Corinne Brenko-Alessandra Rigotti, Kristjan Knez, Franco Degrassi, Paola Pizzamano, Silvano Sau
Gli ultimi giorni della Serenissima in Istria L’insurrezione popolare di Isola del 1797
Edizioni “Il Mandracchio” Isola - 2010
Corinne Brenko-Alessandra Rigotti, Kristjan Knez, Franco Degrassi, Paola Pizzamano, Silvano Sau
Gli ultimi giorni della Serenissima in Istria L’insurrezione popolare di Isola del 1797 (dalla pagina 273 alla pagina 560)
Edizioni “Il Mandracchio” – Isola
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III PARTE Franco Degrassi
L’INSURREZIONE POPOLARE D’ISOLA DEL 1797 e l’uccisione del podestà Pizzamano
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Dopo la pace di Madrid (1617), con la quale vengono stabilizzati i confini nord-orientali fra Venezia e l’Austria, e dopo la pace di Carlovitz (1699), tra l’Impero Ottomano e la Santa Alleanza (Austria, Polonia, Russia e Venezia) con la quale viene fissato il confine continentale fra il mondo cristiano e quello islamico, a partire dal 1718, a seguito del trattato di Passarovitz tra Carlo VI ed il sultano Ahmed Han, per il commercio e la difesa dai pirati, inizia per l’Istria e l’Adriatico orientale, dopo oltre un secolo di guerre che avevano trasformato l’Istria in un grande campo di battaglia, una fase di stabilità che nessuna delle potenze interessate (Austria, Venezia, Impero Ottomano) vuole modificare. Vengono così poste le basi per uno sviluppo delle città costiere e di quelle poste all’interno dell’Istria, dopo un periodo di stagnazione che durava da oltre due secoli. Tuttavia continueranno a farsi sentire per tutto il secolo XVIII le conseguenze del lungo periodo di guerra e quelle di una politica economica poco favorevole all’Istria, sviluppata da Venezia, con l’eccessivo sfruttamento delle sue risorse (agricole, forestali, ittiche, ecc.) e il divieto dalla concorrenza, imposto a suo danno, a favore della terraferma, sui prodotti di base dell’economia istriana, quali il vino. La popolazione autoctona dell’Istria stremata ed impoverita dalle guerre tocca nei secoli XVI e XVII i suoi minimi storici; si pone rimedio alla necessità di un ripopolamento con l’importazione, a più riprese, di genti provenienti dall’interno della Dalmazia, dalla Slavonia, dalla Bosnia e dall’Albania, con la conseguente creazione di incomprensioni, conflittualità e problemi di assimilazione fra le popolazioni residenti ed i nuovi venuti. “Alla fine del secolo XVIII l’Istria veneta contava circa 85-90.000 abitanti, mentre quella asburgica non superava i 18. 000; tuttavia la penisola aveva complessivamente raddoppiato il numero dei residenti grazie all’immigrazione e ad una serie di interventi tesi a rilanciare alcuni settori produttivi, come il commercio del sale e della legna da ardere, la ripresa della coltura dell’olio e della pesca, oltre al piccolo cabotaggio marittimo legato ai traffici con Venezia e Trieste, i cui benefici derivanti dalla nascita di una città praticamente nuova si faranno sentire nella crescente domanda di frutta e ortaggi di stagione. Ai problemi comuni di ritardi e congiunture economiche sfavorevoli si contrapponeva un profilo istituzionale che differenziava l’Istria veneta da quella arciducale. Nella prima la cattiva amministrazione aveva indebolito le figure dei podestà a vantaggio del patriziato locale privo di elevato retaggio, la cui esistenza era espressa dalla continua resistenza ad ogni forma di ricambio del potere locale e di opposizione all’ingresso di elementi borghesi negli organi municipali, mentre la forza rimaneva nel controllo della proprietà terriera, anche frutto di investimenti da parte di famiglie
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venete in seguito alle guerre contro i Turchi. Nell’Istria arciducale vigeva ancora un tradizionale regime feudale in un’area povera ed isolata dal resto della penisola, dove la proprietà terriera era spesso in mano a famiglie non nobili o al patriziato urbano a cui gli Asburgo riconoscerà più tardi un retaggio aristocratico. Su tutta la penisola operavano intensamente il clero formatosi al Seminario di Capodistria e diversi ordini religiosi: erano diffusi i luoghi di culto e devozione ed i santuari; si era affermata l’azione delle Opere Pie ma anche quella di scuole ed accademie aperte ai ceti medi della società istriana”1. La politica della Serenissima è improntata ad una persistente staticità, tendente a conservare, da parte dei ceti dominanti, i privilegi consolidati, a vivere nel divertimento e in un lusso sfrenato, con una spinta dissennata a dissipare le ricchezze accumulate nei secoli precedenti, senza la minima attenzione per il loro mantenimento ed incuranti del loro progressivo decremento. Non si cura la produzione, ne potenziando ne rinnovando, non c’è neanche la minima apertura verso l’utilizzo delle recenti innovazioni tecnologiche e di pensiero che, in ogni campo, il secolo dei lumi sta portando. La politica militare rinunciataria e di arroccamento tendente a salvaguardare i confini dello Stato, ormai circoscritto a Terraferma, Istria e Dalmazia, ed al mantenimento dello status quo nell’Adriatico mediante la sterile proposizione di una sempre più debole ed inconsistente neutralità disarmata, la espone sempre più alle mire espansionistiche delle potenze vicine e confinanti. Per converso, nel contempo, dal suo principale antagonista l’Impero d’Austria, “grazie una fase di stabilità nell’area adriatica e allo spirito illuminato dei sovrani asburgici (Carlo VI, Maria Teresa, Giuseppe II, Leopoldo II), intervengono alcune importanti novità: nel 1717 l’imperatore Carlo VI proclama la libera navigazione, confermata l’anno successivo con la pace di Passarowitz tra Vienna e l’Impero Ottomano; nel 1719 vengono istituiti i Porti Franchi di Trieste e Fiume, dopo la fine della pressione turca su Ungheria e Croazia, e viene costituita la Compagnia di Ostenda per i traffici con le Indie e l’Africa. Nel 1728 è aperta la strada Carolina da Fiume in direzione nord-orientale e nel 1730 concessa la franchigia dei dazi e delle imposte nei Porti franchi, poi estesa nel 1776 a tutto il territorio di Trieste. […] Nel 1779 viene inaugurata la Camera mercantile dell’assicurazione marittima di Trieste e l’anno successivo la città è collegata a Vienna per mezzo di una strada che passa da Postumia, Lubiana, Maribor e Graz”2. 1
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Marco Cuzzi-Guido Rumici-Roberto Spazzali, Istria, Quarnero, Dalmazia. Storia di una regione contesa dal 1796 alla fine del XX secolo. Trieste – Gorizia 2009, p. 5. Istria nel tempo, Manuale di storia regionale dell’Istria e Fiume, CRSR, vol. I, Rovigno 2006, p. 305 segg. Cuzzi-Rumici-Spazzali, op. cit., p. 6.
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L’Istria che da Venezia era sempre stata considerata quale sua periferia marittima, e che quindi costituiva un’insostituibile sponda marittima dello Stato Veneto, aveva avuto uno sviluppo ed una vicissitudine parallela e strettamente connessa con quella della capitale con la quale aveva condiviso, sino dal 1200, le sue vittorie ed i suoi successi, le sue sconfitte ed i suoi problemi. La sua vita economica e sociale è su questa impostata ed ancora continua a basarsi su questo rapporto. Istituzionalmente il rapporto con la Dominante cambia con il trascorrere dei secoli, e si passa da un rapporto diretto delle varie comunità, sia pure per tramite del loro podestà, con il potere centrale rappresentato dal Senato Veneziano, ad un ridimensionamento di tale diritto in quanto, a partire dal 1584, vengono delegati al Podestà e Capitano di Capodistria l’autorità di decidere sulle cause giudiziarie di seconda istanza, che in precedenza venivano giudicate dai tribunali di Venezia. Conseguentemente egli assume il potere di seguire e controllare l’operato giudiziario dei podestà delle altre località venete dell’Istria. Tale potere si rafforza, nel secolo successivo, con la decisione di attribuire allo stesso, anche il controllo economico nei confronti di una buona parte delle Comunità istriane, attraverso la verifica dei loro bilanci e della gestione dei loro fondaci e delle loro confraternite; trasformando così il Podestà di Capodistria in una specie di “capo del dominio veneto dell’Istria”, tanto da identificare nel ‘700 esplicitamente, anche nella manualistica e nelle fonti, la nostra penisola, con il termine di “Provincia dell’Istria”3. 3
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La struttura amministrativa dell’Istria veneta era composta da 18 comuni o reggimenti governati da podestà o rettori (tutti patrizi veneti). Essi si suddividevano in: città, corrispondenti alle sedi vescovili, terre e castelli. Erano considerate città: Capodistria (retta dal podestà e capitano), Pola (retta da un patrizio con il titolo di conte), Cittanova e Parenzo (rette da un podestà); degli altri reggimenti (tutti retti da un podestà) erano considerati terre: Muggia (il cui podestà era pure chiamato capitano), Isola, Pirano, Umago, Rovigno, Dignano, Grisignana, Portole, Albona-Fianona (che costituivano un unico comune); erano considerato castelli: San Lorenzo, Valle, Montona, Pinguente, Buie. I villaggi di campagna erano retti da merighi o zupani. C’erano inoltre diverse signorie o feudi di giurisdizione privata: -Pietrapelosa (ai marchesi Gravisi di Capodistria), -Piemonte e Castagna (ai Contarini di Venezia), Visinada (prima ai Grimani e poi ai Molin e ai Bragadin di Venezia), -S. Giovanni della Cornetta (ai conti Verzi di Capodistria), -Racizze (ai conti di Walterstein), -Matterada (al comune di Umago), Giroldia (ai conti Califfi), -Momiano e Villanova (ai conti Rota di Pirano), -Barbana (prima ai Loredan e poi al cader della Repubblica ai Mocenigo di Venezia), -Rachele o Castelnuovo d’Arsa (ai Loredan di Venezia), -Fontane (ai conti Borisi di Capodistria), -Sanvincenti (ai Grimani di Venezia), San Michele di Leme (parzialmente ai conti Colletti di Treviso), -Isole Brioni (ai Corner di Venezia), -Due Castelli e Canfanaro (retti da un delegato scelto a turno tra le famiglie patrizie di Capodistria), -Mormorano (retta da un capitano, in genere un gentiluomo di Pola). Altre località d’importanza militare e di difesa erano rette da ufficiali o capitani che vi soggiornavano con le loro milizie: Raspo, Colmo, Rozzo, Fianona, ecc.). C’erano pure alcuni feudi religiosi: -San Nicolò di Parenzo (ai monaci CassinesiBenedettini), -San Michele di Leme (parzialmente ai Camaldolesi), -Orsera (ai vescovi di Parenzo), San Lorenzo e San Giovanni (ai vescovi di Cittanova). Infine, dal 1400, alcune famiglie patrizie di Capodistria ebbero titolo di possesso
Questa importante modifica istituzionale che restringe i poteri e l’autonomia dei singoli reggitori e quella delle comunità da loro rette, se da un lato limita l’autonomia comunale, sempre fondata sugli statuti, che volutamente la Serenissima rispetta ed esalta al punto da non ostacolare, anzi in qualche misura favorire, il loro contenuto protezionistico che talvolta sfocia in rivalità campanilistica, dall’altro costituisce un primo elemento di coordinamento ed unificazione fra le località vicine e simili, ma allo stesso tempo distanti l’una dall’altra a causa della loro scarsa permeabilità sociale, dovuta a gelosia e diffidenza nei confronti del foresto. Ad essa tuttavia sfuggono, le città e i comuni più cospicui quali Pirano e Rovigno, che in virtù della loro importanza e forza economica, riescono a mantenere alcune delle loro prerogative. In questo contesto si trova Isola, orgogliosa della sua autonomia comunale, conquistata a caro prezzo e con una lotta senza fine per superare la frustrazione, mai sopita, dell’umiliante soggezione feudale alle monache d’Aquileia. Essa è una delle 18 podestarie, vive, nella sua dignitosa povertà, una vita difficile, ricca di contrasti e frustrazioni, in un perenne rapporto di amore ed odio con le due città consorelle confinanti: Capodistria (la Capitale), alla quale è legata, sin dal tempo di Roma quale città sorella (o meglio satellite), e Pirano, eterna rivale e nemica, verso la quale nutre e non riesce a sopprimere un persistente sentimento di invidia e rancore per la sua preminenza e ricchezza, dovute alla fortunata contingenza geografica ed all’intraprendenza dei suoi abitanti. Tuttavia è orgogliosa e caparbia, riesce, tra i primi abitati istriani, ad affrancarsi a prezzo di propri sacrifici, dall’imbarazzante ed umiliante soggezione feudale ed a costituirsi a libero comune. È abitata da una popolazione non ricca, anzi in maggioranza povera ma laboriosa, abituata agli stenti e ai sacrifici più duri, orgogliosa, caparbia e ribelle, con qualità e difetti conseguenti probabilmente all’innesto e successiva fusione tra l’elemento autoctono (istro), già insediato nei castellieri dominanti le piane d’Isola, di Strugnano e di Santa Lucia, e l’elemento nuovo portato dai conquistatori romani insediatisi lungo la costa dopo le due guerre istriane citate da Tito Livio ed ulteriormente arricchito dall’apporto dei fuggiaschi dalle città romane della Venetia a seguito delle invasioni barbariche.
su una trentina di villaggi del territorio e delle terre limitrofe, gli abitanti dei quali dovevano corrispondere ai proprietari delle gravezze e canoni terrenari. G. G. Corbanese – Il Friuli, Trieste e l’Istria nel periodo veneziano. – Del Bianco, Udine, 1987, p. 247.
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Isola nel 1700
Carta del von Reilly con segnati i confini del comune di Isola.
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Il Territorio Nel 1700 la configurazione e l’estensione del territorio del Comune d’Isola non doveva essere molto diverso da quello che riteniamo fosse al momento della sua erezione a libero comune, quale lo possiamo rilevare dai molti elementi espressi nei vari accordi di confinazione del due e trecento fino a noi pervenuti (v. Chartolarium piranense); e tale è sostanzialmente rimasto fino alla caduta della Repubblica Veneta, anzi si può tranquillamente dire che così sia rimasto fino ai giorni nostri. Parte dal mare Adriatico e si estende in direzione nord-sud fino alla valle della Dragona, ha una forma che ricorda un triangolo isoscele rovesciato, dai lati frastagliati, la cui base è formata dalla costa che si estende (per circa 6 Km) in direzione est-ovest da punta Villisan a punta Ronco, ed i due cateti che si protendono verso sud, diritto quello ad ovest (da punta Ronco) e convesso quello ad est (da punta Villisan) che si incrociano nella valle della Dragona, e sempre lambendo l’antica via Flavia, formano un angolo acuto. Costituisce questo il punto di massima distanza dal capoluogo (approssimativamente 12 Km). La sua superficie complessiva di circa 29 Km/quadrati. La costa ha la forma di un arco rientrante interrotto dalla prominenza dell’abitato d’Isola, ormai unito alla terraferma, i cui lati occidentale ed orientale hanno costituito, assieme alle due punte, due insenature, più ampia quella di San Simone, ad ovest, e più ridotta, ad est, quella di Villisan (in tempi più recenti “primo ponte”). Esso si insinua, come un cuneo, fra i territori comunali di Capodistria ad est e di Pirano ad ovest, ed i due lati maggiori dell’ipotetico triangolo costituiscono la linea di confine con le due città consorelle. Il confine corre ad occidente partendo da punta Ronco, tagliando trasversalmente il vallone di Strugnano inglobando una buona parte della valle coltivata, lasciando a Pirano la parte restante e tutta l’area delle saline, prosegue inglobando tutte le vette dei monti che circondano l’abitato di Corte e che digradano verso le valli di Santa Lucia e di Sicciole; ad oriente parte da punta Villisan, ingloba anche qui le vette dei monti sovrastanti la valle omonima formata dal torrente Valderniga, il quale a partire dalle pendici del monte san Donato e fino alla Dragogna costituisce esso stesso la linea del confine che, come già detto, va a lambire l’antica via Flavia ad un chilometro circa da Castelvenere. L’insieme dei rilievi compresi nel territorio d’Isola, pur non configurandosi, a causa dell’altezza non molto elevata, come un sistema montuoso vero e proprio, costituiscono tuttavia una sorta di sistema, vien quasi
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da dire difensivo4, con le pendici dei monti talvolta tormentate e ripide e tal’altra più dolci, in taluni casi coperte da boschi ed in altri coltivate con il sistema del terrazzamenti (pasteni). Le vette sono ampie e coltivate. C’è un’ampia valle posta fra il sistema collinare ed il mare, adagiata proprio a ridosso della città, e copre tutto il terreno che dalla costa si spinge verso sud e con lieve pendenza arriva alle colline circostanti. Questa valle è molto fertile e ricca d’acqua, da sempre molto ambita per la ricchezza dei suoi prodotti e per la sua vicinanza con la città e, sin dai tempi antichi, decantata dagli scrittori. Altre fertili valli sono il vallone di Strugnano, molto più ridotto, e la Valderniga, anch’essa di dimensioni più piccole e molto difficilmente raggiungibile in quanto distante dalla città e collocata sull’altro versante dei monti. Il suo territorio è piccolo ma ben disposto, con buoni terreni che producono primizie ed offrono raccolti ricchi e di ottima qualità, tanto da essere da sempre elogiati dai suoi visitatori5. Il territorio è ricco anche di boschi che danno frutti e legname per costruzione e per riscaldamento, e sono la causa di non infrequenti dispute fra gli abitanti d’Isola e quelli del contado per lo sfruttamento degli stessi. Ma la sua grande ricchezza è la sua agricoltura, con i suoi oliveti, le sue vigne, rinomati sin dall’antichità, le sue primizie, la sua frutta ed i suoi ortaggi. L’olio ed il vino che produce, sono ambiti, hanno costituito i titoli di pagamento delle decime feudali cui Isola era soggetta e sono state la ricchezza che ha consentito il suo riscatto da tale odioso diritto. Altra caratteristica del territorio d’Isola è la sua ricchezza d’acqua e la purezza delle sue fonti che rendono particolarmente salubre la zona e meno esposta alle frequenti epidemie che funestano la regione. Numerose sono infatti le sorgenti, sparse un po’ da per tutto nel suo territorio continentale, ma altrettanto numerose sono le sorgenti sottomarine che sgorgano lungo le rive che circondano lo scoglio sul quale è costruita la città. 4
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Questa catena quasi ininterrotta di monti, tutti con un’altezza superiore ai 250 metri che degrada dolcemente nel versante rivolto a Isola e più ripidamente dall’altro è costituita, a partire da oriente, dalla punta Villisan, dal Monte Segadizzi (m. 264), M. San Donato (m. 252), M. San Giacomo (m. 268), M. Cedola o Castelier (m. 269), M. Malio (m. 276) e quindi degrada verso la punta Ronco con il M. Costrelago (m. 197), M. Corgnoledo (m. 159), M. Ronco (m. 116) le cui pendici scendono a picco sul mare nell’omonima punta. Caratteristiche già elencate dal Coppo nel suo Del sito dell’Istria pubblicato a Venezia nel 1540 come segue: “Isola ha sito allegro e ameno, sì della terra, che de’ colli in forma di mezza luna da una parte e dall’altra del mare; ed in mezzo di detti colli una pianura. Il territorio è tutto in coltura di vigne, oliveti, ed è fruttifero: l’aria vi è saluberrima, per essere diffeso da dette colline contro ogni vento pestifero, ostro, sirocco e garbino; abbondante di fontane non solo presso alla terra ma anche in più luoghi delle vigne; ha un fondamento di saline, e presso la fontana e la terra ha porto con molo”, in A. T., vol. II, Trieste 1830, p. 35.
Oltre ad Isola c’è un unico centro abitato di una certa rilevanza: Corte d’Isola, posto quasi alla sommità del monte Cedola o Castellier, il villaggio domina la Valderniga e la via Flavia; si pone di fronte il colle su cui sorge, a pari altitudine, l’abitato di Padena. Ci sono altri insediamenti, di modesta entità, taluni di origine molto antica, e collegati all’attività agricola delle campagne circostanti, fra i quali: Saleto, Roncaldo, Barè, S. Giacomo, Malìo, Lessi, Nosedo, Costerlago, Settore, Calcine, Cedola, Draga, ed altri ancora. Nel ‘700 esistono e sono ancora produttivi alcuni impianti di saline, non molto estesi, per nulla confrontabili con quelli di Pirano o Capodistria o Muggia, ma che tuttavia consentono una limitata produzione sufficiente a far fronte al fabbisogno locale e forse anche ad alimentare un piccola esportazione (o contrabbando). La zona ad esse dedicata si trova nella terraferma subito dopo il ponte di pietra, lungo la strada che costeggia la linea di spiaggia e che porta (dalla cosiddetta “riva de porta”) a San Simone e che prosegue quindi per Pirano. Forse in tempi antichi anche un altro impianto era installato ad oriente del ponte di pietra, dall’una e dall’altra parte del fossato (fossal) che divideva lo scoglio dalla terraferma (primo ponte e Villisan), in quanto le caratteristiche della costa sono molto simili a quelle dell’altro impianto cittadino: costa molto bassa, terreno argilloso, buona esposizione al sole6.
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Verso la metà del secolo XVII Mons. Tommasini scriveva così nei suoi “Commentari” A. T., vol. IV, Trieste 1873, pp. 129-130 “Capo d’Istria fa sale il doppio di Muja, e la raccolta un anno con l’altro, scrive il Manzioli, esser moggia settemila. Isola ha saline, che fan sale per la terna, e territorio. Pirano supera tutti gli altri luoghi nella quantità delle saline, e Sali, dandovi la comodità la valle di Sizziole, e il golfo del Largon, e queste saline portano una gran ricchezza a quella comunità, e a contadini”. Baccio Ziliotto, in Aspetti di vita politica ed economica dell’Istria del Settecento, in Pagine Istriane, Serie IV, numero 14, Trieste 1965, p. 45”. L’industria del sale, che il Romanin chiama la fonte primitiva della ricchezza veneziana, andò di male in peggio per tutta una serie di cause… Sottentrò la concorrenza dell’Austriache, monopolizzate le saline di Trieste e quelle delle due Sicilie, impose gravi balzelli sul sale di provenienza istriana, per evitare il collasso dell’Istria, acquistò allora (1721) tutto il prodotto presente e futuro, imponendo un limite alla produzione e fissando il prezzo; fece altresì divieto di costruire nuove saline oltre quelle di Muggia, Capodistria, Isola e Pirano. Cercò però di vincere la concorrenza con la sceltezza del Prodotto”.
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Isola verso la seconda metà del 1600 – particolare della stampa dell’opera di Valvasor “Die Ehre dess Hertzogthums Crain”.
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La Città Lo scoglio sul quale sorse l’abitato di Isola aveva, all’origine, una forma che ricordava vagamente un quadrato (di circa 650 metri di lato). Con il passare del tempo, per effetto degli insabbiamenti sul lato prospiciente la terraferma causati dal riporto dei corsi d’acqua, e dall’opera dell’uomo che con la costruzione del ponte di collegamento con la terraferma ha modificato il riflusso del mare, tale forma si è modificata ed ora somiglia ora ad un vago pentagono irregolare. Sin dall’origine, i primi insediamenti abitativi hanno interessato la parte sud occidentale dell’isola, quella più riparata dai venti freddi provenienti da nord, nord-est (bora, greco, ecc.) e dai marosi da questi provocati. Su tale lato fu poi edificato il porto ed il primo nucleo cittadino, attorno al quale si sviluppò in seguito tutta la città,. All’inizio del ‘700 solo circa un terzo dell’isola è occupato dalla città con la sua cinta muraria, la quale al suo interno racchiude un abitato ancora molto più ristretto. La maggior parte delle case è raggruppata attorno al porto ed alla piazza retrostante, altre si abbarbicano partendo da questi verso la sommità del colle ch’è il punto più elevato dell’isola sul quale svettano, ancora isolati dall’abitato e circondati da alberi e prati, la nuova maestosa chiesa parrocchiale e il suo campanile. Altra direttrice che seguono le costruzioni, formando in modo quasi spontaneo le principali vie del paese, è quella che dalla porta di terra conduce alla piazza retrostante il porto (piazeta) e quella che, sempre dalla porta di terra, raggiunge la chiesa parrocchiale di San Mauro con un percorso che probabilmente segue l’andamento delle prime antiche mura difensive. Ma all’interno delle mura tanti sono ancora gli spazi di terreno libero, in buona parte coltivati e a disposizione della comunità. Le case sono in buona parte fornite di ampie corti e molte sono circondate da orti, più o meno estesi, indispensabili per l’alimentazione familiare e per l’allevamento degli animali domestici. Di certo non si possono costruire le case a ridosso delle mura e quindi dev’essere rispettata una certa distanza per consentire fluidi movimenti ai difensori. All’esterno delle mura, dalla parte rivolta a Capodistria, si estende verso il mare e dolcemente sale verso il colle una bella pianura, ampia e ben coltivata, detta el vier. Così descrive Isola nella sua Corografia il Naldini, dopo averla visitata, nell’anno 1700: “A mezzo viaggio maritimo da’ Giustinopoli à Pirano di miglia dieci, s’incontrano due promontori, che pari d’altezza porgono anco nell’Adriatico il piede. Questi trà essi discosti intorno à tre miglia, stringono co’ fianchi, e spalleggiati co’ Monti un’ampia, e spaziosa Valle,
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che tutta seminata d’Ulivi e Viti, e d’altri esquisitissimi frutti porge ricco provento à chi la possiede, e delizioso prospetto à chi la mira. Alle falde di questa Valle lambite dalle salse onde, s’alza entro del mare in mezzo alli due Promontorj uno scoglio di figura quasi ovata, e di giro un lungo miglio, il quale serve di base alla Terra, denominata Isola dal sito isolato”. E quindi prosegue: “Descriviamola succintamente quale ora è, e riconoscerassi almeno per obliquo quale anticamente fù. Tiene ella à fronte il mare aperto, che le forma sodissimo Baluardo con la sua incostanza: Si premunisce il fianco sinistro col porto, e col Molo, fabbricati nel mille tre cento venti si per suo decoro, come pure per sua diffesa, e assicurasi gli omeri non meno che il lato destro con alte Mura, framischiate da varie Torri, erette nel mille quattro centoundici; riparò ordinario delle Terre antiche. Nel mezzo poi delle sue Mura spalanca una porta da alto Torrione diffesa, e nel tempo predetto edificata, la quale per un Ponte di pietra porge sicuro l’accesso al Continente. Trà questi confini ristretta, s’allarga primieramente in una Piazza moderata, dal Palazzo Pretorio, dal Fontico publico, e da altre fabbriche private recinta; indi diramasi in varie Strade da sacri e profani edifici degnamente fiancheggiate”7. La cinta muraria, per comodità dei cittadini, è valicabile da più porte: quella di Terra o Porta maggiore, quella di Mare ormai in disuso, quella di Porta Puiese e di Porta Ughi “che il cavagliere del Podestà doveva chiudere ad un’ora di notte ad aprirle all’avemaria del mattino”8. Le mura medievali, mostrano qua e la le sbrecciature causate dall’ingiuria del tempo; è da quasi un secolo infatti, dal 1615, che la Serenissima non provvede più a finanziarne il potenziamento o per lo meno il restauro, incombenza quest’ultima ormai lasciata completamente sulle spalle degli isolani, i quali vi provvedono più volte, ma con gli interventi modesti consentiti dalle magre casse comunali, interventi più che di vero e proprio restauro, di maquillage e di messa in sicurezza dal rischio di crolli improvvisi, a garanzia per i cittadini che le frequentano o vi transitano vicino 9. 7 8
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P. Naldini, Corografia ecclesiastica o sia descrittione della città, e della diocesi di Giustinopoli, Venezia 1700, pp. 327 e 329. E riguardo alle Porte Il Naldini, in Corografia cit., prosegue: “In questo recinto del Porto drizzansi altre quattro Chiese di mole, di struttura, ed’ornamenti tra loro non molto diverse. La prima dedicata al Santo Apostolo Bartolomeo grandeggia sovra d’un Arco, che forse fù l’antica porta della Terra, esposta al Mare, quando oggi domina l’aperta Piazza del Porto”. (p. 343) e: “Su la Porta stessa, che dicemmo conducente con’un Ponte di pietra dallo scoglio al Continente, s’alza la Chiesa dell’Apostolo Santo Andrea…” (p. 344). G. Caprin”. L’Istria nobilissima”, Trieste 1905, vol. I, p. 143”. Nel 1401, il podestà Nicolò Minio fece eseguire varie opere militari. Sino allora Isola con un ponte di pietra si congiungeva alla strada di Capodistria. Nove torrioni quadri mascheravano le cantonate ed i giri della muraglia; la porta principale era protetta da un barbacane e il fosso da un argine, che nei tempi di pace lunga e sicura,
Non sono molti gli edifici imponenti e di pregio, quasi tutti edifici pubblici, dedicati alle massime funzioni civili e religiose, numerose sono le chiese e due i conventi; a questi si aggiungono alcune dimore nobiliari, spaziose ed esteticamente armoniose ma non sontuose, quasi tutte raccolte attorno alle piazze (piazza grande e piazzetta) prospicienti il palazzo podestarile. Per il resto l’aspetto della città è quello tipico degli abitati minori della Repubblica veneta. L’assetto urbanistico di inizio ‘700 subirà alcuni cambiamenti lungo l’arco del secolo; molti spazi vuoti saranno riempiti con nuove costruzioni e molte delle vecchie case ormai decadenti saranno ricostruite o restaurate. Sarà questo l’effetto dell’incremento demografico che porterà la popolazione del centro cittadino ad aumentare di oltre un terzo (dai 1.775 abitanti del 1699 ai 2.370 del 1797). Saranno inoltre costruite, nell’ultimo quarto del secolo, alcune tra le più rilevanti dimore private cittadine: il sontuoso Palazzo Besenghi e la casa Zanon, che contribuiranno, assieme alle altre case costruite attorno ad esse, ad avvicinare, almeno in parte, il centro abitato all’imponente complesso del duomo e del suo campanile. La restante parte dell’isola, quella tra le mura e il mare è coltivata; l’area che dal duomo si porta verso il mare, alla punta di Gallo e a S. Pietro, è adibita a pascolo; restano incolte solamente l’area vicina al fosso (fossal) dal lato del mare, in quanto paludosa, e la sommità del colle di San Pietro, considerato ancora lontano ed isolato, con le sue pendici che scendono ripide al mare, in quanto brulla e con gli spuntoni di roccia calcarea affioranti dal terreno.
stavano per diventare dei publici letamai, se il comune non avesse minacciato di pene severe coloro che di notte andavano a deporvi lo strame delle corti lotose e delle stalle. Questa catena di muro, ristaurata dalla Repubblica l’ultima volta nel 1615, finì col disfarsi lentamente e sparì affatto. Gli ultimi nodi, preservati da un sentimento di carità religiosa, cioè la cappelletta della porta di terra e quella di San Bartolomeo, che stava sul grosso arco della porta a marina, vennero atterrati nel 1818”.
