Racconti intorno al fuoco I mo!" si sconfiggono insieme - Raccolta 2012-2013
IN TRO D U ZI ON E
Racconti Intorno Al Fuoco Bruciate. Arse. Per far scomparire quello che di più dolce c'è, come la vita, e dare potere al fuoco e distruzione, come la morte. Una ricetta semplice quanto la vita, in fondo. Gli antipodi sì, ma necessari e imprescindibili. Una storia da raccontare a turno tra risate, brividi e atroci colpi di scena. Con gli amici che si tengono abbracciati stretti e quelli nuovi, ai quali far posto e offrire un varco necessario per il nuovo viaggio di conoscenza in atto.
L'immagine è quella stereotipata del bosco. Horror americano cult a basso costo anni ottanta, se vogliamo minimizzare quelli che in realtà sono dei veri capolavori di fantasia dai tratti noir. Fuoco, amici riuniti in un cerchio, stuzzichini e marshmallow da infuocare. Queste buffe nuvolette nauseabonde deliziosamente stucchevoli, che nei ricordi appaiono come oggetti non bene identificati ma non per questo meno desiderosi di essere ingeriti.
Gli amici non sono solo quelli con cui condividi giornalmente l'esistenza ma anche, e soprattutto come nel mio caso, quelli che ti sei scelta con fatica alle coordinate geografiche più disparatedisperate. Racconti intorno al fuoco nasce per abbattere ogni distanza, perché non ne esistono, e per raggruppare fantasie, visioni ed esorcizzazioni di paure. Perché non si deve mai temere quando c'è un marshmallow bruciato, un amico sorridente e un brivido. 1
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VIS I ON I D I O M BR E T TA B L A SUCCI - KUROKORECIPE.WORD PRES S.COM
Nelle V%ioni Di Ombre&a
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MAS S I MI LI A M O F E R R A R I S DI CELLE - WISHA KA M A X.WORDP R ESS.COM
L’Ascensore Paolo scese mogio le scale, e premette il pulsante di chiamata.
Girò la chiave nella toppa e spinse il portone con tutte le sue forze. Paolo abitava
Lo odiava, quell'ascensore. Ne aveva pau-
in un vecchio palazzo in centro, e ogni
ra. Non lo avrebbe mai ammesso, spesso
volta che tornava da scuola era la stessa
non lo ammetteva nemmeno con se stes-
storia. Quel portone pesava tantissimo, e
so, si raccontava delle piccole bugie su
aprirlo era complicato, per un undicenne
quanto era divertente salire a piedi. Ma
non esattamente aitante. Rossella lo se-
in realtà era terrorizzato. Ogni volta che
guì nell'androne, salirono i quattro scali-
era costretto a salirci, e non lo faceva
ni che portavano all'ascensore, e Paolo si
MAI da solo, non vedeva l'ora di arrivare.
avviò su per le scale.
Ogni volta che passava un piano, si sentiva un clic, Paolo era abituato a contarli,
"Ehi Paolo, ma a che piano abiti?" chiese
contava all'indietro, da cinque a uno, fa-
Rossella.
ceva finta di fare il conto alla rovescia E-
Paolo si fermò sul quinto scalino e si vol-
ra una cabina tetra, tutta in legno scuris-
tò a guardarla. Lo sapeva che lo avrebbe
simo, senza alcuna apertura, con le pare-
chiesto.
ti che sembravano richiudersi addosso. O
"Ehm... al quinto"
almeno questa era la sensazione di Pao-
"Al quinto? E allora prendiamo l'ascenso-
tutto quel legno era un piccolo specchio,
re no?"
che però era situato in alto, tanto che per
"Ma no, dai, non ci vuole molto"
guardarsi Paolo doveva alzarsi in punta
lo. L'unico elemento di interruzione in
di piedi.
"Paolo io prendo l'ascensore, tu fa come vuoi" 10
Paolo e Rossella salirono sull'ascensore,
la, mangiava di gusto, e le era piaciuto as-
e Paolo premette il pulsante 5.
solutamente tutto. Si erano poi messi a studiare, i compiti comprendevano sto-
Rossella era una compagna di classe di
ria, geografia e un po' di matematica. Le
Paolo, con la quale si conoscevano da tan-
prime due erano particolarmente ostiche
tissimo tempo. Avevano fatto le elemen-
per Paolo, che si era appoggiato su Ros-
tari insieme e poi si erano ritrovati in pri-
sella per cercare di mandare a memoria
ma media nella stessa classe. Erano anni
le capitali degli stati europei, e le date
che Paolo era segretamente innamorato
principali della caduta dell'impero Roma-
di Rossella, ma non aveva mai avuto il co-
no, ma Paolo si era preso la sua rivincita,
raggio di dirle nulla. Ogni volta che lei gli
e un sacco di punti nella considerazione
rivolgeva la parola arrossiva. La settima-
di Rossella, spiegandole le potenze, che
na precedente aveva preso il coraggio a
prima di quel pomeriggio avevano costi-
due mani e l'aveva invitata a venire a ca-
tuito solo un grosso mistero. Rossella sor-
sa sua a pranzo, per poi studiare il pome-
rideva e Paolo era felice come una pa-
riggio. Lei aveva accettato senza esitazio-
squa; il sorriso di Rossella partiva dagli
ni, Paolo aveva contato i giorni e final-
occhi, e poi si allargava a tutto il viso.
mente erano lì. Per distrarsi e non rima-
Paolo si perdeva in quello sguardo, e in
nere focalizzato sui cigolii e sulle pareti
quel sorriso. Ad un certo punto Rossella
scure, Paolo guardava Rossella cercando
guardò l’ora e disse che era ora di anda-
di non farsi scoprire. Era bellissima, lun-
re; abitava molto vicino a casa di Paolo, e
ghi capelli neri leggermente mossi, occhi
disse che sarebbe andata a casa da sola,
grigio ferro, di forma allungata, e un viso
ma Paolo non si fece scappare l'occasio-
angelico.
ne di mostrarsi cavaliere e le propose di
Arrivarono finalmente al piano e usciro-
accompagnarla. Rossella accettò con
no dall’ascensore. Mentre chiudeva le
piacere.
porte, a Paolo sembrò di vedere una spe-
Uscirono sul pianerottolo e Rossella chia-
cie di sfarfallio, come un lampo nello
mò l'ascensore. Paolo trasalì ma non pro-
specchio.
testò. Anche se aveva una sensazione di
Il pranzo e il pomeriggio volarono via in
pericolo imminente, attese l’arrivo della
un lampo. Rossella non era di quelle
cabina senza far trasparire la paura che
bambine schifiltose a cui non piaceva nul-
iniziava ad attanagliarlo. 11
La cabina arrivò al piano, Paolo aprì la
so si stava liquefacendo, le mani si stava-
porta di ferro e poi le porte di legno della
no trasformando in artigli. Un artiglio
cabina. Si fece da parte per far entrare
ghermì Paolo. L’ultima cosa che Paolo
Rossella e la seguì, e di nuovo gli sembrò
sentì fu un artiglio che gli perforava il
di vedere quello sfarfallio.
petto per andare a strappargli il cuore.
Paolo chiuse le porte della cabina e premette il tasto “T”. La cabina non si mosse per un lungo secondo, durante il quale Paolo trattenne il fiato. Con un cigolio, alla fine la cabina iniziò la discesa. Dopo un tempo che sembrò a Paolo più breve del solito, arrivò il primo clic. Paolo si rilassò appena e iniziò il conto alla rovescia. Cinque, quattro, tre, due, uno. Paolo si aspettava l’arresto della cabina, ma la cabina continuò a scendere. Clic, clic, clic, clic. Paolo iniziò a contare, otto, nove, dieci, undici… arrivò a venti e realizzò che aveva continuato a fissare la pulsantiera. Si guardò intorno, lo sfarfallio che aveva appena percepito quando era entrato era diventato una sequenza di lampi di luce, che provenivano dallo specchio. Paolo si alzò sulla punta dei piedi per guardare, e attraverso lo specchio vide un panorama spettrale, sembrava di essere al centro di un vulcano, in mezzo ad un mare di lava incandescente che brillava di luce propria, mandando i lampi che uscivano dallo specchio. Toccò le pareti della cabina, erano incandescenti. Guardò dalla parte di Rossella. Il suo vi12
O MB RE TTA B L A SU C C I - K U ROK ORECIPE.WORDPRESS.COM
La Piccola Bambina Che Amava Il
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Rosa
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Harry Butcher E Gary
Bull
Lui è Paolo Perlini Lei è Ombretta Blasucci
Lui lo trovi su : panirlipe.wordpress.com Lei la trovi su: kurokorecipe.wordpress. com
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R%parmiami
Lei è Francesca Quaglia, autrice di I Paciocchi di Francy che trovi su: wwwpaciocchidifrancy.com
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ELI SA MARC H E G I A N I
Cool Damp Night.
Lei è Elllisa propriononsaprei. wordpress.com 24
Camminavo sulla spiaggia, una umida fresca notte d'estate. Il cielo era denso di nero e le infinite stelle, certezze della vita, chiss‡ dove si erano andate a nascondere. Le onde dell'oceano, da sempre mie ninne nanne, quella volta mi erano ostili. Non facevano che rafforzare il silenzio tutto attorno. Non erano pronte a cullarmi, non a suonare melodie pronte ad abbracciare ma mi frustavano assordanti. La sabbia non massaggiava il mio cammino ma, ghiacciata sotto i piedi nudi, pungeva come spilli diventando rossa del mio sangue. E le mie mani gi‡ viola cominciavano a farsi sentire pesanti e rigide. Ero uscito per la mia solita passeggiata serale, per portare a spasso Renzo, il mio cane. Ma lui era sparito correndo dietro a chiss‡ cosa, portando con sÈ tutte le costanti quotidiane e tutto il mondo anche. Non pi˘ luci, non pi˘ un inizio o una fine. Tutto era scomparso, attorno a me solo spiaggia, granelli di sabbia soffocanti. Il buio e il solo suono di un mare diventato invisibile. Avevo corso per un po' anche io, nel principio di questo inferno, cercando Renzo, cercando un viso, un qualcosa. Poi sperduto e impaurito avevo preferito arrendermi e sedermi, nella incauta ma unica decisione possibile, quella di aspettare. Il tempo passava e con lui la serenit‡ che da sempre avevo creduto di avere. Il freddo cominciava ad assopire i miei sensi, ero ormai convinto di non avere pi˘ speranza di sopravvivere a questo nulla quando da lontano lo vedo tornare. Il mio cane, lentamente. Avvicinarsi abbastanza da farmi capire di non essere solo. Coda bassa, pelo zuppo, fermarsi a qualche metro da me mentre la figura che era con lui, al contrario, sembrava continuare ad avanzare. Lenta abbastanza da non permettermi di distinguerla dal cielo. Provavo ad alzarmi ma, quasi assiderato, inerme riuscivo solo ad osservare. E pregare. La paura mi faceva tremare, il rumore dei miei denti sovrastava quello del mare. L'ombra sempre pi˘ vicina iniziava a diventare reale ed io, seguendo il suo progredire, a sorridere prima, a sbellicarmi dal ridere, poi. PerchÈ la mente umana Ë assurda, cosa mai ero andato a pensare? Qualche mostro forse? Qualche pazzo folle? No. Verso di me stava arrivando una sorridente ed innocua vecchietta, dal viso dolce, dagli occhi brillanti e buoni. Ero salvo, ero al sicuro. Profumava di buono, profumava di casa.
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Ho seguito il suo corpo premuroso e goffo chinarsi verso di me, le sue braccia coprirmi con una lunga calda giacca. Ho guardato le sue mani accarezzarmi il viso prima e stringere strette le mie, poi. E io stavo bene, finalmente. Lei mi guardava preoccupata e con una voce cosĂ? gentile e tenera, senza distogliere mai il suo sguardo dal mio, l'ho sentita sussurrare : "Ho voglia di ucciderti".
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GIU LI A C RI ST OF O R I - O M B R ET TA BLA SUCCI
Specchi
E fu quella notte che lei ballò, più forte di prima, più forte di tutto.
Quell'anno, alla danza della morte, Giulia era la scrive prima ballerina. pieceofstar24.wordpress.com Ombretta disegna kurokorecipe.wordpress.com 27
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GIAN N I P RO SP E R I - L E M M
Una Lunga No&e
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La radiosveglia segnava le 02:04. Quella notte proprio non riusciva a prender sonno. Decise di alzarsi un attimo. Bevve un po' d'acqua, passeggiò avanti e indietro nella sua piccola camera illuminata solo dal lampione della strada provinciale verso cui si affacciava l'appartamento, poi tornò nel letto, ma senza coricarsi. “Non ho colpe” pensò “è lei che non mi ha capito. Io volevo solo aiutare un'amica, ecco tutto.”. La luce che penetrava dalla finestra era ovattata...ne dedusse che fuori la foschia s'era fatta intensa. “Non c'era bisogno di fare quella isterica scenata di gelosia.”, percepì ancora il ronzio di una mosca che, saltuariamente, interrompeva il volo aderendo sul vetro della finestra. “È stato un atteggiamento infantile il suo.” la mosca restò ferma e silenziosa, quasi a godere del tremolio del vetro per l'avvicinarsi di un'auto sulla strada. “Davvero infantile...un comportamento immaturo” la macchina passò velocemente “davvero infantile...non v'è proprio nulla per cui io debba chiederle scusa.” voltò di colpo lo sguardo verso la finestra, come se avesse percepito solo ora il suono della macchina che oramai era sempre più lontana. “Lei piuttosto! Sono stufo di fare sempre io il primo passo.”. Deglutì. Rimase per un po' immobile, come incantato a guardare il nulla oltre la finestra. Da quel nulla lo destò il gatto. Magellano saltò sul letto e la campanella sul suo collarino tintinnò. L'aveva chiamato così perché quando lo trovò, per strada, piccolo ed affamato, non fece altro che ficcare il naso dappertutto, entrando nella sua auto senza averne prima chiesto il permesso, e miagolando di continuo. “Ciao, esploratore” lo salutò. “É la stanza di sempre, sai? Nulla è cambiato, a parte...” e non riuscì a finire la frase. Magellano restò in silenzio, si prese un po' di coccole e quando ne ebbe abbastanza diede le spalle al padrone e andò a sistemarsi sul cuscino dove, fino a solo una settimana prima, dormiva spesso la bella Clara. “Manca anche a te, vero?”, Magellano non diede nessun cenno che mostrasse di aver ascoltato le parole del padrone. Si sentì un rombo lontano che annunciava l'avvicinarsi di un camion. Quando passò si sentì lo “sciaff!” della ruota su di una pozzanghera. La strada continuava ad avere parti dissestate. “Deve aver piovuto” pensò “non me ne sono accorto”.
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Poi se ne stette seduto sul letto, con le gambe abbracciate ed il mento sulle ginocchia. S'impose di non pensare al licenziamento subìto la settimana scorsa. Sapeva che non era per quello che Clara l'aveva lasciata, né voleva pensare all'ultimatum datogli dalla padrona di casa...un modo per tener buona la collerica vecchia l'avrebbe trovato. Era già indietro di quattro mensilità, ma non gli importava. Gli importava di Clara. Rifletté sul fatto che nell'ultima settimana aveva collezionato solo urla e liti...e perso tutto ciò che era la sua vita. La mosca sbatte sul vetro. “Urla e liti”, disse sottovoce “urla e liti”. Iniziò a dondolarsi lentamente avanti e indietro, nervosamente, un po' come fanno gli ebrei mentre pregano di fronte al Muro del Pianto. “Non le ho fatto nulla” si ripeté nella testa. La mosca venne a posarsi sulla sua fronte. Lui non la scacciò. Chiuse gli occhi, come per tentar di dormire pur restando in quella posizione, cullandosi da solo oscillando avanti e indietro. La mosca camminò silente fin quasi all'orecchio sinistro. Lui sentì prima l'odore di Clara...poi la sua voce, l'immagine di lei, biondissima, vestita di jeans e maglietta di cotone, arrivò per ultimo. Era arrabbiata, furibonda. Lui ne era incantato. Non ascoltava ciò che diceva, era troppo rapito da lei per ascoltarla. Gli piaceva anche come urlava, come le ballavano i seni quando sbracciava furiosa, il movimento dei capelli mentre si agitava. Poi sentì che pioveva, e che alle urla di Clara si aggiungevano quelle della sua padrona di casa. Che odiosa quella vecchia! Poi il rumore di una macchina e “sciaff!”. Il titolare della segheria urlava più forte di tutti: “sei un fallito!” gli strillava “un buono a nulla”. Qualcosa gli entrò nell'orecchio. “State zitti!”, urlò lui “lasciatemi parlare con lei!”. Ma la signora urlò più forte “quattro mesi, ben quattro mesi!”, il titolare ruggì pieno di disprezzo “sei licenziato!”. “Fallito!”, “Licenziato!”, “Quattro mesi!”, “Sciaff!”, il rumore di un veicolo che veloce transita sull'asfalto bagnato, poi il tonante ronzio di una mosca nell'orecchio sinistro.
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“Clara!” urlò destandosi col cuore che gli batteva forte. Si svegliò nel silenzio quasi assoluto. Lo accolsero solo il brusio in dissolvenza di un'auto sempre più lontana, il ronzio di una mosca che si agitava alla finestra, il lieve fruscio di una pioggia leggera, il miagolio sonnolento e infastidito di Magellano e l'eco delle urla solo sognate. E nello scoprire che il sogno era finito gli salì un'angoscia nel petto. Perché insieme alle urla e agli insulti, il sogno si era portato via l'odore di lei, e la sua voce, e la sua immagine. Una lacrima rivolò giù sulla guancia. “Magellano” disse al gatto ormai desto “la chiamerò e la implorerò di scusarmi”, disse singhiozzando. E poi non aggiunse più nulla. Si augurò solo che quella notte passasse in fretta. Guardò la sveglia: ore 02:12.
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ANO RE SS I A . WO RD P R E SS. CO M
Apity, Prova.
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Quando mi svegliai pensai fosse un sogno davvero bizzarro. Realizzai solo pochi secondi dopo che non si trattava di un sogno. Fu difficile accettarlo. Non sognavo mai e avevo provato di tutto pur di sognare. Amavo i sogni. Nei sogni si viveva ciÛ che nella realtà non succedeva - questo dicevano tutti quelli che incontravo la mattina, dopo un fantastico sogno. Quando aprii gli occhi l'aria mi secca gli occhi e la bocca, un po' come quando vai in macchina a velocità elevata e sporgi la testa fuori dal finestrino per respirare, ma non puoi. Cercai di respirare ma mi accorsi presto non solo di non star sognando, ma anche di non poter respirare. In montagna non ci ero stata prima d'ora. Era la prima volta per me. Mi piegai e caddi sulle ginocchia. I primi minuti furono terribili. Ma come avevo fatto ad arrivare in quel posto? Come? Cercai di ricordare qualche cosa di yoga, qualcos'altro dei programmi americani e ancora dei libri di scienze delle scuole. I bambini imparano a respirare appena escono dalla placenta. Un grido e via, respirano. In quel momento io sapevo come respirare, ma non ci riuscivo. Apnea. Soffocamento. Fantascienza. Omicidio. Che cosa stava succedendo esattamente? Mi guardai intorno. Vidi soltanto un bianco accecante e una purezza infinita. Chi poteva avermi portata in questo posto? Dalla disperazione, le lacrime iniziarono a rigarmi le guance rosse e aride. Mi stavo trasformando in una bambola di porcellana, una di quelle che la mamma mi regalava quando ero piccola e alle quali io rovinavo la pettinatura pettinandole. Non si dovevano toccare quei boccoli perfetti e invece io li distruggevo curva dopo curva, lentamente, animata da chissà quale sadismo perverso. Persi subito la sensibilità nelle mani. Diventarono insensibili al contatto con il ghiaccio e la neve, mentre io cercavo di mantenermi sensibile, umana, viva, controllando il mio respiro. Poi eccolo, davanti a me. Si materializzò. con una dissolvenza surreale.
