I Borghi d'Italia -Edizione Speciale Puglia

Page 1

i borghi d'italia STORIE, CURIOSITA' ED ESPERIENZE NEI BORGHI ITALIANI

Edizione Speciale A spasso tra i borghi del Sud Italia

Regione Puglia Luoghi, persone, emozioni


LA

VACANZA

BORGHI:

NEI

UNA

VACANZA ESPERIE NZIALE

SCOPRI I BORGHI L'Italia è un viaggio da fare all'avventura, con il

sono un regalo da farsi, luoghi in cui

portabagagli vuoto. Bastano pochi chilometri per

scegliere di perdersi, partendo dalle viuzze del

approdare ad una verità assoluta: l'Italia è bella, è

centro storico e proseguendo per i sentieri

bella tutta, senza retorica. Ogni regione, ogni borgo,

sterrati che attraversano le riserve e i tantissimi

è unicità che meraviglia. Le sorprese più grandi

parchi. I castelli e le fortezze sono libri aperti che

sono nascoste nei vicoletti dei piccoli paesini,

narrano incredibili leggende, le chiese e i

arroccati sulle montagne, adagiati nelle valli verdi,

santuari sono miniere di tesori inestimabili. Con il

protetti dalle chiome dei boschi o degli ulivi. Senza

piede che ancora balla al ritmo travolgente delle

chiedere nulla si donano, regalano la propria storia

musiche popolari e i sensi inebriati dai piatti

che lasciano raccontare alle mura, ai palazzi

tipici, tornerete a casa e scoprirete che il vostro

importanti e alle stradine lastricate, attraversate nei

bagagliaio è pieno, perché per strada non sarete

secoli da barbari e genti straniere. I borghi italiani

riusciti a lasciar andare nulla, di così tanto splendore.


IN QUESTO NUMERO

03

IL BORGO DI UGENTO Prima città messapica, ricca e potente, poi signora romana, normanna e sveva...

11

IL BORGO DI LECCE Una città ad anelli concentrici che racchiudono un cuore pulsante: l’antica Lupiae...

31

IL BORGO DI TAVIANO La Sanremo del Salento, che vanta nel suo patrimonio di bellezze il titolo "Città dei Fiori"...

40

IL BORGO DI GALATINA Preheat the grill on high heat, and use a grill brush to clean properly


PAGE 3

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

Il Borgo di Ugento

Ugento ha l’anima di un’arzilla vecchietta di cui è difficile individuare l’età, i mariti ed i dolori

Ugento è stata soprattutto città messapica, ricca e potente, poi signora romana, normanna e sveva. Ha conosciuto la brutalità dei saccheggi e delle invasioni e nonostante questo riesce a mantenere un aspetto vivace e brioso. Sarà di sicuro l’aria del mare che bagna le sue marine e il fascino di Città D’Arte e di storia che le permettono di offrire un volto sempre sorridente e giovanile. Ugento è una città di eterna

bellezza, che non nasconde le rughe del suo passato ma le esalta e le mostra con fierezza. Un’araba fenice che è risorta dalle rovine delle sue mura, che dall’alto del suo castello guarda all’antica cripta del Crocefisso e alla cattedrale, sorride alla sua Gemini e carezza la sua silva. La frazione Gemini

Gemini dal latino Gemelli: è probabilmente questa l’etimologia del nome della


WWW.IBORGHIDITALIA.COM

frazione di Ugento. La sua fondazione, infatti, s’intreccia con un’antica leggenda che racconta del dio Zeus, innamorato di Leda, regina di Sparta. Un giorno, mentre la donna riposava adagiata sulla sponda di un laghetto, il padre degli dei decise di trasformarsi in un cigno per poterla osservare da vicino. La donna era così bella che Zeus non riuscì a resisterle e si unì a lei. Dall’unione nacquero due gemelli: Castore e Polluce, i Dioscuri.Dei due solo Castore era mortale e venne ucciso durante un combattimento, così Polluce, per amore del fratello, chiese di essere mandato nel regno dei morti. Zeus, meravigliato da un affetto così grande, chiese a Polluce di rinunciare a metà della sua immortalità e stabilì che i due vivessero alternati, un giorno da vivi sull’Olimpo e un giorno da morti nell’Ade, regno dei defunti. I Dioscuri erano divinità benefiche, guida e salvezza dei marinai durante le bufere. I due figli di Zeus dovevano essere molto venerati a Gemini, probabilmente da questo culto deriva proprio il nome dell’odierna frazione di Ugento. Le tracce del passato romano di Gemini seguono un percorso che conduce per le stradine del centro abitato ma anche per le periferie e le campagne e portano per mano ad attraversare la storia di questo luogo, fino a giungere alla sua fondazione. Gemini è stata la spalla forte di Ugento, la sorella minore che

PAGE 4

diventa potente nei momenti di difficoltà. Le mura di questo piccolo borgo hanno accolto il vescovo e gli ugentini che scappavano dalle devastazioni dei barbari e dei saraceni e per ringraziare di quest’ospitalità, il popolo superstite ha abbellito il centro con importanti palazzi e case gentilizie, che ancora oggi restano come testimonianza di questa unione fraterna. Oggi Gemini è frazione di Ugento, una cittadina che vive di riflesso il favore del turismo in estate, riuscendo comunque a mantenere la sua vocazione tranquilla. L’evento cardine di questo borgo è il presepe vivente, una tradizione che riesce a coinvolgere tutta la comunità e che ogni anno porta nella cittadina numerosi visitatori da tutto il Salento. La storia Raccontare di Ugento significa narrare una storia al confine con la mitologia. Le tracce del passato emergono negli scavi della Ugento di oggi, ma mancano ancora molti tasselli per completare il quadro delle sue origini. I megaliti che si incontrano sul territorio ci parlano di insediamenti preistorici, mentre le monete conservate al museo civico narrano di una città-stato che aveva una sua zecca e batteva moneta. Al tempo dei Messapi Ugento era Ozan, una città così potente da competere con Taranto. Ozan poggiava le basi della sua ricchezza sul mare, vennero costruiti i primi porti e si rafforzarono le navigazioni e i


PAGE 5

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

commerci. Gli intensi scambi con Taranto portarono la cultura della Magna Grecia ad Ugento, appartiene a questo periodo la statua di Zeus ritrovata sul territorio ugentino, motivo d’orgoglio della città. Quando i Romani giunsero in Salento, per Ugento iniziò un periodo di cadenza. Uxentum, questo era il suo nuovo nome, non è mai riuscita a digerire la cultura della grande Roma. Ugento ha conosciuto la brutalità dei saccheggi e delle scorribande turche, che hanno distrutto il paese. Coloro che con fatica sono riusciti a resistere sono ripartiti dalle rovine dei monumenti distrutti e dalle mura abbattute, con i loro resti hanno costruito delle nuove case. Con i normanni Ugento ha alzato nuovamente la testa: dove sorgeva il castro romano viene costruito un castello che aveva lo scopo di difendere la città e le persone che erano scappate nella vicina Gemini rientrano nel borgo, portando un aumento di popolazione.

città mostra e custodisce ciò che ha ereditato dalle sue travagliate vicende. La Cattedrale

Nel 1880 Ugento venne travolta dall’idea di abbattere una parte del centro abitato per far posto a quella che oggi è piazza San Vincenzo. La piazza è dominata dall’imponenza della Cattedrale, costruita nel ‘Settecento e testimone della grandiosità di una delle più antiche sedi vescovili del Sud Italia.La facciata della cattedrale è in stile neo classico, con colonne che si adattano bene al gusto ellenistico, così come la desiderava il vescovo.Pesanti rimaneggiamenti hanno portato la cattedrale ad un periodo buio, a causa della pittura grigia con cui sono stati rivestiti tutti gli interni. Oggi grazie alle recenti ristrutturazioni, la chiesa sta mostrando il suo splendore originale; entrando dalle porte laterali colpisce l’esplosione di colore, dagli altari barocchi sono riemerse le vivaci tonalità autentiche e tutto sta tornando a risplendere di luce e armonia. Il Castello

Ugento ha saputo riorganizzare la sua vita cittadina, ha attraversato il Medioevo traghettandosi tra i diversi signori feudatari: i D’Acquisto che l’hanno colmata di tasse insensate e i D’Amore che le hanno donato lusso e fasti. Oggi la lunga biografia di Ugento è scritta tra le sue strade e per il borgo, con nobiltà la

Dalla sua altura il castello domina l’intero borgo e accoglie i visitatori che vengono dal versante nord-ovest. La sua posizione non è casuale, i Normanni lo fecero costruire nello stesso luogo in cui prima c’era un castro romano, perché da quel punto era facile controllare la venuta di nuove genti. Il castello di Ugento


PAGE 6

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

nasce quindi con una funzione di difesa, ed è evidente dalla maestosità del suo aspetto e dalle linee rigide che il tempo gli ha lasciato. I marchesi d’Amore smussarono i tratti austeri del palazzo e lo addolcirono con cornicioni decorati ed eleganti decorazioni. Gli ambienti di rappresentanza vennero ampliati e con essi il lusso entro a far parte del palazzo, anche grazie ai dipinti a tema mitologico.