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La popolazione Come già accennato la popolazione isolana dell’epoca è in buona parte costituita dai discendenti di coloro che hanno costituito i primi nuclei abitati della zona: i castellieri a monte e gli insediamenti romani in riva al mare, arricchiti poi dai fuggiaschi delle città romane qui riparati. Si può presumere che ci sia stato un buon amalgama ed una pacifica integrazione fra i due ceppi in considerazione dell’uso promiscuo dei centri abitati avvenuto, durante i secoli, anche per motivi di difesa dai pericoli esterni10. Sicuramente ci sono state ulteriori immissioni, alcune dalle quali ben documentate, che non hanno tuttavia stravolto tale composizione, che si presenta con le caratteristiche del tipo nazionale italiano, ed in termini ancor più specifici veneto: per lingua, costumi, cultura e tradizioni. I vari visitatori e cronisti di tutte le epoche descrivono gli abitanti dell’isola come persone ben costruite, di gradevole aspetto, sani e forti grazie all’amenità del luogo, alla purezza dell’aria, alla ricchezza d’acqua ed alla buona alimentazione dovuta alla fertilità del suolo. Questi elementi assieme al relativo isolamento cui è soggetta la terra sia per motivi morfologici del territorio che per volontà istituzionale, la mettono, almeno in parte, al riparo dalle numerose epidemie cui va soggetta l’Istria dal 1400 in poi, per cui non è sottoposta ai massicci interventi di ripopolamento con nuovi popoli provenienti da località più o meno lontane con indole e costumi diversi11. 10
11
286
Risulta ben documentato l’utilizzo del castelliere da parte degli abitanti della costa nei momenti di pericolo per proteggersi dai frequenti rischi di invasione nei secoli bui degli anni mille. Sono stati rinvenuti, vicino al lato esterno delle mura del castelliere numerosi depositi di valve di molluschi, a comprova che i suoi abitanti si spingevano sicuramente anche alle rive del mare. Il Pre Giovanni Tamar descrive così la popolazione d’Isola nel 1580:”Attendono gli abitanti di detto luogo, eccetto alcuni pochi, tutto il tempo dell’anno all’agricoltura, et arte de lavori della terra nelle loro vigne, campi et oliveti inserti, piantati, e lavorati con molta industria e diligente fatica. E sono gli huomini, e donne di buona, e bella statura, e dalla benigna natura sotto così salutifero clima ben fatti e proportionati, valorosi di forze di corpo, d’anemo riposati e quieti, assuefatti a sostenere delle fatiche per sostentarle le loro famiglie, facili a perdonar l’ingiurie, e pieni di religione verso il Signore Iddio, fedelissimi al suo Serenissimo Principe e Dominio Veneto, il quale per il passato si valse della loro fedeltà in reprimer le discordie, e tentate ribellioni de alcuni de’ vicini, e non troppo tempo nella prossima passata guerra contra i Turchi, dove intrepidamente hanno mostrato il loro valore. Sono le donne di onestissima presenza et in fatti, et in parole, e se bene da certa semplice introduzione antica attendono a far l’amore con i loro innamorati, che con altro vernacolo parlare, si dice doniare, nondimeno il tutto passa con semplicità, né mai vengono ad effetto alcuno, né di disonestà, né d’altro, se non quando si congiongono in matrimonio; et è tanto angusto il luoco, e tanta la prossimità del sangue, che rare volte avviene che possino effettuarsi matrimonio alcuno senza la dispensa della Sede S. A. R. Notizie d’Isola nel 1581, del Prete Giovanni Tamar, in Istria, Anno III, 1848, p. 48. “Gode di buonissima aria, vedendo qui gli abitatori con bellissimo volto, buona
Vale la pena procedere ad una disamina ed analisi, almeno un po’ più approfondita, della popolazione, dal punto di vista della sua consistenza numerica e della sua composizione, al fine di trarre qualche interessante elemento. Il primo dato di una certa attendibilità si riferisce al 1477 ed è desunto dal numero di fuochi che ad Isola risultavano essere 188 che moltiplicati per un coefficiente di 5 persone per fuoco portano a stimare gli abitanti in numero di 94012. Proseguendo nell’analisi dell’andamento della popolazione d’Isola, desunta, in maniera più o meno precisa, dai dati disponibili a partire dal 1500, si nota che la stessa, dopo il buon livello registrato nel 1554 (con 1.610 abitanti) fa registrare un recesso, con un piccolo calo solamente negli anni 1621-26 (con 1.549 abitanti) e nel 1699 (con 1.775 abitanti); in seguito e per tutto il corso del secolo successivo farà registrare un incremento modesto ma costante, che la porterà alla fine del ‘700 a toccare i 2.708 abitanti di cui 2.370 nel centro e 338 nel Territorio. I dati, quelli del ‘700, ormai frutto di rilievi sufficientemente attendibili, si presentano come segue: vedi tabella n. 1.
12 )
complessione, sanità e lungamente prolungato la vita, essendo il sito coperto dalla malignità dei scirocchi a garbini”. F. Tommasini, Commentari storici-geografici della provincia dell’Istria, in A. T. vol. IV, Trieste, 1837. p. 351. Tale stima deriva da un rilievo di Luigi Morteani, il quale nella sua monografia su Montona, ad un certo punto, quando parla del bosco pubblico nella valle del Quieto, accenna ad uno degli atti più antichi che ricorda l’amministrazione veneta in materia forestale”. Nel 1477, il podestà e capitano di Capodistria, Baldassarre Trevisan assieme ad Antonio Da Canale, podestà di Montona, stabilì i criteri per suddividere i difficili lavori di scavo di canali e del fiume, nonché di estirpazione e curiazione. Decisero di far partecipare all’operazione quasi tutte le comunità dell’Istria che avrebbero dovuto inviare nella valle un numero di operai proporzionale al numero dei fuochi che ciascuna possedeva. Così Capodistria avrebbe dovuto contribuire per le spese di 1. 301 lavoratori, Muggia di 264, Isola 188, Pirano 422, Umago 178, Cittanova 179, Parenzo 427, Rovigno 288, Valle 150, Due Castelli 118, San Lorenzo 200, Buie 190, Grisignana 112, Montona 350, Pinguente 151, Portole 112, Rozzo 100, Colmo 24, il territorio delle ville di Raspo 112. Pola, Albona, Fianona e Dignano vennero esentate dalla contribuzione in quanto erano impegnate nei lavori di manutenzione dell’Arsa”. V. E. Ivetich, La popolazione dell’Istria nell’età moderna. Trieste-Rovigno 1997, p. 67. Un ulteriore dato dotato di una certa attendibilità è quello relativo anno 1554, rilevato dal Bertoša nel suo “Il frammento istriano dell’itinerario dei Sindici veneziani del 1554”, dal quale si evince che la popolazione del Comune d’Isola assomma a 1. 725 abitanti, di cui 1. 610 nel centro cittadino e 115 nel territorio. V. Miroslav Bertoša: Istarski fragment itinerara mletackihi sindika iz 1554 godine. (Il frammento istriano dell’itinerario dei Sindici veneziani del 1554), in “VHARP” (Bollettino dell’Archivio storico di Fiume), XVII, 1972, pp. 39-44. V. pure Ivetic op. cit. .
287
TABELLA N. 1 (Da Ivetic op. cit. ) LA POPOLAZIONE D’ISOLA DAL 1400 AL 1800. (abitanti) ANNO
ISOLA
TERRI
CITTA’
TORIO
1477
940
1554
TOTALE
-
-
1.610
115
1.725
1621-26
1.549
-
-
1687
1.855
-
-
1699
1.775
200 *
1.975*
1741
1.895
244
2.139
1766
2.020
266
2.286
1771
2.025
269
2.294
1790
2.320
322
2.642
1797
2.370
338
2.708
1803
2.433
325
2.758
1806
2.560
369
2.929
1811
2.650
-
-
1821
2.780
-
-
1853
3.977
-
-
(*Valori stimati) Questa tabella desunta da varie altre esposte dallo Ivetic nella sua opera sulla popolazione dell’Istria dà un quadro significativo sullo svolgimento della popolazione nella nostra città. Sicuramente alcuni di questi dati sono molto vicini alla realtà, se non del tutto certi, quali quelli del 1766 ricavati dall’“Anagrafe di tutto lo Stato della Serenissima Repubblica di
288
Venezia”, altri sono credibili, anche se talvolta incompleti, come buona parte dei dati relativi al ‘500 e ‘600, altri ancora abbisognano di un’interpretazione ed analisi più approfondite con la ricerca di ulteriori riscontri che consentano una reale verifica delle ipotesi assunte, come il dato del 1477. Il dato più significativo comunque sembra quello del 1766, che promana da una vera e propria rilevazione statistica, effettuata con le finalità dei moderni censimenti. Tale rilevazione che doveva ripetersi ogni cinque anni è così ricordata dal Netto, dal cui scritto è stata tratta la Tabella N. 2 13. Le rilevazioni nel ‘700 diventano ormai sistematiche ed offrono dati molto più ricchi che afferiscono alla popolazione, alla sua entità, alla sua composizione e, sia pure in parte ancora carente e non esaustiva, toccando pure le attività da essa esplicate, che consentono di prefigurare uno spaccato tutto sommato abbastanza completo della società cittadina, della sua economia, dei suoi punti critici e delle sue prospettive, di poter insomma immaginare quale fosse la vita che allora si viveva. In particolare la lettura dell’“Anagrafe della Serenissima” del 1766 ci dice che il comune Isola ha un’estensione di poco più di 29 Kmq, e si pone, assieme a Muggia, all’ultimo posto, fra i comuni istriani; è invece al secondo posto per la densità dei suoi abitanti (78,04 ab/Kmq) dopo Rovigno (94,22 ab/Kmq) e prima di Pirano (58,81 ab/Kmq), con un valore più che doppio rispetto alla media istriana (36,41 ab/Kmq). La popolazione totale del Comune assomma a 2.286 abitanti dei quali 1.074, pari al 47 %, sono donne, e 1.212, pari al 53%, sono uomini; degli uomini è dato pure di conoscere la loro distribuzione per età e cioè: 100 (pari all’8,85%) hanno più di 60 anni, 419 (pari al 34,57%) sono al di sotto dei 14 anni ed i restanti 693 (pari al 57,18 %) hanno età compresa fra i 14 ed i 60, sono quindi in età lavorativa; di questi 601 (87%) fanno gli agricoltori, 16 (2%) svolgono attività diverse e restano ancora 76 uomini per i quali non è descritto il lavoro che svolgono, non risultano né marinai né pescatori. Tali vuoti, dovuti forse a un difetto di rilevazione, possono 13
“Duecento anni sono appena trascorsi da quando un decreto del Senato veneto mise in moto una imponente operazione di rilevamento statistico nell’intera Repubblica, che desta ancora l’ammirazione degli studiosi per la qualità di dati offerti e l’accuratezza tutta veneziana del suo svolgimento e per la ripetizione nei quinquenni successivi. Oltre le consuete filze d’archivio, i Deputati ad aggionti alla provision del pubblico denaro dirigenti del censimento, hanno lasciato alla nostra attenzione due serie di grossi volumi, cinque per ciascuna, la prima, del 1768, conservata nella Biblioteca Nazionale di S. Marco e l’altra all’Archivio dei Frari”. (I dati dell’Istria e di Raspo sono contenuti nel quinto volume). G. Netto, L’Istria veneta nell’Anagrafe del1766, in AMSI, n. s., XXII (1975), pp. 225-254.
289
essere approssimativamente corretti attribuendo quasi in toto gli uomini non classificati alla categoria dei pescatori e marinai, che andrebbero così a rappresentare circa il 10% degli uomini in età lavorativa14. (V. Tab. 2) TABELLA N. 2 COMPOSIZIONE DELLA POPOLAZIONE D’ISOLA NELL’ANAGRAFE DEL 1766. POPOLAZIONE TOTALE 2.286 Donne di ogni età 1.074 Uomini + a. 60 100 Uomini 14-60 693 Uomini - a. 14 419 TOTALE FAMIGLIE 446 Famiglie popolari 435 Famiglie cittadine 10 Famiglie nobili 2 OSPITALI 1 Religiose Religiosi 3 Chierici 1 Preti senza beneficio 10 Preti con beneficio 2 ARTI E MESTIERI IN TOTALE 617 Nobili Cittadini viventi di entrata Cittadini esercenti professioni Professanti arti liberali 7 14
290
Confrontando i dati di Isola con quelli di Pirano che sembrano essere più corretti in quanto il numero degli uomini in età lavorativa corrisponde alla somma di quelli che svolgono un’attività, e tale somma comprende pure la categoria dei pescatori e marinai che rappresentano il 14,8%. Attribuendo alla categoria dei pescatori tutta la differenza mancante, questa andrebbe a rappresentare poco più del 10% del totale della forza lavoro in età attiva. Tale correzione può essere considerata ragionevole in quanto è noto che l’attività di pesca e di trasporto marittimo erano sicuramente praticate anche a Isola, prova ne sono i molti processi per contrabbando di pesce, le dispute con i pescatori di Chioggia e la concessione di Stazio fisso sulla Riva degli Schiavoni a Venezia alle barche d’Isola a partire dal 1689 (v. G. Caprin, Lagune di Grado, Trieste 1890, p. 168).
Mercanti e dipendenti Botteghieri e dipendenti 4 Artigiani, manifatt. e dipendenti 3 Armaroli (armi da fuoco) Fabbriche armi da taglio Pescatori e marinai Carrettieri Camerieri Staffieri Cuochi Lavoranti in campagna 601 Persone senza mestiere e entrata 2 ANIMALI Bovini da giogo 123 Cavalli 126 Muli 1 Somarelli 138 Pecorini 1.331 Caprini OPIFICI Telai da panni di lana Folli da panni di lana Telai da tela 6 Telai da lino e bombace Filatoi a mano Tintorie Seghe da legno Mole Macine da olio e torchi 5 Ruote da molino da grano -
A Isola c’è un ospedale e ci sono 3 religiosi (minori conventuale e servi di Maria), un chierico e 12 preti che vanno a costituire il Capitolo (complessivamente un religioso ogni 143 abitanti, ben al di sotto dell’uno ogni 82 della media dell’Istria).
291
Le famiglie sono 446 con un numero medio di 5,13 componenti per ciascuna di esse; di queste, due sono nobili, che però vivono del loro lavoro e non di rendita, 10 sono cittadine (potremmo dire notabili) e ben 434 (il 97,3%) popolari15. In conclusione, dai dati in possesso si può vedere che la popolazione di Isola (sia città che contado), dal ‘500 in poi presenta un continuo progresso, lento ma senza interruzioni, naturalmente escludendo la prima metà del 1600, periodo funestato da guerre e da gravissime epidemie, che tuttavia la impoveriscono demograficamente in misura inferiore di gran parte delle altre città consorelle. Nel periodo che più direttamente ci interessa vede passare la popolazione del comune dai 1.975 abitanti di inizio secolo ai 2.708 del 1797, con un incremento del 37,1%. Altro elemento significativo è l’aumento più che proporzionale della popolazione dei centri minori sparsi nel territorio comunale che passa da un valore stimato di circa 200 persone nel 1699 ai 338 del 1797 con un incremento del 69%, contro quello della città (1.775 nel 1699, 2.370 nel 1797) del 33,5%. Questi dati fanno ritenere che l’aumento cittadino sia dovuto in parte all’aumento della prolificità, alla diminuzione della mortalità infantile ed all’allungamento della vita, fatti collegati al periodo di relativa assenza di guerre e di epidemie, nonché ad una migliore capacità di affrontare le periodiche carestie dovute a fatti naturali. A questi va aggiunto l’effetto dell’immissione fra la popolazione cittadina di alcune famiglie provenienti dall’esterno, affini agli abitanti esistenti e quasi tutte provenienti da città e paesi viciniori, (ad esempio si ricorda la famiglia Besenghi proveniente da Piemonte d’Istria). La diversa distribuzione fra città e centri minori può essere in parte spiegata con la messa a coltura, nell’ultimo quarto del secolo, anche dei terreni meno fertili e più distanti dal centro cittadino, con conseguente spostamento stabile di contadini con le loro famiglie in località più prossime alle campagne da coltivare16. 15 16
292
Anche questo dato desta qualche perplessità in quanto, messo a confronto con Pirano, risulta che in questa città non viene registrata alcuna famiglia nobile. “[…] nel Settecento le campagne limitrofe alle cittadine risultavano per lo più sguarnite di abitazioni stabili: i contadini raggiungevano le campagne all’alba e le lasciavano al tramonto, com’era uso a Capodistria e ad Isola, oppure si trasferivano solo periodicamente sui campi, in casette rurali di fortuna, come a Pirano, seguendo dei ritmi stagionali. Esisteva quindi, in questa zona un netto distacco tra i due mondi, dei cittadini e dei villici, fenomeno che aveva delle notevoli ripercussioni psicologiche ed economiche”. Fenomeno questo che aumenterà ulteriormente nella prima metà dell’800. A. Apollonio, L’Istria Veneta dal 1797 al 1813, Gorizia 1998, p. 91.
Anagrafe della Serenissima Repubblica di Venezia – censimento generale del 1766.
293
L’economia Non sono molti gli elementi a nostra disposizione per condurre un’approfondita analisi dell’economia isolana nel ‘700; tuttavia anche dai pochi documenti in nostro possesso non è difficile rilevare che l’economia cittadina poggia quasi esclusivamente sull’agricoltura. Questa attività, che occupa la stragrande maggioranza della popolazione attiva, è praticata con assiduità e perizia ed i risultati che ne conseguono sono soddisfacenti e lusinghieri, come del resto tutte le fonti, sin dalle più antiche, attestano. La favorevole posizione del territorio che gode di una prolungata esposizione al sole, la sua ricchezza d’acqua, la fertilità del suolo con la mitezza del clima e la salubrità dell’aria offrono primizie e raccolti ricchi e prolungati, verdure gustose e frutti particolarmente saporiti. Prospera l’ulivo con una produzione d’olio ottima per qualità ed in buona quantità; la vite giganteggia su tutte le altre colture ed il vino, prodotto in rilevante quantità, è di ottima qualità, è rinomato, è ricercato e costituisce una delle poste più importanti dell’economia cittadina17. Le favorevoli condizioni naturali sopra citate non lasceranno tuttavia indenne neanche Isola dai fenomeni negativi che hanno caratterizzato nel ‘700 la produzione agricola dell’Istria: la grande gelata del 1709, che provocò la moria di gran parte degli olivi e fu fatale a tante viti, la grande carestia di cereali che si protrasse fino al 1710, l’epidemia epizoozia del 17
294
“All’aria buona si aggiunge un territorio il più fertile, e fecondo di quanti ne siino nella provincia, anzi pare un giardino, perché qui vi sono degli orti bellissimi, che producono ogni sorta di erbaggi eccellenti, specialmente i meloni rarissimi con semenza senza scorza, frutti, ceriese, peri, pomi, persici, costagne e mandorle con uva preziosa da mangiarsi. Il territorio è tutto pieno di olivi e vigne delle quali si fanno ribolle famose, che vanno per tutta l’Italia e specialmente a Venezia. Fatto il primo vino per la dolcezza dell’uva, fanno sopra le vinazze la loro zonta, che riesce dolce e fanno ogni orna di vino due orne di zonta, per la bontà dell’uva, dopo la qual zonta ne fanno una terza che devono e serve per quelli contorni, ed è cosa meravigliosa che la seconda zonta ch’è la più soave, tenendosi diventa aceto che viene ceduto ai marinai, e serve ai vascelli con grandissimo utile degli abitanti e si da la causa all’acqua di quella loro fontana, che sta vicina alla terra così abbondante, che tal anno facendosi diciotto sino a ventimila barile di zonte, mai resta asciutta nelle vendemmie. La terra è circondata da colli e da monti, il territorio è in modo di mezzo luna da un capo del mare all’altro e tutti quei terreni sono pieni di vigne ed oliveri. È copioso di fontane che scorrono dalla terra per i campi ed orti, …”. F. Tommasini, Commentari cit. pp. 351352. “Isola, Capo d’Istria, Pirano e Muggia sono luoghi dove li sudditi con fatica tengono ben coltivati li Terreni, e fa contrappunto alla natura de siti l’industria delle persone riducendo anche l’orrido incolto ad una fruttuosa coltivazione, e non v’è dubbio, che sia la Provincia più coltivata con l’aumento delle persone di quello era una volta che scarseggiava di popolazione e che li sudditi non avevano appreso il loro utile dal frutto delle terre e dagli vantaggi del mare”. Relazione del N. H. Nicolò Maria Michiel ritornato di Podestà e Capitanio di Capodistria. 28 novembre 1749, in AMSI, vol. X, 1894, p. 82.
1713, le cicliche siccità con i magri raccolti di frumenti e biade degli anni ’23-’25, e del ’31-32, ed ancora del ’43-’44 e ’51-’52, ed infine gli anni più duri con le nuove gelate di olivi e viti degli anni 1782-’84 e 1788-’89 18. Le altre attività economiche più rilevanti sono la pesca, che lungo il corso del secolo andrà via via acquistando maggiore importanza a seguito dei nuovi metodi di pesca e di conservazione del pesce, e la produzione di sale che cesserà del tutto nella prima metà del secolo19. Anche il commercio, favorito dalla vicinanza con le regioni asburgiche, ha sin dal secolo precedente un ruolo importante nell’economia cittadina; esso si fonda soprattutto sul commercio del sale, un bene primario da scambiare con tutto ciò di cui la comunità cittadina abbisogna ma non produce: cereali, metalli, attrezzi, prodotti finiti20. La lettura dell’Anagrafe del 1766 ci permette di ricavare qualche ulteriore elemento di conoscenza sull’economia cittadina. Fatti salvi gli eventuali errori di rilevazione e di approssimazione dell’Anagrafe, dai dati della Tabella 2 possiamo desumere che, come già detto, l’attività principale degli isolani è l’agricoltura, ad essa si dedica l’86% della cittadinanza, è a conduzione familiare e ad essa vi collabora tutta la famiglia, comprese le donne, gli uomini sopra i 60 anni ed i ragazzi sotto i 14. Pertinenti e strumentali a tale attività sono in buona parte gli animali censiti (123 bovini, 126 cavalli, 1 mulo e 138 asini, mediamente uno per famiglia). Non risultano persone dedite completamente alla sola pastorizia, ne alla produzione di prodotti caseari, nonostante la presenza in loco di 1.331 pecore, ciò lascia intendere che anche tali attività sono svolte promiscuamente, quali accessorie a quelle della coltivazione dei campi. La stessa cosa si può dire per quella minima attività industriale che sembra essere svolta nel territorio a mezzo dei suoi 6 telai da tela e le 5 macine da olio e torchi, in quanto solamente 3 persone sono classificate come artigiani, manifatturieri e dipendenti, si potrebbe pensare che questi siano i conduttori dei pubblici torchi cittadini e che le altre attività siano tutte realizzate in ambito familiare. 18 19
20
Vedi E. Ivetic, La popolazione dell’Istria…, citata a pp. 139-140. “La Terra d’Isola, ch’è la più vicina a Capo d’Istria, ha le rendite degli ogli, vini et qualche puoco di sale, sostentandosi convenientemente bene”. Relazione del N. H. Pietro Loredan ritornato di Podestà e Capitano di Capo d’Istria – 1670. In AMSI, vol. VIII, 1892, p. 102. “Nel XVII secolo…Le podesterie dell’Istria settentrionale, Capodistria, Muggia, Isola e Pirano, pur subendo un ridimensionamento nella popolazione, non persero quel ruolo economico che scaturiva dalla produzione e vendita del sale alle regioni asburgiche: un bene primario, in cambio del quale esse si procuravano i cereali, i metalli ed i prodotti finiti”. E. Ivetic, Caratteri generali e problemi dell’economia dell’Istria veneta nel settecento, in ACRSR vol. XXV, 1994, p. 77.