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All'inizio pensai fosse una stupida visione o allucinazione. Non dicono forse che prima di morire ti scorre davanti tutta la tua vita? Mi tolse il respiro. Caddi. I muscoli cedettero e io caddi con la faccia nella neve che non si sciolse nemmeno al contatto con il vapore del mio respiro inesistente o impercettibile talmente era lieve. Mi girai sulla schiena per non vederlo. Perché rovinare questo attimo di morte lenta ricordando il passato? - mi dissi. Schiena a terra, non ero pi˙ io, ma uno scarafaggio, con la differenza che non muovevo le mie zampette in aria come per attrarre l'attenzione di qualcuno gentile che mi avrebbe girato e mi avrebbe messo in condizione di camminare. Non c'era pi˙ speranza. Mi ritrovai gli occhi pieni di un azzurro pastello. Mai mi sarei immaginata la mia morte in questo modo. Sarei diventata un fossile poi? Qualcuno dopo anni e anni mi avrebbe ritrovata e mi avrebbe scambiata per un uomo di Neanderthal o giù di lÌ? Quant'ero ignorante e che brutto morire senza sapere perché. Avrei voluto urlare "Avrei preferito un incidente stradale, o un'intossicazione, o una pallottola, o una malattia piuttosto che quest'assurdità", ma sarei morta alla prima parola. Sentii i suoi passi accanto a me e pensai Vorrei tanto che fosse un'allucinazione o una visioni. Avrei tanto voluto lo fosse. I piedi calpestarono la neve intorno a me come un cane che prima di sistemarsi in un posto per dormire calpesta il piccolo spazio scelto. Tenne per tutto il tempo gli occhi su di me, sulle mie labbra screpolate in pochi secondi, sui miei occhi ormai trasformati in piccole sfere di cristallo, sul mio naso ornamentale, sulle mie guance ormai scolorite, sui miei capelli argentati dal gelo e resi sottili fili rigidi. Per ultimo, mi baciò. Fu in quel momento che morii. Senza riuscire a dirgli addio.
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IAIA G U ARD O - M A G H E T TA ST R EG HET TA
Emicrania Sull’Altalena
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Aria
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IL PA SS ATO T OR N A SE M P R E
Lo Scorso Anno
Accadeva Questo
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PA O L A D ’ I G N AZ I - L A P R I N CI PE SSA E LA G AT T I NA A RG ENTATA, OVVERO...
La Vera O"gine Della Piramide Del L(vre C'era una volta una bambina che non sa-
ché le facesse compagnia nella torre.
peva di essere una principessa.
La gattina però non era un gatto come gli
La piccola, infatti, era la figlia che il Re e
altri: era una gattina fatata che sapeva
la Regina di Francia avevano tanto atte-
parlare.
so, per lungo tempo. La principessa, pe-
Un bel dì la gattina, che gironzolava sem-
rò, era nata lo stesso giorno in cui era ve-
pre per la torre, vide che il negromante
nuta alla luce anche la figlia di un negro-
aveva lasciato la porta aperta e di corsa
mante: un mostriciattolo orribile, brutto
andò ad avvertire la principessa: "Vieni,
e già cattivo come il padre, che con un
usciamo di qui, non avremo altre occasio-
sortilegio, era stata trasformata nella co-
ni!"
pia esatta della principessa e scambiata
La principessa prese con sé il suo libro
nella culla, mentre lei, la figlia del re, era
preferito, l'acciarino magico del negro-
stata rinchiusa in una torre piena di li-
mante e fuggì con la gattina.
bri.
La torre si trovava nel mezzo di una fore-
Nessuno si accorse dello scambio e del
sta incantata.
rapimento della piccina, a eccezione del-
Camminando videro alcuni fiori strani,
la sua fata custode, alla quale però nessu-
simili a batuffoli. La gattina disse alla
no volle credere.
principessa di raccoglierne un paio e di
La bambina così crebbe con la sola com-
metterli in una borsa.
pagnia dei libri, leggendo giorno e notte
A poco a poco scese la sera nel bosco, la
di meravigliose avventure in paesi fanta-
principessa cominciava ad essere stanca.
stici, chiedendosi se mai li avrebbe visita-
Ma la gattina le disse: "Non ti fermare. Il
ti.
negromante si è accorto della nostra fuga
La principessa cresceva così dolce e cari-
ed è furioso. Sta cercando in tutti i modi
na da riuscire intenerire persino il negro-
di riportarci indietro, aspetta solo che il
mante che un giorno, avendo trovato per
calare della notte arrivi in suo soccorso:
caso nel suo giardino una gattina argenta-
metti i fiori che hai raccolto nelle orec-
ta, pensò di regalarla alla bambina per-
chie, così non sentirai la sua voce oscura 47
e non cadrai nei tranelli che ci tenderà."
tuosamente la nonnina e si incamminò
La principessa così fece, non udì la voce
di nuovo con la sua gatta.
che la chiamava e camminò senza voltar-
Cammima cammina, arrivarono a Parigi:
si mai, fino a quando non arrivarono in
la principessa la riconobbe perché aveva
una radura, dove era una capanna.
visto tante immagini nei suoi libri. Era
La gattina vi si diresse decisa e fece se-
ormai notte. La gattina disse alla princi-
gno alla principessa di togliersi i batuffo-
pessa: "Abbiamo bisogno di una posto
li dalle orecchie e di bussare alla porta.
dove stare. Accendi l'acciarino del negro-
Venne ad aprire una vecchina. "Oh non-
mante ed esprimi un desiderio ma ricor-
nina, vi prego fateci la carità di ospitarci
da di fare in fretta, perché l'acciarino si
per questa sera, abbiamo camminato tan-
consuma molto rapidamente."
to io e la mia gatta, e siamo così stan-
La principessa che era stata tutta la vita
che."
chiusa in una torre, ci rifletté un pochi-
"Ma certo bambina mia", disse la nonni-
no. E le tornarono in mente tutte le mera-
na facendola entrare. "Dividerete con me
vigliose storie dei paesi lontani che aveva
la mia povera tavola" e mise a tavola un
letto nei libri in tutti quegli anni che ave-
chicco di riso e una mollica di pane.
va trascorso chiusa nella torre. Poi acce-
La principessa rimase sconcertata. Ma la
se l'acciarino ed espresse rapida il suo de-
nonna era una fata molto potente: fece
siderio: vorrei una casa di cristallo, piena
strani segni nell'aria e la mollica comin-
di luce e di colori, bella come una pirami-
ciò a lievitare e a trasformarsi: crebbe e
de. E così per magia, nel giardino del
diventò prima un tortellino, poi un ravio-
Louvre si materializzò una casa di cristal-
lo, quindi una quiche e alla fine un tim-
lo fatata, che permetteva a chi era all'in-
ballo. Poi fu la volta del chicco di riso che
terno di vedere fuori ma che dall'esterno
si trasformò prima in una ciliegia, poi in
invece sembrava vuota.
una mela, poi in un'arancia così dolce e
Immaginate quale fu la sorpresa del Re e
profumata come la principessa non ne
della Regina quando, il mattino dopo,
aveva mai né viste né mangiate.
dalla finestra videro nel loro giardino
Quella notte la principessa e la gattina
quella strana casa vuota. Mandarono un
dormirono profondamente: in effetti non
servitore, e quando vide questa bambina
avevano mai avuto una giornata tanto
identica alla principessa, subito la portò
movimentata in tutta loro vita. La matti-
al cospetto dei sovrani. I quali quando la
na dopo la principessa salutò molto affet48
videro attraversare il salone, seguita sem-
del negromante, spezzando l'incantesi-
pre dalla sua gattina argentata, ammuto-
mo che era stato fatto il giorno della loro
lirono, perché era del tutto identica a lo-
nascita.
ro figlia, se non fosse che la bambina sco-
La figlia del negromante, riassunto il suo
nosciuta era gentile e garbata nei modi.
aspetto orribile fuggì dal palazzo urlan-
"Che malefizio è mai questo?" mormorò
do, e i sovrani finalmente poterono riab-
quasi senza voce il Re. "Andate a chiama-
bracciare la loro bambina. Fu organizza-
re mia figlia, presto" ordinò.
ta un grande ricevimento a palazzo e si
La Regina non parlava: il suo sguardo si
fece festa in tutto il paese. E tutti vissero
posava sulla bambina, poi sulla gatta,
per sempre felici e contenti.
per tornare di nuovo sulla bambina, e piano piano cominciò a capire il perché
Stretta la foglia, larga la via, dite la vo-
di tante cose che in tutti quegli anni l'ave-
stra che ho detto la mia
vano tanto addolorata. Il suo più grande cruccio, infatti, era sua figlia, così bella nei lineamenti ma così sgarbata e cattiva d'animo. Finalmente arrivò davanti ai sovrani quella che credevano fosse la vera principessa, la quale con la sua vocina stridula e sempre troppo alta chiese: "Che c'è?" ma accortasi della bambina disse: "Chi è questa? Ah, sei quella che abita nella casa di cristallo: babbo fatela uccidere, così io andrò nella nuova casa nel nostro giardino!" Fu allora che accadde un altro fatto straordinario. La gattina argentata fece una mezza piroetta su se stessa e si trasformò nella fata custode della principessa. Prese la sua bacchetta magica e la mosse nell'aria, prima sulla testa della vera principessa e poi sulla testa della figlia 49
FR A N C ES C A Q U A G L I A - I PA CIO CCHI DI FRA NCY
Nebbia
Era trascorso un anno oramai. Un anno
ra male: nonostante gli amici, il lavoro,
da quella sera in cui Lei se ne andò, la-
l’affetto dei cari, nulla era riuscito a can-
sciandogli un vuoto incolmabile in petto.
cellare quel dolore immenso ed i sensi di
Lui la ricordava ancora. Ricordava la sua
colpa. Ogni cosa che faceva gli ricordava
figura esile, al limite del fragile, la sua
Lei e la sua figura tanto fragile ma, forse,
pelle di perla ed i capelli neri perenne-
più forte di quanto credesse. Aveva avuto
mente raccolti in una coda di cavallo. Ri-
la forza di fuggire alla realtà.
cordava la sua tristezza profonda, quella
Era il 31 ottobre. Proprio come un anno
tristezza che Lei cercava sempre di na-
fa. Anche quella sera era il 31 ottobre: la
scondere dietro ai sorrisi. Ma Lei non era
notte delle Streghe, dei fantasmi. “Creti-
felice e Lui l’aveva capito tanto tempo fa.
nate “. Lui non ci aveva mai creduto. Era
Lo capiva dai suoi pianti, dalle lacrime
una sera come le altre, solo più triste per-
che spesso cadevano dal suo bel viso e
ché segnava un anniversario. Andò in cu-
che Lei, silenziosamente, cercava di
cina: l’alcool avrebbe fatto il suo dovere
asciugare. Eppure, nonostante percepis-
e se non ci fosse riuscito ce ne sarebbe
se questa sua tristezza, non aveva fatto
stato dell’altro. E poi un altro. E un altro
niente. Poi quella sera, dopo una giorna-
ancora. Con la mente annebbiata dai pen-
ta trascorsa al mare. Era stata una gior-
sieri tornò in salotto e appoggiò il bic-
nata segnata dalla nebbia, tipicamente
chiere sul tavolino. Quel brutto tavolino
autunnale. “Sotto la nebbia c’è il sole”
che oramai usava solo più come poggia
aveva detto Lui. No. Il sole non c’era. Un
piedi. Ci pensò, per un attimo poi no,
bacio lieve dopo una giornata al mare.
scosse la testa. Lui non credeva a quelle
Una giornata autunnale avvolta dalla
cose. Rise a voce alta. Una risata nervo-
nebbia. Lui l’aveva riaccompagnata a ca-
sa, tesa. Eppure la sua attenzione conti-
sa ,un bacio lieve sulle labbra, come sem-
nuava ad essere incentrata su quel bic-
pre e “Ci vediamo domani”. No. L’alba
chiere e su quella superficie liscia e
non era sorta, per Lei.
nera. Come un automa andò nella stan-
A distanza di un anno a Lui faceva anco-
zetta che utilizzava come studio e si mi50
se a cercare. Sapeva di averli, da qualche
no, solo un anno ma era sembrato
parte, e li trovò senza troppo sforzo. Due
un’eternità. Era felice di vederlo. Si fer-
gessetti bianchi, che aveva conservato co-
marono uno davanti all’altra. Si guarda-
me ricordo del periodo in cui faceva sup-
rono, poi si baciarono. L’ultimo bacio era
plenze nelle scuole. Archiviata quell’espe-
stato tanto tempo fa e Lei quasi non se lo
rienza li aveva gettati in fondo al cassetto
ricordava più. Stettero stretti per un po’:
della scrivania e lì erano rimasti. Non gli
non erano mai stati così vicini. “Ci vedia-
erano mai più tornati in mente, prima di
mo domani, ora devo tornare”
quella sera in cui tutto era così nitido. Si
No. L’alba non ci fu mai più, neanche per
sentiva come il viandante che, dopo aver
lui. Solo un cadavere penzolante dalla
percorso km e km avvolto dalla nebbia
trave della camera da letto.
(quella nebbia), improvvisamente vede il sole. Sotto la nebbia c’è il sole. Tornò in salotto e, come un automa, si mise a tracciare segni sul tavolino. Bianco su nero. L’alfabeto fu pronto in un attimo. Appoggiò le dita sul bicchiere, oramai vuoto, e La invocò. Si concentrò, le dita sempre appoggiate sul bicchierino, La chiamò. Non successe nulla. Il bicchiere rimase immobile nella posizione iniziale. Erano tutte stronzate, lo aveva sempre saputo. Si buttò sul divano, stremato. Fuori udiva le urla dei ragazzini riversi nelle strada per Halloween. Dolcetto o scherzetto, dolcetto o scherzetto, dolcetto o scherzetto? Incessantemente. Dolcetto o scherzetto, dolcetto o scherzetto, dolcetto o scherzetto. Stronzate: i morti sono morti, non si risvegliano. Ne aveva le prove. Si alzò: doveva solo dormirci sopra. Lei lo vide e gli corse incontro. Quanto tempo. Quanto tempo era passato. Un an51
V%ioni Di Kuroko O MB RE TTA B L A SU C C I - K UR OKO
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MO N I C A
Paure Di norma ho un animo coraggioso ma di
cora troppi sogni che devo e voglio realiz-
paure ne ho tante...
zare...
Ho paura di curiosare tra le fessure di un vecchio portone di case ed edifici abbandonati da tempo, mi mettono una tale angoscia perchè temo che possa apparire una qualsiasi cosa all'improvviso... Ho paura delle stanze e dei negozi vuoti senza arredamento, mi danno un senso di vuoto profondo... Ho paura degli edifici in costruzione, non mi danno sicurezza... Ho paura quando sento le persone che litigano e lo fanno urlando, ho troppi brutti ricordi recenti... Ho paura delle alte velocità, per questo motivo tanti anni fa ho perso una delle persone più care ed era troppo giovane... Ho paura quando non sento tornare a casa le persone a cui tengo di più... Ho paura certe volte quando sento di non farcela... Ho paura quando sto per piangere... Ho paura della morte, solo perchè ho an63
AGATA MO N D O
Fame Clotilde si era svegliata a mezzanotte e
in giro, era 'normale', niente piercing né
ora camminava su e giù, mentre la luce
tatuaggi, niente Ipod, orecchini, né capel-
lunare filtrava attraverso le tapparelle.
li colorati, né creste. 'Accidenti' aveva
Era un paesaggio che spesso le aveva tra-
pensato, 'devo aver sbagliato secolo'. Ave-
smesso pace e maraviglia, che quel filo
va deciso di fermarsi lì e in quell'epoca
sottile di luce potesse trasformare la sua
storica perché provava disprezzo per ciò
percezione della realtà in maniera così
che vedeva, la sua era un'opera di purifi-
profonda. L'odore dell'erba le riempiva
cazione dal sovrappiù, dagli orpelli del-
le narici, era stata tagliata da poco e di
l'era moderna. Aveva una sua filosofia di
notte l'oscurità amplificava l'olfatto, col-
vita, certo, non colpiva a caso, sapeva
pendola con i suoi sentori più vari. Deci-
che non si sarebbe mai sentita a posto
se di far qualcosa per combattere l'inson-
con la coscienza se avesse agito alla cie-
nia, era fastidioso l'indomani trascorrere
ca, senza un piano, senza uno scopo.
tutta la giornata insonnolita. Squadrò la
Mentre, leggiadra ed elegante come una
casa con attenzione, le civette emetteva-
pantera, saliva lungo il muro della casa,
no il loro richiamo vagamente sinistro,
le venivano in mente gli occhi di Marco.
l'edera si inerpicava sui muri con elegan-
Erano di un colore nocciola chiaro e
te pervicacia. Osservò la finestra in alto,
l'espressione era dolce e riflessiva. Sco-
le tapparelle erano chiuse, ma non com-
stò le tapparelle e con agilità entrò nella
pletamente, e immaginava la luce acca-
stanza. Marco era in piedi di fronte al let-
rezzare la pelle di Marco. 'Sei nuova di
to e la osservava con curiosità. Clotilde
qui?' le aveva chiesto lui qualche tempo
ebbe un sussulto e credette di sentire il
prima. 'Diciamo di sì', aveva risposto, 'di
suo cuore accelerare i battiti. Era nudo
sicuro non hai avuto modo di vedermi
di fronte a lei, ai suoi tempi gli uomini
prima'. Si erano osservati con occhi sor-
non dormivano così, e avevano almeno
presi, perché erano parecchio strani en-
due strati di mutande, o così le erano
trambi, per i propri reciproci standard.
sempre sembrati. 'Ho fatto ricerche su di
Lui, a differenza dei ragazzi che vedeva
te ' disse Marco, 'in una vecchia scatola 64
in soffitta ho trovato una tua foto. Inizialmente non credevo ai miei occhi, eravate identiche tranne che lei era vissuta due secoli prima'. Clotilde lo guardò sempre più stupita e non riusciva a trovare le parole per far fronte alle emozioni che la invadevano. 'Tu hai fatto ricerche su di me' commentò, perplessa. 'Sì, eri strana, o meglio così diversa dalle mie compagne, giovane ma allo stesso tempo antica. Usi spesso termini proprio buffi e desueti e hai delle maniere un po' esagerate, a volte' aggiunse Marco. 'Sono morta giovane' rispose Clotilde 'e quando mi hanno dato la possibilità di ritornare a vivere, in un nuovo modo, non ho potuto rifiutare'. Marco le si avvicinò lentamente, la luce della luna continuava a sciogliersi in piccoli pulviscoli argentei lungo il suo corpo. Clotilde sentì le gambe farsi sempre più molli e quando Marco fu ad un dito da lei decise che gli avrebbe risparmiato la vita. I loro gesti successivi furono naturali, lei si stupì della facilità con cui dava voce ai propri desideri, se l'avesse vista sua madre sarebbe inorridita. Dopo una notte di passione, la prima della sua giovane vita, aveva scoperto che essere innamorati fa passare la fame, o almeno a lei aveva fatto questo effetto
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ELI SA MARC H E G I A N I E G I U LIA CRIST OFORI
La Paura Ti Trasforma
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MAS S I MI LI A N O F E R R A R I S DI CELLE - WISKA KA M A X.WORDPR ESS.COM
Io Ci Parlo "Mamma che fai? Parli da sola?"
