le nostre fiabe raccolta di fiabe degli studenti delle classi 1^ scuola secondaria statale di 1째 grado manara valgimigli albignasego
Questa raccolta di fiabe è frutto del lavoro svolto dagli studenti delle classi Prime della Scuola Statale Secondaria di 1° grado “Manara Valgimigli” dell’Istituto Comprensivo di Albignasego (PD) nel corso del laboratorio di “Scrittura creativa sulla fiaba” in collaborazione con la casa editrice Camelozampa (Monselice) durante l’anno scolastico 2013/2014. Tutti i diritti riservati. Tutti i testi sono stati riprodotti in font “ad alta leggibilità”
Classe I A A.S. 2013-2014
I genitori scomparsi di Rayan, Stefano, Elena, Nicole, Qian Qian, Junhao
I genitori scomparsi
C
’era una volta, in villaggio ai piedi di una montagna, un ragazzo di nome Heart. Era grande il doppio dei suoi compagni di classe e quando girava i fogli dei libri per poco non li strappava da tanta forza che aveva. Aveva i capelli poco più scuri del sole. Nella sua scuola c’era una ragazza che lo corteggiava, si chiamava Meriva. Un giorno Heart era sulla via di casa quando vide allontanarsi misteriosamente una persona che vestiva una tunica molto lunga e nera come la pece. Entrò in casa, salutò credendo di trovare i suoi genitori, ma nessuno rispose. All’inizio si spaventò e cominciò a urlare: “Mamma, papà! Ci siete?” Ma non ebbe nessuna risposta. Cercò in tutta la casa ma non c’era anima viva. Per un paio di giorni pensò che fosse bello perché poteva mangiare tutto quello che voleva e, invece di fare i compiti, poteva giocare e uscire con gli amici. Il terzo giorno però non ce la faceva più e voleva ritrovare i suoi genitori ad ogni costo. Pensò che qualcuno li avesse rapiti e avesse lasciato almeno qualche indizio che potesse fargli capire dove si trovavano, ma non trovò nulla. A un certo punto una vocina dolce e soave lo chiamò. Lui si guardò intorno e chiese: “Chi sei? Perché sei qui? Dove ti sei nascosta?”. Era una fatina che sentì le domande timide e paurose del ragazzo e allora uscì allo scoperto e disse: “Stai tranquillo, sono qui per aiutarti, io so dove si trovano i tuoi genitori ma se non ti interessa...io me ne potrei anche andare”. Heart ovviamente era molto interessato e subito disse: “No,no! Resta qui e aiutami a trovare i miei genitori!” Così la fata gli disse: “Ok, adesso ti dirò dove si trovano, ma dovrai risolve questo indovinello: Se i tuoi genitori vuoi trovare dietro all’ immensa roccia devi cercare Il ragazzo fece una faccia stranissima non capendo cosa volesse dire la fata con questa frase. La fatina diede a Heart un massimo di due giorni per risolvere il dilemma. Heart pensava, pensava e pensava ma non trovava la soluzione. Gli usciva perfino il fumo dalle orecchie.
Alla fine dopo un giorno di lunghe riflessioni, Heart risolse il dilemma e chiamò la fatina dicendole: “Fata, fata ho capito che cosa voleva dire quella frase!” E la fata, sorpresa per il poco tempo impiegato dal ragazzo, disse: “Sì? Allora dimmi, a che cosa si riferiva?” Heart, vedendo la fata sorpresa, con sicurezza e orgoglio rispose: “La frase, si riferiva alla montagna più alta del paese”. La fata gli disse: “Bravo, non ti facevo così intelligente, adesso però dovrai scalare quella montagna” Ma Heart non aveva il materiale necessario e non sapeva neanche fare lo scalatore. Perplesso disse: “Fatina, io non so scalare le montagne e non ho neanche gli oggetti giusti per farlo”. Ma la fatina aveva già pronto il rimedio, infatti, con una magia, prima portò lei e Heart alla montagna, poi tirò fuori una corda e un rampino dicendo: “Ecco qui, questa è la montagna e queste sono la cose che ti servono”. Il ragazzo stava per iniziare la scalata ma improvvisamente si fermò e si rivolse alla fata: “Mi sono dimenticato di chiederti come ti chiami”. La fata rispose: “Io mi chiamo Celeste e sono la fata del cielo” Heart rispose “Io, invece, mi chiamo Heart”. Heart era molto deciso nel ritrovare i suoi genitori e allora iniziò la scalata. Stava tentando di scalare una delle montagne non solo più alta ma una delle più pericolose del paese, infatti aveva scalato solo metà della montagna ed aveva già esaurito gran parte delle sue forze, ma non aveva incontrato nessun posto favorevole a una sosta. Aveva bisogno di recuperare le energie e allora gridò: “Oh, fatina del cielo, per favore potresti far apparire un posticino per potermi riposare?” La fata apparve dietro a Heart svolazzando intorno a lui: “E va bene fannullone, ecco: qui ti potrai riposare” disse la fata facendo apparire dalla montagna una zolla di terra. Heart finalmente poté recuperare le energie perse. Dopo essersi riposato riprese la scalata. In cima alla montagna Heart trovò un’immensa grotta e per la curiosità vi entrò dentro. Cammina, cammina e cammina, alla fine della grotta vide Meriva, la ragazza che corteggiava Heart. Era vicina ai suoi genitori legati a un grosso masso. Heart disse: “Meriva, ma cosa fai? Sei stata tu a rapire i miei genitori!” e Meriva dispiaciuta rispose: “Sì ma l’ho fatto solo per attirare la tua attenzione. Comunque ecco porta a casa i tuoi genitori”. Heart disse: “Io ovviamente li porto a casa, ma anche se li hai rapiti io ti perdono”. Passò qualche anno dalle parole di Heart, i due si sposarono e vissero tutti FELICI E CONTENTI. Il principe e la principessa
Classe I A A.S. 2013-2014
Il principe e la principessa di Sara, Veronica, Marco, Leonardo e Alex
Il principe e la principessa
C
’era una volta un principe di nome Alberto che abitava in un castello in fondo al bosco. Un giorno gli venne sete ma, quando prese un bicchiere, lo ruppe. Gli venne fame ma, tutto il cibo l’aveva donato ai poveri. A un certo punto sentì dei lamenti che provenivano dal cortile. Uscì dal castello e si imbatté in una scena che non si aspettava. Vide, accasciata sul prato, una bellissima fanciulla che singhiozzava e le chiese: “Cosa ti è successo?” Lei gli rispose: “Mio marito mi maltratta e vorrei incontrare qualcuno che mi aiuti!” Il principe disse a quel punto: “Come ti posso aiutare?” “Per dare una lezione a mio marito devi superare tre difficilissime prove! La prima sarà saper volare sopra un unicorno; la seconda è sconfiggere un drago che si trova in una grotta e l’ultima è attraversare un fiume pieno di coccodrilli a nuoto”. Il principe accettò e volle iniziare le prove al più presto per aiutare la fanciulla. Salì sopra l’unicorno che la fanciulla gli diede ma, quando si alzò in volo, stava per cadere così la fanciulla gli disse: “Devi essere calmo e non agitato e vedrai che riuscirai a volare”. Il principe ascoltò i consigli della fanciulla e diventò talmente bravo che poteva cavalcare anche l’unicorno più cattivo. La seconda prova consisteva nell’uccidere un drago. Prese la sua migliore spada e dopo molto tempo riuscì a ucciderlo. Adesso doveva superare l’ultima prova: attraversare un fiume pieno di coccodrilli a nuoto. La fanciulla lo portò vicino a un fiume dove c’erano i coccodrilli, lui si buttò in acqua e nuotò. Quando si voltò indietro, vide i coccodrilli. Nuotò più veloce possibile e li seminò. Quando uscì dal fiume, trovò la fanciulla che si congratulò per aver superato tutte le prove e lo portò da suo marito. Il principe, che voleva dimostrare il suo amore per la fanciulla, lo sfidò a un duello a cavallo. Con i consigli della principessa e la sua tenacia, riuscì a vincere. Il trionfante principe e la fanciulla, si strapparono un bacio felice e si abbracciarono. Poco tempo dopo la vittoria, al castello erano pronte le nozze. E vissero tutti felici e contenti!
Classe I A A.S. 2013-2014
alex e dolcemiele (la versione delle ragazze) di Aurora, Elena e Claudia
Alex e Dolcemiele
T
anto tempo fa, in una casupola di legno che si trovava isolata ai margini di un bosco, vivevano Axel, un falegname, e sua figlia Dolcemiele. Abitavano lì, soli ormai da tanti anni, da quando cioè Axel era rimasto vedovo e aveva deciso di vivere in solitudine. Ogni mattina si svegliava all’alba per andare nel bosco a tagliare gli alberi per procurarsi il legno che gli serviva poi per costruire mobili e oggetti vari nel suo laboratorio. Era un lavoro faticoso, ma lui lo svolgeva senza alcun problema e amava stare a contatto con la natura. Sua figlia Dolcemiele aveva otto anni ed era una ragazzina curiosa che amava fantasticare e giocare con alcuni giocattoli costruiti dal padre. Aveva i capelli biondi come il sole, talmente lunghi che quando camminava strisciavano sul pavimento. “Figliola, figlioletta” disse un giorno il padre “devo andare nel bosco a tagliare altra legna. Mi raccomando non uscire per nessun motivo”. Tuttavia Dolcemiele si stava annoiando rinchiusa in casa, allora, dimenticando le parole del padre, uscì nel cortile. Mentre stava giocando, una farfalla si posò sul suo ginocchio. Era così colorata e luminosa che Dolcemiele tentò di prenderla, ma questa svolazzò via nel bosco. La bambina iniziò a rincorrerla finché non la vide posarsi sopra un masso che si trovava in un torrente. Dolcemiele era così assetata che ne approfittò per bere, ma a un certo punto vide nel riflesso dell’acqua un volto spaventoso. Dolcemiele si voltò spaventata. Improvvisamente una mano grinzosa le tappò la bocca per impedirle di urlare. Era un vecchio con i capelli lunghi e bianchi che le legò le mani e la portò in una grotta. Una farfalla che vide l’episodio, andò dal falegname e gli disse: “Axel, tua figlia è stata rapita da un vecchio che l’ha portata in una grotta vicino a un ruscello”. Axel, allarmato, seguì il volo della farfalla e giunse alla caverna dove incontrò il vecchio. “Dov’è mia figlia?!” gridò. “Tesoro, stai tranquilla ti libererò!” aggiunse. Il vecchio gli rispose con voce roca: “Se rivuoi tua figlia sana e salva dovrai affrontare tre prove: tagliare i sette alberi più grossi del bosco e risolvere un indovinello” “Benissimo” disse Axel. “E poi?” “Come ultima prova devi uccidere la farfalla che ti ha portato fin qui. Sarai in grado
di superarle entro l’alba?” Il falegname superò con facilità le prime due prove, ma di uccidere la sua amica farfalla non ne voleva proprio sapere e andò da lei. La farfalla appena lo vide gli disse: “Uccidimi così potrai riavere tua figlia, tanto la mia vita è corta lo stesso. E poi ho deposto le uova a casa tua, qualcosa di me resterà”. Axel, addolorato, mise la farfalla per terra e le lasciò cadere addosso un masso. Mancava ormai poco all’alba. Corse per portare in tempo le tre prove dal vecchio. Quest’ultimo incredulo della bravura del falegname valutò le prove Alla fine Axel orgoglioso rispose: “Come stabilito ora dammi mia figlia”. Il vecchio sconfitto gli restituì la figlia e raccolse la legna portata dal falegname per l’inverno. Axel e Dolcemiele erano ormai all’entrata della loro casupola quando dalle finastre uscì un fascio di luce, era la farfalla che si trasformò in una principessa. Axel se ne innamorò e così Dolcemiele ebbe finalmente una mamma e vissero tutti felici e contenti.
Classe I A A.S. 2013-2014
bob e dolcemiele (la versione dei ragazzi) di Riccardo, Filippo e Luca
Bob e Dolcemiele
C
’era una volta in un bosco una casupola dove vivevano due persone: un falegname di nome Bob e la sua bellissima figlia Dolcemiele. Un giorno Bob le raccomandò di non uscire mentre lui doveva andare a tagliare la legna, ma Dolcemiele non lo ascoltò e uscì a raccogliere dei fiori. A un certo punto vide una bellissima farfalla tutta variopinta. Allora Dolcemiele la inseguì, però la farfalla si appoggiò su un masso in mezzo al torrente. Dolcemiele guardò sull’acqua e vide riflessa l’immagine di un vecchietto che la rapì. Bob, appena tornato a casa, chiamò la figlia diverse volte ma non ebbe risposta. Andò a cercarla anche fuori, ma non la trovò. Gli si avvicinò la farfalla variopinta che gli disse: “Tua figlia è stata rapita da uno stregone che l’ha portata in cima al Monte della Luna. Per arrivare in cima dovrai superare tre prove: nella prima dovrai tagliare cento alberi in mezz’ora, nella seconda dovrai risolvere un indovinello e nell’ultima dovrai superare un torrente di alligatori”. Bob riuscì a superare le tre prove, a sconfiggere lo stregone e liberare sua figlia. La farfalla si trasformò in una regina che sposò Bob e vissero tutti
felici e contenti.
Classe I A A.S. 2013-2014
fiaba di Tobia, Valter, Lorenzo, Lorenzo, Samir
Fiaba
C
’era una volta, in un paese lontano, un investigatore di nome Naive. Era alto tredici spanne e aveva la pelle bianca come la neve e adorava ogni tipo di caramelle. Un giorno Naive volle fare una passeggiata e dopo un po’ di tempo vide un banchetto che vendeva gelatine, cioccolatini e caramelle zuccherate di vari colori. Il proprietario della bancarella era un tipo molto strano, con ciuffi di barba che gli cadevano dalla faccia. Naive comprò un pacchetto di gelatine e uno di caramlle zuccherate. Più tardi andò a prendere il giornale e vide che in prima pagina c’era un signore che assomigliava a quello che gli aveva venduto le caramelle. Il tribunale l’aveva accusato di furto, rapina e spaccio di droga. Sulla strada di casa Naive si sentì tirare la tasca dove aveva messo le caramelle. Si girò e vide un bell’esemplare di pastore tedesco. Decise di portarselo a casa e lo chiamò Tidi. Tidi una mattina si allontanò da casa e scappò. Naive lo rincorse e alzando lo sguardo vide nel fitto della boscaglia le mura di un castello. Curioso s’incamminò sulla strada per il castello. Intravide dietro a due alberi una carrozza funebre che dentro aveva una bara . Secondo Naive conteneva stupefacenti e armi. Ci si infilò dentro, così riuscì a entrare nel castello. Uscito dalla bara si ritrovò in una stanza dove impacchettavano le caramelle che colorano la lingua di bianco. Naive si accorse che c’ erano dei laser rossi e li oltrepassò per mezzo di uno specchio, poi vide che in un’altra stanza c’era una cassa enorme contenente droga. La prese, la portò in uno enorme forno, la appoggiò lì dentro, lo accese e la droga bruciò. Scappando dal castello vide un drago gigante di colori strani e con un’infinità di muscoli. Naive gli chiese se poteva distruggere il castello, così lui lo seguì e insieme distrussero il castello .
