietto come a un concerto. Oppure l’esatto opposto: appuntamenti riservatissimi, pochi inviti, pochi posti a sedere, come le vecchie sfilate della couture (Hedi Slimane per l’addio a Saint Laurent aveva utilizzato tutte e due le soluzioni). Blogger sì, blogger no, è un altro grande quesito dopo che Vogue.com si è scagliato con decisione contro questo fenomeno dilagante. Penso che un ridimensionamento sia più che auspicabile: dopo tanta improvvisazione, occorre un ritorno alla cultura e alla professionalità. Inoltre, sarà indispensabile capire che cosa desiderino i millennial 4.0. Alcuni brand si stanno già muovendo con operazioni di marketing mirate su web e social, perché in un futuro sempre più prossimo il cambio generazionale è necessario e sarà premiato chi saprà stimolare l’interesse dei nuovi consumatori. Per concludere, nel 2017 l’incertezza sarà la nuova normalità e non è detto che tutto si risolva in 12 mesi. Il mondo della moda è globale e in continuo divenire: le parole chiave sono “work in progress”.

ai WHAt CAn We exPeCt frOM tHe neW yeAr? We’d need a fortune teller to get a clear-cut answer. the fashion world is being shaken by great changes, and we still don’t know where all this will take us. A lot has been said about the see-now-buy-now phenomenon, a concept related to certain more commercial brands, but not to the real leaders of luxury. those who feel the need to create dreams, desires, and expectations don’t get along too well with a proposition that would like to sell collections as soon as they get off the runway. Some Maisons have announced they’re going to have men and women model clothes together, an interesting idea that stresses one’s image and identity. But a single show can only be set up if one has the strength to revolutionize part of the production and deliveries. this would be unthinkable for smaller companies that rely on outside manufacturers. there’s talk of shows/events (and some have already taken place) where even the general public can take part, paying a ticket to get in the way you would for a concert. Or the exact opposite: highly reserved appointments, very few invitations, not too many seats, just like the couture shows of the past (Hedi Slimane, for his farewell to Saint Laurent, used both solutions). Bloggers yes, bloggers no, is another important issue after vogue.com attacked the widespread phenomenon headon. I think we’re right to hope for a coming back down to earth: after so much improvisation we need to return to culture and professional skills. furthermore, it will be crucial for us to understand what millennials 4.0 want. Some brands are already moving forward with marketing operations aimed specifically at the web and social media, because in an ever-closer future the generational changeover will be vital, and those who know how to arouse the consumers’ interests will be rewarded. In conclusion, in the new year uncertainty will be the new normal, and we can’t say for sure that everything will be resolved within the next twelve months. the fashion world is global and is changing constantly: the key words are “work in progress”.

A M I C A I n t e r n At I o n A l - 2 1




ai sommario 21

Editoriale

30

Contributors

242

Life doesn’t frighten me La vita non mi spaventa

40

poles apart

58

l’età dell’incertezza

foto Cometti

The age of uncertainty

di Matteo Persivale

di Maya Angelou

66

Bisogna emozionarsi We need to get excited di Pietro Cheli

74

timeless

92

i love l.a.

102

la mia musa

foto Nicolas Valois

di Ryan Gattis

My muse

di Chiara Papaccio

24 - A M I C A I n t e r n At I o n A l



ai sommario

108 120

LIFE GOES ON foto Pieter Hugo

Quanta paura

146

All thanks to jersey di Marco De Vincenzo

158

SIMPLE PLEASURES

Dove vola la farfalla

170

Creare ad arte

Where butterflies fly

di Silvia Paoli

132

Grazie al jersey

How afraid

di Stefano Montefiori

126

152

GET FIT

foto Philip Gay

Profumi in T-shirt

Perfume in a T-shirt

di Veronica Eredi e Carla Ferron

2 6 - A M I C A I N T E R N AT I O N A L

foto Fanny Latour-Lambert

Artfully made

di Stefania Romani

176

Il tempo di trovarsi

Time to find oneself di Giacomo Papi

182

BLOOMING COLOURS foto Maud Remy-Lonvis



ai sommario T-shirt Gap. Foto Nicolas Valois. Styling Paolo Turina. Trucco Annabelle Petit per Saint Germain. Capelli Roberto Pagnini per Freelancer. Modella Leila Goldkuhl per Next Milano. T-shirt Gap. Photo Nicolas Valois. Styling Paolo Turina. Make Up Annabelle Petit for Saint Germain. Hair Roberto Pagnini for Freelancer. Model Leila Goldkuhl for Next Milano.

196

Effetto pelle d’oca

The goose bumps effect di Barbara Franchin

202

Da zero a venti

From zero to twenty di Michela Proietti

206 220 228

NEw RENaissaNcE foto Thomas Schenk

still-lifE

foto Enrico Suà Ummarino

Vorrei un “fashion hub” I dream of a “fashion hub”

di Silvia Paoli

234

2 8 - A M I C A I n t e r n At I o n A l

Play it agaiN

foto Catherine Balet, testo Renata Ferri



ai contributors

Catherine Balet - Dipingeva sinché non ha trovato nella fotografia il mezzo per raccontare le trasformazioni della società. Lei, francese, con l’attore argentino Ricardo Martinez-Paz, interpreta foto famose per il libro Looking For The Masters In Ricardo’s Golden Shoes da cui, a pagina 234, è tratto il portfolio. // A painter until she found the means of describing changes in society trough photography. She is French and, with the Argentine actor Ricardo Martinez Paz, interprets famous photographs for the book Looking For The Masters In Ricardo’s Golden Shoes some of which are featured, at page 234, in the portfolio. MarCo De VinCenzo - Nato a Messina nel 1978, ha studiato moda allo Ied di Roma. Appena diplomato è entrato nell’ufficio stile di Fendi. Poi ha deciso di fare il suo brand come scrive, a pagina 152, in Grazie al jersey. // Born in Messina in 1978, he studied fashion at IED in Rome. Straight after graduation he was hired by the style office at Fendi. Later on he decided to create his own brand, which he tells us about, on page 152, in Thanks to jersey. BarBara FranChin - All’alba del nuovo millennio ha avuto un’idea: cercare i talenti emergenti della moda e portarli nella sua città, Trieste, per Its (International Talent Support). Quando succede le viene la pelle d’oca, come racconta a pagina 196. // At the dawning of the new millennium she had an idea: to search for emerging talents in fashion and take them to her city, Trieste, for ITS (International Talent Support) giving her goose bumps, as she tells us on page 196. ryan Gattis - Ha scritto il romanzo Giorni di fuoco (Guanda), uno dei più belli per cogliere Los Angeles, la città dove, spiega a pagina 92, vive con molta passione. // He is the author of All Involved (HarperCollins), a great book if you want to get an idea of the six days of rioting in Los Angeles in 1992, the city where he loves living, as he tells us on page 92. PhiliP Gay - Inglese, cresciuto a Londra (dove ha studiato fotografia), vive tra Parigi e New York. Ama fare ritratti di musicisti e attori ancora da scoprire e servizi di moda con stile sofisticato ed elegante come, a pagina 132, Get fit. // An Englishman, he grew up in London (where he studied photography), and now lives between Paris and New York. He loves creating portraits of musicians and actors yet to be discovered, and fashion features with a sophisticated, elegant style, like, on page 132, Get fit. Pieter huGo - Originario di Johannesburg, classe 1976, vive a Cape Town. Con le sue fotografie, in mostra nei grandi musei internazionali, indaga il rapporto tra identità e differenze in terra africana. Come mette a fuoco, a pagina 108, nel suo portfolio Life goes on. // Born in Johannesburg in 1976, he currently lives in Cape Town. Through photography, on view in major international museums, he explores the relationship between identity and differences in Africa. He tells us how he focuses his lens on page 108, in the portfolio Life goes on.

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ai contributors

Fanny Latour-Lambert - Da bambina dipingeva a Parigi, dove è nata, poi ha scoperto che la fotografia le permetteva di catturare l’attimo. A pagina 158, suo il servizio Simple pleasures. // She painted as a child in Paris, where she was born, and then discovered photography, which allowed her to capture the fleeting moment. On page 158, her work Simple pleasures. SiLvia PaoLi - Vive a Milano da 18 anni, dove osserva (sbalordita) il mondo della moda. Ha il sito lostinfashion.it e scrive di stile e sostenibilità. Per questo Amica International ha dato idee per diversi articoli. // She has lived in Milan since she was 18, where she observes (awe-struck) the world of fashion. She has a website, lostinfashion.it, and writes about style and sustainability. For this issue of Amica International she has contributed her ideas and written several articles. Chiara PaPaCCio - Nomade digitale, forse sta finalmente mettendo radici a Roma. Nasce come giornalista (a Rockstar, E Polis, Rolling Stone Italia, fra gli altri) ritrovandosi, strada facendo, a diventare scrittrice, traduttrice e fotografa. A pagina 102 intervista la cantante LP. // A digital nomad, finally taking root in Rome. She started out as a journalist (at Rockstar, E Polis, Rolling Stone Italia, among other) and has worked as a writer, translator and photographer along the way. On page 102 she interviews the singer LP. GiaComo PaPi - Milanese, classe 1968, scrive libri un po’ pazzerelli: l’ultimo, I fratelli Kristmas (Einaudi), parla di Babbo Natale e famiglia. Lavora come autore alla trasmissione tv Che tempo che fa e per noi si è chiesto che cosa voglia dire trovarsi oggi. La risposta è a pagina 176. // Born in Milan in 1968, he writes crazy books. The most recent I fratelli Kristmas (Einaudi), is about Santa Claus and his family. He is one of the authors of the tv chat show Che tempo che fa and for us he explains what it means to find oneself today. The answer is on page 176. miCheLa Proietti - Perugina, come i Baci, vive a Milano, dove scrive di moda e società per il Corriere della Sera. Qui ha scoperto quanto le piace viaggiare, guardare il mondo e provare a raccontarlo. A pagina 202, sua l’intervista a Marcelo Burlon. // A native of Perugia, just like Baci chocolates, she lives in Milan, where she writes about fashion and society for the Corriere della Sera. This is where she discovered just how much she enjoys travelling, observing the world, and trying to describe it. On page 202, her interview with Marcelo Burlon. maud rémy-LonviS - Nata nel 1988, ancora piccola ha capito che la fotografia era la sua strada. Dopo gli studi a Les Gobelins di Parigi, ha iniziato a muoversi negli spazi vuoti tra minimalismo e costruttivismo, come in Blooming colours, a pagina 182. // Born in 1988, she was still very young when she realized that photography, and particularly the still life genre, would be her path. After studying at Les Gobelins in Paris, she started to move about in the empty spaces between Minimalism and Constructivism, like Blooming colours, on page 182.

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ai contributors

Thomas schenk - Nonostante il cognome, è americano e vive in Austria. Dagli Anni 80 è uno dei più noti fotografi di moda e la inquadra con immagini semplici e pulite, come a pagina 206, in New Renaissance. // Despite his surname, he’s American and lives in Austria. Since the 1980s he’s become one of the most famous fashion photographers, using images that are simple and clean, like on page 206, in New Renaissance. ewen spencer - Vive a Brighton, dove è nato 45 anni fa. Fotografo e regista, è da sempre attratto dalle sottoculture giovanili. L’ultimo progetto, Kick over the statues, racconta L’età dell’incertezza a pagina 58. // He lives in Brighton where he was born 45 years ago. Photographer and film maker he has always been attracted to youth sub-cultures. In his latest project Kick over the statues he talks about The age of uncertainty, on page 58. sTephanie syjuco - Nata a Manila nel 1974, si è trasferita giovanissima in California, dove ha studiato arte. Oggi vive a Oakland e insegna a Berkeley. È presente in musei importanti dal Whitney Museum al Moma con le sue opere, tre delle quali interpretano, a pagina 146, lo spirito dei Profumi in T-shirt. // Born in Manila in 1974, she moved to California when she was still very young, and studied art there. Today she lives in Oakland and teaches at Berkeley. Her work is shown in major museums, from the Whitney Museum to the MoMA, three of which interpret the spirit of Perfume in a T-shirt, on page 146. nicolas Valois - Affascinato da sempre da moda e cinema, si è formato all’École supérieure des beaux-arts di Angers e all’École nationale supérieure Louis-Lumière di Parigi, dove vive. Sua la copertina e, a pagina 74, il servizio Timeless. // Forever drawn to fashion and cinema, he was educated at the École supérieure des beaux-arts in Angers and at the École nationale supérieure LouisLumière in Paris, where he currently lives. He is the author of the cover and, on page 74, feature article Timeless. riccardo Vecchio - Brianzolo di Vimercate, si è trasferito a New York. Qui, con matite e pennelli, è diventato uno degli illustratori più ricercati. Suoi i ritratti di Marco Bizzarri (pagina 66), Diana Verde Nieto (pagina 126) e Carlo Capasa (pagina 228). // A native of Vimercate in the province of Brianza, he moved to New York where he put his pencils and paintbrushes to good use and has since become one of the most sought after illustrators. The portraits of Marco Bizzarri (page 66), Diana Verde Nieto (page 126), and Carlo Capasa (page 228) are just some of his work. Guillaume Zuili - È un parigino di 51 anni innamorato della California dove vive da inizio millennio. E la percorre in lungo e in largo per raccontarla con la sua macchina fotografica. È suo, a pagina 92, l’intenso viaggio dentro Los Angeles. // Born in Paris, 51, and in love with California, where he’s been living since the beginning of the millennium where he travels far and wide with his camera and recounting, on page 92, his intense journey into Los Angeles.

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amica i n t e r n a t i o n a l

Direttore Responsabile

Emanuela Testori (emanuela.testori@rcs.it) Vicedirettore Pietro Cheli (pietro.cheli@rcs.it)

Art Director Anna Capettini (anna.capettini@rcs.it) Caporedattore centrale & beauty Carla Ferron (carla.ferron@rcs.it) Fashion director Anna de Falco (annamaria.defalco@rcs.it) Ufficio centrale Caporedattore Gian Carla Perego (giancarla.perego@rcs.it) Vicecaposervizio Barbara Pietroni (barbara.pietroni@rcs.it) Photo editor Renata Ferri (renata.ferri@rcs.it) Attualità Caposervizio Mariatilde Zilio (mariatilde.zilio@rcs.it) Stefania Romani (stefania. romani@rcs.it) Moda Caposervizio Alessandra de Pinto (alessandra.depinto@rcs.it) Bellezza Cristiana Provera (collaboratore moda e bellezza cristiana.provera@guest.rcs.it) Web Caposervizio Antonella Catena (antonella.catena@rcs.it) Manuel Campagna (collaboratore moda manuel. campagna@guest.rcs.it) Photo production Daniela Ferro (daniela.ferro@rcs.it) Grafica Luca Lacorte (luca.lacorte@rcs.it) Noëla Levi (noela.levi@rcs.it) Ricerca iconografica Cristina Ferrari (cristina.ferrari@rcs.it) Segreteria di redazione Giovanna Ruosi (giovanna.ruosi@rcs.it) Special consultant Patrizia Pilotti (casting) Progetto grafico Antonio Meda (antonio.meda@rcs.it)

Ufficio di Parigi Annalisa Gali Collaboratori Katia Bagnoli, Francesca Bona, Michela Caprera, Claudia Carretti, Gaia De Vecchi,

Marco De Vincenzo, Veronica Eredi, Barbara Franchin, Maddalena Frazzingaro, Silvia Gabrielli, Ryan Gattis, Vanessa Giudici, Viviana Graziano, Stefano Montefiori, Rebecca Muzzioli, Sylvia Notini, Chiara Papaccio, Silvia Paoli, Giacomo Papi, Matteo Persivale, Nik Piras, Michela Proietti, Giulia Querenghi, Helen Richards, Irene Traina, Paolo Turina, Riccardo Vecchio Brand Manager Margherita Pezcoller Advertising Manager Federica Lucchesini Coordinamento Tecnico Chiara Banfi Centro Servizi Fotografici Rizzoli Cosimo Laberinto Ricerche e Immagini Centro Documentazione Rizzoli tel. +39 0225843030 – archivio.periodici@rcs.it

International Editions Maria Francesca Sereni, mariafrancesca.sereni@rcs.it - Content Syndication: press@rcs.it RCS MediaGroup S.p.A., Via Angelo Rizzoli 8, 20132 Milano, tel. +39 0225841, fax +39 0225843677 Ufficio di Parigi, 287 Rue Saint Jacques, 75005 Paris tel. +33 1 46337577; fax +33 1 46337742 Testi e Foto © Rcs possono essere ceduti a uso editoriale e commerciale. Syndication Press Service, Fax +39 0225843672 – www.syndication.rcs.it Responsabile del trattamento dei dati personali (D.Lgs. 196/2003): Emanuela Testori e-mail: amica@rcs.it

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volumi oversize si alternano a silhouette morbide xxl style and light silhouettes

poles Foto Cometti Styling Claudia Carretti

apart


Caban di tessuto tecnico e fascia di pelle, Versus Versace. Sailor jacket, Versus Versace.


Camicia di seta, pantaloni con spacchi e sneakers, Krizia. Nella pagina accanto. Abito asimmetrico di jersey, Louis Vuitton. Silk shirt, trousers and sneakers, Krizia. Opposite. Asymmetric jersey dress, Louis Vuitton.




Top oversize di pelle e pantaloni maschili, Jil Sander. Stivaletti Oxs. Nella pagina accanto. Tutina traforata in tessuto tecnico, Paco Rabanne. Reggiseno e gonna lunga plissĂŠ, Liviana Conti. Oversized shirt and trousers, Jil Sander. Boots Oxs. Opposite. White jumpsuit, Paco Rabanne. Bra and pleated skirt, Liviana Conti.


Spolverino doppiopetto in organza e nappa, Giorgio Armani. Top strech, & Other Stories. Pantaloni di satin, Ilaria Nistri. Nella pagina accanto. Cappotto over in lana e angora, giaccone, top e leggings in jersey stretch, Max Mara. Sneakers Marni. Leather and silk coat, Giorgio Armani. Bra & Other Stories. Trousers Ilaria Nistri. Opposite. Woollen coat, parka, jersey top and leggings, Max Mara. Sneakers Marni.



Gilet di tessuto tecnico, gonna a petali, leggings e sandali, Balenciaga. Nella pagina accanto. Abito lungo in viscosa con rouches, Patrizia Pepe. Top Off White. Vest, shirt, leggings and sandals, Balenciaga. Opposite. Long viscose dress, Patrizia Pepe. Top Off White.




Tuta in crĂŞpe di cotone, Stefanel. Top di pelle, MM6 Maison Margiela. Cotton jumpsuit, Stefanel. Leather top, MM6 Maison Margiela.



Top bustrier stringato in maglia di cotone e pantaloni al ginocchio, Dior. Laced cotton bustier with trousers, Dior.


Giacca senza maniche di seta, kimono ricamato e pantaloni, Alberta Ferretti. Stivaletti Oxs. Nella pagina accanto. Mini bomber di raso duchesse e gonna di jersey, Salvatore Ferragamo. Silk jacket, kimono and trousers, Alberta Ferretti. Boots Oxs. Opposite. Silk flight jacket and jersey skirt, Salvatore Ferragamo.




Pull oversize, baschina di pelle e pantaloni da smoking, CĂŠline. Nella pagina accanto. Trench di cotone, Paco Rabanne. Top in maglia stretch e leggings, Blumarine. Sneakers Marni. Sweater, leather belt and tuxedo trousers, CĂŠline. Opposite. Trench coat, Paco Rabanne. Jersey top and leggings, Blumarine. Sneakers Marni. Fashion assistant Viviana Graziano. Make up Houda Remita for ArtList. Hair Kazue Deki for Calliste. Model Kate Grigoreva at Oui Management.


L’età deLL’incertezza The age of uncertainty

Un presente continuo in cui, insieme alle tendenze, si cancella anche il futuro A continuous present time when, together with trends, the future is also wiped out Testo Matteo Persivale Foto Ewen Spencer

a

nni fa, tra il pubblico di una conferenza del filosofo Bertrand Russell (1872-1970), una vecchietta esasperata si alzò in piedi e disse che tutto quel parlare di scienza e astronomia non aveva senso. Tutti sapevano, spiegò, che la Terra si regge sul dorso di una tartaruga. Il pensatore inglese, divertito, le domandò allora che cosa mai potesse reggere la tartaruga che portava il mondo sul suo carapace. “Altre tartarughe, una sopra l’altra, all’infinito”, rispose con naturalezza, stupita che un famoso professore ignorasse una cosa così ovvia. Osservando le reazioni del pubblico nell’immediato dopo-sfilata, viene da pensare a quella vecchietta. Perché è vero, quanto insensato, sottovalutare dal di fuori la moda (in Italia l’autolesionismo è sport nazionale), un sistema manifatturiero e di comunicazione che specialmente per il nostro Paese è vitale, ma è altrettanto vero che dal di dentro, per gli addetti ai lavori, il senso di estrema incertezza che pervade le giornate è a volte innegabile. Nemmeno l’algoritmo più sofisticato di Google può prevedere con precisione quali

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ai

Le immagini di queste pagine fanno parte della serie Kick over the statues di Ewen Spencer, lavoro sulle sottoculture giovanili britanniche. The images on these pages are part of the series Kick over the statues by Ewen Spencer, on British youth sub-cultures.

MANy yeARs AGO, among the audience of a lecture delivered by the philosopher Bertrand Russell (1872-1970), an exasperated elderly lady, stood up and said that all the talk of science and astronomy made no sense at all. everyone knows, she pointed out, that the earth rests upon the back of a tortoise. The english philosopher was amused, and asked her what could possibly hold up the tortoise that bore the world upon its shell. “More tortoises, endlessly one on top of the other”, she retorted naturally, astonished that a renowned professor could be unaware of such an obvious fact. Observing the reactions of the public immediately after a fashion show has taken place one ends up thinking about that elderly lady. Because it is as true as it is foolish to underestimate fashion from the outside (in Italy self-harming is a national sport), a manufacturing and communication system that is vital especially for our country, but it is just as true that from the inside, for the people in the business, the sense of extreme uncertainty that fills one’s days is at times undeniable. Not even Google’s most sophisticated algorithm


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Gli anni Dieci sono sempre più sfuggenti e difficili da caratterizzare

capi e accessori, in una collezione, venderanno (Karl Lagerfeld, fresco ottantatreenne, è il più giovane di tutti e non a caso ha appena ambientato la sua sfilata parigina primavera/estate 2017 in un centro “big data” di super computer). E tutto l’enorme lavoro di progettazione, design, styling e merchandising poggia in ultima analisi su un elemento impalpabile. Una volta c’era la semplicità delle contrapposizioni, una dialettica che ha fatto crescere la moda italiana da campo artigianal-familiare a sistema industriale globale: l’armonia armaniana contro l’eccesso versaciano degli Anni 80 (con le geometrie di Gianfranco Ferré a fare da arbitro al match), la “estetica del brutto” pradiana che negli Anni 90 ha dettato le regole duellando con la sessualità a metà tra lo Studio 54 e l’antica Roma del Gucci di Tom Ford. In questa seconda decade del nuovo millennio, il paradosso di una crisi finanziaria globale, che ha partorito l’esplosione dei fatturati dell’industria del lusso a livelli mai visti prima, ha condotto con sé, inevitabile, la domanda su quando questa corsa ai record di vendita avrebbe mai rallentato. Perché la moda non è una bolla, ma sono fatti evidenti la saturazione del mercato e la rivoluzione digitale. Due elementi che hanno portato insieme ad altri (come il progressivo sfumare delle differenze di genere nella

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società così come sulle passerelle), da una parte, alla fine delle tendenze - auguri alle costumiste che tra qualche decennio cercheranno di raccontare per immagini, attraverso capi simbolo, questi Anni 10 così sfuggenti e impossibili da caratterizzare - e, dall’altra, alla strada del “see-now, buy-now”, abiti disponibili appena sfilano in passerella. Niente più stagioni ma, soprattutto, niente più idea dell’avvenire: il vecchio sistema, almeno, garantiva che quattro volte l’anno, per l’uomo e per la donna, si potesse sbirciare il futuro, la moda che verrà, non una semplice anticipazione.

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ancellare il futuro e ritrovarsi in un presente continuo dove ogni cosa accade in modo specifico per noi non è un’invenzione del sistema moda, ma una realtà convalidata da sociologia e antropologia (penso a Presente continuo - Quando tutto accade ora di Douglas Rushkoff, Codice Edizioni). Che la moda ne prenda atto è normale, ma credere che possa accadere senza conseguenze è illusorio. Il funerale delle tendenze, se da una parte rende il sistema più elastico e aperto e meno apparentemente schiavo delle ubbie degli stilisti, ha però trasformato questi ultimi nelle vere fashion victim, vittime della moda, sotto pressione del merca-


The 2010s are becoming more and more elusive and difficult to define

can accurately forecast which garments and accessories in a collection will sell (Karl Lagerfeld, a sprightly 83-year-old, is the youngest of all and, not by accident, has just set his Parisian show P/E 17 in a supercomputer, a “big data” center). All the immense work in planning, designing, styling, and merchandising ultimately rests on one intangible element. Once upon a time there was a simple juxtaposition, a dialectic that made Italian fashion grow from a craftsman-family-like sphere to a global industrial system. The Armanian harmony against the Versacian excess of the 1980s (with the geometry of Gianfranco Ferré acting as a referee in the match), the Pradian “aesthetic of the ugly” that in the 1990s laid down the rules, competing with the sexuality mid-way between Studio 54 and the Ancient Rome of Tom Ford’s Gucci. In this second decade of the new millennium, the paradox of a global financial crisis that has delivered a boom to the luxury industry’s turnover to levels never seen before and has brought with it, inevitably, the question as to when this race for record sales would ever slow down. Because fortunately fashion is not a bubble, as market saturation and the digital revolution are evident facts. Two factors that have led, along with others such as the progressive fading of gender differences in society and on the runways are, on the one hand,

the end of the trends - best wishes to the costume designers who in a few decades’ time will try to describe in images the symbol-garments of the noughties that have been so fleeting and impossible to characterize - and, on the other, to the path of the “see-now, buy-now”, garments available as they’re shown on the runway. No more seasons, but above all no more idea of the future. The old system, at least, guaranteed that four times a year, for men and for women, one could take a peek at the fashions to come and not simply a preview. WIPING OUT ThE FUTURE and finding oneself in a nonstop present where everything happens specifically for us is not an invention of the fashion system, but a reality corroborated by sociology and anthropology (Present Shock. When Everything happens Now by Douglas Rushkoff, Current, comes to mind). The fact that fashion has taken account of this is normal, but to think that it can happen without any consequences is an illusion. If, on the one hand, the funeral of trends has made the system more elastic and open and apparently less of a slave to the whims of fashion designers, it has still transformed them into real fashion victims, under pressure from the market, forced to turn out collections, pre-collections, cruise wear, ac-

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La presenza massiccia di celebrity come testimonial rischia di essere dannosa

to, costretti a sfornare collezioni, pre-collezioni, cruise, accessori, eyewear. E tenuti per contratto a seguire le celebrity: non più muse né testimonial ma futuristici, incorporei ologrammi dello stile della Maison da diffondere mediante social media. Con i tappeti rossi della “award season” - che una volta si limitava agli Oscar e oggi dura tutto l’anno, grazie ai festival del cinema globali - trasformati in passerelle portatili, le attrici famose che hanno cancellato le top model di una volta - rese obsolete, da una parte, dallo street style e, dall’altra, dalle attrici che “interpretano” uno stile, perché quello fanno di mestiere - fingono di essere altre persone su un set, recitando una parte scritta da altri (Kate e Naomi e Cindy e Linda e Monica e Stephanie e Tatjana e le altre la sceneggiatura se l’erano scritta da sole, oggi sarebbe impensabile). In un simile quadro ci sta che gli stilisti vengano sostituiti con frequenza imbarazzante, con la tirannia dello styling premiata sul design vero e proprio e con progetti apertamente, per statuto stesso commerciali - il Saint Laurent di Hedi Slimane, Vetements del collettivo di Demna Gvasalia importato poi nella Maison Balenciaga - capaci di diventare non il termometro dell’umore dell’ambiente, ma il termostato che regola le reazioni delle altre aziende (vedi il caso di Brioni by Justin

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O’Shea, buyer esperto di social media che opta per i Metallica come testimonial, la sfilata durante la couture parigina, le vetrine dei negozi in stile vampire con tanto di bara di cristallo per finire l’avventura a meno di sei mesi dalla nomina).

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tyling e merchandising restano importantissimi, per carità, ma non sono un’invenzione nuova: uno degli stilisti più classici di questi decenni, Giorgio Armani, è stato ed è maestro sia dell’uno sia dell’altro, e il tappeto rosso delle star di Hollywood l’ha inventato lui con Jodie Foster all’Oscar 1990, stesso discorso per le fragranze con gli spot di Acqua di Giò girati da David Lynch quasi un trentennio fa. Ma il risultato di tutto questo potere, recentemente affidato al branding, è stato quello di dimostrare - ma ce n’era bisogno? - che la moda è un gioco a somma zero. Quello che si concede al merchandiser viene per forza di cose tolto allo stilista (la separazione Chiuri-Piccioli, con la prima emigrata a Dior e il secondo rimasto a Valentino, ha dimostrato il valore di entrambi: lei maestra di attualissimo branding, lui anima poetica). Perché la moda non gioca a scacchi ma a domino, da quando nacque l’industria del lusso, inventata dal ministro delle Finanze di Luigi XIV, Jean-Baptiste Colbert.