L'età, e la morte del marito (nonché pa-
L'anziana signora sollevò lo sguardo dal
dre di Alessandro, ma questo l'anziana
quaderno sul quale era intenta a scrivere
signora sembrava dimenticarlo) l'aveva-
fitto fitto, e guardò il figlio con un sorri-
no resa pigra e accidiosa, lei che prima
so.
era sempre in movimento.
"Scrivo a papà, gli sto raccontando che
"Ma poi scusa", disse Alessandro seden-
oggi Kira ha incontrato un altro cane e a
dosi a tavola, "che piacere ne trai, da que-
momenti mi butta per terra"
sto scrivere al nulla?"
"Mamma dovresti parlare con la gente in
"Non ti permettere. Non è il nulla, e co-
carne e ossa, non sarebbe meglio?"
me ti ho detto io sono sicura che lui mi
"Ma io ci parlo, è che con lui riesco me-
sente e mi vede. E a volte mi pare di sen-
glio a dire le cose, e poi sono sicura che
tirla, la sua voce".
lui mi sente, da lassù"
Di fronte ad una dichiarazione di certez-
"Mamma sono passati 4 anni, possibile
za così incrollabile, Alessandro pensò che
che ancora non ti rassegni?"
era meglio darci un taglio e parlare del
"No non mi rassegno, per me lui era tut-
più e del meno, come al solito. Sapeva
to, e con lui se n'è andata una parte di
che le preoccupazioni della madre, i senti-
me"
menti profondi, i pensieri nascosti, non
Alessandro posò le sue cose sul divanetto
sarebbero mai stati rivelati nelle loro con-
nell'ingresso e andò incontro alla madre
versazioni a pranzo, ma avrebbero trova-
per baciarla. Come quasi ogni settimana,
to posto all'interno di quella sequela di
era venuto a trovarla con la scusa di pran-
taccuini tutti uguali, tutti con la coperti-
zare insieme. La scusa, perché i pranzi
na nera, tutti a righe. Li comprava in se-
non erano certo ricchi dei manicaretti
rie, con il suo solito approccio al limite
che la madre usava cucinare da giovane.
del maniacale per la regola, l'ordine e la 68
disciplina. E li custodiva gelosamente
fletté sul fatto che nessuno la capiva, co-
dentro l'armadio, inaccessibili a tutti. E
me le era capitato tante volte nella vita.
lo sarebbero stati in ogni caso, visto che
Nessuno l'aveva mai in realtà completa-
la scrittura di sua madre era assimilabile
mente capita. Nessuno, tranne Arman-
ai geroglifici.
do. Il solo pensare al nome le provocava
Parlarono della manovra economica, sua
una fitta di dolore, perché pensare al no-
madre leggeva il giornale tutti i santi
me e ripensare al fatto che non c'era era
giorni dalla prima all'ultima riga. Il gior-
tremendo. A volte era arrabbiata con lui,
nale era il Corriere della sera, non ne esi-
e glielo scriveva anche. Lo rimproverava
stevano altri. Alessandro ricordava che
di averla lasciata sola, di essersene anda-
la madre lo comprava sin da quando l'edi-
to quasi senza avvisare. Di non aver com-
zione romana ancora non esisteva; il pa-
battuto abbastanza contro il mostro, un
dre invece era un affezionato de "Il Mes-
cancro ai polmoni che se l'era portato via
saggero", quotidiano di Roma, ma la ma-
in neanche un anno. Armando si era co-
dre non lo leggeva neanche quando il
me arreso alla malattia, rassegnandosi
Corriere non arrivava in edicola. Era sem-
alle terapie, alla chemio, alla radio, senza
pre informatissima sulle ultime vicende
mai completamente crederci. E quando i
di politica interna ed estera, sui principa-
medici avevano detto che il cancro era re-
li fatti di cronaca, e sui piccoli gossip con-
gredito, e Anna era quasi impazzita di
sentiti da quel giornale, un po' serio, un
gioia, lui aveva accolto la notizia con
po' parruccone.
un'alzata di spalle, quasi sapesse quello
E dopo il pranzo, niente caffè perché An-
che stava per accadere. Stava per accade-
na aveva diritto a un solo caffè al giorno,
re che la bestia, come una novella Feni-
che aveva "barattato" con il medico con
ce, sarebbe rinata più grande e forte, e in
due ristretti. E quei due ristretti doveva-
pochi mesi avrebbe vinto. A mani basse.
no essere del bar. E se non lo prendeva
E Anna non si capacitava di questa iner-
lei, il caffè, non lo prendeva nessuno.
zia di Armando, lui che aveva sempre
Alessandro neanche faceva più caso a
combattuto, sin da giovane, per qualun-
queste piccole cose, aveva da tempo spo-
que cosa. Qualunque situazione veniva
sato il principio che quella era l'unica ma-
affrontata come una sfida da vincere, ani-
dre che aveva, e cercava di conviverci fa-
ma e corpo, o si vince o si perde, ma ci si
cendo del suo meglio.
butta dentro con tutte le energie.
Alessandro si avviò al lavoro e Anna ri-
Quattro anni. Quattro lunghissimi anni. 69
Anna abbandonò questi pensieri e si mi-
aveva intorno cominciava a disfarsi, a in-
se a rassettare, in attesa della passeggia-
cenerirsi. La scrivania, il divano, il lume,
ta pomeridiana con il caffè agognato.
tutto si trasformava sempre più veloce-
Chiamò un'amica al telefono e si organiz-
mente in cenere. Le pareti, la casa, tutto
zò per passare da lei dopo la passeggiata.
si dissolveva. Tutto diventava cenere. In-
Il pomeriggio se ne andò così, come tanti
torno ad Anna non c'era nulla, solo cene-
altri pomeriggi, uno uguale all'altro. Do-
re. Ma no, ecco, da lontano qualcosa veni-
po cena, come tutti i giorni si mise alla
va verso di lei. Sembrava un grosso cane,
scrivania e iniziò a scrivere ad Armando.
che arrivava al piccolo galoppo. Avvici-
Gli raccontò della giornata appena tra-
nandosi però Anna rimase interdetta. Gli
scorsa, gli disse del pranzo con Alessan-
occhi erano rosso fuoco, quasi brillanti.
dro, della passeggiata, dell'amica. Men-
Il corpo era coperto di squame, e i den-
tre stava raccontando dell'amica, notò
ti... erano delle enormi zanne. La bestia
che dal centro della pagina del quaderno
ringhiava e sbavava, e si avvicinava sem-
accanto a quella su cui stava scrivendo si
pre più. E più si avvicinava più diventava-
sollevava un filo di fumo. Alla base del fu-
no visibili particolari inquietanti. Le un-
mo c'era una bruciatura che non brucia-
ghie. Lasciavano delle impronte terroriz-
va, non c'era né fuoco né brace. Il foglio
zanti. Le squame. Dure come quell'arma-
sembrava semplicemente passare da car-
dillo di quel disco che Alessandro aveva
ta a cenere senza soluzione di continuità.
comprato da ragazzo, Tarkus. Ma nello
La "bruciatura" si allargava, partendo
stesso tempo viscide, coperte di una spe-
dal centro era diventata come una mone-
cie di melma putrida. Le narici, che si
ta da un euro, poi da due, e continuava
aprivano e chiudevano affannosamente
ad allargarsi. Anna alzò la mano dal qua-
al ritmo del respiro. E il ringhio. Si senti-
derno, continuando a guardare il buco
va sempre più forte. Entrava nelle ossa e
che si allargava sempre più, quasi ipnotiz-
scatenava dei brividi incontrollati. Era
zata dalla vista. Si riscosse quando la
chiaro che si stava dirigendo verso Anna,
"bruciatura" passò alla pagina che aveva
ed era altresì chiaro che aveva intenzioni
appena scritto. Sollevò il quaderno e pro-
poco amichevoli. Anna non riusciva a
vò ad agitarlo, a sbatterlo, ma niente.
pensare. Non riusciva neanche a doman-
Continuava a trasformarsi inesorabil-
darsi perché tutto fosse scomparso, per-
mente in cenere. Lasciò andare il quader-
ché lei si trovasse in questo non-luogo a
no con un grido e vide che tutto quanto
tu per tu con un mostro, era diventata un 70
grumo di paura. Paura ancestrale, di
corpo del mostro accasciarsi e la testa ro-
quelle che ti lasciano senza respiro e ti at-
tolare da una parte. Il guerriero si voltò
tanagliano lo stomaco e ti fanno rabbrivi-
verso Anna, mentre dal basso la realtà
dire.
tornava a formarsi, dalla cenere prende-
E mentre era lì che rabbrividiva, dalle
vano nuovamente forma tutti gli oggetti
sue spalle spuntò una figura umana in-
familiari, le mura, il salone, il divano, la
cappucciata, con un enorme spadone,
scrivania, il quaderno, la penna. Il guer-
che ad Anna ricordava la Durlindana di
riero si tolse il cappuccio.
re Artù. La figura si frappose tra Anna e
"Armando... sei tu..."
il mostro. Non ci fu neanche discussione.
Alessandro la trovò la mattina dopo, ac-
Lo spadone si mosse con la velocità del
casciata sulla scrivania. Aveva un sorriso
fulmine. Anna vide solo uno scintillio, un
sulle labbra.
fiotto di liquido verdastro zampillare, il
71
GIAN N I P RO SP E R I ( L E M M )
Ultimi Granelli Di Sabbia La prima cosa che notò fu il buio. Il capi-
libro di un autore inglese vissuto a caval-
tano Lemm vantava oramai oltre trent'an-
lo tra i lontanissimi secoli XX e XXI.
ni di navigazione interstellare. Aveva at-
Amava i libri di Neil Gaiman e, più in ge-
traversato la galassia in lungo ed in largo
nerale, amava leggere stando seduto vici-
e, in nome di qualche spedizione scientifi-
no all'oblò
ca, ne era addirittura uscito oltre i confi-
'' «Il buio» spiegò con calma la donna ve-
ni, arrivando fin dove anche le stelle più
stita di pelle. «tutti gli incubi che emergo-
vicine smettono di essere punti di luce,
no al calare del sole, fin dai tempi delle
per apparire, indistinguibili dalle altre,
caverne, quando ci si rannicchiava gli uni
solo come tenue nubi debolmente lumi-
accanto agli altri alla ricerca di calore e
nose. Però, anche al di fuori della galas-
sicurezza. Questo è il momento di aver
sia, lontano da essa migliaia di anni luce,
paura dell'oscurità.» ''
non aveva mai visto il buio così totale ed
assoluto che ora lo schermo gigante che
Il capitano dopo aver finito di leggere,
sovrastava il ponte di comando gli mo-
aveva alzato la testa china sul libro e
strava. Sapeva che non si trattava di un
guardato fuori dell'oblò. Le stelle, che fi-
malfunzionamento degli strumenti. Era
no a qualche minuto prima brillavano
osservando lo spazio dall'oblò della sua
amiche in lontananza, non c'erano più.
cabina che il capitano si era accorto che
Sembrava che qualcuno avesse spento
le stelle erano scomparse. L'orologio di
l'universo. Se era così, allora questo
bordo segnava le ore notturne. A parte
''qualcuno'' aveva dimenticato di spegne-
pochi uomini e donne di turno, l'intero
re la Enkidu, con tutto l'equipaggio che
equipaggio dormiva o si era comunque
essa conteneva. Il capitano sapeva che
ritirato nelle loro stanze. Il capitano
c'era una moltitudine di cause per cui le
Lemm era in cabina e stava leggendo un 72
stelle potevano essere state coperte im-
si: o davvero tutto ciò che esisteva fuori
provvisamente alla vista. Forse erano en-
di questa nave ha cessato di esistere, ma
trati in una regione di nubi interstellari
sarà d'accordo con me, capitano, che ciò
che assorbivano le radiazioni luminose,
è assai improbabile oltre che assurdo, op-
o forse una formazione molto vasta di
pure qualcosa sta inibendo il funziona-
queste si estendeva tra le stelle e la Enki-
mento di ogni rivelatore a bordo della En-
du. Il capitano, pur sorpreso della coinci-
kidu. Io sceglierei la seconda ipotesi, ca-
denza con cui il buio si era manifestato
pitano.
dopo la lettura, non si era affatto preoc-
- Ed io sono dello stesso parere, tenente.
cupato. Fu il personale di turno in plan-
Ma non abbandoniamo del tutto la pri-
cia a richiederne d'urgenza la presenza
ma ipotesi. Sono certo che l'universo esi-
sul ponte. Il nero assoluto dello schermo
sta ancora, ma magari non lo percepia-
gigante ed il silenzio di tutti i rivelatori
mo più per motivi diversi da quello che
di bordo lo accolsero sul ponte insieme
abbiamo supposto finora. Ha già provve-
alle facce pensierose dei luogotenenti.
duto a fare un controllo sul funzionamen-
to degli strumenti? - Come sarebbe a dire che fuori non c'è
- Sì, capitano.
più nulla? - chiese il capitano.
- E sono certo che tutto funziona a punti-
- Manca tutto, capitano...le stelle, i piane-
no.
ti, persino il pulviscolo interstellare. Gli
- Sì, capitano.
strumenti non rivelano più nulla. - il vol-
- Va bene. Per il momento non allarmia-
to del tenente Q'Nnini mostrava senza ve-
mo la nave. Proseguiamo il viaggio man-
li tutta la sua incredulità di fronte ad un
tenendo inalterata la velocità. Timonie-
simile evento. - persino gli interferome-
re, qual'è la velocità attuale?
tri tacciono - concluse l'ufficiale scientifi-
- Siamo...fermi capitano.
co.
- Fermi?
- I rivelatori di neutrini? Le radiazioni
- Senza punti di riferimento esterno - si
elettromagnetiche?
affrettò a precisare il timoniere Karagiali-
- Nulla, signore. Ovunque siamo finiti,
dis - non è possibile valutare alcun movi-
non captiamo neanche più la radiazione
mento, anzi, è più corretto dire che è im-
di fondo. -
possibile muoversi.
- Qual'è il suo parere?
- Ovvio, fuori non c'è un universo in cui
- Capitano, sono possibili solo due ipote-
muoversi. - precisò l'ufficiale scientifico. 73
Nel ponte di comando cadde il silenzio.
sibile sapere riguardo a quella nube: mas-
sa, temperatura, composizione, forza graLa situazione perdurava oramai da 36
vitazionale, ogni singolo dato possibile
ore, secondo il tempo di bordo. L'equi-
ed immaginabile. Rediga un rapporto.
paggio aveva ben assorbito la nuova con-
Appuntamento tra mezz'ora nella mia ca-
dizione, non c'erano stati casi d'isteria.
bina.
Il capitano si era appena alzato dal posto
- Clessidre, signore. - disse Q'Nnini ri-
di comando con l'intento di andare in ca-
spondendo al capitano che gli aveva chie-
bina a riposarsi, quando avvertì una for-
sto di cosa fosse formata quella nube -
za inerziale sbilanciarlo fin quasi a farlo
Milioni, forse miliardi di clessidre tutte
cadere.
uguali e galleggianti in uno spazio debol-
- È quello che penso? - chiese il capitano
mente luminoso.
- Se intende dire che l'universo fuori sia
- Spazio luminoso? Vuoi dire una nube,
tornato, capitano, - disse l'ufficiale scien-
un gas ionizzato.
tifico - la risposta è ''no''. Se invece vuole
- No, capitano, non percepiamo la pre-
sapere se finalmente è percepibile qualco-
senza di alcun gas o polveri. La prove-
s'altro all'esterno di questa nave, allora
nienza di quella luce che inonda tutto lo
la risposta è ''sì'' e, di conseguenza, ci
spazio sembra nascere dallo spazio stes-
stiamo muovendo.
so.
- In che direzione?
- Ma quanto è estesa?
- Dritti verso la nube luminosa che ora è
- Non riusciamo a misurarne la fine, capi-
visibile sullo schermo. - rispose il timo-
tano. Per quel che ne sappiamo potrebbe
niere. Lo schermo gigante mostrava ora
essere persino più estesa della Via Lat-
una insolita nube lattiginosa brillare in
tea.
lontananza.
- Non ha senso, Sinlec, amico mio...tutto
- Velocità?
questo non ha senso!
- Curvatura 5, signore.
- Sono d'accordo con lei, capitano,
- Rallentare a curvatura 1.
ma...Eino, questo è quello che tutti i sen-
- Eseguito, signore.
sori della nave ci rivelano. - Raramente il
- Quando raggiungeremo quella...cosa,
tenente Sinlec Q'Nnini si rivolgeva al ca-
qualunque cosa essa sia?
pitano chiamandolo per nome, ma avver-
- Tra 1ora e 47 minuti, signore.
tiva ora che il vecchio Einojuhani Lemm
- Q'Nnini, voglio sapere ogni cosa sia pos74
era troppo scosso dagli avvenimenti e ne-
sabbia interamente in uno dei due bulbi
cessitava dell'amico Sinlec molto più che
di vetro senza che questa tentasse di scor-
dell'ufficiale scientifico.
rere nel bulbo opposto. Altre, invece, pur in totale assenza di forza di gravità, era-
La Enkidu arrestò la sua corsa a poco me-
no in funzione, ovvero la sabbia, attirata
no di un chilometro dalla sconfinata nu-
da non si sa quale forza, scorreva lenta-
be. L'immagine ingrandita che sovrasta-
mente per il stretto pertugio che univa i
va il ponte mostrava inequivocabilmente
due bulbi. Non era possibile in quel luo-
una miriade di clessidre romane, tutte
go identificare un sopra ed un sotto, per
uguali nella forma ma diverse nelle di-
cui potevano esservi clessidre in cui la
mensioni. Ce n'erano di piccolissime e di
sabbia scorreva in un senso, mentre in
grandissime, e di tutte le dimensioni in-
altre scorreva nel senso opposto.
termedie. Formavano un mare stermina-
- Guarda Eino! - disse Sinlec - Ogni cles-
to.
sidra sembra avere inciso un marchio,
- Usciamo, Sinlec! - disse il capitano
una sorta di effige, forse i caratteri di
Lemm sul ponte di comando, rivelando
una qualche scrittura.
per la prima volta davanti a terzi la sua
- Già! - rispose il capitano - Ma ogni cles-
stretta confidenza con l'ufficiale scientifi-
sidra ha dei caratteri totalmente diversi
co. Le parole del capitano suonarono
l'una dall'altra. Ed ogni simbolo o caratte-
più come un cordiale invito piuttosto che
re ai miei occhi appare totalmente scono-
come un ordine.
sciuto.