295
In definitiva da questi dati si evince che l’economia cittadina dipende quasi esclusivamente dall’attività agricola, alla quale si dedica direttamente o indirettamente circa l’87% della popolazione, l’attività di trasformazione dei prodotti agricoli (vino, olio, latte, prodotti caseari, ecc.) avviene per lo più in ambito familiare, non esiste una vera e propria attività industriale. Una parte molto minoritaria della popolazione (circa il 10%) vive con i proventi della pesca, ma è probabile che anche i lavoratori del mare (pescatori, marinai, traghettieri, ecc.), ricavino parte del loro sostentamento da piccoli orti e campi di proprietà ai quali si dedicano nei momenti nei quali non sono impegnati nella pesca, oppure vi si dedicano i figli minori e le donne di casa. Una piccolissima parte di circa il 3% della popolazione attiva svolge le altre attività, quali il commercio, l’artigianato21 e le arti liberali. Non abbiamo dati quantitativi certi sull’importanza della pesca nell’economia cittadina, che tuttavia si ritiene non essere del tutto marginale, specie dopo che, nel ‘700, si era diffuso presso tutti i centri marittimi del litorale il nuovo metodo di pesca del pesce azzurro ideato nel 1695 dal rovignese Biasio Caenazzo detto Toto22. “Per cui aumentò rapidamente il volume del pesce azzurro pescato tanto da poter parlare di vera e propria industria domiciliare nella preparazione del pesce salato la quale coinvolgeva buona parte delle famiglie rovignesi. I rovignesi […] si orientarono verso la pesca d’altura scegliendo come loro zona d’influenza l’Istria meridionale, meno abitata, e soprattutto vicina al Quarnero ricco di sardine, acciughe e anche tonni. Ben presto, sulla spinta di uno sviluppo strepitoso e senza uguali nell’Adriatico orientale, neanche tale bacino di sfruttamento poté bastare; perciò abbiamo il noto scontro diretto e giudiziario con i pescatori chioggioti, uno scontro che la dice lunga sul progresso che aveva fatto un’anonima cittadina istriana, ormai affermatasi come uno dei più grossi produttori di pesce azzurro 21
22
296
“L’artigianato comunque c’era e quantitativamente era cresciuto nel corso del Settecento, assieme all’espansione delle città come Parenzo e Rovigno (otre a Capodistria, Pirano, Isola, Albona), dove si era formato un ceto artigianale non trascurabile”. E. Ivetic, Caratteri generali e problemi dell’economia, cit., p. 112. “Si utilizzavano le reti sardellare, calate in superficie, e le esche di tritumi di mazenete, cioè crostacei. Le quantità di pesce azzurro pescato con questo sistema lievitarono vorticosamente, perché la pesca divenne garantita non solo nelle notti prive di luna, ma anche in pieno giorno. La crescita del pesce pescato si verificò in una congiuntura favorevole, caratterizzata dalla disponibilità di sale capodistriano a buon prezzo (acquistato o contrabbandato, ma soprattutto da un’esplosione della domanda di pesce salato (conservato) in tutte le regioni della pianura padana, motivata dal fatto che, con la perdita di terreni a favore delle colture del mais, era diminuito l’allevamento e con esso la disponibilità di carni, da sostituire, nell’alimentazione, con il pesce”. Istria nel tempo, cit., p. 408.
salato dell’Adriatico”23. Di tale stato di cose ne beneficiarono tutti i paesi della costa istriana, per primi “i centri marittimi semiabbandonati” della costa occidentale: Parenzo, Pola, Umago e Cittanova, e quindi anche gli altri centri della costa orientale con l’esportazione del metodo e sistema rovignese a Pirano, Isola, Capodistria e Muggia. “La spinta partita dalla pesca si estese agli investimenti nella produzione di olio che divenne ingente in tutto il litorale dopo il 1740; aumentò la produzione del vino, come pure l’allevamento, visto il numero crescente di abitanti; ricadute positive si ebbero su tutti i contadi prospicienti”. Non va inoltre trascurata l’altra attività marittima, quella del trasporto via mare che si effettua con brazzere e trabaccoli; tuttavia è noto che la pesca e la marineria sono, a quei tempi attività complementari, con la stessa barca in parte si pesca ed in parte si effettua qualche piccolo trasporto. Ad Isola, al pari delle altre città della costa istriana, tale sistema è usualmente praticato, come risulta da vari documenti del periodo del Governo Provvisorio dell’Istria (1797-1805) che fanno riferimento a numerose controversie sorte con capi barca e pescatori isolani, in quanto non pagati per i vari trasporti, sia di persone che di cose, da loro effettuati per conto del governo24. D’altro canto, considerata la grande carenza di strade e la loro situazione di perenne dissesto, era molto più conveniente, se non l’unico possibile, il trasporto marittimo a danno di quello terrestre che si sarebbe sviluppato in seguito con la costruzione di nuove strade.
23 24
E. Ivetic, L’Istria moderna, cit., p. 91. AST, Governo Provvisorio – Atti Amministrativi dell’Istria, B. 34, ff. 351, 421440.
297
TABELLA N. 3 Le imbarcazioni e gli addetti della Provincia dell’Istria (1746) LOCALITÀ
PESCA
TRASPORTO
Imbarc. Addetti
Inbarc. Addetti
Imbarc. Addetti
N.
N.
N.
%
N.
%
%
N.
%
MERCANZIA
%
N.
TOTALE Imbarc. Addetti
%
N. %
N.
%
Capodistria 35 11,3 122 10,9
18 20,0 35 17,5
26 20,0 73
15,3
79 14,9 230 12,8
Muggia
11
33 2,9
-
-
-
-
4
2,3
15
Isola
33 10,7
99
-
-
-
-
Pirano
34 11,0 116 10,4
Umago
7
3,5
8,9
3,0
11
2,8
44
2,4
13 10,0 46 9,6
46 8,7
145 8,1
60 66,6 122 60,3
15 11,5 47 9,8
109 20,6
285 15,9
2,2
22
1,9
-
-
-
-
4
3,0 13
2,7
11
2,0
35 1,9
Cittanova
11 3,5
27
2,4
-
-
-
-
1
0,7
0,6
12
2,2
30 1,6
Parenzo
20 6,4
70
6,2
-
-
-
-
42
7,9
151 8,4
Rovigno 120 38,9
505
45,4
Pola
17
5,5
59
5,3
Albona
10
3,2
31
2,7
Fianona
10
3,2
28
2,5
10 11,1 39 19,3 2
3
22 16,9 81 17,0 40 30,7 183 38,4
2,2
6
2,9
5
3,8
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
170 32,1 727 40,6
19 3,9
24
4,5
84
4,6
-
-
-
10
3,2
31
2,7
-
-
-
10
3,2
28 2,5
TOTALE 308 (58,3) 1.112 (62,1) 90 (17,0) 202 (11,2) 130 (24,6) 476 (26,5)
528
1.790
Un importante documento del 1746 presenta il censimento delle imbarcazioni e degli addetti alle attività marittime di pesca e di trasporto delle varie località costiere dell’Istria, riassunte nella Tabella N. 3. Dalla lettura di questo documento si può vedere quale sviluppo avessero raggiunto allora tali attività. Il centro istriano di gran lunga il più importante risulta Rovigno con il 32 % sul totale delle imbarcazioni ed il 40% sul totale degli addetti; a Rovigno seguono Pirano, la città più specializzata nei trasporto marittimo maggiore, con due terzi del totale sia per il numero di imbarcazione che per gli addetti; al terzo posto troviamo Capodistria e quindi Isola, la quale con le sue 46 imbarcazioni, in buona parte da pesca e per piccoli trasporti, e con i suoi 146 addetti rappresenta l’8,7% del naviglio istriano e rispettivamente l’8,1% del personale marittimo25. Non siamo in possesso di dati certi relativi alle produzioni ed alle esportazioni nel ‘700, sappiamo tuttavia che sono significative ed in certi casi anche fiorenti. I mercati presso i quali vengono indirizzate le merci partenti da Isola sono principalmente: quello di Venezia per le merci esportate legalmente, e di Trieste per quelle esportate illegalmente. 25
298
La tabella è tratta da E. Ivetic, Caratteri generali e problemi dell’economia, cit., pp. 105-106.
I principali prodotti esportati sono quelli agricoli: vino, olio e primizie in particolare, e quelli della pesca: pesce fresco e pesce salato. Per quanto riguarda le quantità esportate ci possono essere di soccorso i dati rilevati nei primi anni dell’800: vino 12.000 barilla e pesce 6.000 libbre. Quantità significative se messe a confronto con quelle degli altri centri istriani per i quali siamo in possesso di qualche dato, per il vino: Muggia 300 orne, in barille: Umago 200, Cittanova 800, Rovigno 6.000, Portole 550, Visinada 2.000, Pola 350; per il pesce salato: Muggia 6.000 mastelle e Rovigno 40.000 libbre26. Discorso a parte merita l’esportazione illegale, o contrabbando che dir si voglia, il quale pur essendo da sempre praticato ha assunto nel corso del ‘700 una dimensione tale da significare, si può dire, l’unico elemento nuovo di sviluppo economico per le città istriane, e dall’altra un cespite importante per le entrate delle famiglie senza il quale una buona parte di esse avrebbe messo in serio pericolo la propria sopravvivenza. La politica degli Asburgo di potenziamento del commercio in Adriatico e la creazione dei porti franchi di Trieste e di Fiume aveva inciso seriamente a danno del grande emporio di Venezia nella quale, finché costituiva il grande centro economico incontrastato dell’Adriatico, le città istriane vi trasportavano i loro prodotti e vi trovavano da acquistare tutto il necessario per le loro necessità, ma quando non trovarono più tale rispondenza furono costrette a ricorrere al contrabbando verso l’emergente emporio asburgico27. 26
27
A. Apollonio, L’Istria Veneta, cit., pp. 67-69”. Isola era una piccola città di agricoltori, di pescatori e di piccoli proprietari. La pesca che era stata un tempo un’attività secondaria, stava prendendo sempre maggior piede. A partire dagli anni 1880-85, Isola sarebbe diventata una delle capitali della pesca adriatica, con l’insediamento in città delle fabbriche francesi e tedesche di scatolame, in un momento in cui la peronospera avrebbe messo in crisi i vigneti. Nel ‘700 Isola era ancora dedita alla cultura specializzata del vino e di quanto restava degli oliveti ma la pesca già permetteva una sostanziale integrazione delle risorse. Il villaggio di Corte, sulle colline, aveva tutte le caratteristiche dei centri agricoli minori dell’attiguo territorio capodistriano”. “L’ascesa economica triestina riavviò però il traffico del piccolo cabotaggio lungo le coste istriane, facendo pervenire nella regione, anche tramite il contrabbando, vari prodotti. Il portofranco da un lato e l’obsoleta amministrazione economica veneta dall’altro costringevano la regione istriana ad una situazione in cui il contrabbando diventava l’unica soluzione possibile di fronte ad una maggiore richiesta di beni (dovuta alla lenta ma costante crescita demografica), legata a nuove esigenze di consumo e di produzione. Ecco che si era formata un’economia parallela a quella ufficiale, a quella che si può desumere dalla lunghe liste dei dati conservati presso le varie magistrature veneziane. Questa economia purtroppo non è quantificabile, però è costantemente presente. Essa contraddistingue, se non la nuova, almeno la diversa realtà economica dell’Istria veneta nel Settecento, fondata su un inedito rapporto con Trieste (sempre più a scapito di Venezia), sulla ripresa di alcune attività agricole (olio, vino) e marittime, ma anche sul costante problema dell’annona, dovuto alla carente produzione cerealicola. E. Ivetic, Problemi dell’economia, cit., p. 81
299
Lo sviluppo del porto di Trieste aveva, di fatto, portato alla fine del commercio delle città costiere dell’Istria nord-orientale con i Carniolici, abituali frequentatori dei mercati istriani di Muggia, Capodistria, Isola e Pirano, dando origine ad uno sviluppo straordinario del contrabbando marittimo28.
La Chiesa La Serenissima nei suoi rapporti con la fede e nella sua politica ecclesiastica si è sempre attenuta a due fondamentali principi; ad un principio di assoluta laicità dello Stato, con la laicità intesa come resistenza a qualsiasi interferenza della Chiesa, nella sua veste di Stato temporale dei Papi; ed al secondo principio, riferito alla Chiesa, intesa quale istituzione divina, rappresentato dal riconoscimento della fede cattolica, quale religione di Stato, e quindi diretta ispiratrice della propria attività e della propria legislazione. Suo emblema è il Leone di San Marco, glorioso simbolo del potere e della forza della Repubblica, ma anche simbolo della fede cristiana e della lotta contro i turchi mussulmani. Il richiamo alla fede e le autorità che la rappresentano sono sempre presenti, in ogni pubblica manifestazione civile e per converso l’autorità civile non manca mai di onorare con la sua presenza le manifestazioni religiose. Le leggi sono promulgate dal Doge “Dei Gratia Dux Venetarum”; e gli Statuti delle città, massima legge dell’autogoverno cittadino, iniziano sempre con la manifestazione di fede e l’invocazione a Dio, alla Madonna, 28
300
“Il contrabbando in Istria aveva assunto tali dimensioni che il podestà-capitano Marcello nel 1770 scriveva al doge: Da che nati le sono vicini con aperta franchigia li porti di Trieste, Fiume ed Ancona, può dirsi francamente che la piazza di Venezia, le Arti e Vostra Serenità abbia quasi perduta del tutto questa provincia d’Istria”. “Per tali ragioni non solo la cittadina di Rovigno, ma anche Parenzo ed in genere tutte le città costiere dell’Istria, da Muggia a Fianona e Albona, in più riprese, avevano direttamente manifestato e chiesto al governo veneto che le venisse concessa la libertà di navigazione e di traffico: Se fosse possibile con le medesime maniere di facilità fosse aperto un qualche porto nella Provincia dell’Istria, lontano questo cento in circa miglia e poco distante nall’ingresso del golfo, non solo farebbe comodo dell’approdo più facile e più breve, di minor spesa e pericolo a bastimenti e sollecito l’esito delle merci ne cagionerebbero a quella parte il loro fermo e neccessitarebbero li medesimi Austriaci a cercar in esso porto e l’esito et il provvedimento”. Relazione del capitano-podestà Michiel al Senato, 1749. “Tuttavia, alle richieste delle cittadine istriane, il Senato era rimasto indifferente e tale passività, aveva dimostrato pubblicamente a tutto l’Occidente che ormai la repubblica di San Marco aveva perso il suo primato. Signora dell’Adriatico per secoli, non aveva più la forza di salvaguardare i propri interessi e la sua posizione a tutto vantaggio dell’Austria”. Antonio Miculian, Venezia, le città istriane e la navigazione nell’Adriatico nel ‘700, in Histria Terra, n. 4, Trieste 2002, pp. 24, 25. Lasciando così tristemente presagire quanto pochi anni dopo sarebbe successo!
ai Santi protettori e, molto spesso, lo stesso avviene nella stesura e nella promulgazione degli atti pubblici e, molto frequentemente, anche di quelli privati. Sulle nomine dei vertici religiosi e dei vescovi delle diocesi della Repubblica, il parere dell’autorità statale è sempre determinante, anzi si può dire che è lo Stato che sceglie ed il Papa che nomina, dal canto loro tali vertici scelti a questo modo sono autorevoli, influenti ed ascoltati dalle autorità civili. Particolarmente a cuore dello Stato sta la vita e la moralità dei religiosi che sono molti e sparsi, oltre che nelle sedi diocesane, nei vari monasteri e conventi. Un controllo assiduo viene esercitato da parte dello Stato attraverso un suo speciale “ufficio” detto “Magistrato sopra i Monasteri”, che previene e stronca gli eventuali abusi e controlla la gestione dei patrimoni. A livello locale i rappresentanti della Chiesa esercitano, assieme al ruolo di guida spirituale, anche ruoli di natura amministrativa statale. I parroci svolgono nella loro parrocchia la funzione di ufficiali di stato civile, con l’obbligo della tenuta dei registri parrocchiali dei nati e dei morti e fungono quindi anche da anagrafe statale, sono inoltre investiti del ruolo di diffusori della conoscenza delle leggi dello Stato, mediante la loro lettura in chiesa durante la messa domenicale29. Da parte sua lo Stato integra la rendita di sopravvivenza delle sedi particolarmente disagiate. È massima la commistione fra civile e religioso, il sacro ed il profano sono confusi, tanto che può dirsi che non esiste fatto, evento o manifestazione di natura civile che riguardi o interessi la popolazione che non assuma immediatamente anche una pari rilevanza di natura religiosa, e così ogni evento, ricorrenza o festa religiosa automaticamente diventa allo stesso tempo una questione di interesse civile. Le feste religiose sono anche solennità civili, nelle quali è prescritta l’astensione dal lavoro; nel monte dei giorni festivi le ricorrenze religiose sono tante che può quasi dirsi che l’unico calendario vigente, anche per l’autorità civile, sia quello liturgico. Ne sono riprova gli Statuti di Isola nei quali al prologo del secondo libro sono elencati i giorni “feriati”, i giorni cioè nei quali non si tengono le 29
“Una funzione particolarmente importante del Parroco era quella di fungere da “Gazzetta Ufficiale” delle leggi della Repubblica, le quali, oltre che venir promulgate dall’araldo sulla scala del Palazzo Ducale e sul “gobbo” del Rialto, di solito venivano lette nella “messa grande” dal parroco e la lettura ne veniva spesso ripetuta a scadenze fisse, per farla restare in mente alla gente (generalmente analfabeta); l’obbligo di lettura in Chiesa veniva di volta in volta ribadito dalla singola legge, la cui promulgazione (stampata sul foglio recante nel frontespizio il Leone “in moeca”) era detta volgarmente moeca”. I. Cacciavillani, Corso di storia della Chiesa veneta, Ed. Signum, Padova 1990, p. 98.
301
udienze; bene, di fatto, tali giornate sono costituite quasi esclusivamente da ricorrenze religiose30. La fede cattolica è profondamente radicata nella vita di tutti, per effetto degli insegnamenti ricevuti in famiglia, in chiesa, nelle parrocchie e negli altri luoghi di culto, assiduamente frequentati in tutte le occasioni che il calendario ecclesiastico scandisce con meticolosa puntualità. Tutto questo vale anche per Isola e per i suoi abitanti che sono, nella loro generalità, animati da un profondo sentimento di fede e di partecipazione alla vita religiosa e liturgica della loro comunità. La grade religiosità degli isolani è attestata dal gran numero di chiese e cappelle erette nel paese e nelle campagne circostanti. Il vescovo Naldini, nella sua visita pastorale, nell’anno 1700, resta meravigliato dal numero di chiese esistenti ad Isola che “nell’angusto circuito di un miglio si moltiplicano fino a dieci; a tal che sono per così dire più Chiese che strade; né aggirasi il piede, che non inciampi in alcuna Chiesa. Felice inciampo, se erge gloriosi i trofei alla Divotione Isolana”31. Altre otto chiese sono situate nel territorio comunale, a queste si aggiungono due conventi: uno dei Servi di Maria e l’altro dei Minori conventuali. Particolare importanza per la vita culturale di Isola assumeranno alla fine del ‘700 i due conventi a seguito della legge del 7 settembre 1768 che disponeva che: “nelle Case Religiose” del Dominio non “potrà essere accettato alcuno, il quale non fosse Suddito Nativo” (dello Stato veneziano), mentre dovevano essere chiusi “li Monasteri ed Ospizi, situati in qualunque luogo di questa Città, del Dogato, della Terra Ferma e dell’Istria, li quali non hanno possedimenti, o Questue bastanti ad alimentare dodici 30
31
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“Dichiaration delli giorni Feriati. Gli giorni della Natività di Nostro Signore Giesù Cristo con otto giorni preced. ti, et altrettanti subseguenti: Gli giorni della Resuretion di Q. llo similm. te con giorni otto preced. ti,et altrettanti subseg. ti. Tutti gli giorni della intatta, e benedetta Verg. e Madre del Salvator nostro Giesù Cristo. Tutti li giorni delle Domeniche. Tutti li giorni dedicati à honor, e riverenza del Venerabile Evang. ta S. Marco. Tutti li g. ni introdutti à reverentia de Santo Mauro. Tutti gli dodici giorni delli Apostoli, e de tutti gli Evangelisti. Gli giorni della Circoncision, et Epifania del Sig. r. Le Feste del Carneval con otto g. ni precedenti. Gli giorni dell’Assension, et Pentecoste. La Festa del Corpo de Cristo. La invention della Santa Croce. Il giorno de Santi Vido, et Modesto. Santo Zuanne Battista. Santo Salvatore, Santo Donato, e San Lorenzo Martire. Le festività de tutti li Santi. I giorno della Comemoration de Morti. Il g. no de Santo Martino; Santa Catherina: Santo Nicolò. Santa Lucia. Dalla Festa de San Bortolamio del Mese di Agosto fin otto giorni doppo la festa de S. Michiel”. Statuti del Comun d’Isola, a cura di F. Degrassi e S. Sau, Isola 2003, pp. 183-184. P. Naldini, Corografia, cit., p. 342. Le chiese cittadine sono: la collegiata di S. Mauro, S. Maria d’Alieto, S. Bartolomeo, S. Antonio Abbate, S. Giovanni Battista, S. Pietro, S. Andrea, S. Maria della neve, S. Marina, S. Francesco e S. Caterina. Quelle situate fuori le mura: S. Rocco, S. Donato, S. Fosca, Visitazione di Maria, Madonna di Loreto, S. Pelagio, S. Simone, S. Lorenzo, S. Antonio a Corte d’Isola.
Religiosi e non possono perciò osservare perfetta conventualità”. I beni delle “case” soppresse saranno confiscati dallo Stato e venduti in pubbliche aste a beneficio dell’erario. Non soddisfando i requisiti richiesti dalla legge in quanto i due conventi cittadini ospitavano solamente alcune unità di religiosi, essi furono inseriti tra quelli che dovevano essere soppressi e ne seguirono la sorte. Altro monumento alla religiosità sono le Confraternite o Scuole Laiche, presenti in Istria sin dal tardo medioevo, ed anche a Isola particolarmente antiche e numerose. Sono delle associazioni, a sfondo prevalentemente religioso, formate da persone che intendono perseguire finalità di pietà, di carità e di mutuo soccorso. Gli associati si riuniscono in una chiesa, o presso un altare, sotto il patronato di un santo o di una figura mistica che dà il nome alla confraternita. La loro organizzazione è definita da uno statuto che ne definisce le finalità e che prevede le quote da versare, le modalità di partecipazione e le cariche sociali. Viene creata una cassa comune con la quale attuare una politica di prestiti reciproci, di acquisti o di investimenti, sempre nello spirito e per il raggiungimento delle finalità definite32. All’inizio del ‘700 le confraternite sono molto diffuse e raggruppano, come associati, una buona parte della popolazione attiva. Il vescovo Naldini ne elenca ad Isola ben sedici e così lo ricorda: “Quanto alle Confraternite sono in tanta copia, che numerandosi quasi al pari degl’Altari, a quali s’arrolano, come questi eccedono il numero delle Chiese, così quelle non ponno calcolarsi che col computo degl’Altari”33. In Istria le confraternite raggiungono, conseguentemente alla ripresa demografica dell’inizio del ‘700, la maggior consistenza intorno al quarto decennio del secolo, “quando con sempre maggior insistenza interessano 32
33
“Al di là della funzione svolta nel contesto in cui operarono, le confraternite furono un potente fattore di educazione anche civile della gente. Esse rappresentarono l’unico momento aggregativo spontaneo di volontariato, si direbbe col linguaggio d’oggi, vera palestra di partecipazione della gente alla gestione di funzioni ritenute essenziali”. I. Cacciavillani, Corso di storia, cit., p. 106. “Tra le militanti sotto gli Auspicj gloriosi della Beatissima Vergine Madre, niuna si desidera delle principali, come del Rosario, della Cintura, de’ Sette Dolori, e del Carmine. Dell’altre intitolate al valido Patrocinio di diversi Santi, vi sono dell’Arcangelo Michele, de’ i Gloriosi Apostoli Andrea, Giacomo e Bartolomeo, del S. Patriarca Gioseffo, de’ Santi Mauro, Donato, Antonio, Rocco, ed altri. Mà se nel coro delle Virtù Teologiche, e Cardinali impugna la Carità lo scettro, perché di tutte quelle Regina; la Confraternita denominata la Carità, porta sovra d’ogn’altra di queste la Corona. … Una del Santissimo Sacramento, vestita di Cappa rossa; Altra della Beata Vergine, detta de’ Battuti, coll’habito bianco; e la terza di S. Gio: Battista, col manto nero; ciascuna delle quali copiosa de’ Confratelli riconosce il proprio Oratorio per i soliti esercizi, e congressi; con che la divotione del Popolo alla maggior gloria del Signor gareggia, e trionfa”. p. Naldini, Corografia, cit., pp. 362-363.
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l’amministrazione veneta. La curiosità era lecita in quanto la consistenza dei capitali delle confraternite era lo specchio della situazione economica, sia dei centri rurali sia di quelli urbani […]. Nel 1741 si era fatta un’accurata indagine sul numero e sul patrimonio delle Confraternite nella Provincia dell’Istria”. Pur mancando dalla rilevazione le scuole laiche di Pirano, Raspo, Barbana, Sanvincenti, Visinada e Orsera, stimate in circa 50-60 unità, il loro numero assomma a 603 ed il totale del capitale annuo delle rendite raggiunge la somma, che allora apparve considerevole, di 127.079,9 Lire. Da tale censimento risulta che Isola ed il suo territorio è rappresentata con 18 Confraternite e con una rendita annua di 4.346,6 Lire, che rappresentano circa il 3% del totale sia in numero che in valore34. Nonostante il loro ruolo sociale le confraternite sono considerate con scetticismo dalle autorità venete, a causa di fatti non del tutto leciti ed alcuni dissesti che si erano verificati in alcune di esse35. Esse furono poi abolite nel 1807, con decreto napoleonico, e lasciarono un grande vuoto soprattutto sul piano dei capitali destinati alla solidarietà nelle campagne e fra i meno abbienti e più bisognosi. “Al momento delle soppressioni napoleoniche le Confraternite, in Istria, erano 673. Amministrate in maniera approssimativa e gravate da alcuni balzelli, in alcuni casi erano impotenti a perseguire le finalità religiose per le quali erano sorte. Eppure, nel loro complesso, contribuivano ancora con efficacia all’apparato esterno del culto, rendendo solenni le funzioni religiose in onore dei Santi Protettori, partecipando alle spese di abbellimento degli altari, al restauro ed alla manutenzione delle chiesette campestri, delle cappelle […]. Tutte le Confraternite avevano peraltro mantenuto quelle motivazioni sociali che sembrano essere state alla base della loro istituzione originaria. Saldavano tra loro i ceti popolari, amalgamavano colleghi di mestiere e vicini di contrada, assumevano talvolta le funzioni di vere e proprie società di mutuo soccorso, fungevano da collegamento tra gli strati popolari e certi personaggi in vista, appartenenti o meno al patriziato”36. 34 35
36
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E. Ivetic, Caratteri generali e problemi dell’economia, cit., p. 127-129. Ibidem, p. 130. “Per quanto le autorità venete vedessero con scetticismo l’organizzazione delle scuole laiche, dove gli usurpi e gli interessi personali, secondo l’opinione dei rettori, creavano non poche complicazioni, la loro funzione economica era stata determinante nel sistema produttivo istriano. … Quanto siano state in crisi nel corso del Settecento rimane da scoprire; non ci si può fidare delle osservazioni sommarie dei dirigenti veneti in quanto si trattava di un contesto che sfuggiva all’amministrazione centrale. In ogni caso la loro struttura ed organizzazione era rivolta alle esigenze concrete di chi ne faceva parte ed erano generalmente orientate, almeno in campagna, all’autoconsumo e all’autoconservazione”. Così A. Apollonio, in L’Istria veneta, cit., p. 106.
L’Ospedale Collegate con l’attività delle istituzioni religiose, ancorché funzioni di carattere civile, sono la gestione dell’ospedale e della pubblica scuola d’Isola nel secolo XVIII, delle quali si danno di seguito alcuni cenni. Riguardo all’assistenza pubblica agli indigenti e agli ammalati, anche Isola, come la maggioranza delle grandi e piccole città dell’Istria, poteva vantare riferimenti a politiche sanitarie e ad istituzioni, risalenti ancora ai suoi primi Statuti che risalivano al XIII secolo. È noto che il libero comune, sin dai primordi ebbe a cuore e non mancò di provvedere alla salute pubblica a favore dei propri cittadini, ricercando e stipendiando medici e chirurghi, dei quali abbiamo notizie scarne, ma certe. Nel 1441 esercita a Isola un Giacomo da Bologna chirurgo, nel 1551 esercita la professione di medico Livio Rezzonico da Como, di famiglia nobile, illustre per uomini d’arme, di lettere e di scienze, nel 1643 troviamo il medico Iseppo della Bella37. Nel ‘700, come era avvenuto anche per i secoli passati, ad Isola risiedeva ed esercitava un medico pagato, anche se con difficoltà e molto spesso in ritardo, dal Comune a beneficio di tutta la cittadinanza. In merito all’ospedale, si ricorda che esso esisteva già in epoca molto remota, con il nome di ospedale per i poveri pellegrini ed ammalati e che nella prima metà del 1500 la sua gestione ed amministrazione fu affidata alla confraternita del Sacramento alla quale confluirono pure le sue rendite38. Sembra che nello stesso edificio, tale e quale era all’inizio del secolo, sia ivi rimasto per tutto il settecento e per la prima metà dell’ottocento, fino a quando cioè, nel 1866, fu restaurato e ingrandito grazie ad un generoso lascito elargito dall’avv. Francesco Bressan. “Una lapide, posta sulla 37 38
L. Morteani, Isola e i suoi statuti, AMSI, voll. III-IV, Parenzo 1887-1888, p. 184. Nel 1550 secondo il Naldini: “Dell’Hospitale poi per i poveri Pellegrini, o languenti aperto, nulla consta di certo circa il tempo della sua fondazione. Solo rilevasi da una scrittura di carattere Gotico, come nel mille cinque cento cinquanta l’entrate di questo pio Luoco s’incorporarono alla Confraternita del venerabile Sacramento, coll’obbligo preciso a questa di somministrargli secondo l’urgenze dei poveri concorrenti il necessario sovvenimento”. Corografia, cit., p. 363. Sembra tuttavia che tale data debba anticiparsi al 1538, secondo quanto di evince da una “parte” assunta dal Consiglio di Isola, della quale siamo in possesso del solo titolo: “1538 – Renoncia fatta per il Cons. o dell’Hospedal alla Scola del Sacratiss. mo Corpo del N. ro Sig. r”., in quanto citata nella “Tavola del secondo libro, nel quale si contien le parte del Conseglio e terminazioni delli Clar. mi Rettori di questa Terra d’Isola”. Allegata allo Statuto del 1360, v. Degrassi, Sau, Statuti del Comun d’Isola, cit., p. 363.