Classe I B A.S. 2013-2014
la pizza magica di Martina, Giorgia, Maruan, Tommaso, Margherita, Jason
La pizza magica
C
’era una volta uno gnomo di nome Nanetto che abitava nella favolosa città di Zino. Era uno gnomo felice, perché nel mondo di Nanetto si viveva fino a seicento anni. Lui, dovete sapere, che ha vissuto una vita frenetica perché da giovane era pizzaiolo, ma attenzione, non era un pizzaiolo qualsiasi: faceva una pizza ai sette alberi che allungava la vita di altri trecento anni a chi la mangiava. Per prepararla ci volevano centoventi ore. Era molto difficile preparare queste pizze e Nanetto aveva deciso di andare a vivere in campagna in un luogo segreto e di cucinare solo in casi estremi. Un giorno gli abitanti di Zino che ormai avevano cinquecentonovantanove anni si preoccuparono perché stavano per morire, allora pensarono di cercare Nanetto e convincerlo a preparare per loro la famosa pizza ai sette alberi che avrebbe allungato loro la vita di altri trecento anni. Mandarono il giovane Calabrone a cercarlo. A metà percorso Calabrone arrivò nella città di Rovo dove tutti gli abitanti erano gentili e accoglienti. Passo la notte lì ma la mattina seguente tutti erano scomparsi e anche i segnali stradali erano spariti. Lui senza indicazioni non sapeva più dove andare. Inciampò in un accendino, lo accese e per magia comparve la via d’uscita della città. In quel momento Calabrone si mise in marcia e uscì dalla città. Mentre proseguiva in po’ smarrito incontrò un signore al quale chiese indicazioni per trovare Nanetto. Lui gli disse che per entrare nel piccolo paese dove viveva Nanetto avrebbe dovuto possedere un anello d’oro con una rosa di vetro e gli regalò un libro che conteneva le indicazioni per trovarlo. Il libro diceva che per trovare l’ anello bisognava attraversare il bosco dei nettari e sconfiggere l’orco Rupert solo con l’ astuzia, acchiappare una mosca d’ argento con una pinzetta e infine una margherita che faceva innamorare. Solo quando si fosse stati in possesso di tutto bisognava portarlo al saggio zio di Nanetto che in cambio avrebbe donato l’anello. Calabrone con molte difficoltà e tanta astuzia superò tutte le prove ma ci rimise un piede nello scontro con l’orco Rupert. Quando fu in possesso di tutto si recò all’ingresso del paesino e consegnò allo Zio di
Nanetto tutto quello che aveva raccolto. Lo Zio di Nanetto fu molto sorpreso di vedere come si era impegnato Calabrone per aiutare gli anziani e si fece raccontare la sua storia. Scopri che il giovane Calabrone era molto legato agli anziani perché gli avevano salvato la vita da un incendio quando era molto piccolo e lo avevano cresciuto come un figlio perché i suoi genitori erano morti nel rogo. Calabrone gli disse che non avrebbe sopportato la perdita dei suoi amici anziani perché era ancora giovane e aveva bisogno di loro, per questo aveva rischiato tutto per cercare Nanetto e convincerlo a preparare la sua famosa pizza. Lo Zio di Nanetto allora lo fece entrare e andò con lui da Nanetto. Nanetto non aveva molta voglia di cucinare ma dopo che lo Zio e Calabrone gli raccontarono tutto decise di preparare la pizza per gli anziani, ma fece giurare a Nanetto di non raccontare a nessuno dove lo avesse trovato . Calabrone tornò a Zino con la pizza magica e gli anziani abitanti furono molto orgogliosi del loro piccolo Calabrone che ormai era diventato adulto (la pizza la mangiarono lo stesso perché nessuno ha voglia di morire…) e vissero altri trecento anni
felici e contenti.
Classe I B A.S. 2013-2014
la foresta incantata di Beatrice, Emma, Marco, Federico, Giorgia, Andrea
La foresta incantata
C
’era una volta, tanto tempo fa, un orco buono e gentile di nome Roc. Viveva in una foresta incantata dove tutti gli animali, sembra impossibile, vivevano in pace: i leoni erano vegetariani e il veleno dei serpenti dava pura e sincera felicità. La foresta era millenaria: gli alberi nonostante la loro mole enorme sembravano ballare in modo aggraziato muovendo le braccia nodose agghindate dalle foglie ogni volta che un colpo di vento soffiava. L’erba era come un folta criniera verde che ondeggiava al vento. Le foglie cadendo danzavano posandosi sul soffice terreno. Più avanti si trovava un meraviglioso sottobosco dove vivevano molti animali. Di tanto in tanto, quando Roc passava, poteva vedere cinghiali, tassi, cerbiatti, coccinelle e raramente qualche talpa. Roc andava a portare da mangiare le verdure ai leoni, fragole e more ai serpenti e deliziose mele e carote ai cerbiatti. Un giorno, mentre Roc nutriva i cerbiatti, tutto diventò improvvisamente buio: i cerbiatti, infuriati, fuggirono travolgendo alberi e animali. Gli alberi iniziarono a muoversi vorticosamente sbattendo da tutte le parti facendo cadere i nidi. Poi di colpo si immobilizzò tutto e un albero ritardatario colpì un uccello che non si era mai visto prima, che lasciò cadere una piuma. Poi tutto si fermò come morto. Roc con un ghigno malefico prese la piuma e scappò nascondendola. Qualche anno dopo un giovane di nome Forrest, in cerca di avventure, entrò nella foresta e immediatamente ebbe una visione. Una voce cavernosa disse: “ Questa foresta è stata stregata per tanti anni, e tu, un giovane valoroso e pieno di speranze, dovrai cercare di liberarla: dovrai superare due prove. Forrest vide due immagini sfuocate di una foglia ed una piuma. Poi iniziò il suo viaggio. Dopo un po’ trovò un albero strano, che sembrava ancora vivo, gli girò attorno e l’albero disse con voce tonante: “Se vuoi passare dovrai rispondere a questo indovinello: la mappa troverai dove il sole non batte mai.” Forrest tornò indietro, sentì una voce e si girò ma non vide nulla: solo la vecchia foresta immobile. Poi la voce parlò di nuovo e disse che era sulla sua testa. Allora Forrest si mise la mano tra i capelli e trovò una foglia la quale disse che la soluzione dell’indovinello era la grotta. La foglia lo guidò fino alla grotta e trovò la mappa con Forrest. Allora Forrest andò dall’albero e rispose all’indovinello. Ma l’albero comunque non voleva farlo passare
perché nessuno finora ci era mai riuscito. Così Forrest prese un sasso lì vicino e ferì a morte l’albero. Poi passò e dopo pochi chilometri, seguendo la mappa, trovò una caverna ed entrò. Seguendo i vicoli tortuosi, pieni di stalagmiti che la componevano, arrivò al centro. Si nascose subito sentendo l’odore di uova marce che aleggiava. Vide entrare due persone che parlavano animatamente e capì subito che non avevano buone intenzioni. “Per bruciarla ci serve la pozione … “ disse uno. L’altro rispose: “Si gliela preparo subito” Forrest decise di intervenire. Avevano detto qualcosa a proposito di una piuma quindi uscì di soprassalto e gridò: “Dov’è la piuma?” minacciandolo con la sua spada. “Oh, questo qui a quanto pare vuole la nostra piuma! Lo accontenteremo ma prima si farà un duello: se vincerà lui gliela daremo.” Come tutti i cattivi che si rispettino quando Racut (il nome del cattivo) capì che era finito disse che non gli avrebbe dato comunque la piuma che aveva in mano. Allora Forrest lo inseguì e gli prese la piuma. Poi uccise Racut e toccò l’altro, il suo schiavo, che era Roc, con la piuma. Roc ritornò buono e quando capì che era ritornato quello di prima disse a Forrest come fare per rimettere in vita la foresta. Forrest tornò sui suoi passi e ritrovò l’albero che lui aveva ferito rendendolo inanimato. Lo invase un terribile senso di colpa. Lo toccò con la piuma e l’albero germogliò di nuovo. Poi toccò tutti gli animali e le piante e tutto tornò come prima: tutto germogliava o si ricominciava a muovere. Forrest diventò padrone della foresta insieme a Roc che non fu più uno schiavo cattivo ma un aiutante buono.
E vissero tutti felici e contenti.
Classe I B A.S. 2013-2014
asdino e le mitiche fiabe
Asdino e le mitiche fiabe C’era una volta una città di nome Letterandia, dove arrivavano alcune lettere dai protagonisti delle fiabe. Tra queste, una era stata scritta dai sette nani: “Cari abitanti di Letterandia, siamo stanchi di cantare e lavorare in miniera, di chiamare ogni giorno il principe per svegliare Biancaneve, e di dover convivere tutti insieme! Aiutateci o fuggiremo facendo perdere traccia e portandoci via anche il ricordo di noi!” Anche altri personaggi delle fiabe avevano minacciato di scomparire per sempre e alla fine l’avevano fatto! Asdino, abitante della città, si preoccupò perché tutte le fiabe sarebbero andate perse e nessun bambino avrebbe potuto leggerle divertendosi. Così, pensando alle conseguenze, decise di riportare tutti i protagonisti nelle loro fiabe. Per farlo dovette superare delle prove. Per riportare i sette nani in Biancaneve, Asdino doveva ritrovare i loro attrezzi da lavoro, così andò a cercarli e scoprì che li aveva rubati l’orco Scansafatiche il cui compito era di non far più lavorare nessuno. Per far diventare l’orco un gran lavoratore, Asdino doveva andare a cacciare un cinghiale magico, e consegnarlo a lui. Il cinghiale era blu con due ali ai lati delle orecchie, con due occhi bianchi. Era molto aggressivo. Asdino andò subito a cercarlo e con due frecce lo colpì al petto. Il giorno dopo lo portò all’orco che ne fu felice e diede ad Asdino gli attrezzi dei nani, così Asdino superò la prova e decise di tornare a Letterandia per leggere un’altra lettera da parte di Cenerentola. Diceva: “Voglio scappare da questo posto perché mi sono stancata di amare lo stesso principe, andare ogni giorno in giro con la zucca trasformata in carrozza e partecipare al ballo!” Asdino decise di trovare una soluzione a questo problema e cercare la sua scarpetta di cristallo. Scoprì che era stata rubata da una talpa. Asdino allora si mise in viaggio per la collina del Miraculus e trovò la scarpetta sepolta ai piedi di un albero di ciliegie. La consegnò a Cenerentola riportando l’amore e la gioia fra lei e il Principe. Fu così che grazie ad Asdino, che aveva riportato alla normalità tutte le fiabe del mondo, tutti i bambini furono
felici e contenti.
Classe I C A.S. 2013-2014
il battesimo di agnellino piccino Fiaba filastrocca ispirata a “Gallo cristallo� (Fiabe Italiane raccolte e trascritte da Italo Calvino)
di Marco, Federico, Lorenzo, Pietro Raccolto da Lorenzo
Il Battesimo di Agnellino Piccino
U
n giorno Gigetto Coniglietto uscì dalla porta e trovò un messaggio con scritto: “Gigetto coniglietto, Gina gallina, Pino pinguino, Gino uccellino e Silvietta cavalletta sono invitati al battesimo di Agnellino piccino”. Allora Gigetto coniglietto si incamminò. Dopo un po’ incontrò Gina gallina che gli disse: “Dove stai andando Gigetto coniglietto?”. “Io sto andando al battesimo di Agnellino piccino”. Gina gallina gli chiese: “Posso venire con te?”. “Se ci sei nella lista: Gigetto coniglietto, Gina gallina… Sì ci sei, seguimi”. Dopo cento metri trovarono Pino pinguino che chiese: “Dove state andando Gigetto coniglietto, Gina gallina?” “Stiamo andando al battesimo di Agnellino piccino”. “Posso venire con voi?” “Sì, se ci sei sulla lista: Gigetto coniglietto, Gina gallina, Pino Pinguino… Sì ci sei, seguici”. Dopo un po’ di tempo Gigetto coniglietto, Gina gallina e Pino pinguino trovarono Gino uccellino che chiese: “Gigetto coniglietto, Gina gallina, Pino pinguino dove state andando?” “Stiamo andando al battesimo di Agnellino piccino” “Posso venire anch’io?”, chiese Gino uccellino. “Sì se ci sei nella lista: Gigetto coniglietto, Gina gallina, Pino pinguino, Gino uccellino… Sì ci sei, seguici”. Dopo cinque minuti trovarono Silvietta cavalletta che chiese: “Dove state andando Gigetto coniglietto, Gina gallina, Pino pinguino e Gino uccellino?” “Stiamo andando al battesimo di Agnellino piccino”, disse Gigetto coniglietto. “Posso venire anch’io?”, disse Silvietta cavalletta. “Sì se ci sei sulla lista: Gigetto coniglietto, Gina gallina, Pino pinguino, Gino uccellino e Silvietta cavalletta… sì ci sei, seguici”. Dopo cinque minuti trovarono Orsaccio cattivaccio che chiese: “Dove state andando Gigetto coniglietto, Gina gallina , Pino pinguino, Gino uccellino e Silvietta cavalletta?”. “Stiamo andando al battesimo di Agnellino piccino” disse Gigetto coniglietto. “Posso venire anch’io?” disse Orsaccio cattivaccio.
“Se ci sei sulla lista”, disse Gigetto coniglietto. “Gigetto coniglietto, Gina gallina, Pino pinguino, Gino uccellino e Silvietta coniglietta. No non ci sei, però Agnellino sarebbe contento di conoscerti, seguici”. Durante il viaggio, Orsaccio cattivaccio si mangiò tutti tranne Gigetto coniglietto . Gigetto coniglietto si girò di scatto, prese una carota e la tirò in bocca a Orsaccio cattivaccio che era allergico. Orsaccio iniziò a tossire e sternutire finché risputò fuori tutti gli animali che aveva mangiato in un boccone e così tutti furono salvi. “Vuoi unirti di nuovo a noi?” chiese Gigetto sventolando un’altra carota. “No no no! Mi sono appena ETCIUUUUU ricordato ETCIAAAAAA che ho un ETCIIIIIIIII impegno!” rispose Orsaccio cattivaccio fuggendo a zampe levate. Gigetto coniglietto, Gina gallina, Pino pinguino, Gino uccellino e Silvietta cavalletta andarono al battesimo di Agnellino piccino.
Classe I C A.S. 2013-2014
l’avventura di bombom gelatina! di Walid, Francesco, Elena, Stefano
L’avventura di Bombom Gelatina!
C
’era una volta, tanto tempo fa, Bombom Gelatina. Quando conobbe un draghetto di nome Draghitos Fuochitos diventò il suo migliore amico. Un giorno stavano passeggiando in un boschetto e lungo il sentiero trovarono una chiave. Dopo qualche metro trovarono un mucchio di foglie che nascondeva uno scrigno. Bombon Gelatina provò ad aprirlo ma proprio in quel momento cadde un foglio dal cielo e cominciò a leggerlo. Il foglio diceva: Se vuoi aprire lo scrigno dovrai superare tre prove: passare in un tubo largo 30 cm fare tiro alla fune contro tre ciclopi rispondere correttamente ad un indovinello. Dopo aver letto la lettera notò che c’era un tubo sul ramo di un albero e Bombom Gelatina disse : “Sono troppo grasso per passare nel tubo magico”. Allora Draghitos Fuochitos rispose: “Ti darò un broccolo bollito per farti restringere per un minuto ma stai attento perché il mago Assassinjack ti potrebbe tendere una trappola”. Una volta entrato dentro il tubo il mago Assassinjack lo fece aspettare. L’ effetto del broccolo finì, così Bombom Gelatina ritornò alla sua grandezza naturale e rimase incastrato. Il tubo scoppiò e Bombom Gelatina riuscì a liberarsi, ne prese i frammenti e rigenerò il tubo ma molto più grande. Ci entrò dentro e il tubo diventò un’armatura. La prima prova era superata. Ora doveva fare il tiro alla fune contro tre ciclopi che trovarono sulla cima di una montagna. Il mago Assassinjack moltiplicò i tre ciclopi in un esercito intero. Bombom Gelatina disse: “Sono troppi e hanno molta più forza di me!”. Draghitos Fuochitos rispose: “Non preoccuparti ti farò diventare un ciclope e l’armatura ti farà diventare più forte”. Il draghetto lo trasformò in ciclope e proprio in quel momento Assassinjack gli tirò addosso delle palle infuocate ma Bombom riuscì a proteggersi grazie all’ armatura. Bombom Gelatina riuscì a superare la seconda prova e cominciò a cercare l’indovinello. Lo trovò su un nido d’ aquila e per prenderlo si arrampicò su un albero.
