A cuore aperto
Federica Siravo A CUORE APERTO
Illustrazione di Gianluca Passarelli
Direttore di collana
Lucio Cassone
© cosmo iannone editore via Occidentale 9, 86170 Isernia tel./fax 0865.290164 – tel. 335.6887394
e–mail: iannonec@tin.it www.cosmoiannone.it
Prima edizione Settembre 2022
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Direzione editoriale
Rosanna Carnevale
Grafica e impaginazione
Fotocomposizione TPM s.a.s. Città di Castello (PG)
ISBN 978-88-516-0231-4
Introduzione
Il racconto autobiografico di Federica Siravo, A cuore aperto è una di quelle storie che ti mettono faccia a faccia con una materia incandescente, come è la morte di un padre amatissimo e il dolore immenso della figlia. Le pagine di Federica sono una registrazione, quasi minuto per minuto, di come si possa imparare, sia pure con fatica, a uscire dall’incubo della perdita ed entrare nella dimensione della nostalgia, che pure dolore è, ma più tenue, forse, e comunque diverso, come un fuoco che non brucia più, ma riscalda e dà conforto. Lentamente il dolore sfuma nel ricordo. C’è solo bisogno di tempo e di imparare a sostare nell’attesa che non è un tempo inutile ma ... il tempo in cui ciò che deve compiersi è ancora un’idea e il nostro cuore è sospeso tra un qui e un altrove... (Andrea Koeller, L’arte dell’attesa)
La difficoltà del distacco è tuttavia lancinante, investe ogni aspetto della sua esistenza.
È un camminare sui carboni ardenti: comunque vada, ci si scotta. È forse questo il prezzo per diventare adulti? La domanda perché? sfida stabilità e certezze che sembravano incrollabili.
Tutto il mondo di prima ora ha il sapore della falsità e dell’inconsistenza. Niente è più vero perché tutto può essere improvvisamente ribaltato senza un motivo.
Il tempo ha un ruolo fondamentale: non è una minaccia ma una promessa di futuro.
Per Federica è il tempo di intraprendere il proprio viaggio nel dolore, nell’esperienza dell’assenza e della mancanza. È
il momento di vivere questa prova esattamente come un eroe affronta gli ostacoli e li supera, mettendo in campo tutte le sue abilità, comprese quelle che non sapeva di avere.
Questo viaggio dentro se stessa è la condizione necessaria per ritornare a riveder le stelle. Questa ferita diventa feritoia da cui guardare il mondo con occhi nuovi nella certezza che: coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano, ma sono ovunque noi siamo (Biancamaria Frabotta)
Buona lettura!
Prologo
Caro lettore,
in queste pagine non troverai storie d’amore, di eroi e di principesse, ma semplicemente un pezzo della mia storia, delle mie emozioni, delle mie sensazioni.
In queste pagine mi racconto come mai prima d’ora. Mi racconto perché trovo sollievo nel farlo. Mi libero di qualche peso in eccesso, tiro fuori quello che ho dentro. Ho messo un po’ di poesia in ciò che ho scritto, così che tu possa immaginare quello che ti sto raccontando, così che tu possa volare insieme a me.
Ho cercato di riassumere i miei pensieri, la loro essenza. Spero sia utile per capire che tutti, ma proprio tutti, possiamo cambiare inseguendo, ciascuno a suo modo, i propri sogni.
Leggersi dentro
Scrivere, per me, è semplicemente pensare attraverso le mie dita.
Isaac AsimovNon sono mai stata brava a dire le cose, a condividerle, a esplicitarle davanti alle persone. Non sono mai stata brava a parlare faccia a faccia con gli altri. Sono una che nasconde i propri sentimenti. Sono poco propensa a chiedere aiuto: seguo il mio istinto che a volte mi porta sulla strada giusta, a volte no. Faccio fatica a fidarmi degli altri. Ecco tutto!
Loro, gli altri, hanno il potere di ferirmi, di utilizzare le mie debolezze contro di me. È quasi una legge naturale: ti fidi e ti pugnalano alle spalle. Ti fidi e ti deludono. Non ho mai capito perché succede questo.
Allora meglio imparare a parlare a se stessi. Liberarsi dalla schiavitù del giudizio degli altri, conoscersi a fondo. La scrittura mi aiuta molto in questo. Mettere per iscritto quello che provo mi dà la possibilità di guardarmi dentro e di capire chi sono, senza finzioni. Trasformare i pensieri e le emozioni in frasi mi dà modo di avvicinarmi al cuore della mia personalità. E così mi sento più sicura. Ho imparato a fidarmi di me. Ho imparato ad accettare i miei limiti a da quelli parto per propormi al mondo delle relazioni. Che per me restano sempre un po’ complicate. Così cerco di salvarmi con una storia, con una favola, col racconto della mia stessa vita. Oppure con una bugia. Spesso opto per la bugia.