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facciata principale della Casa di ricovero, ricorda ai posteri la gratitudine degli Isolani verso sì generoso benefattore”39. Non siamo in grado di dire che fine abbia fatto tale lapide: se sia ancora presente da qualche parte o reperibile in qualche deposito.
La Scuola Come ricorda il Morteani Isola, pur essendo abitata quasi esclusivamente da pescatori ed agricoltori, ebbe sempre a cuore lo sviluppo degli studi e la comunità non mancò mai di utilizzare il pubblico denaro per coltivare l’istruzione dei propri figli e proteggere le arti restaurando ed abbellendo le proprie chiese. Riguardo all’istruzione a Isola, anche se non ci è stato tramandato alcun nome o elemento che possa comprovare l’esistenza di una qualche forma organizzata di istruzione prima nel 1400, tuttavia si può ritenere che essa, al pari di altre località istriane, debba esserci stata. Probabilmente essa non era praticata con continuità, probabilmente le sue finalità erano soprattutto religiose e confessionali, forse può essere che sia stata dedicata prevalentemente o solamente ai figli dei più abbienti, ma certamente non poteva mancare. È difficile pensare che una comunità, sia pure non molto grande, come quella d’Isola, ma comunque formata da un corpo di circa un migliaio di persone, che tuttavia aveva avuto la forza di ribellarsi alle regole feudali ed ergersi a libero comune, che era stata capace di realizzare, ben prima della sua dedizione a Venezia, un’organizzazione municipale codificata e ben definita mediante articolati Statuti, che aveva saputo individuare tra i suoi cittadini coloro che avrebbero occupato le posizioni preminenti, che avrebbero assicurato una corretta ed equilibrata gestione del potere e della cosa pubblica e che, in caso di necessità, avrebbero saputo organizzare la difesa cittadina verso l’esterno, come del resto era già più volte avvenuto, non avesse pensato ad incaricare qualcuno a fornire loro un minimo di cultura e di preparazione. Dopo la dedizione dal 1300 in poi sono i cancellieri pretorei che portano la cultura ad Isola; sono uomini dotti, provenienti da tutta l’Italia, che giungono qui al seguito del Podestà, del quale sono preziosi collaboratori. Particolarmente significativa per l’istruzione ad Isola è la data del 2 ottobre 1419, il giorno in cui il suo Consiglio decide di assumere e stipendiare a carico del Comune un maestro per l’educazione dei giovani isolani. 39
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L. Morteani, Isola e i suo statuti, AMSI, IV 1888, p. 212.
Non a caso il primo rettore ed insegnante è proprio un cancelliere pretoreo: Benedetto Astolfi. Da quella data sino all’ultima decade del 1700 tale scuola continuerà, ininterrotta, a funzionare e ad istruire gli adolescenti isolani e sulle sue cattedre si alterneranno decine di insegnanti, religiosi e laici, colti e prestigiosi, dei quali è giunta sino a noi, pressoché completa, la lista dei loro nomi ed alcuni di loro sono passati alla storia per la grande cultura e per le opere letterarie lasciate. Ma il valore di tale scuola e dei suoi insegnamenti è dato dall’insieme degli uomini illustri (quali il Coppo, l’Egidio, il Bonio, il Manzuoli, il Pesaro) che, pur nati ed educati in questo piccolo lembo di terra, hanno saputo illustrare la patria nelle scienze e nelle lettere. Si tratta tuttavia di una scuola, con corso di studi a livello medio inferiore, che non consente a chi li assolve di passare direttamente all’università, ma che comunque dà la possibilità di farlo dopo aver continuato gli studi o al Collegio dei Nobili oppure al Seminario, ambedue a Capodistria. All’inizio del 1700, come ricorda il Naldini, la scuola pubblica è situata nello stesso fabbricato dell’ospedale40 e si presume che colà vi sia rimasta fino all’istituzione delle nuove scuole inferiori e superiori istituite nel 1794 ad opera del canonico Antonio Pesaro e situate nei locali dell’ex convento dei Servi di Maria, adiacente alla chiesa di S. Caterina. Inizia così un periodo particolarmente felice per l’istituzione scolastica a Isola, dovuto all’intuizione ed all’impegno del canonico isolano Antonio Pesaro, che porta a far si che una sentita istanza municipale venga ad incrociarsi con altri eventi di orizzonte ben più ampio di quello cittadino, anzi di portata statuale, che tuttavia grazie alla consuetudine con l’ambiente nobiliare veneto e alla conoscenza della politica interna della Serenissima di cui il Pesaro era in possesso, riescono benignamente a convergere. Il canonico Pesaro sin dal suo ritorno ad Isola soffre nel vedere la scarsa cultura dei giovani isolani e le precarie condizioni della scuola locale, e sogna l’istituzione di una vera scuola, suddivisa fra elementare, media e ginnasiale, che offra ai giovani del paese un migliore apprendimento e maggiori opportunità di studio. Come si è visto la legge del 1768 decreta la soppressione degli organismi monastici con meno di dodici religiosi, fra i quali rientrano i due conventi cittadini; appare dai documenti che quello dei Servi di Maria nel 40
“Dell’Hospitale poi per i poveri Pellegrini, ò languenti …. . Nel recinto di questa fabbrica tiene il suo posto la scuola pubblica della Gioventù Isolana, che sotto la sollecita vigilanza d’un Precettore, per lo più Sacerdote secolare, dalla Comunità stipendiato, s’ammaestra nelle scienze humane, e Divine; poiche i più minuti accoppiando à rudimenti Grammaticali i Sacri dogmi del Vangelo, assistiti dal proprio Precettore, ne danno saggio di questi con le pubbliche dispute, tutte le Domeniche frà l’anno nella Chiesa Maggiore”. p. Naldini, Corografia, cit., pp. 363-364.
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1774 viene abbandonato dai monaci che si trasferiscono a Capodistria; viene nominato un procuratore che nel 1787 redige un inventario dei beni appartenenti al convento ormai vuoto e in disuso. Il Comune, sollecitato dal Pesaro chiede l’assegnazione dei beni dei due soppressi “Ospizi de’ Servi di Maria e de’ Minori Conventuali” da utilizzare quale patrimonio per l’istituzione delle pubbliche scuole. Contestualmente viene richiesta ai “Riformatori dello studio di Padova”, massima autorità scolastica della Repubblica41, l’approvazione dell’istituzione della scuola e del relativo piano di studi. Tale richiesta viene formulata in data 6 dicembre 1793 dai Sindici Mattio Lessi e Niccolò Drioli. L’impegno del Comune e le frequenti e sollecite visite a Venezia e a Padova del canonico Pesaro portano al risultato sperato; con decreti del 7 ed 11 giugno del 1794 il Senato veneto concede l’intero complesso monastico al Comune di Isola per adibirlo a sede di pubbliche scuole, approva altresì il piano di studi della scuola stessa come approvato dai “Riformatori dello studio di Padova”. Prontamente il segretario del Doge Ludovico Manin scrive al Podestà d’Isola Francesco Badoer annunciando le determinazioni adottate42. 41
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Suprema autorità scolastica della Repubblica erano i “Riformatori dello studio di Padova” che redavano i piani di studio delle scuole e che ricevevano i saggi finali degli allievi; nei loro piani di studio scopo principale era “l’istruzione della gioventù nella morale e nella religione con predominio di queste materie sulla cultura”. Però anche nella Repubblica qualcosa si muoveva. Nel 1773 Clemente XV decretava l’abolizione dell’Ordine dei Gesuiti; “La Repubblica, senza esitare, tolse ai Gesuiti ogni ingerenza nelle scuole (in definitiva le migliori erano tutte nelle loro mani, tenute su con gli stipendi dello Stato) ed incaricò Gaspare Gozzi di elaborare un nuovo piano di studi”. C. Cottone, Storia della scuola in Istria, Capodistria 1938, p. 51. Tuttavia i piani della scuola d’Isola non furono toccati dalla riforma Gozzi, in quanto in quel momento non ancora attuata. “Nobilibus et Sapientibus Viris Francisco M. a Baduario Potestati Insule, et Successoribus. Ludovicus Manin Dei Gratia Dux Ven. m Nob. bus, et Sap. bus Viris Fran. co M. a Badoer de suo Mandato Potestati Insularum, et Successoribus fid. bus dilectis salutem, et dilectionis affectum. Annesso vi si rimette in copia col Decreto di questa sera l’adottato Piano de Studi, che servir dovrà di norma ai tre Precettori nell’esercizio delle Pub. che Scuole dalla Paterna Pub. ca cura dietro le devote istanze del Sindico, e Giudici di cod. ta Com. tà istituite colle precedenti deliberazioni 7 del corrente, che pur in copia vi si accompagnano per lume. Vi incarica quindi il Senato di renderne immediatam. te intesi il Sind. co, e Giud. ci stessi loro, ingiungendo il preciso dovere di prestarsi all’esatta osservanza delle pub. che prescriz. i, ordinando a chi spetta i relativi registri a lume de’ vostri Successori. Data in nostro Ducali Palatio Die XI Junij Ind. e XII – MDCCXCIV. Piero Alberti Seg. o”. Da copia dell’Archivio vescovile di Capodistria.
Allegate alla lettera ci sono: copia della determinazione assunta dal Senato il giorno 11 giugno 179443; il Piano degli Studi approvato dai “Riformatori dello studio di Padova”44; l’estratto della proposta d’istituzione della scuola presentata dai Sindici d’Isola al Podestà di Capodistria, con le integrazioni decise dai Riformatori di Padova. Il Piano di studio indica che tre dovranno essere le classi ed ognuna dovrà avere un insegnante diverso che dovrà essere sacerdote e di provata capacità e probità, e l’insegnante dell’ultima classe avrà il titolo di Rettore; nelle tre scuole si insegnerà: nella prima la grammatica, nella seconda la retorica e nella terza la filosofia. Vengono quindi elencate dettagliatamente le materie d’insegnamento ed i testi da adottare per ciascuna classe, che comprendono l’italiano, il latino, la letteratura italiana e quella latina, l’aritmetica e la geometria, la storia e la geografia, le scienze, la logica, la retorica e la filosofia. Grande importanza riveste la formazione, la preparazione e la pratica religiosa e prescrive che: “La cura principale di detti Maestri sarà quella d’instruire la Gioventù nella soda morale, e nella Cattolica Religione e di diriggerla negli esercizi corrispondenti”. ed ampio spazio è dedicato allo studio del catechismo e della storia sacra, ed alla partecipazione alle funzioni religiose. Infine lascia al Colleggetto, destinato a presiedere la scuola, la definizione degli esami di fine anno, la discrezionalità nell’eventuale individuazione dei provvedimenti necessari 43
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“1794 – 11 Giugno Ind. ne. Con sollecita cura esaurendo il Mag. o de Riform. i dello Studio di Padova le Commissioni ingiuntegli dal Dec. o 7 del corr. presenta con l’anzidetta gradita Sen. Il conformato Piano de Studi per le Scuole instituite in Isola in Istria. Comprendente però esso Piano tutte le regole, e discipline necessarie tanto alla direzione dei Rettori, quando all’educazione di quei giovani, affinché istruiti nella Religione e nel Classificato Scolastico esercizio riuscir possano utili alla Società, ed al Governo, il Senato che lo riconosce analogo alle contemplate caritatevoli viste, lo avvalori con l’autorità sua, ed anima quindi le zelanti attente cure del Mag. to Ad accertarsi nei modi più addatti che li tre Precettori siano forniti di quelle facoltà, e dottrine che occorrono per ben corrispondere agli oggetti, che verranno loro rispettivamente appoggiati. Accogliendo in pari tempo il zelante consiglio di quei Cittadini, preferisce il Senato, che il Sindico e Giudici pro tempore di quella Com. tà debbano inalterabilmente produrre ogn’anno al Mag. to li dettagliati riscontri del progressivo andamento di dette Scuole per quelle ulteriori provvidenze che occorressero, al quel effetto rilasciare le opportune Comissioni al Reggente d’Isola e Successori. … Omissis … e delle Presenti sia data copia all’Ag. to Sopra Mon. i per le cause e per quell’attenta sopraveglianza che al zelo suo venne raccomandata colle Delib. ni 7 del cor. e”. Da copia dell’ Archivio vescovile di Capodistria. Il testo integrale dei documenti, già trascritti dal Morteani, in Isola e suoi statuti, è riportato in Appendice.
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al buon progresso della scuola e l’obbligo di relazionare annualmente ai Riformatori “sull’andamento di dette Scuole, onde poter assicurarsi che siano ben impiegate le publiche beneficenze, e che si verifichino a dovere le Sovrane intenzioni dell’Ecc. mo Senato nell’accordare, e proteggere questa Istituzione. Il terzo documento preliminarmente comunica che “in vece degl’implorati Beni dei due soppressi Ospizi de’ Servi di M. a e de’ Minori Conv. li” vengono accordati: trecento ducati annui per l’emolumento dei tre insegnanti, “l’Ospizio de’ Servi, la Chiesa, col circondario annesso per abitazione dei tre Maestri, e per l’uso della Scuola”, e duecento ducati per il restauro degli immobili; e quindi detta l’organizzazione e le regole alle quali dovrà essere improntata la gestione della scuola. Si sofferma sulle qualità richieste agli insegnanti e sui loro emolumenti, sulla durata dell’anno scolastico, sulla quantità ed orari delle lezioni nonchè sugli esami finali degli allievi, sulla disposizione delle classi e degli alloggi e sull’istituzione di una biblioteca ed un archivio nel quale conservare i documenti e copia degli esercizi e saggi degli studenti per eventuali verifiche45. Il 3 novembre 1794 iniziano le lezioni e la scuola riscuote ampio successo non solo tra la gioventù isolana, ma anche tra quella degli altri paesi dell’Istria che vengono ad assistere alle sue lezioni, tanto da fare una, sia pur limitata, concorrenza al Collegio dei Nobili di Capodistria. Il Ginnasio isolano cessa di esistere nel 1812, dopo la morte del suo fondatore e più strenuo difensore, e non sorgerà più ad Isola una scuola di studi ginnasiali che sia preliminare all’accesso al Liceo ed all’Università. Gli ultimi allievi che lo frequentano e che, con la loro opera, lo onorano, sono Giacomo e Pasquale Besenghi, il teologo Chiaro Vascotto, l’avv. Francesco Bressan ed il medico dott. Antonio Pesaro, nipote dell’omonimo canonico.
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L’organizzazione della scuola ed i suoi programmi sarebbero stati ben diversi se si fosse attuata la riforma preparata dal conte Gozzi ed avrebbe svecchiato la scuola in anticipo sui tempi. “Purtroppo l’Istria non ebbe il tempo e la fortuna di poter applicare questa riforma, che rende insigne il nome di Gaspare Gozzi nella storia della pedagogia”. C. Cottone, Storia della scuola in Istria da Augusto a Mussolini, Capodistria 1938, p. 51.
Decreto Dogale del 1580 con il quale si attribuisce al podestĂ di Capodistria il giudizio di secondo appello sulle sentenze criminali di Isola.
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Le Istituzioni civili Si intendono per Istituzioni civili quel complesso di organi cui sono demandati il governo cittadino, la regolamentazione e la gestione dei beni e delle attività pubbliche effettuati a favore di tutta la cittadinanza. Esse promanano e sono governate dai provvedimenti normativi che sono decisi e messi in atto dagli organi a ciò deputati e che sono in vigore al tempo considerato. Prima istituzione cittadina è il Comune, organismo territoriale autonomo costituito da un suo territorio, da una sua popolazione, cioè gli abitanti in esso residenti, dotato di una sua autonoma capacità normativa e di una serie di organi attraverso i quali esercita i suoi poteri e le sue attività a vantaggio e nei confronti dei suoi cittadini. Nel XVIII secolo, dal punto di vista del diritto pubblico Isola, già eretta a libero comune ancora in epoca medievale, è una delle 18 Podestarie che fanno parte della Provincia dell’Istria. La Provincia dell’Istria è, come il Dogato, lo Stato da Terra e lo Stato da Mar, una delle componenti territoriali della Serenissima, essa si colloca nell’ambito dello Stato veneto come un territorio con una connotazione giuridica del tutto particolare, diversa da quella di tutte le altre, con un regime giuridico più affine a quello del Dogado che a quello del resto dei domini, un rapporto con la Dominante che si può definire, in termini moderni, di tipo metropolitano, tanto da essere considerata quasi la periferia della capitale46. Tale particolarità, dovuta anche alla vicinanza ed alla relativa facilità di comunicazione, è connessa all’epoca in cui le varie città istriane cominciarono a passare sotto la Dominante, in particolare con i “patti di dedizione”, patti ai quali Venezia restò sempre rigorosamente fedele. Essa fu sempre molto rispettosa delle autonomie locali, rispettando 46
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Il Maranini, definisce la Repubblica veneta “in sostanza uno stato federativo, pur sotto l’egemonia della Dominante”. La Costituzione Veneziana dopo la Serrata del Maggior Consiglio. p. 495. In effetti la Repubblica si compone di vari “Territori” dotati di ampia autonomia, che si riscontra sia nei casi in cui il loro passaggio sotto la sovranità veneziana sia avvenuto per accordo negoziale, mediante gli “atti di dedizione” (come nel caso di gran parte dell’Istria), sia quando esso sia avvenuto per effetto di conquista (come nel caso di Padova, Vicenza e Verona). Parte della Repubblica erano: la Dominante, cioè Venezia la capitale; il Dogado, cioè l’esile striscia di terraferma che andava da Grado a Cavarzere (a Gradu usque ad Caput aggeris); lo Stato da Terra, cioè tutti i domini della Terraferma, (la Patria del Friuli, la Padovana, la Vicentina, la Veronese, la Bergamasca, la Bresciana, la Bellunese, il Feltrino, la Trevisana, il Polesine, la Cremasca, la Bassanese, Conegliano, la Bolognese e Salò con la Riviera Bresciana); lo Stato da Mar, comprendente tutti i possedimenti dell’Adriatico (la Dalmazia, l’Albania, l’Erzegovina, il Levante ossia le Isole greche); l’Istria, comprendente tutta la parte veneta della penisola.
ed incentivando l’autogoverno delle singole Terre. Gli Statuti che ogni comune si dava, quale norma fondamentale del governo locale, erano accettati ed assunti, senza imposizione alcuna, nel presupposto essenziale che ogni ambito territoriale sia l’artefice del proprio benessere e della propria fortuna. Dal punto di vista giuridico la Provincia sottostà alle norme in vigore nello Stato veneto ed ogni singola podestaria è governata dai propri Statuti. In linea generale, per quanto non contemplato negli Statuti, si fa riferimento al diritto veneziano e le disposizioni impartite dalla Dominante prevalgono sulle disposizioni statutarie47. Per quanto concerne l’amministrazione della giustizia sia in termini di diritto sostanziale (norme prescrittive) sia in termini di diritto processuale (norme procedurali) valgono le disposizioni contenute negli Statuti. Il diritto civile (relativo alle controversie patrimoniali, eredità, esecuzione dei contratti, ecc.) è interamente lasciato alle disposizioni statutarie, il diritto veneziano può venir invocato solamente come norma suppletiva destinata a correggere eventuali lacune statutarie; lo stesso avviene per la materia relativa alle regole di condotta inerenti alla vita civile del cittadini, l’attuale polizia urbana e rurale. La materia criminale (relativa ai delitti più gravi, alle uccisioni, ferimenti, fatti di sangue, banditismo, violenza, ecc., si può dire l’attuale diritto penale) è anch’essa regolata dagli Statuti e giudicata dal Podestà in primo grado; spetta al Podestà di Capodistria il giudizio in secondo appello e generalmente alla Quarantia al Criminal in ultima istanza. L’esecuzione delle sentenze spetta al Podestà, in caso di sua inerzia, a garantirne l’applicazione sia per il primo che per gli altri gradi di giudizio sono chiamati a vigilare gli organi superiori competenti. Il sistema tributario della Serenissima è molto complesso e articolato, le gravezze vanno distinte fra quelle imposte e prelevate a beneficio del governo centrale e quelle locali. Tre le prime la più importante, comune a tutto lo stato, è la decima, consistente nel prelievo del 10% di “ogni rendita (mobiliare o immobiliare), ogni industria, ogni professione, meno l’avvocatura”. Le gravezze comunali sono molte e varie e sono regolate statutariamente e con provvedimenti consigliari. L’esazione avviene generalmente mediante esattori che hanno in appalto la riscossione delle imposte; essi 47
“Sulle disposizioni degli statuti prevalevano le disposizioni impartite dalla Dominante, sia con parti (leggi formali), sia con terminazioni (provvedimenti regolamentari od ordini per singoli casi), tendenti a salvaguardare gli interessi veneziani al di là di ogni particolarismo municipale. Ciò avenne ovviamente in materia tributaria e frequentemente in materia di polizia dei boschi e di bonifica del territorio”. I. Cacciavillani, La Repubblica Serenissima, Padova 1985, p. 135.
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rispondono del “riscosso per il non riscosso” verso la Camera Fiscale per le imposte governative e verso il Comune per le imposte locali. A Isola, nel 1700, gli Statuti in vigore sono ancora quelli solennemente approvati nel 1360, i quali ricalcano, opportunamente modificati nelle parti in contrasto con il diritto veneto, quelli più antichi, risalenti a prima della sua dedizione a Venezia, avvenuta nel 1280. Nella sostanza, sono quindi ancora in vigore quasi tutte le sue prescrizioni originarie; solo alcune norme sono state modificate o da provvedimenti statali oppure da parti assunte dal Consiglio. Tra i cambiamenti apportati la modifica più significativa è quella del 1580 con la quale il Maggior Consiglio della Serenissima ha trasferito dalla Corte Ducale al Podestà di Capodistria, la competenza sull’esame di seconda istanza delle sentenze del Podestà di Isola sulle cause criminali48. Provvedimento questo del resto già reso esecutivo per la gran parte dei Comuni Istriani. Venendo poi agli organi del Comune ed alla sua organizzazione, questi sono trattati nel terzo libro degli Statuti “li Officiali et il loro Officio” come segue: 48
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Da Leggi Statutarie per il Buon Governo della Provincia dell’Istria. Raccolte da Lorenzo Paruta Podestà e Capitano di Capodistria. A. D. MDCCLVII. Libro Primo, pp. 33-34. “Sentenze Criminali d’Isola s’Appellino al Podestà di Capodistria. Data in Nostro Ducali Palat. Die XII Julii, Indictione VIII. MDLXXX. NICOLAUS DE PONTE Dei Gratia Dux Venetiarum &c. Nobilis, & Sapientis Viris Nicolao Donato de suo Mandato Potestati, & Capitaneo Justinopolis, & Successoribus fidelibus dilectis salutem, & dilectionis affectum. Significamus Vobis Die XXIV. Maii proxime praeteriti in Consilio Nostro Rogatorum, & Die XXIX praedicti Mensis in Nostro Majori Consilio captam fuisse Partem tenoris infrascripti, videlicet: Non essendo conveniente, che alli fedelissimi Nostri d’Isola, sia per l’incomodo del viaggio del Mare nel venir a Venezia, con molta spesa, e perdita di tempo intollerabile alla loro Povertà, interclusa, ed impedita la via di far conoscere li suoi gravami in Appello sopra le Sentenze de’ loro Rettori, come al presente avviene, si deve col mezzo della Grazia Nostra concedergli quell’onesto, e necessario suffraggio, che in caso simile è stato da Noi concesso a Cittanova, Umago, Valle, e ad altri Luoghi, e Comuni dell’Istria: però L’anderà Parte, che tutti li Proclami, Mandati, ed altri Atti delli Rettori Nostri d’Isola concernenti in qual si voglia modo l’interesse pubblico di quella Comunità, e parimenti tutti gli Atti de Particolari, Proclami, e Sentenze Criminali di pena pecuniaria, e corporale, con mutilazione anche de’ membri, o di Bando, etiam definitivo, o di Gallera di cinque anni in giù solamente, ed altri Atti simili Criminali, si devolvano tutti in Appellazione al Reggimento Nostro di Capodistria, senza trasferirsi il Pasinatico, il qual Reggimento debba, servatis servandis, amministrar ragion, e giustizia, risservata però sempre l’Autorità delli Avogadori Nostri di Comun, giusta la forma delle Leggi; e la presente Parte non s’intenda presa se non è similmente presa, ed approvata dal Nostro Maggior Conseglio. Quare auctoritate praedicti Consilii mandamus Vobis, ut supradictam Partem observetis, & inviolabiliter observari, & Cancellaria vestra registrari, praesentatique restituit faciatis. Caelius Magnus & C”.
Il Comune è costituito da un suo territorio i cui confini sono delimitati da cippi; la città è suddivisa in contrade, le vicinie, alle quali ogni cittadino deve essere associato, come pure gli abitanti delle altre parti del territorio, che sono raggruppati in vicinie rurali. La comunità isolana è suddivisa in cittadini e popolani, fra i cittadini primeggiano quelli che per diritto di nascita possono far parte del Consiglio maggiore. Al vertice di tutta l’organizzazione civile, amministrativa e giudiziaria del Comune c’è il Podestà che è nominato dal doge e resta in carica per sedici mesi, trascorsi i quali deve presentare, entro quindici giorni, il conto particolareggiato della sua gestione. Egli si consiglia, per tutti i problemi relativi al territorio amministrato, con gli esponenti locali, ma non è tenuto a seguire i loro consigli e le loro opinioni. Il Podestà rappresenta il Comune ed ordina di sua iniziativa o su richiesta, la convocazione delle riunioni del Maggior Consiglio e quella delle altre assemblee (Arengo e Minor Consiglio), ne stabilisce l’ordine del giorno e ne presiede i lavori. Quale capo dell’amministrazione comunale oltre a quanto già detto, egli ha il compito di sovrintendere agli uffici e di dare attuazione ai provvedimenti del Consiglio. Quale organo di giustizia, il Podestà giudica, assistito dai giudici, sulla base degli Statuti, nei processi di prima istanza sia civile che penale. Contro le sue sentenze è consentito appello rivolto al Podestà e Capitano di Capodistria; in eventuale terzo appello giudica il Senato veneto. Il governo del Comune spetta al Consiglio Maggiore, organo in mano alle famiglie dominanti, esso è titolare del potere legislativo e statutario. Non tutti i provvedimenti adottati dal Consiglio hanno la natura di legge ma alcuni sono degli atti amministrativi. Al Consiglio spetta pure l’elezione di quasi tutti gli ufficiali del Comune, mentre alcune altre nomine spettano direttamente al Podestà. I membri del Consiglio sono cento e se tale numero si riduce, per la morte di qualcuno, entro dieci giorni deve essere eletto il suo sostituto dal Consiglio stesso. Può essere eletto membro del Consiglio chiunque abbia compiuto i quindici anni ed il cui avo, o padre, o fratello, o zio, o figlio, o nipote, siano già stati membri del Consiglio. Il neoeletto deve giurare sul Vangelo che, per l’onore, il bene e l’utile di Isola, consiglierà il Podestà o il suo Vicario, in buona fede e senza frode, tutte le volte che ne sarà richiesto, e prenderà parte al Consiglio tutte le volte che sarà chiamato dal suono della campana posta sopra il palazzo comunale. In caso di assenza il Consigliere non può essere sostituito, né altro Consigliere può votare per lui.