Lo prese e lo lesse, diceva : Sono bello e furbetto, sono basso e tondetto, alla sera mangio un confetto, chi sono? I due amici ci pensarono ma non veniva loro in mente niente. Bombom Gelatina si stava per arrendere quando a Draghitos Fuochitos venne un’ idea: “La risposta deve finire in ETTO”. Allora Bombom Gelatina disse : “Ma quali parole terminano in ETTO?” Il draghetto rispose : “Elfetto, Geppetto, Nanetto…” “Forse nanetto!” disse il draghetto. “Il nanetto è bello, è astuto, è molto basso ed è un po’ tondetto” Bombom Gelatina disse la risposta corretta ad Assassinjack che sparì nell’ aria. I due amici riuscirono ad aprire lo scrigno con la chiave che avevano trovato e ne uscì una bambola di pezza che diventò una principessa. Lei e Bombom si sposarono, Draghitos Fuochitos diventò il consigliere reale e vissero per sempre
felici e contenti.
Classe I C A.S. 2013-2014
il coniglio e la carota di Catherina, Yari, Martina e Maria Amalia
Il Coniglio e la Carota
C
’era una volta, tanto tempo fa, un elfo che si chiamava Alfred e stava imparando a fare le magie. Un bel giorno decise di preparare la zuppa di carote, ma per errore diede vita ad una di esse, da cui spuntarono le gambe. La Carota tutta pazza, saltò fuori dalla finestra, scomparendo nel verde della foresta. Poco lontano c’era un Coniglio, che vedendo la Carota correre, la guardò stranamente… e alla fine, dopo tanti pensieri, decise di inseguirla per mangiarla. La Carota correva sempre di più e dalla Finlandia, lo stato dove abitavano, arrivarono in Spagna, poi in Turchia, fino a fare il giro dell’Europa. Ritornati a casa si trovarono davanti a un bivio: la strada si divideva. Il Coniglio andò da una parte, mentre la Carota dall’altra. Per il Coniglio ci fu una piacevole sorpresa: il destino gli fece incontrare una graziosa coniglietta e dalla loro famiglia nacquero otto graziosi coniglietti. La Carota tornò dall’elfo Alfred che poté finalmente preparare una magica zuppa.
Classe I C A.S. 2013-2014
tontolo e ordinata di Martina e Marta
Tontolo e Ordinata
C
’era una volta in un villaggio in cui vivevano una decina di abitanti, il mago Tontolo dalla personalità estroversa e amante del disordine. Nella sua libreria c’era un libro ammuffito e polveroso con le pagine ingiallite in cui si trovavano scritte tutte le formule magiche esistenti nel pianeta. In un giorno come tutti gli altri, mentre il mago camminava, recitò la formula: “O tu pescatore comincia ad amare e tu contadino comincia a pescare”. E così accadde. Poi ancora: “O tu cane comincia a miagolare e tu gatto comincia ad abbaiare”. E così fu. Poi continuò: “O tu cuoco comincia a mangiare tutto quello che nella spazzatura puoi trovare e tu mendicante comincia a preparare una maestosa torta nuziale”. E così avvenne per tutto il giorno. Da allora le cose cambiarono e Tontolo ne era molto felice perché lui amava il disordine. Ma c’era una stella nel cielo a cui non piaceva nulla di tutto questo: era la fatina Ordinata. Dopo qualche giorno che l’incantesimo era cominciato, la fatina decise di entrare in azione: volò nel tugurio del mago che stava dormendo dentro al pentolone per gli incantesimi insieme al suo librone. Quando lui si svegliò e vide la fatina non si spavento perché in passato erano stati alleati La fatina gli chiese in tono tranquillo ma severo: “Perché tutto ciò? “ e lui: “Tutto quel tempo passato a combattere per l’ordine nel mondo mi ha fatto andare fuori di testa e per questo ho deciso di invertire il mio ruolo. La fatina molto seccata pronunciò in tono altezzoso: “Addormentati!!!” e lui si addormentò. La fatina poi pronunciò: “O caro Tontolo che tu possa cambiare e che l’ordine possa tornare!!!” . E così fu. Da quel giorno nel villaggio ricominciò a regnare la tranquillità ma soprattutto l’ordine, così vissero tutti
felici e contenti.
Classe I C A.S. 2013-2014
michelle di Carol
Michelle
C
’era una volta una bambina di nome Modestina Super Star ossessionata dai vestiti, che ogni giorno marinava scuola per andarsi a comperare vestiti nuovi. Una notte Modestina Super Star udì delle voci provenire dall’armadio. Svegliandosi si impaurì, aprì l’armadio e si accorse che tutto era al proprio posto, e così tornò a letto. Il mattino seguente si svegliò e indossò i suoi magnifici vestiti, tutti puliti per bene e senza nemmeno una briciola di polvere! Per una volta che andò a scuola le accadde qualcosa di strano: era seduta tranquilla al suo banco quando involontariamente cadde dalla sedia. Poi le sue gambe e le sue braccia fecero dei movimenti bizzarri. Allora andò in bagno per specchiarsi. Appena si guardò, Modestina Super Star sentì un vocione provenire dalle sue ginocchia e poi dai gomiti. Solo allora capì che i suoi vestiti parlavano. I pantaloni dissero: “Io non voglio stare con quella giacca è troppo snob!” La giacca rispose: “E io non voglio stare con quei pantaloni troppo sportivi!” Modestina Super Star innervosita da tutti quei lamentii urlò: “Basta!!!” Modestina Super Star decise di donare i vestiti “inutili” alla gente più povera. Da quel giorno capì che era importante fare del bene alle persone meno fortunate di lei!
Classe I C A.S. 2013-2014
fiaba
Fiaba
C
’era una volta un giovane stregone di nome Piroscafo, alto, grasso, capelli neri, occhi gialli. Viveva a Otenev, un paesino piccolo, con dei palazzi che avevano torri con in cima delle cupole colorate e appuntite. A Otenev tutti avrebbero voluto fare amicizia con Piroscafo, però lui non se lo meritava perché era troppo scontroso. Piroscafo comprò un biglietto per visitare uno dei palazzi del suo paesino. Entrò in una stanza dove c’era un bellissimo specchio. Affascinato dal suo splendore e anche un po’ incuriosito, lo toccò e si ritrovò in un’altra dimensione dove tutto era al contrario: le maestre andavano a scuola per imparare dai bambini, si mangiava cioccolata e niente verdure, non si lavorava e tutti gli abitanti, più li maltrattava, più gli volevano bene. Piroscafo disse: “Che bello, finalmente mi sento proprio felice e apprezzato” e fece la linguaccia a una passante che gli mandò in cambio un bacio. Lui le rivolse uno sguardo minaccioso per tenerla alla larga e quella gli corse incontro gridando: “Come sei buono! Come sei dolce! Ti prego: sposami! Sposami!”, ma lui scappò a gambe levate. Dopo qualche giorno, apparve una creatura mostruosa e chiese allo stregone se era davvero felice della sua vita e di essere scontroso con tutti. Piroscafo rispose di sì. La creatura riformulò la domanda e questa volta disse di no perché capì che quelle amicizie non se le era meritate. Il mondo attorno a lui era cambiato, ma lui era stato capace di cambiare? No. Nel suo paesino era sempre isolato, ma in fin dei conti almeno sapeva cosa aspettarsi. Ormai stanco decise di lasciare quello strano mondo dove tutto era rovescio e di attraversare lo specchio per ritornare nel paese che tanto amava. Imparò a essere socievole e farsi degli amici. Dopo qualche tempo avendo fatto notevoli cambiamenti si sposò con una bellissima strega che si chiamava Onue da cui dopo ebbe una stupenda figlia di nome Kaia.
Classe I D A.S. 2013-2014
la sconfitta dei tornado di Angelica,Therry, Giulia, Gloria, Nico, Francesco
La sconfitta dei tornado
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olcidum abitava in una piccola casetta di legno nella periferia di Donkykong. Mentre guardava la televisione disteso sul suo divano, ascoltò un notiziario che raccontava di due tornado, uno GRIGIO e uno NERO, che al loro passaggio dipingevano qualsiasi elemento dell’ambiente circostante nei rispettivi “colori”, o meglio, toglievano ogni colore da ciò che toccavano. Le pareti delle case erano diventate a strisce grigie e nere. Il tornado nero aveva ridotto in polvere i frutti degli alberi perché erano diventati neri e avevano perso le loro sostanze. DOLCIDUM conservava nella sua tasca un portachiavi a forma di arcobaleno, tutto colorato, che gli permetteva di parlare con i colori e conoscere i loro caratteri. “E se vi usassi per ridare i colori alle cose che li hanno perduti?” chiese. Il primo colore che gli rispose fu il ROSSO che si atteggiava un po’ troppo, ma nascondeva la sua agitazione perché temeva di scomparire anche lui. Il secondo a comparire fu l’ARANCIONE che, quando si presentavano delle difficoltà diceva: “Non c’è problema se non si risolvono da sole, troveremo noi la soluzione!” Successivamente arrivò il GIALLO che sorrideva sempre e si trascurava per pensare agli altri . In seguito giunse il VERDE che sognava di avere la pace nel mondo, non aveva mai torto un capello a nessuno e non voleva la guerra. L’ultimo fu l’AZZURRO: per lui ogni cosa doveva essere al proprio posto. I sei amici dovevano superare due prove per arrivare alla TORRE DELLE NUVOLE GRIGIE da cui erano partiti i tornado. La prima consisteva nell’ affrontare la capra delle nevi: la prova fu vinta grazie al ROSSO che sconfisse la capra grazie alla luce accecante che emanava, perché produsse molto calore che fece sciogliere la capra fatta di ghiaccio. La seconda prova fu affidata all’AZZURRO. Era una prova di intelligenza, ossia un indovinello che diceva: Più è caldo, più fresco è L’AZZURRO sicuro di sé rispose: “Ovvio,è il pane!” e superò la prova.
A due metri di distanza da loro c’era la Torre. Dolcidum e i suoi cinque amici si arrampicarono econ degli affilatissimi coltellini tagliarono i fili che le nuvole usavano per manovrare i tornado come marionette. I tornado tutto ad un tratto si bloccarono e si restrinsero fino a sparire per sempre. Dolcidum tornò a essere il solito ragazzo di sempre, con il cuore colmo di gioia e i colori tornarono a regnare nel mondo.
Classe I D A.S. 2013-2014
il coraggio di sonix e la bontĂ di rapunzel di Diana, Samantha, Emma, Gaia, Marco, Abdel
Il coraggio di Sonyx e la bontà di Rapunzel
C
’era una volta, nell’oceano Pacifico, una nave da crociera sulla quale il Gatto con gli Stivali aveva organizzato una festa in onore di Nemo. Egli aveva invitato tutte le creature delle fiabe, tra cui c’erano: Rapunzel, Sonyx, le sorellastre di Cenerentola e la matrigna di Biancaneve. Cenerentola, le sorellastre e la matrigna, si vantavano delle scarpe, dei vestiti, dei capelli e dei gioielli, perché volevano avere il titolo di principesse più belle del Reame. Rapunzel era vestita semplicemente e allo stesso tempo era bella, ma non si vantava di niente. Sonyx era un volpetauro molto forte e coraggioso, ed era un fedele amico di Rapunzel. Cenerentola, le sorellastre e la matrigna, erano talmente invidiose, che la rinchiusero in una cabina. Dopo essere stata lì lunghe ore, arrivò Sonyx per liberarla perché era innamorato di lei da tanto tempo, perché lei era intelligente e simpatica. Entrato nella cabina però, ci rimase chiuso dentro anche lui. “Come faremo ora?” disse disperato. Un raggio di luce magico attraversò la porta, e una voce chiese a Rapunzel e Sonyx di risolvere un indovinello per poter uscire: “ È piccolo, portatile e contiene oggetti scolastici: che cos’è?” I due dopo cinque secondi risposero: “ È l’astuccio! “. Il raggio magico scomparve, perché la risposta era giusta, e la porta si aprì. Rapunzel e Sonyx vennero incoronati “Creature più Belle del mondo Fiabesco”. Essi si sposarono e il giorno del matrimonio Sonyx si trasformò in un principe bellissimo. Cenerentola, le sue sorellastre e la matrigna, diventarono tutte e tre scienziate perché avevano capito che la bellezza vale meno dell’intelligenza e della cultura. E tutti vissero
felici e contenti.
Classe I E A.S. 2013-2014
fortunello di Davide, Claudia, Marco, Lorenzo, Giulia
Fortunello
U
na mattina, all’alba, l’aria era limpida, fresca, profumata di Bucaerba, Giraluna e Margheruote. Fortunello, un ragazzo che da sempre viveva nel mondo delle fiabe, camminava lungo un sentiero pensando a quello che avrebbe fatto durante la giornata: era felice, quindi durante il cammino uscivano dai suoi capelli delle bellissime farfalle gialle e arancioni. Gli uccellini cominciavano a cinguettare e si sentivano tutti i rumori del bosco. Improvvisamente però si trovò il sentiero bloccato da un tronco. Da dietro quel tronco spuntò un folletto con in mano un oggetto stranissimo: una specie di scatolina quadrata fatta di un materiale che Fortunello non aveva mai visto prima. Non era legno, né pietra, né oro o altro metallo. Avvicinandosi al folletto sbiancò dalla paura: dentro la strana scatola c’era qualcuno. Fortunello riusciva a sentirne la voce! Che magia oscura e potente era mai quella?! Si voltò per scappare in preda al terrore quando vide un’altra cosa straordinaria. Sul sentiero avanzava una carrozza di ferro, tutta rossa, senza cavalli che la tirassero! Di fianco a quella strana carrozza, c’era un albero di metallo, senza rami e foglie, che sputava luce. Vide dei bambini davanti al castello del re delle fiabe, tutti con le scatoline parlanti in mano: che orrore!!!! Fortunello terrorizzato, si diresse verso la sala del trono per chiedere spiegazioni sull’accaduto. Entrò e vide tutti i ciambellani del re delle fiabe con il capo chino rivolto a una fonte di luce con tasti. Digitavano appunti in scatolette ancora più strane delle prime. A bocca aperta entrò nella stanza privata del re che, cosa più sbalorditiva della prima, guardava un signore dentro una scatola che diceva: “Benvenuti al TG delle tredici”. Fortunello sbraitò: - COSA STA SUCCEDENDO NEL MONDO DELLE FIABE? Vedo: scatolette parlanti, carrozze senza cavalli, alberi che sputano luce e per di più lei che invece di lavorare guarda quel “robo” attaccato al muro!!!!! Il re rispose: - Sa signor Fortunello che lei è un vero ficcanaso? Sinceramente non so neanche io cosa sia successo, ma è successo e prima o poi doveva accadere tutto ciò: il mondo si sta evolvendo e anche noi personaggi delle fiabe ci stiamo abituando alle novità, anche se non sempre le capiamo, o ci fanno paura. So che per lei sarà un po’ più difficile ma questa è la vita. Le cose che ci piacciono vanno e vengono perché anch’io che ho più o meno la sua età sto facendo molta fatica sa???” “Tutto qui?” chiese Fortunello, “Non partiamo per un lungo viaggio finché, cammina
cammina, incontriamo una strega, un lupo, un orco… qualche essere cattivo da uccidere?” “I lupi non vanno uccisi, non fanno niente di male poverini. Questo è tutto quello che ho da dirle. Forse non avrò risposo alle sue domande, ma questo è tutto! Perciò, se vuole maggiori risposte, vada dal mago De Celeberis, lui sicuramente con la sua esperienza saprà rispondere alle sue domande da lunatico che vive nel mondo delle fiabe!”