È un percorso lungo e faticoso, ci vuole del tempo e tanta disponibilità a riconoscere e accettare i propri limiti, le proprie debolezze ma anche la forza e l’energia di cui tutti siamo dotati.
Ho imparato a difendermi con le bugie, come dicevo. Bugie lievi che servono ad allontanare la curiosità della gente. Quel tanto che basta a presentarmi come ragazza tranquilla e brava. Le bugie hanno le gambe corte, dirai. È vero. Ma le mie hanno sempre un fondo di verità. Le costruisco in modo che siano piacevoli, accattivanti, convincenti. Così la gente non farà altre domande. Piccole menzogne innocenti. Nessuno è disposto ad ascoltare la triste storia di una ragazza orfana di padre. Tutti preferiscono ascoltare la parte felice, quella bella, quella a lieto fine, l’altra faccia della medaglia luccicante. Il lato oscuro, quello non interessa, non lo si vede, non lo si racconta.
È capitato però, a volte, che il falso che avevo raccontato si accumulasse e che quindi io finissi per scoppiare. Quando menti spesso, poi fatichi a dire una grande verità, così accumuli, accumuli e finisci col vomitare tutti i tuoi pensieri. Li vomiti e poi te ne penti, cerchi di rimangiarti le parole, di inventarti una scusa, ma ormai il danno è fatto e ti tocca ripulire tutto. Quando dici la verità, che sia anche solo una piccola verità, ti senti subito meglio e pulisci quello che rimane delle tue invenzioni.
A volte mi sono sentita una bugia gigante, mi sono sentita come se tutta la mia vita fosse un grande circolo vizioso fatto di favole e mezze verità, senza farlo apposta. Sapevo di mentire, ma non riuscivo a fidarmi degli altri, non riuscivo a condividere me stessa con le persone. In pochi conoscevano la vera me: non la mostravo a nessuno, avevo paura che non potesse piacere: la mia impulsività, i demoni che mi accompagnano, la mia negatività, i miei sbalzi d’umore, la mia costante voglia di essere al centro dell’attenzione. Ho dei difetti. Sono le mie debolezze. Sono la parte che voglio tenere nascosta. Sono la parte che mi piaceva condividere con il mio condottiero. Sono la parte che voglio tenere ancora un po’ con me e per me.
I difetti mi hanno insegnato ad essere sempre me stessa, e io ci sto provando. Sto cercando in tutti i modi di mostrarmi per quella che sono davvero: la brava ragazza della porta a fianco, l’allegra ragazza solare che nasconde la sua tristezza, l’amica di
tutte che nasconde i suoi segreti. Io posso essere tutto questo, ma a seconda delle persone che ho davanti mostro solo una faccia di me. In realtà sono tutte queste cose, e forse anche qualcosa in più. Posso sembrare simpatica, buona, gentile e premurosa. Però posso essere anche antipatica, cattiva, menefreghista ed egoista. Io sono tutti e due i lati della medaglia. Sono lo yin e lo yang.
Nessuno però mi conosce così: come quella che ha ambo i lati della moneta. Per questo ho difficoltà a fidarmi della gente, per questo mi fido solo del mio istinto: perché le persone non smetti mai di conoscerle davvero, ed io ne sono l’esempio.
Pensi di poterti fidare sul serio, pensi di poter finalmente mostrare la medaglia intera, ma sul più bello, quando stai per mostrarti del tutto, ecco che quello che pensavi viene giù come una valanga, smontato come la panna lasciata al sole, come un sufflè lasciato troppo tempo in forno. Ecco che la persona di cui ti fidavi di più ti tradisce, di nuovo, e tu sei lì che aspetti che qualcuno venga a salvarti di nuovo. E quel qualcuno arriva, puntuale come al solito, pronto ad accoglierti tra le sue braccia, pronto a farti piangere e farti vedere di nuovo l’arcobaleno.
Mi piacciono gli arcobaleni, sono colorati e luminosi, armoniosi e ordinati. A volte però i loro colori si mischiano e non riesci mai a distinguerli come se non fossero davvero separati come li disegnano i bambini. Sette archi perfetti, divisi in modo perfetto e perfettamente colorati di viola, indaco, azzurro, verde, giallo, arancione e rosso. A volte il viola si mischia con l’indaco, il giallo diventa un unico colore con l’arancione e il rosso, ed è tutto un gran casino, ma non credo che a qualcuno non piaccia, non credo che a qualcuno non faccia piacere vedere quella mescolanza di colori che esplode nel cielo. Credo invece che ogni volta sia diverso, che ogni arcobaleno abbia la sua storia. Questa è la mia. È tutto un gran casino, ma mi piace vedere i colori mescolati e riflettere sul risultato finale, vedere che effetto fa sulla gente, vedere dove mi porta questa esplosione di colori.