La Cripta del Crocefisso

Fuori dal centro abitato, sulla strada che conduce a Melissano, si trova la Cripta del Crocefisso che con molta probabilità risale al periodo messapico. Questo è sicuramente il sito più controverso della storia di Ugento, che ancora oggi colpisce e fa discutere gli studiosi. La volta dell’ipogeo è infatti interamente affrescata, niente di strano fin qui, se non fosse che gli affreschi raffigurano immagini esoteriche e simboli di un passato di persecuzioni, legato all’epoca romana. Animali fantastici popolano la volta di questa cripta, insieme a fiori, frutti, stelle a sei e ad otto punte e anche scudi crociati rossi e neri che rimandano ai templari e ai cavalieri. Ancora oggi la Cripta del Crocefisso rimane un mistero per molti e porta continuamente gli studiosi a formulare nuove ipotesi.

I Musei

Ogni qualvolta ad Ugento si scava per lavori s’incappa sempre in nuovi ritrovamenti. La storia millenaria di questo borgo parla attraverso i reperti storici ritrovati nel corso dei secoli. Il più grande collezionista di testimonianze storiche è stato il barone Adolfo Colosso, il cittadino più illustre di Ugento, che ha cavallo tra il Milleottocento e il Millenovecento ha messo insieme quasi ottocento reperti di epoca antica ritrovati nel territorio di Ugento. A questi si devono aggiungere altri pezzi di età moderna. La Collezione Colosso è una delle più importanti del Salento, oggi il palazzo baronale ospita la collezione ed è stato istituito il Museo “Adolfo Colosso”. Il Museo Civico Archeologico di Ugento si trova invece nell’ex convento dei Frati Minori Osservanti, uno dei più importanti palazzi del centro storico. L’edificio racconta da solo una propria storia: infatti ha ospitato i frati fino a metà ‘Ottocento, cioè fino a quando è diventato di proprietà dello stato e di conseguenza del comune. Negli anni Sessanta del ‘Novecento, Ugento ha sentito la necessità di riunire i suoi ritrovamenti in un unico luogo e quale miglior posto del convento? Si trovano nel Museo Civico importanti pezzi storici, come le antiche monete di Ugento, testimonianza della zecca dell’epoca e una copia dello Zeus Stilita. Le testimonianze della spiritualità


PAGE 7

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

della città si trovano nel museo diocesano che custodisce calici in oro, antichi messali, statue in cartapesta, ma anche tele, ceramiche e tessuti pregiati. L’ambiente è denso di misticità e carico di significato. Lo Zeus Stilita

È difficile immaginare la faccia dei maestri costruttori che all’opera per lo scavo di nuove fondamenta, sono incappati nella statua di un dio greco. Chissà se hanno immaginato di essere davanti ad una delle scoperte più importanti della storia di Ugento. Lo Zeus per secoli ha riposato in una buca, protetto da un masso che in origine era il suo capitello. È raro trovare una statua in bronzo risalente al 500 a.C. che è giunta a noi in uno stato di conservazione ottimo. Zeus Stilita è una divinità fiera, che avanza verso il suo popolo, con una saetta in una mano e un’aquila nell’altra. Il suo atteggiamento orgoglioso incarna perfettamente l’importanza che questa statua ricopre, questa divinità è il simbolo della grande Ugento, dello splendore di una città potente e ricca che intratteneva scambi commerciali con la spartana Taranto. La statua originale di Zeus è conservata al museo di Taranto, al Museo Civico di Ugento si può ammirare la sua copia perfetta. Le Secche

Le secche di Ugento si estendono per quasi quattro

km e collegano la marina di Torre Mozza a quella di Torre Pali. Nel corso dei secoli hanno causato numerosi naufragi, anche di personaggi illustri, come Pirro che mentre accorreva in soccorso di Taranto, è incappato nelle secche che hanno bloccato la sua corsa, oppure il naufragio del mercantile Liesen, che ancora oggi riposa sul fondo del mare ed è diventato una vera e propria meta turistica per i sommozzatori. Tra le secche ugentine affiorano sul pelo dell’acqua lo scoglio del Cavallo, quello della Giumenca e quello del Puledro. Nomi insoliti che s’intrecciano alle scorribande turche e ad una leggenda. I Saraceni, dopo aver saccheggiato Castrignano del Capo e altri paesi, stavano ritornando al vascello, quando sul loro cammino incontrarono un pastore anziano e i suoi tre cavalli, era una preda così facile che s’affrettarono a catturarlo e a rinchiuderlo nella stiva. Le loro scorribande per il Capo di Leuca gli avevano fruttato un bottino ricco e presi dall’euforia iniziarono una festa bagnata dal vino che erano riusciti a sottrarre. Nessuno dei saraceni rinunciò a bere e finirono per ubriacarsi e poi per addormentarsi, senza sentire la tempesta che si avvicinava. Quando si svegliarono, erano tutti troppo impegnati a salvarsi e non si preoccuparono certo del prigioniero nella stiva.


WWW.IBORGHIDITALIA.COM

PAGE 8

Una curiosità sul borgo di Ugento “Ugento, senza fede nè sacramento" Erano i primi anni del ‘Settecento, la cattedrale di Ugento era stata da poco terminata ma tardava ad essere aperta al culto. Il vescovo, un uomo burbero e scontroso, aveva commissionato una campana per la nuova chiesa. Era costruita con materiali pregiati, che al tocco restituivano un suono dolce e melodioso. Nonostante il vescovo chiedesse di continuo una cerimonia che inaugurasse la nuova chiesa, per un motivo o per l’altro si continuava a rimandare e la campana restava ferma e si riempiva sempre piùdi polvere. La pazienza si esaurì e il vescovo decise di donare la campana alla chiesa di Altamura, che nel

frattempo era stata inaugurata. Per Ugento fu un affronto intollerabile, il popolo e il clero si schierarono compatti contro il vescovo e non esitavano a fargli dispetti e ingiurie che portarono il prelato ad abbandonare la sede vescovile. Si mise in carrozza, per andare il più lontano possibile, e quando uscì fuori dal paese, all’altezza del santuario della Madonna della Luce, scese e si spolverò le scarpe per lasciarsi dietro qualsiasi cosa fosse legata a quel luogo, e pieno di rancore, disse: “Ugento, senza fede né sacramento.”

Gli splendidi colori del tramonto salentino tra le guglie della chiesa dei SS. Medici

Bere e mangiare: il piatto tipico del borgo Ciciri e tria una delle ricette più antiche legata alla tradizione gastronomica salentina Già menzionata dal poeta latino Orazio, che decantava una minestra composta da ceci, porro e lasagne,questo tipo di pasta si è diffusa nel Salento con il nome di “Tria", derivata dalla parola araba “itriyah" (pasta secca). Un piatto povero ma molto gustoso, preparato durante tutto l'anno il cui ingrediente principale sono i ceci; la pasta “Tria" si prepara semplicemente con semola di grano e acqua, il tutto è insaporito da una parte di pasta che viene fritta i “frizzuli" in olio extravergine di oliva .Se non avete tempo di preparare la pasta in casa potete comprare delle tagliatelle fresche o utilizzare della pasta secca di forma simile.


PAGE 9

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

Mangiare nel borgo di Ugento I migliori ristoranti di Ugento, dove assaporare i piatti della tradizione

CAFFETTERIA RESET Aperitivi e lounge bar Piazza Adolfo Colosso Telefono: 373 754 7288

LA VECCHIA BOTTE Cucina della tradizione Via Capitano Ugo Giannuzzi, 17 Telefono: 349 544 8482

IL RITROVO DEL VIANDANTE Trattoria Via Roma Telefono: 0833556602

AL DUOMO Pizzeria - Trattoria Via Camillo Benso Conte di Cavour, 6 Telefono: 349 544 8482


PAGE 10

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

Dormire nel borgo di Ugento Le dimore di charme che "IBorghidItalia" ha selezionato per rendere indimenticabile il vostro soggiorno B&B PORTA PARADISO Ugento Via dei Cesari, 30 Telefono: 338 735 4655

B&B LE SEI CONCHE Gemini di Ugento Via Chiesa, 12 Telefono: 334 313 0040

MONTEFORTE RESORT Ugento Via Raheli, 17 Telefono: 393 911 0928

B&B LA LOGGETTA Ugento Via Salentina, 32 Telefono: 0833 555945

IL GIARDINO DEL PRIORE Ugento Via del Priore Telefono: 0833556194

BADIA DEL CASALE Ugento c.da Casale Telefono: 0833 185 7294


PAGE 11

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

Il Borgo di Lecce

Lecce è una città ad anelli concentrici che racchiudono un cuore pulsante: l’antica Lupiae.