Così, dopo aver discusso con familiari e amici sulla sua decisione di intraprendere questo lungo e pericoloso viaggio, riempì il suo zaino di provviste e partì. Non sapeva che avrebbe dovuto affrontare la foresta degli aghi e la fossa delle ossa, ma visto che questa cosa ricordava le fiabe, a lui sarebbe piaciuta. Fortunello, l’intrepido Fortunello, era partito per un viaggio senza ritorno da Nord a Sud, da Est a Ovest. Il suo viaggio era un’ avventura spietata per una persona leggermente addormentata, perché Fortunello dopo tutto, a scuola non c’era andato molto e un po’ ignorante lo era! Conosceva solo le fiabe, e anche di quelle ne sapeva oche e tutte uguali. Quando Fortunello arrivò alla foresta degli aghi, si accorse che per aghi si intendevano aghi veri, non come pensava lui qualche Cactus. All’entrata della foresta c’era un
cartello con scritto: “Voi che entrate attenti alle punture, possono fare male!”. La foresta era buia e ben presto venne la notte: ohi che dolore non era mica facile dormire comodamente in un “letto” di aghi! Il giorno dopo Fortunello riuscì ad uscire dalla dolorosa foresta e si rimise in cammino, sapeva che il viaggio verso il maestoso Castello del mago De Celeberis era molto lungo. La sua seconda tappa era la fossa delle ossa, questa era molto profonda! Si narrava che chiunque scendesse troppo in profondità, superata la soglia per sopravvivere nelle viscere della terra, incontrasse un cavaliere mezzo matto pronto ad ammazzare il malcapitato con una bellissima e costosissima spada. Arrivato davanti alla fossa, Fortunello era molto timoroso e pensieroso perché non sapeva come attraversarla. Sull’orlo del precipizio sbucò dal nulla (almeno per quanto ne sapeva Fortunello) un folletto mingherlino e molto burbero. Fortunello si fece coraggio e gli chiese consigli su come attraversare la fossa, ma il folletto non rispose. “Scusami, mi senti, ehi guarda che io sono qui mi vedi?” Il folletto innervosito sbottò: “Si ti vedo e mi stai disturbando, cosa vuoi da me? Guarda che io non ho mica tutta la giornata da perdere, devo fare tante cosa sai?” Fortunello: “Scusami tanto sai… uffa sei proprio una persona poco gentile… ma comunque a quanto pare sei l’unico essere vivente oltre a me che ci sia nel raggio di qualche miglio. Come attraverso il ponte? Me lo sai dire?” Il folletto rispose: “Per attraversare il ponte ti basta avere una corda e poi fai come faceva Tarzan nella giungla” “Grazie!” Fortunello non sapeva che fosse Tarzan perché non aveva mai avuto una televisione, ma urlando e saltando riuscì lo stesso ad attraversare la fossa. Camminò per altre mille miglia, e alla fine arrivò al castello del mago De Celeberis.
Il mago, dopo una lunga riflessione di qualche ora, rivelò la soluzione a Fortunello: “Carissimo Fortunello c’è un incantesimo che ha distrutto il tempo, perciò la Terra si sta evolvendo troppo velocemente e il mondo ne subisce le conseguenze! Le fiabe che sono molto antiche, sono state invase da oggetti creati nel futuro, secoli dopo che le fiabe sono state inventate. Ecco perché non ci capiamo più nulla. Dato che possono essere pericolosi, bisogna farli sparire! L’unico aiuto che le posso dare per spezzare l’incantesimo è questo: deve riempire un’ampolla di vetro con tre aghi della foresta di aghi, un pelo del folletto che fa da guardia alla fossa delle ossa e una scatoletta magica di cui mi ha parlato, poi dovrà pronunciare queste parole:
Il mondo è cambiato io l’ ho salvato il mago mi ha aiutato e il dolore del mio villaggio ho placato ma non è stato facile eseguire l’ ordine dato Fortunello ascoltò attentamente, prese qualche appunto, tornò su i suoi passi e raccolse tutte le cose di cui aveva bisogno. Quando finalmente tornò a casa pronunciò subito le parole dette da De Celeberis. Improvvisamente sparirono tutti gli oggetti strani. Grazie al coraggio e all’abilità mostrata sul “campo di battaglia”, Fortunello venne nominato re delle fiabe al posto dell’altro re che si era del tutto rimbambito a forza di guardare la televisione e adesso voleva fare il conduttore o la velina. E così Fortunello visse felicemente fino alla fine dei suoi giorni.
Classe I E A.S. 2013-2014
frost di Martina, Andrea, Luca, Nicolò
Frost
C
’era una volta, in un piccolo villaggio, una ragazzo di nome Frost che aveva un fratello di nome Ben, quest’ultimo essendo il più grande si doveva prendere cura di Frost. I due fratelli erano molto legati, però Ben aveva qualcosa in più di Frost: sin dalla nascita, aveva il potere di controllare il fuoco. Un giorno, d’inverno, Ben e Frost stavano giocando con lo slittino; ad un certo punto, dato che i due fratelli stavano correndo fortissimo, si formò una valanga: Frost rimase incolume mentre suo fratello scomparve! Da quel giorno Frost ebbe qualcosa di diverso, come se avvertisse uno strano formicolio al cuore: non lo sapeva ancora ma un frammento di ghiaccio gli era penetrato nel cuore dandogli così il potere di controllare la neve. Per molti anni Frost cercò notizie del fratello, senza trovarne mai. Passati ormai dieci anni, Frost decise di incamminarsi verso un villaggio molto lontano per cercare Ben. Arrivato in una piccola casetta, poco fuori dal villaggio, decise di fermarsi per una sosta. Appena entrato incontrò un gruppo di persone che correva e piangeva; con l’arroganza che lo contraddistingueva, Frost provò a chiedere che cosa stesse succedendo: “Tutti zitti!” esclamò. A un certo punto si sentì una voce debole che apparteneva a un anziano signore del villaggio, si presumeva fosse il saggio del villaggio. Frost chiese a tutti: “Ehi, perché siete qui?” e il povero signore anziano rispose: “Perché un orrido mostro ci ha minacciati di morte se non ce ne fossimo andati e ha incendiato il villaggio!!!”.
Frost fu assalito da un dubbio e chiese al saggio: “Sai per caso chi vi ha minacciato?” Il vecchio saggio rispose: “No, nessuno lo conosce, ma ha detto che si stava vendicando per quello che gli avevamo fatto”. Frost, incuriosito, si avviò subito verso il villaggio, tra le fiamme vide un volto, ma prima che riuscisse a raggiungerlo scappò nella fitta foresta. Frost, vide una ferita che gli ricordava qualcuno di familiare; ci pensò giorno e notte ma non riuscì ad individuare chi fosse. Un giorno però, mentre stava mangiando un pasto che gli preparava sempre suo fratello, gli tornò in mente Ben e si ricordò della ferita che suo fratello si era fatto giocando con lui. Frost, però, non credeva a questo assurdo flash, allora andò al villaggio per vedere se c’era qualcuno, ma non trovò nessuno. Non trovando nessuno si ricordò dell’incidente avvenuto tanti anni prima. Decise allora di recarsi sul monte Svettato. Lì vide l’uomo di cui tutti parlavano al villaggio. Frost senza esitare si rivolse a quest’uomo dal volto tutto bruciato e gli chiese: “Chi sei?”. Villanamente questi urlò: “Vattene! Non farti più….” Ma, appena si girò riconobbe suo fratello: il cuore aveva accelerato il battito; dopo tanti anni i due si erano finalmente incontrati, dalla gioia piansero e si abbracciarono.
Frost disse: “Perché stai facendo questo a delle povere persone?” Ben, guardandosi attorno e osservando tutti i danni che aveva fatto, rispose con
decisione e molta arroganza: “Sto portando a termine la mia missione vendicandomi di quello che mi hanno fatto! Distruggerò tutti i villaggi, così capiranno qual è il dolore da sopportare...”. Frost gli replicò: “No, te lo impedirò! Tu ce l’hai con me e gli abitanti dei villaggi non c’entrano nulla! Non sei più la persona che conoscevo una volta quando giocavamo insieme, allora ti prendevi cura di me. Eri generoso, non crudele!” Ben continuò: “Quei tempi sono passati da un bel pezzo! Ora io sono grande e voglio continuare la mia missione e tu…” In quel momento, però, arrivarono gli abitanti dei villaggi distrutti da Ben che lo volevano uccidere. Frost, per amore di Ben, li fermò e disse loro che suo fratello non lo aveva fatto volutamente! Sentite le parole di Frost gli uomini si fermarono, Ben si rese conto di aver sbagliato, ringraziò il fratello, chiese scusa per quanto aveva fatto e promise di ripristinare tutto. Ben disse al fratello con parole dolci: “Dopo che tu hai fatto questo per me salvandomi la vita io ti prometto che non porterò a termine la mia missione!”. I due fratelli si guardarono negli occhi e si promisero a vicenda di ricostruire tutti i villaggi che Ben aveva distrutto. Ben rifletté sulla sua sete vendetta e capì che la cosa più importante per lui era amare di nuovo suo fratello: l’unico membro della famiglia rimastogli. Da quel giorno Ben e Frost restarono sempre uniti.
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un’avventura eroica! di Andrea A., Filippo, Federica, Mariaelisa
Un’avventura eroica!
E
ra una calda, calda giornata di primavera, l’aria profumava di viole. Goccia di Fuoco, si fermò per un istante e si asciugò la fronte sudata: faceva molto caldo con addosso la vecchia maglia rossa di suo fratello e i pantaloni rossi con grossi buchi alle ginocchia. Diede un calcio a un sasso colpendolo con la punta degli stivali ormai senza alcuna forma. Ascoltò per qualche secondo gli uccellini cinguettare e riprese a lavorare. Aveva molta sete, sentiva la bocca secca ma non voleva deludere il padre. Dopo ore di lavoro si fermò e sentì i capelli umidi, lì spostò dalla fronte. Era ormai sera. Raccolse le poche cose che era riuscito a raccogliere per portare un po’ di cibo a casa: qualche carota, dei pomodori e insalata. Andò al fiume, si lavò e bevve molto per riempire la pancia che anche quella sera sarebbe rimasta vuota: “Almeno l’acqua è fresca” si disse per consolarsi. Prese il cesto con dentro gli ortaggi, tornò a casa, posò il cesto sul tavolo e andò a trovare il suo amico Kasimiro.
Goccia di Fuoco diede a Kasimiro gli ortaggi restanti per pura bontà ma Kasimiro sentendo il continuo parlare bene di Goccia di Fuoco s’ingelosì. Sfregandosi le mani Kasimiro cercò nel libro delle pozioni un sortilegio in grado di trasformare chiunque lo beva in animali. Kasimiro diede la pozione a Goccia di Fuoco dicendogli che era una spremuta, Goccia di Fuoco lo ringraziò e si avviò verso casa. Appena arrivò a casa versò la spremuta alla sua famiglia ma non né rimase per più per lui. Andarono a dormire. La mattina seguente si svegliò e vide tre maiali. Andò nella camera dei suoi genitori e si accorse che era vuota. Capì che Kasimiro lo aveva imbrogliato, allora infuriato andò da suo nonno che era “Il vecchio saggio del villaggio”. Trovò il nonno sdraiato vicino alla sua casa, lo svegliò. Goccia di Fuoco chiese al nonno quale fosse l’antidoto della trasformazione in animali della sua famiglia. Il nonno gli consigliò di cercare la pietra rossa che era il dente del pipistrello gigante che vive nella Grotta del Terrore. Tornato a casa doveva ridurre la pietra rossa in polvere e metterla nel cibo degli animali (cioè i suoi genitori e suo fratello). Il giovane partì per la sua grande avventura. Non aveva ben chiaro cosa fare ma partì di corsa. Si fermò di colpo: aveva davanti a sé un montagna alta circa mille metri, e a metà di questa c’era la Grotta.
Il giovane dovette affrontare pericoli e dopo tre giorni arrivò finalmente all’entrata della Grotta. Senza esitare si infilò dentro e camminò a lungo: sembrava non finire mai. Iniziò a essere buio, non si vedeva più nulla. Era terrorizzato, voleva tornare indietro
ma non voleva deludere i suoi genitori e suo nonno “IL SAGGIO” . Si sentivano mille rumori ma nessuno di questi sembrava somigliare al verso del pipistrello. Avvicinandosi sempre di più alla fine dall’antro, iniziavano a colare delle gocce dal soffitto. Il pipistrello doveva essere vicino! Calpestò qualcosa, guardò bene ed era uno scheletro. Adesso sì che aveva paura. Sentì una forte folata d’aria e subito dopo vide qualcosa. Illuminandosi, si avvicinò, accese la lanterna e … BAM! Si trovò la faccia del pipistrello che sfiorava la sua.
Con le mani che tremavano tirò fuori la spada e gli colpì l’occhio sinistro. Il pipistrello cadde a terra e morì. Ora doveva solo staccare il dente al pipistrello ma non era facile e non lo aiutava per niente il territorio cupo, buio e freddo dove si trovava. Tentò invano di strapparlo senza riuscirci. Per grande fortuna di Goccia arrivarono dei lupi che mangiarono il cadavere del pipistrello e lasciarono lì il dente rosso perché non riuscivano a romperlo. Il ragazzo raccolse da terra il dente. Senza perdere tempo uscì dalla Grotta e ripercorse il bosco dove c’erano alberi tanto fitti che quasi non riusciva a passare. C’erano anche animali feroci: lupi, orsi e non si trovava da mangiare. Trascorsi dieci giorni dalla sua partenza arrivò a casa stremato. La prima cosa che fece fu di ridurre in polvere la pietra e per fare questo usò un vecchio martello. La mattina seguente vide i tre maiali che mangiavano e pensò: “Questo è proprio il momento ideale per versare le polveri. Versò le polveri e giorno dopo rivide i suoi genitori e suo fratello ritornati come un tempo. Quel giorno fu per Goccia il più bello della sua vita, e assieme alla sua famiglia fece una gran festa, mentre Kasimiro se n’era ormai già scappato lontano e non si fece più rivedere. Marfiore e la Saggia Quercia Parlante
Classe I E A.S. 2013-2014
marfiore e la saggia quercia parlante di Sofia, Niccolò, Lorenzo, Camilla
Marfiore e la saggia quercia parlante
T
anto tempo fa, in una landa desolata, governata da una sovrana malvagia detta “La Serpe”, viveva una giovane ragazza dai capelli rossi, abilissima nel tiro con l’arco. La ragazza si chiamava Marfiore e, come tutti gli altri abitanti del villaggio, viveva principalmente di caccia. Da alcuni giorni Marfiore non riusciva a catturare niente, proprio lei che prendeva un coniglio dalla distanza di mille metri! – Non riesco a crederci! - aveva sbottato - Come mai quella lepre così magra sì è alzata dopo che io l’ho centrata al cuore con una freccia? E cosa sta accadendo agli alberi? Non si riescono più a raccogliere i loro frutti! Contrariata da questa situazione uscì fuori dalla sua casetta sull’albero. Sì, perché non abitava proprio dentro al villaggio, ma su un albero appena dietro i confini delle mura in legno.