Trappole e arcobaleni
È capitato, a volte, che mi sentissi come un foglio accartocciato e lanciato nel cestino. Il foglio che è stato appena lanciato è lo stesso che avevi accuratamente stampato e messo nella pellicola per evitare che si sgualcisse, per non farlo rovinare. Invece ora è lì, piegato, accartocciato, buttato, allontanato, dimenticato.
A volte mi sento da buttare; come quel foglio a cui tenevi tanto e a cui hai dovuto rinunciare per usarne uno nuovo, magari più bianco, più pulito, o magari semplicemente più nuovo e basta.
A volte mi sento come quel foglio che non è stato nemmeno raccolto da terra per essere buttato con cura nell’apposito cestino, o magari per avere un ripensamento: a guardarlo lo avresti ripreso e lo avresti conservato con cura, perché i pensieri che scrivi su un foglio bianco non si buttano mai. Si conservano e poi, a distanza di tempo, si rileggono, si studiano, si analizzano, si rivivono quei momenti che tu stesso hai scritto.
Mi capita spesso di scrivere pensieri e di ripensarci, ma i fogli non li accartoccio, li conservo. Li metto in una grande busta da lettere gialla e li tengo lì, per dopo, per quando avrò voglia di rivivere i miei momenti. Di solito è questo quello che succede quando leggo uno dei miei pensieri: mi immergo nella lettura di parole che già conosco, di cui conosco già il finale. Non mi importa, perché a volte rido e a volte piango. A volte sono bei momenti, a volte sono brutti momenti, momenti che magari vorresti dimenticare o che hai già dimenticato, ma i tuoi pensieri sono lì, a ricordarti che anche dopo la pioggia c’è l’arcobaleno. Lo so, è banale una metafora del genere; forse sarebbe stato meglio dire che quando si cade ci si rialza sempre, o forse che dopo la salita la strada è sempre in discesa, ma mi piace utilizzare la
metafora della pioggia e dell’arcobaleno. In fondo i momenti brutti sono come la pioggia: possono essere tanti, incessanti, rumorosi, paurosi, ma la meraviglia di vedere sette colori nel cielo, vale tutta la pioggia che hai dovuto sopportare.
Gli arcobaleni sono colorati e luminosi, armoniosi e ordinati. Trasmettono felicità e serenità. Da me però ora il tempo è un po’ più nuvoloso, piove un po’ di più del normale, ma non ho paura della pioggia se ho qualcuno vicino a me. Come fosse un portachiavi, il mio ombrello rosso fuoco lo porto sempre con me, anche quando c’è il sole, perché una pioggia è inaspettata.
C’è sempre, anche quando tutto va bene. Mi sostiene, mi regge, mi accompagna e non mi fa bagnare. Mi tiene su il morale, mi protegge, mi tiene compagnia, mi consiglia e mi mette in guardia da possibili trappole.
Sono le trappole quelle a cui devo fare attenzione. Non sono mai stata brava a riconoscerle. È sempre così.
Non ho mai saputo riconoscere l’inganno, la falsità. Forse perché sono molto positiva, o forse perché faccio sempre lo stesso errore di fidarmi delle persone che conosco bene. Forse è questo; forse è proprio perché le conosco bene che tendo ad essere ferita più spesso. Come un topolino si avvicina al formaggio, così io mi avvicino alle persone. Come il topolino rimane incastrato nella trappola, così io rimango sotto la pioggia e inizio a bagnarmi, ad essere ferita. Come il topolino non riesce ad uscire dalla scatola, così io non riesco a salvarmi da sola. Come il topolino ha bisogno di qualcuno che lo tiri fuori, così io ho bisogno del mio ombrello che non mi faccia toccare l’acqua. Ma come in tutte le storie, se hai incastrato il topolino nella trappola usando l’inganno e l’astuzia per catturarlo non vorrai di certo lasciarlo di nuovo libero; allo stesso modo io cado nelle trappole e ci casco ogni volta.
Il topolino però soffre: solo, bagnato, spaventato. Nella sua trappola, ora ci sta stretto e vorrebbe solo qualcuno a cui aggrapparsi per essere liberato. Così io non riesco a liberarmi, perché la trappola è troppo stretta, chiusa e non riesco a pensare.
Ma ecco, il mio ombrello rosso fuoco si è aperto e ancora una volta mi ha salvato. Non è la prima volta che mi salva da una trappola, e sicuramente non sarà l’ultima. Non che io lo faccia apposta ma a quanto pare fa parte di me essere ingannata. È per questo che ho imparato a fidarmi solo di me stessa.
Con il tempo però, ho imparato ad essere più volpe che topo, ad ingannare e creare trappole. Ho imparato ad essere la volpe solo per il gusto di sapere cosa si prova; a non essere più il topolino di prima.
Ho imparato con il tempo che essere volpe a volte è meglio: hai meno problemi, meno preoccupazioni, meno ansie da gestire. Essere volpe è come fare una metamorfosi, come rendersi conto delle proprie abilità e non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Ho imparato ad essere grande e a contare su me stessa, in fondo la volpe non è un animale da branco.