Uscirono dalla Enkidu con una navetta e
I due continuarono ad esplorare quel
ben presto si trovarono immersi in quel
''mare'' come incantati. Dopo un po' il ca-
mare impossibile. Quando la navetta fu
pitano sentì di nuovo la voce di Sinlec
immersa nella nube, spensero i motori,
uscire dal trasmettitore e riempirgli il ca-
indossarono le tute e i due abbandonaro-
sco: - Eino, corri vieni! Credo di aver tro-
no anche la navetta. Galleggiavano solita-
vato qualcosa d'interessante! - poi, quan-
ri in un oceano di clessidre.
do finalmente il capitano lo raggiunse -
Notarono che ogni clessidra era orienta-
Guarda questa clessidra. Non ho mai stu-
ta a casaccio, galleggiando liberamente
diato la lingua, ma riconosco chiaramen-
nello spazio vuoto e luminoso alla distan-
te lo stile: questi sono caratteri in uso
za di circa due metri l'una dall'altra. Alcu-
nel pianeta Fleed, ne sono certo.
ne clessidre erano ferme: contenevano la
- Sì, sì credo proprio che tu abbia ragio75
ne, Sinlec...nenach'io conosco la lingua
il casco per asciugargliele e chiudergli gli
fleed, ma i suoi caratteri sono davvero in-
occhi. Poi notò che il suo amico teneva
confondibili. Cosa può voler dire? Se so-
stretto in ciascuna delle sue mani due
lo riuscissimo a capire cosa c'è scritto.
clessidre. Prese quello che stringeva nella mano sinistra, e vide quel che l'intuito
I due si divisero continuando ad esplora-
ed il cuore già gli avevano suggerito. Ri-
re il luogo verso direzioni opposte. Il ca-
conobbe sulla clessidra i caratteri latini a
pitano Lemm galleggiava oramai solita-
lui famigliari sin dall'età di cinque anni:
rio da diversi minuti quando d'un tratto
''Sinlec Q'Nnini'' era inciso sulla clessi-
sentì di nuovo la voce di Sinlec urlargli
dra, che oramai conteneva tutto in una
dentro il casco. La voce era disperata e le
sola parte del bulbo la sua sabbia. Libe-
parole impastate dal pianto. - Ho capito,
rò, poi, l'altra clessidra dalla mano de-
Eino!...Mio Dio, ho capito cosa sono que-
stra di Sinlec. Anche questa seconda cles-
ste clessidre!
sidra aveva sopra incise dei caratteri lati-
- Sinlec, amico mio calmati! Sto arrivan-
ni. ''Einojuhani Lemm'', lesse...e vide,
do!
pur offuscato dalle lacrime, che gli ultimi
- Non è giusto, Eino...non
granelli di sabbia stavano scivolando len-
voglio...diosanto ho solo 35 anni...sono
tamente, come gli atri già caduti, dall'al-
partito in missione senza aver assistito
tra parte della clessidra. E rimase lì, con
alla nascita di mio figlio...
la SUA clessidra in mano ad aspettare
- Calmati, Sinlec! Il rivelatore mi dice
che il Suo Tempo finisse.
che non sono lontano da te, arriverò presto! - Non è giusto, Eino...non voglio...non vogl... - poi la voce del tenente Q'Nnini tacque per sempre. Al capitano occorsero ancora due minuti prima di raggiungere il corpo senza vita del tenente. Il cadavere galleggiava nel vuoto, vegliato da una moltitudine silente e inanimata di clessidre. Il capitano si avvicinò al corpo. Vide il volto del tenente ancora solcato dalle lacrime. Gli tolse 76
RO S A RI O VI OT T I
La Pioggia Goccia dopo goccia, scivolando sui rami
vecchia casa. Si parlava di strane ombre
quasi spogli e sui tetti, per poi cadere e
alle finestre, luci, rumori e altri fatti in-
formare nuove pozzanghere sul terreno,
spiegabili. Per questo nessuno ci entrava
sulle foglie che marcivano nel fango, sul-
mai, e nemmeno ci si avvicinava.
le strade. Ogni cosa aveva un aspetto di-
Nessuno, tranne Sasha.
verso. Tutto pareva più cupo, come il cie-
Quella era la sua casa. Non aveva paura
lo.
dei suoi angoli bui, delle scale che scric-
Sasha amava la pioggia. Sarebbe rimasta
chiolavano, delle porte che cigolavano.
per ore davanti a quella finestra, mentre
Non aveva paura dei suoni lugubri che
nel camino scoppiettavano allegramente
portava il vento, così simili ai lamenti dei
le braci e nella stanza le tenebre erano
dannati dell’inferno così come se li era
più fitte. Si sentiva al sicuro, protetta.
immaginati da piccola. Quella casa, fatta
Una sedia davanti al camino, una tazza
di tenebre e ricordi, era parte di lei. Il
di cioccolata calda e uno dei suoi libri
suo lavoro di domestica non le concede-
preferiti, mentre fuori infuriava la tempe-
va molto tempo libero, ma lei non avreb-
sta: e allora lei chiudeva gli occhi, lascian-
be mai permesso a degli intrusi di profa-
dosi cullare dall’incanto del momento, e
nare quel silenzio.
la sua mente vagava in un mondo primor-
Dopo un attimo tornò a sedersi e si accor-
diale fatto di foreste sterminate, paludi
se che stava sorridendo. Non c’erano fan-
maleodoranti, paurosi labirinti e castelli
tasmi in quella vecchia casa, ma avrebbe
di re senza nome. Un mondo popolato
lasciato credere ai paesani quello che vo-
non solo da eroici cavalieri e principesse
levano. Era come un gioco, in fondo: si
da salvare, ma anche da mostri orribili,
sentiva la protagonista di una delle sto-
orchi, fantasmi e altre creature spavento-
rie di mistero che tanto le piacevano. Un
se. Eppure quel mondo le era così fami-
gioco di cui lei sola conosceva il segreto.
liare, così ospitale. Ben diverso dalla grigia realtà che la opprimeva ogni giorno. La gente del paese aveva paura di quella
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GIU S I RI S O
Racconto Senza Nome Quando Leila lo depose sul tavolo, il cali-
ra una volta. Più forte. Ripetuto.
ce di cristallo tintinnò per un attimo con-
“Ascoltate!!! Lo avete sentito?!”. Solo cen-
tro la bottiglia. Di solito, terminata la ce-
ni di dissenso. Eppure lo aveva sentito.
na, in casa Rainshort ci si riuniva nella
Lo aveva sentito quell’ululato, o qualun-
sala più grande. Le gemelle e la loro isti-
que cosa fosse. Agghiacciante, penetran-
tutrice giocavano con le bambole di pez-
te. Come avevano fatto a non sentirlo?
za che Mr. Rainshort portava dai suoi
Che strana bestia poteva aver emesso
viaggi. Lo stesso Mr. Rainshort leggeva i
quel suono? Eppure sembrava così vici-
suoi libri preferiti accanto al focolare.
no, sembrava quasi aldilà della balcona-
Mrs. Rainshort ricamava finché gli occhi
ta…
stanchi non le lasciavano desiderare nul-
Era ormai buio pesto e in quel silenzio
la se non sprofondare nel cuscino fresco
ovattato l’unico suono che si udiva era il
ed immacolato al piano di sopra. A quel
raschiare della paletta che Jenna, la do-
punto i domestici avevano finito di ripuli-
mestica, adoperava per liberare il cami-
re in sala da pranzo e badavano agli ulti-
netto dalla cenere che si sparpagliava tut-
mi tizzoni di fuoco e a spegnere le cande-
t’attorno. Le gemelle si erano addormen-
le. Ma Leila guardava i fiocchi di neve ca-
tate sulla moquette azzurra mentre Sil-
dere giù dal cielo nero, con i palmi appog-
via, l’istitutrice, accarezzava loro i capel-
giati alle grandi vetrate e il respiro che
li. Mr. Rainshort doveva essersi ritirato
appannava il vetro.
nel suo studio mentre la sua consorte,
Improvvisamente un suono in lontanan-
dando gli ultimi punti sul telaio, alzava
za fece ritrarre per un attimo Leila dal ve-
lo sguardo con disappunto soltanto verso
tro. Passato lo stupore, aguzzò lo sguar-
Silvia, non contenta che le gemelle non
do riavvicinandosi col naso al vetro, ten-
fossero ancora a letto. Ed ecco che arrivò
tando di vedere aldilà della fitta cortina
ancora una volta. Quel suono che sem-
di neve che scendeva incessante. Tutto
brava ghiacciare all’istante le ossa e far
ciò che si riusciva a scorgere era buio,
sanguinare le orecchie. Forse un ululato,
buio totale. Ancora quel suono, poi anco-
78
forse umano. Sul finire diventava acuto,
stridulo, e lì si aveva la certezza che un
era in casa. Scese di corsa le scale e si ri-
uomo non era affatto in grado di emette-
versò nell’atrio. Le orecchie pulsavano
re qualcosa di simile. “Sarà qualche ani-
dal dolore. Spalancò la porta dell’ingres-
male che gironzola nel parco, signorina
so e si ritrovò al freddo, coi piedi nella ne-
Leila.” disse Silvia. No, non poteva esse-
ve bianca. L’ululato era cessato improvvi-
re. Il suono era troppo vicino, troppo!
samente. Si sedette sui gradini di pietra
Jenna portò dell’acqua e tirò con uno
ricoperti di neve con la testa tra le mani.
scatto la pesante tenda rossa.
Era solo nella sua testa. Si, il sonno dove-
Parve passato un attimo quando Leila ria-
va averla intontita e averle fatto immagi-
prì gli occhi e staccò la guancia dalla mo-
nare tutto. Tolse le mani dal volto e una
quette azzurra, ma ormai la sala grande
gocciolina d’acqua ghiacciata le cadde
era quasi buia. Non sapeva quanto aveva
sul palmo. Poi un’altra. L’aria fredda e
dormito ma dovevano essere passate po-
quelle goccioline sembravano schiarirle
che ore poiché gli unici bagliori rossi ve-
le idee. Le osservava cadere una ad una
nivano dal caminetto dove qualche tizzo-
nel palmo della sua mano, probabilmen-
ne non era spento ancora del tutto. Era-
te il ghiaccio sotto la balconata iniziava a
no andati tutti via, probabilmente al cal-
sciogliersi e a gocciolare. Ad un tratto pe-
duccio nei loro letti. Leila ebbe un brivi-
rò una goccia di colore diverso: “sono i
do ricordando quell’orrendo ululato che
miei occhi?!”. Rossa. Gocce rosse, dal-
aveva sentito poche ore prima e, renden-
l’odore acre del sangue. Era proprio san-
dosi conto che stava dando le spalle alla
gue! Alzò lo sguardo terrorizzato e lo vi-
vetrata, sussultò e si girò di scatto verso
de colare dalla balconata. Ripercorse la
il vetro ma… le pesanti tende rosse erano
via a ritroso correndo e irruppe nella sa-
state tirate dai domestici e né il vetro, né
la grande ancora scarsamente illuminata
la neve, né la balaustra del balcone erano
dai quattro tizzoni rossi. I piedi nudi slit-
visibili. Ad un tratto lo sentì. Acuto, ag-
tarono in qualcosa di viscido; alzò lo
ghiacciante e penetrante ancora una vol-
sguardo e li vide. Dapprima solo sagome
ta. Due, tre, quattro volte. Si avvicinava.
che penzolavano dal soffitto, poi distinse
Ma perché nessuno si svegliava? Leila si
meglio i volti delle gemelle, della mam-
alzò di scatto, corse attraverso la sala spa-
ma, del papà e dei domestici. Erano tutti
lancando la porta ed entrando in sala da
lì, con gli occhi vacui della morte, le gole
pranzo. L’ululato si faceva sempre più vi-
tranciate e sanguinanti appese a massic-
cino e assordante. Qualunque cosa fosse,
ce corde che pendevano dal soffitto. La 79
grande vetrata era spalancata e turbini di aria e neve fredda entravano nella stanza. Cadendo a terra, i fiocchi candidi e gelidi si scioglievano nella pozza di sangue caldo.
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B IAN C AN EVE SU I C I D A
Folia) R() Le mani cominciavano a fare male, le dita
“Daiiii, smettila, mi farai cadere!”. Faceva
arrossate, i fumetti di fiato sempre più
il gesto di allungarle un buffetto, lei si
densi. Ogni tanto, mentre rovistava tra le
schiacciava a terra dimenando la coda e
foglie, colpiva un riccio; emetteva allora
un istante dopo si rizzava sulle zampe e
un “ahi” acuto, ritraendo istintivamente
ricominciava a trotterellare allegramente.
la mano, poi sorrideva e la rituffava giù,
Passarono così diverse ore. L’oscurità nel
ad afferrarlo. Con gesti sapienti lo forzava
bosco cominciò a serpeggiare, furtiva, an-
cercando di non pungersi più, il viso in-
nidandosi tra le fronde degli alberi, come
fantile concentrato e ne tirava fuori le ca-
un mantello che piano piano discende dal-
stagne, di quel marrone vibrante, caldo e
l’alto inghiottendo tutto. Banchi di neb-
lucido di sfolgorante autunno. Ne aveva
bia, spettrali, si riunivano nelle piccole ra-
un sacchetto già bello pieno che risuona-
dure che si aprivano tra il folto degli albe-
va appeso alla cintura. Talvolta, accanto a
ri, come piccoli laghi sospesi. L’umidità
lui, si scorgeva passare una nuvola: era
cominciava ad incollarsi addosso, appe-
Minnie, un barboncino bianco come un
santendo i passi e affaticando il respiro.
batuffolo di cotone idrofilo, che, eccitata
Era ora di tornare a casa, era forse già
da quell’inattesa gita, scorrazzava a de-
troppo tardi. “Minnieeeee” chiamò. Si ac-
stra e a manca, inseguendo scoiattoli, uc-
corse di non sentirla da un po’, una mez-
cellini, ma anche foglie fluttuanti e inset-
z’ora almeno, concentrato com’era nella
ti. “Minnieeeee” la chiamava ad intervalli,
ricerca. “Minnieeeeeeeee”. Nessun movi-
quando la sua mente ne registrava l’assen-
mento, nessun rumore. Si rese improvvi-
za protratta; sentiva allora un fruscio, un
samente conto che non si sentiva più un
cespuglio si agitava frenetico e il suo tartu-
solo richiamo tra gli uccelli, non un ron-
fo nero, in mezzo al musetto bianco e viva-
zio, un fruscio. Nulla. Anche la sua voce
ce, spuntava tra le felci e gli correva incon-
sembrava risucchiata dagli alberi, soffoca-
tro, andandosi ad intrufolare tra i piedi.
ta, nel silenzio sempre più pesante. “Min81
nieeeeee!”, quasi un urlo questa volta,
mo sembrava morirgli in gola prima an-
rauco, quasi con rabbia, quella rabbia
cora di uscire: “Min…”. Dov’era finita?
che nasconde il terrore, quando il cuore
Se era lì, perché non rispondeva? Si avvi-
comincia a rimbombare nelle orecchie,
cinava, piano piano, a quel rumore insi-
quando un rimbalzo sordo sembra spin-
stente di foglie secche smosse. Avrebbe
gere le lacrime agli occhi e le mani, sem-
fatto lo stesso rumore lei calpestandole?
pre più fredde, tremano fragili come le
No, forse no, ma cos’altro poteva essere?
foglie in autunno.
Non poteva essere altro che lei, probabil-
Poi uno scivolare di foglie, poco più avan-
mente attratta dalla curiosità per una bi-
ti. Si immobilizzò, totalmente. Anche il
scia tra le radici nodose della pianta, do-
cuore avrebbe fermato e forse si fermò
ve, forse, era rimasta intrappolata.
davvero, per un attimo, per poi quasi
“Mi…”. Si chinò alla base di quell’enorme
scoppiargli in petto. “Minnie?” Un bisbi-
albero cercando di spiare tra le cavità
glio adesso, flebile, un soffio di fiato qua-
che si aprivano tra la terra e il tronco.
si percettibile. Fece un passo avanti. Il
Poi uno scalpiccio alle sue spalle e un
suono sembrava provenire da un albero,
guaito che gli gelò il sangue. Si voltò, im-
davanti a sé. I suoi occhi, sbarrati, cerca-
provvisamente, rischiando un torcicollo.
vano la figuretta familiare, il suo appari-
Eccola, era lì! Fece in tempo a notare il
re festoso, il suo abbaiare indispettito.
suo nervosismo, mentre, sempre guaen-
Cosa fare? Il crepuscolo era già passato?
do, si appiattiva stirando le zampe, inde-
Non poteva lasciarla lì, sola , nel bosco,
cisa se allontanarsi o meno, tremante.
sarebbe morta di paura, lo sapeva, e allo-
“Minnie, che succed..?” Prima che potes-
ra come fare? Di nuovo lo stesso fruscio.
se terminare la frase qualcosa lo afferrò
Di sicuro poco più avanti, presso quel
strettamente alle caviglie facendolo cade-
grande albero, strano, diverso da ogni al-
re con un tonfo, il viso schiacciato tra le
tro: il tronco non presentava chiazze di
foglie. Se ne riempì la bocca nel tentativo
muffa similmente agli altri tronchi, era
di respirare: “Minnie, aiutami!” pianse.
uniforme e nodoso, con profonde fenditu-
La vide, folle di paura, girare in tondo,
re, come una maschera spaventosa. Ma
vorticosamente. Poi un’altra radice lo
di sicuro era da lì che proveniva il rumo-
strinse alla gola e lo trascinò nel buio del-
re. Si avvicinò allora, guardingo e terro-
la terra, mentre le castagne raccolte roto-
rizzato, anche lui ridotto ormai a un pic-
lavano, spargendosi tutt’intorno. Quel
colo animale in preda al panico. Il richia-
giorno, le grandi foglie di quel misterioso 82
PA O L O P E RL I N I - PA N I R L I PE. WO RDPRESS. CO M
Questa fredda ma&ina
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IAIA G U ARD O - M A G H E T TA S TR EG HET TA .IT
La Baronessa Smi*
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La Baronessa Smi* Il corpino era troppo stretto e i sedici
lezza. Il vento faceva muovere quelle sfe-
gancetti stavano quasi esplodendo. Le
re come fossero pianeti sospesi e flut-
stecche sembrano ripiegarsi tanta era
tuanti. Un po’ ubriachi, se è possibile
la trazione e i merletti ben stirati sul da-
pensare che terre volanti piene di alcool
vanti facevano una piega diversa a cau-
siano facili da immaginare.Stava lì, pie-
sa del gonfiore dell’addome. Era stato
na di cibo e vuota di parole. Lui si dice-
un pranzo pesantissimo ma dopo aver
va che fosse a una battuta di caccia ma
digiunato per tre lunghi giorni, in preda
la verità era ben altra e lei lo sapeva.
ad una scocciatura con il marito, il cibo
La baronessa Smith allentò un gancetto
fagocitato velocemente non era proprio
e non era decoroso certamente un atteg-
riuscita a digerirlo. Era rosa cipria l’abi-
giamento di questo genere, ma nella
to, con nastrini che si rincorrevano co-
stanza ormai c’era solo il suo piccolo
me due gattini piccoli sull’erba. Non fa-
Tom che giocava con un trenino di le-
cevi in tempo a capire la trama dell’in-
gno. Il maggiordomo sarebbe entrato
treccio che ti giravano un po’ le pupille.
per portare l’argenteria ma non si sareb-
Era discontinuo ed enigmatico quell’ab-
be reso certamente conto di quell’incu-
bracciarsi di nastro e, mentre il colletto
ria, o perlomeno lo sperava. Tom beve-
rimaneva ben stirato dritto sul collo per-
va del latte da una tazza e rideva gri-
ché almeno quello non si era gonfiato,
dando, ma non troppo, “ciuff ciuff”. Sul
arrivò il maggiordomo.
piatto vicino c’era un piattino ricolmo di
“Tè, Madame?”
biscottini al miele e un altro conteneva soltanto delle briciole. “Dai un biscotto alla mamma, Tom?”I
“Per carità. Piuttosto un po’ di acqua cal-
capelli biondi e ricci di Tom le ricordava-
da con della scorza di limone”.
no quelli di lui. Quando non c’erano bu-
Fuori i ciclamini erano sbocciati e il glicine straripava nella sua ridondante bel-
gie e loro due stavano sotto quel glicine 89
leggendo fiabe al loro piccolo. Come al
rallentatore notò ogni movimento di
vata neanche alla cassa che. Mi ha rac-
quei fili d’oro che fluttuavano come fiori
contato questo. Non la proprietaria che
al vento mentre si avvicinavano a lei.
ha soltanto detto “è appartenuto a una Baronessa Inglese dei primi del 900″.