Marfiore corse nel bosco, prese un’altra freccia dalla faretra e la scagliò a caso, innervosita. La freccia andò a conficcarsi distante, ma la voce che Marfiore sentì le arrivò chiaramente. – Chi mi ha colpito? - la voce era profonda e da vecchio. Tremolante, Marfiore disse: - Ti ha per caso colpito la mia freccia? - Sì, credo sia qualcosa di appuntito e doloroso, vieni a vedere... Marfiore scattò rapida verso la direzione della freccia finché non si trovò davanti un albero maestoso – Sei tu il ferito? – - Sì, sono io. Sono la Saggia Quercia Parlante... - Ma se sei un salice? - commentò Marfiore - Bando alle ciance! Come mai mi hai colpito? - Ero arrabbiata perché ogni volta che infliggo un colpo mortale a un animale, questo si rialza e se ne va. Così io e tutti gli abitanti del villaggio stiamo morendo di fame! - Io so chi è stato a compiere quest’incantesimo: è tua sorella Malfiore, detta “La Serpe”... - Come?! La sovrana malvagia è mia sorella e ha fatto questo incantesimo!? - esclamò impaurita. E la quercia: - Sì, per farvi tutti schiavi. - Bene, siccome lei non è un animale, una freccia trapasserà il suo cuore malvagio che forse neanche esiste! - No! Non puoi farlo! Lei è tua sorella, se la uccidi morirai anche tu! - E come facciamo? - commentò Marfiore. – Esiste un monaco, il Monaco Senza Casa, che abita sulla Montagna Senza Nome. È capace di spezzare il vostro legame di sangue, vai da lui e dopo potrai uccidere la tua parte malvagia, liberando per sempre il villaggio dalla sua tirannia! Corri però o morirai di fame! Detto questo la quercia non vide più Marfiore, che era già partita. In poco tempo Marfiore arrivò ai piedi della montagna. Decise di passare all’approccio più diretto: tre frecce sibilarono ancora nell’aria, poi scagliò sulla parete di roccia tutte le altre che rimanevano nella faretra. In questo modo, Marfiore si era creata una scaletta di legno dove salì cautamente. Molti metri più su, dove finiva la scaletta, la ragazza vide un fuoco nel buio. Arrivò una persona molto grassa che le chiese: - Chi sei? - Marfiore. Vengo dal villaggio ai piedi della montagna. Mi serve un tuo incantesimo al più presto per favore! Ho molta fame! - Per conoscere i miei incantesimi, dammi venti pezzi d’oro! Eh eh ... Marfiore svuotò il suo borsellino ai piedi del monaco, poi disse: - Bene, ora aiutami! - Un attimo - disse il monaco contando le monete - Evviva! Ora mi potrò comprare un sacco da mangiare! - È questo il problema: il cibo non c’è! - aggiunse la ragazza - Non si riesce più a
catturare neanche un animale! E non si raccolgono più né frutta né verdura! Devi dividermi da mia sorella, cioè dalla mia parte malvagia! - Come come? – disse il monaco che non aveva capito. Dopo aver spiegato tutta la faccenda al monaco, quest’ultimo disse a Marfiore: - Va bene, ti aiuterò. Ma solo per il bene del cibo! Eh eh ... - e pronunciò una formula magica: “Che del cibo mi ritorni il profumo ora tu non sei più legata a nessuno!” – Puoi andare... – disse il monaco, ma la ragazza era già partita. – Sbrigativa... mi piace così! – concluse il monaco. Marfiore era davanti alla reggia della sovrana cattiva: - Malfiore! Vieni fuori! - urlò. Un’ombra si mosse davanti a lei e in quel momento Marfiore sentì una lama che le penetrava la spalla. Un dolore acutissimo le arrivò alla testa. Sì girò e vide una giovane ragazza identica a lei che impugnava una spada di cristallo. - Come fai a sapere il mio nome? - chiese quest’ultima con un sorriso maligno sulla faccia. – Me l’ha detto uno strano albero... - Ti ho sentito - le arrivò una voce profonda - Scusa vecchio salice... - disse imbarazzata Marfiore. – Il mio piano già lo sai... – continuò la ragazza cattiva girando le spalle alla ragazza buona - tutti saranno miei schiavi pur di mangiare! AHAHAHAH! - Non tutti – ribatté Marfiore. Quando Malfiore si voltò, si ritrovò innanzi Marfiore con l’arco teso: – Ripeto, io non sono una tua schiava! Detto questo una freccia passò il petto di Malfiore, ponendo fine ai suoi giorni. – Ancora una volta sbrigativa, mi piace! - esclamò il monaco arrivato in quel momento, poi concluse sorridendo: -Non potevo di certo mancare al duello per il cibo! – Vediamo se è tutto finito - disse Marfiore. Prese una freccia, mirò ad una tortora in volo e scagliò il suo dardo. Il volatile stramazzò a terra. – Tutto come prima - concluse. E da quel momento vissero tutti felici e contenti, o quasi.
Classe I E A.S. 2013-2014
vampi di Riccardo, Sofia F., Penelope, Petra
Vampi
C
’era una volta Vampi, un ragazzino timido e insicuro. Il suo fisico debole lo aveva sempre trattenuto dal ribellarsi a suo fratello Oscar, un tipo spocchioso e tiranno. In un giorno di sole Vampi stava riordinando la sua stanza molto velocemente perché voleva uscire con i suoi amici. Oscar, intanto, era seduto sul suo letto tutto felice e contento perché solo lui di tutta la famiglia non lavorava mai. I loro genitori infatti erano molto malati e non potevano occuparsi dei figli. Vampi aveva quasi finito di pulire quando sentì uno strano odore provenire da sotto il letto di Oscar. Si diresse verso il letto e, mentre tirava su il lenzuolo che sfiorava il pavimento facendo un fruscio, vide un mucchio di biancheria che scoprì essere la causa dell’odore nauseante. Vampi, senza quasi accorgersene, con un solo braccio tirò su il letto con Oscar sopra. Vampi lasciò cadere il letto senza appoggiarlo e facendo un grande tonfo, così Oscar si infastidì. Per scherzo o forse più per dispetto, Oscar scese di scatto dal letto, prese un calzino maleodorante e corse verso Vampi. Mentre suo fratello Vampi si girava, lui era già pronto per tirargli il calzino. Oscar riuscì nel suo intento: il calzino finì in bocca a Vampi che non poté toglierselo di bocca e il gusto nauseabondo del calzino
lo pervase. Dopo innumerevoli tentativi, Vampi riuscì a togliersi il calzino di bocca, ma gli rimase un gusto acre anche se provava a lavarsi i denti, si spruzzava del profumo in bocca... ma fu tutto inutile: per tutto il giorno si dovette tenere quello strano e sgradevole sapore in bocca. Vampi molto irritato sfidò il fratello: “Tu lo sai fratello mio che se io voglio ti posso far molto male, più di quanto tu creda. E se è indispensabile io ti posso lanciare fuori dalla finestra!” Questo Vampi non lo aveva mai detto perché era sempre stato paziente con suo fratello, ma in quel momento si sentiva forte e desideroso di vendicarsi per tutti gli scherzi che gli aveva fatto suo Oscar. Oscar molto divertito dalla risposta di suo fratello disse scherzosamente: “Sì, sì, non farmi ridere!! Ahahahahahah!” Vampi ormai non riusciva più a trattenersi: prese Oscar e lo buttò fuori dalla finestra dicendo: “Ora spero che tu abbia capito che io lo posso fare veramente!” Oscar molto spaventato per il cambiamento improvviso di Vampi scappò di casa, ma dopo neanche un giorno ritornò e, frugando tra le cose del fratello, trovò una mappa che Vampi aveva composto mentre trascorreva il suo tempo sotto un albero. Vampi per un po’ di giorni aveva aspettato sotto un albero che qualche animale saggio gli facesse cadere un pezzo di pergamena addosso e in effetti ciò era avvenuto, ma nessuno se ne era accorto. Ora Oscar aveva in mano quella pergamena, nella prima parte c’era scritto: “Se ogni giorno al calar del sole verrai sempre sotto quest’albero, un pezzo di pergamena ti volerà vicino e se così tu farai, tutta la mappa comporrai Poi un bellissimo viaggio farai. In dieci giorni degli oggetti magici trovar dovrai e felice ne sarai”. Oscar si volle vendicare del fratello. Decise quindi di sfruttare l’allergia allo zucchero di Vampi e gli offrì una bevanda molto dolce per far rimandare a Vampi tutti i suoi piani di il viaggio. Il ritardo che Vampi accumulò fu di sette giorni ed il tempo che gli restò per arrivare agli oggetti era solo di tre giorni. Passata l’allergia, cercò la mappa ma non la trovò e pensa che l’avesse rubata suo fratello per prendersi tutto il potere che sarebbe arrivato dagli oggetti magici. Vampi, pur non sapendo la strada per arrivare agli oggetti, si incamminò comunque per raggiungere suo fratello, ma si perse nella foresta e non sapendo dove andare, andò in crisi. Fortunatamente sentì delle voci che provenivano da due ninfe. Vampi decise di
chiedere loro aiuto e queste accettarono spiegandogli dove era andato suo fratello Oscar. Vampi trovò suo fratello mentre stava scappando da delle piante carnivore, lo aiutò e fuggirono insieme nell’isola indicata nella mappa che aveva Oscar. Il giorno seguente, sempre con l’aiuto della mappa, arrivarono a una caverna e videro un fungo multicolore contenente un anello magico. Però, a tre metri di distanza dal fungo, a sua protezione, scorsero un piccolo essere metà umano e metà animale. Tuttavia, grazie al coraggio di Oscar che prese il mostriciattolo e lo buttò fuori dalla caverna, riuscirono a liberarsene. Il piccolo esserino non entrò più nella caverna, perché una volta usciti da questo luogo si sviluppava una barriera che non permetteva più l’entrata se non si era in possesso di una chiave speciale. Vampi si guardò attorno, vide un elmo luccicare e lo prese, poi vide un frusta e prese pure quella. I due fratelli stupefatti, raccolsero tutti gli oggetti e se ne andarono. Vampi, che teneva l’elmo in mano, riuscì a passare una barriera invisibile, Oscar invece, ci sbatté contro. Ragionando un po’ capirono che Vampi era passato grazie all’elmo, quindi se lo passarono, così entrambi riuscirono ad attraversare la barriera. I due fratelli proseguirono, ma incontrarono un mostro volante che Vampi sconfisse grazie alla frusta magica che era allungabile fino all’infinito. Finalmente arrivarono a casa e diedero la pozione contenuta nell’anello ai genitori. Così la malattia di cui soffrivano da molto tempo fu sconfitta. Fatto questo, decisero di vendere l’anello e gli altri oggetti per ricavarne dei soldi e comprarsi una casa nuova. La vendita degli oggetti ebbe più successo del previsto, così Vampi e la sua famiglia diventarono ricchi e vissero
felici e contenti.
Classe I F A.S. 2013-2014
i mille colori di purpy di Gaia, Simone, Valentina, Matteo Thomas Hanno collaborato: Elisabetta e Matteo N.
C
’era una volta una piccola cittadina di nome Cincinlandia. In una buia notte d’inverno gli abitanti erano rinchiusi nelle loro case per via di un temporale. Le famiglie erano sedute nelle loro stanze ed erano tutti tranquilli. Il giorno seguente gli abitanti si alzarono dal letto e andarono a lavarsi il viso e vestirsi. Quando tentarono di guardarsi allo specchio fecero una drammatica scoperta: non ci riuscivano. Lo specchio stava in alto in alto, lontano da loro. Si accorsero così che erano diventati piccoli come una mela o poco più. A loro sembrava di essere in un mondo sconosciuto dove tutte le cose erano gigantesche! Subito uscirono dalle loro case e si recarono a piedi in piazza, nel centro della città, chiedendo spiegazioni al sindaco, ma lui non aveva risposte.
Un uomo con la barba bianca e lunga si fece avanti e disse: “O popolo di Cincinlandia, noi tutti siamo stati rimpiccioliti da Megix, una strega
che vive nel castello sopra la collina”. Tutti gli abitanti restarono a bocca aperta. L’anziano continuò a parlare per ore e ore, poi per fortuna venne al punto: “Per togliere questo incantesimo bisogna uccidere la perfida Megix. Abbiamo bisogno di un ragazzo forte, astuto e coraggioso che si offra come volontario!” A quelle parole avanzò a testa alta un ragazzo di appena quattordici anni di nome Silver che disse: “Mi offro io per compiere questa impresa!”