The growing presence of the celebrity endorsement could be risky

cessories, and eyewear. Obliged by their contract to follow celebrities who are no longer muses nor endorsements, but futuristic, bodily holograms of the Maison’s style to be diffused via social media into real time. The red carpet “awards season” which used to be limited to the Oscars but today lasts the whole year ‘round thanks to global cinema festivals, have been transformed into portable runways, with famous actresses replacing the top models of the past who have been rendered obsolete, on the one hand, by street style and, on the other, by actresses who “interpret” a style because that’s what they do for a job pretending to be other people on a set acting out a part written by others (Kate and Naomi and Cindy and Linda and Monica and Stephanie and Tatjana and the others had written the script for themselves, which would be unthinkable today). In a similar picture it is understandable that fashion designers are replaced with rather embarrassing frequency, with the tyranny of styling which is rewarded for true and real design, and with projects that are openly commercial by decree - the Saint Laurent of Hedi Slimane, Vetements by the Demna Gvasalia group, now imported to Maison Balenciaga are capable of being not the mood of the environmental barometer but the thermostat that regulates the reactions of other companies (see the case of Brio-

ni by Justin O’Shea, an expert social media buyer who opted for Metallica as an endorsement, held a fashion show during Parisian couture week, dress and shop windows in vampire style complete with crystal caskets, and whose adventure was put to an end less than six months after his appointment). STyLING AND MErCHANDISING are still very important, rest assured, but they are not a new invention: one of the most classical designers of the past few decades, Giorgio Armani, has been and still is a master, and he invented the red carpet of the Hollywood stars with Jodie Foster at the 1990 Oscars; the same applies to the fragrances with commercials for Acqua di Giò filmed by David Lynch almost three decades ago. But the result of all this power recently entrusted to branding has been to demonstrate - but was there really any need to? - that fashion is a zero-sum game. What we grant to the merchandiser is necessarily taken from the fashion designer (the Chiuri-Piccioli separation with the former migrating over to Dior and the latter remaining at Valentino, has shown the value of both: she is the master of the highly topical branding, he its poetic soul). Because fashion does not play chess but dominos, ever since the luxury industry was born, invented by Louis XIV’s Finance

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ai Cerchiamo la moda per sentirci qualcosa di più, per mitigare la nostra insicurezza We follow fashion to feel something more, to ease our insecurities

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a moda, straordinariamente brava, da secoli, a creare perimetri - e peggio per chi è “out” - scopre alla vigilia del 2017 che quelli disegnati dall’interno possono diventare dei recinti, se non proprio delle gabbie. E sarebbe bello pensare che la chiave per uscire da queste gabbie sia ancora nelle mani dei designer, non dei manager. Di sicuro, però, mostra la corda il martellamento di questi anni fatto dalle Maison sul tema dell’artigianato (non un’idea creativa ma letteralmente di marketing: il testo fondamentale è Authenticity: What Consumers Really Want di James H. Gilmore e B. Joseph Pine II, Harvard Business Review Press). Che avrà avuto qualche limite ma almeno sottolineava una cosa nella quale noi italiani siamo maestri indiscussi: la manifattura. Entrare nella selva oscura del rebranding richiede coraggio ma soprattutto tempo, che non sempre le aziende hanno. Che la vita media dei direttori creativi si accorci ancora di più è possibile ma improbabile e non auspicabile: la resilienza dei marchi di nicchia dimostra se non altro che quello che una volta facevano le case editrici - avere un chiaro punto di vista, un’offerta alla quale i lettori facevano riferimento - ora riesce benissimo alla moda, se è davvero moda e non esercizio di collocamento sugli scaffali di capi “eroici” capaci di tenere in piedi il fatturato. Perché neppure i manager più bravi del mondo possono finora cambiare - con buona pace del marketing basato sulle neuroscienze e testato nei supermarket - una delle cose più belle e interessanti della moda, ma soprattutto la più umana: l’insicurezza. L’insicurezza di noi potenziali clienti, che cerchiamo un abito o un accessorio che ci facciano sentire “più” qualcosa - più giovani, più belli, più ricchi, più alti, più magri, più muscolosi, più desiderabili. Più amati. Visto che essere più “avanti” in un campo che porta subito sullo smartphone e a casa nostra via Ups quello che appare in passerella o sul red carpet, lo “shoppable” diventa davvero complicato. E l’essere “avanti” in un mondo catapultato con sempre più inusitata violenza in quella direzione, collezione dopo collezione, comincia a sembrare elegantemente impossibile.

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Minister Jean-Baptiste Colbert. In this picture exceptions stand out, like Tomas Maier at Bottega Veneta who continues to work on no-logo and celebrates the Maison’s anniversary (50 years with 15 under his management) with a Neoclassical show in Brera. And those who have survived for over a decade at the helm of a company that is not theirs, like Riccardo Tisci at Givenchy, thanks to their innate ability to marry style and invention with the capacity to articulate a brand that changes its shape, whilst maintaining in the same field high fashion, hip-hop, the world of youth, and that of the streets. The man who - as Vanessa Friedman wrote in The New York Times - has transformed Milan into “Guccitown”, Alessandro Michele, is the fashion designer of the moment, for in 18 months he has accelerated and then slowed down on the genderless style starting from solid colours he first blew up zoological prints and later florals, wavering between punk and the Pre-Raphaelites, anchoring all the styling in a poetic idea that is so personal it is hard to imitate and bordering on the autobiographical. FAsHIoN, ExTRAoRDINARILy CLEVER for centuries in creating perimeters and too bad for whoever’s “out” - discovers on the eve of 2017 that the perimeters drawn from the inside can become fences, if not even cages. It would be nice to think that the key to escaping from these cages is still in the hands of the designers, not the managers. What’s certain, though, is that the emphasis placed in these past few years on the topic of craftsmanship (not a creative idea but literally a marketing one: the seminal text is Authenticity: What Consumers Really Want by Gilmore & Pine, Harvard Business Review Press) is looking rather worn. It may have had some flaws but at least it stressed that manufacturing is something we Italians are absolutely masters in. Entering the dark woods of rebranding calls for courage but above all time, which companies do not always have. The fact that the average life of creative directors is getting shorter and shorter is possible but unlikely and not something we are hoping for. The resilience of niche brands shows, if anything, that what the publishers once did of having a clear point of view, and a supply that the readers could refer to – now works very well for fashion, if it really is fashion and not an exercise in putting “heroic” garments on shelves, capable of keeping turnover on its feet. Because not even the best managers in the world can change from this moment on - never mind marketing based on neuroscience and tested in supermarkets -one of the most beautiful and interesting things in fashion, and above all the most human: uncertainty. The uncertainty of us the potential client, who look for a dress or suit or an accessory that will make us feel “something more” younger, more beautiful, richer, taller, more muscular, more desirable and more loved. seeing that in order to get “ahead” in a field that leads right to our iPhone and to our home via Ups what appears on the catwalk or on the “shoppable” red carpet becomes truly complicated. And to be “ahead” in a world catapulted with evermore unrestrained violence in this direction, collection after collection, is starting to seem elegantly impossible.

traduzione di Sylvia notini - KiCK over the StatueS waS CommiSSioned by a PhotoworKS and FabriCa

In questo quadro spiccano più le eccezioni, come Tomas Maier a Bottega Veneta che continua a ragionare sul no-logo e celebra il compleanno della casa (50 anni, 15 sotto la sua direzione) con una sfilata neoclassica a Brera. E chi resiste da oltre un decennio a capo di un’azienda non sua, come Riccardo Tisci a Givenchy, lo fa grazie alla qualità innata di coniugare l’invenzione dello stile con la capacità di elaborare un branding che cambia continuamente forma, mantenendo nello stesso campo l’Alta Moda, l’hip-hop, il mondo dei ragazzi e quello della strada. L’uomo che - come ha scritto Vanessa Friedman su The New York Times - ha trasformato Milano in “Guccitown”, Alessandro Michele, è lo stilista del momento perché in 18 mesi ha accelerato e poi rallentato sul genderless, partendo dalle tinte unite ha fatto esplodere le stampe prima zoologiche e poi floreali, facendo lo slalom tra punk e preraffaelliti, ancorando tutto lo styling a un’idea poetica difficile da imitare proprio perché personalissima, ai limiti dell’autobiografia.


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BISOGNA EMOZIONARSI We need to get excited

E anche rischiare. Così il Ceo di una Maison storica spiega le evoluzioni del lusso And take chances. The Ceo of a heritage brand explains the evolution of luxury Testo Pietro Cheli Illustrazione Riccardo Vecchio

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ccupa uno spazio importante. A partire dalla statura, quasi due metri. Marco Bizzarri è un Ceo, traduzione in sigla di “amministratore delegato”, tra i più quotati nel mondo del lusso. Grazie a quelli come lui, i talenti sbocciano e fanno tendenza. L’ultimo è Alessandro Michele, il direttore creativo di Gucci da gennaio 2015. Per guardare al futuro, non solo prossimo, è l’uomo perfetto.

HE OCCUPIES AN IMPORTANT SPACE. Starting with his height, he’s almost two metres tall. Marco Bizzarri is a Ceo and one of the most esteemed in the world of luxury. Thanks to people like him, talents blossom and set trends. The most recent of these being Alessandro Michele, Gucci’s creative director since January 2015. When it comes to looking to the future, and not just the near future, he’s the perfect choice.

Che cosa è il lusso?

What is luxury?

Non può esserci una definizione statica. Avere tempo per una passeggiata in centro? O entrare in un negozio, anche se abbiamo già tutto. Lo scenario esterno, i comportamenti e la cultura condizionano tutto e, quindi, anche la percezione del lusso, che deve toccare aspetti emozionali. Quando esci senza pentimenti da quello store con un bellissimo abito,

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There isn’t a single fixed definition. Is it having time to take a walk around the city? Or going into a store when you don’t need anything? Outside scenarios behaviour, and culture influence everything, including the perception of luxury which must touch on emotions. When you leave that store with no regrets of not having bought a beautiful outfit, then you also connect it to


MARCO BIZZARRI Nato a Rubiera (Reggio Emilia) nel 1962, si è laureato in Economia e Commercio a Modena. Dal 2005 fa parte del gruppo Kering dove, da presidente e amministratore delegato, è stato fondamentale per il successo di Stella McCartney dal 2005, di Bottega Veneta dal 2009 e di Gucci dal 2014.

MARCO BIZZARRI Born in Rubiera (Reggio Emilia) in 1962, graduated in Economics in Modena. Since 2005 he has been part of the Kering group where as chairman and Ceo he was critical to the success of Stella McCartney from 2005, Bottega Veneta from 2009 and Gucci from 2014.

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ai Non possiamo fare a meno dei direttori creativi: sono loro che fanno vivere il sogno We can’t do without creative directors: they make dreams come alive poi lo colleghi anche al momento in cui l’hai comprato, alla persona che te l’ha venduto o te l’ha regalato. Non è solo questione di finezza di realizzazione, l’esperienza è più bella se c’è chi ti ha sorriso. È quello che chiedo a chi lavora con me, non soltanto nei negozi.

the moment you bought it, to the person who sold it or gave it to you. It’s not just a question of fine craftsmanship, the experience is more memorable if it also involves someone who smiled at you. This is what I ask of those who work with me, not just in stores.

In poco tempo ha rivoltato Gucci: quale equilibrio tra heritage e visione?

In a very short time you’ve turned Gucci upside down: where do you strike the balance between heritage and vision?

Quando sono arrivato, Gucci stava dando troppa enfasi all’heritage. È un aspetto meraviglioso, ma è soltanto una parte del bagaglio culturale di una Maison, che ha sempre partecipato a un gioco più ampio: la “fashion authority”. Che vuol dire creare costantemente innovazione. Soprattutto quando ti ispiri e disegni, devi guardare avanti. Ho avuto questo incarico mentre il mercato era fermo: sarebbe stato facile guardarsi indietro, ma ho pensato che fosse più giusto rischiare. Quando ho incontrato Alessandro Michele era vestito in modo totalmente contrario all’estetica del momento. E ho visto Gucci del futuro.

When I arrived, Gucci was putting too much emphasis on heritage. Which is great, but it’s only part of the cultural assets of a brand that has always played a bigger game: as an authority in fashion. It means constantly creating innovation. Above all when you’re inspired and you’re a designer, you have to look forward. I was given this job when the market was at a standstill. It would have been easy to look back, but I thought the right thing to do was to take a risk. When I met Alessandro Michele, he had a totally different look from the aesthetic of the moment, and I saw the Gucci of the future.

Tutto è stato veloce.

The first move involved asking him in January to create a menswear collection in just five days, to send out a signal that we were willing to take a chance. The second involved maintaining cohesion until the collections arrived. In February we held the womenswear fashion show and between June and July the campaign began, and while we were producing clothes and accessories we were working on the website, packaging, and stores. In the meantime, I toured the Gucci world to explain our new vision. The strategies which had started out together arrived at different times and what I saw overall was a pro-active company. This is the only way a long-established brand can look forward.

La prima mossa è stata chiedergli di realizzare a gennaio, in cinque giorni, una collezione, quella maschile, per dare un segnale che eravamo disposti a rischiare; la seconda prevedeva di mantenere coesione finché le collezioni non fossero arrivate. A febbraio c’è stata la sfilata della donna, tra giugno e luglio è partita la campagna e, mentre producevamo abiti e accessori, abbiamo lavorato su sito, packaging e negozi. Nel frattempo ho girato il mondo Gucci per spiegare la nuova visione. Le strategie, partite insieme, sono arrivate in tempi diversi: in tutto questo ho visto un’azienda reattiva. Solo così un brand storico guarda avanti. Si può fare a meno dei creatori?

It all happened very fast.

Can we do without creators?

Mai, ma bisogna trovare l’alchimia perfetta. Ci vuole sintonia tra il Ceo e il creatore. Con Alessandro definisco gli obiettivi, poi lui segue il percorso. Giusto così: non ho la competenza, ma posso dargli le risorse. Avrei potuto scegliere un nome sicuro per stare tranquillo. Giocare “safe” è pericoloso perché il prodotto rischia di essere soltanto merchandising, bisogna che le strategie produttive e commerciali appoggino le scelte creative.

Never, but you need to find the right chemistry. There has to be synergy between the Ceo and the creator. With Alessandro we mapped out our objectives, then he followed his own path. That’s right: I don’t have the know-how, but I can give him the resources. I could have chosen a safer name and have had less to worry about. Playing safe is dangerous because the product risks just being merchandising. The productive and commercial strategies need to support the creative choices.

Tom Ford, che negli Anni 90 ha dato una forte svolta a Gucci, ce lo ricordiamo tutti ma, se non lo avesse chiamato Domenico De Sole, oggi forse non lo conosceremmo.

We all know that in the 1990s Tom Ford brought sweeping changes to Gucci, but if Domenico De Sole hadn’t hired him, perhaps today we wouldn’t know who he is.

Della nostra svolta sarà ricordato Alessandro Michele e non Marco Bizzarri. È giusto che sia così nel nostro mondo, dove è importante chi crea i sogni. Tutto quello che c’è fuori, dalla “supply chain” (catena di distribuzione, ndr) alla gestione dei negozi, è noioso ma senza queste cose la creatività di Alessandro va a farsi friggere. Ripeto, ci vuole sintonia perché bisogna portare i prodotti nel tempo, nei modi e con i prezzi giusti nei negozi.

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As with our transformation, people will remember Alessandro Michele and not Marco Bizzarri, which is the right thing in our world where the important names are those people who create dreams. Everything that’s outside, the supply chain, how I manage our stores, is boring, but if they didn’t exist, Alessandro’s creativity would be pointless. Let me say it again, you need synergy because you have to carry products over time, in style, and with the right price to the stores.


milano - via santo spirito, 22

duvetica.it


ai Vedo nuovi marchi con potenziale, ma oggi si cresce solo dentro i grandi gruppi I see brands with potential, but today you need the big companies to grow In questi tempi viene messa in discussione l’iperproduzione.

These days hyperproduction is the subject of much debate.

Quando sono arrivato si discuteva se chiudere il 40 per cento dei laboratori perché gli ordini erano in calo. Poi, sono scaturite così tante idee che hanno dovuto lavorare tutti di più. Bisogna creare novità e curiosità e fare in modo che quello che si realizza non sia copiabile. Nel 2015 abbiamo passato le vecchie collezioni agli outlet. Ci è servito per tenere a posto i conti in attesa che si concretizzasse la nuova strategia. Oggi abbiamo il problema di non riuscire a consegnare quanto richiesto ai negozi. Apriremo tra il 2017 e il 2018 uno stabilimento in Toscana e siamo a caccia di laboratori.

When I got here there was discussion about closing 40% of the workshops because demand was falling. Then so many ideas popped up that the workshops had to work even more. You need to create something new and unusual and do what’s necessary to make sure that what’s produced can’t be copied. In 2015 we sent our past collections to the outlets. It helped us to balance the books as we waited for the new strategy to be implemented. At present we’re struggling to deliver what the stores need. Between 2017 and 2018, we’ll be opening a new plant in Tuscany and we’re on the hunt for workshops.

Il lusso è un settore industriale, dove l’artigianato è fondamentale. Un rapporto tra grande e piccolo è sempre necessario?

Luxury is an industrial sector where craftsmanship is essential. Is the relationship between large and small always necessary?

È un momento di maturità in questo settore e, chiaramente, ci sono barriere. Per capirci: se a Milano non apri in via Montenapoleone sei fuori dal gioco, ma anche se non riesci a prendere i migliori artigiani sei fuori dal gioco. Perché fanno fatica a nascere nuovi brand?

Ci sono nuovi, piccoli brand con grandi potenziali e belle strategie, ma fanno molta fatica a superare quelle barriere. Penso ad Aquazzurra, che può diventare un nuovo Jimmy Choo o Louboutin: la partenza dipende sempre dalla creatività, ma per fare il salto, oggi, questo non basta. Soltanto i grandi gruppi hanno le forze. Vede più un restringimento nella nicchia o uno scivolamento verso il “fast fashion luxury”?

Il livello di complessità delle collezioni tiene lontano dal fast fashion, perché bisogna produrre bene. L’unica parte per cui ha senso l’heritage è l’artigianalità. In Toscana c’è un savoirfaire tale per cui la qualità, di cui abbiamo bisogno, si può avere solo lì. Senza il territorio non saremmo un’azienda mondiale: chi perde le radici prima o poi sparisce. Che cosa pensa della formula “see now, buy now”?

Mi domando se chi la invoca abbia mai chiesto ai consumatori se siano interessati. In ogni caso, con tutto quanto c’è in giro perché si dovrebbe comprare quello che ha appena sfilato in passerella? Chi ha deciso di fare questa cosa tra due anni andrà giù. Come chi dice: “Facciamo le sfilate per i capi basici”. Ma che senso ha? A proposito delle sfilate, c’è grande movimento: voi e altri avete annunciato di proporre uomo e donna insieme. Evolveranno in show a pagamento?

Non tutti i brand pensano a uomo e donna insieme. Per noi adesso è una scelta naturale. Questa è un’epoca di troppe sfilate, il calendario è pieno, sembra ci sia l’ossessione per un evento che invece deve essere il pinnacolo della creatività, il primo momento di comunicazione per raccontare che cosa stai facendo. Quanto al pubblico le rispondo con una domanda: perché far pagare un biglietto per 15 minuti di show?

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This is a time of maturity for the sector and, clearly, there are obstacles. What I mean is that if in Milan you don’t open a store in Via Montenapoleone you’re left sidelined, but if you don’t succeed in getting the best artisans to work for you that also leaves you behind. Why do these new brands struggle so much to take off?

There are small new brands with great potential and excellent strategies, but they have a hard time overcoming these hurdles. I’m thinking of Aquazzurra, which could become the new Jimmy Choo or Louboutin. The start always depends on creativity, but today to make the leap forward that’s not enough. Only major groups have the strength. Are you seeing a narrowing of the niche, or a shift towards fast fashion luxury?

The level of complexity in the collections keeps us away from fast fashion; what we need is good production. The only part where heritage makes sense concerns craftsmanship. In Tuscany there’s such a high level of expertise that the quality we need can only be obtained there. Without the region we would not be a international company. Those who give up their roots sooner or later vanish. What do you think of the formula “see now, buy now”?

I wonder whether those who have embraced it have ever asked the consumer whether or not they’re interested. In any case, with everything that’s available why should anyone need to buy what they have just seen on the runway? Whoever invented this phenomenon will go under in a couple of years. It’s like those who say, “we do fashion shows for basic apparel”. That makes no sense at all. As for the fashion shows, there’s lots of movement: you and others have announced your plan to put men and women together. Will they evolve into fee-paying shows?

Not all the brands are thinking putting men and women together. For us it’s a natural choice. This is a time when there are too many fashion shows, the calendar is chock-full, it seems people are obsessed with an event that should instead be the pinnacle



ai Il rapporto con i negozi multibrand è decisivo: mi piace sgomitare per conquistare lo spazio Link with multibrands stores is crucial: I like fighting for space

C’è grandissimo scambio di opinioni tra Carlo Capasa, presidente a Milano, e Ralph Toledano, suo omologo a Parigi. So che stanno dialogando anche con New York. Quanto alla visione aziendale, sono arrivato qui dopo essere stato a Bottega Veneta: due esempi di brand italiani molto importanti. E devo dire che l’autonomia data dal gruppo Kering a Ceo e direttori creativi è veramente illuminante. Stiamo investendo tanto in Italia, offrendo lavoro a moltissime persone e dando ancora più forza all’italianità. Chapeau ai gruppi francesi. Dal punto di vista strategico e di visione sono più avanti, ci sono tantissimi brand del Belpaese che sono rimasti soli e non riescono a stare al passo o a creare un passaggio generazionale. Il rapporto con i negozi è ancora fondamentale?

È decisivo, con i nostri e con i multibrand: perché ti fanno capire chi sei. A me piace sgomitare per conquistare lo spazio e una visibilità migliore rispetto ai concorrenti. Quando il consumatore sceglie, ottieni giuste informazioni. Per questo non credo sia vincente vendere solo in negozi propri: attualmente l’80 per cento di ciò che realizziamo si trova da noi, uno split che va bene. E con la Rete?

Nel 2002 Gucci fece l’e-commerce, oggi abbiamo relazioni con i maggiori player, da Net-A-Porter e Mytheresa, che ci fanno ordini su prodotti specifici, ma il nostro sito è l’unico posto dove si trova tutta la collezione. Lo sconto è una politica da seguire o svilisce il prodotto?

Abbiamo deciso lo scorso giugno di eliminare le “vendite public” per tutte le collezioni firmate da Alessandro Michele. Non facciamo più svendite, certo manteniamo gli outlet, dove tutto entra con molto ritardo. Chi va lì cerca lo sconto ed è disposto ad aspettare, chi va al “full prize” vuole la novità. C’è posto nel lusso per ragazzi non creativi in cerca di lavoro?

Certo, c’è posto per ragazzi e in generale per gente disposta a muoversi, a essere curiosa. Laureati in scienze sociali o in economia che sappiamo lavorare insieme e - a ciò tengo in particolare modo - che siano educati. Questo settore è conosciuto come un ricettacolo di matti, che si svegliano tardi perché lavorano senza orario, a cui si chiede di essere sempre a disposizione. Se c’è una cosa che ho imparato è che senza rispetto non c’è creatività. Torniamo al sorriso.

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of creativity. The first moment of communication when we can describe what we’re doing. As for the public, allow me to respond with a question: why buy a ticket for a 15-minute show? Milan and Paris are close but rivals. You’re managing an Italian company that’s part of a French group. Is a common strategy between the two fashion chambers possible?

There’s a lively exchange of opinions between Carlo Capasa, president in Milan, and Ralph Toledano, his counterpart in Paris. And I know for sure they’re talking to New York as well. As for company vision, I arrived at Gucci after working for Bottega Veneta: both examples of important Italian brands. And I must say that the autonomy afforded by the Kerin group to Ceos and creative directors is truly enlightening. We’re investing a lot in Italy, providing work for lots of people and bolstering the idea of Italian character. Hats off to the French groups. In terms of strategy and vision they’re ahead of us, there are a lots of Italian brands that have been left standing alone who haven’t kept abreast of things or create a generational transition. Is the relationship with the stores still crucial?

It’s essential, both with ours and those of the multibrands. They above all help you to understand who you are. I like pushing my way through to conquer space and better visibility in relation to my competitors. When the consumer makes a choice, you get the right information. This is why I don’t think it’s a good thing to limit sales to the brand’s space. Right now we have 80% of what we produce in our stores, a share that can work. What about the Web?

In 2002 Gucci embraced e-commerce, and today we have relationships with the major players, from Net-A-Porter to Mytheresa, who make huge orders for specific products, but our Website is the only place where you can find the whole collection.

Should discounts be a policy to pursue or do they undermine the products?

Last June we decided to eliminate public sales for all the collections designed by Alessandro Michele. No more discounts. Of course, we support the outlets, where everything appears very late. People who shop there are looking for discounts and are willing to wait. Those who prefer the full price want something new.

Is there room for young people looking for a job who are not creatives in the luxury sector?

Of course, there’s room for young people and in general for anyone willing to travel, people who are curious. Young people with degrees in the social sciences or in business who know how to work with others and - this is very important - are wellmannered. This sector has a reputation for employing people who are crazy, who get up late because they have no schedule, because we ask them to be available at every hour of the day or night. And if there’s one thing I’ve learned, it’s that you can’t have creativity without respect. We’ve gone back to the smile.

traduzione di Sylvia notini

Milano e Parigi sono vicine ma avversarie. Lei guida un’azienda italiana che fa parte di un gruppo francese. È possibile una strategia comune delle due Camere della Moda?



l’eleganza non ha barriere elegance without borders Foto Nicolas Valois Styling Paolo Turina


Abito asimmetrico in organzino di seta con ricamo metallico, Louis Vuitton. Asymmetric silk dress, Louis Vuitton.



Abito in shantung di seta patchwork tagliato a vivo, Dondup. Nella pagina accanto. Body in maglia di cotone e gonna in doppio crĂŞpe, Salvatore Ferragamo. Patchwork silk dress, Dondup. Opposite. Jersey bodysuit and crĂŞpe skirt, Salvatore Ferragamo.


Tailleur oversize di lino e camicia in popeline, CĂŠline. Sandali Valentino Garavani. Nella pagina accanto. Top senza maniche di cavallino e gonna in crĂŞpe pesante, Bally. Per lui. Maglia, pantaloni e sandali, Marni. Linen suit and cotton shirt, CĂŠline. Sandals Valentino Garavani. Opposite. Leather top and silk skirt, Bally. Him. Sweater, trousers and sandals, Marni.




Abito in creponne di seta con bordi di marabĂš, Prada. Per lui. Pantaloni Jil Sander. Silk dress trimmed with marabou, Prada. Him. Trousers Jil Sander.



Abito stretch doppiato di tulle, Pinko. Stretch dress, Pinko.



Lungo chemisier di viscosa e pantaloni, Alberto Biani. Shirt dress with trousers, Alberto Biani.



Tunica di lino e cotone con spalle imbottite, lunghe maniche e shorts, Jil Sander. Sandali Valentino Garavani. Nella pagina accanto. Abito di cotone sfumato e camicia, Jil Sander. Oversized linen shirt and shorts, Jil Sander. Sandals Valentino Garavani. Opposite. Cotton suit and shirt, Jil Sander.


Dolcevita di seta a coste e gonna in tessuto tecnico, Bottega Veneta. Nella pagina accanto. Tunica di crĂŞpe a maniche lunghe, Valentino. Per lui. Pantaloni sport di jersey, Valentino. Silk turtleneck and skirt, Bottega Veneta. Opposite. Silk tunic, Valentino. Him. Sporty jersey trousers, Valentino.



Abito in organzino di seta drappeggiato, Fabiana Filippi. Sandali Valentino Garavani. Per lui. Camicia di cotone, Jil Sander. Silk dress, Fabiana Filippi. Sandals Valentino Garavani. Him. Cotton shirt, Jil Sander. Fashion assistants Francesca Bona and Giulia Querenghi. Make up Annabelle Petit for Saint Germain. Hair Roberto Pagnini for Freelancer. Models Leila Goldkuhl at Next Milano, Paul Alexandre Haubtmann at Marilyn.



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Fiction

I love l.A.

Uno scrittore si avventura nella cittĂ piĂš cool della nostra epoca A writer ventures into the coolest city of our time

Testo Ryan Gattis Foto Guillaume Zuili

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Old Fox Theater, Los Angeles.

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Prestige auto, Los Angeles.