Il bimbo le porse il biscotto e sorrise.
Me l’ha raccontata la tazza con l’aiuto del
A lei non restò che scoppiare a piangere.
piatto grande e dei dettagli fondamentali
Quando lui si voltò e scomparve.
del piatto piccolo.
Da due anni Tom era morto cadendo da
Devo preparare dei biscotti per Tom e
quell’albero nel mezzo di una fiaba. Da
per la Baronessa Smith.
due anni quei piatti erano senza biscotti e quella tazza senza latte. Quando ho tenuto in mano per la prima volta questo servizio di antiquariato, acquistato qualche sabato fa, non ero arri-
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IAIA G U ARD O - M A G H E T TA S TR EG HET TA .IT
Ch"!ine Fiorio all’angolo. Si fermò a prendere un
simi anni difficile. Non tanto trovare un
gelato allo yogurt. Le piaceva tantissimo.
motivo, perchè non lo aveva, quanto ride-
Era amaro e non stucchevole come quel-
re in sè.
lo delle macchinette che riempiono un
Nella sua cucina, poco distante da dove
cono o una coppetta in quei ridicoli di-
quel buon gelato le rinfrescava il palato
stributori di acciaio ormai sparsi per la
la domenica mattina, scriveva su un qua-
città. Prendeva sempre il gianduja lì; del
derno comprato alla Feltrinelli quello
resto Fiorio era proprio conosciuto per
che le era accaduto durante il giorno.
questo gusto nella città che ormai da anni era anche un po’ sua. Percorrendo la
Aveva salutato la signora Rossi affaccian-
via che l’avrebbe portata al mercato si re-
dosi al mattino per riprendere la roba
se conto di come in fondo non fosse per
stesa. Aveva abbassato un po’ la fiamma
nulla cambiata la zona della Crocetta.
della moka quando stava per salire profu-
Aveva voglia di prendere un clafoutis pe-
mando anche le piastrelle. Aveva deciso
re e cioccolato alla Torteria Olsen. Aveva
di non stirare e continuare ad accumula-
voglia di ricordi e di abbracci che non po-
re nel cesto di vimini dove anni prima
teva ricevere se non concentrandosi mol-
c’erano un panettone, una bottiglia di vi-
to per affidarsi ai ricordi.
no e un cotechino. Aveva poi sistemato la spazzatura da buttare e se era un gior-
Il clafoutis, doveva ammetterlo, non era
no dispari scendeva giù con le buste per
per nulla dissimile da quello che le prepa-
sistemarle nei cassonetti e risalire. Ave-
rava sua mamma quando lei con il vesti-
va riposato su una poltrona e fissato il te-
to azzurro di cotone fatto dalla zia saltel-
levisore spento. Qualche volta aveva
lava con la corda fuori in giardino. I mer-
mangiato un uovo o due fili di spaghetti
letti svolazzavano mentre rideva senza
sconditi aggiungendo l’olio dopo. Aveva
motivo; cosa che le riusciva già da tantis-
visto il programma televisivo deprimen91
te del pomeriggio lasciando scorrere le
grandissima perdita di tempo. Oltrepas-
immagini senza sentire perchè si ostina-
sando alcuni negozietti non si rese conto
va a non pigiare nuovamente sul mute,
di essere arrivata al suo preferito. Pink
messo anni prima, e aveva aspettato la
Martini offriva una vasta gamma di og-
sera.
gettistica davvero particolare per la casa.
Il gelato allo yogurt era proprio una fe-
Non aveva mai acquistato nulla ma era
sta, pensava mentre il sole le bruciava un
entrata molte volte. Eccome se era entra-
po’ la pelle. Per il clafoutis avrebbe dovu-
ta. Le piacevano tantissimo le scatole di
to aspettare. Non poteva lasciarsi sopraf-
latta per i biscotti. Di quelle coloratissi-
fare dall’ingordigia anche perchè doveva
me con tanti omini di zenzero pasticciati
andare a fare colazione come ogni dome-
sopra. La linea di cappuccetto rosso stiliz-
nica mattina nel suo bar preferito.
zata con il lupo pure, perchè le ricordava un quaderno. Esattamente quello di matematica che usava in terza elementare
Si prometteva già da un po’, mentre cam-
quando si era davvero troppo confusa
minava lentamente, di comprarsi un bel
per il cambio di quadretti. Da quelli gran-
paio di scarpe al mercato della Crocetta
di dove il due stava comodamente a quel-
prima o poi. Di quelle che metti solo nel-
li stretti stretti dove il due sembrava esse-
le grande occasioni. Di quelle simili alle
re ingabbiato. Un po’ come quando Alice
bianche di vernice con il fiocco che quan-
beve la pozione e mangia la torta allun-
do avevi dodici anni occorrevano per an-
gandosi e rimpicciolendosi. Proprio così
dare in chiesa la domenica mattina. Rac-
doveva sentirsi quel due, pensava.
coglieva però il denaro della pensione
E pensava mentre meditava se comprare
dentro un barattolo di nutella svuotato e
o no, qualche giorno, quello specchio a
lavato con cura.
forma di mole stilizzata. A lei piaceva
Anche l’etichetta era stata rimossa minu-
moltissimo stare sotto la mole. Alzare il
ziosamente. Prima aveva inserito il barat-
naso all’insù e osservarne la punta. Lo fa-
tolo in un recipiente colmo di acqua bol-
ceva ogni volta che passava di lì. Una vol-
lente e poi con cura aveva atteso che la
ta che era gratis prese addirittura l’ascen-
colla si sciogliesse e venisse via rapida-
sore e respirò un po’ dell’aria di Torino a
mente e in maniera perfetta. Una volta lo
qualche decina di metri da terra.
faceva con il phon, ma era davvero una 92
Fu la stessa volta che poi comprò un li-
ti gli abbracci mancati e di una vita che
bro al Museo del Cinema e che lesse per
ormai di senso ne aveva ben poco.
più di ventitre volte consecutivamente
La spettacolarità del suo Bar Preferito
durante una delle settimane più terribili
era proprio l’arredo e il mobilio e quel-
di tutta la sua esistenza.
l’orologio antico che proprio in cima fis-
Era magra, molto pallida e con i capelli
sa il tempo e lo fa scorrere. Seduta su
legati Christine. Solcava il terreno lenta-
quelle sedie d’epoca mentre si ustionava
mente oltrepassando il suo negozio prefe-
con i bignè, ripensava allo specchio e alle
rito. Non avrebbe mai avuto lo specchio
scatole di biscotti e se avesse preso la let-
a forma di mole e neanche una scatola di
tera.
biscotti; del resto non voleva guardarsi e
Sì perché ne aveva scritto una la mattina.
men che meno mangiare biscotti dentro
Controllò in borsa mentre le veniva servi-
una scatola.
to il bignè ma stavolta non era neanche
L’unico vizio che si concedeva erano i bi-
troppo caldo. C’era.
gnè nel suo bar preferito. Le ricordavano
Lo mangiò pensando che forse era davve-
un po’ la sua Francia, quella che aveva la-
ro il caso di prendere il clafoutis ma poi
sciato ormai secoli fa. Aveva lasciato il
pensò che no. Fissando l’orologio disse
suo vestitino azzurro e le scarpe bianche
no. Non c’è più tempo. Aveva un appun-
di vernice per la chiesa. I sogni di bambi-
tamento Christine.
na e tutte le speranze.
E quindi si alzò. Sistemò la sedia. Sorrise
Sarebbe potuta tornare lì, perchè la figlia
alla cassiera. Si diresse verso il bagno.
aveva deciso di andare via dall’Italia che
Estrasse la pistola del marito defunto. E
ormai era la sua casa, ma appunto per
si sparò un colpo in testa.
questo decise di rimanere qui.
Cento turisti sarebbero arrivati dopo per
I bignè nel suo bar preferito erano buo-
pranzo. Magari avranno comprato loro
nissimi. Erano strapieni di crema. Certe
una scatola di biscotti, dei bignè caldi e
mattine erano così caldi che senza farsi
lo specchio a forma di mole. Christine
notare apriva un po’ la bocca e soffiava
no.
mettendosi le mani davanti per paura di non farcela. Ma le piaceva così tanto. Quel calore in bocca. La riscaldava di tut93
IAIA G U ARD O - M A G H E T TA S TR EG HET TA .IT
Senza Titolo (ma Solo Per Adesso)
Mezzanotte e dodici minuti. Era riverso
Camminò lentamente. Al telefono gli era
per terra. Su un pavimento di marmo pre-
stato detto che avrebbe visto dinnanzi a
giato color avorio scorreva il rosso con
sè la scena più cruenta di tutta la sua car-
pezzi di carne ben visibile. La parte supe-
riera e che forse mai nessuna avrebbe po-
riore non era riconoscibile. Più volte tra-
tuto equipararla in futuro.
fitto e squartato aveva subito barbare se-
Respirando affannosamente si diresse
vizie. Piccoli tagli dapprima per una soffe-
verso quella luce fioca perfettamente ton-
renza cosciente, diventati poi accanimen-
da che intravedeva già nonostante il per-
to per chi aveva provato smisurato piace-
corso fosse piuttosto lungo. A passi volu-
re nel sguazzare tra rossi e schizzi.
tamente lenti cercava di godersi a pieno
Intorno a lui era stato disegnato un trac-
quegli ultimi attimi di calma. Avrebbe do-
ciato con vernice color ocra; un cerchio
vuto concentrarsi al massimo e trascorre-
dove lungo la circonferenza a intervalli
re parecchie notti insonni. Studiare ogni
regolari vi erano dei piccoli lumini acce-
minimo dettaglio e capire gli elementi na-
si. Gli stessi che fiocamente illuminava-
scosti nella scena del crimine che sem-
no il corpo inerme, deturpato e massacra-
pre parlano e gridano verità.
to proprio nell’esatto punto della circon-
Non ci sarebbe stata una colazione insie-
ferenza.
me a lei, lasciata lì che dormiva beata tra
L’ispettore richiuse dietro di sè il cancel-
le loro lenzuola. Niente risate sorseggian-
lo dove stazionavano già gli agenti con lo
do un caffè e progetti per il week end. Un
sguardo assonnato. Avevano mangiato,
caso così importante gli era stato affidato
visto la partita e nei dormitori credevano
proprio perchè, pur essendo a inizio car-
di dover passare un’altra notte priva di
riera, era lui il più bravo e intuitivo detec-
allarmi e chiamate urgenti.
tive degli ultimi anni.
94
Le forze si sarebbero dovute concentrare
rienza chirurgica, fu il primo punto che
tutte su questo caso e, mentre abbassava
trascrisse sul suo taccuino. Lo stesso che
lo sguardo in segno di saluto verso il foto-
mai lo abbandonava. Dove una vita e
grafo e i collaboratori, arrivò lì. Quasi a
quelle delle altri erano state trascritte.
ridosso di quella linea color ocra che trac-
Li conservava numerati nello scaffale ac-
ciava il confine tra la fine di quell’Estate
canto ai libri dell’università. Aveva catalo-
trascorsa troppo velocemente e l’inizio di
gato ogni singola emozione, omicidio,
Settembre con il primo caso. Un po’ co-
estorsione, lista della spesa e regalo per
me il primo giorno di scuola, era arrab-
gli amici. Ogni spesa extra e considerazio-
biatissimo ma al tempo stesso eccitato.
ne riguardo a casi risolti ma per lo più a quelli che al contrario non lo erano stati. Li riprendeva e rileggeva per sezionare le
Volutamente guardò intorno e non all’in-
sensazioni di giorni diversi che scandiva-
terno della circonferenza. Non voleva far-
no la sua vita troppo presa dalla fine del-
si influenzare sin da subito dall’efferatez-
la vita degli altri.
za di cui era stato avvertito telefonicamente da un suo subordinato, già lì sulla
Un’esperienza chirurgica. Un’abilità nel
scena del crimine.
manovrare coltelli.
Tutti si fermarono e in un silenzio surrea-
Girò intorno senza oltrepassare la circon-
le uno scambio di saluti, perplessità e
ferenza color ocra. Si abbassò per vedere
sgomento si intersecò come raggi virtuali
i dettagli all’altezza del cadavere, che con
all’interno della circonferenza.
molte probabilità era stato proprio supino in quella stessa posizione intanto che
Abbassò gli occhi e vide quello che non
il corpo veniva deliberatamente massa-
aveva minimamente immaginato pur
crato, mentre era cosciente e dolorante.
sforzando tutta la sua fantasia. Qualcosa
Per avere la visuale della vittima e del
di assurdamente irreale e pazzesco, fu la
carnefice. Il suo compito non era quello
prima considerazione che tra emozioni
di tracciare in linee generali quello che
mescolate riuscì a fare.
era accaduto lì quella maledetta notte.
La ferocia e al tempo stesso la maniacale
Ma era di notare tutto quello che gli altri
precisione con la quale erano stati inferti
non erano capaci di vedere. Accorgersi
i colpi, non era certamente opera di un
anche del più insignificante dei dettagli.
assassino occasionale. Occorreva un’espe95
Indirizzare gli altri verso piste finora
in un altro momento avrebbe potuto ap-
neanche lontanamente immaginate. Diri-
prezzare il fatto che fosse nonostante tut-
gere quella danza degli orrori e sinfonia
to un’esperienza irripetibile quella di es-
di morte.
sere dentro il Museo più importante al mondo, tra dipinti di inestimabile valore
Lui era il direttore d’orchestra del sonno
e non in ultimo custode del quadro più
eterno e dell’oblio. Guardava fisso negli
importante al mondo. Milioni di indivi-
occhi la Signora Nera e con confidenza le
dui si riversavano lì dentro ogni giorno
portava talvolta la falce. Amici e ossessi-
pur di ammirare anche solo per un atti-
vamente nemici non potevano disfarsi
mo quel sorriso celato tra l’olio e la tela.
l’uno dell’altra.
Quel mistero profondo che tanto aveva
I pezzi verdi tondi erano intorno agli
appassionato studiosi da ogni parte del
schizzi rossi e frattaglie galleggiavano tra
mondo.
fluidi poco riconoscibili. Un agente si av-
Ma non era così oggi. Proprio sotto quel-
vicinò a lui chiedendo scusa. Sapeva di
l’enigmatico sorriso vi era un cadavere
interrompere pensieri e connessioni del
deturpato e spappolato. Proprio lì sotto
grande detective.
il più grande studioso di tutti i tempi era
“Scusi, alla porta c’è la nipote della vitti-
stato barbamente massacrato.
ma accompagnata da un signore. Dice
“Chi è lei? “
che è stato il Nonno a chiamarla giusto qualche ora fa”.
“Cos’è successo a mio nonno? me lo dica la prego”.
I primi tasselli si incastravano nel puzzle della verità. Gli stessi a cui tutti non dan-
“E lei?”, non badando alle parole di quel-
no peso e che spesso sono fondamentali
la bellissima figura abbigliata in maniera
per il prosieguo delle indagini. Senza ba-
estremamente chic, si rivolse alla figura
dare più alle parole dell’agente si diresse
accanto.
verso quell’enorme portone di ferro bat-
” Beh io avrei un appuntamento a quan-
tuto che qualche ora prima aveva solo in-
to pare con il nonno della Sign…”
travisto. Enorme si ergeva davanti a lui. Non potè fare a meno di pensare che i tu-
“Seguitemi”.
risti giornalmente rimanevano abbagliati
Aveva imparato ad osservare le reazioni.
da cotanta bellezza e magnificenza, e che
Aveva capito che non vi era posto per i 96
sentimentalismi e che un caso poteva es-
pisello e addirittura di crosta di riso frit-
sere risolto molto più in fretta non la-
ta l’assassino l’abbia portata con sè”
sciando nulla di intentato o al caso. Non
“Lei si chiederà perchè io non riesca a
esistevano parentele o legami di sangue.
piangere o far trapelare un’emozione in
Non vi era nessuna regola negli omicidi
questo momento. Le dico subito che con
soprattutto se barbari e cruenti come
mio nonno non parlavano da anni. Mi ha
quello che era entrato prepotentemente
chiamato tre ore fa dicendomi qualcosa
nella sua carriera e che, chiaramente,
che mai aveva detto. Di correre da lui
avrebbe potuto cambiarla in maniera inesorabile. Andò avanti e si posizionò davanti alla circonferenza. Non ci fu un urlo e del resto non si aspettava che ci sarebbe stato. La sensazione che la figura chic non avrebbe emesso un suono era stata appena confermata. Non vi era alcun bisogno di prenderne nota. Una certezza assoluta era stata confermata.
e….”
Un “Mon Dieu” dalla voce maschile che
“Abbiamo tutto il tempo per parlarne,
chiaramente celava il tipico accento ame-
Madame…? ”
ricano.
“Madame Ragùell Arancin”
Si voltò per catturare lo sguardo dei due e vide sgomento e raccapriccio. ” Santo cielo, io e Monsieur Arancin era-
“Monsieur Arancin è morto, Madame.
vamo in contatto per un’intervista. Sono
Come può ben vedere massacrato brutal-
nella vostra città per scrivere l’ultimo ca-
mente. Sarà nostra premura catturare al
pito del mio libro. E lui sembrava molto
più presto chi ha compiuto questo delit-
interessato”
to. Il ragù è ovunque e molti piselli non sono ancora stati trovati. Abbiamo ragio-
“So perchè è qui Mister Spinac Arancinò,
ne di credere che qualche pezzo di ragù e
ho letto tutti i suoi libri sulla simbologia delle Pizzette. Allontaniamoci da tutto 97
questo ragù spappolato per terra e parliamo seriamente di tutto quello che è accaduto nelle vostre ultime ore ”
Fine Primo Capitolo.