Il vecchio senza esitare gli diede la mappa per arrivare al castello stregato di Megix e una boccetta con su scritto “intrappolatore”. Il ragazzo partì. Si incamminò verso il terribile Monte Puzzolente che, secondo la mappa che gli aveva dato il vecchio, era il monte dove viveva la perfida Megix. A un certo punto però si trovò davanti un cartello con su scritto: Per arrivare al Monte Puzzolente bisogna affrontare dure prove. Solo chi ne uscirà vivo avrà il diritto ad un… La frase si interrompeva. Silver lesse più volte il messaggio per vedere se aveva capito bene; diede anche una spolveratina con la manica della giacca, ma niente da fare: la frase si era proprio interrotta lì. Dopo aver fatto vari tentativi tornò sui suoi passi, ma non poté fare dodici metri che si trovò davanti a un gigantesco muro di fuoco che gli bloccava il passaggio. Cercò allora una pozza d’acqua nelle vicinanze per poter spegnere il fuoco ma, non vedendone, decise di attraversare il muro di fuoco come gli avevano insegnato dei
vecchi contadini del villaggio: si coprì con il suo mantello sporcandolo con un po’ di terra umida e riuscì a passare. Dopo poco vide la montagna e si mise a scalarla a mani nude. Mentre scalava sentì il verso di una civetta e, volendo andare a vederla da vicino, cercò un appiglio. Ne trovò alcuni che portavano a una scanalatura fatta sulla parete della montagna. Quando riuscì ad arrivare alla scanalatura trovò una piccola porticina con un gioco matematico chiamato “Il matematicone” che gli chiese: “Quanto fa una nuvola più una nuvola?” Silver non si fece ingannare dando la risposta più ovvia, “Due nuvole”, e disse: “Se sono nere fa un temporale, se sono bianche fa un cielo nuvoloso”, così lo risolse in un batter d’occhio. Aprendo la porticina trovò una civetta: “Whou!” disse “Come avrà fatto a sopravvivere qui dentro, e soprattutto come ci sarà arrivata?” Le ali della civetta si illuminavano di mille colori e ogni minuto cambiavano colore. La civetta volò via. Il ragazzo continuò a scalare la montagna e la civetta lo seguì. Arrivato in cima vide un orripilante mostro che disse: “Io mi chiamo Puzzola e… Se il ponte vuoi passare, una canzone per addormentarmi dovrai cantare se non vuoi cantare, indietro dovrai tornare!” Silver non sapeva cosa cantare e stava per arrendersi, ma la civetta sbucò fuori da un albero ed emise un fortissimo bagliore che accecò il mostro, così Silver attraversò lo stesso il ponte e arrivò a un’altra montagna in cui viveva un gigante. Purtroppo per lui, il gigante aveva una moglie molto arrabbiata che lo afferrò e lo costrinse a cantare. Silver, messo in difficoltà, si ricordò di una canzone che la madre gli cantava sempre quando era piccolo, allora si mise a cantare. La gigantessa lo lasciò passare avanti e Silver proseguì il suo viaggio verso la seconda tappa: il Lago Acido. Nel frattempo diede il nome Purpy alla sua civetta. Ad appena cento metri dal lago si nascose dietro un cespuglio e tirò un sasso nell’acqua. Il sasso si sciolse e subito uscirono i tre troll protettori del lago armati di clava. Silver pensò che se fosse uscito allo scoperto non avrebbe potuto uccidere i troll e chiese aiuto a Purpy, allora la dolce civetta si strappò sette piume e come per magia le piume si unirono formando una spada con i sette colori dell’arcobaleno. Silver uscì allo scoperto e si lanciò alla carica verso i troll: con un solo colpo di spada spezzò le clave, poi improvvisamente la spada cominciò a caricarsi di energia. La puntò verso i troll e uscì un raggio colorato che li polverizzò e prosciugò l’acqua del lago! Silver attraversò il fondo secco del lago, scorse in lontananza il castello e subito la
civetta cominciò a fare strani versi. Silver guardò in cielo e vide Nube Nera, la fenice di Megix. Purpy improvvisamente divenne più grande e illuminata da una forte luce dorata. Nube Nera scagliò una raffica di vento verso Silver che cadde a terra, allora Purpy si infuriò e lanciò tanti piccoli raggi di luce che colpirono Nube Nera e la fece esplodere. L’uccello cadde a terra sotto forma di cenere nera ma la povera Purpy, stremata dalla fatica, ritornò grande come prima e si accasciò a terra senza energie.
Silver soccorse il piccolo Purpy e lo portò in braccio con sé fino ad arrivare al castello di Megix. All’entrata del castello si trovava un colossale orco di roccia. Silver capì che per entrare bisognava combattere e, usando la spada che gli aveva procurato il tenero Purpy, in pochi secondi aveva eliminato l’essere mostruoso riducendolo in becchime per uccelli. Ne diede un po’ a Purpy che mangiandolo ritornò in forze, anzi, meglio di prima perché acquisì la forza del gigante di roccia. Subito dopo essere entrati videro Megix e iniziò una vera e propria lotta. Megix colpì per prima, subito dopo Purpy e Silver attaccarono scoprendo che la caviglia era il suo punto debole. Silver ordinò a Purpy di beccare la caviglia con uno dei suoi raggi e così fece. La perfida strega cadde a terra e Silver disse:
“Se tu, Megix, vuoi vivere devi far ritornare grandi gli abitanti di Cincillandia altrimenti morirai” Megix rispose: “Lo farò a una condizione: voi non mi ucciderete”. Silver e Purpy si guardarono negli occhi e Silver rispose: “Accetto, basta che tu non faccia mai più questi brutti scherzi a tutti noi”. In realtà Megix aveva incrociato le dita mentre faceva quella promessa Silver però era più furbo: appena uscito, versò di nascosto davanti alla porta del castello qualche goccia della boccetta con su scritto “intrappolatore”. E così il villaggio di Cincillandia tornò alla statura normale. Volete sapere cosa accadde dopo? Megix rimase per sempre chiusa nel suo castello e non fece più danni. Purpy diventò l’animale domestico di Silver e per finire... SILVER fu l’eroe di Cincillandia e venne proclamato sindaco.
Classe I F A.S. 2013-2014
le pecore del pastore Fiaba metafora ispirata a “L’orologio del Barbiere” (Fiabe Italiane raccolte e trascritte da Italo Calvino) di Sara, Greta, Francesco Hanno collaborato: Margherita, Tommaso, Alessandro, Lorenzo
Le pecore del pastore
C
’era una volta, in un tempo lontano, un pastore che aveva due pecore, una bianca e una nera. Cosa facevano queste pecore? Vivevano nel cielo. Si dice che vivessero da centinaia e centinaia di anni, ma che non invecchiassero mai.
Queste pecore non c’erano sempre, a volte sparivano, a volte cambiavano forma e colore. Quando al tramonto il sole si nascondeva dietro le colline, loro arrossivano, mentre quando il sole se ne stava lÏ, fermo in mezzo al cielo ad affermare la sua sovranità , loro tornavano del loro colore: una bianco panna e una nero pece.
Ogni giorno la gente faceva loro visita per chiedere qualcosa, perché queste pecore sapevano tutto, soprattutto sul cielo. Un giorno le pecore videro arrivare un ragazzo dal bell’aspetto. Lo scintillio che aveva negli occhi faceva capire che era innamorato, così una delle due pecore gli chiese: “Be, Be, Be Bim, Bum, Be cosa vuoi sapere da me?” “Ho il cuore colmo d’amore, potresti trasformarlo in stupore? Con la mia bella innamorata vorrei fare una passeggiata. sai per caso se sarà una bella giornata, con il cielo limpido e puro? Vorrei saperlo per andar sicuro” rispose il ragazzo.
“Oggi tu sei fortunato, perché il nero non verrà tosato, ma se oggi tocca a me, candidi fiocchi cadranno tra lei e te Non abbatterti per cortesia Potrebbe essere… gelata poesia” disse la pecora. “Grazie mille della novella, vado a prendere la mia donzella!” L’innamorato scappò via felice trotterellando. Un giorno arrivò un vecchietto, per fare qualche domanda alla pecora nera: “Be, Be, Be Bim, Bum, Be cosa vuoi sapere da me?” disse come al solito la pecora. “Vorrei sapere se starò bene, o se mi aspettano dolori e pene” “Mi dispiace caro vecchietto, ma con te dovrò essere schietto: nonostante le tue lagne sarai pieno di magagne, mal di schiena, gambe e collo in una tinozza andrai in ammollo. Per curare i tuoi dolori andrai un po’ dentro e un po’ fuori, ma se poi vedrai la neve il dolore si farà lieve. Quando il cielo è nuvoloso tu diventi un po’ nervoso, quando invece il sole brilla la tua vita torna tranquilla!”. Tre giorni dopo arrivò un bimbo con in mano una palla. Appena la pecora lo vide gli chiese: “Be, Be, Be Bim, Bum, Be cosa vuoi sapere da me?”
Il bambino rispose: “Vorrei andare a giocare a pallone, mi inzupperò, mio caro montone?” “Oggi nessuno sarà tosato, il cielo limpido, il sole illuminato ti aiuteranno a segnare un rigore e a vincere il titolo di campione” rispose il nero batuffolo di lana.
“Ti ringrazio dell’incoraggiamento, io nel calcio sono un portento, tu invece sei figlio del pastore che ti ha fatto un dono di grande valore, vegli ogni secondo, nel tuo cielo, sul tuo mondo, quando puoi tu torni giù puoi salutarci o buttarci giù,
ma senza di te e la tua amica bianca, la città sarebbe spenta, la gente stanca, i fiori la testa chinerebbero e la loro tristezza mostrerebbero, ma voi due insieme siete un portento, continuate ad esserci e sarò contento� disse il bimbo. Poi corse via veloce. Tutti avrebbero voluto due pecore come quelle a casa propria, ma l’unico che era stato in grado di crearle e che se avesse voluto le avrebbe potute distruggere, era il pastore che le guardava tutto orgoglioso e come il sole brillava di luce propria, ma allo stesso tempo faceva risaltare ogni singola stella del suo amato cielo.
Classe I F A.S. 2013-2014
storia di giornolandia di Giorgia, Francesco, Camilla, Chiara Hanno collaborato: Lorenzo, Giovanni, Laura
Storia di Giornolandia In un tempo lontano, in mezzo a un’isola, si trovava un villaggio che prendeva il nome di Giornolandia perché lì il sole non tramontava mai a causa di una maledizione lanciata da un perfido stregone senza cuore di nome Itarcol. I cittadini all’inizio non erano preoccupati, anzi, erano contenti perché potevano passare il tempo giocando, spensierati, ogni volta che ne avevano voglia, visto che c’erano solo ore di luce e non arrivava mai la notte.
Gli abitanti del villaggio avevano dei piccoli poteri magici, per esempio potevano animare degli oggetti creati da loro con il fango che la maggior parte delle volte li aiutavano nei lavori di casa. A un certo punto però, i cittadini iniziarono a lamentarsi perché non volevano giocare sempre, ma anche riposare e fare dei dolci sogni, ma dato che la notte non arrivava mai, non riuscivano mai a dormire. Cominciavano a sentirsi esausti a causa di tutto quel giocare. Il capo del villaggio fece un’assemblea e disse:
“Chi vuole sacrificare la propria vita per sconfiggere Itarcol e spezzare la maledizione? Chi riuscirà sarà il nuovo capo del villaggio”. Molti guerrieri ci provarono, ma inutilmente. I cittadini di Giornolandia ormai stavano perdendo la speranza di farsi una sana dormita ristoratrice e avevano sotto gli occhi dei cerchi neri sempre più profondi per la grande stanchezza. Un giorno si fecero avanti due ragazzini: uno si chiamava Coral e l’altro Tiller. Il giudice, ormai anche lui stanco e senza speranza, diede loro una mappa dell’isola, armi e provviste. I due ragazzi si incamminarono verso un bosco; si fermarono dopo un po’ per fare uno spuntino ma videro qualcosa muoversi tra i rami.
Tirarono fuori le armi e si misero in posizione, ma una voce sottile si sentì nell’aria: “Vi prego non fatemi del male! Sono solo un povero albero, aiutatemi”. Coral senza intimidirsi domandò: “Chi sei? Cosa vuoi da noi?” La sottile voce echeggiò per la seconda volta e disse: “Non spaventatevi, non vi voglio fare niente, ho bisogno però che voi mi curiate perché uno stregone perfido mi ha fatto del male senza alcun motivo” A quel punto si fece avanti un alberello che poteva camminare perché era stato strappato dal terreno e si muoveva sulle radici come fossero gambe. I ragazzi lo soccorsero perché era veramente mal ridotto. Dopo che lo ebbero curato e ripiantato come si deve nel terreno, il povero alberello diede loro un suo ramo, talmente appuntito e dritto che sembrava una piccola freccia e disse: “Dovrete tirarla addosso a quel perfido stregone, solo così potrete sconfiggerlo perché
è immune a ogni altra arma! Mi raccomando state molto attenti perché avete solo questa, quindi solo un tiro a disposizione! Dovete tirarla nel modo giusto!” Coral rispose fiduciosa: “Non preoccuparti, non sbaglieremo”. I due ragazzi si rimisero in marcia e dopo un paio di chilometri trovarono un lago. Erano molto stanchi e assetati, allora Tiller si piegò per prendere un po’ d’acqua ma prima di immergere le mani si accorse che una fila di denti aguzzi gliele volevano mordere. Rapidamente tolse le mani dall’acqua e impaurito urlò a Coral che stava per immergersi nel lago: “Fermati! Ci sono dei coccodrilli affamati! Non passeremo mai dall’altra parte! Come faremo a raggiungere lo stregone?” Coral vide poco lontano un alberello simile a quello che avevano curato, ma pieno di rami secchi e propose: “Arrampichiamoci sull’albero e dondoliamoci sui suoi rami”. L’albero si rifiutò di lasciarli arrampicare ma loro gli proposero: “Con i nostri poteri magici faremo un omino di fango che sa fare il giardiniere. Lui ti taglierà via i rami secchi e tu starai molto meglio. Però devi concederci di dondolarci sui tuoi rami per darci lo slancio e oltrepassare il lago”. L’alberello accettò grato il loro aiuto, così superarono il lago. Una volta giunti sull’altra sponda trovarono un biglietto con su scritto Se a questa domanda risponderete la seconda prova supererete Cos’è quella cosa che cade dal cielo ma non bagna? I due amici ci pensarono un po’ poi dissero: “La grandine!!!” All’improvviso una grande porta si materializzò come per magia davanti ai loro occhi. La oltrepassarono e si ritrovarono di fronte a una montagna sconosciuta. Su un fianco di questa montagna cresceva un bosco magico di conifere. Coral , incuriosita , prese subito una foglia e le apparve un altro biglietto con su scritto:
Se la terza prova volete superare sempre dritti dovrete andare, a un certo punto troverete un pozzo… e lì il messaggio si interruppe. Coral sbalordita disse : “Un pozzo. E poi?” Tiller disse : “Andiamo , poi vedremo…” I due, molto stanchi, si misero a camminare. Passarono tre giorni e tre notti quando trovarono un pozzo dove c’era scritto che
dovevano buttarsi al suo interno, così avrebbero superato l’ultima prova. Coral disse con aria disperata: “Buttiamoci, è l’unica cosa che possiamo fare!” I due tenendosi per mano, pieni di timore e ansiosi, si buttarono. Appena caddero a terra trovarono la strega Itarcol che urlò di rabbia.
Tiller le disse: “Pensavi che saremmo rimasti nel bosco, ma ti sbagliavi. Ora cosa vorresti fare?” Itarcol arrabbiata iniziò a rincorrerli tirando fuori dal suo terribile giaccone una spada appuntita. La puntò contro Tiller ma lui si ricordò della freccia che il povero alberello gli aveva dato e la tirò verso Itarcol che gli stava correndo incontro per ucciderlo. Purtroppo la mancò e Coral iniziò a piangere per la delusione: senza la freccia dell’albero magico non avrebbero mai portato la notte e il riposo nel villaggio! La freccia scagliata da Tiller però si era piantata in una fenditura della roccia e lì aveva cominciato a germogliare grazie alle lacrime di Coral che l’annaffiavano. Stavano creando un altro alberello! Man mano che l’alberello cresceva, Itarcol pian piano sfioriva fino a morire. “Allora è questo che l’albero intendeva!” disse Tiller. “Già” rispose Coral. “Il modo giusto di lanciare la freccia non era scagliarla verso l’avversario per ucciderlo, ma piantarla per far nascere una nuova vita!” Intanto Itarcol rimpicciolì fino a diventare un minuscolo semino. Tiller e Coral si guardarono bene dal piantarlo nel terreno, perché immaginavano che da lì sarebbe spuntata una nuova creatura malvagia. La loro vittoria sullo stregone però, portò l’inizio della notte e gli abitanti di Giornolandia ebbero finalmente il loro sonno ristoratore.