Andare in autobus è il modo più rapido ed efficace per conoscere non solo la geografia. È un colpo d’occhio senza limiti sui comportamenti degli abitanti

S

to ascoltando musica punk mentre aspetto il bus al solito posto, a san pedro, sulla pacific all’angolo con la settima. a los angeles sono quasi le dieci, ma il caldo si fa già sentire e le porte dell’ufficio tributario alle mie spalle sono aperte, nella speranza di intercettare una brezza. all’incrocio, l’interno del centro culturale croato è ancora immerso nel buio. sul lato opposto della settima c’è un’agenzia di pegni - “casa de empeño” sta scritto sulla tenda - che avrebbe chiuso l’attività la settimana scorsa. almeno così c’era scritto su un foglio di carta appiccicato sul vetro della porta. adesso però il foglio non c’è più, le serrande di metallo sono alzate e la porta è aperta. Benché sia pieno giorno, il neon “7 days” nella vetrina è ancora acceso. Questa agenzia di pegni si trova proprio di fronte alla fermata del mio autobus. la guardo come guardo il murale sul negozio di magliette in fondo alla strada, con il suo ponte nero fatto a spruzzo, una specie di pausa visiva, ecco, quando non sto guardando la gente. come una pausa musicale, si potrebbe dire. abbiamo bisogno di queste pause per non venire sopraffatti, perché non ci sia soltanto caos nel nostro campo visivo. E io ho bisogno delle persone. Ho bisogno di vederle e di cercare di capirle, di capire che tipo di vita fanno. mi libera la mente. dipende dal quartiere, ma andare in autobus è il modo più rapido per rendersi conto di come sia l.a. per i suoi abitanti, soprattutto per gli ultimi della scala sociale. È importante vedere le persone. Quante più possibile. in pubblico. dove si impongono regole di condotta che non tutti rispettano. ad alcuni non sono state insegnate. c’è chi le rifiuta. altri non sono in grado di rispettarle. passare del tempo fra sconosciuti, di cui non ti puoi fidare, ti mantiene lucido, sempre all’erta, e per questo non c’è niente di meglio degli autobus di l.a. stracolmi di una così grande varietà: persone di tutti i tipi… di tutti i popoli, che parlano tutte le lingue, gente sana e gente disabile. in nessun altro luogo della terra vedrai un’eterogeneità più ampia di persone, e come la contea ne smussa gli spigoli o manca loro di rispetto.

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We buy guns, Los Angeles.

Riding the bus is the quickest and most effective way of figuring out the city and the people

I’

m listEning to somE punk rock and waiting for the bus where i always wait for the bus, on pacific where it meets 7th in san pedro. it’s getting near ten in los angeles, but the heat is already up, and the doors to the tax place behind me are open, hoping to catch a breeze. on the intersection’s far diagonal, the croatian cultural center still looks dark inside. across 7th from that is a pawnshop - “casa de empeño”, it says on the awning - that was going out of business last week. a piece of paper taped to the glass of its door said so. now, though, the paper is gone, the metal shutters are rolled up, and the door is open. it’s daytime, but the neon of “7 days” is lit up in the window. this pawnshop faces my bus stop. i look at it about as much as i look at the mural on the t-shirt shop down the way, and its black, spray-painted bridge, which is to say, like some sort of visual pause when i’m not looking at people. a rest, you could call it, like in music. You need those rests not to get overwhelmed, so not everything you’re seeing is chaos. and i need people. need to see them and try to read them, try to figure out what their lives are like. it gets me out of my own head. depends on the neighborhood, but riding the bus is the quickest way to figure out how l.a. is for everybody, especially those on the bottom. it’s important to see people. as many as possible. in public. under a social contract of manners that not everybody honors. some never got it taught to them. some don’t want to. others aren’t capable. spending time around strangers you’re not so certain about keeps you sharp, keeps you paying attention at all times, and nothing’s better for that than l.a. buses packed with a spectrum of riders: all kinds of everybody-every race, every language speaker, able-bodied and disabled, too. nowhere else on earth are you going to see a wider variety, or how the county melts them at their edges or sands them down. like right now, i’m not even on the bus yet, and a guy walks up with a limp, wiping sweat off the

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ai Ascoltare e guardare con attenzione chi ti sta accanto è quanto mai necessario. Anche perché aiuta a evitare situazioni spiacevoli Per esempio, non sono ancora salito sul bus e un tipo si avvicina zoppicando, asciugandosi con la mano il sudore sulla nuca. È vestito extra largo e cascante. Jeans così lunghi che, più che formare un risvolto, gli si ammucchiano sulle scarpe. Una maglietta nera a maniche corte sopra una bianca a maniche lunghe. Vestiti ereditati dal fratello maggiore, o ricevuti in beneficenza. Catenina sottile intorno al collo scarno. Testa rasata. Occhi molto malconci. Il destro. Ha preso un pugno, o fatto una brutta caduta, è evidente. Quell’occhio ha smesso di vedere il mondo. L’altro, però, fa gli straordinari, e si accorge che lo sto guardando. Il tipo contorce il corpo per guardarmi meglio, per avermi alla sua sinistra. Sul lato dell’occhio sano. Mi valuta. Spengo la musica ma non mi tolgo l’auricolare. Armeggio col cellulare, cancello le e-mail, faccio davvero qualcosa, non fingo. Non temo niente da lui. E perché lui lo sappia, mi sposto, raddrizzo le spalle e lo fronteggio, per dirgli che so che mi sta guardando, e fargli sapere che lo sto tenendo d’occhio, e se necessario sono pronto a reagire. Perché sul collo ha dei tatuaggi, probabilmente fatti alle case popolari giù in fondo a First Street, Rancho San Pedro, ma non posso esserne sicuro. Anni fa sono stato aggredito a una fermata dell’autobus, non a Los Angeles, ma mi ha lasciato il segno. Continua a determinare la mia lettura di ciò che può accadere fra due estranei. Ho cercato di calmare quello che mi aveva assalito, anche dopo un calcio così forte nello stinco che il livido mi è rimasto per un mese, anche mentre sputacchiandomi addosso minacciava di uccidermi, anche mentre il suo compare cercava di prendermi alle spalle per colpirmi con una bottiglia e io continuavo a girare lentamente in tondo, in modo da tenere il pericolo nella mia visuale periferica. Comunque non furono le mie parole a impedire ai due di sfondarmi la testa. Fu lo sguardo che diedi al pitbull alto poco più di un metro e mezzo. Uno sguardo che diceva: “A meno che tu non abbia una pistola o un coltello, niente può farmi soffrire più di quanto abbia già sofferto, e anche così...”. Fu l’“anche

Keep your wits about you to avoid bad situations back of his neck with his hand. He’s wearing real baggy clothes. Jeans so long they don’t cuff, so much as sit piled up on his shoes. A black short sleeve shirt over a white long-sleeve. They’re older brother clothes, or they’re donation clothes. Thin chain on a thin neck. Shaved head. His eye is all fucked up. The right one. He took a punch, or a bad fall there, you can tell. That eye’s done seeing the world. The other one works overtime, though, and he sees me see him. He twists his body to look at me harder, puts me on his left side. His good eye side. He gauges me. I turn the music off, but don’t take off my headphones. I tap around on my phone, deleting emails, genuinely doing something and not just faking it. I’m not looking for any kind of shit from him. And so he knows that, I shift a little, square my body up to his, to show him I know he’s looking at me, and I want him to know I’m monitoring him, that I’m ready to react if I have to. Because, see, he’s got neck tattoos, likely from the projects down on First Street, Rancho San Pedro, but I can’t say for sure. I was assaulted at a bus stop years ago, not in Los Angeles, but it sticks with me. To this day, it rules my understanding of what is possible between strangers. When I got jumped, I talked the guy off me even after he’d kicked me so hard in the lower leg that he bruised me for a month, even as he was spitting gobs onto my chest and telling me he’d kill me, even as his mate tried to get behind me with a bottle and I kept turning a slow circle so I could always see that danger in my peripheral vision. It wasn’t my words that kept them from caving my head in, though. It was the look I gave the five-foot-nothing pitbull in front of me. It was a look that said, “Unless you’ve got a gun or a knife, nothing can hurt me worse than I’ve already been hurt, and even then...”. It was the “even then” within me that broke all his sharp edges off, that wore him down until he quit. If I’m tough, it’s because I know I’m fragile. I know what breaking is. I know what pain comes with it. I learned something that day: pain is not power.

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Cactus, Los Angeles.

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Chevy on red light, Los Angeles.

C’è un tipo tatuato vicino a me, ed è così abituato a essere percepito come cattivo che si diverte a essere sin troppo gentile, a partire dal tono di voce così” dentro di me a smorzare i suoi bollenti spiriti, a sfibrarlo fino a quando decise di lasciar perdere. Se posso essere duro, è perché conosco la mia fragilità. So che cosa significa prenderle. So il dolore che provoca. Quel giorno avevo imparato qualcosa: dolore non significa potere. Il potere è conoscere le conseguenze. La volontà di attraversare, aggirare o superare il dolore, questo è il vero potere. E nessuno te lo può togliere. Quindi, è a questo che stavo pensando, quando il tipo con la ragnatela nera tatuata sul collo mi dice: «Ehi, tu, prendi il 2-4-6?». La sua voce mi spiazza. Il tono non è di sfida. È gentile. Quando dice “2-4-6”, allude al numero dell’autobus. Il 246 è il locale per Harbor Gateway che attraversa Wilmington e Carson. Suppongo che, vedendomi al telefono, abbia pensato che stessi controllando l’orario. Non vuole affrontarmi. Mi vuole aiutare. Allora abbasso un po’ le difese. Mi tolgo l’auricolare in segno di rispetto, per dirgli che sono disposto a comunicare. Dico: «No, prendo il 9-10, o il 9-50-qualcosa, o come si chiama adesso». «Ah, bene», dice lui prima di tirare fuori il cellulare. Tocca lo schermo con dita agili, come se pizzicasse le corde di uno strumento musicale. «Arriva fra sette minuti». Questo tipo deve essere talmente abituato a essere scambiato per un malintenzionato, che per compensare esagera. Capisco. Lo rispetto. Gli chiedo che app usa, dato che è meglio della mia, e lui me lo dice. Precisa, però, che devo assicurarmi di essere in una zona con wi-fi quando scarico le mappe, perché sono grandi come l’intera enorme contea. «Grazie», dico. «Ti sono davvero grato». Ed è vero. Più di quanto lui immagini. Non lo diciamo, ma: al prossimo incontro ci presenteremo. Adesso sarebbe troppo, comunque è un buon inizio, e lo sappiamo entrambi. Dopodiché restiamo in silenzio, adeguandoci al ritmo dell’attesa mentre le auto ci passano davanti.

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Food to go, Los Angeles.

The tattooed dude next to me is so used to being seen as the bad guy that he makes up for it by trying too hard to be nice and sound nice too Power is in the knowing of consequences. The will to go through, around, or past pain, that is power. A power no one can take from you. So that’s what I had in my head when this guy with a spider web lined out in black on his neck says to me, «Hey, uh, you taking the two-four-six?». His voice throws me off. It’s not challenging. It’s kind. When he says 2-4-6, he means the bus number. 246 is the local to Harbor Gateway, through Wilmington and Carson. I guess he’d seen me on my phone and figured I was checking the bus schedule. He’s not trying to front me. He’s trying to help me. I let some of my walls down then. I take my headphones off to show respect, to engage. I say: «No, taking the nine-ten, or nine-fifty-x, whatever it’s called now». «Oh, okay», he says before pulling his phone out. He taps its screen with a loose hand, almost like he’s plucking at a string. «That’s due in seven minutes». This dude, I’m thinking, he must be so used to people thinking he’s up to no good that he compensates to show he isn’t. I get that. I respect it. I ask him what app he’s using since it’s better than the one I use, and he tells me. He says I need to make sure to be on wifi when I download the maps, though, because they’re big, the whole county wide. «Thanks», I say. «I appreciate that». And I do. More than he knows. This goes unspoken, but: we’ll introduce ourselves next time we see each other. It’s too much now, but it’s a good start, and we both know it. We stay quiet after that, falling into the rhythm of waiting as cars go by.

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ai La fermata è un posto molto istruttivo. Passano parecchie persone e da ognuna di loro riesci a cogliere un aspetto di questa metropoli sempre sorprendente Un amico del tipo con il ragno tatuato gli si avvicina trascinando un sacco nero di plastica pieno di bottiglie e lattine per il riciclo. A testa china i due parlano sottovoce, e capisco che sono piccoli malavitosi di un’altra era. Con quella vita hanno chiuso, oppure è la vita che ha chiuso con loro. Adesso sono sulla trentina. Fanno causa comune e lottano ancora. Campare è dura. Si rovistano tutti e due nelle tasche e ne tirano fuori delle monete, le mettono insieme per pagarsi la corsa. Proprio allora arriva un 246, ma non salgono a bordo. Non perché non abbiano i soldi, pare, ma perché aspettano un autista più comprensivo che potrebbe farli viaggiare gratis. Esistono, autisti del genere, anche se più che per bontà d’animo di solito lo fanno per evitare guai e non accumulare ritardi. Quando l’autobus si stacca dal marciapiede, un venditore di tamales avanza con il suo triciclo e la sua canzone di tre parole: «Tamales, tamales, tamales?». Si mette davanti all’ufficio tributario e ricomincia a cantare, questa volta attraverso le porte aperte. Vedendo che non esce nessuno, guarda me e inclina la testa… tipo “ne vuoi qualcuno?”. Certo che ne vorrei, e detesto l’idea di dirgli che non ho contanti, ma è la verità. «Lo siento», dico ma lui sta già voltandosi per riprendere la sua strada. Non ha tempo per le mie scuse. Anche se impacchettati e dentro una borsa termica, i tamales caldi non restano caldi per sempre. Un minuto dopo arriva un 910 e si ferma con uno stridore leggero e un sibilo idraulico. Il lustrascarpe, che lavora sulla Settima, svolta l’angolo e si infila nella coda. Porta un paio di grossi occhiali, con le lenti spesse come un mignolo, come se gli occhi ormai non gli servissero più. Va sempre fino alla fermata della 7th & Metro Downtown. Un tragitto di 40 minuti, più o meno. Una volta o due al mese gli porto a lucidare gli scarponi. Sull’autobus, però, o alla fermata, sembra non accorgersi mai di me. Chiedendomi se per lui io non sia che un’ombra, faccio un cenno al tipo con la ragnatela tatuata ancora in piedi sul marciapiede ad aspettare un 246 gratuito, e salgo. L’altro risponde al mio cenno, mentre le portiere si chiudono. Sorrido. È tutto.

A homie dragging a black plastic bag full of bottles and cans for recycling joins the guy with the spider tattoo. As soon as they’re standing next to each other, heads bowed, talking low, I know these are gangsters from a different era. Done with that life, or the life is done with them. They’re in their 30s now. Banded together but still struggling. Living hard. They’re each digging in pockets and coming up with coins, splitting up change so they can both ride. A 246 comes right then, but they don’t get on. Not because the money isn’t there, it seems, but because they’re waiting for a sympathetic bus driver who might let them ride for free. They exist, these drivers, but most do it less out of kindness, and more out of a want to avoid trouble and keep the schedule. As the bus pulls out, a tamale guy rolls through with his little wheelie cooler and his three-word song, «Tamale, tamale, tamale?». He stands outside the tax place and sings again, this time through the open doors. When nobody comes out, he looks at me and tilts his head at me-like, you want some? I do want some, and I hate telling him I don’t have any cash, but it’s true. «Lo siento», I say, but he’s already turning to go down the street. No time for apologies. Even wrapped up and insulated, hot tamales don’t stay hot forever. A minute later, the 910 comes in with a little growl and a hydraulic hiss as it stops. The guy from the shoeshine shack down 7th turns the corner and hops in line. He’s got thick glasses, pinkiewidth thick, like his eyes are almost done being useful. He always rides to 7th & Metro Downtown. Forty minutes, give or take. I bring my boots in once or twice a month to get shined up. On the bus, though, or waiting for it, he never seems to notice me. I wonder if I’m just a shape to him, as I nod to the dude with the spider web still standing on the curb, waiting for a free 246, and get on. He nods back as the doors close. I smile. And that’s that.

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traduzione di katia bagnoli - agence Vu’/ karma Press Photo

The bus stop is a very informative place. People passing by, each capturing a part of this surprising city


Star Hotel Venice, Los Angeles.

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la mia musa My muse

In California LP ha trovato l’aria rock che le mancava a New York, «bella ma verticale» In California LP has found the rock vibe that’s missing from «beautiful but vertical» New York Testo Chiara Papaccio Foto Brian Higbee

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i fa chiamare LP, come gli album in vinile che sembravano persi per sempre e che sono tornati a occupare i nostri scaffali. L e P sono anche le sue iniziali: Laura Pergolizzi, evidentissime origini italiane (fra un quarto di sangue siciliano e due campani, però, fa capolino anche un quarto irlandese: insomma, la passione è nel suo Dna), è una trentacinquenne cresciuta a Manhattan, anche se da sette anni ha trovato casa a Los Angeles, come tanti altri colleghi: da Ryan Tedder degli OneRepublic a Lykke Li, da Moby a Katy Perry. A inizio 2016, al Winter Music Conference di Miami, Matteo Esse di Energy Production, label romana, era stato folgorato dall’ascolto in streaming della sua voce: malinconica ma forte, delicata pur essendo graffiante. Da quell’incontro virtuale, LP è finita sotto l’ala dell’etichetta, e, in ottobre, è stata due volte disco di platino in Italia grazie alla ballata Lost on You (l’album omonimo è appena uscito in Italia), diventa-

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Laura Pergolizzi, in arte LP, il suo album Lost on You è appena uscito in Italia. Laura Pergolizzi aka LP, her album Lost on You recently released in Italy.

ShE CALLS hERSELf LP, like the vinyl albums that seemed as if they’d been lost forever, but have come back to fill our shelves. The letters L and P are the initials of her name, Laura Pergolizzi, obviously of Sicilian origin (one quarter Sicilian, two quarters Campanian, and then there’s that one quarter Irish that just peeps out: in other words, her Dna exudes passion). In her mid-thirties, raised in Manhattan, she’s lived in L.A. for the past seven years, like many of her fellow artists: from Ryan Tedder of OneRepublic to Lykke Li, from Moby to Katy Perry. In early 2016, at the Winter Music Conference in Miami, Matteo Esse of Energy Production, a Roman label, was blown away while listening to her voice on streaming, sad but strong, delicate but raspy. After this virtual encounter, LP ended up under the label’s wing, and this past October she went platinum twice in Italy thanks to the ballad Lost on You, one of those sad summer hits that get played over and



ai Il suo tormentone malinconico Lost on You sta facendo il giro del mondo Her melancholic ballad Lost on You is a worldwide hit ta in estate un raro tormentone malinconico, di quelli che fanno lo sgambetto ai “veri”, più rumorosi e meno discreti. La silhouette riccioluta e androgina della cantautrice, con l’ukulele sempre al seguito, è diventata familiare dopo aver creato confusioni che ricordano un po’ l’esplosione di Stromae. Ma è un uomo? Una donna? È gay o etero? È rock? È indie? L’ascolto dell’Ep Death Valley, del quale fa parte Lost on You, confonde ancora di più le idee: cinque brani nati da una rottura, molto pubblica, con l’ex compagna Tamzin Brown, cotti nel sole impietoso della California della grande siccità, sono complessi, dolorosi, diretti. Hanno qualcosa del country di icone come Patsy Cline e Johnny Cash, sfrontati come poteva esserlo Elvis quando ancheggiava a The Ed Sullivan Show e posseggono l’aura dark di due degli idoli di LP, Kurt Cobain e Jeff Buckley. Non a caso, Muddy Waters è finito con il chiudere la quarta, drammatica stagione di Orange Is the New Black, la serie fenomeno di Netflix.

over again, the kind that succeeds in ousting the “real” music that’s louder and less discreet. The singer’s curly hair and androgynous look, along with the ukulele that she always has with her, have become a familiar sight, after creating some confusion that reminds us of Stromae’s explosion: Man or woman? Gay or hetero? Rock? Indie? Listening to the EP Death Valley, which also includes Lost on You, she confuses us even more. Five songs inspired by the very public break-up with her former partner Tamzin Brown, cooked up in the merciless sun of a California drought, are complicated, painful, and go straight to the heart. There’s something country about them that reminds you of icons like Patsy Cline and Johnny Cash, they’re as aggressive as Elvis was when he swung his hips on The Ed Sullivan Show, and they contain the dark aura of two of LP’s idols, Kurt Cobain and Jeff Buckley. Not surprisingly, Muddy Waters is the last song heard on the dramatic fourth season of the Netflix series Orange Is the New Black.

i passaggio a Bologna, LP si rilassa sulla sedia, sorride: «Lo sa che questo è il mio sesto contratto discografico?». Sul petto, la scritta “Forever For Now”, titolo di un suo vecchio disco che suona come un bel motto personale. Abiti da uomo di taglio impeccabile e un gran sorriso, LP è una veterana dell’ambiente. Finora era nota soprattutto come autrice per conto terzi: Rihanna, Cher, Leona Lewis, Christina Aguilera e i Backstreet Boys si sono avvalsi del suo «tono pop», come lo definisce lei stessa. Questo le ha permesso di lavorare in maniera costante ma, paradossalmente, ha rischiato di far passare in secondo piano l’abilità di interprete, impreziosita da una sorprendente voce da mezzosoprano. Ricorda una delle prime performance live, proprio nella adorata Los Angeles: «C’era gente che mi avvicinava per dirmi: “Come mai non sapevo di te?”». La stessa scena si è ripetuta ancora e ancora, anche aprendo i concerti di Bryan Ferry: «“Ma da dove arrivi?”, mi chiedevano. “Sei caduta dal cielo?”». Sono i curiosi vantaggi che giungono dal passaggio a una scena completamente diversa: «Per me è stata una rinascita. Pensavo di essere una songwriter e basta, e invece... Raccomando a chiunque di provare questa esperienza: cambiare città, resettarsi, essere se stessi senza nessuna scusa. Los Angeles mi ha permesso di fare proprio questo, mi ha dato opportunità che a New York non avrei avuto». Ora si gode questo momento: il treno è passato, lei ci è salita sopra ma l’atteggiamento, rispetto ad altri protagonisti delle nostre classifiche, è di calma quasi olimpica: «Se sei un artista e hai qualcosa da dire, devi avere fiducia che prima o poi qualcuno ti noterà. Bisogna crederci. Anche se farsi ascoltare dal pubblico è difficile. Io, sai, non è che mi muova in altri ambiti. Voglio dire, non sono arrivata a sei contratti discografici usando le curve, capisci? Ho altre frecce al mio arco». Pane al pane, vino al vino: quello che conquista, di LP, è l’atteggiamento di grande umiltà, unito a un sano disincanto, con uno spruzzo finale di sfrontatezza che la rende

WHILE PASSING THROUGH BOLOGNA, LP relaxes in her chair and smiles: «Did you know that this is my sixth record contract?». Written across her chest are the words “Forever For Now”, the title of one of her old records which sounds like a great personal motto. Wearing a man’s suit with an impeccable cut, and a big smile on her face, she’s a veteran of the music business. Up until now she has been mostly famous for writing songs for others like Rihanna, Cher, Leona Lewis, Christina Aguilera and the Backstreet Boys who have exploited her «pop tone», as she herself refers to it. This allowed her to have a regular job, but paradoxically there was a risk to her own talent as a singer, her surprising mezzo soprano voice, being overlooked. She remembers one of her first live performances, right in L.A., the city she loves: «People came up to me to say: “How come I didn’t know about you?”». The scene was repeated over and over again, even when she was opening Bryan Ferry’s concerts: «“Where are you from?”, they asked me. “Did you just fall out of the sky?”». These are the curious advantages of going from one scene to something completely different. «It meant being reborn. I thought I was just a songwriter that’s it, but instead... I suggest that everyone try doing this: change city, reset, be yourself with no excuses. L.A. let me do just that, it offered me opportunities that I wouldn’t have had in New York». Now she’s enjoying the moment: the train has come along and she’s managed to climb on, but her attitude, compared with that of the other performers in the top ten lists, is one of almost Olympian serenity: «If you’re an artist and you have something to say, you have to have the confidence that sooner or later someone will notice you. You have to believe in it. Even though making the public listen to you is hard to do. It’s not that I get around in other places, you know. What I mean to say is, I haven’t succeeded in signing six record contracts because of my body, if you see what I mean. I’m not just a one-trick pony». That’s telling it like it is: what you can’t help liking about LP is her great humility combined with her disenchantment, with a fi-

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ai Mi piace perdermi negli spazi di questa città. E, soprattutto, avere il mare a portata di mano

new entry graditissima in uno scenario di risposte preconfezionate e profili ricalcati su carta copiativa. Delle sue molteplici ripartenze in ambito discografico racconta: «Non do la colpa assolutamente a nessuno. Alla fine la responsabilità è solo tua, che non hai combattuto per difendere te stessa o le tue idee». Magari in questa parabola c’è una lezione da fare propria? «Un’altra lezione? Non è che ne avessi proprio bisogno! Mi sono successe cose che accadono agli emergenti, ma mentre molti di loro soccombono e non se ne sente più parlare, io sono stata fortunata». Anche a trovare un posto dove stare bene: «La Grande Mela non funzionava più per me, in termini di ispirazione. Sai, quando sei di New York tendi a guardare Los Angeles e la California un po’ dall’alto in basso: non sono abbastanza cool, non sono abbastanza di moda… Ma che idiozia! Il mondo sta diventando sempre più piccolo, e ci sono sempre più persone di New York che lavorano a Los Angeles, o viceversa. Non ha senso fare paragoni. La Grande Mela è fantastica, la adoro… Ma è così verticale, mi fa mancare un po’ l’aria. Invece Los Angeles ha più spazio, offre un po’ di tutto, lì ho più possibilità di essere me stessa: amo guidare per le strade, mi piace che ci sia la spiaggia a portata di mano. Forse è proprio per lo spazio che a L.A. sento di più la mia musa, la musa rock’n’roll. Questa città ha qualcosa che risuona in me tutto il tempo».

nal dash of effrontery thrown in, which makes her a very welcome new entry in a scene where the answers have all been heard before and most profiles look like they’ve been xeroxed. As for her multiple restarts in the recording environment, she says «I don’t blame anyone. In the end, it’s your responsibility, because you didn’t fight to defend yourself or your ideas». Is there a lesson to be learned here perhaps? «Another lesson? I don’t really need another one! The things that have happened to me are the same ones that happen to artists just starting out, but while many of them give up and you never hear their names again, I was lucky». She was also lucky to find a place where she could feel good. «The Big Apple didn’t work for me in terms of inspiration. You know, when you’re in New York, you tend to look down on L.A. and California: not cool enough, not fashionable enough… That’s ridiculous! The world is shrinking and more and more people in New York work in L.A., or viceversa. Any comparisons would be meaningless. The Big Apple is fantastic, I adore it… But it’s so vertical, I sort of miss the air. L.A., instead, has more space, it offers a little bit of everything, I can be myself there: I love to drive places in L.A., I like the fact that there’s always a beach around the corner. Maybe it’s just the space, but in L.A. my muse - rock ‘n’ roll - is stronger. L.A. has something that resounds in me all the time».

l futuro di LP? Tour a parte, la ragazza cerca di scrivere di continuo, e di essere prolifica. «Ma non so ancora in che direzione andrò. Credo che il percorso che sto facendo, la mia evoluzione, stia nel trovare un posto mio, non uno che corrisponda alla percezione che gli altri hanno di me. Il che è qualcosa che ho dovuto sperimentare parecchio, specie in un ambiente professionale dominato dagli uomini come è quello discografico». Fra i tatuaggi in bella vista e le opinioni senza filtri, Laura/LP non può non ricordare almeno in questo Amy Winehouse, così come ce l’ha restituita il documentario Amy di Asif Kapadia: sincera fino a essere brutale, con un dono nelle corde vocali, insofferente alle regole già scritte. Lei, però, più saggia e senza i vizi della sfortunata londinese, si sfoga solo nella musica, passa le giornate libere al Griffith Park con la nuova partner Lauren Ruth Ward (anche lei musicista) e con il cane Orson, titolare di uno spassoso account su Instagram. Incalzata sul rapporto con l’Italia, alla fine ammette: «Sì, quando ho finito di comporre Lost on You mi sono detta: “Questa è la canzone più italiana che abbia mai scritto”».

SO WhAT DOeS The FUTURe hold for LP? Besides touring, she’s writing all the time, trying to be as productive as possible. «But I still don’t know what direction I’ll be taking. I think the path I’m on, my evolution, lies in finding my own place, not one that matches the perception that others have of me. Something I experienced a lot, especially in the professional music scene, which is male dominated». With her many tattoos and unabashed opinions Laura/LP can’t help but remind us of Amy Winehouse as she’s described in the documentary Amy by Asif Kapadia: so sincere she can even sound brutal at times, with gifted vocal chords, and allergic to rules. LP, however, wiser and without the poison that did Amy in, is addicted to her music, and spends her days off in Griffith Park with her new partner Lauren Ruth Ward (also a musician) and her dog Orson, who even has an amusing Instagram account. When we insist on finding out about her relationship with Italy, she finally confesses: «Yes, when I finished composing Lost on You I said to myself: “This is the most Italian song I’ve ever written”».

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Cinque posti di Los AngeLes ConsigLiAti dA Lp Il quartiere: Silver Lake, è divertente! Il grande classico: l’hotel Chateau Marmont. Lo so che

sembra scontato, ma mi piace andarci. Mangiare e bere: L&E Oyster Bar. Impazzisco per le ostriche! Cocktail: Minibar Hollywood, ci vado di continuo. Nasce come emanazione del Café 101 - anche questo consigliatissimo. Musica: The Echo. Ho avuto una residency lì, è un gran locale.