La città è fatta di uffici e di studenti che affollano le strade, dandole un tocco vivace e giovanile. Il fermento urbano però rimane fuori dal centro storico, dove la città vecchia continua a vivere protetta da quella che era la sua cinta muraria. Dalle tre porte d’accesso al centro storico ci si incammina per i vicoli che portano verso Piazza Sant’Oronzo: vero snodo di viuzze e viali. Lasciandosi alle spalle il traffico

cittadino, si va verso un borgo dove la tranquillità sa di passeggiate a piedi o in bici e si respira un’aria che trasuda di storia e arte autentica. La chiesa del Rosario, l’Accademia delle Belle Arti e poi più giù seguendo via Libertini, fin quando all’improvviso ci coglierà di sorpresa la Piazza del Duomo: un tripudio d’arte barocca immersa nelle delicate tonalità della pietra leccese. È bella


WWW.IBORGHIDITALIA.COM

sempre ma diventa d’incanto al calare della sera. Lecce è tutta d’ammirare con il naso all’insù, perdendosi tra i balconi barocchi e i vicoletti, uscendo dal percorso ordinario alla ricerca della città nascosta. Sant’Oronzo, dall’alto della sua colonna, osserva il fermento dei leccesi che si godano un gelato sulle scalinate del sedile, s’affaccino sull’anfiteatro romano o proseguano per via Trinchese: modaiola via dello shopping. Eppure a tutti il santo sembra dare un suggerimento: lasciatevi guidare dalla lastricata viuzza che conduce alla Chiesa di Santa Croce, in questo piccolo angolo, tra le botteghe di cartapesta e l’antica giudecca ebraica, è racchiusa la vera essenza di Lecce. La storia

La fondazione di Lecce si perde tra i misteri del tempo e s’intreccia ad un’antica leggenda che racconta della sua esistenza già prima della guerra di Troia, circa 1200 anni prima della nascita di Cristo. Le prime tracce d’insediamento umano risalgono all’età del ferro, ma è con la venuta dei Messapi che Lecce assume la forma di una città-stato e prende il nome di Lupiae. Risale al periodo Messapico il profondo legame tra Lupiae e Rudiae, una città vicina che ha dato i natali al poeta latino Quinto Ennio.

PAGE 12

La conquista del territorio da parte del popolo romano, porta a Lupiae il benessere economico e l’inizio di un espansione edile che sarà il suo punto di forza negli anni a venire. Nel periodo che va tra il I e il II secolo a.C. vengono costruiti l’anfiteatro e il teatro romano e la città viene collegata al porto di San Cataldo attraverso un sistema viario, grazie al quale riesce ad incrementare i commerci marittimi. La potenza di Lecce subisce un declino nel medioevo, perché la città, divenuta contea, passa nelle mani di diverse casate e conosce la barbarie delle scorribande saracene da cui proverà a difendersi solo con l’arrivo degli angioini. Carlo V, infatti, irrobustisce la cinta muraria costruita durante il periodo Messapico e costruisce il Castello- fortezza che porta il suo nome ma soprattutto porta a Lecce una rivoluzione artistica che s’identifica sotto il nome di “Rinascimento Salentino”. In questo modo da’ l’avvio ad un fermento culturale che si rafforzerà durante la dominazione spagnola e accompagnerà la crescita della città fino ai nostri tempi. Il 1600, periodo della riforma e della controriforma cattolica, è un punto importante nella storia leccese perché è questo il contesto in cui si diffonde il vento del Barocco, che porterà alla costruzione di chiese e palazzi nobiliari. Piazza del Duomo, Palazzo dei Celestini e


PAGE 13

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

la Basilica di Santa Croce sono solo alcuni dei simboli di Lecce, che con i loro decori barocchi stupiscono per opulenza ed eleganza. La crescita di Lecce continua anche durante l’unità d’Italia e nell’epoca fascista, mantenendo comunque inalterato il fascino di una città raffinata e vivace, grazie anche all’Università che la porta ad essere centro di saperi d’eccellenza. Le Porte della città: Porta Rudiae, Porta Napoli e Porta San Biagio

Non è difficile immaginare Lecce nel passato come una città florida e gioviale che viveva protetta all’interno della sua cinta muraria. Le mura racchiudevano un’area di cinquanta ettari a cui si poteva accedere attraverso le numerose porte disseminate lungo il perimetro. Oggi di questa struttura difensiva resta ben poco: rimangono le tre porte d’accesso che segnano l’ingresso del centro storico e una porzione di mura che coincideva con l’ingresso nord del borgo e che grazie ad un recente restauro sono tornate ad un rinnovato splendore. Delle tre porte che ancora oggi sono in piedi la più antica è Porta Rudiae che si affaccia su Viale dell’Università ed è uno storico punto di riferimento per i cittadini. Porta Rudiae sorge sui resti di una porta medievale, è stata eretta nel 1703, in un periodo storico in cui non c’era più necessità di difendersi da

minacce esterne e per questo motivo è stato possibile concentrarsi maggiormente sul lato estetico, arricchendo il portale di decorazioni barocche. La porta è dedicata a Sant’Oronzo, che troviamo in cima alla costruzione, accanto alla statua del Santo si trovano Sant’Irene e San Sebastiano, patroni minori della città. I busti posti ai lati sono riferimenti a figure importanti della storia messapica: è raffigurata la regina Equippa, suo marito Idomene, il fratello Dauno ed infine Melennio, suo padre, a cui è stata attribuita la fondazione della città. Al suo nome è legata anche la strada sotterranea che, secondo la leggenda, dalla porta conduce all’antica Rudiae Poco lontano da Porta Rudiae, si trova Porta Napoli che conduce verso i vicoli lastricati del centro storico e intreccia la sua storia con le incursioni turche e con la presenza angioina in città. In molti vedono in questa porta un arco di trionfo in stile romano, per via della costruzione tipica di queste strutture e della presenza di stemmi militari scolpiti nella facciata ma è un’ipotesi che ancora oggi resta sospesa. Alcuni scavi effettuati nei dintorni della porta hanno portato alla luce numerose tombe di origine messapica e con molta probabilità ce ne sono ancora molte altre interrate. La leggenda narra che nelle vicinanze di Porta Napoli si trovino anche i resti di San Giusto a cui era stata dedicata la porta che precedentemente si trovava nello stesso punto. L’ultima porta è porta San


PAGE 14

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

Biagio, distante dalle altre due, chiude il centro storico alla fine di quella che per gli universitari è conosciuta come “la via dei pub”. Questa porta è stata ricostruita nel 1774, sulla facciata sono presenti colonne doriche e decorazioni in pietra leccese, con due stemmi civici e la statua di Sant’Oronzo. Nessun segno di San Biagio a cui per volere del committente è dedicata la porta. San Biagio era un vescovo armeno, martirizzato intorno al 316 per non aver voluto rinunciare alla fede cattolica. San Biagio è conosciuto come protettore della gola e il suo culto è venerato in numerose città italiane. L'Obelisco