98
IAIA G U ARD O - MA G H E T TA ST RE G HET TA .IT
Racconto Numero 234242423423 : Po% O No? Si abbottona la giacca e stringe la sciarpa
Si abbottona la giacca con la sua bocca
sino a soffocare. Le mani coperte da ridi-
impastata di grumi perchè non è che non
coli guanti, che forse sono davvero a pois
ci fossero nella schifosa bevanda. Forse
e confezionati a mano, cercano ancor più
andava setacciata? Sarebbe il caso di tor-
riparo tra le tasche dove c’è un biglietto.
nare indietro e perlomeno chiedere spie-
Letto sorseggiando una cioccolata nean-
gazioni riguardo al setaccio o la priorità
che troppo calda in quel bar dove fanno
assoluta doveva essere chiederle il per-
la torta di mele più orribile. La crosta è
chè non fuggisse via da quelle panchine
burrosa sì, ma è irrimediabilmente cruda
sgualcite e da quella divisa troppo stret-
ogni volta. E in quel vetro ormai troppo
ta, perchè nonostante fosse davvero im-
sporco, vicino a poltrone simili a panchi-
mangiabile nei momenti di sconforto
ne ricoperte in pelle bianca in pieno stile
quella torta di mele cruda alla base con
anni cinquanta, non si vedono bene le
un ripieno schifosamente lezioso era
giostre. Le stesse che giravano velocissi-
l’unico modo per volersi bene. No. Non
mamente tra luci e urla durante la stagio-
aveva il tempo per il cacao setacciato, la
ne estiva. Si chiede se le luci cambino in-
torta di mele e la cameriera affranta. Ma
tensità durante le diverse stagioni men-
non aveva neanche il tempo per pensare
tre ingoia quel cacao amaro scadente da
al perchè si trovasse lì. Nello stesso iden-
supermercato, pieno di pretese nel me-
tico posto dove un anno prima era suc-
nù. Cioccolata calda speziata. Da cosa, si
cesso.
domandava, guardando la cameriera
Si abbottona la giacca e mentre il sapore
ormai stanca del suo turno, vita e compa-
dei pop corn e il rumore delle risate sem-
gno che l’aspettava a casa giusto per farsi
bra che gli girino intorno come girotondi
aprire una birra forse ancora più scaden-
di incubi e ricordi, con passo deciso si av-
te di quella brodaglia. Altro che feromo-
via in quell’angolo dove adesso c’è soltan-
ni. Un’improvvisa depressione e azzera-
to un motorino dismesso dal colore im-
mento delle capacità cognitive. I soldi
proponibile come i pois dei guanti. Ma
più mal spesi della giornata e fuori.
sono davvero dei pois? C’era un gioco 99
con delle bottiglie. Lanciavi un cerchio e
una differenza sostanziale tra di loro. Me-
se centravi la bottiglia il pesce rosso era
glio cane che gatto. Quest’ultimo avreb-
tuo. Il pesce rosso lo voleva disperata-
be mangiato il pesce e i sogni mentre il
mente perchè quando era giovane in ca-
cane no. Un presagio di ottimismo.
sa era proibito segregare un cosino con
Si sbottona la giacca.
le branchie in meno di venti centimetri quadrati. Vincerlo alle giostre era un pre-
Si sbottona la giacca e si spoglia dei guan-
testo per salvarlo e mentre il piano diabo-
ti che non si è ancora capito se siano a
lico di possedere un pesce rosso prende-
pois mentre il cane è ormai vicino alla
va corpo tra urla di gioia ed esortazioni a
spazzatura e rifiuta la torta di mela butta-
provare lo specchio magico poco distan-
ta dalla cameriera, che ha deciso che da
te, rideva. Rideva e sognava. Centrava
quella sera è a dieta, per poi ricomincia-
bottiglie e andava all’obiettivo. Realizza-
re l’indomani mattina dopo essere torna-
va sogni chiusi in venti centimetri qua-
ta nella stessa casa e nella stessa vita con
drati e sì. Era assolutamente un momen-
lo stesso uomo senza rispetto. E con la
to di potere assoluto.
giacca sbottonata si tira un po’ i capelli come fa nella sua stanza senza nessuno
Si abbottona la giacca senza aver mai pos-
e.
seduto un pesciolino rosso e uno spazio di sogni riempito di acqua mentre osser-
E piange. Nello stesso posto dove lei non
va le sue scarpe con quella ridicola punta
c’è più. Dove non ha vinto il pesce per lei
tonda perchè è l’anno della punta tonda.
e dove non le ha fatto assaggiare quella
Gioca con le parole e punta puntando co-
cioccolata schifosa. Avrebbero riso e spu-
me uno scoiattolo e punta fiche su un ta-
tacchiato grumi. Erano talmente diver-
volo da gioco puntando un pesciolino ros-
tenti il ridicolo e lo schifo della vita con
so. Giocandosi sogni. La temperatura è
lei. Sgozzata dall’amore e recisa nelle ar-
davvero bassa e quando si gira la came-
terie dei sogni. Quando un uomo piccolo,
riera entra in una Ford scassata che bor-
ma proprio piccolo, vestito da clown ha
botta come un vecchio tradizionalista da-
corso velocissimamente verso di loro.
vanti a un ragazzotto tatuato che sarà
Senza fermarsi. Gridando. Urlando. E da-
drogato. Di vita o disegno poco importa.
vanti alla gente impazzita dalla felicità
Un cane passa e fissandosi negli occhi ca-
per il giro sul Tagadà le è saltato addos-
piscono entrambi che quella sera non c’è
so. Sgozzandola. Tagliandole la gola. Fa100
cendo esplodere fiotti di sangue tra bottiglie spaccate e non più centrate e pesci morti come i sogni su un terreno insaguinato. E lui era rimasto lì. A guardare la furia omicida senza occhi di una parrucca più alta del mostro che la indossava. Riccia e rossa. Mentre il cerone bianco colava e si mischiava al sangue. Chiedendosi se quei due colori formassero pozze di sangue grandi come i pois dei guanti che avrebbe indossato esattamente un anno dopo. Erano di lei. Ma erano pois o no?
101
IAIA G U ARD O - M A G H E T TA ST R EG HET TA .IT
Senza Titolo Non aveva voglia di prepararsi la colazio-
smi spinti e non sense che avrebbero do-
ne mentre “For Your Babies” dei Simply
vuto preoccupare i parenti e amici più
Red lo riportava ai suoi diciotto anni.
prossimi.
Scendeva da una fiat 127 color panna sot-
Non aveva voglia di lasciare riposare la
to la pioggia per entrare in una pizzeria
pastella, spremere le arance fresche tro-
come ogni sabato sera quando con le sue
vate a Porta Pila e lasciare dentro il la-
diecimila lire poteva concedersi ogni sor-
vandino il pentolino rosso sporco, appic-
ta di bagordi. Non aveva voglia di prepa-
cicoso e puzzoso. Chiedendosi come quel-
rarsi la colazione nonostante la ricetta
l’invasata facesse per ogni suo post e se
dei pancake al the matcha, scovata in
nella cucina della suddetta ci fosse
uno stupido food blog che non si defini-
quell’olezzo. Un giorno lo aveva fatto
va tale, gli piacesse moltissimo. Incredi-
senza premurarsi di versarci dentro un
bile come l’incontro delle uova con la fari-
po’ di aceto come gli aveva consigliato la
na e il latte potesse generare diverse for-
nonna. Ormai lontana non soltanto geo-
me di sapore. Incredibile come l’uovo rac-
graficamente. Era una vecchia stolta e
chiudesse in sè, oltre che l’essenza della
impicciona. Al diavolo la buona creanza.
vita stessa, gusti sempre diversi anche
Le soddisfazioni lavorative del nipo-
quando non veniva mischiato. Incredibi-
te non le interessavano tanto quanto gli
le come l’autrice di quel blog fosse tanto
importanti riconoscimenti che ne erano
stupida con i suoi
conseguiti. Voleva solo infilarsi uno stra-
sbaciucchiamenti. Maghetta Streghetta,
maledetto ridicolo tailleur comprato in
o qualcosa di dannatamente e insoppor-
un negozio di secondo ordine perchè la
tabilmente simile. Per qualche oscura ra-
pensione era quella che era e
gione però gli piaceva leggerla. Con i
ubriacarsi sul prato del locale dove si sa-
suoi costrutti grammaticali errati, oniri102
gosce della notte precedente sembravano essere lontane come i ricordi felici della vecchia nonna. Quando ancora era una tenera signora attempata che sfornava dolci di riso al sapore di miele e ricavava tagliolini freschi dopo aver steso con maerebbe tenuto il banchetto di nozze ago-
stria lenzuola di pasta apparecchiando e
gnato. Avrebbe infilzato i tacchi, con i
imbandendo tavole chilometriche. Eppu-
quali non era solita camminare, lungo
re voleva proprio cedere alla voglia di
quell’umido terriccio e girovagato dicen-
pancake o lievitato dal sapore dolce , ap-
do ” e mio nipote si è finalmente sposa-
pena sfornato e caldo.
to! Non ci sperava più
“Piazza Solferino”. “Vada per Piazza Sol-
nessuno!”.Avrebbe lasciato un commen-
ferino”. Proprio all’angolo c’era un bar
to anonimo a quella Giulia, Maghetta
che instancabilmente sfornava ogni sorta
Streghetta o come diavolo si chiamasse,
di cornetto. Vicino c’era il Brek. A quindi-
per chiederle se lei mettesse l’aceto nella
ci anni mangiava spesso lì perchè faceva-
pentola dopo aver cucinato uova. Ed al-
no una bistecca buonissima che adesso
tre due curiosità che lo attanagliavano.
chiamano entrecote per darsi un dono. Il
Una su tutte: come diavolo facesse a pre-
ripieno del cornetto non era eccessivo e
parare tutti quei dolci senza mai assaggiarne uno. Così diceva.
trabordante ma neanche povero e tirchio
Vi era luce briosa quel mattino, segno
inaspettati gusti giornalieri come la casta-
che ormai la primavera con la sua ora ru-
gna di Cuneo, Fragolina di Tortona e pe-
di zuccheri, di solito. Molteplici ripieni e
bata era prepotentemente giunta. Le an103
un sorbetto al fico forse non sarebbe stato neanche tanto male. Al diavolo. Era sottopeso e poteva concederselo. Non c’erano castagne di Cuneo, Fragoline di tortona e pere madernassa. Non c’era neanche qualcosa di nocciolato come piaceva a lui. In compenso, non se ne conosceva bene ra madernassa lo decretavano il “miglior
la ragione, si erano lanciati in dei gusti
bar dove prendere un cornetto quando
multivariegati dal sapore siculo. L’ultima
non hai voglia di sporcare pentole al mat-
tendenza, soprattutto in fatto di gelati,
tino”. O una cosa anche più sintetica.
imponeva qualsivoglia forma di pistac-
Leggere quella siciliana fumettista stava
chio di Bronte in tutte le salse , Mandor-
forse compromettendo il suo modo
la di Siracusa/Palermo/Catania/Messina
di rapportarsi alla grammatica italia-
e Capperi di Pantelleria. Certo che un
na?Il suo lavoro al Museo di Antropolo-
cornetto con questi ultimi sarebbe stato
gia all’Università in via Accademia Alber-
quantomeno più invitante del resto ma
tina, dove stava conducendo degli studi
rifiutò l’idea. La mandorla era eccessiva-
di rilevanza internazionale, gli concede-
mente nauseabonda per i suoi gusti e di
va talvolta dei fortunati ritardi mattutini.
pistacchio proprio non ne poteva più. Do-
Avrebbe quindi potuto assecondare quel-
veva già sorbirlo durante le otto ore di la-
la voglia certa di guardare Palazzo Mada-
voro perchè il suo collega siciliano non
ma e prendere un pezzo di focaccia ligu-
faceva altro che farsi pervenire spedizio-
re sotto il portico pensando al pranzo
ni di pistacchio e paste di mandorle;
che sarebbe seguito da lì a poco se non si
puntualmente rifilava senza troppi conve-
fosse dato una mossa. Gli avrebbe fatto
nevoli aneddoti familiari e culinari. Il
bene passeggiare giusto un po’, pensò. E
perchè li cedesse così volentieri la diceva
se fosse tornato indietro da Vanilla per
lunga sulla voglia di chiacchierare e blate104
rare piuttosto che ingurgitare. Eppure a
che ultimamente si concedeva online.
lui piaceva mostrarsi affabile e gentile
Quella ragazza doveva trasmettere follia
giusto per allontanare il concetto di fred-
attraverso l’etere ed essere capace di an-
dezza nordica tanto cara al collega del
nientare neuroni.
sud; lo stesso che con molte probabilità
“Un cornetto vuoto”, disse dopo aver fis-
sarebbe morto per un indice glicemico
sato quei vassoi con talmente tante sfo-
troppo alto entro i prossimi dieci anni.
glie arrotolate da ricoprire la distanza
Erano le statistiche e il sovrappeso di co-
Piemonte -Sicilia. Avrebbe potuto percor-
stui a confermare l’ inquietante tesi, non
rerla velocemente per il funerale, si dis-
certo la sua algidità o falsa cortesia. Si
se. Si sarebbe poi potuta lastricare con
era chiesto spesso se avrebbe dovuto ba-
panetti di pasta di mandorle e fare trat-
ciare tutti i parenti venuti dal sud o se a-
teggi della segnalatica stradale con pistac-
vrebbe dovuto andare lui stesso con un
chi. Mentre mentalmente costruiva auto-
last minute. Dava la colpa di questa fervi-
strade lunghe mille e ottocento chilome-
da e assurda immaginazione alle letture 105
tri, chiedendosi se il ponte sullo stretto
messa di intralcio anche quella mandria
potesse essere un enorme gianduiotto,
scomposta di invasati.
era già davanti a Palazzo Madama. Le im-
La Signora, prima capitale d’Italia, era
palcature erano state tolte e la finestra
già da un po’ di mesi asseddiata da stolti
dell’ultimo piano era aperta. Proprio do-
e creduloni turisti che dopo aver letto il
ve ci si può sedere tra quadri seicente-
fantomatico best seller, arrivato in cima
schi sotto lampadari di cristalli e rigirare
alla classifica superando addirittura Cot-
cucchiaini dentro tazze orrendamente
to e Mangiato, si riversava per Piazza Ca-
belle. L’idea di farci un angolo caffè in
stello in cerca di materializzazioni di
quella meraviglia che affacciava proprio
Mummie; nella speranza di intravedere
su Palazzo Reale era stata l’ennesima ri-
Cleopatra in coda da Grom per la scelta
prova che il buon gusto fosse appartenes-
del gusto del mese. Aveva già assistito ba-
se alla città regale per eccellenza.Torino,
sito a quei ridicoli tour al Louvre. Sedu-
non solo sua città natale ma rappresenta-
to su di una panchina fissava donne con
zione del suo essere, la conosceva a me-
calze a fiori e uomini con sandaletti fare
nadito. Ogni angolo, strada e incrocio
la conta su mattonelle. Talvolta credeva
aveva un aneddoto, una storia, una cro-
che qualcuno avrebbe estratto una pietra
naca e un ricordo.
dalla tasca e cominciato a zompettare su
Bramava un po’ di tempo da trascorrere
un piede soltanto, in cerca così del Sa-
così. Con un cornetto vuoto, progettando
cro Graal. Allora stava giusto conducen-
autostrade di pasta sfoglia e prendendo
do un’indagine in trasferta dai cugini Pa-
appunti sul suo ipad giusto per usare l’ap-
rigini. Immaginare gli individui in sanda-
plicazione ANote. Non poteva farne più a
letti con cerchietti di topolino il giorno
meno. Aprire cartelle colorate, associare
dopo sul trenino di EuroDisney gli provo-
icone e dividere per tipologia i pensieri
cava oltre che fastidio fisico anche irrefre-
random, le idee e qualsivoglia cosa frul-
nabili conati di vomito. Torino, custode
lasse a velocità dodici nella sua mente.
del Museo Egizio più importante nel
Purtroppo però oltre all’ingente mole di
mondo e possessore di papiri talmente
lavoro, le paste di mandorla da ingerire
numerosi da superare addirittura il Cai-
fatte pervenire dalla Sicilia e la collabora-
ro, era divenuta moda e meta già dal Na-
zione con il Museo dell’Anatomia si era
tale appena trascorso. Periodo in cui purtroppo gente che generalmente non apre 106
se finanziato tutto questo non era dato sapere. Muhammad Anwar al-Sādāt , presidente Egiziano e nobel per la pace, si era davvero molto battuto affinchè tutte le mummie sparse nel territorio mondiale potessero ritornare in patria. Aveva iniziato delle vere e proprie azioni diplomatiche, improntate alla massima cortesia, presso le ambasciate dei vari paesi proprio per aver indietro gli antichissimi an-
un libro si ritrova un rettangolo confezio-
tenati. Che la sua lotta fosse ricominciata
nato con tanto di fiocchetto insieme a del
e il suo nome riconosciuto grazie al pri-
torrone e un panettone. E che fai? Lo leg-
mo posto di un fantomatico best seller se-
gi. E cosa scopri? Che l’anima delle Mum-
guito da Cotto e Mangiato suppongo fos-
mie si è impossessata di alcuni abitanti
se lontanissimo anche per una mente fer-
di Torino e infesta la città. C’è un investi-
vida di immaginazione.
gatore, cinque/sei vittime, la bionda di turno, l’eroe e il pazzo che sa
Da secoli uomini e donne insospettabili
tutto.Comincia un’avventura thriller con
soprattutto di cultura elevatissima si era-
mummie fantasma, acrobazie da far im-
no dedicati ad una vera e propria masso-
pallidire Tom Cruise in Mission Impossi-
neria esoterica fregiandosi del fior fiore
bile, tre date e quattro riferimenti storici
dell’intelletto dei massimi esponenti del-
errati e l’autore è già nel suo attico a
la conoscenza egittologica. La fratellanza
New York a fissare vetrate e senza sfor-
di Luxor, su tutti. Commercialmente par-
zarsi più di tanto perchè il seguito si è
lando si era proprio innescata una sorta
scritto da solo. Basterà dire il doppio del-
di adesione virtuale. Tutti erano diventa-
le minchiate e il gioco è fatto.
ti improvvisamente egittologi e durante la pausa pranzo si parlava di Tombe, pro-
“Il cammino di Sadat”, movimento emer-
cessi di mummificazioni e perchè no: At-
gente, era un’associazione composta da
lantide. Non era difficile bere un bicerin
egittologi o presunti tali, premuratisi ad-
estivo da Gobino fingendo di aver tra-
dirittura di fondare un vero e proprio
scorso l’infanzia studiando i geroglifici
gruppo stabile con tanto di incontri, di-
giusto per darsi un tono.La storia preferi-
vulgazioni e dispense gratuite. Da chi fos107
ta dalla mandria di invasati era la seguen-
tature e le diverse fasi del processo. Espe-
te: le mummie dovranno prima o poi
rimenti all’avanguardia capaci di trovare
tornare in Egitto fermando quanto pri-
ennesimi quesiti e non risposte. Per que-
ma lo scempio di profanarle impune-
sto motivo avrebbe preferito pensare a
mente perpetrato finora, in quanto non
quell’autostrada di pasta sfoglia lastrica-
solo tombe ma luoghi sacri capaci di spri-
ta di panetti di pasta di mandorla piutto-
gionare forze malefiche. Era chiarissimo
sto che subire continuamente a discus-
che a preoccupare la popolazione mon-
sioni di questo tipo. Involontariamente
diale non fosse tanto la profezia Maya
era finito in un circolo vizioso. Giornali-
quanto la profanazione delle tombe egi-
sti, curiosi e semplici rompipalle perdi-
zie. All’alba del 2012 l’unico argomento
tempo attentavano costantemente al suo
pareva essere quello di inventarsi un
lavoro. Gli richiedevano interviste e veni-
modo alternativo per far finire il Mondo.