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Five pLACes in Los AngeLes reCommended by Lp The neighbourhood: Silver Lake, it’s fun! The great classic: the Chateau Marmont hotel. I know it

might seem obvious, but I like going there. Eating and drinking out: the L&E Oyster Bar. I’m crazy about oysters! Cocktails: Minibar Hollywood, where I often go. It was inspired by Café 101 - which I also highly recommend. Music: The Echo. I had a residency there, it’s a great venue.

traduzione di Sylvia notini. foto CPi SyndiCation/ Karma PreSS Photo

I like getting lost in this city and most of all having a beach around every corner



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Portfolio

life goes on Guardare con innocenza. Questi bambini, nati in Ruanda e Sudafrica dopo grandi tragedie, hanno gli occhi carichi di memoria The look of innocence. Born in the wake of great tragedies in Rwanda and South Africa these children’s eyes are loaded with memories foto

Pieter Hugo

Portrait #3, Rwanda, 2014.

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Portrait #15, South Africa, 2015.

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Portrait #39, South Africa, 2016.

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ai Portfolio

Portrait #47, South Africa, 2016.

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Portrait #17, South Africa, 2016.

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rtista e fotografo sudafricano, Pieter Hugo affronta l’identità del suo continente con progetti interessanti che, rompendo stereotipi, creano nuovi codici interpretativi. Cambia passo, stile e tecnica riuscendo sempre a stupire per la forza poetica con cui indaga ferite profonde. L’ultimo lavoro, che vedete in questo portfolio, si intitola 1994 e ritrae bambini del Sudafrica e del Ruanda, nati dopo quell’anno cruciale per entrambi i Paesi: il primo chiudeva la stagione dell’apartheid, mentre il secondo era teatro di genocidio, culmine dello scontro tra Hutu e Tutsi. La serie di immagini offre molti livelli di lettura: l’adolescenza come momento di transizione, l’appartenenza alla terra e ai reperti, l’immagine idilliaca che tradisce un’inquietudine, cultura e natura che contemplano innocenza e orrore. Nelle fessure invisibili di queste dualità giace la preziosa memoria nascosta.

Portrait #18, South Africa, 2016. Le immagini di questo servizio fanno parte del libro 1994, appena pubblicato da Prestel. Il lavoro di Pieter Hugo sarà in mostra da gennaio a marzo alla Yossi Milo Gallery di New York, da febbraio a marzo al Rijksmuseum di Amsterdam e da febbraio a luglio al Kunstmuseum di Wolfsburg (Germania). // The images from this reportage are taken from the book 1994, just published by Prestel. Pieter Hugo’s work will be on display from January to March at the Yossi Milo Gallery, New York, from February to March at the Rijksmuseum, Amsterdam and from February to July at the Kunstmuseum, Wolfsburg, Germany.

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tRAduzIoNe dI SYLvIA NotINI - CouRteSY SteveNSoN GALLeRY

SOUTH AFRICAN artist and photographer Pieter Hugo deals with the identity of his continent in an interesting project that, by breaking with stereotypes, creates new codes of interpretation. He changes his pace, style, and technique, managing to surprise his viewers with the poetic strength with which he analyses deep wounds. His most recent work, seen in this portfolio, called 1994, and shows children from South Africa and Rwanda born after this crucial year for both countries. For the former the Apartheid era was ending, while for the latter the theatre of genocide was at its heigh with the clashes between Hutu and Tutsi. The series offers multiple layers of interpretation. Adolescence as a moment of transition, a belonging to the Earth and to the discoveries, an idyllic image betrays unrest, while culture and nature contemplate innocence as well as horror. Lying within the invisible cracks of this duality are precious hidden memories. (Renata Ferri)


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quanta paura How afraid

Come il terrorismo sta cambiando il mercato How terrorism is changing the market Testo Stefano Montefiori

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a moda e il lusso ai tempi del terrorismo. Se l’inverno sta arrivando, come ci ripete Il trono di spade, ha un senso cercare calore nel cappotto disegnato da uno stilista a riparo in una boutique? “Siamo in guerra”, proclamano il presidente François Hollande e il premier Manuel Valls. Ma è una guerra che, da questa parte del fronte, si combatte anche aggrappandosi alla gioia di vivere. Lo slogan “Je suis Charlie” del gennaio 2015 è diventato, dopo il 13 novembre 2015 e i massacri nei ristoranti, “Je suis en terrasse” (sono al tavolino all’aperto). La rivendicazione di una “art de vivre” che per gli oscurantisti è decadenza occidentale, per noi diventa la riaffermazione di un’identità. Anche se questo ci espone alla furia dei jihadisti. I terroristi hanno colpito un giornale satirico (Charlie Hebdo), un supermercato ebraico, dei poliziotti, lo stadio durante una partita di calcio, una sala da concerto (il Bataclan), i tavolini all’aperto dei ristoranti

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FASHIon And Luxury in the age of terrorism. If winter is coming, as Game of Thrones tells us over and over again, does it make sense to seek the warmth of a coat created by a designer, and look for shelter in a boutique? “We are at war”, proclaim both President François Hollande and Prime Minister Manuel Valls. But this is a war that on this side of the front line is also fought by holding on to a joie de vivre. The slogan “Je suis Charlie” from January 2015 became, after november 13, 2015 and the massacres in the restaurants, “Je suis en terrasse” (I’m on the terrace). The claim of an art de vivre that for the conservatives signifies Western decadence, and that for us becomes the reaffirmation of an identity. This too exposes us to the fury of the jihadists. Terrorists attacked a satirical newspaper (Charlie Hebdo), a Jewish supermarket, the police, the stadium during an international football match, a concert hall (the Bataclan), the tables out-

PhIlADelPhIA MuseuM oF ArT / sCAlA, FIrenze

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Nella pagina accanto, l’opera di Cy Twombly Cinquanta giorni a Ilio: il fuoco che tutto consuma davanti a sŽ, 1978. Il dipinto è in mostra, fino al 24 aprile, al Centre Pompidou. Opposite page, Cy Twombly’s Fifty Days at Iliam: The Fire that Consumes All Before It, 1978. On display at the Centre Pompidou until April 24th.



ai La prima conseguenza è la diminuzione di turisti dall’Europa dell’Est e dai Paesi orientali The consequences have been a fall in Asian tourists to Europe a Parigi, il lungomare di Nizza, una chiesa in Normandia, l’aeroporto e la metropolitana di Bruxelles. In un computer gettato in un cestino dell’immondizia nella capitale belga, gli investigatori hanno poi trovato i piani per azioni contro il centro commerciale Les 4 Temps a La Défense e la sede dell’associazione integralista cattolica Civitas a Parigi. Quello che già si temeva nell’autunno del 2015 torna a riaffacciarsi ora: un possibile attacco con presa di ostaggi in un luogo affollato e chiuso, un’azione terroristica che duri magari qualche ora in modo da avere un impatto mediatico straordinario, distribuito nel tempo. L’antiterrorismo teme uno scenario simile a quello del centro commerciale di lusso Westgate di Nairobi, in Kenya, dove nel 2013 rimasero uccise 67 persone, con 175 feriti. Le operazioni militari, che in Iraq e Siria in queste ore puntano a liberare Mosul e Raqqa dal controllo dello Stato islamico, potrebbero avere due conseguenze opposte: o distruggere le basi logistiche dei terroristi rendendo più difficili le loro azioni in Europa, come sperano gli occidentali, o indurre l’Isis a trasferire risorse dal governo di un territorio ormai perduto alla guerriglia nelle capitali europee. In quel caso, lo shopping di Natale sarebbe evidentemente un bersaglio. L’abbinamento tra leggerezza della moda e grandi cause è una tentazione che esiste da tempo, e che qualche volta in passato ha fatto pericolosamente sfiorare il ridicolo. Il “Center for Kids who can’t read good” del film Zoolander si prendeva gioco proprio di questo corto circuito. Eppure, nell’epoca in cui i terroristi fanno strage in una sala da concerto per punire “i miscredenti riuniti in una festa di perversione”, non rinunciare allo stile di vita che prevede il piacere delle cose belle diventa quasi un atto militante.

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orse, anche per questo, il mercato mondiale del lusso nel 2016 si è contratto, per la prima volta in molti anni, ma non è crollato. Secondo il rapporto annuale dello studio Bain & Company realizzato per Altagamma, la federazione italiana delle imprese di lusso, c’è stato un calo dell’1 per cento a livello mondiale. In Europa, la paura degli attentati ha fatto diminuire di molto il numero di turisti cinesi (-22 per cento) e russi (-19 per cento), ma questo comprensibile abbandono è stato controbilanciato dall’aumento delle spese degli acquirenti locali. Musica, profumi, cibo, moda diventano, loro malgrado, strumenti per difendere un’identità minacciata. Axel Dumas, Ceo di Hermès, racconta di un nuovo atteggiamento da parte dei clienti. “Dopo il 13 novembre a Parigi, c’è stato un evidente calo della frequentazione turistica. La città era scossa, il colpo è stato molto duro. Poi a Natale le cose sono cominciate a cambiare, soprattutto nella clientela locale. Ab-

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side the restaurants of Paris, Nice’s promenande, and the airport and subway of Brussels. In a computer tossed into a waste basket in the Belgian capital, investigators also found the plans to attack the shopping centre Les 4 Temps at La Défense and the headquarters of the fundamentalist Catholic association Civitas in Paris. WHAT WE ALREADy fEARED in the fall of 2015 is now back again: a possible attack involving hostages in a crowded, closed location that only lasts a few hours so that it has spectacular media impact. Anti-terrorist forces fear a scenario like the one that took place in the Westagate luxury shopping centre in Nairobi, Kenya, where, in 2013, 67 people were killed, and 175 injured. The military operations that are being carried out in Iraq and Syria right now aimed at freeing Mosul and Raqqa from the control of the Islamic State could have two opposite consequences: either to destroy the logistic bases of the terrorists, making their actions in Europe more difficult, which is what the West hopes will happen, or to force Isis to transfer the resources of the government of a territory by now lost by the guerillas to the European capitals. In that case, Christmas shopping would be an obvious target. The partnership between the ephemeral nature of fashion and great causes is a temptation that has existed for some time now, and that in the past has in some cases come close to being ridiculous. The “Center for Kids Who Can’t Read Good” in the movie Zoolander made fun of this very same short circuit. And yet, in the time when the terrorists brutally attack a concert hall to punish “the miscreants gathered in a feast of perversion”, not giving up a lifestyle that involves the pleasure that comes with beautiful things almost becomes an act of resistance. PERHAPS THIS ALSo ExPLAINS why the global luxury market, in 2016, shrank for the first time in many years, although it didn’t collapse. According to the annual report published by Bain & Company for the Italian federation of Altagamma Italian luxury businesses, there has been a 1% drop around the world. In Europe, the fear of terrorism has led to a decrease in the number of Chinese tourists (-22%), Russians (-19%), but this understandable desertion was offset by an increase in spending of local shoppers. Music, perfume, food, fashion have become, in spite of everything, instruments to defend one’s threatened identity. Axel Dumas, Ceo of Hermès, describes a new attitude on the part of his clients. “After 13 November in Paris, there was an evident decrease in the number of tourists. The city was devastated, it had been hit very hard. Then, when Christmas rolled around things started to change, especially as concerns the local clientele. We even saw an increase in sales, Parisians visited our shops maybe just to buy something small, but as a form of reaction, proof of the fact that our lifestyle could and had to continue. We tried to welcome them as best we could, we offered them macarons, it seemed we have latched


shop at fracomina.it


ai Aumenta lo shopping locale come forma di resistenza a chi attacca il nostro modello di vita The rise in buying local has become a fight back on our way of life

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ccanto alla reazione dei clienti locali, “le variazioni del tasso di cambio e gli attentati in Europa hanno avuto un impatto sulla fiducia dei consumatori e sui flussi turistici”, si legge nel rapporto. “In Cina, il consumo locale non arriva a compensare la diminuzione degli acquisti dei turisti cinesi all’estero, in particolare in Europa”. Per la prima volta nella storia, i cinesi hanno ridotto il loro peso nel mercato globale del lusso del 31 per cento nel 2015 e del 30 nel 2016. LVMH, Burberry, Versace e Prada attribuiscono in parte i loro deludenti risultati finanziari degli ultimi mesi agli eventi di Parigi e Bruxelles. In aprile, Jean-Jacques Guiony, direttore finanziario di LVMH, diceva che le vendite di Louis Vuitton a Parigi erano calate del 10 per cento. Claudia D’Arpizio, senior partner di Bain & Company a Milano, in un’intervista alla rivista specializzata The Business of Fashion già in agosto sottolineava come “l’industria della moda è sempre stata influenzata da quello che accade nel mondo, ma prima era meno globale. Abbiamo avuto altre crisi, la Sars, altri attentati terroristici, ma mai la globalizzazione è stata così profonda come oggi. Ci sono solo due modi per reagire. Le aziende devono diventare più capaci di capire i clienti e di comprendere l’influenza che questi fatti hanno su di loro. E, poi, occorre rafforzare la relazioni con i consumatori nei mercati locali, diventare meno dipendenti dai turisti”. Negli aeroporti parigini, soprattutto a Charles De Gaulle, si continuano a vedere grandi gruppi di turisti cinesi pieni di borse e valigie. Ma sono meno numerosi di prima. A dare nell’occhio sono piuttosto i soldati in mimetica e mitra che, a gruppi di tre, pattugliano l’area. I militari per strada, negli aeroporti e nelle stazioni sono una delle misure più discusse della reazione del governo contro il terrorismo. Si chiama operazione Sentinelle, non è stata capace di fermare il tir lanciato sulla folla il 14 luglio a Nizza, e non è chiaro se quei soldati alla fine rassicurino o piuttosto inquietino cittadini e turisti. Nel momento della minaccia terroristica, del grande ripiegamento globale, della diminuzione del turismo e di Donald Trump alla Casa Bianca, la moda e il lusso sono uno degli strumenti preferiti per credere di potere essere felici come un tempo. Una borsa made in France o made in Italy, è sempre meno il pezzetto di Europa conquistato da acquirenti asiatici o americani, e sempre più il bene rifugio di europei spaventati ma non ancora vinti.

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on to a new desire to share things. The desire not to give up the joie de vivre that had been felt before and that continues to this day, in spite of everything that’s happened”. ALoNGSIDE THE rEACTIoNS of the local clientele, “the variations in exchange rates and the terrorist attacks in Europe have had an impact on consumer confidence and on the flow of tourism” - the report says. “In China, local consumption does not succeed in compensating for the drop in purchases by Chinese tourists abroad, especially in Europe”. For the first time in history, Chinese consumers have reduced their influence on the global luxury market, by 31% in 2015 and 30% in 2016. LVMH, Burberry, Versace and Prada in part put their disappointing results in recent months down to the events in Paris and Brussels. In April, Jean-Jacques Guiony, financial director of LVMH, said that sales at Louis Vuitton in Paris had dropped by 10%. Claudia D’Arpizio, senior partner at Bain & Company in Milan, in an interview given to the trade magazine The Business of Fashion back in August, emphasized how “the fashion industry has always been influenced by what is happening in the world, but it used to be less global. We have had other crises, Sars, terrorism, but globalization has never been as profound as it is today. There are only two ways to react: companies have to become more capable of understanding their clients and the influence that these facts have on their work. Plus, they need to reinforce relations with consumers in the local markets, becoming less reliant on tourists”. IN PArIS AIrPorTS, ESPECIALLy at Charles De Gaulle, we continue to see large groups of Chinese tourists with lots of bags and suitcases. But there are fewer of them now. What’s striking are the soldiers in military camouflage who patrol the airport in groups of three. The soldiers in the streets, in airports and stations, are one of the most debated measures stemming from the government’s reaction to terrorism. Named operation Sentinelle, it wasn’t capable of stopping the truck that drove into a crowd on July 14 in Nice, and it’s not clear whether these soldiers reassure or rather upset the citizens and tourists. At a time of terrorist threats, a great global withdrawal, a fall in tourism, and of Donald Trump in the White House, fashion and luxury are one of the favourite means for continuing to believe that we can be happy the way we once were. A handbag that’s “Made in France” or “Made in Italy” is becoming less a piece of Europe bought by Asian or American buyers, and increasingly more a safe haven for Europeans who may be frightened but haven’t yet been defeated.

traduzione di Sylvia notini

biamo assistito addirittura a un aumento, i parigini sono venuti nel nostro negozio magari per comprare anche piccole cose, ma come una forma di reazione, come una specie di testimonianza del fatto che il nostro stile di vita poteva e doveva continuare. Noi abbiamo cercato di accoglierli al meglio, abbiamo offerto dei macaron, ci è sembrato di avere inteso una nuova voglia di condivisione. Voglia di non rinunciare a una gioia di vivere che c’era prima e che continua adesso, nonostante tutto”.



Dove vola la farfalla Where butterflies fly

La leader della prima agenzia di consulenza “verde” spiega come si sostiene la sostenibilità The first green consulting company boss talks about supporting sustainability Testo Silvia Paoli Illustrazione Riccardo Vecchio

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iana Verde Nieto fa sempre le cose a modo suo. Ha fondato nel 2002 a Londra la prima agenzia di consulenza “verde”, la Clownfish (venduta nel 2008), aiutando moltissimi marchi, tra cui Coca-Cola e Nike, a sviluppare programmi di sostenibilità; è stata nominata Young Global Leader of the World Economic Forum nel 2011 e, nella sua ultima avventura imprenditoriale, ha preso la questione sostenibile per la coda. Un modo per riassumere il suo approccio tranquillamente rivoluzionario, che non consiste nello stigmatizzare, denunciare o vituperare chi opera male, ma nel sostenere, promuovere e premiare chi fa bene. Ha creato un marchio: si chiama Positive Luxury (fondato con l’imprenditrice Karen Hanton), il suo simbolo è una farfalla, la quintessenza della leggerezza (e anche della caducità), con cui suggella l’adesione dei brand di lusso a uno stile di business innovativo e sostenibile.

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DiaNE VErDE NiEto does everything her way. She founded Clownfish, a consulting company, the first on green issues, in 2002 in London (she sold it in 2008) with the aim of helping brands - like Coca-Cola and Nike - to develop sustainable programs. She was awarded Young Global Leader of the World Economic Forum in 2011, and in her latest entrepreneurial venture, she has decided to take sustainability by the tail and turn it upside-down. a way of summarizing her approach is quietly revolutionary. instead of stigmatizing and blaming those doing wrong, she supports, promotes and praises those doing good things. She has founded (together with Karen Hanton) a company, called Positive Luxury, its logo is a Butterfly, a symbol of lightness (and transience). the symbol is given to luxury brands which are credited with having an innovative and sustainable business style.


DIANA VERDE NIETO, argentina, ha studiato a Harvard. È una pioniera dell’economia sostenibile e dal 2002 ha fondato società impegnate nel settore. L’ultima si chiama Positive Luxury e certifica con una farfalla i brand di luxury lifestyle.

DIANA VERDE NIETO argentian born, educated at Harvard. She is a sustainable economy pioneer, establishing companies engaged in the sector since 2002. The latest being Positive Luxury which rewards luxury lifestyle brands with a butterfly.

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ai Per ottenere il nostro simbolo, le aziende devono soddisfare l’80 per cento delle richieste In order to gain our symbol companies have to fulfill 80 percent of our conditions Quando ha cominciato Positive Luxury e perché?

Con l’arrivo del nuovo millennio: ero spinta dall’ambizione di mettere in evidenza quei marchi del lusso che operano con eccellenza nella sostenibilità. Il nostro sforzo consiste nell’allontanare la sostenibilità dalle associazioni negative dei media, e nel promuovere, invece, le cose buone che vengono fatte, portando alla ribalta le storie di prodotti e brand positivi, celebrando i benefici del business responsabile. Come attestate che un brand è sostenibile, con una certificazione?

Non siamo un programma di certificazione ma di accredito, non stabiliamo standard ma teniamo conto delle pratiche internazionali più valide, messe in campo nei diversi settori in cui operiamo (viaggi e ospitalità; moda e accessori; gioielli e orologi; cosmetica; bevande di lusso e arredamento), così da assicurare che ci sia un costante miglioramento. Prima di fornire l’accredito, analizziamo le aziende in modo olistico, al di là della semplice catena dei fornitori. Con il nostro comitato per la sostenibilità e i partner istituzionali esterni abbiamo creato un questionario, aggiornato ogni anno, che valuta le imprese in cinque aree: la governance (la leadership), il quadro sociale e ambientale, le azioni filantropiche e l’innovazione. Per ottenere il simbolo della farfalla, occorre rispondere positivamente all’80 per cento delle domande, allegando la documentazione a sostegno delle dichiarazioni. Inoltre, abbiamo sviluppato uno strumento di analisi semantica, che ci permette di riunire ed esaminare informazioni sui brand presenti su social media, blog e forum on line, in modo da verificare i dati forniti. Nel vostro sito si legge: “Nel mondo di oggi i marchi dovrebbero aspirare tutti a essere parte del cambiamento positivo”. Può citare qualche esempio che, secondo lei, sta innescando questo mutamento in meglio?

Maiyet, Iwc Orologi, Kiehl’s, Lisa Franklin, Soneva Kiri Resort, Song Saa Private Island, champagne Krug, vodka Belvedere stanno tutti guidando il cambiamento. Che sia perché fanno uso di “fair” cashmere, perché nelle formulazioni non utilizzano microsfere (particelle esfolianti di polietilene presenti in molti prodotti per l’igiene, che inquinano le acque, ndr), o perché hanno eccellenti programmi di conservazione dell’acqua o di agricoltura responsabile, tutti quelli che fanno parte della nostra comunità sono innovatori nel cambiamento. Sempre sul sito si legge che la tecnologia è di aiuto per rendere meno astratta la sostenibilità. Come?

Quando ho cominciato, era una battaglia continua per riuscire a far parlare qualcuno di sostenibilità. Oggi è diverso. La parola è difficile da capire, ma scomponetela in pezzi e troverete temi che alle persone interessano molto: assenza di lavoro minorile, nessun test su animali, un etico approvvigionamento di materie prime dalla terra, giusti salari per i lavoratori e per i fornitori, coinvolgimento filantropico. La capacità di accedere

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When and how did you decide to launch Positive Luxury?

Positive Luxury was born at the turn of the millennium with the ambition of shining a spotlight on luxury brands that deliver excellence in sustainability. We strive to move sustainability away from negative associations in the media. Instead we promote the good things brands are doing. By highlighting their brand & product stories, we celebrate the benefits of being a responsible business. How do you state a brand is sustainable, with a certification?

We are not a certification but an accreditation programme - we don’t set a standard but take into account the best international practices in each industry that we work with, in order to ensure that brands constantly improve. To be accredited we analyse companies and brands in a holistic way beyond supply chains. With the help of our experienced sustainability council and external institutional partners we have designed a robust application, updated annually, evaluating companies across the following five areas: governance, social and environmental frameworks, philanthropy and innovation. We work with brands across; Travel & Hospitality, Fashion & Accessories, Jewellery & Watches, Beauty, Premium Drinks and Living. To be awarded the Butterfly Mark, companies are required to respond positively to a minimum of 80% of questions during the application process with additional documents to support their application. We have developed a semantic assessment tool that allows us to collect and analyse information about brands across social media, blogs, and other online forums in order to verify the information provided to us. From your website: “In today’s world brands should aspire to be part of the solution to drive positive change”. Could you mention some examples of brands that are driving this positive change?

Maiyet, Iwc Watches, Kielh’s, Lisa Franklin, Soneva Kiri Resort, Song Saa Private Island, Krug Champagne, Belvedere Vodka, just to name a few, are all brands that are driving change. Whether this is using Fair Cashmere, no microbeads (tiny pieces of plastic used in facial scrubs or shower gels, harming marine life, Ed) in their formulation, have great water conservation programs or responsible agriculture, all the brands in our community are driving innovation.

On your website, you say that technology can demystify sustainability? Could you explain how?

When I started my previous business at the start of the millennium, I was constantly struggling to get anyone to talk about sustainability. Today, the market and business focus is very different. Sustainability itself is a word people find hard to understand, but break it down and you find the components are issues people really care about: no child labour, no animal testing, ethical sourcing of our earth’s raw materials, philanthropic involvement and fair pay for workers and suppliers. The ability to access information thanks technology, anytime,


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ai Oggi c’è una nuova generazione molto più sensibile di produttori e di consumatori Nowadays there’s a new generation of products and consumers, and they’re much more aware alle informazioni in ogni momento e in ogni luogo, grazie alla tecnologia, dà oggi alle persone la possibilità di osservare più da vicino quello che stanno comprando e di interagire con i marchi, che così non si possono più nascondere.

anywhere, gives people the opportunity to look more closely at what they are buying so that brands can no longer hide.

Quali azioni dovranno essere intraprese dalle aziende del lusso per il 2017?

The way luxury companies choose to operate today will have a great impact on the future. As the global population continues to grow, resources, currently taken for granted, will become increasingly limited. Luxury brands will have to innovate in order to create new materials. With the Cop21 agreement comes the pledge by all nations to keep the global temperature rise well below 2 degrees. Any effort of this size, and especially one with such large consequences, brings the need for companies to take responsibility for their own greenhouse gas emissions. To tackle these two issues, all companies will need to integrate sustainability into their corporate strategy seamlessly and with innovation, creating new ways of doing business that will have a positive impact on society and the environment.

Le decisioni, prese dalle aziende del lusso oggi, avranno un forte impatto sul futuro. Con la crescita della popolazione mondiale, le risorse, ora date per scontate, diverranno ancora più limitate. Le industrie del lusso dovranno innovare per creare nuovi materiali. Con l’accordo Cop21 le nazioni si sono impegnate a mantenere l’incremento della temperatura globale al di sotto dei due gradi. Le aziende devono quindi assumersi la responsabilità delle loro emissioni di gas serra. Per affrontare questi problemi, dovranno integrare la sostenibilità nelle strategie, creando nuovi modelli di business.

La finanza si interessa di sostenibilità?

Per anni gli investitori si sono focalizzati sulla performance finanziaria delle aziende, valutando se comprare o meno azioni sulla base della profittabilità dell’azienda. Ora le strategie di investimento “sostenibili” stanno crescendo, perché gli investitori stanno realizzando che la performance è connessa con l’impatto ambientale e il futuro sociale delle aziende. Ci sono già 6mila miliardi e 700 milioni di dollari di patrimonio negli Stati Uniti impiegati in investimenti sostenibili e appena i millennial avranno più potere economico, questa cifra non potrà che crescere. I millennial vengono considerati cruciali per l’economia della sostenibilità.

What actions need to be taken in the luxury world in relation to sustainability, for 2017?

Does the world of finance show an interest in sustainability?

For years, investors have focused on a company’s financial performance, determining whether purchasing stock was valuable based on the company’s profitability. Now, sustainable investment strategies are growing, as investors are realising that performance is intertwined with a future social and environmental impact. There are already $6.57 trillion of assets under management in the US in sustainable investments, and as millennials begin to reach the age where they are investing, this number will only grow. Millennials are considered crucial in this matter.

Le aspettative dei consumatori sono più alte che mai. Con una nuova generazione di compratori arrivano anche nuovi modelli di acquisto. Quando i millennial, per motivi d’età, avranno a disposizione un reddito crescente, l’economia registrerà un cambiamento nelle aspettative rispetto ai marchi. È una generazione che ha il doppio delle probabilità di sostenere griffe con un management fortemente coinvolto nelle questioni ambientali e sociali, e non si aspetta solo che i brand le affrontino e le risolvano, ma che le comunichino.

«Consumer expectations are higher than ever. With a new buying generation comes a new influx of buying behaviour patterns. As millennials reach the age where they have growing disposable income, the economy is registering a change in the expectations consumers have of brands. Millennials are twice as likely to support brands with strong management of environmental and social issues, and expect brands to not only manage their impact but communicate it».

Qual è la parola chiave del 2017?

Innovation. From the development of Kering’s Materials Innovation Lab (Mil, Material Innovation Lab, whose headquarters are in Novara-Italy, Ed) to Flokser’s artificial leather fabric. Innovation is having a big effect on how companies are measuring, improving and communicating their social and environmental impact, as well as bringing these metrics into the core of their business. While many companies are now focused on their social and environmental impact, more work needs to be done to help luxury companies realise that sustainability and profits go hand in hand, so that they can reap the rewards by publicising their positive impact.

Innovazione. Dallo sviluppo del Laboratorio per l’innovazione dei materiali di Kering (Mil, Materials Innovation Lab, con sede a Novara, ndr) alla pelle artificiale creata da Flokser. L’innovazione sta producendo un effetto incredibile sul modo in cui le aziende misurano, migliorano e comunicano il loro impatto sociale e ambientale, e su come queste azioni stiano diventando parte nel core business. Credo che ancora molto ci sia da fare, per far capire alle aziende quanto la sostenibilità e i profitti vadano di pari passo e come possano raccoglierne i frutti comunicando l’impatto positivo delle loro decisioni.

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Which is the key word for 2017?




fit

Sport è la parola d’ordine della moda Sport. the next faShion code Foto Philip Gay Styling Nik Piras

Abito di cotone nero stampato, Stella McCartney. Printed cotton dress, Stella McCartney.


Camicia in voile di cotone con coulisse e leggings stretch, Versace. Nella pagina accanto. Top trapuntato in fresco di lana con cinghie e mini, Dior. Cotton shirt and leggings, Versace. Opposite. Wool corset and skirt, Dior.