Non tutti conoscono la vera storia dell’obelisco di Lecce, che spesso viene fatto erroneamente risalire all’epoca romana, ma in realtà è molto più recente di quello che può sembrare. È stato realizzato nel 1822 da Vito Carluccio per commemorare le venuta in città del re Ferdinando I di Borbone. L’Obelisco è una colonna in pianta quadrata, arricchita da basso rilievi scolpiti in pietra leccese su tutte le sue facce. Tra i tanti simboli emerge lo stemma della terra d’Otranto: un delfino che morde una mezza luna e che ricorda la dura lotta della popolazione locale contro i saraceni. Nelle incisioni presenti sulla colonna sono riportate alcune delle località più rinomate del Salento e la loro distanza da Lecce; la scritta

più lunga è un sunto della visita del re delle Due Sicilie. La Piazza del Duomo

Dove via Libertini incontra la lastricata via Palmieri, si apre lo slargo di Piazza del Duomo: un tripudio di stile barocco. Questa piazza è stata pensata come un cortile ed in passato la sera veniva chiuso dietro a due imponenti porte. La piazza custodisce nel suo seno il Duomo di Lecce, il campanile, l’Episcopio e il Palazzo del Seminario. Il Duomo è opera dell’architetto Giuseppe Zimbalo, una firma ricorrente quando si parla di Barocco Leccese. La cattedrale è stata edificata sui resti di templi più antichi, tra il 1659 e il 1670 l’edificio è stato distrutto perché non ritenuto in linea con i precetti imposti dal Concilio di Trento ed è stato ri-edificato nella veste che vediamo oggi. La facciata che affascina i visitatori entrando nella piazza in realtà è la facciata laterale della Cattedrale, abbellita dalle statue di San Giusto e San Fortunato e da due colonne che delimitano il portale e sorreggono una balaustra sormontata dalla statua di Sant’Oronzo. Ancora più in alto lo stemma di Mons. Luigi Pappacoda, committente della chiesa. È stato lo stesso vescovo a scegliere le quattro statue che abbelliscono la facciata principale, molto più sobria del prospetto laterale e arricchita da un monumentale portale in bronzo, costruito nel 2000 dall’artista Armando Marrocco,


PAGE 15

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

per ricordare il Giubileo di quell’anno. L’interno è ricco di decorazioni color oro che donano una luce mistica alle navate, trionfano gli altari barocchi sormontati da un cielo ligneo che percorre tutta la navata centrale. Il campanile è esterno alla chiesa e si trova alla sua sinistra, ed anche questo è opera dell’architetto Zimbalo. Alla destra della Cattedrale si trova invece l’Episcopio, caratterizzato da un colonnato che gli conferisce semplicità ed imponenza al tempo stesso. L’episcopio è stato concepito come una dimora lussuosa, perché doveva rappresentare il simbolo del potere temporale della chiesa. Chiude la piazza, il Palazzo del Seminario ideato dall’architetto Giuseppe Cino che seguì le linee guida dell’architetto Zimbalo. Il palazzo ha una facciata unitaria, intervallata da lesene e finestre con al centro un balcone. Nonostante sia caratterizzato da una bellezza austera, è arricchito con piccoli vezzi barocchi nel portale e sotto le balaustre. Da vedere è il chiostro interno, abbellito dai tocchi leggeri del verde del prato e dagli arbusti che circondano un pozzo in stile barocco, detto Vera Ovale, sormontato dalla statua di Sant’Irene. Il Palazzo del seminario dal 2004 è la sede del Museo Diocesano d’Arte Sacra, attraverso i reperti custoditi tra le sue mura si racconta la storia religiosa ed artistica di Lecce e della sua provincia.

Piazza Sant’Oronzo

Piazza Sant’Oronzo è la piazza più famosa della città, a cui tutti arrivano percorrendo vicoli e viuzze e da cui tutti partono alla ricerca di negozi, ristoranti o monumenti. È il fulcro della storia di Lecce e della sua cultura, ricca di simboli e luoghi importanti. Sant’Oronzo si trova al centro della piazza, su di una colonna con capitello che ancora oggi è contesa tra Lecce e Brindisi. La tradizione popolare racconta infatti che la colonna e il suo capitello siano stati costruiti dai brindisini, partendo da una delle due colonne che chiudevano la via Appia in prossimità della loro città. Le colonne erano state attribuite ad Ercole e proprio al mitico eroe venne dedicata la nuova opera rimaneggiata. Il Vicere però non gradì il gesto che giudicò poco consono, ed ordinò che la colonna e il capitello venissero trasferiti a Lecce, inoltre fece affiggere una targa in cui si lascia intendere che Brindisi abbia donato la struttura ai leccesi. Così però non è mai stato e da ciò è nata una goliardica rivalità tra le due città che si protratta fino ai giorni nostri. Sant’Oronzo è diventato patrono di Lecce dopo aver salvato la città dalla peste; la statua, che oggi si trova nella piazza a lui dedicata, è del XVIII secolo e ha sostituito quella più antica che è stata distrutta dalloscoppio ravvicinato di un fuoco d’artificio. La statua è


WWW.IBORGHIDITALIA.COM

stata realizzata da un maestro veneziano ed è in legno, rivestita in rame. La credenza popolare dice che le tre dita aperte del santo indicano i ‘giusti’, inteso come stupidi, cioè i monaci, i preti e coloro che non fanno figli, altri sostengono che faccia riferimento ai tre patroni della città: Sant’Oronzo, San Giusto e San Fortunato. Sicuramente e molto più semplicemente il santo è stato raffigurato nell’atto di benedire la città. La presenza dei veneziani a Lecce si evince anche dalla chiesetta di San Marco e dal simbolo della città veneta che si trova sulla sua facciata. Oggi la chiesa è la sede dell’associazione reduci di guerra. Accanto a questo piccolo edificio si trova il Palazzo del Sedile che un tempo era la sede della municipalità. Sulle sue scale oggi ci si ferma per cercare ristoro, scambiare quattro chiacchiere o gustare un gelato ma un tempo dalle stesse sedute si assisteva alle torture dei condannati. Dove veniva posizionata la ruota medievale oggi si trova il mosaico della Lupa, simbolo di Lecce. Gli studenti più superstiziosi evitano di calpestarlo perché si racconta che possa causare contrattempi e portare ad un ritardo nel conseguimento della laurea. Alle spalle della piazza si trova l’anfiteatro romano. L' Anfiteatro romano

Un misto di timore e curiosità deve aver animato le maestranze che lavorarono alle fondamenta della filiale della

PAGE 16

Banca d’Italia. Siamo sul finire del Milleottocento, l’andamento circolare degli edifici che si trovano alle spalle di Piazza Sant’Oronzo lasciava intuire che ci fosse interrata una cavità, ma nessuno mai aveva osato andare oltre queste supposizioni. Iniziano per curiosità e quasi come una scommessa i lavori che con grande stupore portarono alla luce dell’anfiteatro romano. È stata soprattutto la rivincita di architetti e maestri costruttori contro chi li aveva sbeffeggiati e contro i giornali locali che facevano ridere la città con la loro satira pungente. L’anfiteatro che oggi vediamo è solo una parte dell’originale, la restante parte resterà per sempre interrato sotto la chiesa delle Grazie e le antiche botteghe artigiane. Un’incisione sulle pareti porta il nome di Traiano e questo ha fatto datare la costruzione dell’anfiteatro all’epoca imperiale, compresa tra il I e il II secolo a.C, ma con molta probabilità è anche più antico. Nella sua interezza dev’essere talmente grande da ospitare diverse migliaia di persone e questo è senz’altro una testimonianza di quanto era importante Lecce in epoca romana. Sulle pareti si possono ancora vedere le raffigurazioni di animali come orsi, cervi, leoni e tori, che venivano cacciati all’interno nell’arena. La caccia agli animali esotici era uno degli spettacoli che si potevano vedere nell’anfiteatro, si faceva la mattina mentre a mezzogiorno c’erano le


PAGE 17

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

esecuzioni capitali o le lotte tra condannati a morte e nel pomeriggio si concludeva con le lotte tra gladiatori. Oggi l’anfiteatro romano ha abbandonato queste vesti cruente e soprattutto in estate viene scelto per la rappresentazione di spettacoli teatrali e piccoli concerti classici, mentre in inverno per anni è stato lo scenario del tradizionale presepe natalizio. Il Palazzo Sozi Carafa

Un po’ discostato rispetto all’andamento di Piazza Sant’Oronzo, Palazzo Carafa s’incontra arrivando da via Libertini. Il committente di questo palazzo è il vescovo Alfonso Sozi Carafa. È stato edificato nel 1542 per ospitare le suore Paolotte, successivamente è stato fatto demolire dalle stesse e ricostruito per volontà del vescovo. Quando venne costruito però il Barocco era ormai uno stile sorpassato e l’architetto che l’ha ideato ha ceduto al fascino del Rococò, che si ritrova nell’andamento morbido delle cornici. Palazzo Carafa ha uno stile alternato di lesene e campate, con finestre. Compare sulla facciata lo stemma della famiglia Carafa. Nel periodo post unitario il comune ha acquistato il Palazzo, che ha perso così la sua funzione religiosa ed è diventato sede del Municipio. Teatro Romano