va addirittura invitato ad imbarazzanti
Bastava solo leggere la cronaca mondia-
talk show disposti a tutto pur di una sua
le. Ci avrebbe pensato Gheddafi, del re-
dichiarazione.Nei salotti di questi pro-
sto.
grammi di informazione, capaci di intrattenere i decerebrati in maniera eccelsa,
Erano diventati tutti esperti della religio-
si alternavano scrittori, esoteristi, egitto-
ne egizia, dopo letture su Bignami di “la
logi e un’ imbarazzante sfilza di titoli im-
storia di Egitto in tre comode pagine
provvisati. Anche gli ufologi partecipava-
riassuntive”. Rivendicavano come tutto
no perchè si sa che gli ufo c’entrano sem-
fosse incentrato sull’anima del defunto e
pre alla fine.
il rispetto per questa e di come il popolo Egizio fosse ossessionato dall’idea della
Il tutto era riassumibile in questa squalli-
morte. Lo studio condotto nella sezione
da considerazione “Coloro che violarono
dove lavorava conduceva proprio una
le tombe dell’antico Egitto hanno libera-
ricerca sugli Egizi Ariani, razza inaspetta-
to le forze malvagie nel mondo. Queste
tamente bianca con caratteristiche com-
influenze non possono far altro che reca-
pletamente diverse da quelle che normal-
re danno all’universo tutto fino ad in-
mente si è abituati ad associare all’enig-
fluenzare persino il destino e le sorti del-
matica popolazione. Mediante processi
l’umanità intera. Gli uomini non hanno
inversi a quelli della mummificazione ve-
protezione contro queste forze perchè in-
nivano analizzati cellule sanguigne, den-
visibili e potentissime. Non si devono in 108
maniaco delle paste di mandorle che era sicuramente pronto a raccontargli il week end trascorso in chat con la famiglia al completo, la quale aveva deciso di non trasferirsi nell’algido nord preferendo la temperatura mite e il bordello visivo. Il giornale, mal piegato da un utilizzo non esplicitamente concesso al collega con la testa troppo grande per contealcun modo toccare queste le tombe per-
nere un cervello evidentemente troppo
chè la natura psichica di esse è incom-
piccolo, in copertina riportava la notizia
prensibile ai più. Bisognerà quindi far
che un giovane orientale era stato brutal-
confluire tutta questa negatività sprigio-
mente assassinato. Pare che il giovane
nata e riportarla nel tempo e nel luogo
per diletto si interessasse a tutto quello
dove vi era la luce, un tempo. Tutte le
che fosse inerente all’Egitto ma che
mummie dovranno tornare in Egitto”. Il
non era in alcun modo legato al Cammi-
Cammino di Sadat lottava giustappunto
no di Sadat o associazioni fanatiche deri-
per questo.
vate dal fantomatico best seller. L’ultimo avvistamento era avvenuto al Wasabi,
E lui era proprio uno di quelli che “profa-
noto ristorante giapponese. Probabilmen-
nava le tombe” giornalmente e sprigio-
te la vittima aveva subito l’aggresione al-
nando quindi forze malvagie durante
l’uscita dal ristorante. Il suo corpo era
l’ora di ufficio. Bella storia, diceva con
stato ritrovato, a distanza di molto tem-
l’intenzione di sbattere violentemente la
po secondo le prime indiscrezioni, davan-
fronte su uno spigolo appuntito.
ti al “Cambio”. Completamente mummifi-
Il cornetto vuoto della colazione sembra-
cato. Seguendo tecniche specialistiche
va essere più raziocinante di tutto que-
poco diffuse che solo uno specialista
sto.
avrebbe potuto mettere in atto.
Arrivato in quello che era difficile defini-
Uscì dall’ufficio alle nove, dopo una gior-
re il suo ufficio perchè assediato da centi-
nata estenuante con paste di mandorle,
naia di individui con fotocamere e teleca-
e ordinò petto di pollo con semi di papa-
mere, dopo aver salito le scale schivò il
vero e macaron salati con dadolata di po109
modorini al “Cambio”. Andò a mangiare proprio lì; nonostante quello che era successo lo storico locale sito vicino al Museo Egizio era aperto. Pare che il giovane Yusuke avesse mangiato dei Soba al the matcha al Wasabi. Il giovane Pierre pare non desiderasse più i pancake al the matcha ma Macaron Salati al Cambio. Squillò il telefono. L’uomo con la testa troppo grande per contenere un cervello evidentemente troppo piccolo, ovvero quello che aveva senza esplicito consenso letto il suo giornale lo stava chiamando. “Pierre ma quello morto ammazzato mummificato non era lo stesso giapponese che un mese fa aveva chiesto di poterti parlare? Eravamo al wasabi insieme in pausa Pranzo. Ricordi?” Pierre lo ricordava, eccome. Sorrise e riagganciò liquidandolo senza troppi convenevoli.
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IAIA G U ARD O - M A G H E T TA S TR EG HET TA .IT
Soba Al Tè Matcha
fi improvvisi sul volto. Si restava atterriti dal bagliore dei suoi occhi che scivolava-
Otake, l’okasan, ben sapeva come la fa-
no come seta lungo i movimenti terreni
ma della bellezza di Yumiko aleggiasse
che sembravano non appartenerle. Yu-
in tutto l’arcipelago proprio come i petali
miko spostava l’aria mentre i pesanti
di ciliegio portati dal vento. Il candore
okobo sembravano sollevarsi da terra
della sua pelle e quel profumo inebriante
fluttuando. Il suo collo scoperto e chino
della sua arte erano violenti come schiaf111
mentre con leggiadria versava il the era preda di pensieri impuri e terreni. Un nido corvino per capelli come a trattenere gru che non possono volare e un corpo coperto sino ai piedi con pregiatissimi tabi. Una corazza di beltà che ne racchiudeva, seppur solo impossibile pensarlo, altrettanta al suo interno. La modulazione del respiro non era mai stata esercizio. Avida raccoglieva aria a sè, come fossero attimi di esistenza e comprensione. Golosa della conoscenza e desiderosa di cultura fissava il vuoto oltre le pareti dove alcuni ukiyoe raffiguravano ciò che molte donne erano state prima di lei.
Otake ben sapeva che a Yumiko non im-
pivano che il vento del tempo avrebbe
portasse la fama della bellezza, ma aves-
portato via quell’effimero estetico. Yu-
se bensì solo fame di bellezza. Non le in-
miko non voleva essere amata e possedu-
teressevano i gioielli ed i doni che ricchi
ta da chi vedeva in lei un albero di cilie-
e facoltosi uomini, talvolta con la loro impudicizia mentale, portavano tra le ma-
gio in fiore durante l’Hanami.
ni. Vogliosi di avere quel collo scoperto e
Apprezzarne le radici e i pezzi rinsecchiti
chino solo per loro, promettevano case
che sarebbero caduti devastando il ricor-
sontuose e scarpe occidentali. Trucchi
do della fioritura.
lussuosi e ventagli di madreperla preziosi con i quali soffiare un presente che sarebbe diventato passato. Yumiko non sa-
Taciturna quando non ammaliava con i
rebbe stata più una geisha. Al contrario
suoi racconti, canti e danze ipnotizzanti,
di quell’angelo di bellezza, pensava fis-
era solita dedicarsi all’arte dell’origami
sando le stampe oltre la finestra, non ca-
nella solitudine di quella stanza, smessi 112
pe nella stanza senza curarsi di aver interrotto la nascita di un’ala monocolore con possibilità di multiple tonalità tipiche della farfalla. Proprio come aveva fatto con la vita di Yumiko irruppe senza curarsi di trattenere quel collo scoperto e chino al chiuso di un’esistenza.
gli abiti tradizionali. Con leggiadria, per-
Yumiko posò la ciotola dei soba e la fissò
chè le apparteneva anche nella solitudi-
con occhi supplichevoli perchè qualora ci
ne, versava del the verde dentro i soba
fosse stato un visitatore fuori orario lei
che l’avrebbero scaldata. Alternava il ru-
proprio non era pronta a rinunciare al
more del risucchio del brodo ad un fru-
suo tempo. Dovette però ricomporsi e an-
scio lento emesso dalla carta. Amava gli
dare. Una modernità che una vera geisha
origami di animali. Era riuscita a farne
che possedeva l’iki non poteva certamen-
di impossibili. Con la febbre altissima e
te tollerare. Quella maschera non avreb-
del tempo di avanzo, persino un drago.
be potuto trattenere la voglia di non essere lì.
Un lunghissimo drago che ancora adesso la fissava dal tatami poco distante. Era la
Lasciando soba arrotolati come sogni e
farfalla quella che le dava maggiori diffi-
ali di farfalla incapaci di volare. Proprio
coltà nella lavorazione. Mai nessuna far-
come la sua esistenza e il suo futuro. Si
falla riusciva ad essere credibile ai suoi
diresse nella sala della vestizione incitata
occhi e mentre cantava con voce capace
a movimenti celeri ma che tali non pote-
di fermare il tempo, freneticamente rigi-
vano essere.
rava quella carta monocolore che spera-
Il tempo non era importante per quello
va assumesse all’improvviso colorazioni
che si dimostrò essere un visitatore giova-
multiple come le tonalità tipiche delle ali
nissimo e timido; di certo facoltoso e ab-
di farfalla.
bigliato con vestiti dal taglio
Otake irruppe nella stanza senza curarsi
occidentale. Le raccontò senza troppi pre-
di avere fatto cadere il drago che la fissa-
amboli come la sua vita fosse vuota e
va dal tatami poco distante. Otake irrup-
quanto l’effimero governasse ormai l’esi113
na caduto a terra rompendosi. “E’ solo un pettinino”, disse Yusuke. Un altro visitatore si sarebbe certamente preoccupato di rassicurarla promettendole che se solo avesse voluto avrebbe potuto avere tutti i pettini che desiderava. Se solo avesse voluto, al sorgere del sole lui stesso avrebbe costruito milioni di pettinini. In cambio del suo collo per sempre. In camstenza altrui. Divagò sulla maleducazio-
bio delle sue ali e dei suoi sogni arrotola-
ne di essersi presentato in quel modo,
ti come soba chiusi in una stanza.
servendosi del vile denaro come scudo.
Ma per Yusuke un pettinino rotto per ter-
Approfondì come fosse la prima volta
ra valeva quanto per Yumiko. Nulla. A
che abbisognava di una boccata d’arte con sembianze umane e di come l’amicizia con Otake fosse utile. Un incon-
Yusuke importava più raccontarle di come gli piacessero i soba al the matcha e di come sua nonna glieli preparasse sem-
tro con Yumiko avvenuto abusando di tutto quello da cui voleva fuggire. In una contrapposizione di tonalità di volontà e intenti.
plicemente lasciando cuocere il grano saraceno in una pentola, che sembrò materializzarsi tra il legno di quella stanza tradizionale che non aveva più pareti ma fi-
Parve strano a Yumiko non rimpiangere
cus. Che non aveva più tetti ma nuvole e
la fine della sua porzione di Soba mentre
piccoli rami di Sakura sporgenti che qua-
vicino al braciere cominciava a prepara-
si si impigliavano in quel nido di capelli
re il the. Il suo collo non aveva attrattiva
corvini mal arrotolato dalla fretta. Del re-
alcuna per quel visitatore improvviso.
sto nessuno aveva potuto aiutarla.
Yusuke si chiamava. Si congedò senza promettere futuri, pettiE il piatto preferito di Yusuke erano i so-
nini e ritorni. Andò via dicendo di aver
ba al the matcha. Yumiko lo scoprì pro-
voglia di ”Soba al the matcha”. Yumiko
prio mentre versava il the e porgeva la
pensò che uscendo dalla porta avrebbe
tazza con entrambe le mani accorgendosi
voluto seguirlo. Seguirlo per intraprende-
che il pettinino con le perle rosa era appe114
solo frutto di una abitudine credere che fosse sempre perfetta e che in realtà Yusuke fosse indignato da tanta inaspettata inutilità. Accennò un sorriso prima dell’inchino. Nascosto da un rossetto troppo rosso che nascondeva un roseo invalicabile agli occhi altrui, Yumiko non lo seguì e non lo trattenne. Mandò giù i soba freddi dopo averli fissa-
te un percorso che li avrebbe portati den-
ti come fosse un acquario di sogni trave-
tro un enorme ciotola di sogni arrotolati
stiti da pesce travestiti da soba. Muoven-
verdi; parlando di come il verde talvolta
doli come a volerli stuzzicare per far com-
faccia paura. Inseguirli, afferrarli e realiz-
piere loro movimenti. Alla rinfusa talvol-
zarli. Magari insieme.
ta come burattini altre ancora. Senza sa-
Altrimenti pensò che avrebbero potuto
pere bene cosa farne. Se inghiottirli, rigi-
rimanere lì e semplicemente tornare in-
rarli ancora o fissarli. Si chiedeva se
dietro. Afferrare la mano di Yusuke e por-
avrebbe potuto deglutire a causa di quel-
tarlo lì. Nella stanza dove da sola cercava
l’intreccio dentro la gola che aveva forma-
di costruire ali di farfalla e dove vi erano
to un pesce-soba-sogno risalito in super-
proprio dei Soba al The matcha. Avreb-
ficie. Sotterrato, abilmente nascosto e ri-
be potuto offrirgliene giusto una porzio-
pudiato in angoli di stomaco. Quello di
ne dimezzata perchè ci si può acconten-
avere una famiglia. Di abbandonarsi ad
tare anche dei sogni a metà. Ci si può ac-
una vita che sapeva non le sarebbe appar-
contentare anche di quelli dell’altro sen-
tenuta.
za i propri se solo le pareti cadono, il tetto scompare e il chiuso diventa aperto proprio come era accaduto non troppo
Avrebbe potuto chiedere ad Otake chi fos-
tempo prima.
se Yusuke. Implorandola di. Ci sarebbero state urla, rimproveri, rimpianti o rassegnazioni, felicità e futuri diversi. Il ru-
Yusuke ringraziò per quell’imprevista ce-
more della carta accompagnava le note
rimonia del the e per i ricordi che ne era-
finali di questo canto della buonanotte
no scaturiti. A Yumiko parve addirittura 115
nava, forse ancora in cerca di soba al the matcha. Ogni sera Yumiko non riusciva ad avere delle ali e lasciava mezza porzione nella speranza di condividerla con qualcuno. Nella speranza di rimanere affamata a metà nel caso lo avesse dovuto seguire. Ma non accadde niente. Ogni giorno diventò copia del precedente. Ogni sera Yusuke non tornava. Ogni sera non si ripresentava, mentre la farfalla non riusciva ad avere delle ali e porzioni a metà di soba al the matcha restavano freddi perchè diventate porzioni troppo grandi. Come in un rituale. Affamata avendo cibo.
che si concedeva per se stessa. Non ven-
Sazia non avendone
ne fuori una farfalla ma nuovamente una gru. Una gru che non sapeva volare. Monocolore senza che il foglio riuscisse ad assumere tonalità diverse. Ogni giorno a seguire diventò sosia del precedente ed ogni sera Yusuke non tor116
L’Ombromino 117
Cupcake Alla Pera
IAIA G U ARD O - PA ST I C C I O A PPA RSO SUL BLOG NEL 2 0 1 0
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Tre Righe Una Sto"a P"ma Sto"a
pì subito che la sua omonima Pulcetta era proprio dietro le spalle. Manuel l’aveva lasciata poco isolati più in là e lei con il suo vassoio pieno di dolcezze procedeva spedita.
Paolo si fermò alla rotonda e la fece dodi-
Max e Paolo ritardano.
ci volte. Aveva appuntamento con Max alle 13.13. Elisa e Giulia uscivano da lavo-
Altre rotonde? sì.
ro poco dopo e si sarebbero incontrati
Il gatto sul tetto correva troppo veloce
tutti al bar vicino alla fermata della me-
mentre Elisa perdeva i conteggi di aper-
tro.
tura diaframma e bottoncini a caso. Giu-
I capelli biondi di Giulia si mossero un
lia si sedette sulla panchina, diede un
po’ con il vento mentre Elisa faceva delle
morso al buonissimo dolcetto di Giulia
foto a un gatto sopra il tetto. Squillò il te-
dai capelli morbidi e fluttuanti come i
lefono. Era Max. Avrebbero ritardato
suoi ma nella nemesi del colore e.
perché Paolo voleva fare altri giri della
E si guardarano chiedendosi “Giulia?”.
rotonda per testare dopo quante volte gli
La terza che poi così non si chiamava.
sarebbe scoppiato realmente il mal di testa.
La solita, scrollò le spalle la bionda.
Giulia sbuffò e continuò a ticchettare sul
Stai tranquilla, fece l’altra, mettendole
suo iphone messaggi a una che seguiva
una mano tra i capelli e cercando di di-
su internet ma che continuava a ignorar-
strarla.
la per inspiegabili ragioni. Elisa cercava di non perdere il gatto e del profumo di
Max e Paolo arrivarono e lo capirono dal
cake pops alla cannella arrivò. Giulia ca-
pipiiii del clacson. Alla radio ascoltava122
no un pezzo di Paolo al pianoforte. Elisa
Il clown si tolse la parrucca.
si fece largo afferrando un dolcetto e por-
Poi si impastricciò il viso lasciando il ce-
gendone un pezzetto a Paolo, che lo in-
rone ovunque nella mano.
ghiottì velocemente dicendo che era buono ma si aspettava delle caramelle all’ani-
Rise più forte tanto che si poteva sentire
ce.
il suono anche attraverso i finestrini chiusi e Max si girò dietro verso le ragazze.
Partirono e andarono.
State tranquille.
Non era notte ma lo diventò. Non c’era-
Paolo non riuscendo a dar vita alla sua
no le stelle ma apparvero per poi nascon-
fedele compagna di rotonde si arrese, si
dersi tra nubi enormi e dense. Piovve.
voltò verso Giulia e le chiese un dolcetto.
Fortissimo.
Masticò lentamente, scrollò le spalle e
Paolo spense la radio, Max finì di man-
guardò fisso il clown negli occhi.
giare un dolcetto, Giulia smise di ticchet-
Erano verdi. Verdissimi che quasi sem-
tare, Elisa non guardò più le foto del gat-
bravano gialli e la pupilla ricordava quel-
to sul tetto perché inspiegabilmente l’ani-
la di un gatto. Non quello sul tetto scom-
male non compariva mai e Giulia riattac-
parso che non abitava più nelle foto di
cò il telefono con Manuel.
Elisa. Perché ecco proprio quello compar-
Cosa sta succedendo?
ve zigzagando dietro i piedi del pagliaccio.
Procedeva lento un clown in quella strada. Proprio davanti a loro. Max alzò il fi-
Elisa indicò. Giulia capì. L’altra Giulia
nestrino, Paolo tranquillizzò le ragazze
passò un dolcetto a Paolo che con la ma-
mentre non riusciva a mettere in moto.
no faceva segno per averne un altro men-
Giulia cominciò a comporre il numero di
tre Max.