Mini abito in jersey di cotone con volants, cintura di pelle stampata e gonna, Louis Vuitton. Nella pagina accanto. Reggiseno di pelle, CĂŠdric Charlier. Pantaloni di seta con coulisse, Emporio Armani. Jersey dress, leather belt and white skirt, Louis Vuitton. Opposite. Leather bra, CĂŠdric Charlier. Silk joggers, Emporio Armani.




Maglia di cotone a rete e shorts di pelle, REDValentino. Stivaletti in pelle, Givenchy by Riccardo Tisci. Nella pagina accanto. Top e gonna a portafoglio in jersey tecnico con dettagli di velcro, Prada. Net cotton sweater and leather shorts, REDValentino. Boots Givenchy by Riccardo Tisci. Opposite. Jersey bra and skirt, Prada.



Top in seta, pantaloni di cotone e cintura in pelle, Bottega Veneta. Nella pagina accanto. T-shirt di cotone stampato e leggings in jersey, Gucci. Silk bra, trousers and leather belt, Bottega Veneta. Opposite. Printed T-shirt and jersey joggers, Gucci.



Top in seta con spalline logo, T-shirt e gonna di denim, Calvin Klein Jeans. Stivaletti Givenchy by Riccardo Tisci. Nella pagina accanto. Giacca con cappuccio in crĂŞpe, Moschino. Mini abito con zip, Pinko. Silk top, T-shirt and denim skirt, Calvin Klein Jeans. Boots Givenchy by Riccardo Tisci. Opposite. Silk jacket, Moschino. Dress Pinko.


Pantaloni di cotone con banda laterale, Sisley. A sinistra. Bomber over di tessuto tecnico, ottod’Ame. Nella pagina accanto. Top di rete, bustino con ruches e gonna di cotone stampato, MSGM. Cotton trousers, Sisley. On the left. Bomber ottod’Ame. Opposite. Net top, bustier and printed skirt, MSGM. Fashion assistant Michela Caprera. Make up Martina D’Andrea for Atomo Management/ Mac Cosmetics. Hair Franco Argento for Atomo Management/Davines. Model Eliza Cummings at Women Milano.



PROFUMI IN T-SHIRT Perfume in a T-shirt

Con discrezione e approccio naturale, le fragranze new minimal escono dalla nicchia With discretion and a natural approach new minimalist fragrances are coming out of their niche Testo Veronica Eredi e Carla Ferron Foto Stephanie Syjuco

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ia dal mondo connesso, dai social network e dalle notizie in tempo reale. Via dai conflitti e dagli attacchi terroristici, via dagli show televisivi e dalle notifiche dello smartphone. Via da un pianeta diventato troppo complesso. I need a break». È quasi un grido quello di Ulrich Lang. Un grido che l’amante dell’arte appassionato di fotografia, ideatore nel 2002 della Ulrich Lang New York Fragrances, ricercata azienda con sede nel Greenwich Village, ha tradotto in una via di fuga olfattiva battezzata Apsu. «Un jus pulito che si lascia respirare nel profondo, capace di regalare all’istante un momento di pausa. Un’eau de toilette da indossare con jeans e T-shirt», spiega Lang. Le sue note verdi, infuse di acque cristalline (Apsu, nella mitologia mesopotamica, è la divinità delle fonti sorgive primordiali), tracciano una strada nella strada, scavano, con l’aiuto di altri coraggiosi outsider, una nicchia nell’exploit della profumeria di nicchia, rilanciando il gusto per la discrezione e sposando un approccio new minimal.

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Le immagini di queste pagine fanno parte di Neutral Orchids, progetto fotografico con fiori vivi, trattati con vernici industriali, dell’artista filippina Stephanie Syjuco. The images on these pages are part of Neutral Orchids, a photographic project with real flowers treated with industrial paints, by Philippine artist Stephanie Syjuco.

«AWAY FROM THE CONNECTED WORLD, from social network, and from real-time news. Away from conflict and terrorist attacks, away from tv shows and smartphone alerts. Away from a planet that’s become far too complicated. I need a break». Ulrich Lang’s words are practically a cry for help. It is a cry that the art lover with a passion for photography and the inventor in 2002 of Ulrich Lang New York Fragrances. A soughtafter agency headquartered in Greenwich Village which has turned into a perfumed escape route called Apsu. «A clean essence that lets you breathe deeply and capable of offering a moment’s pause instantly. An eau de toilette to be worn with jeans and a T-shirt» explains Lang. Its green notes infused with crystalline water (Apsu, in Mesopotamian mythology, is the deity of primordial springs) tracing a path within a path, they carve - with the help of other courageous outsiders - a niche in the exploits of niche perfumery, relaunching the taste for discretion and embracing a new minimalist approach.


Phalaenopsis, small, 2016. Pigment print, edition of 10. A M I C A I N T E R N AT I O N A L - 1 47


ai Alla base ci sono la filosofia “less is more” e la sintonia con l’estetica Bauhaus The base philosophy “ less is more” in harmony with the Bauhaus aesthetic Facciamo un salto a Pitti Fragranze, l’appuntamento-evento di Pitti Immagine dedicato al mondo della profumeria artistica. Il salone fiorentino, che nel 2007 si presentava con tre produttori e 17 distributori, in meno di dieci anni è arrivato a raccogliere (il dato si riferisce all’ultima edizione, quella dello scorso settembre) 271 marchi, di cui 176 provenienti dall’estero. Un exploit che, non si può ignorare, ha coinciso con la grande riscoperta avvenuta nelle ultime stagioni olfattive di jus orientali, dominati dalle note intense e persistenti targate Middle East (tra le più in voga, benzoino, oud e incenso). Ma proprio oggi che il festival orientale contagia con sempre maggior frequenza l’offerta dei brand commerciali, allettati dal potere di acquisto dei Paesi affacciati sul Golfo Persico (gli abitanti di Oman, Qatar, Emirati Arabi e Arabia Saudita, secondo Fragrance Foundation Arabia, sono i maggiori consumatori al mondo di fragranze: ne indossano anche più di una alla volta, amano comprare on line, spendono fino a 266 dollari, 250 euro circa, in profumi al mese), alcuni di quei maître parfumeur si dirigono altrove e si fanno portabandiera di un trend intimista ed evocativo.

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sbandierare il manifesto olfattivo neominimalista ci sono, oltre al già citato Lang, anche brand più giovani, come Thirdman, nato solo nel 2012 (e solo ora in lancio in Italia). Il creatore di Eau Contemporaine, la collezione di fragranze della casa, si chiama Jean-Christophe Le Grévès ed è un tipo che si dice convinto che il consumatore sia pronto a esplorare territori olfattivi alternativi, «ad apprezzare odori meno ostentati e complessi, più personali e nobili». E ha tradotto questa sua convinzione in una sfida: creare composizioni persistenti come eau de parfum, ma leggere come l’acqua, che consentano di vivere, attraverso il profumo, un reale piacere sensoriale. La sua proposta consiste in fragranze sperimentali e avanguardiste, come testimoniano i richiami che in casa Thirdman amano fare ad altri mondi. Roba da farsi venire il mal di testa: sono creazioni - dicono - paragonabili a quelle della scuola di architettura, arte e design di Weimar, opere minimaliste che condividono la filosofia del “less is more” e l’approccio estetico del movimento Bauhaus e che, come un dipinto di Piet Mondrian, in netta antitesi alla pittura impressionista di Claude Monet (paragonabile a una fragranza classica), concentrano la loro firma olfattiva su pochi e semplici ingredienti. Quali? Ve li elenchiamo qui: citrus (Eau Monumentale), iris (Eau Moderne), cardamomo (Eau Contraire), ma anche ambra (Eau Profonde) e legni (Eau Inexplicable). Queste composizioni, concentrate in modo ottimale, dal 6 al 12 per cento, hanno anche il vantaggio di assecondare un piacere proibito per chi ama le fragranze: quello di spruzzarle liberamente e a dosi abbondanti, sulla pelle e sugli abiti, senza esserne sopraffatti. E di offrire un’alternativa peccaminosa al modo nuovo di profumarsi proposto ai seguaci della discrezione. Un modo più intimo e “senza alcol”, di cui si sono fatti por-

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Let’s hop over to Pitti Fragranze, the appointment-cumevent of Pitti Immagine dedicated to the world of artistic perfumery. The Florentine fair, which in 2007 had three producers and 17 distributors, in less than a decade has come to include (according to the most recent edition in September 2016) 271 brands, 176 of which from abroad. An exploit that can’t be ignored which has coincided with the great rediscovery that recently took place in the olfactory season of Eastern essence, dominated by the intense and persistent notes of the Middle East (among the most popular, benzoin, oud, and incense). But now that the Eastern festival increasingly cross-pollinates with what the commercial brands have to offer, and lured by the purchasing power of the countries facing the Persian Gulf (the inhabitants of Oman, Qatar, the Arab Emirates, and Saudi Arabia who according to Fragrance Foundation Arabia, are the world’s greatest consumers of fragrances: they wear more than one at a time, they love buying online and they spend up to 266 dollars on perfumes a month), some of those master perfumers are headed elsewhere, and are the flag bearers of an intimate and evocative trend. HOLdInG ALOFT THE nEW MInIMALIST olfactory manifesto are, besides the above-mentioned Lang, also younger brands, like Thirdman, born in 2012 (and only recently launched in Italy). The creator of Eau Contemporaine, the House’s collection of fragrances, is Jean-Christophe Le Grévès, who says he’s convinced the consumer is ready to explore alternative olfactory territories, «to appreciate fragrances that are less strong, more personal, and noble». And he has translated this belief into a challenge: to create long lasting concoctions like eaux de parfum, but as light as water, which allow one to experience, thanks to the fragrance, a true sensory pleasure. He suggests experimental and avant-garde fragrances, as witnessed by the allusions that the Thirdman house likes to make in the direction of other worlds. Stuff they say that can make your head spin. These are creations that can be compared with those from the Weimar school of architecture, minimalist works that share the philosophy of “less is more”, and the aesthetic approach of the Bauhaus movement; like a painting by Piet Mondrian, the complete opposite of the Impressionist style of Claude Monet (comparable to a classical fragrance), they focus their olfactory signature on a few, simple ingredients. Here is a list: citrus (Eau Monumentale), iris (Eau Moderne), cardamom (Eau Contraire), but also amber (Eau Profonde) and wood (Eau Inexplicable). These concoctions, concentrated optically, from 6 to 12 percent, also have the advantage of nurturing a forbidden pleasure for fragrance lovers. That of spraying them in abundant amounts on one’s skin and clothing without being overpowered. And of offering a sinful alternative to the new way of putting on perfume suggested to the followers of discretion. A more intimate, alcohol-free way, whose spokesperson, for example, is the Perfume Oil of the Argen-


Phalaenopsis + Dracaena sanderana, 2016. Pigment print, edition of 10. A M I C A I n t e r n At I o n A l - 1 4 9


ai Sono jus da condividere solo con gli abiti che si indossano e con gli amici più stretti Jus should only be shared with the clothes you’re wearing and close friends

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questa porzione di mondo appartiene Keiko Mecheri, fondatrice insieme al marito Kamel, del brand Les Parfums Keiko Mecheri. Una raccolta che trae dalla discrezione olfattiva propria del Giappone e dall’amore incondizionato per materie prime finissime la sua ragion d’essere. «Nel mio Paese il profumo è qualcosa di intimo ed estremamente personale», spiega Mecheri, «da condividere solo con gli abiti che si indossano e con gli amici più stretti. Quando le sue molecole si percepiscono in uno spazio pubblico viene considerato, infatti, un’invasione di campo non autorizzata». La principale fonte d’ispirazione, per Mecheri, è la natura. «Specialmente gli alberi. Quelli di pino, quercia, cipresso del Giappone e salice piangente che, rigogliosi, crescevano nel giardino del tempio buddista davanti alla casa in cui abitavo da bambina. Gli odori del legno e delle foglie, mischiati agli aromi dell’incenso che i monaci bruciavano, hanno nutrito la mia immaginazione». Del resto, dicono gli scienziati, la fuga nella natura, verso dimensioni non contaminate dalla tecnologia, lascia affiorare sensazioni ancestrali. Che sono in tanti a voler evocare. L’acqua di Colonia Rain di The Library of Fragrance ricorda, per esempio, il profumo dell’aria dopo un temporale. Ma il caso olfattivo del momento si chiama Lilac Love, la cui piramide olfattiva testimonia nientemeno che l’incontro e la contaminazione tra il trend neominimalista e il lato più opulento della profumeria, rappresentato dalla tendenza mediorientale. La nuova creazione di Amouage, brand di fragranze di lusso nato oltre 30 anni fa in Oman e ora in Gran Bretagna, pilastro della profumeria del Middle East (avete presente i tappi dei suoi flaconi a forma di cupola bizantina?), reinventato dal Ceo David Crickmore e dal direttore creativo Christopher Chong, si propone come un viaggio alla riscoperta della natura e dei suoi aromi più semplici. Come un’essenza floreale che, assicurano i suoi creatori, fa dimenticare al primo assaggio le complicazioni della vita quotidiana. Sarà il mercato a dire se tra queste creazioni qualcuna potrà replicare la fortuna di un vero pioniere: L’Eau d’Issey, creata dal naso Jacques Cavallier e lanciata da Issey Miyake nel 1992, inserita tra le 11 fragranze-icona scelte da Chandler Burr, scrittore, perfume critic, già curatore del Department of Olfactory Art del Museum of Arts and Design di New York, per il catalogo della mostra The Art of Scent: 1889 - 2012. Ovviamente sotto la voce “Minimalism”. Da aggiornare con la voce “New Minimalism”.

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tine brand Fueguia 1833, with a liquid organic jojoba wax base, and those designed by the Swedish Björk & Berries, 75 percent of which are made up of certified organic ingredients. All of them are applied on the neck, wrists, neckline, and although fragrant, they leave no trace. This is especially appreciated in another East, one that is more in harmony with the new fashion of discretion, to the point of becoming a land of inspiration and experimentation, and at the same time a potential major market: Asia. KEIKO MEChERI BELONGS TO ThIS PART of the world, the founder, with her husband Kamel, of the brand Les Parfums Keiko Mecheri. It is a collection whose raison d’être is based on the olfactory discretion that’s typical of Japan and its unconditional love for the finest raw materials. «In my country perfume is both intimate and very personal», Mecheri explains, «to be shared only with the clothes one wears or with one’s closest friends. When its molecules are perceived in a public space it is in fact considered an unauthorized encroachment». The main source of inspiration, for Mecheri, is nature. «Especially trees. Pines, oaks, the Japanese cypress, and the weeping willow, which thrived in the garden of the Buddhist temple opposite the house I lived in when I was a little girl. The scent of wood and leaves, mixed with the aromas of the incense that the monks burned, fed my imagination». After all, scientists say, the escape into nature, towards dimensions uncontaminated by technology, allows ancestral sensations to emerge. Something that many wish to evoke. L’eau de Colonia Rain made by The Library of Fragrance recalls, for example, the scent of air after a storm. But the olfactory star of the moment is Lilac Love, whose olfactory pyramid bears witness to nothing short of an encounter and cross-pollination between the new minimalist trend and the most opulent side of perfumery, represented by Mid<<dle Eastern trends. The new creation Amouage, a brand of luxury fragrances born over three decades ago in Oman and now in Great Britain is a cornerstone of Middle Eastern perfumery (the bottle caps are shaped like Byzantine domes), reinvented by the Ceo David Crickmore and by the creative director Christopher Chong, is a journey of the rediscovery of nature and of its simplest aromas. Like a floral essence that, its creators ensure us, will make you forget the problems of everyday life after the first waft. It is up to the market to tell us whether among these creations one of them will be able to repeat the success of a true pioneer: L’Eau d’Issey, created by the nose of Jacques Cavallier and launched by Issey Miyake in 1992 and included among the eleven iconic fragrances chosen by Chandler Burr, writer, perfume critic, former curator of the Department of Olfactory Art of the Museum of Arts and Design in New York, for the catalogue of the exhibition The Art of Scent: 1889 - 2012. Obviously under the entry Minimalism. To be updated under New Minimalism.

traduzione di Sylvia notini. all imageS are courteSy of catharine clark gallery, San franciSco, california

tavoce per esempio i Perfume Oil del brand argentino Fueguia 1833, a base di cera liquida di jojoba organico, e quelli firmati dallo svedese Björk & Berries, composti per il 75 per cento da ingredienti organici certificati. Si applicano, tutti, su collo, polsi e décolleté e profumano sì, ma senza lasciare scia. Come apprezzano in un altro Oriente, più in sintonia con la nuova moda della discrezione, al punto da diventare terra di ispirazione e sperimentazione, e insieme potenziale grande mercato: l’Asia.


Co-mingled Array, 2016. Pigment print, edition of 10. A M I C A I n t e r n At I o n A l - 1 51


GRAZIE AL JERSEY All thanks to jersey

Perché è così difficile avere successo? Un designer racconta come c’è riuscito Why is it so difficult to be successful? A designer talks about how he made it Testo Marco De Vincenzo

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a scorsa estate a Messina, nella casa in cui sono cresciuto, ho trovato una scatola, dalla quale sono saltati fuori tutti i fogli su cui disegnavo sin da piccolo, anche gli schizzi dei primi abiti. Il primissimo - facevo la quarta ginnasio - era un vestito da sera, lungo, azzurro, con le coppe a forma di conchiglia. Era l’inizio degli Anni 90, stavo scoprendo la mia vocazione, e da allora l’ho coltivata sempre. In quell’archivio domestico era custodita anche la copia di una lettera accuratissima, in cui chiedevo a Valentino di valutare i miei disegni (durante una vacanza a Roma mi ero innamorato del palazzo in piazza Mignanelli, sua sede storica). Domandavo di andare a lavorare per lui, temendo di non potermi permettere la scuola di moda, una volta finito il liceo. Non credo che qualcuno l’abbia mai letta e, per fortu-

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Il disegno di un modello di Marco De Vincenzo. A fashion sketch by Marco De Vincenzo.

LAST SUMMER IN MESSINA, in the house where I grew up, I found a box with all the drawings I’d made when I was a child, including sketches of my first outfits. The very first, when I was still in the first class of high school, was a light blue evening gown with cups shaped like seashells. It was the early 1990s, and when I discovered my vocation. I have nurtured it ever since. Also, hidden away in that domestic archive was a carefully drafted letter to Valentino asking him to assess my work (during a vacation in Rome I had fallen in love with the designer’s historic head-quarters in piazza Mignanelli). In the letter I asked if I could work for him. As I was afraid I would no longer be able to afford to go to school once I’d graduated. I don’t think he ever read it, and, luckily, though with great difficulty and many sacrifices



ai I produttori di stoffe, che cercavo per realizzare il mio progetto, si tiravano subito indietro con varie scuse Manufacturers, whose fabrics I wanted to use for my designs, backed off with excuses na, pur con difficoltà e con grandi sacrifici da parte dei miei genitori, in quella scuola ci andai. Dopo i tre anni di corso allo Ied di Roma, ero pronto per una proposta professionale e, nonostante avessi sempre sperato di diventare un designer di abiti, quando Fendi mi offrì l’opportunità di entrare a far parte del settore pelletteria, accettai senza riserve. Il 9 novembre 1998 iniziò un’esperienza che dura ancora, e che mi fece scoprire nella borsa un oggetto meraviglioso e imprescindibile del guardaroba femminile. In questi dieci anni trascorsi da dipendente felice, però, mi resi conto che, giorno dopo giorno, una parte importante della mia vocazione si andava spegnendo, perché l’idea di disegnare vestiti non mi abbandonava mai. Prima di raccontare com’è andata, ci tengo a precisare che lavorare per un’azienda così importante mi ha dato una formazione solida e anche uno sguardo ampio su infinite possibilità creative.

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vevo 30 anni quando decisi, 31 quando misi a punto il progetto; e fu un bene che mi fossi buttato, senza rendermi conto, all’arrembaggio. Perché se avessi aspettato che ogni pedina del gioco fosse allineata, il momento giusto non sarebbe mai arrivato. Ho investito tutti i risparmi, anche futuri, in questo progetto (o, come ogni tanto mi ripeto, ho devoluto in beneficenza a me stesso), pensando che una buona dose di passione e di metodo rigoroso, insieme a un po’ di incoscienza, fosse più che sufficiente. Fondamentale il supporto, sia solo morale, di tante persone. Le difficoltà, soprattutto di carattere economico, arrivarono subito. Ero abituato a frequentare le fiere di stoffe, tessuti e pellami: quando mi presentavo per Fendi, tutti si mettevano a disposizione sciorinando campionari e sorrisi, mentre notavo tanta diffidenza nei confronti del Marco De Vincenzo designer indipendente. Di colpo la disponibilità svaniva, i visi si facevano seri dietro a qualche “mi dispiace”, e gli ordini per la seta o altri materiali diventavano molto impegnativi, a costi che non mi potevo certo permettere. Per questo la prima collezione fu tutta in jersey. Avevo conosciuto per caso una sarta francese, con esperienza in atelier parigini. Si era trasferita per amore a Roma, e con lei iniziai a esaminare che cosa potesse venire fuori dalle mie idee. Il jersey, un unico tessuto subito disponibile in tanti colori, fu una scelta perfetta per non far morire i miei sogni. La spinta decisiva arrivò da un pr italiano che lavorava a Parigi. Disse: «Perché non provi a presentare i tuoi modelli, fuori dal calendario ufficiale durante la settimana della couture?». Al momento ne avevo 15, ma lui mi incalzò: «Fanne 20, perché altrimenti la sfilata neanche inizia che è già finita». Accelerammo, dando gli ultimi punti a mano un secondo prima dello show - e devo ammettere che erano abiti elaboratissimi, pieni di cose da sistemare.

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made by my parents, I did end up pursuing my studies. After three years of studying at Ied in Rome, I felt ready for work, and although I had always hoped to be a fashion designer, when Fendi offered me a chance to join their leather department, I accepted straight away. On 9 November 1998, an experience began that has continued to the present time, and one that made me discover that handbags are magnificent and essential objects in a woman’s wardrobe. For ten years I enjoyed working for the company, but I also realized that day after day an important part of my calling was fading away, because the idea of designing clothes never left me. But before telling you how things went on, I’d like to say that working for such an important company offered me solid training and encouraged me to keep a wide-ranging eye on the endless possibilities of creativity. I wAS 30 wHEN I MADE My DEcISION, and 31 when I put my plan into action. And it’s a good thing that I threw myself into the plan heart and soul without giving it a second thought, because if I had waited for all the right cards to be lined up, the right time might never have come. I invested all my savings, even my future ones into this project (or, as I often say, I made a charitable offering to myself ), thinking that a good dose of passion and rigorous method, along with a sprinkling of recklessness, were more than enough. Essential to my plan was the support given by so many people, even when it was only of the moral kind. The difficulties, especially economic ones, came up immediately. I had been used to attending textile and leather trade fairs, where, when I introduced myself as someone from Fendi everyone was more than willing to help out, presenting their samples with a smile. Instead, I noted a certain amount of scepticism when it came to serving Marco De Vincenzo in the guise of independent designer. Their attention abruptly disappeared, their faces became serious as they said they were “sorry”. Orders for silk and other fabrics became very hard to come by, and at prices that I simply couldn’t afford. That’s why my first collection was completely made of jersey. I had chanced to run into a French seamstress, with experience in Parisian ateliers. Her personal life had brought her to Rome, and with her help I began to envision what might spring forth from my ideas. Jersey, the only fabric that was immediately available and in many colours, was the perfect choice to make sure my dreams didn’t fade away. The decisive push came from an Italian PR working in Paris. He said: «why don’t you try presenting them outside of the official calendar, during fashion week?». At the time I had 15 designs, but he insisted: «Make 20, otherwise the show will practically end as soon as it starts». we started working day and night, sewing the last stitches by hand one second before the show, and these were very elaborate pieces, full of things which needed fixing. The appointment was for late January 2009, I had organized the event,



ai Da solo ce l’avrei fatta? Temo di no. Sono stato testardo, ma anche molto fortunato Could I have made it on my own? I think not. I was stubborn, but I had a lot of luck

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el 2012 presentai un’altra collezione tutta di jersey e capii che qualcosa non andava. La prima volta era stato stimolante lavorare con pochi mezzi, ma quando le aspettative, soprattutto mie, crebbero e mi ripresentai con una collezione che vivevo come misera, la scelta di necessità diventò una sconfitta. Decisi di fermarmi e ne parlai alla Maison Fendi. Si aprì la prospettiva di collaborazione con Lvmh (il grande gruppo finanziario di cui Fendi fa parte, ndr). Mi invitarono a continuare. Per fortuna, lavorando per loro, avevo seminato bene. A febbraio 2013 presentai una nuova collezione con il loro aiuto, a fondo perduto. Fu una straordinaria corsa contro il tempo: iniziai a progettare a fine novembre gli abiti che avrei dovuto presentare il febbraio successivo. Ma era l’occasione per rimettermi in pista. Come un bambino in un negozio di dolci, avevo a disposizione tutti i tessuti che avevo sempre desiderato, fatti apposta per me, quasi nessun freno. Una collezione importante, che sfociò poi, nel 2014, nella partnership ufficiale e in un nuovo corso. Da solo ce l’avrei fatta? Temo di no. Non è per niente facile far nascere un brand, e non si tratta solo di tenacia o di storia che gira per il verso giusto: so di essere stato fortunato, oltre che testardo. Oggi non penso a chi mi ha chiuso le porte in faccia o creato ostacoli, perché tutto è servito. Credere nei progetti accende un motore, ma quello che accade dopo è imprevedibile.

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leased the location, and found the models. I had personally brought the outfits over from Rome in two huge suitcases but I wasn’t worried, I kept telling myself that I’d make it. I did feel slightly disappointed to see that, besides my family, there were very few people in the audience: for a moment there I thought I might have made all this effort for nothing. But the people who were there were important, and since then they have never stopped following me and my work. And anyhow, in spite of the empty seats, it was a magical moment. The next day, Wwd, the International Herald Tribune, and other major magazines gave their reviews, saying that fashion lovers should keep an eye on my work. I entered the “Who is on next?” contest and won. I met a distributor who was involved in giving new talents a helping hand from a commercial standpoint, and he offered me the chance to sell the collection. So, in September 2009, I presented my first prêt-à-porter fashion show in Milan. But then when I was ready to send it to the stores my problems multiplied. What happened was that those who were supposed to produce the collection couldn’t do it, and I risked losing my credibility, and being seen as unreliable. The resources available to me were shrinking instead of expanding, I was the only source of energy. Although I couldn’t stop, I wasn’t exactly managing to take off either. IN 2012 I INTRODUCED ANOThER ALL-jERSEy collection and this time I realized that something was wrong. The first time it was stimulating to work with very few resources, but when expectations, especially your own, grow and you present a collection that you think is meagre, it becomes a defeat. I decided to stop, and spoke to Maison Fendi. There was an opportunity to work with Lvmh (the major group which Fendi is part of, Editor’s Note); they invited me to carry on. Fortunately, I’d made a good impression when I’d worked for them. In February 2013 I presented a new collection with their help and a non-refundable loan. It was a remarkable race against time. In late November I started designing the pieces that I was to present the following February, but this was a great opportunity to get back on track. Like a little boy in a candy store, all the fabrics I had always desired were available to me, made just for me, with no limitations. It was an important collection that, in 2014, would lead to an official partnership, and a new road. Could I have made it on my own? I think not. It’s not easy creating a brand, and it’s not just a question of being stubborn, or of things going in the right direction. I know that besides being stubborn I was very fortunate. Today, I never look back at those who shut the door in my face or made it hard for me to move forward, because everything is as it should be now. Believing in your ideas will get the engine running, but no one knows what happens next.

traduzione di Sylvia notini

L’appuntamento era a fine gennaio 2009, avevo organizzato l’evento, affittato la location, trovato le modelle, gli abiti me li ero portati da Roma dentro enormi valigie. Non mi preoccupavo, continuavo a ripetermi che alla fine ce l’avevo fatta. Piccolo momento di delusione nello scoprire che, seduti, a parte la mia famiglia, c’erano quattro gatti: per un attimo ebbi il dubbio di aver messo su tutto quel circo per niente. Ma quei pochi erano davvero buoni, c’erano persone che da allora non hanno mai smesso di seguirmi. E comunque, nonostante le sedie fossero vuote, il momento fu magico. Il giorno dopo arrivarono riscontri da giornali importanti come Wwd e Herald Tribune, il mio fu indicato come il nome da tenere d’occhio. Arrivai al concorso “Who is on next?” e lo vinsi. Incontrai un distributore, da sempre impegnato a dare una spinta commerciale ai nuovi talenti, che mi offrì la sua professionalità per vendere la collezione e, a settembre 2009, presentai a Milano la mia prima sfilata di prêt-à-porter. Ma quando, poi, la dovetti mandare nei negozi si moltiplicarono i problemi. Succedeva che chi doveva produrre non ci riusciva. Io mi giocai molta credibilità, rischiai di diventare inaffidabile. I mezzi a disposizione, invece di aumentare, diminuirono. La fonte di energia era sempre e solo la mia, non riuscivo a fermarmi ma neanche a decollare.