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Tutti gli officiali sono eletti dal Consiglio, ed è stabilito che le persone legate loro da vincoli di parentela non possano lavorare nello stesso ufficio; tra di essi i principali sono quelli che ricoprono l’incarico di giudice, cancelliere, camerario, procuratore, giustiziario, stimatore, o altro. In genere restano in carica per quattro mesi e l’incarico non sembra declinabile. I Giudici hanno il compito di assistere il Podestà nell’amministrazione della giustizia; sono quattro e restano in carica per quattro mesi. Devono presentarsi tutte le mattine dal Podestà e non possono allontanarsi da Isola senza il suo permesso. A garanzia del giusto processo, oltre ai Giudici, sono presenti nei giudizi anche gli avvocati del Comune. Essi sono in numero di quattro e sono obbligati ad assistere tutti coloro che ne avessero bisogno; restano in carica per quattro mesi e non ricevono l’onorario dal Comune, ma sono compensati dalle parti. L’amministrazione del Comune è portata avanti da una serie di funzionari che assistono il Podestà e con lui collaborano nell’esercizio del potere esecutivo e giudiziario: il Cancelliere Pretoreo che è, allo stesso tempo, il suo segretario e notaio; due Cancellieri che lo assistono nei giudizi, tengono i verbali del Consiglio e tengono il libro sul quale vengono registrate tutte le entrate e le spese del Comune; due Camerari che tengono il conto, assieme al Podestà o suo Vicario, di tutte le entrate e spese del Comune, ricevono gli incassi ed effettuano i pagamenti su ordine del Podestà o suo Vicario. Importante ruolo svolgono i Procuratori del Comune che hanno il compito di salvaguardare i beni del Comune, in primo luogo misurare tutti i terreni di proprietà del Comune ed intavolarli nell’apposito Registro delli terreni di Comun; i Giustiziari, Giustizieri di Comun che sono preposti alla verifica delle attività commerciali, vigilano sul mercato, in particolare sul commercio e sui prezzi di carne, vino, olio, pane, frumento e biade, pesce, ecc., saggiano i pesi, le misure ed i recipienti, cui imprimono la bolla del Comune; gli Estimatori che hanno il compito di stimare il valore dei beni comunali e di quelli posti all’incanto, ed effettuare e dirigere le pubbliche aste; i Saltari o Guardiani delle campagne che sorvegliano i raccolti. Figure importanti nella gestione economica del Comune e dotate di una certa autonomia sono il Conduttore del Dazio ed il Fontegaro. Il Conduttore del Dazio ha l’obbligo di riscuotere i numerosi dazi posti, quale fonte di entrata per il bilancio comunale, sulla produzione locale, sopra molte merci in entrata ed uscita da Isola, nonché sulla vendita
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al minuto dei principali prodotti di uso comune49. Il Fontegaro di Comun, al quale spetta la gestione del Fondaco, quindi di amministrare e sorvegliare l’approvvigionamento e la vendita dei cereali; resta in carica per quattro mesi e non può essere riproposto allo stesso incarico nei sei mesi successivi. Alla fine dell’incarico rende conto della sua gestione ai suoi successori. Importante carica di garanzia sono i due Vicedomini che sono eletti in Consiglio e rimangono in carica per un anno. Essi conferiscono il valore di atto pubblico a tutti i documenti che registrano nei loro quaderni, nei quali vengono registrati tutti gli atti relativi a compravendite, donazioni, permute, livelli, divisioni, cessioni, pignoramenti, doti, matrimoni, inventari, testamenti, sentenze, arbitrati ed incanti. Conservano inoltre i libri dei Cancellieri, degli Estimatori, i testamenti ed i quaderni dei Notai, i sunti delle sentenze e gli elenchi dei testi. Come si vede ampie ed articolate sono le funzioni poste in capo al Podestà: di rappresentanza, esecutive e giurisdizionali, tutte comunque finalizzate ad una buona e sana gestione della cosa pubblica e ad un’equa ed imparziale amministrazione della giustizia. Per assicurare la sua totale indipendenza in modo da non compromettere la sua imparzialità di giudizio gli è precluso ogni vincolo di parentela, di amicizia e di interesse con dipendenti, che lo possa, in ogni modo, legare alla popolazione amministrata. Sia lui che i suoi familiari non possono acquistare beni in loco e non devono, in alcun modo, accettare doni, servizi, strenne, o prebende e neppure accettare inviti o invitare alla propria mensa qualsivoglia cittadino. Dura in carica sedici mesi, trascorsi i quali deve presentare, entro quindici giorni, il conto particolareggiato della sua gestione. Il Podestà viene generalmente scelto tra i membri della nobiltà veneziana, di quella più in vista per i Reggimenti più importanti, di quella decaduta, i cosiddetti barnabotti 50 per quelle meno importanti, come per la podestaria di Isola ed in genere di quelle della gran parte dei paesi istriani. Tuttavia è prassi normale avviare alla carriera politica i giovani rampol49
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Per memoria si ricordano i principali Dazi vigenti a Isola alla fine del 1700: “Dazio Beccaria, Dazio Frutti, Dazio Grassa dell’olio, Dazio del Pesce o del XII, Dazio Prima e seconda Osteria, Dazio Quattro misure del Vino, Dazio Tredici Ceste del Pane, Dazio Torchio vecchio, Dazio Torchio di Mezzo, Dazio Valle Pesce”. AST, AAI, B. 5, ff. 737-738; B. 6, f. 500. “Barnaboto; L’etimologia di questa voce, a’ tempi Veneti così comune, sembra indicare Abitante di S. Barnaba, ch’è una contrada di là del Canal grande, situazione anticamente abitata da povere persone. Fino agli ultimi tempi del Governo Veneto però licevasi barnaboto ad un Patrizio quand’era povero, e aveva bisogno di pubblici impieghi per vivere. E talvolta dicevasi Barnaboto ad un patrizio per ingiuria o disprezzo. Comunemente parlando, voleva dire Povero gentiluomo. G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia 1856, p. 65.
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li delle grandi famiglie patrizie mediante l’assegnazione di una podestaria minore, in modo che apprendano l’arte di ben governare51. Nella gran maggioranza dei casi il comportamento di questo rappresentate del potere centrale è corretto e rispettoso del ruolo e delle regole, tuttavia non mancano i casi in cui, vuoi per la ristrettezza retributiva, vuoi per le necessità familiari, vuoi per la rilassatezza dei costumi e per il desiderio di piaceri che, in special modo nel secolo vigente, la società gaudente e spensierata pratica, si siano verificati dei comportamenti non congruenti e che più di qualcuno di questi rettori si sia prestato a maneggi ed a pratiche poco corrette a danno della cittadinanza. D’altro canto è antico il detto istriano, cantando il quale viene salutato, alludendo alla sua ingordigia, il Podestà uscente alla fine del suo mandato: “Viva el Podestà novo perché el vecio gera un lovo”. In definitiva, considerato in termini moderni, si può dire che il Comune assomma in se, pur nella cornice legislativa veneta e con gli elementi di confusione dovuti ai tempi, tutti i poteri attribuiti ad un ente territoriale dotato di ampia autonomia, in parte anche legislativa e giurisdizionale, nell’ambito dei poteri originari facenti capo allo stato. Il Consiglio è titolare del potere legislativo ed esercita la funzione di indirizzo e controllo sul potere esecutivo, di cui è titolare il Podestà che lo esercita con l’ausilio della struttura formata dai vari organi amministrativi comunali, il potere giurisdizionale è anch’esso esercitato, almeno in prima istanza, dal Podestà con l’ausilio dei Giudici, i successivi gradi di giudizio che sono espletati a Capodistria e a Venezia costituiscono gli elementi di garanzia per un giusto processo.
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“Vi venivano inviati rappresentanti di solito molto giovani, accompagnati da qualche occhiuto funzionario esperto, che li consigliava ma anche ne scrutava le doti di governo riferendone riservatamente ai Dieci; numerose carriere politiche fortunate sono cominciate dalle rettorie istriane o da qualche sede minore della Terra Ferma”. I. Cacciavillani, Istria, in Stampa anastatica da Italia veneta Provincie d’Istria, Venezia 2003, p. 22
Il Fondaco Particolare rilevanza assume, nell’ambito dell’economia cittadina, quest’antica istituzione municipale per l’importante ruolo che svolge nell’approvvigionamento e distribuzione alla cittadinanza, a prezzi calmierati, di beni di prima necessità, quali grano e farina. È peraltro nota la carenza atavica di cereali nella regione dovuta alla cronica scarsità dei raccolti, situazione che nel ‘700, a causa delle inclementi annate agrarie, tende ancora a peggiorate, tanto da giungere, nell’ultimo quarto del secolo, ad una produzione annuale che riesce a soddisfare il fabbisogno della popolazione di appena un trimestre. “Nella regione l’approvvigionamento e la vendita del frumento ed altri cereali, come delle farine, era gestita quasi unicamente dai Fondaci, distribuiti in tutti i maggiori centri della penisola. In genere per favorire i Fondaci veniva vietata la vendita ai privati dei “grani”, ad eccezione dei periodi delle carestie. Quindi la produzione locale veniva consumata nella campagna dall’agricoltore o dal possidente, oppure veniva convogliata nel Fondaco comunale che pagava e forniva (prestava) le semenze che potevano essere restituite in natura o in denaro. L’istituzione del Fondaco aveva un grande rilievo anche dal punto di vista sociale ed era governato dal Collegio delle Biave, di cui in genere facevano parte i “notabili” delle varie comunità”52. Il Fontecaro è l’amministratore, il massimo organo del Fontego, al quale spetta la sua gestione, l’approvvigionamento e la vendita delle granaglie e delle farine; in qualche misura, fa carico a lui la definizione, in accordo e secondo gli indirizzi del Consiglio e del Podestà, di una parte rilevante della politica alimentare del Comune. Questa importante figura dell’economia cittadina trova la sua regolamentazione ad Isola già negli statuti del 1360 e probabilmente anche in quelli precedenti. L’importanza e la delicatezza della funzione dovute anche alla facoltà di spesa ed al maneggio di denaro pubblico, assieme ai temuti, e forse anche avvenuti, disordini ed illeciti nell’amministrazione, hanno tuttavia portato a numerosi provvedimenti statali e consiliari, che hanno modificato ed integrato tale funzione, ancora ben viva ed operante alla caduta della Repubblica e nei primi anni dell’800. Sono stati creati due Provveditori del fontico con il compito di cercare e provvedere, anche fuori Isola, all’acquisto dei frumenti, dando riscontro delle spese al fontecaro e al cancelliere del Comune; è stato creato il Collegio delle Biave che sovrintende alla politica ed alla gestione strategica del Fondaco e che approva 52.
E. Ivetic, Caratteri generali, ecc., cit., p. 119
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ogni singola spesa effettuata dal fontecaro, il quale deve rendere conto mensilmente della gestione dei denari in cassa, alla presenza del podestà, giudici e sindici; ed è gravato da ulteriori cautele ed incombenze53. La seconda metà del ‘700 è funestata da numerose annate contraddistinte da difficili condizioni atmosferiche (siccità e gelate) con raccolti particolarmente scarsi che costringono le autorità municipali di tutte le località istriane a richiedere allo Stato provvidenze e prestiti alimentari; lo Stato più volte interviene, tramite i Magistrati alle Biave, con la sovvenzioni di cereali, con l’obbligo di restituzione entro tre anni. Dagli esempi riportati dallo Ivetic risulta chiaramente quanto sia difficile per i paesi istriani rispettare i termini previsti per le restituzioni; tuttavia i dati relativi ad Isola, assieme a quelli di qualche altro paese, lasciano immaginare una sua minore difficoltà rispetto alla media degli altri paesi, che viene spiegata sia dalla disponibilità di altre entrate (sale, pesce, legname), sia da una più oculata gestione del Fondaco54. A conferma di ciò risulta che “nel 1771 il capitale vivo ascendeva a 55.690 lire, e siccome la somma era superiore alle annuali provviste, il capitano di Capodistria per impedirne le arbitrarie imprestazioni e l’utile privato ordinava che si spedissero in deposito al magistrato delle biave a Venezia lire 18.600”55. In Istria questa istituzione continuerà a svolgere il suo compito anche sotto il Governo Provvisorio austriaco, tuttavia alcuni suoi meccanismi non funzioneranno più con la dovuta precisione, innescando processi speculativi che porteranno il alcuni casi a perdite e dissesti, come rilevato nella relazione del Ragionato Revisore Cernivani in seguito all’ispezione effettuata sulla gestione del Fondaco di Capodistria nell’anno 180056. Perderà in seguito la sua importanza e sarà soppressa nel 1806 con il regime napoleonico.
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È ancora ben visibile a Isola l’edificio nel quale aveva sede il Fondaco, ed il suo nome è rimasto tale quale veniva allora chiamato, el fontego; è situato nella piazza del mandracchio, a lato del Municipio, di fronte al pilone con lo stendardo, si ritiene che al suo fianco, verso la piazza d’Alieto, fosse collocata la Loggia cittadina. L’edificio si compone di un fabbricato di tre piani con doppio arco al pianoterra, sulla sua facciata sono incastonate alcune lapidi gentilizie. È stato fabbricato nel 1451, sotto il podestà Maria Badoer ed ampliato nel 1642, sotto il podestà Luca Polani. E. Ivetic, op. cit., pp. 124-126. B. Benussi, Storia documentata di Rovigno, Trieste 1963, p. 173. AST, Atti Amministrativi dell’Istria, busta 49, ff. 1190 e segg.
Ceti ed organizzazione sociale Nel ‘700, come tradizionalmente avveniva per tutte le località della Repubblica veneta, anche la comunità di Isola presenta una struttura sociale suddivisa per ceto: il ceto dei nobili57, il ceto dei cittadini e quello dei popolani. Nobili sono gli appartenenti alle famiglie munite di titolo nobiliare, facenti parte o meno del Consiglio cittadino; cittadini sono gli appartenenti alle famiglie, ancorché non nobili, facenti parte o aventi diritto a far parte del Consiglio; tutti gli altri abitanti appartengono al ceto popolare. I nobili e i cittadini formano il ceto dei “notabili”, che di diritto fanno parte del Consiglio cittadino, i popolani, che pur rappresentano la quasi totalità della popolazione, non rivestono alcun ruolo politico nella vita comunale58. La differenza fra nobili e cittadini consiste solo nel fatto che i primi si fregiano di un titolo nobiliare e gli altri no. Quindi elemento discriminante nella suddivisine per ceti è il titolo nobiliare e l’appartenenza o meno al Consiglio cittadino, a questi fa da cornice il livello del censo, che si dimostra determinante sia per l’aggregazione al ceto dei notabili che, ed ancor più, per l’eventuale ulteriore passaggio a quello nobiliare. Nei documenti e nelle statistiche dell’epoca la popolazione viene raggruppata per ceto seguendo tale specificazione; singolarmente, nell’identificazione della persona o della famiglia, molto spesso si usa porre, accanto al nome, il ceto di appartenenza. Tale suddivisione viene rigorosamente rispettata anche nell’“Anagrafe” del 1766, dalla quale apprendiamo che a Isola, a quella data, su 446 famiglie per complessivi 2. 286 abitanti solamente 10 sono le famiglie dei cittadini e 2 quelle dei nobili, che assieme corrispondono al 2,7% del totale, contro il 97,3% di quelle dei popolani. Si nota che la presenza dei ceti popolari a Isola è sensibilmente superiore sia al valore medio di quelli presenti in tutta la popolazione dell’Istria veneta, nella quale essi rappresentano il 92,5% della popolazione, sia rispetto a quasi tutte località della penisola istriana nelle quali il ceto popolare risulta mediamente inferione. Anche ad Isola vivono famiglie di antico lignaggio che si fregiano di titolo nobiliare ma, nella stragrande maggioranza dei casi, la sua popola57
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“Nobile=Zentilomo=Gentiluomo: Nel tempo del Governo Veneto per Gentiluomo, detto assolut. s’intendevano i Patrizi Veneti. Patrizio: Dicevasi ne’ tempi Veneti assolutamente per Gentiluomo Veneziano: benché Patrizii si potessero dire i Nobili delle Città dello Stato che avevano consiglio chiuso”. G. Boerio, Dizionario, cit., a relative voci. E. Ivetic, Ceti sociali e famiglia in un centro urbano dell’istria veneta. Parenzo nel 1775, in Archivio veneto, 1996, p. 39.
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zione è formata da agricoltori, pescatori, artigiani e qualche commerciante; non si tratta di gente ricca, anzi nella maggior parte dei casi si tratta di gente che vive del proprio lavoro, lavora sodo e lotta per sbarcare il lunario; non mancano tuttavia alcuni benestanti con patrimoni di un certo rilievo. Storicamente sin dagli Statuti del 1360 è stabilito che il Consiglio cittadino sia formato da 100 uomini; si tratta di un Consiglio chiuso in quanto possono essere chiamati a farne parte solamente uomini, di legittima discendenza che abbiano avuto o un ascendente o un discendente in linea diretta, o almeno uno zio, che sia già stato membro del Consiglio stesso. La sua composizione di 100 uomini costituisce quantità sicuramente ragguardevole alle origini, su una popolazione totale che si può stimare, a quel tempo, probabilmente al di sotto delle mille anime, tanto è vero che nei primi secoli di vita del Consiglio le sue riunioni sono molto meno affollate ed i consiglieri presenti e votanti variano da venti a quaranta. Non è dato sapere se, durante il suo funzionamento, il mancato raggiungimento del numero dei consiglieri statutariamente prescritto sia dovuto alla volontà delle famiglie dominanti, restie ad allargare l’accesso al massimo organo del potere cittadino, oppure sia dovuto alla riottosità dei cittadini isolani ad assumere impegni pubblici. Due provvedimenti iscritti nel IV libro degli Statuti sembrano avallare questa seconda ipotesi. Con parte presa dal Consiglio, sotto il podestà Bernardo Faliero, il cui reggimento va collocato tra gli ultimi anni del 1300 ed i primi del 1400, viene concessa a tutti i cittadini isolani la possibilità di poter far parte del Consiglio semplicemente facendosi iscrivere nell’apposito registro del Comune59. Con determinazione consiliare assunta sotto il podestà Leonardo Zantani (1435-1436) viene stigmatizzata, come pericolosa per la vita stessa del Consiglio, la pessima abitudine dei cittadini aventi diritto al seggio, di non accettare la carica di consigliere, e viene deciso di comminare una pesante pena pecuniaria nei confronti di chi non accetterà l’incarico, seguita un anno dopo dalla proibizione all’interessato di abitare la Terra d’Isola60. 59
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Statuti. Libro IV. LXV. (Ognuno di Conseglio de disdotto anni in su debba venir nel Conseglio, e pigliar la sua Ballota, e farsi scriver nel registro del Comun.) Nel tempo del Sig.r Bernardo Falier fù presa parte, che ciascuno delli disdotto anni in su, che per l’avvenir sarà nato de legitimo Matrimonio, possa esser de Conseglio, debba venir nel Conseglio, et pigliar la sua ballota, siccome fanno gli altri, et farsi scriver nel registro del Comun de Isola secondo la consuetudine de qui à uno Mese prossimo venturo; altamente esso termine passato, non possino più venir in detto Conseglio, et di quello siano banditi con li Eredi in perpetuo, né li possi esser fatta gratia alli predetti contrafacienti. Et questa parte fù stridata nella piazza del Comun de Isola acciò a tutti sia nota. Degrassi, Sau, Statuti, cit., p. 316 Statuti. Libro IV. CXVIII. (Ciascuno del Conseglio non possa refudar sotto pena de lire cento.) Nel tempo del Regim. to del Sp. le, et E. gio S.r Leonardo Zentani.
Questi due provvedimenti fanno comprendere che il ceto “notabile”, a quel tempo poco numeroso giudica opportuno allargare la sua base e far condividere la gestione della cosa pubblica ad un gruppo di potere più ampio, pertanto adotta un provvedimento ad hoc, tendente ad allargare il numero delle famiglie “notabili”; logicamente non si tratta di una modifica statutaria in senso democratico, tendente cioè a modificare il meccanismo e la logica nella scelta dei consiglieri, ma di un mero tentativo di aumentare i partecipanti al potere; si può tuttavia immaginare che lo spirito di autoprotezione dei vecchi consiglieri avrà probabilmente previsto un meccanismo di selezione tra i candidati che ne garantisca il loro gradimento e la loro accettazione da parte dei vecchi consiglieri. Non ci è dato sapere se questi provvedimenti furono rigorosamente applicati e se con essi si ottene il risultato sperato, ne se nelle epoche successive furono ripetuti, certo è però che il Consiglio continuò ad esistere e ad operare, nel bene e nel male, fino alla caduta della Repubblica. Purtroppo non è possibile sapere come siano andate veramente le cose in seguito, in quanto i libri con le decisioni del Consiglio non ci sono pervenuti; quel poco che sappiamo lo apprendiamo dalle annotazioni scritte sul libro degli statuti. Certo è che nel ‘700 la composizione di tale organo si è talmente dilatata fino a comprendere, verso la fine del secolo, un numero cospicuo di componenti, tale da superare i centocinquanta membri. Conosciamo i nomi dei consiglieri in carica nel 1360 all’atto dell’approvazione degli statuti, conosciamo i nomi di qualche successiva aggregazione, ma solo questo o poco più. Delle epoche successive non ci sono pervenuti i libri ed i documenti originali del Consiglio e della sua composizione e dei provvedimenti presi, resta solo qualche scarso riferimento. Tuttavia da queste scarne notizie emergono i nomi delle famiglie “notabili” cittadine, qualcuna resta in vita per qualche generazione e poi si estingue, viene quindi rimpiazzata con altre, qualche altra dura nel tempo e resta in vita fino alla fine. In particolare per l’ultimo secolo di vita del Consiglio resta soltanto la lista degli ultimi consiglieri in carica nel 1797, alla caduta della repubblica, quindi all’atto del suo scioglimento.
Nel 1435 Ind. ne 13. a il dì veramente 26 del Mese di Maggio. Desiderando tutti del Cons.o de Isola secondo il costume solito cellebrato, che essendo introdotta una pessima consuetudine de refudar alcuni il Conseglio di questa Terra, dove che li Canc.ri di questo Conseglio volendo obstar de principio massimamente considerato questo, che essendo esso Conseglio al presente in poco numero, et che questa consuetudine in breve lo destruzerà, et senza dubbio lo redurrà in niente in singular arbitrio, et parimente detrimento di essa Terra. Per il presente editto, qual per l’avvenir debba tener, et valer. Il sopradetto giorno nel detto Conseglio secondo la consuetudine della Terra congregato per Consejeri n° 18, et in contrario n° 6 fù preso, et firmato, che se alcuno del detto Conseglio della Terra d’Isola, per l’avvenir in alcun modo presumerà renonciar, overo refuderà non voler esser del detto Conseglio, immediate senza alcuna remissione caschi alla pena, et paghi al Comun de Isola lire cento de picoli con questo anco, che de li à un’anno non possi in alcun modo habitar in essa Terra d’Isola. Degrassi, Sau, Statuti, cit., p. 333.
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Questi elementi, sia pure eterogenei consentono la ricostruzione della mappa dei detentori del potere locale e la costruzione del notabilato cittadino, ci sono dei nomi che si ripetono, che si ritrovano nei vari documenti, dando così la prova, con la loro frequenza, di appartenere alle famiglie più in vista; alle famiglie più impegnate nella gestione della cosa pubblica, ma anche alle famiglie più abbienti e che godono maggiormente dei benefici e dei privilegi connessi con le loro cariche e che, molto probabilmente, anche grazie a queste, hanno creato o aumentato le loro ricchezze ed il loro prestigio. Non sono molti i consiglieri che si fregiano anche del titolo nobiliare, anzi si può quasi dire che mancano del tutto, preferendo i nobili di antico lignaggio tenersi defilati dalle posizioni pubbliche più in vista ed influire sulle scelte istituzionali attraverso persone amiche oppure legate a loro da vincoli di pseudo affinità (quali testimoni matrimoniali, battesimali, ecc.) che in sostanza si concretizzano in una certa subordinatezza se non in vera e propria sudditanza. L’ultimo Consiglio61 ancora in carica nella fatidica data del 5 giugno 1797 risulta composto da ben 161 consiglieri, evidentemente la norma statutaria originaria che fissava in 100 il numero dei consiglieri deve essere stata modificata, probabilmente sia per effetto dell’aumento della popolazione sia per allargare la partecipazione a familiari o a persone emergenti e fidate. Questo documento ci permette di disegnare esattamente la lista dei “notabili” in carica alla fine del ‘700, essi appartengono nella grande maggioranza alle antiche famiglie originarie di Isola con qualche limitatissima aggiunta. Dai nomi emerge chiaramente che alcune famiglie sono rappresentate con numerosi loro appartenenti: padre con fratelli, figli e nipoti. Nel dettaglio: i de Lise sono 31, i Chico 29, i Perentin 23, i de Pase 21, i Russignan 13, i Drioli 12, i Moratto 11, i Carlin 11, gli Ugo 5, i Moratti 2, e poi Costanzo, Lessi, e Coletti con un consigliere. Come si vede mancano i Besenghi ed i conti Contesini Hettoreo, famiglie fregiate di antica nobiltà, come non ci sono ne Sebastian ed Alessandro d’Agostin, ne Antonio Vascotto ne Pietro Bettoso, riconosciuti con loro giuramento, dal Pievano della parrocchia d’Isola, il Canonico Mauro Ugo, tra i suoi parrocchiani “i Capi famiglia dei più Probi e Benestanti di questa Terra”, tanto da meritare l’inserimento tra i membri del Collegetto che dirigerà il nuovo ginnasio di Isola. 61
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L’elenco nominativo dei consiglieri ci è pervenuto a seguito della richiesta fatta dal Ces.o Reg.o Gov. dell’Istria alla Superiorità d’Isola, al fine di individuare se tra i rivoltosi del 5-6 giugno 1797 ci fosse stato anche qualche consigliere e quindi escluderlo da eventuale nuova elezione nel futuro Consiglio. AST, Governo provvisorio, Atti Amministrativi dell’Istria, busta 47, ff. 428-436.
C’è motivo comunque da ritenere che le tensioni sociali non mancassero a Isola durante tutto il ‘700 e neppure nei secoli precedenti. Tensioni fra quella parte della popolazione definita “benestante”, anche se ad Isola tale titolo poteva assumere una connotazione ben diversa da quella che essa aveva nelle città sue confinanti, Capodistria e Pirano, blasonata, opulenta e colta la prima e, ricca e intraprendente, la seconda. A quel tempo, per essere considerato “benestante” a Isola probabilmente è sufficiente possedere la casa e qualche campo in più degli altri e disporre di che vivere dignitosamente senza particolari ambasce. Le tensioni fra i “notabili” e gli altri cosiddetti “benestanti” sono causate da un lato dalla scarsa permeabilità del consiglio, saldamente in mano a quel pugno di famiglie citate e in esso esageratamente rappresentate, e dall’altro all’uso disinvolto che certamente viene fatto del potere, in termini di utilizzo dei benefici e dei privilegi, sia in termini di occupazione delle cariche pubbliche, teoricamente aperte a tutti i cittadini. Un altro terreno di tensione è dato, con certezza dal rapporto del “notabilato” con il resto della cittadinanza, i cosiddetti “popolani”, i quali pur costituendo, secondo le statistiche dell’epoca, oltre il 97% della popolazione contano molto poco, non sono e non si sentono rappresentati nei pubblici consessi, sono soggetti alle mille angherie (basti ricordare che quasi tutti gli obblighi statutari, fiscali e di leva, nonchè tutte le pene criminali possono essere sostituiti con l’oblazione in denaro) ed umiliazioni tipiche dell’epoca, lavorano molto e con grande fatica, ma vivono al limite della sussistenza; ciò si verifica nel caso dei lavoratori dipendenti ma anche nel caso dei piccoli proprietari62. I prodotti della terra e del mare, che sono il frutto del lavori degli agricoltori e dei pescatori, che costituiscono la quasi totalità questo ceto, quasi sempre non consentono una vita dignitosa, ma neanche sostenibile in quanto soggetti ad imposizioni fiscali ed 62
A Isola la proprietà della terra è molto diffusa fra gli agricoltori, quasi tutte le famiglie sono in possesso di una loro proprietà terriera, ma l’esiguità del territorio e la pratica diffusa della suddivisione della proprietà fra i vari eredi ha portato ad una estrema parcellizzazione della proprietà stessa, la quale è ulteriormente aggravata dall’uso invalso di suddividere e frammentare, fra gli eredi, ogni singolo appezzamento di terreno, per cui con l’aumento della popolazione e l’ampliamento delle famiglie ciascuna di esse si viene trovare si con una parte della proprietà originaria ma suddivisa in tanti fazzoletti di terra, talvolta anche molto distanti uno dall’altro con conseguente grande lavoro e fatica per la loro coltivazione e risultati, in termini di redditività, alquanto modesti.