Vite intrecciate
Quando avevo tredici anni mio padre mi prese un cane. Era il 15 luglio, una giornata estiva; calda e afosa. Avevo sempre detto di volere un cagnolino; un labrador per la precisione. Volevo quella razza perché sapevo che erano i più docili, affettuosi, buoni e belli. Così, in quel giorno apparentemente uguale agli altri, mio padre mi accompagnò sotto casa e, ad aspettarmi, c’era un uomo un po’ calvo con un cucciolo in braccio. Quel piccolo cagnolino mi aveva già riempito il cuore e i suoi occhi esprimevano dolcezza, come se aspettasse solo il momento giusto per entrare nelle nostre vite. Lo presi, e mentre papà ringraziava quell’uomo, lo strinsi forte a me.
Questa è parte della verità. Non andò esattamente così. Papà mi aveva già preso una cagnolina, ma la poveretta morì a soli otto mesi e io piansi, insieme a mio padre. Mi dispiacque tanto, ma come dissero i veterinari “non si sarebbe potuto far niente”. Parole che ho sentito molte volte nel corso della mia vita. Comunque, andò a finire che Luna, così l’avevamo chiamata, morì e noi non potemmo farci niente.
Due giorni dopo la morte del nostro cane la vicenda la conoscete. Papà me ne regalò un altro. In realtà la sorpresa non fu la mia, perché io conoscevo il suo piano. Sapevo che avrebbe preso un altro cagnolino. Chi non ne sapeva quasi nulla era mia madre, che si trovò improvvisamente un batuffolo color bianco e miele in casa. La sorpresa dunque fu per lei.
Io e papà spendemmo molto tempo per cercare il nome per la nostra new entry. Indagammo su internet per cercare nomi adatti che piacessero a entrambi. Alla fine la scelta fu tra Maggy e Zoe. Il primo mi piaceva tanto, mi faceva ricordare una serie tv, ma papà non lo digeriva. Così optammo per il secondo
nome. Questa battaglia la feci vincere a lui. Alla fine avevamo scelto insieme, ma era come se avesse scelto solo lui. In fondo piaceva molto più a lui di quanto piacesse a me.
Tornando alla storia iniziale; quella bestiola ci aveva unito più di prima e ogni giorno sentivo il calore familiare che cresceva sempre di più.
Adesso la mia cagnolina è diventata grande e ogni giorno che passa mi ci affeziono sempre di più. A volte la osservo mentre si appisola sul divano. Si attorciglia su se stessa e sembra una mezza luna. Mi guarda accigliata, muovendo le sopracciglia, sbuffa come a dirmi di lasciarla dormire in pace e chiude gli occhi e sogna. Chissà che sogna. Me lo chiedo spesso, perché a volte, mentre dorme, emette suoni, mezzi abbai, muove le zampe, digrigna i denti, muove il muso. Spesso penso che stia avendo un incubo, allora mi avvicino e mi siedo accanto a lei. Le accarezzo il capo e la coccolo. Si sveglia di soprassalto e mi guarda di nuovo. Questa volta però è calma. Scodinzola in segno di apprezzamento e mi sembra quasi che sorrida. I suoi occhi in fondo non mentono. Lo vedo l’amore che nutre per questa famiglia. Per noi e per papà.
Parole non dette
Spesso le parole si perdono, si nascondono, si bloccano in gola, come un nodo. Spesso le parole che vogliamo dire non le diciamo. Ci fermiamo prima ancora di riuscire a pronunciarle. Non credo che lo facciamo apposta, ma lo facciamo e basta. Non ce ne rendiamo conto, siamo semplicemente portati a non dirle. Alcuni si mordono il labbro, altri si toccano il naso, altri ancora mangiano le proprie unghie oppure assumono un colore rossastro sulle gote e i loro occhi diventano leggermente lucidi. Spesso non si fa caso a questi particolari, ma ho imparato bene ad osservare le persone, ad analizzarle, a farci caso. Io stessa sono portata a non dire ciò che penso. La maggior parte delle volte rifletto su cosa vorrei dire sul serio. Poi mi blocco. Perché so che la cosa che sto per dire potrebbe non piacere, o perché so che non si sarebbe disposti ad ascoltarmi.
La classica espressione “rimangiarsi le parole dette”, è vera, fondata, ha senso. L’immagine che mi viene in mente è quella di un uomo che sputa le proprie sentenze per poi riprenderle con le mani dal piatto in cui le ha sputate e rimetterle in bocca. Ingoiare e dimenticare di averle mai sputate.
Spesso rimangio quello che dico, non sono sicura di ciò che ho detto; spesso cancello un messaggio.
Non sono mai stata brava con le parole, conversare con me è come cercare di attraversare un fiume in piena, un mare agitato, un vento impetuoso. È per questo che spesso ingoio le parole che dico, le frasi si spezzano sul nascere, i gesti si immobilizzano.