L’ITALIA SEGRETA di DOVE

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Un numero da collezione di oltre 200 pagine: tutto il meglio dell’Italia segreta, a portata di mano C’è l’Italia delle grandi città d’arte, delle regioni di mare e di montagna, delle isole e dei loro tesori. E poi c’è un’Italia poco conosciuta, nascosta, più defilata, fatti di luoghi segreti, lontana dalle mete più note. Un’Italia che è difficile trovare ma che conserva piccole grandi ricchezze artistiche, culturali, gastronomiche, naturalistiche. DOVE presenta Speciale Italia 2017: un numero da collezione che invita i lettori ad abbandonarsi all’emozione della scoperta, una “guida” per cambiare rotta. Perché ci sono luoghi che si possono incontrare solo se si ha il coraggio di lasciarsi andare. E di perdersi. IN EDICOLA A € 4,90.


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T-shirt di jersey con scollo a V, Fracomina. Bermuda oversize di lino e camicia rigata, Jil Sander. Nella pagina accanto. Gilet di cotone, Boss. Giacca alla coreana in lino, Fay. Body Intimissimi. Gonna di cotone, Blumarine. T-shirt, Fracomina. Linen shorts and striped shirt, Jil Sander. Opposite. Cotton waistcoat, Boss. Linen jacket, Fay. Body Intimissimi. Skirt Blumarine.



Camicia di cotone, Sisley. T-shirt con logo, Gucci. Pantaloni a vita alta, Escada. Nella pagina accanto. Camicia di cotone laserato e pantaloni con pinces, Salvatore Ferragamo. Espadrillas Marni. Cotton shirt, Sisley. T-shirt Gucci. Trousers Escada. Opposite. Cotton shirt and trousers, Salvatore Ferragamo. Espadrilles Marni.


Camicia maschile di cotone rigato, Dolce & Gabbana. Polo Falconeri. Pantaloni Liu Jo. Nella pagina accanto. Pull di cotone stretch a coste, Giorgio Armani. Pantaloni di lino, Marella. Cotton shirt, Dolce & Gabbana. Polo shirt Falconeri. Trousers Liu Jo. Opposite. Striped sweater, Giorgio Armani. Linen trousers, Marella.




Soprabito e doppiopetto di seta, Bottega Veneta. Shorts di cotone, Pinko. Nella pagina accanto. Camicia over di cotone, Sportmax. Pantaloni stretch e camicia rigata, Liu Jo. Silk coat and jacket, Bottega Veneta. Shorts Pinko. Opposite. Oversize cotton shirt, Sportmax. Trousers and striped shirt, Liu Jo. Fashion assistant Rebecca Muzzioli. Make up Laure Dansou for Walter Schupfer Management. Hair Rimi Ura/ Oribe. Model Mariam at Viva Paris.


creare ad arte Artfully made

Ci sarà sempre bisogno di stile: la moda di domani vista dalle collezioni del Musée Galliera We’ll need style: the future seen from the collections of the Musée Galliera Testo Stefania Romani

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una mattina di sole caldo quando ci sediamo, entrambi fumatori, sulla terrazza del Galliera, il Musée de la Mode de la Ville de Paris. Dal 2002 Laurent Cotta è responsabile e curatore delle collezioni. Ho appena visitato la mostra Anatomie d’une collection, che attraverso un centinaio di abiti e accessori racconta la moda dal XVIII secolo a oggi. Cotta, 51 anni, laurea in Arte e Letteratura, si presenta in look minimalista con sneakers, jeans e polo blu. Oltre a lavorare qui, insegna Storia della Moda all’École du Louvre e all’Institut Français de la Mode. Ma gli piace anche osservare la gente in strada quando cammina e assaporare le piccole cose che ogni giorno gli offre la vita.

Che cosa sta succedendo nel mondo della moda e delle sfilate?

Per le grandi Maison non è cambiato molto. Per i giovani stilisti, invece, una sfilata ha prezzi folli. E quindi sono costret-

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Le immagini di queste pagine fanno parte di Anatomie d’une collection, mostra al suo secondo appuntamento (fino al 2 febbraio) al Palais Galliera, Musée de la Mode di Parigi. These images are part of the Anatomie d’une collection, at the Palais Galliera, Musée de la Mode de Paris. The second event ends February 2nd.

It’S A wArM Sunny MOrnInG as we sit outside, both of us smokers, on the terrace of the Galliera, the Musée de la Mode de la Ville de Paris. Since 2002 Laurent Cotta has been in charge and curator of the collections here. I have just visited the show Anatomy of a Collection: about a hundred items of clothing and accessories that tell the story of fashion from the eighteenth century to the present. Cotta, 51, with a degree in Art and Literature, is wearing his minimalist look, sneakers, jeans, and a blue polo shirt. As well as working here, he teaches History of Fashion at both the École du Louvre and the Institut Français de la Mode. But while walking around the city he also likes to watch people on the street and savour the small things that life offers him each and every day. What’s going on in the fashion and fashion show world?

not much has changed for the top Maisons. For young fashion


Vestito Christian Dior, realizzato da Marc Bohan per la duchessa di Windsor (1972). Dress Christian Dior by Marc Bohan for the Duchess of Windsor (1972).

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ai La percezione del lusso cambierà sempre più a seconda dell’area geografica The perception of luxury will always change depending on the region ti a essere più creativi. A presentare le collezioni ricorrendo alla performing art o a videoinstallazioni. A usare gente vista per strada o amiche al posto delle modelle. A mostrare i capi sopra un manichino o un appendino. Altro fenomeno è la reazione all’iperproduzione degli Anni 90, epoca delle top model, quando il focus era più sulla donna che sui vestiti. Oggi l’abito viene proposto perché duri più di una stagione. Molti stilisti stanno lavorando sul basico, penso a Saint Laurent, alla Maison Margiela e soprattutto a Demna Gvasalia, per cui nel guardaroba bastano pochi pezzi di alta qualità da abbinare a capi più economici. Come verrà percepita la moda nel futuro?

Il lusso ora è avvertito in modo differente a seconda delle Maison e dei clienti. C’è chi, per esempio, si sta muovendo verso l’understatement, con borsette dove i marchi si intravedono, come se non debba essere così ovvio che l’accessorio sia firmato. Ma cambia anche a seconda dell’area geografica, da città a città all’interno di una nazione. È vissuto in modo diverso a Miami, New York o Los Angeles, non solo per questioni climatiche. Che cosa pensa dell’influenza dei social media?

Non la vedo come una cosa negativa. I blogger di moda possono avere idee interessanti, anche se sono meno indipendenti di quanto vogliano far credere. Come le riviste, anche loro sono collegati ai brand e agli inserzionisti, e talvolta devono prestare attenzione anche a ciò che non ritengono così rilevante. Il ruolo delle Maison è ancora importante?

Restano un punto di riferimento, e lo saranno sempre. Mentre i giovani stilisti indipendenti, quelli che hanno una visione più radicale e si oppongono alla dittatura dei grandi marchi, vanno e vengono. I brand più importanti hanno la capacità di trasmettere che cosa è lo stile. Sono collegati a quel mondo che è in grado di inserire nell’immaginario collettivo un abito come espressione di glamour e di successo. Penso soprattutto al cinema e alle grandi star di Hollywood. È possibile fare a meno dei creatori?

No, dietro una collezione serve una supervisione, anche se ciò implica una terribile pressione per gli stilisti. Per fortuna ci sarà sempre bisogno di loro. Immagini una mostra tra 20 o 30 anni sugli stilisti di questo tempo: chi sceglierebbe?

Innanzitutto spero di poter continuare a fare mostre con onestà e attenzione per la creatività: essere indipendenti, per capirci. Ci sono sempre meno sponsor, sempre meno persone come Pierre Bergé, che può permettersi di patrocinare qualcosa che gli piace veramente, solo per il gusto di farlo. Ma come lui non ce sono tanti. Un museo deve presentare in maniera genuina la storia della moda, tenendo conto di tutto quello che sta intorno, gli avvenimenti sociali e culturali. Per me è difficile dire se la minigonna sia stata inventata da Mary

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designers, instead, a fashion show can be very costly, so they’re forced to be more imaginative. They present collections that involve the performing arts or video installations. They use people they meet on the street, or friends, instead of models. They display clothing on a mannequin or a clothes hanger. Another phenomenon is the reaction to hyper-production that has come from the 1990s, the era of the top models, when the focus was more on the person than on the clothes. Each outfit is presented so that it will last longer than a season. Many fashion designers are working on what’s basic - YSL or Martin Margiela come to mind, but above all Demna Gvasalia so that all you need in your wardrobe are a few high-quality pieces which you can then mix and match with more affordable clothes. How do you think fashion will be perceived in the future?

Luxury is now perceived differently depending on the Maison and the clients. Some brands are moving in the direction of the understatement, with handbags where you can hardly see the logo, as if the signature shouldn’t stand out. But it also changes according to the geographical area, from city to city within a single country. It’s experienced differently in Miami, New York, or Los Angeles, and not just because of the weather. What do you think of the influence of social media?

I don’t see it as something negative. Fashion bloggers can have interesting ideas, even though they are less independent than they’d want you to believe. Like magazines, they’re connected to brands and advertisers as well, and sometimes they have to feign interest in things they don’t really find to be so interesting. Is the role of the Maison still important?

The Maisons continue to be a benchmark, and they always will be. Whereas young independent designers, the ones who have a more radical vision and are against the diktats of the big names, come and go. The more important brands have the ability to convey what style is. They are related to a world that forms a mental image so that an outfit expresses glamour and success. The movies and the biggest Hollywood stars come to mind. Can we do without creators?

No, we can’t: behind every collection there has to be supervision, even when this means a great deal of pressure for the designers: fortunately, we’re always going to need them. Images of an exhibition in 20-30 years about the designers of our time: who would you choose?

My first hope is to be able to continue to do exhibitions with honesty and attention towards creativity: to be independent, in other words. There are fewer and fewer sponsors, people like Pierre Bergé, who can afford to endorse something he likes just for the sake of doing it. But there aren’t many like him. A museum must present the history of fashion in a genuine way, keeping in mind everything around it, the social and cultural


Abito da sera Redfern (1900-1905) e scarpe Vaginay Nicklich (1925) dal guardaroba di Anna Gould. Evening dress by Redfern (1900) and shoes by Vaginay Nicklich (1925) from Anna Gould’s wardrobe.


ai Aprire le sfilate al pubblico? Lo sono già, grazie allo streaming e ai social network Open fashion shows to the public? They already are, thanks to streaming and social networks

Ha senso proporre sulle passerelle uomo e donna insieme?

È un fenomeno a cui assistiamo da tempo. Prenda Hedi Slimane: quando si è accorto che le sue collezioni maschili erano amate anche dalle donne, ha cominciato a proporre abiti pensati per loro, mantenendo il suo stile. Oppure Alexandre Mattiussi, che disegna Ami, brand che amo molto. Ha cominciato con collezioni uomo, poi si è accorto che andavano bene anche per le donne. È giusto aprire le sfilate al pubblico?

Sono già aperte grazie a Internet, YouTube e vari social network. Quando ero ragazzo, bisognava aspettare che le sfilate venissero pubblicate sui giornali di moda, per vedere i capi e tutti i retroscena. Durante le fashion week di Parigi e di Milano, basta accendere il tablet per vedere quello che succede sulle passerelle. Perché pagare? Ha senso usare i social media per offrire l’opportunità di giudicare e dare valutazioni sulle creazioni appena presentate nelle sfilate?

Si sta esagerando, c’è il rischio di perdere originalità nel volere a tutti i costi piacere a tutti quanti, senza mantenere un forte senso di identità. Quando vedi una sfilata, diventa sempre più difficile ricordare qualcosa che ti ha colpito, oppure dire quale stilista sia dietro un certo abito. Musei come questo contribuiranno a definire il concetto di estetica?

Spero di sì. Mi auguro davvero tanto che saremo sempre una sorta di fonte di ispirazione per stilisti e studenti di moda: venire qui ti dà la possibilità di osservare da vicino quello che in strada non potresti vedere. Come cambierà il modo di presentare gli abiti nei musei della moda tra 50 anni?

Ci sarà più interattività. Guardare un abito, anche se meraviglioso, in modo statico fa perdere tutta la storia che nasconde. Non sai chi lo indossava, quando, perché, quali erano gli accessori e la pettinatura a questo abbinati. È un po’ frustrante. Le videoinstallazioni possono aiutare a comunicare ogni piccolo dettaglio che quell’abito si porta dietro.

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events. It’s hard for me to say whether the miniskirt was invented by Mary Quant or André Courrèges, but I do know that the idea was conceived well before their invention, on the streets, by the young people of the 1960s who were tired of wearing the clothes their parents wore. And what about the bathing suit? In the 1940s a bikini worn in a public swimming pool might have seemed shocking. Today, it’s shocking to see someone who has too much clothing on the beach, a case in point being the burkini. Sometimes fashion manifests itself very forcefully. It has always been related to power, sex, and money. Does it make any sense to put men and women together on the runway?

It’s a phenomenon we have been seeing for some time now. Take Hedi Slimane, for instance. When he realized that his menswear collections were also loved by women, he started introducing outfits for them as well, maintaining the same style. Or Alexandre Matiussi, who designs Ami, a brand I really love. He started out with menswear collections, then he realized that they could be worn by women too. Is is right to open the fashion shows to the public?

They’re already open, thanks to the Internet, You Tube and various social networks. When I was young, I had to wait for the fashion shows to be published in the fashion newspapers to be able to see the clothes and what went on backstage. During fashion week, whether in Paris or Milan, all you have to do is turn on your tablet to see what’s happening on the runway. Does it make any sense to use social media to give people the opportunity to judge and express an opinion on the creations that were just introduced on the runways?

There’s some exaggeration involved here, the risk is that of losing a sense of originality by wanting to be at all costs liked by everyone, without holding on to a strong sense of identity. When you see a fashion show, it becomes increasingly difficult to remember what impressed you the most, or say which designer is behind a certain outfit. Will museums like this one contribute to defining the concept of aesthetics?

I hope so. My hope is that we will always be a kind of source of inspiration for designers and fashion students, also because visiting the museum gives you the chance to see from up close what you might never see in the street. How will the way clothes are displayed in museums change in over the next 50 years?

Everything will be more interactive. Seeing an outfit that’s static, even when it’s marvellous, forces it to lose all the history it contains. You don’t know who wore it, when, or why, you don’t know which accessories and hairdos were associated with it. It’s rather frustrating. Video installations can help to communicate every single detail that the outfit holds within.

traduzione di Sylvia notini, foto eric Poitevin / adaGP, PariS 2016, courteSy PalaiS Galliera

Quant oppure da André Courrèges, ma so che quell’idea è arrivata, prima che a loro, ai giovani degli Anni 60, stanchi di indossare gli stessi abiti dei genitori. Oppure il costume da bagno. Negli Anni 40 faceva scandalo il bikini mostrato in una piscina pubblica. Oggi fa scandalo vestirsi troppo sulla spiaggia: è il caso del burkini. La moda a volte si manifesta in modo violento, è sempre stata legata a potere, sesso e soldi.


Mantello di Paul Poiret per la moglie Denise (1922). Coat by Paul Poiret for his wife Denise (1922).


Il tempo dI trovarsI Time to find oneself

Il virtuale influenza il reale in un gioco di condivisioni che crea identità multiple The virtual world shapes reality in an interplay creating multiple identities Testo Giacomo Papi Foto Susan Barnett

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a chiamano “sharing economy”, ma è molto di più, molto di meno e molto più semplice. Gli incontri grazie a Tinder, gli autisti di Uber, i passaggi di BlaBlaCar, le case di Airbnb, le cene di Gnammo sono manifestazioni tecnologiche di un desiderio più ampio e naturale. Un giorno - non si sa dove né quando né soprattutto perché - a molti è venuta voglia di uscire. È successo in periferia, in provincia, a Milano, che viveva barricata in casa da almeno 20 anni, ma anche a Londra, Parigi, New York o nelle altre città italiane ormai quasi tutte - dove abbia iniziato a esistere un festival. L’esca più forte è il corpo, ovviamente: il cibo trionfa, dalla cena gourmet al picnic “en plein air” nei giardini pubblici, dove, però, c’è anche chi corre, gioca a bocce, fa tai chi o medita in gruppo come accade a Manhattan, in Bryant Park. Le strade si riempiono, ma nell’onda in arrivo si mescola l’acqua

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Le foto di queste pagine, realizzate da Susan Barnett e pubblicate nel libro T: A Typology of T-Shirts, raccontano come le T-shirt rivelino la personalità di chi le indossa. Photos on these pages created by Susan Barnett and published in the book T: A Typology of T-Shirts showing how the T-shirt reveals the wearer’s personality.

TheY CALL iT The shAriNG eCoNoMY, but it’s much more, much less, and much simpler. Dating thanks to Tinder, lifts with Uber, carpooling with BlaBlaCar, houses with Airbnb, meals with Gnammo - these are all technological expressions of a greater and more natural desire. one day - we don’t know where, or when, but most importantly why - many people felt the urge to go out. it happened in the outskirts and even farther out. in Milan, where people had been living barricaded in their homes for at least two decades, but also in London, Paris, New York, or in the italian cities where festivals began to be regularly held. Now almost all of them have one. The most appealing enticement is the body, obviously. Food triumphs, from an gourmet dinner to an outdoor picnic in park, where some people still jog, play bowls, do Tai Chi or group meditation like in Manhattan’s Bryant Park. The streets are crowded,


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ai Abitano con noi, in casa, anche i gruppi di WhatsApp: quelli del lavoro o delle classi dei figli Living together with WhatsApp groups from work and school passata. Così, ogni notte, milioni di insonni imprecano per gli schiamazzi notturni, rimpiangendo il silenzio di quando il mondo preferiva rinchiudersi tra quattro mura. La soglia si sposta. La linea tra pubblico e privato si fa più confusa. Dai pianerottoli gli zerbini sgattaiolano giù per le scale o arretrano all’interno, permettendo ad altri di entrare. È una trasformazione soprattutto virtuale: wi-fi e social network funzionano come finestre aperte attraverso cui scorre, in entrambe le direzioni, un flusso ininterrotto di informazioni, emozioni e fastidi. In casa non abita più solo chi vi si trova fisicamente: si convive con i gruppi whatsapp delle classi dei figli, del lavoro o del tennis, con i liveblog di Facebook e Twitter. Così la nostra identità si moltiplica, in tutto quello che siamo, indossiamo e facciamo, liberandosi dall’ancoraggio a un unico luogo. Attraverso il digitale, in un certo senso, la casa si trasforma in città e la città in casa. Ma non è soltanto questione di tecnologia. È anche un processo reale, che restaura modalità di abitare comunitarie e più antiche, e che l’architettura ha interpretato e anticipato.

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lla fine del Settecento in Europa si diffonde una fiaba che è un manifesto politico e abitativo. I tre porcellini - racconta Luca Molinari ne Le case che siamo, un piccolo libro pubblicato da Nottetempo sul passato e sul futuro dell’abitare - annunciano l’avvento della dimora borghese, che è concepita come un rifugio dove rinchiudersi, lasciando il mondo fuori. L’appartamento diventa un guscio, la scatola protettiva che impedisce ai lupi cattivi di entrare. Il modello trionfa e si consolida, ma dà claustrofobia. Alcuni architetti tentano di aprire all’esterno, passando dai mattoni, che sono opachi, al vetro, che lascia vedere. Bruno Taut verso il 1917, in Germania, teorizza la Glasarchitektur, l’utopia di una città dove tutti i muri sono trasparenti, per rendere gli uomini uguali. Tra 1928 e 1932, a Parigi, al 31 di Rue Saint-Guillaume, Pierre Chareau costruisce la Maison de Verre e mezzo secolo dopo, nella stessa città, Renzo Piano il Beaubourg, “una macchina urbana, aperta, trasparente, flessibile”, nella quale tutto quello che ingombra, comprese persino le scale mobili, è portato all’esterno. Intanto, dappertutto nel mondo, i grattacieli vengono costruiti con il vetro. Non è soltanto l’edilizia pubblica a essere inondata da questo fenomeno. È anche quella privata. Nel 1951, in un bosco in mezzo all’America, Mies van der Rohe costruisce Casa Farnsworth, che ha le pareti completamente trasparenti, arrivando a litigare con la committente, Mrs Edith Farnsworth, perché lei vorrebbe le tende. Sono tentativi intellettuali e individuali, che intravedono il futuro e forse lo tracciano, ma non avvengono ancora in una società pronta ad accoglierlo. Lo spettacolo dell’assoluta visibilità diventa di massa solo alla fine del secolo, quando in tv debutta la casa del Grande fratello, i cui abitanti, però, sono reclusi. Anche gli appartamenti reali continuano a essere costruiti e vissuti come fossero gusci. Quello borghese

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but the coming wave is mixed up with water from the past. So, every night, millions of unwilling insomniacs rail against the noise, missing the silence of a world of people who prefer to retreat into their homes. The dividing line is shifting. The line between public and private is more blurred. From the landings doormats creep down the stairs or stop just inside the entrance, allowing others to come inside. This transformation is mostly virtual: Wi-Fi and social networks are like open windows through which, in both directions, an unrestrained flow of information, emotions, and grievances pass. Living inside the house are not just the people who are there. In every single instant people are living together with Whatsapp groups from their kids’ schools, work, or tennis, with Facebook and Twitter liveblogs. Our identity is multiplied in everything we are, wear, or do, freeing ourselves from the shackles of one place. Through digital, in a certain sense, the house has been turned into a city and the city into a house. But it’s not just a matter of technology. It’s also a real process that has restored modes of community living as well as older ones and this something that has been predicted and interpreted in architecture. IN ThE LATE EIGhTEENTh CENTuRy Europe a fairy tale spread that was both a political and living manifesto. The Three Little Pigs, Luca Molinari tells us in Le case che siamo, a small book on the past and future of living, published by Nottetempo, heralded the advent of the middle-class dwelling, which was conceived as a shelter in which one could withdraw, keeping the rest of the world at bay. The house became a shell, a protective box that prevented big bad wolves from entering. The model was successful and was consolidated, but it also created a sense of claustrophobia. Some architects attempted to open up to the outside world, going from opaque bricks to see-through glass. Around 1917, in Germany, Bruno Taut theorized the Glasarchitektur, a utopian city where every wall was transparent, so that all humans were equal. In Paris, between 1928 and 1932, at 31 Rue Saint-Guillaume, Pierre Chareau built La Maison de Verre, and half a century later, in the same city, Renzo Piano designed Beaubourg, «an urban machine, one that is open, transparent, flexible», where everything that got in the way, including escalators, was transferred outside. Meanwhile, in the rest of the world, skyscrapers were being built with glass. And it wasn’t just public buildings that were being flooded with transparency. The same thing was happening in private architecture. In 1951, in a wood in the middle of America, Mies van de Rohe built the Farnsworth house, whose walls he designed to be completely transparent, in spite of arguments with his client, Edith Farnsworth, who wanted curtains. Such intellectual and individual efforts glimpsed the future and perhaps defined it, but society was not yet ready for them. The spectacle of absolute visibility would not become a mass phenomenon until the debut of Big Brother on tv, in spite of the contestants still being kept hidden away. Real houses continued to be built and inhabited as though they were protective shells.


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ai Il bisogno di stare insieme non è solo una conseguenza della tecnologia, ma anche una reazione

è il modello abitativo che caratterizza la modernità e che travolge ogni altro schema. Anche perché l’architettura ha dovuto fronteggiare un mostruoso fenomeno demografico. Nella seconda metà del Novecento ogni città media italiana aumenta di circa otto volte. In meno di 100 anni gli esseri umani, che vivono nei centri urbani, passano dal 5 al 50 per cento. Nelle campagne le cascine si svuotano e le aie spariscono. In milioni si spostano: da qualche parte devono andare a dormire. All’inizio sono sufficienti le case di ringhiera, che obbligano ancora alla condivisione. Ma, poi, sorgono immensi complessi-dormitorio, costituiti da appartamenti che riepilogano in povertà, nella loro ripetitività seriale a tenuta stagna, l’ideale abitativo borghese. Il modello dell’Unité d’Habitation di Marsiglia di Le Corbusier, terminata nel 1952, dilaga nelle periferie di tutto il mondo, dalle New Town britanniche alle Vele di Secondigliano, fino al Corviale di Roma.

The middle-class home was the model that characterized modernity and that overwhelmed every other design. Also because architecture was forced to come to terms with a major demographic phenomenon. In the second half of the twentieth century, every average Italian town grew eightfold. In less than a century the number of people living in cities rose from 5 to 50%. In the country, farmhouses and barnyards disappeared. Millions moved to town, and they had to find somewhere to sleep. In the beginning tenements with shared balconies, which still forced people to share things, were sufficient, but then immense dormitory complexes were built, consisting of apartments whose serial airtight repetitiveness reproduced a poor version of the bourgeois dwelling. Le Corbusier’s model for his Unité d’Habitation in Marseille, completed in 1952, spread to the outskirts and to the rest of the world, from England’s New Towns, to the Vele in Secondigliano, to the Corviale in Rome.

hiudendosi in casa - e accettando di dividere la propria esistenza tra pubblico e privato - centinaia di milioni di persone accedono per la prima volta ai servizi: il bagno non più nei campi o sui ballatoi, la cucina economica, la televisione, che è una macchina per guardare il mondo senza mettere il piede fuori. Il modulo architettonico al quale si ispira è la finestra. Non a caso lo schermo, all’inizio, era di vetro. Il modello di Internet, piuttosto, assomiglia alle strade, che si incrociano una sull’altra, permettendo incontri e inducendo a muoversi. Le Reti sono entrate nelle case, collegandole all’esterno. Anche i telefoni erano inchiodati al muro, poi si sono posati sui mobili, moltiplicati e liberati dei fili, fino a far parte del corpo e della vita. Il bisogno di condividere non è soltanto un effetto della tecnologia. È anche una reazione alla sua volatilità. La quantità e virtualità delle informazioni hanno probabilmente fatto crescere il desiderio di tornare alle cose e alle persone reali. Le strade invase da ristoranti e da runner che corrono da fermi ai semafori, in attesa del verde, la crescita del co-working sono segnali di un processo diffuso, che è visibile anche nelle periferie, nei quartieri-dormitorio, dove la separazione tra pubblico e privato è stata più netta. Nel cortili di Milano e Rimini sono ritornati i bambini. Al numero 12 di via Rembrandt, sempre a Milano, i condomini hanno trasformato la vecchia portineria in una biblioteca, un’iniziativa ripresa in altre vie e città. L’apertura delle periferie - da realizzare abbattendo i cortili interni o creando luoghi dove gli anziani possano vivere insieme - è il futuro dell’architettura. Per questo Renzo Piano si sta occupando di Gratosoglio, un quartiere alla periferia del capoluogo lombardo, dove qualcuno ha avuto l’idea di organizzare proiezioni di film in cortile e creato orti comuni, intorno ai quali si sta formando una comunità che non era mai esistita. Intanto, in alcune metropoli asiatiche, gli appartamenti sono sempre più spesso senza cucina, perché si mangerà sempre fuori.

BECAUSE THEy Now INHABITEd their own home which meant being willing to separate their public and private lives, for the first time ever hundreds of thousands of people had facilities. A bathroom inside the house instead of sharing, a kitchen range, a television, i.e. a machine for viewing the world, without having to step outside. Unsurprisingly, the first screens were made of glass. The Internet model, instead, resembles intersecting streets that allows meetings and encourages movement. Networks entered homes connecting them with the outside world. Even telephones that were once fastened to the wall, moved to the tops of furniture, multiplied, were freed from wires, and, lastly, became a part of out body and life. The need to share is not just an effect of technology. It is also a reaction to its volatility. The quantity and virtual nature of information probably caused the growing desire to go back to real things and people. Streets filled with restaurants and people running on the spot at traffic lights waiting for them to turn green, the growth of co-working, are all signs of a widespread process, which is also visible in the outskirts, in the neighborhoods where people working downtown go home at night, where the separation between public and private is more straightforward. In the courtyards of Milan and Rimini you can hear the sounds of children playing again. At number 12 Via Rembrandt, in Milan, the residents turned the old porter’s lodge into a library, and the idea has been copied on other streets and in other cities. The opening of the outskirts – to be implemented by tearing down inner courtyards or creating places where the elderly can live together – is the future of architecture. This is why Renzo Piano is working on Gratosoglio, a district on the outskirts of Milan, where someone came up with the idea of organizing film screenings in the courtyard and creating kitchen gardens for everyone, around which a community is taking shape that didn’t exist before. In the meantime, in some major Asian towns, apartments are more and more often coming without a kitchen, because people are eating out.

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traduzione di Sylvia notini - dewi lewiS PubliShing

The need to share is a reaction not just a consequence of technology


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Blooming colours gli accessori si vestono di nuovo fashion accessories new season

Foto Maud Rémy-Lonvis Styling Vanessa Giudici

Mini cartella di pelle martellata con monogram, Saint Laurent. Orecchini Céline. Leather bag with monogram, Saint Laurent. Earrings Céline.




Petite Malle in canvas monogram con chiusura gioiello, Louis Vuitton. Nella pagina accanto. Borsa di pelle a soffietto, CĂŠline. Petite Malle with jewelled lock, Louis Vuitton. Opposite. Leather handbag, CĂŠline.



Borsa di nappa con lavorazioni in seta giapponese, Fendi. Maxi pochette di pelle martellata, Orciani. Nella pagina accanto. Minaudière in metallo e smalto, Dior. Leather and silk handbag, Fendi. Yellow leather clutch, Orciani. Opposite. Painted golden metal box clutch, Dior.


Borsa di pelle a un manico dipinta a mano, Tod’s. Painted leather handbag, Tod’s.