Manuel. Elisa abbracciò la bionda con
Respirando emetteva frasi rassicuranti,
tutta la forza che aveva.
che avrebbero avuto effetto se il clown
Il clown procedeva lentamente ma deci-
improvvisamente non fosse diventato al-
so proprio dritto davanti a loro. Inarre-
to più dell’albero e largo più della strada.
stabile e imperturbabile mentre la mac-
Videro solo il piede enorme quando arri-
china era ferma e il motore non accenna-
vò al cofano. Poi si abbassò e la pupilla
va a mettersi in moto.
diventò l’unico quadro visivo che si parò 123
Seconda Sto"a
davanti ai loro occhi. Paolo abbassò il finestrino e chiese: posso fare l’ultimo giro in rotonda? Max apprezzò e abbassò il finestrino alla sua destra chiedendo: e io in moto?
Erano andati tutti via e i piedi sullo step seguivano il ritmo di Uprising dei Muse. Le gocce di sudore scendevano dalla fronte sino al collo per scivolare giù in pozze di fatica e infinita stanchezza. Quella che si sarebbe trasformata in energia. Tra pochi minuti sarebbe finita la sessione sportiva, seppur in ritardo, e tra qualche ora quell’amore malato che l’aveva accompagnata per diversi anni. Ripassava a memoria il discorso con poche motivazioni e molti fatti. Lo aveva scritto in ufficio, sotto consiglio di una
Le ragazze si guardarono. Si strinsero. E
delle sue più care amiche, in un notes del-
mandarono un messaggio. L’ultimo. Ma-
l’ipad per impararlo a memoria invece
sticando gli ultimi cake pops rimasti.
di lavorare.
Almeno quelli il Clown non li avrebbe
Il tempo veniva scandito dai colpi alle
mangiati.
corde della chitarra elettrica quando un faretto esplose nel buio. La sera prima era saltata la luce e non se ne curò. Si voltò leggermente perdendo quasi l’equilibrio e ricominciò a salire e scendere quella scala virtuale faticosa. Un improvviso gelo raffreddò le gocce di sudore sul collo e un altro faretto si spense. Come in un domino a intervalli regolari i centoventesette faretti dello stabile la 124
lasciarono in scale immaginarie di buio.
Alzo lo sguardo aspettandosi un corpo
Proprio al terzo minuto e trentasei secon-
senza testa ed invece c’era solo quella.
di quando la voce continua a cantare più forte e la batteria esplode. Piede fermo. Respiro no. Ansimava fortissimo stanca e tenendosi un po’ piegata verso il manubrio dello step. Il tempo di realizzare che era totalmente al buio ma non sola. Andrea in ufficio sarebbe intervenuto. Forse era già lì ma non lo vedeva. Illuminò la porzione visiva che aveva davanti con il suo ipod. Alcuni tapis roulant erano accesi e in quello in fondo a destra qualcuno correva. Di spalle. Ma non aveva la testa. Non focalizzò bene ma istintivamente girò l’ipod a sinistra. Sul tappetino degli addominali due corpi si piegavano su e giù ritmicamente regolari. Ma non avevano la testa. Continuò ad insistere nel non voler assolutamente capire e virò ancora una volta poco più distante la luce dell’ipod. Al vogatore un corpo si muoveva come in un fiume, remando velocemente. Anch’esso senza testa. Riconobbe le scarpe di Andrea che si avvicinavano pian piano. Erano verde fluo.
125
La testa di Andrea attaccata ale scarpe si muoveva convulsamente mentre dagli occhi fuoriusciva un liquido violaceo con delle bolle. Le scarpe dribblavano teste rotolanti che appartenevano ai corpi dei ginnasti che continuavano a muoversi senza tregua. Posò l’ipod in tasca. Scesa dalla scala immaginaria. E restò al buio. Fare altro sarebbe stata solo una perdita di tempo.
126
Terza Sto"a
guinato e un cappello da cuoco teneva in mano un menù. Ad alta voce disse “Budella arrostite con
Mangiò la zuppetta che aveva preparato
contorno di rene fritto, oggi. Devo cucina-
con della crema di riso aromatizzata al
re questo”.
tartufo e dei tocchetti di polenta, in un
Prese il tovagliolo arancione da terra, lo
sol colpo.
fissò e disse “Bon appetit”. Aveva sempre
Si girò perché un rumore della porta rim-
immaginato di dover essere diversa. An-
bombò. Tufffff.
che, e soprattutto, con la morte.
“Sei tu?” Nessuna risposta, mentre posava la ciotolina nel lavandino e il cucchiaio sporco di crema di riso dentro la lavastoviglie. Tuffffffffffff. “Sei tu?” Voleva fare la domanda “c’è qualcuno?” come in quei ridicoli film horror che vedeva da bambina insieme a Manuela, la sua migliore amica. Poi si ricordò che ridevano sempre a quel c’è qualcuno perché certamente il mostro assassino maniaco avrebbe avuto difficoltà a presentarsi. E mentre rideva pensando allo psicolabile che gridava “sì sono io ! Piacere sono un pazzo che ora ti squarta lo stomaco e arrostisce le tue budella con contorno di rene fritto! Arrivo!”, si voltò e il tovagliolo arancione cadde per terra. Davanti a lei un uomo con il volto insan127
Qua+a Sto"a
Rifiuti di uscire. Di andare a prendere un
Volteggiava sull’altalena sospesa sotto il
Il collare fucsia con i brillantini era solo
tendone del circo a strisce bianche e ros-
una sciocchezza se paragonato all’auto
se mentre alberi neri si attorcigliavano
color lilla che le aveva intestato, al gioiel-
poco distante sopra le roulotte. Aria era
lo dal valore di un camper iper lusso e a
uscita con il suo tigrotto al mattino, ado-
qualche diamantino che ad Aria piaceva
perando quell’orrendo collare fucsia che
sfoggiare al mattino. Comoda la vita del
le aveva regalato il mangiafuoco a corre-
circo e del mangiafuoco per prendersi
do della corte serrata che continuava a
gioco degli usurai. Non c’era da stupirsi
mostrare senza remore, nonostante tutti
però se gli mancava già un braccio, ma
i rifiuti.
sapeva comunque destreggiarsi con il ca-
gelato. Di elargire baci e abbracci. Ma mai di ricevere regali.
128
lice infuocato adoperando l’altro, e un
Passarono giusto due minuti quando un
piede, ma sapeva camminare seppur in
corvo di grandezza spropositata entrò
maniera scoordinata.
nel tendone. Fece perdere l’equilibrio ad Acqua inizialmente e il Nano urlò. Di se-
Ho dato mani e piedi per lei, diceva quan-
guito lo fece Marco e anche la Signora
do ubriaco vagava tra le diverse case mo-
Anna uscendo dal gabbiotto e appestan-
bili dove agli stendini erano appesi tutù
do il tendone ancor più con l’odore nau-
con strass, abiti da pagliaccio, tute in lu-
seabondo.
rex e costumi da cigno.
Tre urla. Tre grida diverse e poi il corvo.
Il Nano prese il caffè seduto sugli spalti mentre Acqua, gemella di Aria solo fisica-
Fortissimo e penetrante. Perforante.
mente e non di cuore, volava su quell’al-
Colpì l’addome di Acqua e il sangue schiz-
talena composta da fili invisibili d’ac-
zò fuori come da una fontana. Finì pro-
ciaio. Una rete sotto troppo spessa per il
prio sui pop corn. Il volatile tornò indie-
corpo gracilissimo di quell’angelo flut-
tro e con ancor più forza colpì la giugula-
tuante. Sarebbe bastato un incarto di ca-
re e picchiettò come fosse un tronco di
ramella composto da carta velina per sor-
albero e lui un’altra razza. Fortissimo.
reggerla.
Emettendo un rumore come una risata.
Marco, quello che vendeva pop corn ve-
Il Nano piangeva. Marco guardava i pop
stito da coniglio, alzò la testa e guardò il
corn insanguinati e la Signora Anna sven-
nano. Allungò un pacchetto di quelli dol-
ne ma prima tentò di rianimarsi man-
ci caramellati con lo zucchero che nessu-
giando una mentina che teneva sempre
no mai voleva ma che la Signora Anna si
in tasca.
ostinava a preparare chiusa dentro il suo gabbiotto che odorava di mais scoppiato,
Una gamba di Acqua cadde sulla rete.
e si sedette accanto a lui.
Poi subito un braccio. Il suo tronco rimaneva attaccato perché il braccio coraggio-
Il Nano posò per terra la tazzina di caffè,
so di Anna continuava a tenere ben stret-
guardò fisso Marco sgranocchiando due
ta l’altalena di paura dove si dondolava.
pop corn zuccherati e sentenziò.
Il Corvo si allontanò. Per rientrare anco-
Fanno Schifo. Uno Schifo assoluto.
ra più violento e prendere di mira il cra-
L’altro annuì.
nio. Lo perforò e le cervella di Aria diven129
nero pop corn fluttuanti nell’aria che cadevano tra gli spalti. Il Signor Mario avrebbe avuto molto da pulire prima che cominciasse lo spettacolo.
130
Quinta Sto"a
Non so neanche che libro sia, disse Luci
Nelle mie orecchie sensibili un sibilo e
Posso prenderlo? Sul treno non ho nulla
una fastidiosa vibrazione interrompeva-
da leggere.
ridendo ancora nel ricordo di quei pomeriggi passati tra calcolatrici e derivate.
no la mia lettura. Ero assorto tra parole
Certo. L’abbraccio e un’altra fetta di
struggenti e malinconiche che uscivano
ciambella buonissima tagliata da Titti e
da pezzi di carta stropicciati. Era stata
via verso il binario.
trattata male quella vita contenuta tra le pagine di un libro abbandonato nella can-
Non c’era nessuno. La nebbia scendeva e
tina di Luci.
una vecchia avvolta in un montgomery sporco di fango tirava tanti sacchetti di
C’era andato un giorno per portare un
plastica. Rideva ma non mi domandai il
po’ di caramelle al suo piccolo Frugolet-
perché.
to. Quella mattina c’era anche Titti che aveva sfornato per lei una buonissima ciambella che odorava di arancia, ricetta
Il sibilo diventò più fastidioso e la vibra-
segreta della nostra comune amica Hari-
zione più violenta. Il treno rumoreggiava
el.
e la luce arrivava sempre diversa a infa-
Luci doveva traslocare e smaltirne un po’
stidire le pupille. Tirai giù la tenda. En-
il contenuto e per questo motivo ognuno
trò una suora.
di noi portò via un oggetto che odorava
Si sedette avanti a me ma non mi salutò.
di ricordo. Scelsi senza remore anche
A capo chino toccava il rosario e mugu-
una tazza sbeccata che mi ricordava il li-
gnava preghiere che non riuscivo a distin-
ceo, quando ci preparavamo per il compi-
guere che si aggiungevano ai fastidiosi si-
to di matematica e bevevamo insulso tè
bilo e vibrazione.
del supermercato alternandolo a troppo caffè e bibite energetiche. Poi c’era que-
Biglietto, disse il controllore. Saccheggiai
sta vita di carta abbandonata per terra vi-
la tasca, trovando pure caramelle di cui
cino a una piccola canoa distrutta. L’af-
non ero a conoscenza, e glielo porsi. Alla
ferrai come attirato da qualcosa e mi gi-
suora non disse nulla e andò via. Ritor-
rai la copertina tra le mani.
nai alla mia lettura sperando che almeno 131
il rosario finisse presto quando venni di-
Sudato con il sibilo e la vibrazione al-
stratto dal ritorno del controllore.
l’orecchio che non mi abbandonava percorsi velocemente tutto lo scompartimen-
Non disse nulla. Si sedette accanto alla
to. C’erano sempre loro tre. Non si volta-
sua suora e fissando il pavimento comin-
vano mai ma guardavano il pavimento.
ciò a passarsi tra le mani delle chiavi
Le monete sbattevano più forti. Le chia-
emettendo quel fastidioso tintinnio che
vi, talvolta giganti, mi assordavano men-
si aggiunse al sibilo, alla vibrazione e alla
tre la nenia delle preghiere veniva urlata
nenia della suora. Non mi arresi e tentai
e a me non rimase che chiudermi in ba-
di continuare a leggere.
gno in cerca di una ragione. Di una solu-
C’è posto?
zione.
Era un nano con un frac che si affacciò
Entrai nel claustrofobico metro quadrato
dalla porta mostrando degli enormi den-
in movimento e mi bagnai i polsi. Una
toni, che stavano sotto dei baffoni folti
brusca frenata mi fece sbattere il naso
un po’ all’insù. Nè la suora nè il controllo-
sullo specchio che non si ruppe a diffe-
re risposero, occupati a emettere rumori,
renza del mio setto nasale. Il sangue usci-
ed io feci lo stesso ma in silenzio. Chinai
va a fiotti mentre per istinto mi sedetti
il capo. Il Nano si sedette, estrasse due
sopra il cesso, sporco e umido. La carta
monetine e cominciò a sbatterle l’una
igienica arrotolata per terra cominciò a
contro l’altra fissando il pavimento.
tingersi di rosso quando bussarono alla
Il tintinnio si aggiunse al sibilo, alla vi-
porta con l’intento di sfondarla.
brazione, alla nenia della suora e allo
Non trovai il coraggio di urlare. Il mio re-
sbattere delle chiavi. Esasperato chiusi il
spiro affannato aumentava quanto lo
libro, li fissai gelido e mi sistemai il cap-
scorrere del sangue. Le mie orecchie im-
potto. Salutai per educazione e uscii.
pazzivano e scoppiavano udendo chiavi,
Entrai in un altro scompartimento. Rima-
monete e nenie urlate oltre la porta. Era-
si colpito dal fatto che ci fosse un control-
no lì.
lore vestito da suora, un nano vestito da
Il finestrino era troppo piccolo per cerca-
controllore e una suora vestita da nano.
re un altro tipo di morte. La porta sareb-
Nell’altro un controllore vestito da nano,
be stata sfondata a breve. A me non rima-
una suora vestita da controllore e un na-
se che aprirla.
no vestito da me. 132
Per trovarmi davanti a me un’enorme moneta gigante vestita da suora che teneva per mano un controllore nano con delle chiavi in mano che rideva gridando nenie. Era il trasformismo della morte e io ero stanco. Avevo già visto abbastanza.
133
Sesta Sto"a
na si levò dalla sedia dove sbucciava castagne che sarebbero diventata polpa per un dolce che nel pomeriggio avrebbe preparato per il rientro in casa dei padroni. Attraversò il salone pensando che dove-
Erano le 12.12 quando il campanello del-
va lucidare i candelabri, altrimenti la pa-
la residenza dei Signori Karsh suonò in-
drona si sarebbe arrabbiata anche se
terrompendo un irreale silenzio. Uno dei
ugualmente sarebbe successo e aprì la
domestici si levò dalla sedia mentre affet-
porta. Non c’era nessuno. Si guardà intor-
tava le patate in cucina e andò alla porta.
no. Richiuse la porta e riprese il lavoro
Attraversò il salone con quell’odore di ca-
mentre la moglie, che si occupava della
stagne arrostite che tanto gli piaceva e
pulizia dei vetri, spingeva più forte il pan-
aprì. Non c’era nessuno. Si guardò intor-
no quasi come se volesse sfondare il ve-
no. Richiuse la porta e riprese il lavoro
tro per fuggire verso la natura e la libertà
mentre la moglie, che si occupava della
tra foglie autunnali e vento piacevole sul
stiratura, affondava il ferro da stiro tra le
collo.
trame della camicia del padrone. Erano tutti fuori per un picnic poco distante. Anna aveva stirato i vestitini di seta per le gemelle stando ben attenta a non rovinare i merletti, come le aveva intimato la padrona che non gradiva imperfezioni sui tessuti delle figlie, e aveva organizzato il cestino con dei buonissimi sandwich al prosciutto e formaggio; quello che aveva portato il signor Karsh da un viaggio qualche settimana prima. Erano le 13.13 quando il campanello della residenza dei Signori Karsh occupati in un picnic con le figlie gemelle dagli abiti di seta stirati bene suonò interrompendo un irreale silenzio. Il marito di An134
Erano le 14.14 quando il campanello del-
avrebbe alzato le spalle e cominciato ad
la residenza dei Signori Karsh con i can-
impiegare il tempo pensando alle faccen-
delabri impolverati e i vetri puliti, che
de che dovevano essere svolte prima del
avrebbe odorato a breve di torta di casta-
rientro dei padroni.
gna, suonò. Il Signor Alfonso, marito di
Anna si sporse dal vetro e vide arrivare
Anna, si levò dalla sedia mentre buttava
correndo le gemelle. Uno sguardo inter-
le bucce delle castagne nel cestino della
rogativo le apparve in volto mentre fissa-
spazzatura. Attraversò il salone pensan-
va gli occhi sbalorditi del marito doman-
do che avrebbe dovuto prendere pure del-
dandosi come mai le bimbe fossero lì a
la legna in più per il forno e aprì la porta.
quell’ora. Pensò che fossero state loro a
Si guardò intorno. Non c’era nessuno. La
fare lo scherzo del campanello, ma subi-
richiuse.
to dopo riflettè sul fatto che erano passa-
Si voltò e continuò verso la cucina. Avreb-
te ben tre ore dalla prima volta e non era
be detto nuovamente ad Anna che non
certamente possibile.
era nessuno. Anna avrebbe sbuffato. Lui 135
Aprì la porta a vetro della cucina e si affacciò. Aria! Acqua! Chiamò le gemelle che erano scomparse tra le foglie. Aria! Acqua! Nulla. Erano le 15.15 quando nessuno suonò il campanello. Neanche alle 16.16. Neppure alle 17.17. Arrivarono fino alle 21.21 ma nessuno più suono alla porta. Alfredo e Anna immobili davanti alla porta a vetro rimasero fino alle 22.22 con la promessa per quell’ora di chiamare la polizia. Alle 22.22 suonarono alla porta. Anna e Alfredo corsero velocissimamente verso
Erano le 24.24, la porta si richiuse e la
la porta. Stavolta qualcuno c’era. Aria e
torta alle castagne, disse il Signor Karsh,
Acqua ridevano e tenevano in mano la te-
non era buona quanto le cervella della
sta della loro mamma senza preoccupar-
moglie ma ugualmente soddisfacente. La
si che i merletti fossero rovinati e spor-
Signora Anna appuntò la ricetta. Alla
chi di sangue. Aria masticava delle budel-
prossima moglie, avrebbe fatto nuova-
la guardando la sorellina ridere felice.
mente questa per dessert.
Saltellava un po’. Arrivò il papà di spalle. Disse: “Entriamo bambine. Anna e Alfredo, le bimbe hanno già cenato. Anche io. Mettitele a letto. Vado a fumare la pipa.”
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RACC O N TI I N TO R N O A L F UO CO RA CCOLTA 2 0 1 2 - 2 0 1 3
Siediti 1
Introduzione
3 Visioni di Ombretta 10 L’Ascensore 13 La piccola bambina che amava il rosa 18 Harry Butcher e Garry Bull 22 Risparmiami 24 Cool Damp Night. 27 Specchi 33 Una lunga Notte 37 Apity, prova. 40. Emicrania sull’Altalena 46. Lo scorso Anno accadeva questo
Cope+ina: Ombre&a Blasucci
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Che gli Incubi siano con voi 138