Ingoio ciò che dico, spesso per non ferire gli altri. Mi hanno sempre detto che non ho peli sulla lingua, che dico la verità e che le mie parole sono come lame affilate. “La parola ferisce più
della spada”; è orribilmente vero. Una parola fuori posto e uno schiaffo hanno un peso diverso. Lo schiaffo passa, la parola resta; resta l’umiliazione che quella parola ti ha provocato, resta l’immagine dello sguardo di chi ti ha ferito, quello strano luccichio che si accende negli occhi di qualcuno quando il suo unico intento è quello di ferirti, resta l’impotenza, davanti a quelle parole urlate con cattiveria, lanciate come sassi pesanti che hanno urtato la tua anima, che hanno urtato la tua mente. Non so se dire sempre la verità sia un pregio o un difetto. Non è come quando ti rimane qualcosa tra i denti, superi l’imbarazzo iniziale e lo confessi; non è come quando hai lasciato i compiti sulla scrivania e lo riveli; non è come quando preferisci rimanere a casa a leggere un libro anziché uscire e lo sveli. In questi casi sì, dire la verità è un pregio, quasi una cosa di cui vantarsi. Io parlo di altre verità: confessare ad una persona che la ami, svelare un segreto, dire la verità anche se può risultare scomoda, rivelare ad una persona che non è tua amica, mostrarsi per come si è, senza nascondersi. In tutti questi casi saper dire la verità è un pregio, l’azione giusta, quella nobile. È qui che arriva il bello però, la parte che nessuno racconta, quella che piace raccontare a me perché ha il suo lato oscuro. Spesso la verità viene detta a metà, non viene esplicitata del tutto, viene accennata, o semplicemente omessa. E a cosa si arriva in questi casi? Ovviamente alle bugie, alle cose non dette, alle parole rimangiate, alle frasi che cerchi di dire ma ti blocchi. È il tuo stesso subconscio che ti ferma, che non ti permette di andare avanti, che non ti fa dire quello che vorresti dire, quello che vorresti confessare, anche se si tratta della verità.
Ti blocchi, e cosa succede dopo? Sei costretto a ingoiare le parole, a fermarti a riflettere su quello che vuoi dire, a non essere impulsivo, a pensare. Non che questo sia negativo; c’è gente che non collega il cervello alla bocca e semplicemente dà aria alle parole, ma invece si dovrebbe trovare una via di mezzo con il dire sempre quello che si pensa, collegare il cervello alla bocca e parlare, senza rifletterci troppo.
Quante cose avreste voluto dire e non avete detto? Quante volte vi siete fermati perché non eravate sicuri? Quante volte non avete creduto nelle vostre stesse capacità e vi siete bloccati, avete ingoiato le parole, ne avete fermato il flusso? E perché, per cosa? Ho imparato con il tempo a dire sempre ciò che penso, a far funzionare cervello e bocca insieme, corde vocali e mente. Le ho fuse, imparando a dire sempre la verità, anche quella scomoda.
Mi sono sempre pentita delle cose che non ho detto e che invece avrei potuto dire. Semplicemente si tratta di libertà di espressione, di poter sempre manifestare la propria opinione, di poter esternare ciò che si pensa, di dar voce ai pensieri, di non ingoiare più le parole, di respirare prima di continuare a parlare.
Non sono sempre stata così; da piccola nascondevo la verità anche a me stessa, non volevo sentirla, né pronunciarla. Poi però, impari che la vita è fatta di piccoli attimi, di carezze, di baci, di cadute, di sorrisi, di parole. Sono sempre le ultime quelle che ti mandano al tappeto. Se ti abitui a non dirle finirai per mangiarle, sempre. Però può capitare, nella vita, che da alcune cadute impari a rialzarti e finisci per raccogliere quelle parole che avevi buttato. Le conservi e le utilizzi. Le pronunci e sei libero.
Lettera a mio padre
Caro papà, ti scrivo una pagina di diario, come se fossi ancora una bambina e dovessi confessarti un segreto, con il sorriso stampato sul viso.
Caro papà, sei sempre stato la mia roccia, la spalla su cui piangere, il mio portafortuna, la mia ancora che mi teneva ben salda, il mio tesoro.
Sei stata la persona con cui ho più litigato, ma anche quella con cui più facilmente facevo pace. Con te bastava uno sguardo e la mia anima sembrava di nuovo in pace, era di nuovo colorata e felice.
Quando stavo per chiederti qualcosa ti facevo gli occhi dolci, accennavo un sorriso e tu già sapevi che quello che chiedevo era qualcosa di impossibile, che solo tu potevi realizzare. Sai però qual è la cosa buffa? Che l’impossibile l’hai sempre realizzato.