Nella pagina accanto. Pochette di vitello con fibbia in plexiglas, Prada. Opposite. Leather clutch, Prada.




Da sinistra. Clutch di coccodrillo e nappa intrecciata, Bottega Veneta. Borsa di vitello e cocco con inserti di pitone, Dolce & Gabbana. Bracciali Etro. Tracolla di suède con catena, Valentino Garavani. Borsa di tessuto matelassÊ con pins, Chanel. Nella pagina accanto. Borsa in lucertola e seta con frange, Giorgio Armani. From left. Crocodile clutch, Bottega Veneta. Leather and snakeskin bag, Dolce & Gabbana. Bangles Etro. Suede shoulder bag, Valentino Garavani. Quilted bag, Chanel. Opposite. Lizard bag with silk fringes, Giorgio Armani.


Clutch di seta stampata con fiori gioiello, Jimmy Choo. Nella pagina accanto. Décolletée di satin bicolore con fiocco, Gucci. Silk and jewelled clutch, Jimmy Choo. Opposite. Silk pumps, Gucci. Fashion assistants Irene Traina and Giulia Querenghi. Set designer Hélène Leverrier for WSM.



effetto pelle d’oca The goose bumps effect

Come si riconosce il talento: risponde una cercatrice infaticabile A determined scout talks about recognizing talent Testo Barbara Franchin

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a 30 anni mi occupo di ricerca e supporto di creativi talentuosi. E per riconoscerli utilizzo molte risorse. La più importante è l’esperienza. Mi lascio guidare dall’istinto: mi viene la pelle d’oca appena percepisco la forza e il potenziale di un progetto. E non ho dubbi che, nonostante gli strumenti digitali abbiano ampliato le nostre possibilità, valga sempre la pena di viaggiare. Il talento è come un seme, capace di germinare in luoghi inaspettati, anche sfidando l’infertilità: va cercato ovunque. Grazie alla dimestichezza maturata visionando decine di migliaia di portfolio, e sostenuta da un database di immagini, sono riuscita a raffinare l’istinto, rendendolo più pratico. E così per me è lampante che un requisito fondamentale è la chiarezza. La traduzione in realtà dell’idea visionaria deve essere evidente anche per un non addetto ai lavori o un neofita. Pensate a quante persone, per esempio, sono in gioco nello sviluppo di una collezione, quando si arriva alla produzione.

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For thE Past thrEE dEcadEs I have scouted and supported talented creatives, and I have used many resources to spot them. the most important of these is experience. I let my instinct guide me, so whenever I perceive the strength and potential of a project I get goose bumps. and although digital instruments have increased our opportunities, I still believe it is worth travelling. talent is like a seed, capable of germinating in unexpected places, even defying infertility and must be sought everywhere. thanks to the skills I have developed in reviewing tens of thousands of portfolios, supported by a database of images, I have managed to hone my instinct so that it has become more practical. and so it is clear to me that a fundamental requirement is clarity. Indeed, the translation of the visionary idea must also be evident to anyone not in the field, or even to a beginner. Just think of how many people are involved, for example, in the development of a collection when it gets to the production stage. Pattern-makers, print-


Una creazione di Melanie Lewinston, finalista di Its Accessories 2016. A creation by Melanie Lewinston, finalist in Its Accessories 2016.


ai Essere creativi vuol dire saper ridisegnare l’ordine delle cose Being creative means being able to re-design the order of things Modellisti, stampatori, tintori, responsabili della confezione, della distribuzione e della comunicazione. Per ognuno di loro un designer capace di farsi capire risulta più appetibile rispetto a chi ha bisogno di essere affiancato da un “mediatore” o addirittura da un “traduttore”. Strumento importante è la fotografia. È impossibile basarsi solo sul materiale di ricerca o sui disegni - tecnici o artistici che siano. Le immagini di prototipi e/o di pezzi finiti, close-up di particolari lavorazioni o di produzioni precedenti permettono una valutazione completa. A volte ci troviamo davanti a idee dalla forza dirompente che si smarriscono: quando succede, provo frustrazione per l’occasione perduta. Torniamo a dov’è e a come si forma il talento: anni fa ne scoprimmo uno in apparenza senza formazione scolastica, eppure già dotato di incredibile senso estetico, strabiliante nel disegno e nella manualità. Un diamante grezzo che - arrivato dall’Indonesia ad Anversa per studiare - venne selezionato mentre era ancora al secondo dei tre anni del corso. In genere, tuttavia, come indicano le statistiche, il talento cresce con maggiore facilità nei luoghi dove esiste una forte tradizione e soprattutto un’educazione strutturata e di qualità.

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na panoramica sommaria degli oltre 550 finalisti selezionati a Its (International Talent Support) dal 2002 a oggi ci dice che il 10 per cento proviene dal Regno Unito, il 9 dal Giappone, il 7 da Israele, Germania e Cina, il 6 dall’Italia e il 5 da Corea del Sud, Danimarca, Francia e Svizzera. Ogni anno arrivano progetti da più di 80 Paesi e, mentre una volta mi bastava uno sguardo per riconoscere immaginario e riferimenti culturali, da qualche tempo non riesco a capirne l’origine. Anche perché si aprono nuove strade. Dalla Cina, per esempio, c’è stato un aumento esponenziale: nel 2002 i concorrenti erano 12, quest’anno 120. Dei 630 totali, oltre 350 hanno studiato all’estero. Il motivo? Le scuole europee sono considerate prestigiose, una scelta quasi obbligata in attesa che le strutture con percorsi formativi in fashion design si rafforzino a casa loro. Diverso il discorso per quanto riguarda gli Stati Uniti, dove ho notato un’importante e costante crescita nella qualità degli atenei, capaci di formare giovani designer sempre più interessanti. Quest’anno sono rimasta sorpresa dalla personalità definita e dall’eccellente tecnica nei materiali e nelle forme del portfolio di un allievo di una scuola di Taiwan: è stato il primo finalista (sono cinque in tutto) della sezione Fashion e Artwork del suo Paese. Così come ci ha stregato con la sua collezione il primo finalista della sezione Accessori, paraguayano, giovanissimo e autodidatta. Essere creativi vuol dire saper ridisegnare l’ordine delle cose, proporre una soluzione cui nessuno è arrivato prima. Quando esamino un portfolio, parto sempre dal concept. La personalità e la ricchezza attirano l’attenzione, poi verifico il materiale della ricerca, che deve essere illustrato e organizzato in maniera consapevole. Ma non basta. Mi sono

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ers, dyers, packagers, and those who work in distribution and communication. For each of them a designer who knows how to make themselves understood will be much more appealing than someone who needs to be accompanied by a “mediator” or “translator”. Photography is also an important tool. It is impossible to base one’s opinion just on research material or drawings - whether technical or artistic. The images of prototypes and/or of finished products, close-ups of particular techniques or of previous work allow for a more complete assessment. At times we find ourselves faced with ideas that are really good, but we end up allowing them to slip through our fingers and when that happens, I feel frustrated about missing an opportunity. But let’s go back to the subject of where to discover talented people, and how they are trained. Many years ago we found one talented boy who apparently had not been trained in a school but was gifted with an incredible aesthetic sense, someone whose drawing and manual skills were truly astonishing. A rough diamond who - after leaving Indonesia to study in Antwerp - was selected while he was still doing his second year of a three-year course. Generally, however, statistics tell us that talent grows more easily in places where there is a strong tradition and most importantly structured, high-quality education. A BRIEF OvERvIEw of the more than 550 finalists selected by Its (International Talent Support) from 2002 to the present tells us that 10% come from the United Kingdom, 9 from Japan, 7 from Israel, Germany and China, 6 from Italy, and 5 from South Korea, Denmark, France, and Switzerland. Each year we receive projects from over 80 countries, and while once all I needed was to take a quick look to recognize the cultural imagery and references, for some time now I have been finding it hard to identify the candidate’s origins. This is also because new roads are being paved. For example, we have witnessed an exponential growth in the number of applicants from China: in 2002 they numbered 12, this year it’s 120. Of the 630 total applicants over 350 have studied abroad. why? European schools are considered to be prestigious, and while you’re waiting for vocational fashion design schools to be improved at home, these are the places you want to attend. The situation in the United States differs in that, I’ve noticed a major as well as a constant growth in the quality of schools, capable of preparing young designers who are becoming more and more interesting. This year I was surprised by the strong personality and excellent technique in the use of materials and forms in the portfolio of a student from a school in Taiwan: he was the first finalist (there are five altogether) for his country’s Fashion and Artwork section. Just as we were enthralled by a young, talented, and completely self-taught student from Paraguay, who came in first in the Accessories section. Being creative means knowing how to redesign the order of things, proposing a solution that no one has thought of before. when I examine a portfolio, I always start from the concept. Both personality and substance attract my attention, then I check the mate-


Anelli di Sari Räthel, vincitrice di Its Jewelry 2016. Rings by Sari Räthel, winner of Its Jewelry 2016.

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ai Nel nostro archivio custodiamo 16mila portfolio provenienti da oltre 80 Paesi We store 16,000 portfolios, from more than 80 countries in our archives

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mo pensare che la natura mi abbia dato il dono di capire di quale tipo sia il seme che sto tenendo nelle mani. Dove piantarlo, come annaffiarlo, di che tipo di luce abbia bisogno per crescere. Solo al raggiungimento delle giuste condizioni ambientali uscirà dal suo potenziale e diventerà reale. Verrà visto, riconosciuto e ammirato da tanti, e acquisirà una consapevolezza di se stesso che lo renderà forte, pronto a sfidare le intemperie. Perché il talento non basta: serve la determinazione del guerriero. Con questa filosofia nasce Its, progetto arrivato all’importante traguardo dei 15 anni: da qui osservo con soddisfazione e profondo rispetto la fitta foresta germogliata dai nostri semi, cresciuta vigorosa fino a ora. Posso fare alcuni nomi come Katy Reiss, che oggi è global art director per Lanvin, o Demna Gvasalia che, oltre a occuparsi del suo marchio Vetements, è direttore artistico di Balenciaga. Oppure Hong Bo Li, senior designer per l’alta moda di Christian Dior. La lista è lunga, più di 550 ragazzi selezionati da oltre 16mila portfolio provenienti da 80 Paesi. Tutti questi lavori sono protetti e valorizzati nel nostro archivio creativo, insieme a oltre 220 abiti, 120 accessori, 80 progetti di gioielleria e più di 700 progetti fotografici. I nostri semi germinano in tutto il mondo, non smetterò mai di sentirmi privilegiata di averli riconosciuti.

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rial of the applicant’s research, which must be illustrated and organized skilfully. But that’s still not enough. I have fallen in love with stories whose representation wasn’t as good as the story itself. You need to show that you know how to translate that concept in an equally original way, so that it isn’t banal, by using artistic and technical drawings accompanied by samples of materials and the techniques the applicant intends to implement. If this phase works, then those making the evaluation can already start to envision the idea taking shape. I have also noticed that the more they put into the work, the greater their talent. The development of the finished pieces means squaring the circle. I’m not using this expression by chance: as over the years, the biggest surprises have involved young talents who have responded with great zeal, translating ideas that seemed impossible. Thanks to them, I have learned that what I don’t understand represents true beauty. I am in fact strongly attracted to these mysterious projects. I have a similar reaction when I’m faced with something that frightens me, because the two emotions are connected. In early Greek mythology fear was represented by Phobos, viscerally joined with beauty and represented by his mother, the goddess Aphrodite. Three decades of scouting have taught me that talent and creativity both contain that seed of diversity that never stops sprouting. I have met young designers with a clear inclination for research, and others more suited to carrying out the actual project. There are also other quasi scientists who are constantly seeking alternative techniques for sewing, printing, pattern-making and then, of course, there are some talents that have all these characteristics: these people are truly outsiders, “one-offs”, whom I have been lucky enough to meet and recognize in my career. I LIKE TO THINK that nature gave me the gift of being able to recognize the type of seed I’m holding in my hands. Where to plant it, how to water it, the kind of light it needs to grow. Only when all the right environmental conditions have been met will its potential become reality. This person will be seen, acknowledged, and admired by many, and they will acquire a selfawareness that will make them strong, ready to brave the storm. Because talent is never enough: what the warrior also needs is determination. And this is the philosophy lying behind Its, which has celebrated its fifteenth anniversary, and allows me to admire with great satisfaction and profound respect the many “trees” that started out with us as tiny seeds, and that have grown vigorously over the years. Some names are: Katy Reiss, global art director for Lanvin, Demna Gvasalia who, besides having his own brand, Vetements, is artistic director for Balenciaga. And then there’s Hong Bo Li, senior haute couture designer for Christian Dior. The list is long, with over 550 young people, selected from over 16,000 portfolios from 80 countries. All these projects are protected and valorized in our creative archive, along with over 220 outfits, 120 accessories, 80 jewellery projects, and over 700 photographic projects. Our seeds germinate everywhere in the world, and I will forever feel privileged to have met and recognized them.

traduzione di Sylvia notini

innamorata di storie la cui rappresentazione non era all’altezza del racconto. Bisogna dimostrare di saper tradurre il concept in maniera altrettanto originale e non scontata, attraverso disegni artistici e tecnici corredati da campioni dei materiali e delle lavorazioni che si intendono mettere in atto. Se questo passaggio funziona, chi valuta inizia già a vedere l’idea che prende forma. Ho capito anche che maggiore è la forza che ci mettono, maggiore è il talento. Lo sviluppo dei pezzi finiti rappresenta la quadratura del cerchio. Non uso l’espressione a caso: in questi anni, le sorprese migliori le ho avute da giovani che hanno risposto con energia traducendo idee che sembravano impossibili. Grazie a loro ho imparato che quello che non capisco rappresenta la vera bellezza. L’attrazione, infatti, che esercitano su di me questi progetti misteriosi è fortissima. Una reazione simile a quella che si prova davanti a qualcosa che ti fa paura. Perché le cose sono connesse. Nella mitologia greca la paura era Phobos, visceralmente unito alla bellezza, rappresentata da sua madre, la dea Afrodite. Trent’anni di ricerca mi hanno insegnato che il talento e la creatività hanno in sé il seme di una diversità che non smette mai di germogliare. Ho incontrato giovani designer con spiccata propensione per lo studio preparatorio, altri più sensibili all’esecuzione materiale, altri ancora quasi scienziati in costante ricerca di possibilità tecniche alternative per una cucitura, una stampa o un cartamodello. E poi, certo, ci sono talenti che hanno in sé tutte le caratteristiche: sono veri outsider, pezzi unici, che ho avuto la fortuna di incontrare e riconoscere nel mio percorso.


Outfit di Birute Mazeikaite, finalista di Its Fashion 2016. Outfit by Birute Mazeikaite, finalist in Its Fashion 2016.


DA ZERO A VENTI From zero to twenty

In queste cifre l’ascesa di un ragazzo che ha puntato sulla capacità di fare network These numbers tell the rise of a young man who staked everything on his ability to create networks Testo Michela Proietti Foto Danielle Levitt

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ato alla fine del mondo, in Patagonia, non poteva accontentarsi di un futuro qualsiasi. Così, Marcelo Burlon il suo se lo è costruito passo dopo passo, cambiando le regole del gioco. «Ho il titolo di studio della terza media, mio papà aveva una lavanderia, c’era poco da starsene con le mani in mano», racconta Marcelo, 40 anni, di ritorno da Dubai, dove ha appena lanciato la sua capsule collection con Harvey Nichols. «Ieri sera abbiamo fatto una festa bellissima al Provocateur, neppure una persona stava ferma». Il titolo della sua vita potrebbe essere “Da zero a venti”, tanti sono i milioni di fatturato del marchio County of Milan, fondato nel 2012 con un paio di amici che hanno creduto nel talento di un ragazzo camaleonte, capace ogni volta di cambiare pelle. Operaio, dee-jay, pr, organizzatore di eventi, e ora, nella sua ultima trasformazione, stilista di fama con il suo street style venduto in 480 negozi e la Marcelo’s factory

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Marcelo Burlon, 40 anni, una delle figure più eclettiche del fashion system. // Marcelo Burlon, 40, one of the most eclectic figures in fashion.

che dà lavoro a 40 persone. County of Milan, il nome del brand, è un omaggio alla città di Milano, dove ha realizzato tutti i sogni. È qui che è decollato il suo lavoro di event planner/dee-jay/stylist, quando organizzava happening per Dolce & Gabbana, Versace, Maison Margiela ed era animatore delle feste del venerdì sera nel peep-show milanese Queen: per partecipare Riccardo Tisci prendeva un volo apposta da Parigi. «Mi chiamavano a suonare a Mosca e Toronto, ero capace di spostare davvero tanta gente da una parte all’altra. Così, a un certo punto ho deciso di puntare sulla mia capacità di fare network». Facile parlare ora di favola, ma il segreto del successo per Marcelo Burlon ha delle parole chiave: una di queste è “verità”. «Per riuscire nei tuoi obiettivi devi essere libero di testa, senza paranoie. Ho sempre lavorato in modo indipendente, senza sottostare alle regole del sistema, ho seguito il mio istinto, mantenendo la mia identità


BORN AT THE FARTHEST END of the world, in Patagonia, he couldn’t be content with just any future. So Marcelo Burlon built his own future step by step, changing the rules of the game. «I never got past middle school, my father had a laundry so there wasn’t much time for sitting around twiddling my thumbs», says Marcelo, 40, back from Dubai where he has just launched his capsule collection with Harvey Nichols. «Last night we had a great party at the Provocateur, no one could sit still». The title of his life’s story could be “from zero to twenty”, which corresponds to the millions in turnover of the brand County of Milan which he founded in 2012 with a couple of friends who believed in the talent of this young chameleon, capable of reinventing himself each time. Factory worker, Dj, Pr, event planner, and now, in his latest guise, successful fashion designer, with his street style sold in some 480 stores and Marcelo’s factory with its 40 employees. County

of Milan, the brand name, is a tribute to just that, the city of Milan, where all his dreams came true. That’s where his work as an event planner/Dj/stylist all began, where he organized events for Dolce & Gabbana, Versace, and Maison Margiela, and was the Pr man for the Friday night parties in Milan’s peep-show Queen where to be sure he didn’t miss out, Riccardo Tisci would fly out from Paris. «They’d ask me to play in Moscow and Toronto. I really did manage to move lots of people from one place to another: so, at a certain point, I decided to focus on my ability to create networks». It’s easy now to talk about a fairy tale, but the truth of the matter is that the secret of Marcelo Burlon’s success is typified by some specific key words: one of which is “truth”. «If you want to meet your goals your head has to be free, free from paranoia. I’ve always worked independently, without sticking to the rules of the system. I’ve followed my instincts, defending my identity and

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ai Ho sempre puntato sulla forza della sincerità e dell’amicizia I’ve always relied on the strenght of sincerity and friendship

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a sua stessa moda, condita di simboli esoterici e profondamente ispirata dalle origini argentine, ha una radice da sottocultura, subito intercettata dai rapper, come Fedez, che l’hanno eletta a divisa. Qualche giorno fa Robert Downey Jr. ha scelto una felpa Marcelo Burlon per una premiazione. «Non ho mai regalato nulla a nessuno, anche perché a me non ha regalato nulla nessuno. Se un personaggio viene fotografato con qualcosa di mio indosso, è perché se l’è comprato. A volte è impressionante vedere quanto il mio stile abbia preso piede: a Napoli c’è l’imitazione dell’imitazione delle mie felpe. Credo che alla gente comune piaccia la mia storia di ragazzo venuto dal niente, è facile immedesimarsi e fare il tifo». Oggi Marcelo Burlon è persino una materia di studio all’università. «Alla Bocconi almeno 30 persone hanno fatto la tesi sulla mia attività imprenditoriale. E spesso capita anche a me di salire in cattedra, per spiegare la chiave del mio business». La lezione numero uno, nella aule così come nella vita, rimane sempre la stessa: «Chi inizia solo con un sogno, deve capire davvero bene che cosa vuole e quale direzione prendere. Ognuno di noi ha la propria “comfort zone”: se sei capace di creare una tua estetica, il gioco è fatto. Non ti resta che unire le tessere del puzzle, la tua visione a quel punto esce. E si impone».

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my values». Even when it comes to social networks, seen as being a great way to publicize a newborn brand, he chose the path of sincerity. «I was one of the first to use social networks to throw parties, and I realized it could also work for T-shirts. I’ve always said what was on my mind, sometimes even attacking the top names in fashion. This is why people like me». The other key word to his success is “friendship”. «The people who have been close to me these past few years have made me feel protected. Not everything is easy, and there are times when you feel insecure, when you have to choose which road to take, where you need loving advice that’s sincere. That’s what I call “friendship”». In between there’s talent, doggedness, vision, and ideas, cultivated in the world of clubbing. «Nowadays, those who dictate the fashion rules are called “influencers”, but I have always lived in contact with people who were capable of inspiring me. We were the forebears of those today seem to have popped up from nowhere». The wings and serpents drawn on tops and ponchos, later copied by the big stores, revealing a strong anti-conformism. «I’ve always loved venturing down the untrodden path. Even when you haven’t studied beyond middle school you can still find your own personal path by spending time in the right places, or at least, the ones you think are right for you. In the days when I was working on the door of the General Department Stores, that was the place where sooner or later certain types of people would have to pass through, like photographers, fashion designers and models, a group whose vision was similar to mine, capable of creating a network, without that very Italian and rather frustrating tendency to criticize and put down». HIS OWN FASHION, filled with esoteric symbols profoundly inspired by his Argentine origins, is rooted in subculture, and was instantly grabbed by rappers like Fedez who chose it as a uniform. A few days ago, Robert Downey Jr. chose to wear a Marcelo Burlon sweatshirt for an awards ceremony. «I’ve never given anyone anything, also because no one ever gave me anything. If a famous person is photographed wearing one of my designs it’s because he or she bought it. Sometimes its impressive to see how my style has caught on among ordinary people. In Naples there’s the imitation of the imitation of my sweatshirts. I think that ordinary people are drawn to the story of a boy who came from nowhere, it’s easy to identify with and root for me». Today, Marcelo Burlon is even a university subject. «At Bocconi at least 30 people have written their senior theses about my business story, and I’ve often been invited to lecture there, to explain the key to my business». Lesson number one, in classrooms as well as in life, is always the same. «The person who begins with just a dream has to understand exactly what they want and which direction to take. Each of us has their own comfort zone. If you’re capable of creating your own aesthetic, then you’ve made it. All that’s left for you to do is put the pieces of the puzzle together, that’s when your vision emerges takes over».

traduzione di Sylvia notini

e i miei valori». Anche nei social, individuati come mezzo potentissimo per far conoscere il brand neonato, ha scelto la via della sincerità. «Sono stato tra i primi a usare i social per fare le feste, e ho capito che avrebbe funzionato anche con le magliette. Ho sempre detto quello che pensavo, a volte perfino attaccando i potenti della moda. È per questo che mi apprezzano». L’altra parola chiave del successo è “amicizia”. «La gente che mi è stata accanto in questi anni ha fatto sì che mi sentissi protetto. Non è sempre tutto facile e ci sono momenti di insicurezza, quei famosi bivi da prendere, in cui è importante essere consigliati con amore, ma in modo sincero. Questa io la chiamo “amicizia”». In mezzo ci sono il talento, la tenacia, la visione e le idee, coltivate nel mondo del clubbing. «Adesso coloro che dettano le regole della moda si chiamano “influencer”, ma io ho continuamente vissuto a contatto con gente in grado di ispirarmi. Siamo stati gli antenati di quelli che oggi sembrano un fenomeno spuntato dal nulla». Le ali e i serpenti disegnati su maglie e poncho, poi copiati dai grandi store, lasciano intravedere un forte anticonformismo. «Ho sempre amato percorrere strade poco battute. Anche con il titolo di studio della terza media, puoi trovare la tua strada frequentando i posti giusti, o almeno, quelli che pensi siano giusti per te. All’epoca in cui stavo alla porta ai Magazzini Generali, sapevo che quello era il luogo dove, prima o poi, certi tipi di persone passano per forza: fotografi, stilisti, modelle, un gruppo con una concezione simile alla mia, capace di fare rete, senza quella tendenza molto italiana un po’ frustrante di criticare e smontare».



Camicia oversize in popeline e shorts a vita alta, Ermanno Scervino. Top a balze, CĂŠdric Charlier. Nella pagina accanto. Abito bustier in canvas, Stella McCartney. Mules Givenchy by Riccardo Tisci. Oversized shirt and shorts, Ermanno Scervino. Top CĂŠdric Charlier. Opposite. Canvas dress, Stella McCartney. Mules Givenchy by Riccardo Tisci.


new renaissance

balze e corsetti : ritorna il romanticismo frills and corsets : romanticism is back

Foto Thomas Schenk Styling Paolo Turina


Gilet di cotone, camicia con maniche ampie e pantaloni a vita alta, Dolce & Gabbana. Nella pagina accanto. Caban di vinile con fiori e camicia di cotone stampato, Miu Miu. Top a punto smock, CĂŠdric Charlier. Cotton waistcoat, shirt and trousers, Dolce & Gabbana. Opposite. Vinyl coat and printed shirt, Miu Miu. Cotton top, CĂŠdric Charlier.



Blouson in crĂŞpe e shorts, Boss. Camicia di cotone stampato e top a balze, MSGM. Nella pagina accanto. Corsetto in tela di cotone trapuntata e pantaloni al ginocchio, Dior. Camicia di cotone, Aquilano.Rimondi. Silk jacket and shorts, Boss. Printed shirt and top, MSGM. Opposite. Cotton corset and short trousers, Dior. Cotton shirt, Aquilano.Rimondi.



Abito in mussola di cotone con collo e maniche corte ricamate, Chanel. Embroidered cotton dress, Chanel.




Giacca di vernice a fiori con grandi tasche e tracolla, Fendi. Camicia in popeline patchwork, Ports 1961. Floral glossy jacket and shoulder bag, Fendi. Cotton shirt, Ports 1961.



Cappotto di cotone fil coupé e gonna di montone rovesciato, Gabriele Colangelo. Top a balza, Cédric Charlier. Camicia Jil Sander. Borsa Céline. Mules Givenchy by Riccardo Tisci. Nella pagina accanto. Camicia di cotone con collo alla coreana, Liviana Conti. Corsetto con maniche, Roberto Cavalli. Cotton coat and sheepskin skirt, Gabriele Colangelo. Top Cédric Charlier. Shirt Jil Sander. Shoulder bag, Céline. Mules Givenchy by Riccardo Tisci. Opposite. Cotton shirt, Liviana Conti. Corset Roberto Cavalli.


Giacca in Pvc con grandi tasche e gonna, Marni. Camicia in seta stampata, Michael Kors Collection. Nella pagina accanto. Camicia di cotone con collo arricciato, Fabiana Filippi. Top CĂŠdric Charlier. Pvc jacket and skirt, Marni. Silk printed shirt, Michael Kors Collection. Opposite. Cotton shirt, Fabiana Filippi. Top CĂŠdric Charlier. Fashion assistant Francesca Bona. Make up Adalberto P for Freelancer/Aveda. Hair Roberto Pagnini for Freelancer/Dessange. Model Sasha Komarova at MP Paris.



still

life Foto Enrico SuĂ Ummarino Styling Anna de Falco Ha collaborato Maddalena Frazzingaro

Slingbacks di tessuto con nastro ricamato, Dior Slingbacks with logo, Dior


Tracolla in pelle e madras stampato, Prada Leather and printed madras bag, Prada


Shopping di cuoio bicolore, Fontana Milano 1915 Leather shopping bag, Fontana Milano 1915


DĂŠcolletĂŠe con tacco logo, Saint Laurent by Anthony Vaccarello Pumps Saint Laurent by Anthony Vaccarello


Cronografo in oro rosa con quadrante di smalto, Blancpain Rose gold watch, Blancpain


Scarpe stringate di pelle camouflage, Church’s Leather camouflage shoes, Church’s


Borsa di nappa con catena di metallo dorato, Valentino Garavani Leather shoulder bag with golden chain, Valentino Garavani


Occhiali da sole con lenti sfumate, Chanel Eyewear Sunglasses Chanel Eyewear


Vorrei un “fashion hub” I dream of a Òfashion hubÓ

Velocità, novità, marchi emergenti: il leader della Camera della Moda immagina il calendario di domani Speed, innovation, emerging brands: leader of the Chamber of Fashion imagines tomorrow’s calendar Testo Silvia Paoli Illustrazione Riccardo Vecchio

ai

è

una persona pragmatica. Lo ripete più volte durante il nostro incontro. Carlo Capasa lo dimostra, soprattutto, quando prova a immaginare scenari futuri, legge le evidenze del passato, descrive il mercato italiano e le vie che si aprono oggi a chi vuole fondare un nuovo brand. Dopo un anno e mezzo come presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, gli abbiamo proposto sei parole chiave con cui raccontare il sistema: velocità, crescita, differenziazione, futuro, mercato italiano, marchi emergenti. Ecco che cosa ci ha detto. Velocità: la moda a due corsie e l’ibridazione

C’è una tendenza alla moda fast e ce n’è una a quella slow. Da un lato, c’è chi sostiene che deve passare meno tempo, tra quando una collezione viene presentata e quando diventa disponibile

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HE Is a pragMatIst. He repeats this several times during our meeting. Carlo Capasa shows this especially when he tries to imagine future scenarios. He reads evidence from the past, describes the Italian market and the paths that open up before anyone wanting to create a new brand. Now that his second year is about to begin (april 2017) as chairman of the National Chamber of Italian Fashion, we asked him to choose six words to describe the system: speed, growth, differentiation, future, Italian market and emerging brands. this is what he told us. Speed: two-speed fashion and hybridization

there’s a tendency towards fast fashion and a tendency towards slow fashion. On the one hand, there are some who say: we have to shorten the time between when we show a collection and when it becomes available. this method is suited to those who


CARLO CAPASA Nato a Lecce nel 1958, ha fondato con il fratello Ennio Costume National, di cui è stato amministratore delegato sino allo scorso marzo. Dal 2015 è alla guida della Camera della Moda di Milano.