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a regole di mercato assurde63, non più in linea con i tempi, che li mettono nella condizione di dover ricorrere al contrabbando per procurarsi i mezzi di sussistenza. Gli elementi di tensione citati sottintendono ad un malessere generalizzato che quasi sempre resta soffocato e si estrinseca, nel ceto più elevato, nel mugugno e nella disputa verbale o nel dispetto e nel rancore fra famiglie; ma talvolta, quando è il popolo ad essere più duramente toccato, sfocia in vere e proprie ribellioni, più o meno estese, coinvolgendo ambiti e persone che magari poco hanno a che fare con l’origine e la causa del malessere stesso. E così, come riporta Giacomo Besenghi64: “i disordini e gli ammutinamenti non si possono contare durante tutto il decimottavo secolo: le sassaiole al palazzo pretoreo e le malversazioni a danno dei parroci si ripetevano con una frequenza allarmante”. “Nel 1723 la rivolta contro il Podestà scagliando sassi nel Pubblico Palazzo; nel 1754 fu eletto parroco Giovanni Colomban da Pirano che rinunzio nel 1758 dopo aver sofferto ogni sorta di persecuzione; nel 1780 fu fatto vice parroco Giacomo Zago di Capodistria, il quale dopo aver sofferto di tutto morì e fu sepolto in santa Catterina; nel 1780 la rivoluzione popolare contro il podestà Antonio Contarini, scagliando sassi e fracassando tutte le finestre del pubblico palazzo, per cui venne il General di Palma con varie galere a formare il Processo65; nel 1797 la rivoluzione contro il podestà Niccolò Pizzamano ammazzandolo barbaramente e ferendolo ancor dopo morto”. Questi fatti, ancora prima della rivolta del 1797 contribuirono ad attribuire agli isolani la nomea di popolo irrequieto e violento, incline alla 63
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Tutti i prodotti devono essere portati a Venezia per essere venduti nella capitale, dove la gran massa di offerta dei singoli prodotti ne deprime i prezzi per effetto della concorrenza, ciò a tutto vantaggio per il compratore ed a svantaggio per il produttore; lo stesso vale per le esportazioni che anch’esse, prima di partire per le località di destinazione devono transitare per Venezia. D. Venturini, La famiglia del poeta, in p. Tedeschi, Nel centenario del natalizio di p. Besenghi degli Ughi, Capodistria 1899, p. 65. Il 4 aprile 1780 “il n. h. A. Contarini detto Casson, Podestà d’Isola, avendo ottenuto da S. E. F. Moro Podestà e Capitano di Capodistria birri e soldati ad oggetto di far pagare alcuni crediti al fontico, e per certi contrabbandi che supponeva esservi in alcune di quelle case, ed eseguite queste commissioni inutilmente da quei ministri, dimandarono al suddetto Podestà Contarini la staffa dei 25 ducati per l’esecuzioni fatte, S. Eccellenza li promise che se gli fermassero un uomo che era in Piazza li pagarebbe. Questi era un artigiano contro il quale si formava un processo per picciola zuffa incontrata. I birri lo fermarono; al fermo di costui ch’era ben amato dal popolo, il popolo si tumultò. Lo dimandò fuori perché ingiustamente fermato, non essendo ancora terminato il processo. Il Podestà resisteva, e sparò anche contro il popolo due pistolettate. Allora il popolo perduto ogni rispetto, assalì il Podestà nel suo Palazzo con tante sassate e sì infinite che gli fecero rendere il prigioniero, e fu colpito nel petto il Cancelliere”. Croniche di Rovigno dal 1760 al 1806, di p. Biancini, in A. M. S. I., vol. XXV, 1910, p. 20.
rissa ed alla rivolta, ciò senza analizzare ed approfondire le cause ed il contesto nel quale tali fatti fossero maturati. C’è infine il clero, raccolto in Capitolo, non numeroso, tanto da rappresentare, rispetto al numero degli abitanti, nella seconda metà del ‘700, il valore più basso fra tutti i paesi dell’Istria, ad Isola uno ogni 143 abitanti contro la media dell’Istria di uno ogni 82 abitanti. I dati dell’Anagrafe del 1766 portano 12 preti, 3 religiosi ed un chierico. In genere si tratta di un clero attento alle istanze della popolazione, proteso verso l’educazione dei giovani ed attento ai bisogni dei meno abbienti. Tuttavia “le vicende parrocchiali di Isola furono sempre tormentate, finchè restò in vigore il diritto di nomina popolare dei Canonici. Qui i partiti dividevano non solo il Clero ma tutto il gregge dei fedeli”66. Nel clero isolano del ‘700 svetta la figura del canonico Antonio Pesaro, insigne figura di educatore, fondatore e artefice della scuola superiore di Isola. *** *** *** Grosso modo così, come rappresentata nelle pagine precedenti, nella sua struttura fisica ed in quella istituzionale, si doveva presentare Isola nel 1700, in particolate nella seconda parte del secolo, nel momento in cui i grandi travolgimenti della storia moderna dovevano coinvolgerla in maniera drammatica. Mi auguro che la ricostruzione così delineata, in modo plausibile, sulla scorta dei documenti dell’epoca, aiuti, anche chi non conosce questo lembo di terra, a meglio comprenderlo ed a capire quanto è avvenuto.
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A. Apollonio, L’Istria veneta, cit., p. 105.
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La guerra Franco-Austriaca in Italia e in Istria I Francesi nel Veneto e a Trieste Il 17 febbraio 1796 il ministro francese Lallement annuncia la campagna militare in Italia. Gli Stati europei si coalizzano contro la Francia, ma la Repubblica di Venezia preferisce non partecipare alla coalizione ed opta per la neutralità disarmata. Si espone così all’ingresso nel suo territorio delle truppe belligeranti, sia francesi che austriache, che lo trasformano in campo di battaglia. Il 12 aprile 1796 l’Armata francese d’Italia comandata dal giovane generale Napoleone Bonaparte riporta in Liguria la sua prima vittoria sull’esercito austriaco. Incurante della proclamazione di neutralità disarmata da parte della Repubblica di Venezia, l’esercito francese entra nel Veneto, il primo di giugno occupa Verona e, prima della fine dell’anno, tutta la parte occidentale della regione. Il mancato rispetto della neutralità, la violazione della sovranità territoriale e la preoccupazione per l’avanzata delle truppe francesi spingono la Repubblica ad ordinare una leva straordinaria alla quale in Istria ed in Dalmazia si risponde sollecitamente inviando uomini e denaro. Le allarmanti notizie che giungono dalla terraferma spingono numerosi notabili e marinai istriani ad offrirsi volontari per la difesa della Repubblica. Il 29 febbraio 1797 il Direttorio ordina a Bonaparte di occupare il Friuli, la cui vittoria nella battaglia del Tagliamento (14 marzo 1797) apre la strada verso Gradisca, Gorizia, e quindi Vipacco e Postumia, in territorio austriaco. Il 23 marzo il generale di brigata Murat entra in Trieste alla testa di trenta ussari e sequestra tutto il denaro della cassa civica, ammontante a 21.000 franchi. Poco dopo arriva il generale Dugua con il resto delle truppe francesi; nel pomeriggio del 24 fa issare il tricolore francese sul Castello, sul Municipio e sulla Locanda Grande, ove era sceso. Il 26 viene piantato l”Albero della Liberta” al quale tutta la cittadinanza deve prestare giuramento di “obbedienza e fedeltà alla Repubblica francese una e indivisibile”. In un comunicato trilingue, francese, italiano e tedesco si ordina: la consegna di tutte le armi, che tutti i cittadini si fregino della coccarda nazionale francese, e che nulla si asporti dai magazzini ed arsenali austriaci, russi ed inglesi. Bonaparte informa le autorità comunali triestine, mediante
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l’agente militare Hamelin, di aver fissato in tre milioni di lire tornesi la contribuzione di guerra che Trieste è tenuta a versare: metà in denaro e metà in merci di vario genere67. Il 10 di aprile il generale Dugua, cui era pervenuto l’ordine da Bonaparte di portarsi a Klagenfurt con la propria truppa, lascia Trieste. Sempre per ordine di Bonaparte, ai reggimenti di Dugua subentrerà un reparto di truppa alle dipendenze del generale di divisione Bernadotte, comandante superiore della Contea di Gorizia e Gradisca e del distretto di Trieste68. Il 14 aprile l’esiguo presidio francese a Trieste viene attaccato da un drappello di ussari e circa 300 fanti croati rafforzati da un certo numero di contadini: lo sconfiggono a Cattinara ed entrano a Trieste, dove rimangono per alcuni giorni69. Cioè fino alla sera del giorno 17, data in cui “un reparto della divisione Bernadotte, comandato dal generale di brigata Friant, entrò, preceduto da un picchetto austriaco, a Trieste e la rioccupò, mentre le truppe austriache la lasciavano, dirigendosi verso Fiume”70. Il 17 aprile a Verona le arroganti provocazioni francesi messe in atto per giustificare l’annessione della città fanno scoppiare una violenta rivolta contro gli occupatori, nota come le “Pasque Veronesi”, alla quale partecipano le truppe schiavone della Dalmazia, le Cernide locali ed i contadini. Il 18 a Leoben, Bonaparte e Francesco I d’Austria, si accordano segretamente per la spartizione dei territori della Repubblica Serenissima71. 67 68 69 70 71
G. Quarantotti, Trieste e l’Istria napoleonica, Firenze 1954, pp. 50 e seg. . Ibidem, p. 56. Cuzzi-Rumici- Spazzali, Istria, Quarnero, Dalmazia, cit., pp. 8 e seg. . G. Quarantotti, op cit., p. 59. Preliminare di Leoben. Fatto al Castello di Eckenwald il 18 aprile 1797, 29 germinale, a. 5 d. Repubblica. Parte ufficiale: Art. VI. S. M. l’imperatore e re rinuncia a tutti i suoi diritti sulle province belgiche conosciute sotto il nome di Paesi Bassi austriaci, e riconosce i limiti della Francia stabiliti dalle leggi della Repubblica francese: tale rinuncia è fatta alle seguenti condizioni … Art. VII. La Repubblica francese per sua parte restituirà a S. M. imperiale quanto possiede degli stati ereditari della casa d’Austria, non compresi nelle province belgiche. Art. VIII. Le armate francesi sgombreranno, subito dopo la ratifica fatta da S. M. imperiale dei presenti articoli preliminari, le province austriache da essa occupate, cioè la Stiria, il Tirolo, la Carniola ed il Friuli. Parte segreta: Art. I. S. M. l’imperatore rinuncia alla parte de’ suoi stati in Italia al di là della destra dell’Oglio, e alla riva destra del Po, a condizione che S. M. imperiale sarà indennizzata di tale cessione, come di quelle fatte all’art. VI dei preliminari, con la parte della terraferma veneziana compresa tra l’Oglio, il Po, il mare Adriatico e gli stati ereditari, nonché con la Dalmazia e l’Istria veneziane; e per tale acquisto gli impegni contratti dalla Repubblica francese dinanzi a S. M. imperiale, coll’art. VI dei preliminari, restano soddisfatti. Art. II. … La parte degli stati della Repubblica di Venezia, compresa tra l’Adda, il Po, l’Oglio, la Valtellina ed il Tirolo apparterrà alla Repubblica francese.
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Sempre ad aprile, il giorno 20, il vascello francese “Liberateur d’Italie”, al comando del tenente di vascello Laugier, tenta di forzare l’ingresso al porto di Venezia nonostante i tiri di avvertimento sparati dai cannoni del forte di Sant’Andrea, e le segnalazioni che l’avvisano del decreto senatorio di chiusura del porto, già osservato anche dalle navi britanniche; va a “cozzare fieramente in una galeotta veneta comandata dal conte Alvise Viscovich da Perasto e montata da valorosi soldati Schiavoni, che irritati saltano sul legno francese ed in giusto combattimento uccidono il Laugier ed altri, e li avrebbero finiti sino all’ultimo, se non vi fossero accorsi in tempo alcuni ufficiali veneziani”72. La notizia del fatto giunge in Istria il 23 e provoca grande impressione, i rovignesi si mobilitano ed inviano a Venezia vascelli ed uomini in soccorso. Il 29 dello stesso mese Napoleone Bonaparte giunge a Trieste, rassicura la città e pratica uno sconto sui contributi di guerra; è cortese con tutti i notabili che lo vanno ad ossequiare, se la prende invece con il console veneto per le uccisioni dei soldati francesi avvenute a Verona ed al Lido di Venezia e poco diplomaticamente lo fa allontanare. Il primo di maggio, da Palmanova, Bonaparte predispone un manifesto di fuoco, con il quale attribuisce al Governo veneto tutta la responsabilità dei fatti di Verona e dell’affondamento del “Liberateur d’Italie”, enfatizzando ed in parte inventando un sacco di nefandezze. Questo manifesto che pur essendo tale, cioè semplicemente un manifesto, viene considerato dalle autorità venete quale una vera e propria dichiarazione di guerra, e sarà determinante nella decisione di abdicare da parte del Doge e del Governo aristocratico, impauriti dalle minacce in esso contenute. Ma in effetti esso “non pone ultimatum, è un manifesto pubblico col quale è ordinato di eliminare il Governo veneto dalla Terraferma, già di fatto occupata tutta, e di abbattere i Leoni di san Marco”73. 72 73
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Così da una cronaca riportata da G. Tomaz, Nel segno del leone, p. 33. L. Tomaz, op. cit., pp. 36-37. Ecco alcuni passi del manifesto. “Dal quartier generale di Palma Nova li 12 fiorile 1797, (1° maggio) Anno 5° della Repubblica francese una e indivisibile, Bonaparte general in capo dell’armata d’Italia. MANIFESTO Mentre l’armata francese trovavasi impegnata nelle gole della Stiria… ecco la condotta del Governo Veneto: I. Approfitta questi della settimana santa per mettere in armi 40.000 paesani, aggiungendo dieci reggimenti di schiavoni, si dispone di rompere ogni comunicazione fra l’armata e i pochi battaglioni rimasti in Italia … XI. Si suona a martello, e son tutt’i Francesi trucidati in Verona la seconda festa di Pasqua, non avendosi riguardo né agli ammalati negli spedali, né ai convalescenti che girano le contrade, molti de’ quali sono gittati nell’Adige, molti trucidati da replicati colpi di stilo: quattrocento e più Francesi ne rimangono sacrificati. … XV. Il Liberator dell’Italia, bastimento della Repubblica Francese, non avendo che tre o quattro piccoli pezzi, e soli quaranta uomini di equipaggio, viene mandato a picco nel porto stesso di Venezia, e per ordine del Senato… Il suo equipaggio si
A Venezia il 12 maggio, con un rituale che, pur nella sua grande drammaticità, rasenta il ridicolo, il Maggior Consiglio, impaurito e terrorizzato dal manifesto napoleonico, pur privo della maggioranza qualificata richiesta ed in un’atmosfera di confusione indescrivibile74, delibera l’abdicazione del Governo aristocratico a favore di una Municipalità provvisoria, che si impegna a costituire un parlamento di tutti i territori della Repubblica, mentre, per intimazione di Bonaparte, 12.000 Oltramarini75, pronti a combattere fino alla morte, vengono imbarcati e rispediti in Dalmazia. Il 15 maggio il doge, Ludovico Manin lascia il palazzo ducale, nella notte entrano a Venezia le truppe francesi. Il 16, ultimo proclama del doge che annuncia la costituzione della Municipalità provvisoria, mentre a Milano viene firmato il trattato di amicizia fra la Repubblica veneta e la Repubblica francese. Nella notte tra il 23 ed il 24 maggio 1797, sulla base degli accordi intervenuti, le truppe francesi lasciano Trieste. La maggior parte dei triestini, in festa per essere ritornati liberi, accorre in folla ad incontrare e festeggiare le truppe austriache che scendono in città da Basovizza76. Il 4 giugno viene proclamata a Venezia la festa nazionale, nella quale si festeggia la proclamazione della Municipalità provvisoria di Venezia, con danze intorno all’albero della Libertà eretto in piazza san Marco, si bruciano il Libro d’oro della nobiltà e le insegne dogali. Ma nessuno ancora sa degli accordi di Leoben, non lo sanno nemmeno i delegati che, il 16 maggio, avevano firmato a Milano il trattato di amicizia fra le due Repubbliche; tali patti saranno resi noti e di pubblico dominio soltanto in ottobre77.
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getta a nuoto, inseguito da sei scialuppe con truppe assoldate dalla Repubblica di Venezia, che a colpi di alabarda uccidono molti che cercano salvamento in alto mare. … … In vista dei mali sopra esposti, autorizzato dal titolo 12, articolo 128 della Costituzione della Repubblica, … il generale in capo commette al ministro di Francia presso la Repubblica di Venezia di partire dalla città; … che sia sgomberata la Lombardia e Terraferma Veneta dagli agenti della Repubblica stessa. Comanda ai diversi generali di divisione di trattar quali nemici le truppe venete, e di far atterrare in tutte le città della Terraferma il Leone di san Marco. BUONAPARTE A. Zorzi, La Repubblica del Leone, Milano 1979, p. 522 e seg. “L’Infanteria Oltremarina, è un corpo ufficiale e fidatissimo della Repubblica, formato da soldati schiavoni, comandato da ufficialità dalmata costiera uscita dal Militar Collegio di Zara”. L. Tomaz, Dalla parte del Leone, Venezia 1998, pp. 24 e 32. G. Quarantotto, op. cit., pp. 64-65”.Ma prima della loro partenza da Trieste, non avevano i Francesi fatto a meno, riferiva a Venezia il Console della Serenissima, di consegnare al negoziante Jacquet e a due altri loro fidi l’importo di fiorini duemila, per recare a spargere in codesta Dominante Serenissima, od in luoghi altri del Serenissimo Dominio dei biglietti, forse stampati, sediziosi e di stimolo a rivolta. Come tutto fa supporre, sarà stato particolarmente nell’Istria marittima, e fors’anche in Dalmazia, che si sarà voluto dai Francesi appoggiare (o, meglio, a seguitar ad appoggiare) a quel modo la propaganda rivoluzionaria e democratica”. “L’amara burla, resa pubblica soltanto in ottobre, dopo la firma del trattato definitivo tra Bonaparte e gli Absburgo, coronava una situazione di fatto che aveva
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Alfredo Tominz: Ingresso di Napoleone a Trieste.
già reso la Repubblica democratica veneta praticamente inesistente. L’imperatore aveva occupato Istria e Dalmazia, l’amica Francia si era impossessata delle isole Jonie”. A. Zorzi, Venezia austriaca, Bari 1985, p. 20.
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I Francesi in Istria e a Isola Il susseguirsi degli avvenimenti collegati alla campagna francese in Italia e quanto avveniva sul teatro di guerra è seguito con trepidazione dai sudditi veneti dell’Istria e della Dalmazia. E con un’apprensione ancora maggiore sono accolte le notizie che giungono sui fatti del Veneto e di Venezia, che diventano via via preoccupazione sempre più grande man mano che il teatro di guerra ed i francesi si avvicinano ai territori istriani. L’eco delle crudeltà e delle prepotenze francesi, sempre più vicine e di prima mano, accompagnate dal clima di incapacità e impotenza che traspare dal comportamento del governo veneto, vengono percepiti da tutti gli strati della popolazione che guarda al futuro con un senso di angoscia e di ineluttabile tragicità. Da sempre ogni fatto che toccava la Repubblica portava le popolazioni istriane ad una loro reazione autonoma, istintiva ed indipendente, sempre però votata alla difesa dei principi e dell’ordine che per oltre cinque secoli aveva governato i rapporti dello Stato veneto con l’Istria e con le sue comunità. La cura che il Governo veneto aveva posto nell’impedire la penetrazione in Istria dei propagandisti francesi delle dottrine rivoluzionarie e democratiche, assieme alla conclamata fedeltà degli istriani di ogni ceto alla Repubblica di Venezia, cementata da 500 anni di leale impegno e collaborazione, spiegano la dolorosa sorpresa e l’ardente devozione alla crollante Repubblica manifestata dagli istriani nell’approssimarsi della guerra (fra Francia ed Austria) al territorio veneto. Sin dal maggio e dal giugno del 1796, quando il podestà e capitano di Capodistria Michiel ordina più volte le cernide e la leva di mare i giovani istriani rispondono positivamente, ed inoltre 150 volontari rovignesi, sono pronti ad accorrere, con le loro barche, a Venezia “per farle scudo di esse e dei loro petti”. Tra il luglio del 1796 e il marzo del 1797 nulla di particolarmente notevole accade nell’Istria veneta, tranne un certo andirivieni di navi da guerra venete, francesi e austriache lungo le sue coste. Le preoccupazioni aumentano quando, nella terza decade del marzo 1797, cominciano ad affluire per mare e per terra nelle città marittime istriane, numerosi triestini, per lo più donne e bambini, fuggiaschi dalla loro città, nell’imminente sua occupazione da parte dell’esercito francese78. La cosa 78
“… vennero chiuse tutte le botteghe, moltissimi di ogni ceto e condizione si diedero ad una precipitosa fuga, molti per terra verso Fiume, altri per mare, senza sapere nemmeno il destino, ov’erano diretti, portando seco il meglio delle loro sostanze: Vi furono delle donnicciole che condussero la loro gatta, ed altre fin la cenere del focolaio. Le vicine terre e città dell’Istria, Muggia, Capodistria, Isola, Pirano furono in un baleno piene di gente emigrata da Trieste; di maniera che occuparono tutte le abitazioni, con loro grave, e dispendioso incomodo”. G. Mainati, Croniche ossia Memorie sacre e profane di Trieste, vol. V, Trieste 1818, p. 113.
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desta apprensione nel nuovo podestà e capitano di Capodistria Francesco Almorò Balbi che, temendo rappresaglie da parte dei francesi invia una circolare agli altri rappresentanti veneti della regione esortandoli “all’uso di quella prudenza che si rende necessaria nelle fatalissime circostanze presenti, onde il nostro esempio abbia a servire di norma a’ sudditi ad esser fedeli, ed attaccati al pubblico naturale Sovrano”79. Tra la fine di marzo ed i primi giorni di aprile, molti dei fuggiaschi triestini, rassicurati dal contegno corretto delle truppe di Dugua, lasciano l’Istria e fanno ritorno a Trieste80. I francesi non mancano di violare più volte il confine veneto istriano, come quando, “da Trieste occupata, un drappello di cavalleria francese guidato da due ufficiali, entra a scopo esplorativo nell’Istria veneta ai primi di aprile, come del resto, vi era già penetrato, tempo prima, allo stesso fine un distaccamento austriaco, e a Capodistria un soldato francese fu aggredito e ucciso di notte, a scopo di rapina, da uno spadaccino della Ferma del Tabacco, dopo una baldoria comune”81. Ben più gravi sono le violazioni che commettono i militari francesi, attraversando più volte il confine, con un reparto di cavalleria, per effettuare nelle città venete di Muggia, Capodistria, Isola, Pirano e Umago requisizioni di generi alimentari, biade e legnami e per esigere contributi di guerra a danno delle loro popolazioni82. Violazioni che aumentano sensibilmente lungo tutto il mese di maggio con numerose incursioni in Istria da parte dei soldati francesi, ancor più bisognosi di mezzi di sussistenza, dopo che era giunto a Trieste il generale austriaco conte Massimiliano Merveldt per curare che vi fossero applicate le clausole militari contenute nei preliminari di Leoben, comprendente la clausola che, dopo la firma dell’accordo, i Francesi si astenessero da nuove requisizioni in città; inoltre un grosso corpo di truppe francesi, reduce dai paesi alpini dell’Austria si era nel frattempo acquartierato per alcuni giorni a Trieste83. Anche Isola subisce le attenzioni dei militari francesi e dal 15 al 23 maggio è oggetto di numerose visite e requisizioni, durante le quali viene requisito, a più riprese, soltanto del fieno, per un valore complessivo di £. 79 80 81 82
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G. Quarantotti, op. cit., p. 8. Ibidem, p. 55. Ibidem, p. 9. Come si apprende dalla corrispondenza intercorsa nel mese di luglio 1797 fra le varie comunità interessate ed il Consigliere di Governo Filippo di Roth, le requisizioni francesi in Istria vennero effettuale nella seconda metà del mese di maggio, furono confiscati: buoi, avene, farine, fieno e legna. Le località coinvolte nelle requisizioni furono: Capodistria per £. 14. 310, Pirano per £. 4. 634, Umago per £. 2. 636, Isola per £. 1. 788, Muggia per £. 1. 361, per un totale di £. 24. 729. AST, Atti Amministrativi dell’Istria, B 1, f. 303. G. Quarantotti, op. cit., p. 63.
1.788. Ad ogni prelievo viene rilasciata regolare ricevuta intestata all’Armata d’Italia – Divisione Bernadotte, nella quale vengono riportati: il motivo della requisizione, il materiale requisito, la sua quantità, la località ed il nome e cognome del proprietario, la data e firma dell’ufficiale che procede alla requisizione84. Le requisizioni interessarono, ad Isola, solamente nove agricoltori o piccoli possidenti, ciascuno per una quantità diversa, variabile dai 10 ai 40 quintali; essi furono: Pietro de Grassi fu Giovanni, Almerigo Parma, Domenico Civran, Tomaso de Lise, Marco Perentin, Francesco Chico, Niccolò de Grassi, Giovanni Castro ed il Nobile Signor Besengo. Dopo l’occupazione austriaca dell’Istria il problema del danno subito dalle popolazioni rivierasche tornò d’attualità ed il Governo, probabilmente sollecitato dalle Comunità che avevano subito i danni, dopo qualche mese dal suo insediamento mise mano alla questione con l’intento di concluderla con una soluzione equa e definitiva. Purtroppo la vicenda non si risolse subito, ma si trascinò lungamente, e ci vollero degli anni per concluderla in quanto alcune comunità contestavano i criteri adottati nella ripartizione delle spese e non volevano pagare le quote a loro carico. Poco si sa di quali fossero in Istria, in Dalmazia e nei territori veneti d’oltremare gli effetti conseguenti a quanto stava avvenendo Venezia, di quali informazioni fossero fornite le autorità locali, se ufficiali o meno e 84
AST, AAI, B. 1, f. 292. “Nota di fieno dovuto somministrarsi dà questa Com. tà di Isola in ord. e a Lettere dell’ex Pod. à Cap. o di Capod. a; giuste ricevute dell’Agente Hamelin Division Gen. Bernadotte nel Quartier Generale in Trieste e di Spese occorse per la Condotta dei medesimi come segue. pp. Fieno Pietro de Grassi q.m Z. ne tt. e 1. 917 £ 115,2 Almerigo Parma tt. e 1. 377 £ 82,12 Dom. co Civran tt. e 1. 113 £ 66,15 Tomaso de Lise tt. e 3. 312 £ 192,15 Marco Perentin tt. e 3. 942 £ 236,7 Fran. co Chico tt. e 2. 400 £ 144, Nob. S. n Besengo tt. e 2. 436 £ 180, Niccolò de Grassi tt. e 3. 940 £ 235,11 Z. ne Castro tt. e 3. 200 £ 180, pp. Polizza a Giugno al Com. n £ 6, pp. Bollettini e Mandati £ 21,12 pp. pagati al S. n Sindico £ 154, pp. simili ad sud. ti £ 86,2 pp. Polizza 20 maggio £ 12, pp. Polizza 3 Giugno £ 15, pp. detta 2 detto £ 25, pp. simile 14 detto £ 12, --------------------- Summa £ 1. 788, 3 Io D. co Costanzo ProvD.r Scontro di questo Fontico ho tratto la pre. te nota dalla Polizza de rispettivi Creditori li quali vennero soddisfatti col denaro della Cassa Fontico, in ord. e alla Lettera enunciante del ex Pod. à e Cap. o di Capod. a”. Sulla vicenda delle requisizioni vedi: Appendice n. 1.