Classe I F A.S. 2013-2014
temperato e il castello di matite di Margherita, Giulia, Francesca, Giovanni Hanno collaborato: Giulia, Dominique, Matteo
Temperato e il castello di matite
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anto tanto tempo fa, in un villaggio molto lontano, i bambini si erano stancati di scrivere i compiti sotto dettatura della maestra, così ogni volta che tornavano a casa si lamentavano con i genitori: “BASTA! Siamo stanchi di scrivere! Sprechiamo un sacco di matite! Ci fanno male le mani BASTA!“ Un mago pasticcione, che passava davanti alla scuola, stanco di sentire queste lamentele, decise di trovare una soluzione al problema. Ci pensò per molti giorni concludendo che l’unica soluzione era di inventare delle matite che non finissero mai e che scrivessero da sole. Bastava premere la ricarica della mina sul retro e loro cominciavano a scrivere tutto quello che udivano. Si mise subito a lavoro e dicendo una filastrocca: SABULALA GIMEBABU’ DELLE MATITE FAMMI TU BIBODITI’ DIBURIGOLE MA CHE SCRIVANO DA SOLE! Le matite comparvero una a una e il mago pasticcione iniziò a venderle nella sua cartoleria magica, dove teneva tutte le sue creazioni.
Le matite ebbero un successo enorme, sia per i bambini che così potevano riposarsi, sia per gli adulti che, mentre le matite scrivevano, avevano molto più tempo per fare ciò che dovevano. I primi giorni tutti gli abitanti “veneravano” le matite e il mago pasticcione, ma passato qualche giorno si dimenticarono di tutta la fatica che facevano quelle povere matite al posto loro e cominciarono a considerarle “oggetti normali”, o addirittura cose create per perdere tempo e occupare posto in casa. Così anche le matite si stancarono di scrivere senza nemmeno essere ringraziate o quantomeno considerate. Una notte scura e tenebrosa d’inverno mentre tutti dormivano, si diedero appuntamento alla cartoleria magica del mago pasticcione, che di nome faceva Astix, per escogitare una perfida vendetta. Dopo ore di discussione decisero di “riprendere” vita crescendo sotto forma di torri di grandi palazzi. In più, le torri-matita scrivevano in cielo degli ordini e gli uomini, come attratti da una specie di forza irresistibile, non potevano fare altro che ubbidire eseguendo ciò che le torri-matita scrivevano. Il giorno seguente le matite iniziarono a crescere nel bel mezzo della città, proprio vicino alla scuola. I bambini sbalorditi cercavano un luogo dove rifugiarsi o correvano di qua e di là presi dal panico. La preside, la quale odiava quelle matite per il fatto di non poter più fare soffrire quei bambini, finita la scossa di terremoto provocata dalla crescita delle matite, andò a vedere cosa fosse successo e si accorse che le matite erano cresciute sotto forma di torri giganti: per poco non svenne! Cominciò a urlare e urlare, finché tutte le persone nei dintorni non si accorsero di quegli edifici-matite proprio sopra il loro naso. A quel punto si scatenò il panico, ma nessuno riusciva a togliere lo sguardo dalle torri-matita spuntate dal nulla. Le matite cominciarono a scrivere e con lo sguardo incollato al cielo le persone leggevano a voce alta: “Ora dovete pagare pegno per ciò che avete fatto. Noi matite ci siamo alleate per farvela pagare e abbiamo deciso di darvi comandi a cui voi obbedirete. Per prima cosa dovete scambiarvi i lavori: il meccanico deve diventare cuoco, il salumiere diventare dottore, la bambinaia diventare chirurgo plastico e così via!” Maria, un bambinaia con gli occhi sgranati, balbettò a bassa voce: “I-i-o-io d-d-d diventare u-u-u un chirurgo… io toccare s-s-s-s-s sangue. Bleah! No, io non lo farò mai!” Le matite scrissero: ”Ah sì? Tu non ci vuoi obbedire? Bene… Ti facciamo vedere noi!”. Allora una torre-matita gigante si scagliò sulla bambinaia, la prese per i capelli e la portò in giro per tutta la città, e quando la donna stava per scivolare e farsi male, la matita disse: “Ecco stupida gente, ecco cosa vi succederà se non farete quello che vi diremo…!”. Tutte le persone si inginocchiarono di fronte alle matite e iniziarono a pregarle. Le matite si scambiarono un’occhiata e, arrabbiate ma soddisfatte, urlarono: “Cosa state aspettando!?! Quindi via la divisa e su la salopette; via il grembiule e su il camice. Avanti!”
Per quanto alcune persone cercassero di ribellarsi alla forza delle matite, erano come attratti da una specie di forza e non riuscirono a fare altro che ubbidire a tutto ciò che le matite vendicative scrivevano nel cielo: non si sapeva che cosa fosse di preciso forse la paura di fare la stessa fine della bambinaia, oppure una magia che le matite avevano inventato, fatto sta che non riuscivano a non fare quello che le torri matita scrivevano in cielo. Il meccanico, che non aveva mai assaggiato altro che i prodotti delle macchinette automatiche del suo negozio (come sandwich, caffè già pronti e patatine fritte) non sapeva da dove cominciare! Mille pensieri gli affollavano la testa: “Devo comprare gli ingredienti, ma non trovo il libro di cucina! Uffa, non ci capisco più nulla!” Era nel ristorante, con centinaia di clienti che aspettavano solo di graziarsi le papille con pasti straordinari e aspettava disperatamente un consiglio da qualcuno, ma nessuno si faceva avanti, perché nessuno sapeva cucinare, così cominciò a improvvisare. Prese una scodella di acqua bollente, dentro la quale mise verdure, sale, zucchero, pasta (che per lui erano tutte uguali), cominciò a mescolare, ogni tanto assaggiava, ma risputava subito dentro tanto era disgustoso, però non sapeva che altro fare, metteva sale e assaggiava, metteva zucchero e assaggiava, ma nonostante i sui disperati tentativi la pietanza rimaneva uguale. Infine si fece coraggio e servì la sua “minestra” ai clienti. Tra questi c’era anche il mago pasticcione, il quale non sapeva niente delle matite perché era stato fuori città. Non vedeva l’ora di saziarsi visto quanto era stata lunga l’attesa. Appena gli fu servita la minestra la bevve tutta in un sorso, ma subito la sputò e si accorse che qualcosa non andava, perché aveva ordinato più volte la minestra e non ne aveva mai lasciata una goccia. Uscì dal ristorante e pieno di pensieri si avviò verso casa. “Qui qualcosa non quadra…” disse tra sé e sé. “Non è possibile! O io sono troppo stanco e non riesco più a sopportare nulla, o il cuoco ha avuto un contrattempo e hanno dovuto chiamare un sostituto certamente inesperto, chissà!” Passando per il parco arrivò all’ospedale, dove c’era il salumiere costretto a lavorare come dottore. Come il meccanico, il salumiere non sapeva come comportarsi! Era davanti a un ragazzo con il polso rotto e l’osso che usciva, ma non sapeva che fare! L’unico sangue che aveva mai toccato era quello dei maiali, le uniche ossa che aveva mai visto erano le lische dei pesci quando le toglieva dal suo pranzo. Provò molto disgusto e per poco non svenne, ma il suo collaboratore, il vecchio cocchiere lo tenne in piedi e gli consigliò cosa fare. Con gli occhi chiusi e le braccia che tremavano, prese in mano il polso del ragazzo e, tra le urla di quello, gli fece rientrare l’osso con uno strattone. Era finita ed era andato tutto bene, per lo meno quasi bene, eccetto per il fatto che il salumiere era svenuto. Il mago era quasi arrivato a casa quando passò davanti al reparto di chirurgia dove adesso c’era la bambinaia, che non aveva il coraggio di toccare il naso di un paziente che doveva essere operato: “Io, che non ho mai torto un capello a un bambino, ora devo tagliuzzare il naso a
una persona!? Ma che gli è saltato in testa a quelle matite!?” si chiedeva mentre il paziente sceglieva il suo futuro naso. La bambinaia non poté fare altro che obbedire al volere delle matite. Si mise a piangere e a urlare disperata chiedendo che il suo vero lavoro le venisse ridato, ma le torri-matite non la ascoltarono e lei fu costretta a cambiare quel naso schifoso al cliente. Il giorno seguente le matite scrissero che ci fosse lo scambio di tutti i colori e anche qui accadde una confusione totale. La gente passava con il verde che in realtà era rosso e questo fu causa di molti incidenti, il sole era diventato blu, e invece di riscaldare la Terra la raffreddava, quindi le persone per non essere congelate si dovevano coprire con gli abiti fatti dall’operaio che non aveva mai imparato a cucire. Il povero apprendista fruttivendolo non vendeva più nulla perché alle persone non piaceva di certo mangiare cose come i pomodori verdi che sarebbero stati rossi o l’ananas viola. La gente non capiva più niente: il marito della preside passò con il verde credendo che si potesse passare ed ebbe un incidente. Lo portarono in ospedale dove il medico non sapeva come operarlo e la preside stette a casa da scuola per il dolore. Che scompiglio che accadde! Tutti i bambini della scuola festeggiavano l’inaspettata vacanza, ma mentre urlavano e ridevano il loro sorriso cadde involontariamente in pianto perché videro che i loro grembiuli, le mura dell’aula e i loro banchi di un bellissimo color bianco latte diventavano di un nero cupo e tenebroso. In più le Matite avevano fatto scambiare anche il colore della pelle e tutti gli abitanti di quel paesino, che avevano un bellissimo colorito giallo sbiadito, diventarono verde scuro scuro. Il sindaco del paesino ricevette un reclamo da Tokyo: “La pelle di tutte le nostre popolazioni da gialle sbiadite sono diventate arancio fosforescente. Ma come è possibile!? Non mi voglio lamentare, sì, ovvio! Questo arancio ci fa più attraenti e abbronzati, ma noi eravamo abituati al nostro bellissimo color giallo e adesso non ci riconosciamo più!! Ma insomma che cosa stanno facendo quelle matite!? Perché il Mago non le ferma?!”. Anche tutto il resto del mondo cominciò a subire le cattiverie di quegli orrendi oggetti: gli arabi divennero chiari con le lentiggini viola, gli italiani neri neri neri come la pece, gli africani verde pisello, gli australiani rosa a macchie ciclamino e i brasiliani azzurri. Tutti si lamentavano perché volevano il loro colore naturale che li rendeva originali e belli anche nella loro diversità. Tutto il mondo si stava lamentando contro il povero mago pasticcione che fino a qualche tempo prima era considerato un eroe. Il sindaco, che ormai le aveva provate tutte, sentì parlare di un ragazzo che lavorava nella stessa cartoleria del mago dalla quale era iniziato l’incubo. Lo fece chiamare. Il ragazzo era buono, coraggioso, ma anche molto riservato e non invadente: si faceva gli affari suoi e non era considerato da nessuno, perché la gente lo vedeva come una persona in più tra la folla. Era gentile con i suoi clienti e sempre preciso nel suo lavoro. Sulla testa portava un cappello con punta di matita grigia. Aveva due orecchie appuntite da elfo e portava sempre una matita dietro all’orecchio
perché gli piaceva scrivere manualmente. Il suo naso era a patata e aveva una boccuccia stranamente quadrata da cui trapelavano denti gialli e sporchi, ma a lui non importava niente del suo aspetto fisico perché il suo punto forte ce l’aveva nella testa. Aveva il collo largo e due spalle minute, due bellissime braccia un po’ mollicce. Non era né grasso né magro… diciamo giusto. Aveva gambe in carne e un 44 di piede. Possedeva solo un paio di scarpe: un bel paio di zoccoletti color argento-grigio di legno. Indossava sempre un vestito da elfo di colore verde con dei bottoni dorati a quattro fori, più una cinta scura e dei calzini bianchi a fiorellini neri. Il suo nome era Temperato. Temperato si mise subito in viaggio. Prese con sé un po’ di pane, del latte e della carne in scatola, li avvolse in una coperta legata a un bastone e si incamminò verso le torri-matite per risolvere il mistero magico. Camminò e camminò finché non si trovò davanti a una montagna gigante, che si chiamava Temperatura. La montagna, dopo ore e ore che Temperato era lì davanti a pregare, si aprì come per magia... Lui ci entrò con le gambe che gli tremavano. Là dentro era buio e la montagna si chiuse alle sue spalle. Temperato rimase fermo, poi si ricordò di aver portato via anche una torcia, la tirò fuori dal suo zaino, la accese in fretta e furia, e perlustrò il posto in cui era finito. Si infilò in uno strano tunnel strettissimo seguendo delle voci che si udivano appena e dopo un po’ si ritrovò in una sala dove si stava tenendo una riunione molto importante.
Vide un astuccio immenso da cui sbucavano una gomma gigante, un colossale temperino, una colla mastodontica. Temperato, con gentilezza e anche con un po’ di irruenza, interruppe la “astuccio-conversazione” dicendo: “Scusatemi, io sono Temperato e sono venuto qui per chiedere il vostro aiuto. Ora se non vi dispiace vi vorrei raccontare cos’è successo al mio paese. Una sera è spuntato dal nulla un gigantesco castello con delle gigantesche torri a forma di gigantesche matite che hanno scritto sulle nuvole delle frasi come: Scambiatevi tutti il lavoro! o Che tutti i colori si scambino! Da quel momento i poveri cittadini del mondo sono costretti a fare tutto ciò che le matite scrivono e c’è una gran confusione con i colori! Quindi vi prego Mrs. gomma, Mr. Temperino e Mrs. o Mr. Colla aiutateci!!!” Gli oggetti giganti risposero in coro: “Ovvio che vi aiuteremo! Ma solo a una condizione…” “Quale condizione?!?” chiese Temperato stupito. “Alla condizione che dopo aver fatto quello che tu ci hai chiesto potremmo rimanere a vivere con te nel tuo paese. Qui ci annoiamo a morte! Non sappiamo più come passare il tempo. Almeno nel tuo villaggio potremmo conoscere nuova gente!” La gomma aggiunse con voce da bambina: “Eh sì, perché crescere qui con tutto questo buio non è semplice e io sono ancora piccolina.” Temperato fu d’accordo, in fondo che poteva succedere? Si soffermarono un attimo per farsi venire in mente un modo per sconfiggere le matite e alla fine conclusero che la soluzione migliore era quella di usare il temperino gigante per diminuire l’altezza di quei brutti edifici malvagi. Ovviamente volevano che fosse lui a temperare le matite, ma al povero Temperato non piaceva tanto questa idea perché soffriva di vertigini e si sentiva male quando pensava di andare lì sopra. Il temperino, il quale non vedeva l’ora di distruggere le matite, esclamò a gran voce: “Forza! Cosa stiamo aspettando! Temperato non sei contento?!” “Sì andiamo!” rispose il ragazzo con una voce un po’ tremolante dalla paura. Il Temperino prese alcune cose, salutò l’astuccio tutto eccitato e subito partirono. Temperato faceva strada a Temperino il quale attirava l’attenzione di tutti i paesani che pensavano: “Ecco ci manca solo un temperino gigante per rovinare completamente il nostro piccolo borgo!” Temperato non ci badava e continuava per la sua strada. Appena si trovarono davanti alle torri-matita, il Temperino era tanto emozionato, mentre Temperato stava morendo di paura. Come avrebbero fatto a salire!? A Temperato tornò in mente il mago pasticcione, il quale poteva farli volare di sicuro! Lo chiamò urlando a squarciagola ed eccolo arrivare. Temperato e Temperino gli spiegarono il problema e lui tirò fuori delle scarpe a forma di gomma che volavano. I due eroi se le misero addosso e volarono fino alla cima delle torri-matite che non si accorgevano di niente tanto erano occupate a
veder soffrire le persone. Arrivati in cima videro tutto il villaggio nel caos più totale. Non ce la facevano più a vedere le persone in quello stato, così si misero subito all’opera, ma non fecero in tempo a cominciare che sentirono la piccola vocina della Gomma che diceva: “Anch’io voglio salire ad aiutarvi e diventare così un’eroina!” proprio come aveva letto nella sua collana di fumetti preferiti. Temperino e Temperato si scambiarono un’occhiata perplessa. “Posso?” insisteva la Gomma. A Temperino venne un’idea fantastica: farla salire con loro per cancellare le scritte che c’erano in cielo. La giovane Gomma salì e fece la sua parte: cancellò tutto quello che quelle brutte Matite avevano scritto in cielo e improvvisamente le persone si sentirono libere di fare quello che volevano. Si tolsero subito gli abiti dei lavori che non sapevano fare mentre i colori tornarono normali. Tutti erano felici, tranne le Matite che cercavano di scrivere ancora, ma non arrivavano più al cielo perché Temperato era riuscito a temperarle con l’aiuto di Mr. Temperino, il quale esplodeva dalla gioia. Ben presto le torri-matita furono distrutte e tutti tornarono alla normalità. Soprattutto i bambini, che ora volevano scrivere con le loro matite normali. La famiglia della preside stava bene perché il marito era stato finalmente curato da un vero dottore. Il mago pasticcione si pentì di avere inventato le matite rinunciando per sempre alla magia. Temperato visse per sempre felice nella sua casa grande e luminosa con l’astuccio e tutto il suo contenuto come aveva promesso.