Il Teatro Romano si trova nel

cuore del centro storico, racchiuso tra i vicoli e nascosto dai palazzi seicenteschi. Era il 1929 e si stava scavando per le fondamenta di una casa quando con grande stupore s’incappò in qualcosa di duro, già scolpito nella roccia. Era la cavea, nome latino delle odierne gradinate, ed era anche l’inizio della scoperta di un teatro romano costruito durante l’impero di Augusto. Con gli scavi sono state rinvenute anche alcune statue di epoca successiva, che decoravano il teatro e che oggi sono custodite all’interno del museo Sigismondo Castromediano. Solo una piccola parte del teatro è stata riportata alla luce ma si pensa che potesse contenere alcune migliaia di spettatori. Contrariamente all’anfiteatro, il teatro era il luogo della cultura: qui infatti venivano portate in scena commedie e tragedie. I Teatri di Lecce

Via Trinchese congiunge Piazza Sant’Oronzo a Piazza Mazzini, oggi piazza Trecentomila. È la via dei negozi importanti e delle marche più rinomate ma è anche la strada in cui sorge maestoso il Teatro Apollo. Tra iteatri leccesi è il più giovane ma è anche quello che ha avuto una storia più travagliata. È stato costruito agli inizi del novecento per poter ospitare un maggior numero di spettatori: è un teatro imponente, con un colonnato che sorregge un architrave, in stile neoclassico. Nonostante il suo aspetto e nonostante la sua magnificenza, nel 1986 cala il


WWW.IBORGHIDITALIA.COM

tendone sul palcoscenico del suo ultimo spettacolo. Sono anni tristi, in cui il teatro cede alla brutalità del tempo e si lascia andare alla decadenza: fino a quando iniziano i lavori di ristrutturazione, che durano anni. Solo nel febbraio del 2017 il teatro viene restituito alla sua Lecce, vestito di nuove tonalità. Per l’inaugurazione in pompa magna arrivano nella città barocca il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. Il più antico tra i tre teatri leccesi è il Teatro Paesiello, una bomboniera seicentesca realizzata con un’impronta di stile napoletano. Purtroppo la bellezza non basta sempre a tutto, infatti nel milleottocento gli spettatori iniziano a soffrire le dimensioni ridotte di questo teatro che lo rendono inadatto solo a spettacoli in prosa. Raccogliendo l’insoddisfazione popolare, Donato Greco decide di costruire un teatro più ampio che possa ospitare anche opere sinfoniche e di un certo rilievo. Con queste finalità viene edificato il Teatro Politeama Greco che ancora oggi appartiene alla famiglia e dal giorno della sua inaugurazione, nel 1884, vanta ogni anno cartelloni con opere di grande prestigio, che spaziano dalla prosa alla lirica. Questo teatro negli anni è stato guidato dalla direzione artistica di nomi importanti tra cui si annoverano Katia Ricciarelli e il tenore Tito Schipa.

PAGE 18

Castello Carlo V

Carlo V per far fronte alle incursioni saracene rinvigorisce l’assetto difensivo di Lecce, che era costituito per lo più da una cinta muraria e, nello stesso punto in cui si trovava una torre di origine normanna, costruisce un castello fortezza che ancora oggi porta il suo nome. Il Castello non ha vezzi decorativi e ha un assetto architettonico tipicamente militare. Al piano inferiore si trova un portale che conduce alla sala grande del corpo centrale, ricca di colonne e capitelli in stile dorico e che porta anche nel giardino. Il piano superiore è caratterizzato da ampi atri illuminati da vetrate, il salone è stato restaurato di recente. L’assetto spartano del castello rimane oggi solo sul piano estetico, nel corso degli anni le sue stanze hanno ospitato importanti eventi culturali e artistici. Basilica di Santa Croce

Addentrandosi verso via dei Templari si giunge al quartiere della Giudecca. Alcune tracce di quello che è stato il centro della vita ebraica di Lecce sono nascoste dentro le mura di Palazzo Personè, ma anche per le stradine retrostanti. Gli ebrei nel corso degli anni riuscirono ad acquistare una posizione sociale privilegiata e per questo iniziarono ad essere mal visti dalla popolazione, che trovando appoggio nel potere regio, prima li ghettizzò e poi li cacciò


PAGE 19

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

via dalla città. Rientra in questo contesto l’esproprio dei suoli alle famiglie ebraiche per la costruzione della Basilica di Santa Croce. Questa chiesa con la sua facciata è diventato il simbolo più famoso del Barocco Leccese e passandole davanti non è inusuale trovare persone che con il naso all’insù cercano tra le decorazioni del prospetto, i volti stilizzati dei quattro committenti. La prima pietra per la costruzione della Basilica viene posta nel 1353 per volere del conte di Lecce Gualtieri VI de Brienne, tuttavia i lavori si sono interrotti bruscamente alla sua morte e sono ripresi solo nel 1549 grazie all’insistenza delle maestranze locali. Proprio queste però hanno ricevuto molte critiche e pochi consensi una volta terminata la facciata, perché il popolo giudicò poco consona la commistione di simboli pagani e cristiani. Nonostante questo la melograna, simbolo di fertilità , convive pacificamente da secoli accanto agli angeli, così come pellicani e fiamme vivono benissimo vicino a statue di papi e santi, in un connubio di simboli che hanno portato al successo della chiesa nel tempo. Il rosone centrale, decorato da cerchi e foglie d’acanto, cattura lo sguardo di chi osserva e lo distoglie dalle altre sfumature della facciata, come le statue di Celestino V e San Benedetto e le due figure femminili che simboleggiano la Fede e la Carità. Una balaustra divide in due parti il prospetto ed è sorretta da uomini e belve,si pensa che i primi

L'rappresentino i prigionieri turchi catturati dai veneziani durante la battaglia di Lepanto, mentre i secondi simboleggino gli alleati cristiani. L’interno è molto più semplice e spoglio rispetto alla facciata. La navata centrale è coperta da un soffitto a cassettoni in legno di noce e il perimetro a croce latina è arricchito da dodici altari barocchi. L’altare maggiore è incorniciato da un portale ed in alto si trova lo stemma della famiglia Adorni che tra queste mura ha seppellito molti dei suoi componenti. L'Ex Convento dei Celestini

Il manierismo Barocco della Basilica di Santa Croce prosegue in linea continua verso quello che era il Convento dei Celestini. Il palazzo è stato per secoli uno dei più importanti centri del Sapere, grazie al lavoro dei monaci amanuensi che tra queste mura hanno realizzato miniature e codici opere di grande importenza, oggi custodite nel museo Sigismondo Castromediano. L’attività dei monaci è proseguita ininterrottamente fino al 1807, quando tutti gli ordini monastici sono stati allontanati dalla città. Spogliato delle sue funzioni originali, il palazzo è diventato sede delle istituzioni della Terra d’Otranto e successivamente della Provincia di Lecce. La Piazza Sigismondo Castromediano

Incuneata tra Piazza Sant’Oronzo


WWW.IBORGHIDITALIA.COM

e la Basilica di Santa Croce si trova la piazzetta Castromediano, un luogo di passaggio che in pochi si soffermano ad osservare. Questa piccola piazza è il simbolo della grandezza di Lecce in epoca romana. Com’è accaduto per l’anfiteatro e per il teatro romano, anche in questo luogo sono stati effettuati scavi di riassetto urbano che hanno portato alla scoperta di importanti reperti dell’età del ferro e di un trappeto ipogeo, che risale al I secolo a.C. Il territorio salentino è ricco di ipogei e cisterne olearie. Queste strutture raccontano di un epoca in cui la produzione e il commercio di olio lampante era il vero motore trainante dell’economia. Gli ipogei venivano scavati nella roccia friabile ed erano per questo poco costosi, inoltre le temperature di questi frantoi erano ideali per la spremitura delle olive. Chiesa del Rosario o di San Giovanni

L’ultima opera firmata dall’architetto Zimbalo è la chiesa del Rosario o di San Giovanni Battista. Ci si imbatte nella sua facciata appena varcata Porta Rudiae e il suo barocco stupisce ed affascina fin dal primo impatto. Il prospetto è diviso in due parti da una balaustra, nella parte superiore si trovano trofei traboccanti di fiori e di frutti e alcune statue che simboleggiano le visioni del

PAGE 20

profeta Ezechiele. Nella parte inferiore si trova il portale racchiuso in due colonne, sormontato dallo stemma dei domenicani e dalla statua di San Domenico di Guzman. Al lato si trovano invece due nicchie con due statue, sono quelle di San Giovanni Battista e del beato Francesco dell’ordine dei predicatori. Se la facciata è barocca, l’interno lo è ancora di più e si ritrova con chiarezza l’intento di abbagliare e meravigliare il fedele, come chiedevano i precetti della controriforma cattolica. L’impianto della chiesa è a croce greca, ed è circondato da numerosi altari ed ovunque si trovano statue di Santi scolpite in pietra leccese. È molto importante il pulpito cesellato con le scene dell’apocalisse, è l’unico a Lecce ad essere scolpito in pietra. Il progetto della chiesa prevedeva anche una cupola che non è mai stata completata, perché in corso d’opera è venuto a mancare l’architetto Giuseppe Zimbalo che proprio nella chiesa del Rosario ha chiesto di essere seppellito e qui ancora oggi riposa. Ex Conservatorio di Sant’Anna