Per me ci sei sempre stato, quando combinavo uno dei miei soliti pasticci oppure un guaio dal quale solo tu potevi liberarmi. Ci sei sempre stato quando ti infastidivo con le mie richieste e le mie lamentele. Ci sei sempre stato quando mi ammalavo perché avevo preso freddo e ti arrabbiavi perché me lo avevi detto di coprirmi, ma c’eri comunque, a rimboccarmi le coperte, a tirarmi su il morale, a farmi stare meglio.
I ricordi però non voglio condividerli tutti, alcuni voglio che restino nascosti, solo per noi due, solo nostri. Alcuni ricordi li custodisco come i pirati il loro tesoro, come un diamante prezioso.
L’ultima volta che ti ho sentito parlare eravamo in ospedale. Prima di andarmene mi hai detto che mi volevi bene. So che sembra scontato, che sono le parole che si dicono più spesso, le più scontate, ma in quel momento, mi sembravano le più adatte
e quelle che volevo sentire di più. Così mi sono aggrappata alla tua voce rauca e poco melodiosa, come non ricordavo, e ho volato ancora un po’. Le mie ali mi hanno portato in alto, la tua voce mi aveva dato l’energia necessaria per toccare il cielo, ma poi, come all’improvviso, le ali sono diventate pesanti, si sono spaccate a metà ed io sono precipitata, schiantandomi.
Mi ero fatta male, non riuscivo ad alzarmi, le mie ali erano del tutto inutilizzabili e non sapevo più come volare. Il cielo era diventato tutto grigio, le nuvole oscuravano il sole e una pioggia incessante appesantiva ancor di più le mie ali. Poi però ho ricordato quello che mi avevi detto: bisogna sempre seguire la strada dei sogni, contare su se stessi e sugli altri, essere sempre se stessi e dire sempre la verità. Così ho iniziato a riprendere le forze che mi rimanevano per far funzionare le mie ali, per alleggerirle e tornare a volare.
Ancora non ci riesco del tutto, papà, ma ti giuro che ci sto provando, sto cercando di volare, più in alto che posso.
Caro papà, tutti dicono che ci somigliamo o meglio, che io somiglio a te, che il nostro viso combacia, che i miei lineamenti sono uguali ai tuoi. Il nostro sguardo, dicono, sia penetrante allo stesso modo. Siamo simili nei comportamenti, nei modi di fare, nei gesti che facciamo quando parliamo, nei sorrisi, nel renderci buffi, nel metterci nei pasticci. Te lo confesso; non credo ci sia cosa più bella che sentirmi dire che ti somiglio, mi sento fiera di me stessa, mi sento protetta. Ho ancora tante altre cose da raccontarti, forse scriverle nero su bianco mi fa rendere meglio conto di quello che ho ancora di te, di tutti i ricordi condivisi, di tutta la vita passata insieme. Quando penso a te ho un nodo alla pancia, alla gola, al cuore, però poi penso a quando volavamo insieme e sorrido. Quello che vorrò ancora rivelarti, i segreti che vorrò condividere con te, i miei guai, le mie passioni, te li racconterò, lo sai, in sogno, quando ci incontreremo e, come ho già fatto, ti abbraccerò forte, piangendo con te.
Epilogo
Caro lettore, ormai siamo alla fine. Spero che la mia storia ti abbia preso. Ho voluto solo raccontarti un po’ di me, nella speranza di condividere il mio percorso di vita durante il quale sono molto cresciuta. Crescere a volte fa paura ma se si affronta tutto nella maniera giusta con le persone giuste che ti aiutano, le cose si risolvono positivamente. Cadute e ostacoli certamente non mancheranno. Ma a superarle c’è sempre la forza di qualcuno che ci guida e non ci abbandona mai, anche nell’assenza. Condividere la propria esperienza vuol dire crescere insieme. Spero che questo sia avvenuto e che le mie pagine abbiano offerto un valido contributo.
Schede didattiche
PROPOSTE DIDATTICHE
• Dentro il testo. Le domande hanno lo scopo di verificare la comprensione del testo, lasciando aperte più ipotesi interpretative, sempre ovviamente ancorate alle pagine lette.
• Al di là del testo. Le attività proposte mirano a stimolare - sviluppare la capacità di connettere il testo con altre realtà culturali, esperienziali degli studenti, in una reciprocità che rende profonda la comprensione.
• Esercizi di scrittura. La scrittura come mezzo potente per riflettere sulla propria vita. A questo mirano gli esercizi proposti e i suggerimenti offerti agli studenti.
Capitolo 1 Leggersi dentro
• DENTRO IL TESTO
1. Questo capitolo introduttivo è ricco di informazioni e riflessioni personali. Soffermati su quelle che maggiormente ti hanno colpito. Prova a spiegare perché. Completa la tabella.
Informazioni e Riflessioni tratte dal testo.
a. ................................................................. .................................................................
b. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. Etc...
Perché mi hanno colpito.
a. ................................................................. .................................................................
b. ................................................................. ................................................................. ................................................................. ................................................................. Etc...