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Ricevuta emessa dai militari francesi della Divisione Bernadotte nel maggio del 1797 per la requisizione di fieno fatta ad Isola a danno di Antonio Degrassi. (Archivio di Stato, Trieste)
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con quali frequenze e ritardi; di come venissero informati cittadini, di quali fossero le reazioni ed i dibattiti conseguenti. Ma quale era la situazione in Istria ed a Isola in particolare? Di certo si può ritenere che le informazioni, ufficiali e non ufficiali, circolassero con una certa frequenza e regolarità e, considerati i tempi, anche abbastanza celermente. La via del mare è sempre la più veloce, forse anche la più sicura. Con vento a favore in buona stagione in 5-6 ore di navigazione si può arrivare dall’Istria a Venezia e viceversa. In mancanza di fonti ufficiali ci soccorrono quelle private e di natura personale. Durante il breve ma travagliato periodo che intercorre tra la fatidica data della caduta della Repubblica e quella dei vari moti popolari e quindi dell’occupazione austriaca, rileviamo dalle cronache del Biancini che, già il giorno dopo la sua proclamazione, giunge a Rovigno la notizia della costituzione della Municipalità veneziana e, così pure, dell’entrata dei francesi a Venezia, quindi lo stesso sarà avvenuto anche per le città della costa orientale. Ma come vengono prese queste notizie? Quali le reazioni della gente? Ed i vari podestà o rettori si considerano ancora rappresentanti dello Stato? Di uno Stato diverso che non era più quello che li aveva nominati e che loro rappresentavano? Ed erano d’accordo di rappresentare uno Stato con principi tanto diversi? Quali erano le opinioni in merito dei vari ceti? Si formavano vari partiti o fazioni? Sorsero dissidi intercetuali? Come si vede, tanti sono i quesiti cui non è facile rispondere. A Venezia, il 17 maggio, la Municipalità provvisoria si presenta con un manifesto in calce al quale sono scritti tutti i nomi dei nuovi governanti, sono sessanta dei quali dodici patrizi. La Municipalità annuncia solennemente all’Europa intera […] la riforma libera e franca attuata dal governo veneto, per la quale rendeva pubbliche grazie ai patrizi che, facendo il glorioso sagrifizio dei loro titoli, avevano inteso vedere i figli tutti della patria […] eguali e liberi, godere, nel seno della fratellanza i benefizi della democrazia. La Municipalità è convinta di rappresentare ancora lo stato veneto, uno stato nuovo, riformato, non sospetta nemmeno il terribile inganno perpetrato da Bonaparte, ma s’illude ancora di rappresentare se non tutta almeno una buona parte dell’ex Repubblica veneta. È pur vero che i nuovi governanti avranno nutrito più che un sospetto, una certezza, che poco c’era da sperare sulla volontà delle città della terraferma di riconoscere la supremazia di Venezia; esse ormai avevano già per loro conto costituito le loro Municipalità indipendenti ed avevano vissuto la vicenda come un atto di liberazione da un giogo. Infatti subito dopo l’ingresso dei francesi nelle varie città, il popolo si era dato ad una sistematica distruzione dei simboli della Serenissima. Tuttavia, non tutto era perduto! Restavano l’Istria, la Dalmazia ed il resto d’oltremare, che costituivano l’altra sponda della Repubblica.
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L’Istria in particolare, fedelissima, definita da Venezia, il nostro occhio destro e la nostra mano destra, che con le sue città, ancora pochi giorni prima della caduta della Serenissima aveva voluto esternare la propria fede dichiarandosi pronta a sacrificarsi, in termini di mezzi e di uomini, fino all’ultima goccia di sangue per il suo salvataggio85. Ed è verso l’Istria e la Dalmazia che guarda il nuovo Governo, forte dell’accordo di amicizia sottoscritto a Milano, ed ancora illuso di poter dar vita ad una realtà statuale indipendente, cercando di salvare il salvabile, almeno dalla parte del mare, visto che la parte di terra era da considerarsi ormai perduta86. In Istria, in brevissimo tempo, si viene a conoscenza di tutto ciò che succede a Venezia, ne sono testimonianza i documenti ufficiali e le “cronache” del Biancini, che sono molto puntuali in questo periodo87. A maggior ragione altrettanto note erano le cose a Capodistria, la capitale della provincia. E possiamo arguire che anche ad Isola le autorità, i maggiorenti ed in buona parte anche il popolo fossero informati. Non ci sono pervenuti documenti scritti o testimonianze su come fossero vissuti questi avvenimenti dalla popolazione isolana e come si siano mossi gli appartenenti ai vari ceti nel lasso di tempo che va dal 12 aprile data della caduta della Repubblica, al fatidico 5 giugno, giorno dell’inizio della rivolta isolana; dobbiamo immaginarlo e desumerlo dagli elementi successivamente emersi in occasione della sommossa e dagli atti del processo. 85 86
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V. Appendice: Delib. del Consiglio di Capodistria del 23 aprile; invio a Venezia delle barche da Rovigno 19-23 aprile; lettera delle popolazioni del Carso, ecc. V. Il diritto d’Italia su Trieste e l’Istria, cit. pp. 1-5. Dal Manifesto del 16 maggio 1797; Venezia”. Il Governo veneto” persuaso dell’intenzione dei Francesi di accrescere la potenza e la felicità del Veneto Popolo associando la sua sorte a quella de’ popoli liberi d’Italia”, delibera l’abdicazione della nobiltà e concentra l’amministrazione della capitale nella Municipalità, dando vita insieme ad “un’altra amministrazione centrale composta di rappresentanti della Municipalità e di un numero proporzionato di rappresentanti delle Province Venete della Terraferma, Istria, Dalmazia, Albania ed Isole del Levante”. Sotto il nome di Dipartimento questa nuova istituzione doveva “invigilare agli interessi generali della Repubblica e consolidare i legami di patriottismo tra le Provincie e la Capitale, solo mezzo di rendere a questa Repubblica il prisco splendore e la sua antica libertà”. In “Carte pubbliche stampate ed esposte ne’ luoghi più frequentati nella Città di Venezia dal 13 al 17 maggio 1797 e ristampate a spese del cittadino Giovanni Zatta”. (Speciali deputazioni inviarono allora a Venezia le Comunità di Pirano, Umago, Parenzo, Montona, Rovigno, ecc. V. “Monitore Veneto” del giugno 1797). Da Il diritto d’Italia su Trieste e l’Istria. Documenti., F. lli Bocca Milano-Torino-Roma 1915, pp. 7-8. Vedi Appendice: 1) Indicazione su come costituire la Municipalità a Rovigno. 2) La Municipalità di Venezia al Cittadino Dolfin ex Veneto Rappresentante in Raspo. 3) Cronache del Biancini per l’anno 1797. V. Croniche di Rovigno di A. Biancini, in AMSI, 1909, pp. 123 e seguenti.
L’antico municipio di Isola in un’immagine della fine dell’Ottocento.
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La rivolta di Isola I fatti Sui fatti d’Isola del 1797, fino agli anni ‘50 del novecento, cioè fino al riordino delle carte del Governo provvisorio austriaco dell’Istria (1797-1805), poco si sapeva, c’era stato qualche scarno cenno ricavato dalla memorialistica di qualche personaggio, qualche brevissimo cenno sui giornali locali, ma quasi niente di più; si conoscevano i nomi degli assassini, si sapeva, solamente in termini generici, che la rivolta era scoppiata a seguito della presa di coscienza da parte del popolo della caduta della Repubblica e dal fatto che la prossima venuta dell’Austria sarebbe stata propiziata dai notabili isolani, in particolare dal veneto rettore, il podestà Niccolò Pizzamano. Molto di più si cominciò a sapere dopo l’esame approfondito che Giovanni Quarantotti fece delle carte relative agli Atti amministrativi del Governo provvisorio dell’Istria, custoditi nell’Archivio di Stato di Trieste, fra le quali furono pure rinvenute le sentenze originali dei processi celebrati dalle Autorità austriache contro i responsabili dei moti di Isola e di Capodistria. Si dice che due cittadini di Capodistria avessero portato a Isola la notizia “che il ceto nobile, d’intesa col podestà veneto, abbia prestate le mani per fare a brani il secolare governo della Serenissima. In un baleno la piazza maggiore rigurgita di gente armata. I pescatori sono in maggioranza. Sventola il vessillo di San Marco. Il popolo, tremendamente concitato, vuole il sangue; e si grida ad una voce: Morte ai traditori”88! Di certo, anche a Isola, tutti erano gia sufficientemente informati dell’avvenuta abdicazione del doge e della costituzione a Venezia della Municipalità e, durante i 25 giorni trascorsi da quella data, non sarà mancato il dibattito, neanche a Isola, sulle informazioni che giungevano dalla capitale e su quanto si stava facendo o si pensava di fare negli altri paesi dell’Istria veneta, a cominciare da Capodistria. Certamente non saranno mancate le fazioni contrapposte, i partiti o i partigiani delle due possibilità più accreditate: la subordinazione ai Francesi con la costituzione della Municipalità e l’allargamento in termini più democratici del Consiglio cittadino oppure la subordinazione agli Austriaci con il passaggio della regione alla casa imperiale. Qualunque fosse stata la scelta di certo poco avrebbero potuto influire sulla stessa le autorità cittadine in quanto essa sarebbe stata 88
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Così, un po’ enfaticamente, D. Venturini presenta l’inizio della rivolta d’Isola. In Vicende storiche della pubblica istruzione a Isola, Trieste 1900, p. 20.
decisa in ben altre sedi. Tutto questo rende poco credibile la storia che quell’informazione appena portata possa, da sola ed in modo così repentino, aver provocato un moto di popolo così violento e così esteso. Ecco la ricostruzione dei fatti sulla base delle sentenze successivamente emesse dal tribunale di seconda istanza di Capodistria. La mattina del 5 giugno1797 una grande folla di cittadini si era radunata nella piazza di Isola, in quanto in città si era sparsa la voce che nella città “fosse stata introdotta la Bandiera imperiale” e che alcuni notabili cittadini avevano tramato per far si che la città passasse sotto la sovranità austriaca. Di questo grave reato venivano imputati i signori Pietro Besengo, Giuseppe Moratti, Domenico Costanzi, Nicolò Drioli ed il medico dott. Parè, i quali avevano agito “con l’intelligenza ed assenso” del podestà veneto Niccolò Pizzamano. La folla, radunatasi sotto le finestre del municipio, era andata via via ingrossandosi sino a coinvolgere una buona parte della popolazione, tanto da assumere la configurazione di vera e propria rivolta cittadina. La folla era formata quasi esclusivamente da popolani: agricoltori, pescatori, artigiani, ma tra loro c’era pure qualche notabile, nonché donne e bambini. Probabilmente chiedevano e volevano avere dalla massima autorità cittadina qualche informazione in merito alle voci che giravano sul futuro assetto politico cittadino. Tutti vociavano, molti gridavano ed alcuni, più scatenati degli altri, incitavano a gran voce la folla con slogan e proposte di azioni. Si distinguevano fra questi Bastian Perentin detto Balsemin, e certo Zuanne d’Udine fu Nicolò detto Salmestrin, che sembravano i più sfegatati, con loro altri si comportavano da capi popolo e con i loro moti e le loro parole trascinavano anche gli altri ad imitarli nelle loro azioni. Tra questi ultimi si distinguono Giuseppe Cherbaucich di Gasparo, detto Cazza la scota, Niccolò Vascotto di Giuseppe,detto tre gambe, Alessandro d’Agostini fu Marco, detto Triora, Zorzi Mandich, Vettor Corte fu Nazario, di Capodistria, Pasqualin Moratti di Antonio, membro del Consiglio cittadino, Giacomo Bologna fu Giacomo, detto Bavellin, Pietro Spangher di GioBatta. Il podestà spaventato dal frastuono e dalle urla della folla, fa sbarrare le porte e le finestre e si barrica, con la famiglia, nel suo alloggio all’interno del municipio; lo stesso fanno quasi tutti i notabili abitanti nella piazza e nelle sue vicinanze. Improvvisamente un gruppo di rivoltosi guidato dal Cherbaucich, dal Vascotto, dal d’Agostini e d’altri ancora si portano alla stazione militare, dove ci sono delle reclute, fanno loro indossare le divise e prendere le armi, quindi li fanno venire armati in mezzo alla piazza ad aggiungersi alla folla e li spingono assieme ai rivoltosi a salire le scale del palazzo comunale dove si rifugia il Pizzamano. Salgono in molti, forzano le porte che
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erano state chiuse ed entrano nell’appartamento. Prendono a maltrattare ed insultare il Pizzamano e tutti i membri della sua famiglia, senza alcun ritegno e rispetto per la carica che lui rappresenta. Lo picchiano, maltrattano anche una sua figlia, in puerperio da pochi giorni, e se la prendono anche col suo neonato, tentando d’inveire anche contro di lui, prendono a calci pure l’altra figlia che rischia di cadere giù per le scale. Mettono a soqquadro tutta l’abitazione rompendo tutto ciò che si para loro davanti. Levano le porte delle stanze, gli scuri, le imposte e le vetrate delle finestre, gettando tutto in strada; rompono tutte le mobilie, tagliano i materassi dei letti, e lo stesso trattamento riservano pure ai vestiti, la biancheria e tutto ciò che capita loro sotto le mani, gettando tutto nella strada, svuotando la casa completamente. Nel contempo continuano a maltrattare ed a picchiare il malcapitato Pizzamano, spingendolo a cercar la fuga dalla casa, dalla quale scappa stentatamente, inseguito da una gran folla, e cerca di trovar scampo dirigendosi verso la casa Moratti. Ma il suo incedere è lento e difficoltoso, è affiancato e circondato dai rivoltosi che “non cessano di dimenargli pugni e boccate di schioppo”; ad un certo punto Zuanne d’Udine gli spara, ma non lo colpisce, infierisce allora contro di lui con l’arma scarica e gli dà “poscia tante percosse con l’arma medesima per la vita” che la rompe in due pezzi. Finalmente il disgraziato raggiunge la casa Moratti e, sfinito, non potendosi più reggere in piedi si aggrappa alla maniglia del portone e si rivolge pietosamente al d’Udine, che continua a colpirlo con furente livore, e gli chiede “la vita per carità”, ma lui, con odio, ordina al Bastianella di ammazzarlo e questi con un colpo di schioppo lo uccide, ponendo così fine alle sue sofferenze. Ma non basta, è appena caduto a terra e forse non ha ancora esalato il suo ultimo respiro che, con indicibile odio e con una tremenda crudeltà d’animo, Zorzi Mandich lo trafigge ad un fianco con un coltello. A questo punto non risulta molto chiara la dinamica degli eventi, e va fatto un passo indietro, ma sembra che Giuseppe Moratti, il quale gia si trovava a casa del podestà al momento dell’irruzione dei rivoltosi, impaurito dalle minacce di morte che quelli proferivano e dalla determinazione e l’odio di cui questi davano prova, temendo per la propria vita, poco prima che il Pizzamano lasci la sua abitazione, si getta dalla finestra e si da alla fuga verso la propria casa. All’atto di entrare in casa sua incrocia Giacomo Bologna che gli assesta un colpo di palosso89 che però lo manca e colpisce il muro rompendosi in due pezzi. Riesce ad entrare in casa ma non sfugge alla furia degli insorti che poco dopo entrano pure loro e lo aggrediscono. Saccheggiano 89
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Specie di sciabola diritta con un solo taglio.
completamente l’abitazione, tagliando a pezzi e gettando dalle finestre tutto ciò che esisteva la dentro. Anche la casa di Domenico Costanzo viene saccheggiata, con la spogliazione di tutto quanto in essa si trovava, riducendo a pezzi, letti, casse, armadi , specchi vestiti, biancherie e tutto ciò che era di sua proprietà, “lacerando perfino, e slanciando al vento libri, registri, e carte di publica e privata proprietà”. Per tutto il giorno continuano le scorrerie degli insorti i quali, divisi in più gruppi, nati più o meno spontaneamente, rivolgono le loro attenzioni a tutti i maggiorenti e benestanti che capitano loro a tiro. Un gruppo composto da più uomini armati, del quale fa parte anche Giulio Vascotto fu Antonio, detto Baster, anche lui con lo schioppo in spalla, giunge davanti alla casa del già citato Nicolò Drioli, il quale prudentemente, per non andar soggetto ai disastri di cui altri suoi colleghi erano gia stati colpiti, aveva chiuso le porte ed i balconi della sua casa. Vedendo tutte le porte e finestre sbarrate il Vascotto comincia ad imprecare e, vedendo casualmente il fonticaro Giacomo Pavanello, che si stava sporgendo alla finestra della propria casa, situata vicino a quella del Drioli, senza alcun motivo prende la mira e gli spara. Fortunatamente il Pavanello, “avvertito a ritirarsi”, riesce a sottrarsi ed a restare così indenne. Quindi la stessa sorte subita dalle altre viene riservata alla casa ed alla bottega di Nicolò Drioli nelle quali i rivoltosi, dopo averle messe a soqquadro gettano dalle finestre tutti i mobili compreso il bancone della bottega. Una volta entrati in casa saccheggiano ogni cosa, pure la cantina nella quale sfasciano tutto e versano a terra il vino in essa contenuto. In seguito il Vascotto in un’osteria racconterà con “apparente esultanza” dell’uccisione del podestà e dei saccheggi perpetrati. Anche il dott. Parè subisce uguale trattamento, gli insorti invadono e saccheggiano la sua abitazione, dove lui si è rifugiato. È tanto spaventato da uscire quasi di senno, fugge inseguito da quella turba, fin sul tetto della casa ed uno dei rivoltosi armato di schioppo gli spara, non raggiungendolo, resta però ferito uno dei figli del Parè. Egli resterà tristemente segnato anche per il futuro da questa brutta vicenda. Il tumulto continuava ed il popolo non da cenno di ritirarsi nelle proprie case, anzi ha intenzione di portarsi alla casa del Besenghi con lo scopo di saccheggiarla, così come fatto per le case degli altri sospettati, ma il Besenghi, ben più avveduto degli altri e, probabilmente dando sfoggio ad un’abile dialettica, accoglie benevolmente i rivoltosi offrendo loro cibo e vino; questi si saziano con il ben di Dio loro offerto e se ne vanno pacificamente, facendo questo unico danno.
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Chi può fugge da Isola, in particolare molti notabili e le loro famiglie cercano rifugio a Trieste o in Istria90. Anche qualcuno dei principali accusati di tradimento cerca di sottrarsi alla furia del popolo recandosi presso parenti o amici in luoghi più sicuri: Domenico Costanzo si rifugia a Capodistria e Giuseppe Moratti si nasconde e cerca di partire per raggiungere Umago. Le manifestazioni di violenza si acquietano solo quando appare, assieme al clero, il beneamato maestro, l’amico del popolo, il canonico Antonio Pesaro, il quale “non cagliò, non impallidì, ma venuto a portata di far udire la sua possente parola, confiso nella purità della sua coscienza, arringò e pose dinanzi agli occhi della furibonda ciurmaglia la gravità dei commessi forfatti e l’orrore dei quelli che stava per commettere, e la convinse che non solo si attirava addosso le maledizioni del cielo, ma eziandio che andava soggetta ai severi castighi del governo che sarebbe subentrato”91, e cessano del tutto con l’arrivo della notte. Il giorno successivo, il 6 di giugno, la tensione resta palpabile, la calma è solo apparente riprendono gli assembramenti, si commentano i fatti del giorno prima; qualcuno vorrebbe riprendere le violenze, altri non sono d’accordo. Il fermento tra la gente del popolo continua, tuttavia i sacerdoti e le persone per bene cercano di portare la pace, cercano di convincere gli altri dell’innocenza delle persone accusate, e poiché trovano molti disposti alla riconciliazione, si proclama che il giorno seguente, il 7 di giugno, venga dedicato ad una completa riconciliazione e vengono programmati riti sacri in chiesa. Il Moratti, in viaggio per Umago, viene sorpreso a Sicciole da Vettor Corte, il quale lo aggredisce, lo apostrofa chiamandolo “col nome di ribelle” e lo minaccia di morte “con replicati tentativi”, ai quali rinuncia solo per la sopravvenienza di alcune persone, che così lo salvano e gli consentono di partire per la sua destinazione. Nel frattempo qualcuno va a Capodistria a richiamare il Costanzo per fare in modo che ritorni in seno alla sua famiglia, comunicandogli la fine delle violenze ed il programma della conciliazione da effettuarsi il giorno dopo. La mattina del 7 giugno, giorno dedicato alla conciliazione, si svolge in chiesa il rito con la presenza di molte persone. Arriva, confidando su quanto comunicatogli, anche il Costanzo, ma appena entrato in chiesa si sente un crescente rumorio, egli viene apostrofato e da parte di più di qualcuno gli vengono rinnovate le accuse di “ribelle” già formulate a suo carico 90 91
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V. L’Osservatore Triestino, 9 giugno 1797, N. 97. C. Vascotti, Biografia di monsignor Antonio Pesaro, in l’Istria, a. I, n. 33, p. 135.
dei giorni precedenti; allora lui si professa del tutto innocente e s’inginocchia in mezzo alla chiesa rivolto verso il sacramento. Il parroco interviene più volte invitando tutti alla calma. Anche all’esterno della chiesa ci sono molte persone e qualcuno, fra i quali Pietro d’Agostini, fu Mattio, urla più forte degli altri, grida che il Besenghi, il Costanzo ed il Drioli siano fatti uscire dalla chiesa e portati nella piazza, in processione, assieme al clero. E così viene fatto: i tre vengono portati in piazza, il Besenghi ed il Costanzo con un crocifisso in mano, seguiti da tutto il clero del capitolo. Giunti nella piazza sono fatti inginocchiare per terra e vengono così trattenuti per parecchie ore, sempre ricoperti di ingiurie e sotto la minaccia di essere uccisi. Un sacerdote del Capitolo, tra i promotori della riconciliazione, don Girolamo de Grassi, che assiste i malcapitati ed invita il popolo a liberarli, viene fatto allontanare da Marco d’Agostini, detto Torso. Finalmente, dopo molte ore di insulti, di minacce e di permanenza in quella scomoda posizione, viene loro accordata la riconciliazione e vengono lasciati liberi, vincolandoli tuttavia a formulare una formale rinuncia ad ogni pretesa per il risarcimento dei danni sofferti. La notizia dei tragici fatti di Isola giungono immediatamente, sin dal giorno 5, a Capodistria, ed anche qui il popolo, convinto che i nobili cospirassero contro Venezia in favore dell’Austria, si solleva e per due giorni irrompe per la città. Al grido di viva san Marco i rivoltosi invadono le case dei nobili Carli e de Totto, le saccheggiano e malmenano i proprietari. Tuttavia il sindaco Nicolò de Baseggio, uomo benvoluto ed ascoltato dal popolo riesce a persuadere i rivoltosi a raccogliersi con i nobili nella cattedrale dove le sue parole, quelle del vescovo Bonifacio da Ponte e quelle del podestà e capitano riescono a calmare e riportare anche i più accesi alla ragione. Da Isola e Capodistria il fermento si estende, il giorno 6, anche a Muggia, ed a Pirano dove lo stesso giorno il popolo insorge contro alcune famiglie nobili, sospette di sentimenti austrofili, ma viene subito ristabilita la calma dai soldati piranesi, rimandati a casa loro da Venezia al cessare della Repubblica aristocratica, e con i quali era stata formata una specie di Guardia Civica. Intanto, spaventate e temendo nuovi eccessi popolari numerose famiglie nobili di Muggia, Capodistria ed Isola si sono rifugiate a Trieste. In effetti i disordini causati dalle masse popolari avevano profondamente scosso la nobiltà istriana e la paura di nuove e più gravi scelleratezze aveva forse contribuito sia ad aumentare la visione benevola nei confronti dell’Austria, sia ad accelerare la spinta verso la costituzione delle municipalità, del resto già in corso in buona parte delle altre comunità dell’Istria veneta92. 92
G. Quarantotti, op. cit., pp. 18 e seg.
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L’arrivo degli Austriaci Non sappiamo cosa successe ad Isola nei giorni che vanno dall’otto al dieci di maggio, ma di certo la rivolta isolana con l’assassinio del suo podestà, come quelle di Capodistria e Muggia, furono anch’esse usate come pretesto per giustificare l’invasione austriaca, anche se la stessa era stata già decisa ben prima93. “Il pretesto ad affrettare la presa di possesso dell’Istria veneta si era offerto da sé all’Austria col fermento ivi dappertutto regnante e segnatamente con le sanguinose sommosse di Isola e Capodistria”94. Il conte Raimondo della Torre viene nominato dall’Imperatore Francesco II Cesareo regio Commissario plenipotenziario per l’Istria, la Dalmazia e l’Albania, giunge a Capodistria il 10 giugno accompagnato dall’avanguardia del corpo d’occupazione austriaco, comandato dal generale conte Giovanni Klenau. Appena giunto a Capodistria il conte Della Torre fa sequestrare tutte le armi ed impartisce disposizioni affinché i colpevoli delle sommosse del 5 e 6 giugno siano arrestati e regolarmente processati. L’11 giugno un reparto austriaco si reca ad occupare Isola e subito arresta uno dei capi della rivolta. Altri distaccamenti avanzano verso l’interno della provincia. Il 12 un contingente di truppa parte via mare da Trieste ed occupa Pirano, Umago e Cittanova. Rovigno viene occupata il 14 e Pola il 16 giugno. Il Governo austriaco nel prendere possesso dell’Istria si ispira a notevole saggezza e moderazione politica e, per quanto mirasse ad suo un acquisto stabile e definitivo, l’occupazione viene ripetutamente e prudentemente chiamata provvisoria. Il conte Della Torre pone a Capodistria la sede del suo Cesareo Regio Governo provinciale provvisorio dell’Istria veneta e vi pone a capo, con il titolo di presidente, il consigliere di governo Francesco Filippo di Roth, “uomo distinto per ingegno, saggezza, cuore e affabilità, il quale seppe procacciarsi l’universale stima e benevolenza”, coadiuvato da due assessori. Tutte le comunità mantengono i vecchi confini, tutte le vecchie magistrature venete sono soppresse e le attribuzioni del Podestà ripartite fra le cariche di nuova istituzione, gli uffici pubblici affidati a gente del po93
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Napoleone e Vienna cercano pretesti per l’occupazione dell’Istria e della Dalmazia. (Relazione del gen. Mervelt al ministro Thugut a Vienna). Milano, 19 maggio 1797”. Le général Bonaparte … Dans ce moment-ci le projet du général serait que S. M. l’Empereur fit valoir tout de suite ses droits sur la Dalmatie et l’Istrie, en se servant du prétexte de ne pouvoir voir la fin des troubles de Venise pour les occuper de suite, S. M. l’Empereur ne reconnaissant point le nouveau governement, qui venait de s’y établir, elle prenait la parte de s’assurer de ses droits sur ces provinces et pour en empecher la revolution […] In Il Diritto d’Italia su Trieste e l’Istria, cit., p. 10. G. Quarantotti, op. cit., p. 29. V. pure Appendice, Proclama del Commissario imperiale per l’occupazione austriaca dell’Istria.
sto. Nelle città di Pirano, Parenzo, Rovigno e Pola vengono istituite delle Direzioni politico-economiche, ciascuna affiancata da un tribunale di prima istanza, composto da un presidente e due assessori. Nelle città minori di Muggia, Pinguente, Isola, Umago, Buie, Cittanova, Montona, Portole, Grisignana, Dignano, Valle, Orsera, San Lorenzo e Albona viene istituita la Superiorità locale o il Tribunale provvisionale di prima istanza con competenza sul “maneggio degli affari tanto giudiziali, civili e criminali, quanto pubblico-politici ed economici”95. Non vengono soppresse né le decime, né le confraternite, né i fondaci, né le cernide. Viene rispettato l’antichissimo Collegio dei Nobili di Capodistria ed anche la scuola ginnasiale di Isola. La Giustizia criminale e civile viene affidata, in seconda istanza, al Tribunale di appello istituito a Capodistria e presieduto dallo stesso capo del Governo provinciale provvisorio. Vengono mantenute in vigore tutte le norme legislative e procedurali contenute negli Statuti delle singole città e le consuetudini venete. Viene abolita la procedura orale nelle cause civili e conservata nei processi criminali. Il nuovo Governo pone grande cura a non offendere il ricordo di Venezia che sa essere molto radicato negli istriani della costa e tende a dar loro l’illusione che quello non fosse altro che la prosecuzione di quello veneto e tende nel contempo a guadagnarsi il favore dei ceti popolari senza peraltro concedere troppo in termini finanziari ed economici. I primi atti di governo sono diretti a far arrestare e mettere sotto accusa i colpevoli delle insurrezioni popolari dell’inizio di giugno. Rientra questo nella logica della necessità del ristabilimento e della garanzia del mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblici, evocati nelle motivazioni a giustificazione dell’occupazione militare, rientranti tuttavia nelle tradizioni legalitarie austriache96. Anche ad Isola le prime azioni del nuovo governo sono rivolte alla ricerca ed arresto dei responsabili e dei partecipanti ai disordini del 5-7 giugno; con grande impegno vengono ricercati i due responsabili dell’omicidio del podestà Pizzamano: Zuanne d’Udine e Bastian Perentin97, pur95
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“A Capodistria, a Parenzo e a Pola, mantenuti i Consigli dei Nobili, ma allargati con l’inclusione di nuovi membri, per lo più di origine popolare. A Pirano e a Rovigno, lasciate sussistere le Municipalità elette dopo la caduta della Serenissima nei brevissimi giorni del regime democratico, ma datane la presidenza al Direttore politico”. G. Quarantotti, op. cit., p. 78. G. Quarantotti, op. cit., pp. 79-80. “Al Cancelliere pret. o pret. o Vittorio Zugni à Capod. a Pirano, 21 Giugno 1797. Ora, che la Guarnigione d’Isola e di nuovo aumentata, conviene proseguire la Cattara delli Individui della Sollevazione successa in quella terra; Esso Cancelliere saprà dunque con tutta segretezza disporre a tenore delle mie direzioni già datele la suddetta Cattara di alquanti vale a dire 6 o 8 Individui più indiziati e specialmente di quelli, che cooperarono manifestamente all’innumana Uccisione del fù Rappresentante veneto, o che furono visibili Conduttori del Popolo nelle Case svaligiate di quella Terra, o Capi di qualche publico Attrupamento. Eseguita la Cattara si legittimerà poi Esso Cancelliere dell’Operato presso il
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troppo infruttuosamente, e neanche i parenti sanno dove siano scappati. C’è pure il caso di qualche manifestante che si presenta volontariamente alle autorità per dare la sua testimonianza. Le indagini sono lunghe e coinvolgono alcune centinaia di persone, il processo viene affidato al Tribunale di seconda istanza presieduto da Elio Gravisi. Il 19 giugno 1797 con decreto della Cesarea Regia Aulica Commissione, all’uopo nominata, firmato dal conte Raimondo della Torre, il nobile Giovanni Pietro de Besenghi viene nominato Assessore Dirigente il Tribunale Provvisorio di Isola d’Istria.