Via Libertini è ricca d’importanti edifici storici che portano verso l’essenza del barocco leccese. Tra i ristorantini e i negozietti, in questa strada, si trovano tra gli altri anche l’Accademia della Belle Arti, la Chiesa del Rosario e poi l’Ex Conservatorio di Sant’Anna. Quest’ ultima


PAGE 21

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

istituzione è stata voluta dalla nobildonna Teresa Paladini che voleva donare alla città un luogo di ritiro adatto alle ragazze dell’alta borghesia che avessero una vocazione religiosa e fossero votate alla vita quasi monacale. È stato istituito nel XVII secolo, ed è opera dell’architetto Giuseppe Zimbalo. Nel 1679 il conservatorio di Sant’Anna si trasferisce a Palazzo Verardi, dove si trova tutt’ora. Alcuni anni dopo, per volere del vescovo Alfonso Sozi Carafa, il palazzo viene ampliato e la sua facciata viene ingentilita da un’elegante scalinata che conduce al portale d’accesso, incorniciato da raffinati motivi e sormontato dagli stemmi delle famiglie Paladini e Verardi. Pochi sanno che costeggiando la stradina accanto alla chiesa del Rosario si giunge ad ammirare il giardino dell’Ex Conservatorio, dove c’è un Ficus plurisecolare che con la sua folta chioma abbraccia l’intera facciata dell’edificio. Oggi il conservatorio Sant’Anna continua ad essere un centro di cultura e d’arte e ospita spesso mostre ed eventi importanti. Cimitero Monumentale di Lecce e Chiesa di San Niccolò e Cataldo

“ a memoria delle umane genti” dice così l’incisione che si legge sull’architrave dell’ingresso del cimitero monumentale di Lecce. Un portale in stile neoclassico porta verso il lungo viale dei cipressi e conduce in un luogo che invita alla meditazione e al

silenzio. Attraversando una piccola porta si accede al “giardino funebre” con la sua rete di viali e stradine, in cui le tombe antiche appaiono addossate le une alle altre dando un senso contrastante di disordine e perfezione. In mezzo agli oleandri e gli eucalipti si trovano tombe in stile neogotico, vetrate policrome, ma anche guglie e rosoni sapientemente scolpiti nella pietra leccese. Tra i nomi importanti che riposano nel cimitero monumentale di Lecce emergono quello del tenore Tito Schipa e del poeta Vittorio Bodini. Accanto alla porta che conduce verso il giardino funebre si trova la chiesa di San Niccolò e Cataldo: una delle più belle e delle più antiche di Lecce. La chiesa risale al 1180, per volere di Tancredi conte di Lecce, successivamente è stata rimaneggiata in chiave barocca. La facciata è un misto di gusto medievale, che si ritrova nel portale e nel rosone, alternato allo stile barocco delle statue e delle decorazioni. L’interno è sobrio e raffinato ed è ricco di dipinti in tinte pastello. Si trovano affreschi pittorici tardo gotici che raccontano la vita di San Nicola e altri dipinti raffiguranti santi come San Benedetto e Santa Francesca Romana. Le acquasantiere figurate e la statua di San Nicola sono opera di Gabriele Riccardi, a cui venne affidata anche la realizzazione del primo chiostro del convento, che si trova all’esterno della chiesa. Solo in seguito è stato realizzato il secondo chiostro, al centro del


WWW.IBORGHIDITALIA.COM

quale si trova una fontana rinascimentale con colonne tortili che sorreggono un’edicola. Il Convento adiacente ha ospitato prima l’ordine dei Benedettini e successivamente quello degli Olivetani. Da alcuni anni è sede del dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento. La costruzione della chiesa di San Niccolò e Cataldo è stata voluta da Tancredi d’Altavilla, che mentre attraversava il Canale d’Otranto si trovò nel mezzo di una tempesta. Non sapendo cosa fare, ha rivolto le sue preghiere al cielo e poco dopo è riuscito ad approdare al porto di San Cataldo. Chiesa di Sant’Irene

La facciata della chiesa dedicata a Sant’Irene è sormontata dalla scritta in latino “Irene virgini et martiri”. La maestosità dell’edificio racconta molto sulla grande devozione che i leccesi avevano nei confronti della santa, patrona della città fino al 1656. La statua di Sant’Irene si trova in cima alla facciata e poco più in basso si trova lo stemma civico. Il prospetto ha delle nicchie vuote poste ai lati ed è diviso in due differenti stili artistici. L’interno è molto più sobrio rispetto all’esterno ed è caratterizzato da tre cappelle per lato, comunicanti tra loro e illuminate dalla luce del giorno. L’altare centrale è stato rimaneggiato nella seconda metà del millesettecento ed in

PAGE 22

alto è stata affissa la preziosa tela de “Il trasporto dell’Arca” opera di grande maestria dell’artista Oronzo Tiso. A lato si trova uno degli altari più maestosi di Lecce, quello dedicato a San Gaetano, decorato da una tela centrale che raffigura il fondatore dell’ordine dei Teatini. Tra gli altari e le pareti della sagrestia sono innumerevoli le opere di prestigio custodite in questa chiesa. Museo Sigismondo Castromediano

Sigismondo Castromediano è stato un nobile patriota che ha vissuto a pieno il risorgimento italiano. Da giovane ha aderito alla “Giovine Italia” di Giuseppe Mazzini e questo lo ha portato ad essere accusato di “cospirazione contro la monarchia borbonica”, ad essere imprigionato e successivamente condannato all’esilio. Rientrato in Italia è stato eletto nel primo parlamento italiano, alla camera dei deputati. Terminata la legislatura è rientrato nella sua terra natia e si è messo a servizio del popolo diventando consigliere provinciale. Ha dedicato gli ultimi anni della sua vita alla sua città: Lecce, a cui ha donato alcuni volumi per la biblioteca provinciale e ha istituito il museo che porta il suo nome. Oggi il museo Sigismondo Castromediano si trova nell’ex Collegio Argento, istituito dai padri gesuiti. Tra le sue mura è custodita una


PAGE 23

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

collezione importante di reperti storici che attraversano i millenni: dalla preistoria alla civiltà messapica, passando per la conquista romana e per l’epoca medievale. Tra le sue sezioni si trova una pinacoteca che contiene tele realizzate tra il 1400 e il 1700, una biblioteca ed infine un’area riservata alle mostre temporanee, in cui sono state esposte opere di artisti di rilievo del panorama salentino. Il Barocco Leccese

La vivacità artistica di Lecce trova la giusta collocazione nell’architettura e s’incastona perfettamente nel genere che viene conosciuto come ‘ Barocco Leccese’. Uno stile morbido ed elegante,che abbellisce portali e balconi di palazzi patrizi ma soprattutto arricchisce le chiese, impreziosendole con motivi floreali e frutti in abbondanza: ghirigori e ghirlande che si plasmano grazie alla friabilità della pietra leccese, la pietra gentile. Il Barocco Leccese è diverso dal Barocco romano di Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini e gode dell’influenza del “plateresco” spagnolo, caratterizzato dall’imitazione dei lavori di argenteria. Sotto questa spinta i rosoni e le cornici sembrano prender vita, in un tripudio di simboli cristiani. L’iconografia del Barocco di Lecce si esprime nella glorificazione delle opere della natura, come eterno ringraziamento alla madre terra, che viene vista come il grembo che dona i suoi frutti,

assecondando il volere del Signore. Le firme principali che si trovano alla base dei monumenti leccesi sono due, l’architetto Giuseppe Zimbalo e il vescovo Luigi Pappacoda: principale committente delle opere realizzate in questi anni. Non bisogna dimenticare infatti che il Barocco nasce soprattutto dall’esigenza di affermare il potere temporale della chiesa e del clero e pone l’accento sul potere economico e politico dei finanziatori.