2. Il testo che hai appena letto ci introduce nella sfera più intima del personaggio, spingendoci diritti verso il centro della sua personalità. Desideri, bugie, contraddizioni: un guazzabuglio di sentimenti in conflitto tra loro. Quale conflitto vive il personaggio? Prima di rispondere, prova a leggere le informazioni contenute nel grafico Il conflitto narrativo.
IL CONFLITTO NARRATIVO
Il conflitto è il motore di ogni narrazione. Non c’è storia senza conflitto. Il conflitto può essere di tre tipologie diverse:
a. conflitto interno
b. conflitto esterno
c. conflitto extrapersonale
CONFLITTO INTERNO. È UN CONFLITTO CON SE STESSI. Riguarda le proprie emozioni, i desideri più nascosti, il sé profondo.
CONFLITTO ESTERNO. È UN CONFLITTO CON GLI ALTRI. Riguarda i rapporti interpersonali con amici, genitori, adulti...
CONFLITTO EXTRAPERSONALE. Riguarda i conflitti con le istituzioni politiche, sociali, con la natura...
Torniamo alla domanda. Quale conflitto vive il narratore? Motiva la tua risposta con esempi tratti dal testo.
CO
CONFLITTO CON SE STESSO
Capitolo 8 Riflessi
• DENTRO IL TESTO
Specchiarsi e non riconoscersi nell’immagine riflessa. Si sente estranea a se stessa. Che cosa capisce guardandosi allo specchio? .................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................. ..................................................................................................................................................
In che senso lei si sente cambiata rispetto a come era una volta, prima... .................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................. ..................................................................................................................................................
• AL DI LÀ DEL TESTO
La poetica dello specchio
Lo specchio è un topos letterario assai diffuso. È un tema che riguarda l’identità personale. Molti autori lo utilizzano per raccontare personaggi in conflitto con se stessi, spesso in cerca di una identità messa in pericolo dalle vicissitudini della vita. Guardarsi allo specchio è un gesto di conoscenza.
Il termine latino speculum, da cui deriva la parola italiana specchio, ha la stessa radice di speculazione e del verbo speculare. Specchiarsi è un dialogo con se stessi.
Attenzione però perché ad avvicinarsi troppo allo specchio si sprofonda nell’abisso, come insegna il mito di Narciso. Ricerca insieme ai tuoi compagni il racconto di Narciso. Discuti insieme ai tuo compagni il significato di questo mito. Sintetizza il contenuto della discussione.
Il naso di Vitangelo Moscarda
Vitangelo Moscarda, il protagonista del romanzo di Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila è l’emblema della crisi di identità che nasce dal rendersi conto che gli altri lo vedono diverso da come lui pensa di essere. La storia di Vitangelo Moscarda inizia quando, mentre indugia davanti a uno specchio, la moglie gli fa notare alcuni difetti fisici di cui lui non si era mai accorto. In particolare il naso pende verso destra...
Il romanzo ha questo incipit:
– Che fai? – mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.
– Niente – le risposi – mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino.
Mia moglie sorrise e disse:
– Credevo ti guardassi da che parte ti pende.
Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda.
– Mi pende? A me? Il naso? E mia moglie placidamente:
– Ma sì, caro. Guardatelo bene. Ti pende verso destra. Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto, decente come insieme tutte le altre parti della mia persona...
Leggere per intero l’incipit del romanzo può essere molto utile a comprendere il tema dello specchio e discuterne in classe favorisce la discussione sulla costruzione dell’identità personale.
Kikuo Takano
Chiunque si specchia Che oggetto triste
Hanno inventato gli uomini.
Chiunque si specchia Sta di fronte a se stesso E chi pone la domanda
È, al tempo stesso, l’interrogato.
Per entrare più a fondo
L’uomo deve fare il contrario, Allontanarsi.
Per riflettere
Perché, secondo l’autore, lo specchio è un “oggetto triste”? .................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................. ..................................................................................................................................................
L’ultima terzina sembra contenere una contraddizione: per andare a fondo bisogna allontanarsi.
Come la spieghi? .................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................. ..................................................................................................................................................
• ESERCIZI DI SCRITTURA
Più volte la narratrice si guarda allo specchio alla ricerca di una conferma... Davanti allo specchio si interroga per capire chi è lei veramente. Davanti allo specchio decide di ascoltare i propri pensieri per comprendere il suo essere profondo in subbuglio.
Mi guardo allo specchio e capisco che...
Scrivere per capirsi .................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................. ..................................................................................................................................................
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Se io potessi
Tutti abbiamo sognato di essere qualcun altro. E tu? Prova a scrivere un’ipotesi di vita alternativa. Chi ti piacerebbe essere? .................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................. ..................................................................................................................................................
Che cosa mi manca
Che cosa mi manca per essere come vorrei. Rifletti su ciò che hai - difetti, pregi, attitudini... - e su quello che ancora ti manca per essere pienamente te stesso/stessa. Questa tabella può aiutarti a organizzare i pensieri.