CARLO CAPASA Born in Lecce in 1958. With his brother Ennio he founded Costume National where he was Ceo until last March. Since 2015, he has been the head of Camera della Moda in Milan.

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ai L’ossessione per la crescita, imposta dalla finanza, alla lunga si è rivelata dannosa In the long run the obsession with growth dictated by finance has proven to be dangerous sul mercato. Questa procedura è adatta a chi ha la propria rete distributiva diretta: non dovendo aspettare gli ordini, ha più convenienza a mostrare il prodotto, a realizzarlo subito per, poi, consegnarlo ai suoi punti vendita. Dall’altro lato, c’è una modalità più lenta che riguarda quei marchi, più giovani o piccoli e ad alta creatività, che non hanno negozi, ma vendono all’ingrosso e vivono, dunque, degli ordinativi. Dopo aver mostrato la collezione, e ricevuto le commesse, devono avere tempo di realizzare e consegnare la merce. Ecco, quindi, due diverse velocità parallele che si stanno anche ibridando, perché il grande ha bisogno di fare articoli creativi che richiedono più ricerca e, di conseguenza, più tempo di produzione, e il piccolo è sottoposto dai negozi alla richiesta di ottenere qualcosa di più veloce. CresCita: il dilemma degli outlet e la necessità di una community

Patrizio Bertelli di Prada ha detto: “In questi anni abbiamo prodotto troppo”. C’è troppa merce in giro e, dunque, ci sono troppi sconti in troppi siti. È stata l’ossessione della crescita, imposta dalla finanza, a portare a questo eccesso di produzione e a un danno nel lungo periodo. Quando l’articolo diventa esageratamente diffuso (e soprattutto è svenduto in outlet sempre più numerosi e frequentati da clienti che prima quasi si vergognavano a comprare lì), il valore del brand è compromesso. Il vero successo di un marchio non sta nella crescita fine a se stessa, ma nella capacità di preservare la propria identità nel tempo, come nel caso di Dior e Chanel. Per riuscirci, è importante creare una community, che condivida la storia del brand, nutrendola con contenuti autentici: una sfilata, un mostra, un Oscar della moda, ma anche altre iniziative, come la Fondazione nel caso di Prada o il Colosseo per Della Valle, che offrono momenti legati all’arte, alla cultura, al lifestyle per trasmettere una filosofia ben precisa. Differenziazione: a ogni marchio la sua strada

A me pare legittimo che già oggi Vetements e Damir Doma facciano un’unica sfilata (uomo e donna) a stagione, ma trovo altrettanto legittimo che Chanel o altri ne facciamo tre, perché è il modo che hanno scelto per raccontare la propria storia in maniera credibile alla loro community. E ancora, se Gucci fa la sfilata uomo e donna insieme, perché il look che propone è oltre il genere, ha ragione anche Gucci, perché è coerente. Sarebbe strano se tale decisione fosse presa da quei marchi in cui la differenza tra il mondo maschile e quello femminile è rilevante. Viviamo un’età in cui il pop - inteso non tanto come cultura popolare, quanto come diversità che riesce a confluire in un’unità - ha sicuramente dato un segno forte. Se, in un mercato globale, non ci fossero le differenze, sarebbe tutto appiattito e non ci sarebbe più la necessità, e neanche la voglia, di acquistare un prodotto invece di un altro. futuro: le sfilate (e il calendario) di domani

Il sistema ha già trovato un suo assetto: una settimana dell’uomo e una della donna due volte all’anno, più la possibilità di fare

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have their own direct distribution network by not having to wait for orders to come in but rather by going directly to sales, this company benefits if it shows its product and produces them immediately so that they can be delivered to its stores. On the other hand, there’s the slower method as concerns high-creativity brands that are younger or smaller and that don’t have direct points of sale but instead sell wholesale and thus survive on orders. After they’ve shown their collection, and get orders, they need to have enough time to produce and deliver the merchandise. So here are two different speeds that work in parallel, but also hybridizing because the bigger of the two needs to make more creative products that require more research and therefore longer production times, while the smaller business is submitted to the constant demand (from stores) for quicker delivery. Growth: the dilemma of the outlets and the need for community

Prada’s Patrizio Bertelli has said: “Over the past few years we have been producing too much”. There is too much merchandise available, which means too many discounts and too many websites. It was the obsession with growth imposed by financial matters that has led to this surplus of production and damaging effects in the long run. When the product becomes too widespread (and, most importantly, when it is sold at a lower price in one of the increasing number of outlets to customers who used to be almost “ashamed” of buying there), the value of the brand, its coolness, is undermined. The true success of a brand does not lie in its growth as an end in itself, but in the capacity to preserve its own value over time, even over a century, such as in the case of Dior and Chanel. How? You need to create a community that shares the history of the brand and supply it with authentic contents: a fashion show, an exhibition, a fashion Oscar, but also other initiatives like creating a Foundation (Prada), saving the Colosseum (Della Valle), moments linked to art, culture, and lifestyle that create a certain philosophy. Differentiation: to every brand its path

It seems legitimate to me that today Vetements and Damir Doma hold a single fashion show (menswear and womenswear together) per season, but I find it equally legitimate that Chanel and others hold three shows, because that is the method they have chosen to tell their story in a credible way to their community. What’s more, if Gucci holds fashion shows for men and women together, because the look it is promoting goes beyond gender, then Gucci is right to do so, it is true to itself, while it would be an odd thing to do for other brands that instead present a huge difference between the men’s and the women’s worlds. We live in an age when Pop has definitely made its mark, which does not mean just popular culture, but also diversity, which manages to merge into unity. In a global market, if there were no differences, everything would be standardized and it would no longer be necessary nor appealing to buy. Difference instead stimulates all of this.


lonDr a / london

Bisogna puntare sulla formazione You need to focus on training E stare attenti a tutto quello che potrà succedere con la Brexit And keep an eye on what’s happening with Brexit Testo Gaia De Vecchi

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tagioni e generi fluidi stanno modificando il modo di produrre e di vendere. Cambieranno anche il modo di presentare le collezioni? Come sarà la vostra Fashion Week tra cinque anni? Quante volte all’anno e in quali mesi? I fashion show saranno diversi?

Quest’anno ci sono state diverse discussioni sui cambiamenti nel settore ed è difficile prevedere come saranno le fashion week da qui a cinque anni, tutto cambia così velocemente. Il genderless e il see-now-buy-now sono le trasformazioni maggiori che abbiamo visto in questo periodo. I temi più importanti comprendono anche la stagionalità del prodotto e la consegna delle collezioni ai negozi. Mettere il consumatore finale al centro della strategia ha senso, sia per il marchio stesso sia per gli store multibrand, e può portate a nuovi modi di lavorare.

Caroline rush, amministratore delegato del British Fashion Council. Caroline Rush, chief executive officer of the British Fashion Council.

FluId SeaSonS and the no gender mood have changed the way products are manufactured and sold. Will they also change the way we present our collections? What will your Fashion Week be like in 5 years from now? how many times a year, and in which months will it take place? Will Fashion Shows change as well?

There has been great deal of discussion this season about the changes in the industry. It’s difficult to predict where fashion weeks will be in 5 years - everything changes so quickly. Gender blending and see-now, buy-now are changes we saw more of this season. Industry-wide discussions include the seasonality of product and delivering product to store. Putting the end consumer at the heart of strategy makes sense, for both own brand and multi-brand retail, and may well drive more new ways of working.

Che cosa si può fare per dare una chance ai giovani? C’è bisogno di concorsi speciali?

What can be done to provide more opportunities to the young (fashion) professionals? Is there a need for special awards?

L’aiuto alla prossima generazione di talenti della moda inizia con la formazione. Abbiamo bisogno di dare alle persone che entrano in questo settore tutti gli strumenti che servono. Siamo orgogliosi della nostra raccolta fondi, attraverso l’Education Foundation del British Fashion Council: in questo modo diamo la possibilità agli studenti di accedere ai corsi di moda. È importante offrire approfondimenti e opportunità all’inizio degli studi e quest’anno abbiamo lanciato i Saturdays Club, dedicati ai bambini in età scolare e ai neodiplomati.

Nurturing the next generation of fashion talent and innovators begins with education. We need to give people entering the industry all the tools they need. We are proud to raise funds through the British Fashion Council’s Education Foundation helping to ensure that access to world-class fashion education remains accessible. Providing insight and opportunity at an early stage is also important, and this year we launched our Saturday Clubs for schoolaged children as well as a school-leaver apprenticeship scheme.

Quali conseguenze avrà la Brexit sul fashion system inglese? Sulle scuole di moda? Sui finanziamenti per nuove imprese?

L’industria fashion britannica ha forti legami con i mercati internazionali, dobbiamo far sì che questi link rimangano inalterati. È difficile fare previsioni, quando il governo sta ancora lavorando sull’articolo 50. Il British Fashion Council ha organizzato tavole rotonde con designer e brand manager per capire quali siano al momento le maggiori preoccupazioni e come si possano affrontare questi problemi. Ha inoltre redatto un documento di consultazione sul settore Fashion e Brexit che presenteremo al governo, e che rafforzerà l’importanza della formazione moda.

how will Brexit affect British fashion? and how will it affect fashion schools? What consequences will it have on new business?

The British fashion industry has strong links with international markets, and we need to make sure that these links remain strong regardless of any changes; it’s hard to make predictions when the government are still outlining their plans for Article 50. The BFC has conducted roundtables with designers and brand managers to establish what their biggest concerns are, and how we can work as an industry to address these concerns moving forward. The BFC has also written a consultation paper on the fashion industry and Brexit which we will be presenting to the government, and which will reinforce the centrality of fashion education.

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ai Chi nasce oggi ce la può fare, se condivide alcune funzioni commerciali e produttive New companies today can succeed if they share sales and production

Mercato italiano: nessun fenomeno dagli anni 80

All’epoca, l’Italia aveva un mercato interno pazzesco: i più grandi consumatori di moda (in numeri assoluti) eravamo noi, poi i giapponesi, gli americani e via dicendo. Come era strutturato questo mercato? Con piccole boutique multibrand di alta immagine, che si “contendevano” i marchi importanti. In ogni città, e l’Italia è fatta di tanti centri di piccole dimensioni, diversamente dalla Francia, c’erano almeno due negozi di lusso. Un brand, che era ai suoi primi inizi, cominciava con i dieci clienti top italiani, che compravano e pagavano la merce. La stagione successiva ne aveva 50 e poi 100, e questo finanziava la crescita. In questo contesto di piccole boutique, i marchi hanno fatto la loro parte imponendo di acquistare una determinata quantità di prodotti, minacciando altrimenti di passare al concorrente. Una competizione che si è dimostrata insana perché, pur di avere il brand di nome, le boutique compravano più di quello che serviva e le rimanenze restavano a loro (in America la distribuzione era molto forte e dettava legge, in Italia era debole e frazionata, quindi erano le aziende a prevalere). E quando è arrivata la crisi economica, prima quella del 2001 e, poi, del 2008, nel momento in cui le banche hanno sospeso gli affidamenti, le boutique hanno iniziato a chiudere o a non poter pagare le forniture nei tempi giusti. Senza riuscire più a sostenere marchi emergenti. Marchi eMergenti: come farcela oggi

Per il futuro vorrei un “fashion hub”, uno spazio fisico, grande abbastanza da ospitare cinque o sei brand di talento che condividano tra loro alcune funzioni - la distribuzione, con un direttore commerciale che lavori per tutti, lo spazio per la produzione, la modellistica - in maniera che tutte queste aziende rimangano distinte, ma possano beneficiare di un’economia di scala. Chi comincia oggi deve vendere fuori dall’Italia, per questo ci vuole un direttore commerciale molto bravo, in grado di trovare all’estero dei distributori locali di qualità e fare accordi con loro. Oltre, ovviamente, a impostare un e-commerce serio.

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Future: Fashion Shows and the calendar of tomorrow

The system has already found its assets: menswear week and womenswear week twice a year, plus the chance to create a third collection, such as a cruise collection. There might also be discussion as to whether it’s best to hold women’s fashion week in September or in July (in order to have enough time to produce and deliver). There has been a great deal of debate on this topic for some time now. What about a future calendar? One idea might be to create two moments during the year during which menswear and womenswear are shown together. For example, 8/9 days in Milan during which menswear shows, womenswear shows, and shows for both genders are held. Then in Paris the same number of days, and anyone can place menswear and womenswear in the same box. It’s not easy for all companies to do this, as each show takes up a lot of energy and having two on the same days might be too much. However, the idea of having a single moment dedicated to the shows (i.e. menswear and womenswear) of the season might even work. italian Market: not the 80s phenomenon

At that time, Italy had a crazy internal market: we were the largest consumers of fashion (in absolute numbers), followed by the Japanese, the Americans, and so on. How was the market structured? With small multibrand boutiques with a lot of image which “competed for” the big brands. In every town, and Italy is made up of lots of small towns, unlike France, there were at least two luxury boutiques. A brand that was starting up at the time began with the ten top Italian customers, who bought and paid for the merchandise; the next season 50, and after that 100, and this funded growth. In this context of small and undersized boutiques, brands did their part by imposing a certain quantity of merchandise had to be bought, lest they move over to the competitor. The competition was unhealthy because to be able to have the name brand boutiques bought more than what they needed and ended up with the leftovers (in America distribution was strong and laid down rules, while in Italy it was weak and fragmented so that the companies themselves laid down the rules). When the crisis arrived, the first in 2001 and then in 2008 and with the banks suspending loans, the boutiques starting closing down or else they didn’t pay for supplies on time. This also meant they could no longer support emerging brands. eMerging BrandS: how to “make it” today

For the future I would like a “fashion hub”, a physical space, that’s big enough to host 5/6 talented brands and to promote the sharing of several operations: distribution, with a sales manager who works for all of them, space for production, the models, so that all these companies remain distinct but can benefit from economies of scale. Those just starting out have to sell outside Italy, and that’s why you need a very good sales manager, one who is capable of finding high-quality local distributors abroad, and of signing agreements with them. In addition, obviously, it’s crucial to set up e-commerce.

traduzione di Sylvia notini

una terza collezione, tipo la cruise. Ci sarebbe, poi, da discutere se sia meglio fare la settimana della donna a settembre oppure a luglio (per avere tempo di produrre e consegnare), ma di questo si dibatte da molto. Il calendario futuribile? Si potrebbe pensare di creare due momenti all’anno che mostrino, insieme, donna e uomo: per esempio, 8 o 9 giorni a Milano - e, poi, a Parigi - dove si assiste alle sfilate uomo, a quelle donna e a quelle di entrambi. Non è facilissimo per tutte le aziende, perché ogni sfilata è un impegno importante e metterne due negli stessi giorni potrebbe diventare gravoso, ma l’idea di avere un unico momento dedicato alle collezioni uomo e donna della stagione potrebbe anche funzionare.


parigi / paris

Lasciamo parlare la diversitˆ LetÕs talk about diversity Contro il terrorismo dobbiamo essere orgogliosi della libertà We should be proud of our freedom in the face of terrorism Testo Gaia De Vecchi

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tagioni e generi fluidi stanno modificando il modo di produrre e di vendere. Cambieranno anche la maniera di presentare le collezioni? Come sarà la vostra Fashion Week tra cinque anni? Quante volte all’anno e in quali mesi? I fashion show saranno diversi?

Pascal Morand, presidente della Fédération française de la Couture. Pascal Morand, president of Fédération française de la Couture.

FLuId sEasons and gEndErs have been changing the way products are manufactured and sold. Will they also change the way we present our collections? What will your Fashion Week be like in five years from now? How many times a year, and in which months will it take place? Will Fashion shows change as well?

Come ogni altro sistema economico, anche la moda ha bisogno di punti di riferimento, e le sfilate sono tra quelli fondamentali. La fluidità delle stagioni e il genderless potrebbero portare a un’evoluzione, senza intaccare l’importanza dei fashion show, cosa che non farà neanche la rivoluzione digitale. Questi, infatti, continueranno a illuminare il panorama moda, è certo. E, anche se ci potranno essere dei cambiamenti, non c’è motivo di credere che ci sarà una vera e propria rottura. La sfida è quella di permettere la massima espressione della diversità, intesa come creatività, strategia e business all’interno di un quadro ben preciso.

The fashion economic system, like any other, needs landmarks. And Fashion shows are key landmarks. Fluid seasons and genderless might involve an evolution, but not degrade the importance of fashion shows, neither will the digital revolution. Fashion shows will continue to light up the fashion scene for sure. There might be some changes, but there is no reason to believe there will be a real disruption. The challenge is to enable the expression of diversity, in terms of creativity, strategy and business models, within a structured framework.

Che cosa si può fare per dare una chance ai giovani? C’è bisogno di concorsi speciali?

What can be done to provide more opportunities to the young (fashion) professionals? Is there a need for special awards?

I premi, specialmente per i giovani designer, svolgono un ruolo importante, ma lungi dall’essere sufficiente. I nuovi talenti, così come i brand, hanno bisogno di un sostegno finanziario che li porti ad avere ulteriori sviluppi, nonché di un dialogo costante con professionisti esperti, in modo da poter controllare le difficoltà di un processo di crescita. È più che necessario che la rivoluzione digitale trasformi i modelli di business, aumenti le possibilità, ricerchi l’innovazione e permetta un confronto di idee, per trovare la strada giusta da percorrere.

Awards, specially for young designers, play an important role. But it is far from being enough. Young designers and brands also need financial support beyond a certain development level as well as a constant dialogue with experienced professionnals, whether they are designers, executives or experts, and also some coaching, in order to master the complexity of the growth process. It is all the more necessary that the digital revolution transforms business models, enlarges possibilities, be innovative and also to confront ideas to find the right way forward.

L’escalation di preoccupazione generata dal terrorismo cambia il mondo di pensare la moda? E di presentarla?

Will the increasing concern about terrorism change the way we think about fashion? Will it change the way we present it?

Il terrorismo è influenzato da un’ideologia opposta alla moda. Se una società democratica può cambiare il nostro modo di pensare la moda, essere timorosi o sentirsi colpevoli significherebbe la fine della democrazia e l’inizio della dittatura di un’ideologia colpevolizzante. Dobbiamo essere orgogliosi della cultura fashion, espressione di creatività e di libertà.

Terrorism is influenced by an ideology which is precisely opposed to fashion. Imagining that a democratic society would change the way we think about fashion, being fearful or even feeling guilty, would mean that it is not democratic anymore being subject to the dictatorship of a blameworthy ideology. We have to be proud of fashion culture, which is an expression of creativity and also of freedom.

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Portfolio

Play it again Un attore argentino e una fotografa francese interpretano le più grandi immagini del ’900 An Argentine actor and a French photographer interpret the greatest images from the 1900s

Testo Renata Ferri Foto Catherine Balet

¶ AUGUST SANDER Young farmers, 1914 Se non ci fosse stato August Sander (1876-1964) forse non esisterebbe il ritratto. Uomini del XX secolo è un’opera straordinariamente ambiziosa: un vero e proprio ritratto dell’umanità, ai tempi per nulla apprezzato dal nazionalsocialismo che si premurò di distruggerne molte lastre. Fortunatamente molto si salvò e ci consentì così di amare la luce naturale con cui ha ripreso ogni soggetto nel contesto, rendendolo protagonista del suo mondo e facendo di ogni singola immagine non più un frammento, ma un’intera storia. Come questi Young farmers del 1914. // If it wasn’t for August Sander (1876-1964) the portrait might never have existed. Twentieth Century Men is his extraordinary ambitious work. A true portrait of humanity, not appreciated in the days of National Socialism, which had some of the plates destroyed. Luckily, much of his work was saved, allowing us to admire the natural light he used to portray each subject in context, turning them into a hero of his world and each image into a whole story, and not just a fragment. Such as these Young Farmers from 1914.

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cco a voi Ricardo Martinez-Paz. Con le scarpette d’oro è un formidabile interprete delle icone sacre della fotografia. Un omaggio alle memorabilia, nato per caso dall’incontro tra questo attore argentino e la fotografa francese Catherine Balet. È teatro, illusione e riproduzione, è l’incantevole gioco della metamorfosi che offre un viaggio nel nostro secolo attraverso un’ironica e meticolosa messa in scena in cui i due artisti ricreano celebri scatti, di cui vedete una selezione in questo portfolio. Nel nostro tempo digitale, dove siamo ossessionati dalle immagini prodotte a getto continuo e valutate dai click e dai like, Looking for the Masters in Ricardo’s Golden Shoes (Dewi Lewis Publishing) è un libro straordinariamente divertente, e con acuto candore ci suggerisce che le icone istigano la curiosità: illuminando la memoria, diventano immortali. Altrimenti che icone sarebbero?

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INtRoDUCINg Ricardo Martinez-Paz. With his golden shoes he is the formidable interpreter of the sacred icons of photography. A tribute to the memorabilia born by accident thanks to the meeting between this Argentine actor and the French photographer Catherine Balet. It is theatre, illusion, and reproduction, it is the delightful game of metamorphosis that offers a journey through our century with an ironic and meticulous mise-en-scène in which the two artists recreate famous images, a selection of which you can see in this portfolio. In the digital age, obsessed as we are by the images that are endlessly being produced and evaluated by clicks and likes, Looking for the Masters in Ricardo’s Golden Shoes (Dewi Lewis Publishing), is a highly entertaining book that with complete candour suggests that icons arouse curiosity by illuminating memory, they become immortal. otherwise, what kind of icons would they be?


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rOBerT CAPA Death of a loyalist soldier, 1936

IrvIng Penn Picasso, 1957

È da 80 anni l’icona di una polemica infinita. È davvero morto o è una messa in scena? La foto è stata scattata con la Rolleif lex o con la Leica? In quel villaggio o un po’ più in là? Il mistero è da tempo risolto: grazie a inchieste e verifiche ormai conosciamo tutte le circostanze, il luogo, le generalità, perfino il nome di battaglia del giovane morente, taino. L’icona è salva, resiste e ci seppellirà tutti. // For 80 years it has been the icon of a seemingly endless controversy: is he really dead, or is just putting on an act? Taken with a Rolleif lex or with a Leica? In that village, or further down the road? The mystery has been solved for some time now thanks to investigations and verifications we now know the circumstances, the place, the details, even the battle name of the dying young man, Taino. The icon is safe, it survives, and will outlive us all.

Magnetico Irving Penn, essenziale e potente. Creatore di una nuova fotografia di moda, ispirazione per generazioni. Inconfondibile, rigoroso e perfetto. Lo affascina l’epidermide dei soggetti, il guizzo, la rivelazione, come in questo ritratto di Picasso. L’interesse del maestro americano è per lo sguardo, fulcro dell’immagine e dell’incontro tra i due artisti, uno davanti e l’altro dietro l’obiettivo, ma anche tra noi e loro. // The magnetic Irving Penn, essential and powerful. The creator of a new kind of fashion photography and an inspiration for generations. Unmistakable, meticulous, perfect. He’s interested in the epidermis of his subjects, as well as the flash, the revelation, like in this portrait of Picasso. The American master is interested in that gaze, the core of the image and of the encounter, not just between the two artists, the one in front and the one behind the camera, but between us and them.

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MARC RIBOUD EiffelTower Painter, 1953

LEWIS HINE Power house mechanic working on steam pump, 1920

Figlio della borghesia francese, partigiano, viaggiatore e reporter instancabile. È grazie a Le peintre de la Tour Eiffel, scatto realizzato nel 1953 e venduto a Life con la didascalia Blitheful on the Eiffel che il giovane Marc Riboud entra dalla porta principale nella Magnum, celebre agenzia fotografica fondata pochi anni prima, tra gli altri, da Robert Capa e Henri Cartier-Bresson. Chi non ha mai posseduto un mousepad o una maglietta con quest’immagine? // The son of the French bourgeoisie, a partisan, and a tireless traveller and reporter. It was thanks to Le peintre de la Tour Eiffel taken in 1953 and sold to Life accompanied by the caption Blitheful on the Eiffel that the young Marc Riboud walked through the front door at Magnum, the famous photography agency that had been founded just a few years before by Ro bert Capa and Henri Cartier-Bresson, among others. Who hasn’t had a mousepad or a T-shirt with this image on it?

Il capolavoro del 1920 di Lewis Hine, fotografo sociologo che attraversa l’epopea americana post rivoluzione industriale, raccontandone le trasformazioni. Un affresco di ritratti di lavoratori, Men at work, che nel 1932 celebra la classe operaia ma ne denuncia anche lo sfruttamento. Affascinato dal progresso e dai suoi inganni, Hine lascia un archivio importante, di cui oggi la Library of Congress custodisce più di 5mila immagini: il nostro gruzzolo di memoria. // The 1920 masterpiece by Lewis Hine, photographer and sociologist who crossed the American post-Industrial Revolution epic describing its transformation. A fresco of portraits of workers, Men at Work, which in 1932 celebrated the working class but also denounced exploitation. Fascinated by progress and aware of how deceptive it could be as well, Hine would leave behind an important portfolio of more than 5,000 images which the Library of Congress alone houses a wealth of memories.

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HENRI CARTIER- BRESSON Bruxelles, 1932

JOSEF KOUDELKA Gypsies, Brittany, 1973

Ovvero il viaggiatore, colui che ci ha regalato le migliori fotografie e le più profonde riflessioni. Al maestro francese dobbiamo un secolo di istanti decisivi che rompono la conseguenza logica della narrazione e fanno parlare ogni singola immagine. Bruxelles 1932 recita la scarna didascalia, eppure ci basta. Non serve altro perché tutto è lì dentro, nell’assurdità della realtà, nella straordinarietà intuitiva e nella genialità della composizione su cui poggia l’asse invisibile della grazia, con cui HCB - per tutti e per sempre - ci ha raccontato il suo e il nostro tempo. // This is, the traveller, someone who has given us the best pictures and the deepest reflections. We owe the French master a century of decisive moments that disrupt the logical sequence of the narrative and make each single image speak. Brussels 1932 is all the captions say, and for us it’s enough. Nothing else is needed because it’s all there, in the absurdity of the reality, in the intuitive remarkableness, and in the genius of the composition in which lies the invisible axis of grace with which HCB for everyone and forever narrated both his and our times.

Un ingegnere ceco lascia la professione per dedicarsi al teatro e alla vita nomade, sulle tracce degli zingari in Slovacchia e in Romania. Irrompe poi la Primavera di Praga che cambia l’ordine delle cose. Vita e carriera coincidono in un romanzo visivo, conseguenza di un pellegrinaggio lungo come le strade del mondo. Abitando luoghi e culture, dandosi tempo, profondo e poetico, l’autore girovago dà vita a poemi malinconici della nostra epoca. “Sembra Koudelka” è di fatto ormai un modo di dire per definire uno stile, una maniera di vedere e fotografare. // A Czech engineer quits his job to devote himself to the theatre and then to a nomadic life, in the footsteps of the gypsies of Slovakia and Rumania then the Prague Spring bursts onto the scene and changes the order of things. His life and career are much like a visual novel, the result of a pilgrimage that’s as long as the streets of the world. Inhabiting places and cultures, that gave him a profound and creative experience, the wandering author breathed life into the melancholy poems of our time. “It resembles Koudelka”, has become a kind of adjective that defines a style, a way of seeing and taking photographs.

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¶ GORDON PARKS American Gothic, 1942

trAduzione di SylviA notini

Un’autentica avventura la vita di questo autore - nero tra i bianchi nell’America ostinata - che delle battaglie e delle denunce ha intriso l’opera di fotografo ma anche regista, scrittore, poeta, attivista e molto altro ancora. Un geniale autodidatta che ha saputo dare forma e voce alle questioni razziali. Basta guardare questa parodia di un dipinto del 1930 di Grant Wood che ritrae una donna delle pulizie di colore con scopa e spazzolone, di fronte alla bandiera degli Stati Uniti. // This author’s life is a real adventure, a black man among white men in a stubborn America whose battles and recriminations have imbued the work of this photographer, as well as being a director, writer, poet, activist, and much more. A brilliant self-taught man who knew how to give a shape and a voice to racial issues. It’s suffice it to look at this parody of a 1930 painting by Grant Wood, depicting an African-American cleaning lady holding a broom and a scrubbing brush in front of the U.S. flag.

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Life doesn’t frighten me La vita non mi spaventa di Maya Angelou

Shadows on the wall Noises down the hall Life doesn’t frighten me at all Bad dogs barking loud Big ghosts in a cloud Life doesn’t frighten me at all

Ombre sul muro Rumori lungo il corridoio La vita non mi spaventa per niente Cani infuriati che latrano Enormi fantasmi in una nuvola La vita non mi spaventa per niente Traduzione di Amica

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Garden and Museum Christian Dior in Granville, Birthtown of Mr Dior, Normandy.

dior.com - 02 38 59 59 59


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