PAGE 24

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

Una curiosità sul borgo di Lecce L’arte della Cartapesta Nelle botteghe di Cartapesta si respira un’aria solenne e un po’ mistica, probabilmente sono le tante mani tese e per i volti sacri che si trovano nei laboratori. È comunque sempre una grande emozione essere davanti ad un’arte che ha fatto la storia di questa terra. Per le stradine di Lecce sono poche le botteghe di Cartapesta rimaste, si trovano per lo più lungo la via dei templari, con le vetrine ricche di souvenir e oggettini. La cartapesta un tempo era un’arte che abbracciava l’intera comunità, il processo creativo partiva dalla carta e coinvolgeva tutte le maestranze

d’artigianato locale: dallo scultore al pittore, passando per il vasaio. Era un’arte nobile che ha combattuto una chiesa austera e diffidente: quest’ultima temeva che la carta utilizzata per realizzare le statue sacre avesse scritte e raffigurazioni poco consone al contesto religioso. Scardinando preconcetti e pregiudizi la Cartapesta è riuscita ad aprire gli usci delle dimore di Cristo, arricchendole di decori e ornamenti. Fare il cartapestaio è un lavoro di passione e amore, perché è vero che i materiali usati sono poveri ma bisogna armarsi di tempo e pazienza per realizzare

opere in cartapesta. Le statue nascono con un’anima di paglia e fil di ferro, che viene racchiusa in una calzamaglia e vestita con veri e propri abiti. Si usa carta proveniente dalla costiera amalfitana, ridotta a pezzetti per essere modellata con facilità e tenuta insieme da un collante di farina, acqua e solfato di rame detta “pannula”. Grazie a questo composto e all’utilizzo di un calco in gesso, il cartapestaio crea il negativo della statua. Una volta realizzata la struttura base, si passa al drappeggio con una carta simile al tessuto. Con ferri roventi si fa la focheggiatura, per modellare il drappeggio e limare le imperfezioni. Per fissare il tutto si utilizzano quattro strati di acqua, gesso e colla ed una volta asciugati si procede alla stesura dei colori grezzi che daranno l’impostazione per le tonalità definitive. Spesso sfuggono a questo complesso procedimento le mani e il viso che vengono realizzate in terracotta perché devono essere fedeli alla struttura anatomica umana, evitando così la deformazione che caratterizza la cartapesta. La cartapesta è un’arte da mani sporche ma tremanti di felicità davanti a nuove creazioni. È un’arte povera come le sue materie prime, ma immensamente ricca di storia e di fascino.


PAGE 25

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

Bere e mangiare: il piatto tipico del borgo I sovrani del cibo da strada leccese: Il pizzo leccese, una deliziosa focaccia condita, ed il rustico, uno scrigno di sfoglia dal cuore filante Il Pizzo

Il vero pizzo si trova solo a Lecce città, impreziosisce le vetrine dei bar e segue i turisti di passaggio con il suo profumo. Il pizzo è una focaccia sfiziosa, informe, ricca di pomodoro, cipolla, zucchine e peperoni che s’impasta seguendo l’antica ricetta delle massaie. In realtà si può classificare come una variante della Puccia: un impasto di grano duro e acqua, condito con olive celline, tipiche del Salento e cotta al forno a legna. La puccia trova la sua piena realizzazione accompagnata dal pomodoro, con condita con tonno e rucola. Il pizzo e la puccia erano il pasto ideale per i contadini che uscivano la mattina presto e

dovevano smezzare la giornata in tutto il Salento, ha varianti diverse che ne rimarcano la zona di provenienza, per esempio nella Grecìa Salentina prende il nome di Scheblasti e nel basso Salento di Cazzata. Dettagli piccoli per uno dei cibi a cui un salentino non sa rinunciare.

Il rustico

È facile immaginare il profumo del primo rustico appena sfornato, magari per gioco o forse per scommessa. Di sicuro è stato creato in uno dei caffè cittadini che ancora oggi sono il suo regno. Il rustico è l’emblema dello street food salentino, irresistibile e irrinunciabile per chi sta via troppo

a lungo ma anche per chi questa terra la abita tutto l’anno. Pochi ingredienti hanno fatto la fortuna del rustico, uno scrigno di pasta sfoglia che custodisce un cuore di besciamella, mozzarella filante, un filo di sugo al pomodoro e una spruzzatina di pepe nero. Non è un piatto della cucina povera ma certamente non può rientrare nel menù di un ristorante. Il rustico è compagno dei lavoratori che hanno saltato il pranzo, soddisfa l’acquolina di studenti affamati in corsa verso un esame, accarezza i pensieri stanchi di fine giornata, di chi non ha voglia di cucinare ma non rinuncia a mangiare prelibatezze. Il rustico racconta le storie della classe media e negli anni, inconsciamente, ne è diventato il simbolo.


WWW.IBORGHIDITALIA.COM

PAGE 26

Mangiare nel borgo di Lecce I migliori ristoranti di Lecce, dove assaporare i piatti della tradizione

VECCHIA OSTERIA Ristorante con cucina tradizionale Via Dasumno, 3 Telefono: 0832 308057

ANTICA CORTE Pizzeria e Cucina tradizionale Via Giuseppe Libertini, 60 Telefono: 349 544 8482

400 GRADI Pizzeria napoletana Viale Porta d'Europa, 65 Telefono: 391 331 8359 RISTORANTE ALEX Pietanze di pesce creative Via Vito Fazzi, 15 Telefono: 320 803 4258


PAGE 27

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

Vizi e sfizi nel borgo di Lecce Pasticcerie, gelatierie e cibo da strada tra i vicoli del borgo

PASTICCERIA NATALE Cioccolatini, torte e gelati in un locale dall'atmosfera attuale Via Salvatore Trinchese, 7 Telefono: 0832 256060 ANTICA CORTE Pizzeria e Cucina tradizionale Via Giuseppe Libertini, 60 Telefono: 349 544 8482

CAFFE' ALVINO Pasticcini e rustici salentini in un raffinato locale rĂŠtro Piazza Sant'Oronzo, 30 Telefono: 0832 246748

PRENDICI GUSTO Gastronomia e rosticceria espressa Via Euippa 1/C Telefono: 328 674 7844


WWW.IBORGHIDITALIA.COM

PAGE 28

Vizi e sfizi nel borgo di Lecce Pasticcerie, gelatierie e cibo da strada tra i vicoli del borgo

MILLE E UNA CREPES Creperia Via dei Mocenigo, 7 Mail: milleeunacrepes@libero.it

ANDREW'S Hamburgeria e fast food via Giuseppe Palmieri, 43 Telefono: 0832 240774

ANTICA CORTE Pizzeria e Cucina tradizionale Via Giuseppe Libertini, 60 Telefono: 349 544 8482

SETTIMO CIELO Gelateria artigianale Via XXV Luglio, 26 Telefono: 328 674 7844 CAFFE' ALVINO Pasticcini e rustici salentini in un raffinato locale rĂŠtro Piazza Sant'Oronzo, 30 Telefono: 0832 246748


PAGE 29

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

Dormire nel borgo di Lecce Le dimore di charme che "IBorghidItalia" ha selezionato per rendere indimenticabile il vostro soggiorno SUITE HOTEL SANTA CHIARA Via degli Ammirati Telefono: 0832 304998

PALAZZO PERSONE' Via Umberto I, 5 Telefono: 0832 279968

B&B VICO DELLA CAVALLERIZZA Vico della Cavallerizza 2 Telefono: 334 368 74 19

RISORGIMENTO RESORT 5 stelle lusso Via Augusto Imperatore, 19 Telefono: 0832 246311


Tu non conosci il Sud, le case di calce da cui uscivamo al sole, come numeri dalla faccia di un dado... (Vittorio Bodini - poeta vissuto a Lecce)


PAGE 31

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

Il Borgo di Taviano

Taviano è la Sanremo del Salento, che vanta nel suo patrimonio di bellezze il titolo di “Città dei fiori”

La recente rivalutazione del centro storico ha dato alla città una veste dinamica e giovanile: i numerosi locali e ristoranti animano le serate, le stradine intorno invitano a fare una passeggiata per scoprire nuovi scorci e piccoli angoli cittadini. La parola chiave di Taviano sembra essere: sobrietà. Le case a corte e i frantoi ipogei raccontano la vita semplice dei contadini e le numerose chiese non rinunciano a tratti barocchi

pur mantenendo facciate eleganti e fini. Taviano ha anche il privilegio di farse cullare dalla brezza marina, Mancaversa, a pochi passi dal centro abitato, in estate è una meta irresistibile per i visitatori per le sue acque chiare e le dolci scogliere. Chi arriva in questo borgo tra un bagno e una passeggiata per il centro non riesce a resistere al fascino di Taviano e gli lasciano sempre un pezzo del loro cuore.