CHE COSA HO... CHE COSA MI MANCA ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................
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Capitolo 17
Come una crisalide
• DE NTRO IL TESTO
1. Quali parole/frasi sono indizio di cambiamento della narratrice? Cercale nel testo e riportale in una lista delle parole/frasi più importanti del capitolo. Spiega perché le ritieni significative.
Parole/Frasi significative del cambiamento
1 ........................................................................
Spiego perché sono importanti
2 ....................................................................... ..........................................................................
3 ........................................................................ ..........................................................................
4. etc...
2. L’esperienza della protagonista è stata forte e dolorosa. Ma non è importante l’esperienza in sé quanto la riflessione sull’esperienza. Qual è la riflessione più rilevante che la narratrice compie e che testimonia la sua maturazione? ........................................................................................................................................ ........................................................................................................................................ ........................................................................................................................................
• AL DI LÀ DE L TESTO
Il viaggio dell’eroe
Come in ogni storia, il protagonista può sviluppare un cambiamento nel proprio modo di pensare e di comportarsi. Spinto dalle circostanze della vita, messo di fronte a degli ostacoli da superare, egli si mette alla prova,
facendo leva su abilità che non sapeva di avere. Attraversa tante soglie di passaggio che rappresentano le tappe della sua evoluzione. La protagonista di questa storia intima, vive tutti i passaggi che costituiscono le tappe del viaggio dell’eroe. Con questo termine si indica il cammino che il personaggio, spinto da un bisogno, materiale o spirituale o morale, intraprende per realizzare un desiderio, per raggiungere un fine. Questa teoria narrativa si può applicare a tutte le storie, con le dovute differenze. Quindi anche alla nostra.
Inizio del viaggio
Il mondo ordinario
Il mondo ordinario
Il mondo straordinario
Discesa agli inferi
Il grafico posto in alto è stato da me rielaborato e semplificato per renderlo più facilmente fruibile da parte degli studenti. Ho inserito quindi pochi elementi, quelli più immediatamente utilizzabili nel corso della lettura.
Questo grafico rappresenta il viaggio dell’eroe e riguarda, nello specifico, una narrazione circolare, appunto, in cui l’eroe inizia il viaggio e lo termina nel punto in cui l’aveva iniziato.
Lungo il tragitto l’eroe può modificare il proprio modo di essere, proprio grazie all’esperienza vissuta.
Il cerchio è diviso in due parti:
• Mondo ordinario. È la parte superiore del cerchio. Il mondo ordinario rappresenta la quotidianità della vita fatta di relazioni, progetti,
attività. Raffigura la normalità, la routine di gesti e azioni che scandiscono il tempo della vita ordinaria.
• Il mondo straordinario. Occupa l’emisfero inferiore del cerchio. Il mondo straordinario è il mondo sconosciuto, diverso, potenzialmente pericoloso; rappresenta la realtà in cui ci si può perdere, è il momento più basso dell’eroe nel quale può perdere tutto. Tecnicamente: la discesa agli inferi. Il passaggio da un mondo all’altro avviene attraverso una soglia.
Per fare un esempio noto, Renzo a Milano vive l’esperienza più pericolosa della sua vita: rischia l’arresto ed è costretto alla fuga di notte, in un territorio a lui del tutto ignoto.
• Il ritorno. Se l’eroe supera i numerosi ostacoli incontrati sulla sua strada, incomincia una fase in cui pian piano la tensione cala e le difficoltà trovano una soluzione.
L’eroe riacquista il proprio posto nel mondo. Ma probabilmente qualcosa di importante in lui è cambiato, come è successo a Renzo.
Come utilizzare il grafico.
È possibile utilizzare questo grafico per la nostra storia? Potete provare in classe con l’aiuto dell’insegnante. Qui ripropongo il grafico vuoto da completare in classe?
Completa inserendo le informazioni come mostra il modello.
IANNONE Catalogo
A cuore aper to, è una di quelle storie che ti mettono faccia a faccia con del materiale incandescente, come è la mor te di un padre amatissimo e il dolore immenso per minuto, di come si possa imparare, sia pure con fatica, a uscire dall’incubo della perdita ed entrare nella dimensione della nostalgia, che pure dolore è, ma più tenue, forse, e comunque diverso, come un fuoco che non brucia più, ma riscalda e dà confor to. Lentamente il dolore sfuma nel ricordo. C ’è solo bisogno di tempo e di imparare a sostare nell’attesa che non è un tempo inutile ma ... il tempo in cui ciò che deve compiersi è ancora un’idea e il nostro cuore è sospeso tra un qui e un altrove...(Andrea Koeller, L’ar te dell’attesa)
Dentro il testo
Pr oposte didattiche con str ategie del WRW – Writing and Re adin g Wo r ks h o p