Classe I G A.S. 2013-2014
LA SAGGIA ROSA Fiaba metafora ispirata a “L’orologio del Barbiere” (Fiabe Italiane raccolte e trascritte da Italo Calvino) di Mariagrazia
La saggia rosa
C
’era una volta un giardiniere che aveva coltivato una rosa spinosa molto bella, molto saggia e che non appassiva mai! Molti abitanti del paese andavano ogni giorno a chiederle delle informazioni. Un bel giorno, un contadino andò a chiedere alla rosa cosa poteva coltivare e la rosa rispose: Domani molto pioverà e la terra fertile sarà, se vi impegnerete un buon raccolto avrete! Il contadino ringraziò la rosa e se ne andò a casa tutto contento. Più tardi arrivò un cacciatore e le chiese: “Cosa posso cacciare quest’oggi?” E la rosa disse: Sotto le mie foglie verdi un fiume troverai e là una buona caccia farai. Al tramonto arrivò un pover’uomo e le chiese: “Ho fame, dove posso trovare qualcosa da mangiare?” La rosa ribatté: Molto cibo avrai solo se alla porta del re busserai! Il pover’uomo disse: “Sei sicura?” E la rosa ribadì: Di me ti puoi fidare, vai a controllare! Ad un tratto arrivò il re e la rosa gli chiese: “Cosa fai da queste parti e a quest’ora carissimo re?” E il re disse: “Vorrei aprire una mensa per i poveri, secondo te è una buona idea
cara rosa?” La rosa esclamò: Tu non sei molto intelligente quindi questo è poco niente, più generoso devo diventare altrimenti nulla potrai fare. Molta gente andò dalla saggia vecchia rosa che diede sempre ottimi consigli e così il villaggio per merito suo visse per sempre
felice e contento.
Classe I G A.S. 2013-2014
minestrone di fiabe di Vittoria
Minestrone di fiabe
C
’era una volta Peter, un re che comandava divinamente. Quando diceva qualcosa, i suoi servi obbedivano subito. Era un buon uomo e dava sempre monete d’oro ai poveri. Una sera andò a letto e la mattina dopo si risvegliò in una biblioteca. Si guardò intorno e vide tanti libri. Ad un certo punto si sentirono delle urla. Re Peter andò dietro gli scaffali e trovò un bambino grande come un pollice, vestito con gli abiti delle bambole. Subito dopo, da un libro uscì una ragazza con una scarpa di cristallo, bionda con i capelli raccolti e disse: “Dov’è il mio uomo?”. Da un altro libro uscì un uomo vestito con pelli di leopardo e gridò battendosi i pugni sul petto: “oooOOOooooohhhh OooOOoohhhOOohhhh” “Tarzan!” esclamò la ragazza (che era Cenerentola), poi scese dallo scaffale e lo riempì di baci. Dopo un po’ arrivò Jane e ingelosita iniziò a litigare con Cenerentola per Tarzan: si strappavano i capelli e urlavano: “Questo è il mio uomo!” “No! È mio!!!” Re Peter capì che un mago cattivo aveva fatto uscire dai libri tutti i personaggi, così i bambini non avrebbero più potuto leggere le loro storie! Per farli tornare al loro posto, Re Peter chiese aiuto al mago Merlino che proprio in quel momento era stato sputato fuori da un grosso volume ed era rimasto sospeso per la barba che si era incastrata tra due scaffali. “Liberami!” disse, “e farò tutto ciò che posso per aiutarti! Anche se Re Artù si arrabbierà!” “Allora basta che tu mi dica cosa devo fare!” disse Peter. “Per far tornare al loro posto i protagonisti dei libri, dovrai ritrovare la scarpetta di Cenerentola e la liana di Tarzan”.
Peter tagliò la barba di Merlino facendolo cadere per terra, poi andò in Polo Nord dove scolpì la scarpetta di cristallo in un enorme blocco di ghiaccio. Poi la portò a Cenerentola che la indossò brontolando perché era gelata e le faceva venire il raffreddore. Poi Peter andò nella giungla e prese una liana per Tarzan che con la sua liana tornò nel suo libro tutto contento finché non incontrò Jane che si mise a inseguirlo per tutta la foresta gridandogli: “Traditore! Te la do io Cenerentola!!!”. Peter dopo questo atto importante divenne uno scrittore di avventure. E VISSERO TUTTI FELICI E CONTENTI !
Classe I G A.S. 2013-2014
il mondo rimpicciolito di Lothar, Christian, Sebastiano, Emma, Fabio, Elison
Il mondo rimpicciolito
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na mattina gli abitanti di un bel villaggio ai piedi di una collina, uscendo dalle loro case si accorsero che il loro mondo era rimpicciolito: vedevano le chiome degli alberi anziché i loro tronchi e i tetti delle case invece delle pareti. Tutti gli abitanti erano molto sorpresi, quasi storditi. Dopo una breve discussione decisero di cercare qualcuno che potesse aiutarli a far tornare il mondo come era prima. Il prescelto fu Peter, il più forte e valoroso del villaggio. Peter si preparò e si mise in viaggio per cercare aiuto. Dopo molte ore di cammino Peter si accorse che gli alberi della foresta che stava attraversando, a mano a mano che avanzava, erano sempre più grandi, poi vide in lontananza un castello dalle dimensioni normali. Si avvicinò, trovò un mago davanti al portone del castello e gli chiese se aveva la soluzione al problema del mondo rimpicciolito. Il mago gli rispose che lo avrebbe aiutato a patto che superasse due prove. Quando il mago ebbe finito di parlare, un incantesimo trasportò Peter sulla vetta di una montagna. Guardando giù, il ragazzo vide un terribile cinghiale con gli occhi di fuoco e il pelo nero come la pece. Dove il cinghiale demoniaco poggiava le zampe, appariva un fuoco brillante. Peter trovò un bastone per terra e glielo lanciò, ma questo diventò cenere a mezz’aria. Quando il cinghiale cominciò a correre verso Peter, lui con astuzia si tuffò nel lago che si trovava nell’altro versante della montagna. Così fece anche il cinghiale che si accorse tardi del tranello e quando entrò nel lago si spense e non riemerse più. Infine Peter tornò dal mago. Il mago si complimentò con lui e lo spedì sul luogo della seconda prova. Peter giunse davanti a una grotta di ghiaccio al cui interno c’era un piccolo drago fatto dello stesso materiale della grotta. Peter pensò che sarebbe stato facile batterlo, quindi andò verso di lui e lo colpì. Il drago fu sbattuto contro una parete e assorbì il ghiaccio che aveva toccato, crescendo. Peter capì che più colpi prendeva, più il drago diventava grande e forte. Allora mise a punto un piano per sconfiggerlo. Uscì dalla caverna costringendo il drago, ancora abbastanza piccolo, a seguirlo. Poi lo immobilizzò e lo alzò più in alto che poteva. Il drago arrivò così vicino al Sole che si sciolse.
Il mago si complimentò di nuovo con Peter e, con un potente incantesimo, fece tornare il mondo alle dimensioni normali. Peter tornato alla terra natia fu acclamato da tutti gli abitanti del suo villaggio, ricevette molti doni e divenne un grande eroe per aver salvato il suo villaggio.
Classe I M A.S. 2013-2014
bere... ma non troppo! di Lorenzo, Laura, Sara, Alessandro, Amira
Bere … ma non troppo!
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’era una volta un elfo, si chiamava Lollo. Tutte le sere lui e i suoi amici andavano alla locanda “Il cervo infuriato”. La sera di ferragosto andarono lì a festeggiare con i piatti di cui erano golosi: amavano cibarsi di carne di cervo e bere birra. Dopo ore di bevute, uscirono barcollanti e si diressero verso il villaggio; la gente, vedendoli in quello stato, li evitò non degnandoli di uno sguardo. Lollo e i suoi compagni, camminando camminando, si trovarono in una piazza piena di bancarelle, dove osservarono ogni genere di cose. A un tratto un venditore di spezie fece annusarne loro un po’ della sua mercanzia. Una di queste aveva un profumo inebriante, molto penetrante. A differenza dei compagni, Lollo ne abusò e perdette la testa tanto da minacciare il mercante di distruggergli la bancarella. I suoi amici, ripresisi un po’, si resero conto della situazione e scapparono impauriti. Lollo, dopo la fuga dei suoi amici, era in uno stato confusionale e si addormentò profondamente. Il giorno dopo, al risveglio, l’elfo si accorse di essere un po’ strano e, non ricordandosi nulla, cominciò a fare domande in giro. Chiese a tutti i mercanti cosa mai fosse successo il giorno prima. Quando seppe che aveva fatto scappare tutti i suoi amici, la scoperta fu sconcertante. Si rattristò per quello che era accaduto. Decise perciò di ritornare dai suoi compagni e scusarsi. Essi, accettate le scuse, lo abbracciarono e tornarono amici come prima.
Classe I M A.S. 2013-2014
il cavaliere scommettone di Elena, Patrizia, Pietro, Riccardo, Massimiliano
Il cavaliere scommettone
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’era una volta un cavaliere che girava di villaggio in villaggio. Superava di una spanna il suo cavallo, sembrava una roccia da quanto era robusto e poi aveva la pelle liscia senza la barba. Aveva un grosso difetto: in ogni villaggio scommetteva su qualsiasi cosa, lo chiamavano Scommettone. Un giorno in un grande villaggio, lasciatosi prendere dall’eccitazione, scommise il suo cavallo, ma per sua grande sfortuna perse la scommessa diventando l’unico cavaliere senza cavallo. Camminava per il villaggio con passo lento e insicuro finché non incontrò un suo vecchio amico al quale racconto le sue disavventure e così lui gli rispose: “Ormai il tuo unico modo per recuperare il senno è avventurarti sui picchi delle montagne nevose perché dopo aver affrontato le difficoltà che incontrerai lì, imparerai che ci sono cose più importanti delle scommesse”. Arrivò sulle montagne innevate e si trovò di fronte un drago che sputava neve e ghiaccio ma per affrontarlo aveva solo un piccolo pugnale perché aveva scommesso la sua spada e l’aveva persa. In quel momento promise a se stesso che, se fosse sopravvissuto, non avrebbe più scommesso. A un certo punto il drago lo attaccò con furia, così Scommettone tirò contro di lui il pugnale e lo centrò, facendolo morire. Quando tornò al villaggio, era più saggio, più forte e soprattutto mantenne la promessa. Riuscì a non scommettere più e così riuscì a risparmiare abbastanza da comprarsi un altro cavallo. E visse
felice e contento.
Classe I M A.S. 2013-2014
questione di pelle di Lisa, Federica, Emmanuele, Samuele, Mattia C.
Questione di pelle
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’era una volta un ragazzo di nome Alivin. Una volta aveva trascorso una vacanza in una palude durante la quale aveva preso una malattia che gli aveva fatto diventare la pelle tutta verde. Il primo giorno di scuola, durante il tragitto per tornare a casa, Alivin incontrò un mercante. Chiacchierarono un po’ e infine il mercante gli diede una pozione che poteva essere usata solo in caso di necessità: bevendola sarebbe diventato più forte e più agile. Pochi minuti dopo questo incontro il ragazzo venne rapito e portato in una caverna da alcuni tizi che odiavano il colore verde: ogni volta che lo vedevano si rattristavano e si infuriavano perché ricordavano i loro genitori che erano stati mangiati da due orchi. Trascinato in quella grotta, il ragazzo svenne. Lo legarono a una sedia e gli rubarono la pozione. Alivin si svegliò e vide davanti a lui un topolino rosa, divenuto così perché era caduto nella pozione di colore rosa che trasformava ciascuna cosa in quel colore. Il topino gli chiese con una vocina stridula se avesse bisogno di aiuto e Alivin gli rispose di sì. “Anche se sono piccolo, rosa, insomma, molto diverso da te?” “Certo, non mi importa di che colore sei! Sei gentile con me quindi accetto volentieri il tuo aiuto!” Così il topo lo liberò dalle corde, prese la pozione ai rapitori e i due andarono via di nascosto. Strada facendo erano talmente presi a divertirsi che Alivin si dimenticò di prendere la pozione e a un certo punto si accorse che la sua carnagione era ridiventata di un colorito rosa. Era stato il topolino. Così il ragazzo ringraziò il topo e visse per sempre felice e contento con il suo nuovo amico.
Classe I M A.S. 2013-2014
strani profumi di Vittoria, Mattia R., Gianmarco, Giulia, Veronica, Giulio
Strani profumi
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’era una volta un piccolo villaggio medievale. Da qualche tempo, in questo villaggio tutti gli abitanti erano molto preoccupati perché alla sera sentivano degli strani rumori nella bottega degli odori. Una mattina si precipitarono tutti a vedere cosa fosse successo e videro un cartellone con disegnata la bottiglia di un nuovo profumo su cui era scritto “usami”. Il cartellone lo definiva un profumo fenomenale. Dopo pochi giorni, un venditore ne vendette a tutto il villaggio. Gli abitanti si precipitavano in quantità verso il suo negozio, ne acquistarono a tonnellate da quanto era invitante, senza chiedersi se, a parte l’odore gradevole, quel profumo avesse qualche altra caratteristica. Non sapevano quanto fosse pericoloso! Dopo qualche spruzzata gli abitanti che avevano comprato il profumo si addormentarono senza svegliarsi più per giorni e giorni. Arthur, un abitante del villaggio, vivace e allegro come il sole, con il suo draghetto Red, rosso come un pomodoro, era l’unico a non aver comprato il profumo. Decise di sbarazzarsi una volta per tutte dei profumi pericolosi, così andò dal rivenditore e gli disse: “Tu sei una persona sgradevole!” . Poi, con un colpo di coda del suo drago, fece cadere il grande pentolone del liquido sonnifero dei profumi sul venditore che si addormentò. Arthur aveva compiuto metà dell’opera, adesso mancava solo di svegliare gli abitanti. Si diede da fare cercando per ore e ore nella spaziosa bottega del venditore un antidoto. Alla fine, in un libro che sembrava avesse cent’anni, trovò la desiderata ricetta, la preparò e si mise a spargere l’antidoto di qua e di là per il villaggio. Così gli abitanti si risvegliarono contenti, tranne il venditore che rimase addormentato per molti anni.