PAGE 32

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

La storia

Raccontare la storia di Taviano significa fare una corsa ad ostacoli tra le notizie frammentate e i pochi ritrovamenti storici. Dalle Specchie e dai Menhir sappiamo che il territorio è stata abitato fin dal Neolitico ma sono controverse le opinioni sulla fondazione del borgo, che i più la rimandano all’epoca romana. Nel Medioevo il feudo di Taviano è stato affidato a diversi feudatari ma la casata più importante è stata quella che dei De Franchis, di cui ancora oggi porta il nome il palazzo Marchesale. Nell’ Ottocento Taviano versava in condizioni critiche, per la presenza di paludi non bonificate che circondavano l’abitato ma anche per la cattiva gestione pubblica. Le condizioni igieniche erano scarsissime, con case fatiscenti, carne andata a male che veniva venduta in piazza, pozzi neri lasciati aperti, topi che circolavano liberamente e delinquenti che rimanevano impuniti. Tutto ciò ha causato il diffondersi di diverse epidemie che hanno portato il popolo a scagliarsi contro l’amministrazione comunale che scappò via, sostenendo che nessuno potesse risanare la situazione. La popolazione stremata si votò alla Madonna e l’incubo cessò. A Taviano ancora oggi si parla di miracolo,

non si sa se sia vero o no, ma ciò che conta è che oggi è una ridente cittadina a ridosso sul mare, ricca di storia e di cultura, ma soprattutto di fiori. Chiesa di San Martino

Il Salento è terra di ulivi secolari ma anche di distese di vigneti e non c’è salentino che rinunci a festeggiare il vino novello a San Martino, cioè l’11 novembre: gli impegni s’interrompono, i telefoni squillano, bisogna organizzarsi per festeggiare con il tintinnare dei bicchieri ricolmi di vino. A Taviano l’11 novembre si festeggia il doppio, perché San Martino è il patrono della città e a lui è dedicata la Chiesa Madre. Una chiesa dall’aspetto sobrio e austera, con un tetto a spiovente e due nicche che accolgono le statue di San Pietro e San Paolo. Gli interni hanno motivi che ricordano il barocco ma non hanno l’intento tipico dello stile di destabilizzare la vista del visitatore. Le tele che questa chiesa custodisce al suo interno sono di notevole interesse artistico, a quelle già presenti è stato aggiunto di recente un ciclo pittorico sulla vita di San Marino, realizzato dal pittore tavianese Francesco Palma. Santuario della Madonna del Miracolo

La comunità di Taviano è animata da un’antica devozione per la Madonna di Taviano, che sul finire dell’ottocento per due volte salvò il paese dalle


PAGE 33

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

epidemie: una di peste e una di meningite. Il culto ha attraversato i secoli mantenendo ferma la devozione del popolo alla Madonna. La popolazione in segno di gratitudine alla Vergine Maria arrivò a privarsi di beni preziosi pur di donare l’oro necessario forgiare una corona per cingerle il capo, altri oggetti di valore furono donati anche in seguito per ricostruire il tesoro che le era stato trafugato e ancora oggi le novelle spose portano mazzi di fiori bianchi al suo cospetto. La statua della Madonna del Miracolo, o Madonna Addolorata, si trova in quello che prima era il Convento dei Frati Minori e dal 1952 è il Santuario della Madonna del Miracolo. La facciata e gli interni sono in pieno stile Barocco, gli altari lignei sono di pregevole fattura e la custodia dell’organo è di notevole interesse per gli appassionati d’arte. Il santuario resta aperto a disposizione dei fedeli che vogliono salutare la Madonna o offrirle mazzi di fiori in occasione di ricorrenze liete, segno di un legame incrollabile tra la Vergine e Taviano. Palazzo Marchesale

Il palazzo Marchesale sorge nella parte più antica di Taviano ed è il fiore all’occhiello della città. Non si conosce la data della sua costruzione e nonostante sia stato abitato da diverse famiglie nobili, prende ancora oggi il nome di Palazzo De Franchis, dall’ultimo feudatario. Taviano ha sempre

visto nel palazzo un bene da valorizzare e nel corso degli anni è stato più volte ristrutturato per poterlo mettere a disposizione del pubblico. Da qualche anno ospita mostre ed eventi di rilievo nazionale e accoglie anche la pinacoteca comunale, un punto di forza di Taviano che è stata istituita grazie alla donazione di numerosi dipinti da parte di un collezionista privato. Il palazzo s’impone su Piazza del Popolo e sebbene abbia una facciata liscia e senza fronzoli, è ricco di ornamenti interni che si trovano sul piano superiore, residenza nobile, ma anche nel piano inferiore, con le sue volti a botti che donano alla stanza un aspetto rustico, dal sapore antico.

Il nome

Ancora oggi a Taviano si discute sulle origine della città, non si sa se sia stata fondata dai romani, se abbia fatto parte dell’impero o della prima repubblica o se fosse stata colonia greca. Una leggenda però racconta che durante l’espansione dell’impero, passò per il borgo l’imperatore Ottaviano in persona, che fermò il suo cavallo per chiedere ad un passante il nome del luogo in cui si trovata. L’uomo rispose con sincerità che nessuno aveva mai dato un nome a quel paese, Ottaviano, stupito, decise allora di dare il proprio nome al borgo che per lungo tempo si chiamò Octaviano.


WWW.IBORGHIDITALIA.COM

PAGE 34

Una curiosità sul borgo di Taviano A San Martino ogni mosto diventa vino Il salentino fuori sede lo scopre con sommo dispiacere: fuori dal tacco d’Italia San Martino non si festeggia. In Salento invece ha odore di sacralità, di riti che hanno a che fare con il mosto fermentato e con un mercante venuto da lontano che donò il suo mantello ad un mendicante infreddolito. Sacro o profano che sia, il salentino doc l’undici novembre non rinuncia a brindare con il vino novello, e se per tutto il territorio è una tradizione intoccabile, a Taviano è quasi un obbligo, un eco che si diffonde nelle piazze e per le strade, che porta l’odore dei grappoli d’uva raccolti e pestati.

San Martino, patrono di Taviano, sembra essere un amico per la popolazione del paese. Gli anziani ancora raccontano di quella volta che mentre la statua sfilava in processione, un uomo gli infilò una sardina in bocca per fargli conoscere la sete e per chiedere la grazia nel periodo di siccità, un’alternativa alla tradizionale danza della pioggia. San Martino rappresenta la gemma che nasce dalla terra arida, viene festeggiato con banchetti, vino novello e fiere di animali cornuti. Un’usanza che continua ancora oggi a Taviano il 12 novembre quando con Santu Martinieddhu si chiudono i

festeggiamenti patronali e si chiude anche un anno agricolo, per cominciarne un altro, in stretta corrispondenza con gli antichi capodanni pagani del Semain.


PAGE 35

WWW.IBORGHIDITALIA.COM

Mangiare nel borgo di Taviano I migliori ristoranti di Taviano, dove assaporare i piatti della tradizione

VICO DEGLI SCETTICI Ristorante romantico e pizzeria Via Giacomo Matteotti Telefono: 0833 185 5381

MEZZOGAUDIO PUTECA Cucina tradizionale salentinar Via Giacomo Matteotti, 23 Telefono: 340 578 8230

CORTE DEGLI ARANCI Ristorante pugliese raffinato Via Nizza, 48 Telefono: 0833 186 1866 HABITUS CAFE' Cocktail bar Via Immacolata, 10 Telefono: 329 774 2407


WWW.IBORGHIDITALIA.COM

PAGE 36

Dormire nel borgo di Taviano Le dimore di charme che "IBorghidItalia" ha selezionato per rendere indimenticabile il vostro soggiorno CASA DEL NESPOLO Guest House Piazza San Martino,1 Telefono: 389 6706057

A CASA TU MARTINU Relais Via Corsica 95 Telefono: 0833 913652

DIMORA SANTA LUCIA Camere Via Nizza Telefono: 3312610682

PALAZZO DON ALBERTO Casa Vacanza Via Rodolfo D'Ambrosio Telefono: 0833 556194

CORTE DELL'IMMACOLATA B&B Via Immacolata, 25 Telefono: 349 075 2264 L' ULIVO B&B Corso Vittorio Emanuele II, 35 Telefono: 331 371 9364


I VINI SALENTINI CANTINA COPPOLA Cantina Coppola 1489 è una cantina di storica tradizione, con sede a Gallipoli in Puglia, che la famiglia Coppola, impegnata nella viticoltura sin dal 1489, tramanda di padre in figlio. Una nuova concezione di Cantina, vocata all’accoglienza degli ospiti che qui possono scoprire i processi di coltivazione e vinificazione e ascoltare il racconto della storia secolare, degustare ed acquistare i prodotti. Via Tenuta di Torre Sabea - GALLIPOLI (LE) Telefono: 0833 201425


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.