Il Processo a carico dei colpevoli Il Tribunale di seconda istanza di Capodistria, presieduto da Elio Gravisi, cui è affidato il processo si mette subito all’opera, lavora su diversi tronconi d’indagine, differenziati a seconda del tipo e gravità del reato commesso. Sono numerose le sentenze emesse dal Tribunale e gia nel mese di ottobre si conclude un primo troncone di indagini ed arriva la prima sentenza. Si tratta del processo a carico degli imputati: Giulio Vascotto fu Antonio, detto Baster, Marco d’Agostini fu Pietro, detto Torso, Pietro d’Agostini fu Mattio, Domenico Lorenzutti di Simone e Mauro Colomban di Francesco. A carico del Vascotto viene adebitato il fatto di aver sparato al fonticaro Giacomo Pavanello, senza però ferirlo. A carico di Pietro d’Agostini viene addebitato di aver egli, il giorno 7 giugno, durante il rito di riconciliazione che si stava svolgendo nel duomo d’Isola, imposto ai sacerdoti di condurre in processione verso la piazza il Besenghi, il Costanzo ed il Drioli, che stavano inginocchiati in mezzo alla chiesa, e di averli costretti, là in piazza, a restare inginocchiati per terra per alcune ore, fino al calar della sera. Marco d’Agostini è inoltre accusato di aver allontanato dalla piazza il sacerdote don Girolamo de Grassi che stava assistendo i prigionieri dei rivoltosi. Infine Mauro Colomban e Domenico Lorenzutti sono accusati di aver colpito con pugni il podestà Pizzamano mentre stava fuggendo. Tribunale di 2. da Istanza con il presente Decreto, al quale Tribunale incomberà in seguito di procedere alla formazione del Processo criminale. Marenzi Spedito 21 Giugno 1797 con Ordinanza militare”. AST, Gov. Prov., Atti Amministrativi dell’Istria, Busta 1, f. 468.
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Nota dell’autorità militare di Pirano per la ricerca e l’arresto dei capi della rivolta d’Isola. (Archivio di Stato, Trieste)
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Con propria sentenza del 20 ottobre 1797, il Tribunale giudica colpevole soltanto il Vascotto e lo condanna a sei mesi “in una prigione privata della luce”. Tutti gli altri, dopo aver “ponderate le loro colpe, nonché esaminate le difese dalli stessi prodotti, è venuto in deliberazione il Tribunale medesimo che siano liberamente assolti”; compreso Marco d’Agostini salvato da una attestazione autografa di don Girolamo de Grassi con la quale il prelato conferma la versione dell’imputato che giustifica il suo allontanamento “protestando, che vedendo il Popolo in rivolta, potesse quel religioso andar soggetto a qualche dispiacenza, gli insinuò di allontanarsi”98. Contestualmente, in quei giorni, presumibilmente prima della stesura della sentenza, l’inquisito Giulio Vascotto si presenta spontaneamente all’autorità inquirente, che procede al suo arresto, associandolo alle carceri di Capodistria. Come previsto dalle procedure in vigore la bozza della sentenza viene presentata al capo del Governo provinciale per la sua approvazione; approvazione che giunge a breve giro di posta, il 29 ottobre 1797, con la conferma della sentenza modificata dal Roth con la seguente correzione: “che l’inquisito Giulio Vascotto detto Baster, condannato a stare in una prigione serrata alla luce, dal giorno di sua volontaria presentazione per mesi sei continui, abbia invece per altrettanto tempo, ad essere impiegato nei lavori pubblici di questa Città (Capodistria)”. Quindi dopo poco più di quattro mesi dai fatti la prima sentenza passa in giudicato. Tuttavia trascorsi quasi due mesi dall’emissione della sentenza sembra che il Vascotto non sia ancora stato informato del riconoscimento della sua colpevolezza e della pena alla quale è stato condannato. Lo si desume dalla lacrimevole supplica inviata dallo stesso Vascotto, il 20 dicembre 1797, all’Inclita Cesarea Regia Commissione, nella quale lamenta di essere ancora detenuto, dopo due mesi dal suo arresto, nonostante non sia stato riconosciuto “reo né di spogli, né di sollevatore”, […] e “tanto più che esso reo non apparisce di sedizione alcuna”. La supplica, ricevuta il 21, viene prontamente inviata, il 22 dicembre, dal Roth al Tribunale di seconda istanza “rifferindo i motivi del suo ulteriore trattenimento, e ciò nel termine di 24 ore a recepito”. Il 24, la vigilia di Natale, il marchese Gravisi risponde richiamando la sentenza e dando tutti i chiarimenti del caso99. Vale forse la pena fare una breve considerazione sulla correzione apportata alla sentenza del Tribunale dal Presidente Provinciale Roth, il quale, nel proporre l’impiego del condannato per lo svolgimento di uti98 99
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Vedi in Appendice gli atti processuali. Vedi in Appendice AST, G. P., AAI, B. 1, ff. 716, 718.
li lavori pubblici cittadini, anziché tenerlo chiuso in cella, certamente ha voluto tener conto del rapporto presentatogli qualche tempo prima dal Tribunale di Capodistria, con il quale i suoi giudici, impegnati “alla coretta amministrazione della Giustizia non meno che al bene dell’Umanità, ed ai vantaggi della Patria”, suggerivano tale soluzione100. Ma le autorità sono ancor più interessate ad assicurare alla giustizia gli assassini del Podestà Pizzamano e, visto che ciò risulta al momento impossibile per la fuga dei colpevoli, per lo meno accelerare i tempi del processo ed arrivare quindi ad una sentenza esemplare in modo da rendere manifesto ed apprezzabile da tutti il senso di giustizia, il culto delle leggi e l’efficienza nel colpire chi non le rispetta, del nuovo governo austriaco. I due assassini sono ben noti ma non è facile trovarli, non si sa dove siano fuggiti e nessuno è in grado di dare elementi utili per il loro arresto. Anche le famiglie sono sottoposte a stringenti interrogatori ed a rigidi controlli, ma senza successo. Sembra quasi casuale che i due si siano trovati assieme a compiere quell’efferato delitto, tanto sono diversi per età, stato civile e condizione sociale. Sebastiano Perentin di Balsemin e di Marietta Zaro detto Bastianella è giovane, è nato a Isola il 17 ottobre 1775, e non è ancora sposato; proviene da una delle più antiche famiglie isolane101, il padre è membro del Consiglio, del quale fanno parte ben 23 Perentin molti dei quali parenti più o meno stretti. Giovanni, Zuanne d’Udine fù Nicolò e di Lucia è un uomo maturo, ha 36 anni, è nato a Isola il 26 luglio 1761, si è sposato con Lucia de Pase il 25 gennaio 1788 ed è padre di due figlie; non sono reperibili altre notizie su di lui. La polizia comunque indaga; vengono raccolte prove e verificate testimonianze che dimostrano in maniere inequivocabile la loro colpevolezza. Il processo viene celebrato ed il 7 gennaio 1798 e viene emessa la sentenza, dalla quale risulta che: I due indiziati hanno partecipato all’invasione della casa del podestà dove hanno iniziato le loro violenze su di lui e sui membri della sua famiglia”. Continuando quindi i mali trattamenti verso l’infelice Pizzamano” lo hanno costretto a “fuggire da quella abitazione, dirigendo stentatamente i suoi passi verso la casa Moratti, inseguito da osservabile numero de rivol100 101
Vedi in Appendice AST, G. P., Atti amm. dell’Istria, B. 1, ff. 695-696. “Il cognome isolano Perentin, detto in origine Parentino ed anche Parentio, risalente a un Maurus de Parentino del 29/9/1346 detto Maurus de Parentio il 9/10/1346, continuato come Perentino dal 1391 e quale Perentin dal 1543-46, deriva dal nome Parentino alterato/derivato in -ino di Parentio variante del nome medievale Parente da parente - genitore, padre”. (Nota di M. Bonifacio)
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tosi, che non cessavano di menargli de’ pugni, e delle boccate di Schioppo,” gli veniva sparato contro con la “propria arma senza colpirlo, dall’inquisito Zuanne d’Udine, che gli dimenasse poscia tante percosse con l’arma medesima per la vita, che la rompesse in due pezzi, ed afferratosi l’infelice con una mano alla porta della Casa Moratti per non potersi più reggere, gli chiedesse la vita per carità, ma continuando nel furente ingiusto livore , ordinasse l’inquisito d’Udine, all’altro inquisito Bastian Perentin detto Bastianella di privarlo di vita, cosicché con un colpo di schioppo esoneratogli contro lo riducesse cadavere, fatti tutti comprovati dal detto di più giurati testimonj”. Esaminate le colpe degli inquisiti, il Tribunale,”per sparo d’arma di fuoco, contro il fù N. H. Pizzamano, offese, percosse, e successiva interfezione” li condanna, in contumacia, a morte per impiccagione e comanda che siano immediatamente erette a Isola due forche con sopra appesi i loro nomi; in qualsiasi tempo e luogo essi dovessero essere catturati, siano immediatamente portati a Isola e impiccati. Come prescritto la sentenza viene presentata al Roth per l’approvazione, che viene confermata ed approvata il 24 marzo 1798. Contestualmente a quello contro i due assassini si celebra pure il processo contro i principali indiziati e caporioni della rivolta. Si tratta di Giuseppe Cherbaucich di Gasparo, detto Cazza la scota, Nicolò Vascotto di Giuseppe, detto tre gambe, Alessandro Agostini fu Marco, detto Triora, Zorzi Mandich di Mattio, Vettor Corte, fu Nazario, Pasqualin Moratti di Antonio, Giacomo Bologna fu Giacomo, detto Bavellin, Pietro Spangher di GioBatta. Ed anche la sentenza per questo processo viene emessa, dal Tribunale di seconda istanza, come la precedente, il 7 di febbraio 1798. Tutti gli imputati sono riconosciuti colpevoli di aver partecipato all’invasione della casa del podestà dove hanno iniziato le loro violenze su di lui e sui membri della sua famiglia”. Continuando quindi i mali trattamenti verso l’infelice Pizzamano” lo hanno costretto a “fuggire da quella abitazione, dirigendo stentatamente i suoi passi verso la casa Moratti, inseguito da osservabile numero de rivoltosi, che non cessavano di menargli de’ pugni, e delle boccate di Schioppo”; di aver partecipato al saccheggio delle case Moratti, Drioli e Parè. Inoltre: Zorzi Mandich è colpevole di aver impresso, con eccesso di crudeltà, al fianco del povero Pizzamano, appena caduto a terra e non ancora morto del tutto, una ferita di coltello; Giacomo Bologna è colpevole di aver sferrato a Giuseppe Moratti un colpo di palosso che fortunatamente non è andato a destino; Vettor Corte è colpevole di aver aggredito Giuseppe Mo-
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ratti a Sicciole; Pasqualin Moratti è colpevole di aver costretto, il giorno 7 giugno, i signori Besenghi, Costanzo e Drioli a venire in piazza ed inginocchiarsi per più ore ed esporsi al ludibrio della folla; Giuseppe Cherbaucich, Niccolò Vascotto, Alessandro Agostini, Pietro Spangher, sono colpevoli di aver spinto la folla e di essersi distinti nel saccheggio delle case dei notabili citati. La sentenza condanna gli imputati alle pene seguenti: Zorzi Mandich e Giuseppe Cerbaucich, detto cazza la scota, a dieci anni ciascuno di lavori pubblici con i ferri ai piedi; Alessandro d’Agostin, detto Triora, ad un anno di lavori forzati con i ferri ai piedi, ed al pagamento di 6.000 Lire per l’indenizzo dei saccheggi; Nicolò Vascotto, detto Capo di cento, ad un anno di lavori forzati con i ferri ai piedi, ed al pagamento di 4.000 Lire per l’indenizzo dei saccheggi; Pasqualin Moratti, ad otto mesi di lavori forzati con i ferri ai piedi, ed al pagamento di 150 Lire per l’indenizzo dei saccheggi. Vettor Corte e Giacomo Bologna, detto Bavellin, a sei mesi di lavori forzati con i ferri ai piedi. Il Presidente del Tribunale Elio Gravisi presenta, il 10 dello stesso mese, le due sentenze al presidente del governo Provvisorio della Provincia, Filippo Roth per la prescritta approvazione. Il 24 marzo il Roth conferma la prima delle due sentenze, mentre approva, “in linea di giustizia”, la seconda inserendo “le seguenti modificazioni, determinate in linea di grazia e clemenza speciale di Sua Maestà l’Imperatore e Re nostro graziosissimo Sovrano”. A Giuseppe Cherbaucich ed a Zorzi Mandich la pena di 10 anni di lavori forzati viene dimezzata, limitandola a soli 5 anni; a tutti gli altri la pena detentiva viene annullata, mantenendo solamente quella pecuniaria, dovuta per l’indennizo ai danneggiati, precisando tuttavia che, “siano rilasciati in libertà, e sciolti dalla pena corporale; salvo sempre per tutti essi Rei, il pagamento secondo le Leggi delle Spese Ministeriali”. L’ultimo troncone del processo è rivolto contro altre 99 persone, tutte imputate per aver partecipato non solo alle manifestazioni di piazza ed in chiesa del 5 e del 7 giugno, ma per essere in qualche misura coinvolti anche nei saccheggi perpetrati nelle abitazioni dei danneggiati Pizzamano, Giuseppe Moratti, Domenico Costanzo, Niccolò Drioli, Dott Parè e Pietro Besenghi.
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Sentenza del Tribunale di secondo appello di Capodistria contro gli assassini del podestĂ Pizzamano. (Archivio di Stato, Trieste)
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Dalla sentenza risulta che i “danni sofferti alle loro case … che i Saccheggiati implorano di essere risarciti” sono stati valutati, “nell’equitata, ed approvata grandiosa Summa di £ 36.416.-”, da parte dei Capi di Contrada della Terra d’Isola, e da Marco de Carli fu Francesco, Francesco Ugo fu Giovanni e Antonio Benvenuto fu Almerigo, tutti isolani, “persone non aventi parte di detta Insurrezione, tutti comparsi d’innanzi a questo Tribunale in confronto delli danneggiati” Dalla sentenza risulta che i danni sofferti da coloro che sono stati oggetto della furia degli insorti ammontano a £ 36.416, somma valutata e ritenuta equa, in contradditorio con gli interessati, da una “commissione” formata dai Capi Contrada e da alcuni altri cittadini non coinvolti nell’insurrezione, e che tale somma, della quale sono obbligati in solido tutti gli imputati, viene ripartita fra di loro in proporzione alla loro colpa. Tuttavia dalla sentenza, che è composta da una lunga lista di nomi, a fianco di ognuno dei quali viene indicata la pena detentiva e quella pecuniaria cui è stato condannato, non è dato capire sulla base di quale considerazione tali pene siano state irrogate. Tra le carte dell’AST riguardanti il processo per i fatti di Isola ci sono le sentenze, le richieste di rilascio, alcune suppliche, ma non ci sono i verbali degli interrogatori. Nessuno degli imputati viene assolto, tutti sono condannati: chi a pena detentiva, chi a pena pecuniaria, la maggior parte di loro, ben 72, ad entrambe. Solamente 17 sono condannati alla sola pena pecuniaria, che varia da 100 a 400 Lire ciascuno. Per i 72 condannati ad entrambe le pene, quelle detentive variano, in linea di massima, da 4 mesi ad un mese (a 4 mesi 12 condannati, a 3 mesi 14, a 2 mesi 34 ed a un mese 22) e le pecuniarie da 80 a 400 £. Due soli condannati si distinguono per pene superiori: si tratta di Zuanne Carboncin, detto Rosadel, condannato a 6 mesi ed a £ 2.100 ed Antonio Pesaro, detto Terzette, condannato a 4 mesi ed a £ 2.000. I cognomi dei condannati rappresentano un ampio spaccato di tutta l’onomastica isolana, dai cognomi tipici del ceto popolare a quelli rappresentativi della classe benestante; non mancano neanche i rappresentanti del Consiglio cittadino. Vista la frequenza degli stessi cognomi e nomi che si ripetono continuamente per l’identificazione precisa della persona è molto spesso necessario ricorrere al sopranome che talvolta individua la famiglia e talaltra la persona; sopranomi recenti alcuni ed altri molto antichi che sopravvivono fino ai tempi nostri. I cognomi più frequenti fra i rivoltosi sono i de Grassi (11), i Vascotto (7), i Russignan (6), i de Rossi (5) e così via. I membri del Consiglio coinvolti nell’insurrezione sono quasi una ventina: D. no Vicenzo Chico fu Andrea detto Cocchie, Francesco Chico di Vincenzo detto Napiche, Pietro Carlin di Alessandro, Pietro de Lise di Zuanne, Gio. Batta de Lise di Vincenzo,Vincenzo de Lise fu Giacomo, Mauro de Pase di Niccolò, Niccolò de Pase fu Giacomo, Iseppo Drioli fu Zuanne, Giacomo Drioli fu Mauro, Pasqualin Moratto fu Antonio, Zuanne Moratto 355
fu Mauro, Domenico Moratto fu Domenico, Bastian Perentin fu Antonio, Piero Perentin fu Antonio, Simon Russignan fu Piero, Zuanne Russignan fu Piero, Antono Russignan fu Antonio, Gasparo Ugo di Pietro. L’ammontare complessivo delle pene pecuniarie addebitate ai 99 imputati assommano a £ 26.266 alle quali vanno aggiunte quelle a carico di Alessandro d’Agostini (£ 6.000), di Bortolo Vascotto (£ 4.000) e di Pasqualin Moratto (£ 150) e si copre così l’intero ammontare del risarcimento dovuto. Il Tribunale concede ai colpevoli un mese di tempo, a partire dalla pubblicazione della sentenza, per estinguere il debito cui sono solidalmente obbligati; nel caso qualcuno non fosse in grado di estinguerlo per intero alla data dovuta, dietro motivata documentazione legale, potrà ottenere una dilazione nel pagamento. Questa sentenza porta la data del 17 febbraio 1798 ed il giorno18 viene presentata al Roth per l’approvazione di rito che avviene al 24 marzo dello stesso mese con qualche prescrizione: “Tutti gli soprascritti Rei … vengono per grazia speciale del nostro clementissimo Sovrano, liberati dalla pena corporale, confermandosi però li sentenziati risarcimenti pecuniari alli quali restano obbligati, e le spese ministeriali, secondo le leggi”. Come si evince da queste sentenze il moto popolare dev’essere stato veramente imponente; da solo il numero dei processati e condannati supera il centinaio, 115 per la precisione. In genere nelle grosse manifestazioni di folla solamente una piccola parte, forse il 10 % si distingue per atti di violenza o comunque atti che travalicano la corretta partecipazione alla protesta tesa a far conoscere il proprio disappunto e manifestarlo con grida oppure con la semplice partecipazione. Se il numero degli arrestati per aver partecipato a violenze e saccheggi, arresti avvenuti a seguito di testimonianze e confronti sono stati di tale entità, si può tranquillamente ipotizzare che alle manifestazioni di piazza susseguitesi nei tre giorni di protesta possano aver partecipato, in maniera attiva o solo per presenza, non meno di 1.200 – 1.500 persone, che vuol dire più del 50% degli abitanti di Isola. Le sentenze emesse dal Tribunale di appello appaiono, nel complesso, sebbene standardizzate, ben formulate, dichiaratamente suffragate da testimonianze ed apparentemente rispettose degli statuti comunali, di certo aggiustate e corrette tenendo presente lo spirito ed i principi giuridici vigenti nella legislazione criminale austriaca. Nella loro versione originale le pene irrogate vanno dalla pena di morte per impiccagione dei due assassini, pienamente in linea con gli Statuti d’Isola che prevedono: “Se alcuno farà armatia, o insulto contro il Podestà con arme perda una mano; e se percuoterà il Podestà sia ad ogni modo impiccato”102, a pene detentive di varia 102
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Libro I, art. 4, in Statuti del Comun d’Isola, a cura di Degrassi e Sau, Isola 2003, p. 157.
durata a seconda della gravitĂ del proprio comportamento illegale tenuto nelle tragiche giornate, e piĂš precisamente a 10 anni i due fiancheggiatori
Approvazione della sentenza contro gli assassini del podestà Pizzamano da parte del presidente del governo provinciale dell’Istria, Roth. (Archivio di Stato, Trieste)
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degli assassini (Mandich e Cherbaucich), un anno al d’Agostini, e poi via via a pene decrescenti variabili da un anno ad un mese a seconda dell’entità e della gravità del coinvolgimento nelle azioni di violenza illegittima, restano infine una ventina di inquisiti condannati alla sola pena pecuniaria risarcitoria del danno causato, pena che fa pure capo a tutti gli altri condannati a pene detentive, e stabilita per singolo imputato in proporzione al danno causato. Non ci è dato conoscere lo svolgimento del processo in quanto, nel fondo dell’AST, non sono state rinvenute le carte processuali, i verbali degli interrogatori, le testimonianze, memorie, ecc., ci sono solo le sentenze e qualche altro scarno documento, quindi tutto ciò che possiamo sapere lo dobbiamo desumere da questi documenti che, anche se incompleti, ci consentono tuttavia una ricostruzione sufficientemente precisa dei fatti. Quello che non è possibile ricostruire e conoscere del tutto sono le vere cause della rivolta e le vere intime motivazioni personali che hanno spinto tante persone, generalmente pacifici lavoratori, a mettere in evidenza tanta violenza e, per lo meno nel caso degli assassini e di qualche altro capo rivolta, un odio tanto grande nei confronti del Podestà, da manifestarsi in maniera così crudele, fino al punto da sfociare in un delitto tanto vile quanto efferato. Per il vero esistono delle cartelle intitolate a persone coinvolte nei fatti di cui ai processi, ma le stesse non contengono al loro interno gli atti relativi alla loro intestazione, in quanto le stesse o risultano vuote o contengono documenti che si riferiscono ad altri oggetti, e ci fanno pensare che gli atti originali siano stati trasferiti o asportati senza essere stati, come d’uso, ricopiati. Si ricorda il memoriale del dott. Parè su quanto gli accadde il 5 giugno103, la “relazione e resto” degli autori dei fatti del 5 giugno104, le dichiarazioni autografe scritte dai Besenghi, Drioli e Costanzo, sulla loro rinuncia al risarcimento105, tutti inviati dal de Roth al Tribunale per competenza. Tutte le sentenze, ad eccezione di quelle con la pena capitale a carico degli assassini del Podestà, al momento dell’approvazione da parte del Governo provinciale (de Roth), subiscono delle rettifiche in senso più benevolo nei confronti dei condannati, “in linea di grazia e clemenza speciale di Sua Maestà l’Imperatore e Re nostro graziosissimo Sovrano”. Per cui tutte le pene detentive vengono abbonate salvo quelle a carico del Mandich e del Cherbaucich per i quali i 10 anni di lavori forzati vengono dimezzati a 5, restano da scontare, per tutti solamente le pene pecuniarie, non assolvendo le quali nei tempi prescritti ritornano in vigore anche quelle detentive. 103 104 105
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V. AST, AAI, B. 1, f. 453, Appendice. V. AST, AAI, B. 1, f. 460, Appendice. V. AST, AAI, B. 1, f. 466, Appendice.
Minuta del decreto di applicazione della sentenza con condanna a morte per impiccagione degli assassini del podestĂ Pizzamano. (Archivio di Stato, Trieste)
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L’esecuzione delle sentenze Le modalità da adottare per l’esecuzione delle sentenze nei confronti di tutti condannati sono dettagliatamente specificate in due minute di lettere, predisposte dal de Roth, ed indirizzate al Tribunale d’appello di Capodistria106 e al Tribunale provvisionale d’Isola107, spedite il 24 marzo 1798 in concomitanza con l’atto di approvazione delle sentenze. In particolare la prima, molto dettagliata, ci da modo di acquisire interessanti elementi di conoscenza sulla politica che gli austriaci avevano adottato nei primi tempi dell’occupazione e che volevano continuare nei confronti degli istriani dell’ex Repubblica veneta. Per quanto concerne “la sentenza di morte pronunciata contro li due Rei principali, Zuanne d’Udine q.m Niccolò, detto Salmestrin e Bastian Perentin di Balsemin, detto Bastianella,” per l’uccisione di Nicolò Pizzamano ex Podestà d’Isola, “stante la loro assenza”, saranno urgentemente erette “nella Terra d’Isola, in luogo cospicuo, e del maggior concorso, a vista universale di tutti, due Forche, sulle quali saranno pubblicamente appesi, a caratteri cubitali, i loro nomi e cognomi, i loro delitti e la sentenza con la loro colpa”, e ciò “per esempio e freno delli malfattori”. Le Forche dovranno essere pronte la mattina della solenne pubblicazione della sentenza, che dovrà essere pubblicata contestualmente sia a Isola che a Capodistria. Ad Isola la sentenza sarà letta “nell’atto della solenne pubblicazione da farsi sulla Piazza d’Isola, in presenza di tutti gli abitanti ed in particolare delli Rei ancora presenti”. Per quanto riguarda Zorzi Mandich e Giuseppe Cherbaucich, la sentenza pronunciata contro di loro, limitata a solo cinque anni, dovrà “pubblicarsi ora more solito, tanto qui in Capo d’Istria, quanto in Isola”; “si dovrà nonostante continuare a custodirli con molta precauzione in questi lavori, fino a tanto che sia concertato il modo, di farli trasportare in qualche interna città della monarchia, per subire il loro castigo”. Per tutti gli altri condannati, “siccome la prelodata graziosissima Maestà Sua, per effetto di quei sentimenti, che Le sono connaturali, ha fatto totalmente grazia a tutti […] delle pene corporali, pronunziate contro di loro con le sentenze […] in quanto restano confermate solo le pene pecuniarie. […] Esso Tribunale li chiamerà alla sua presenza, con gli altri che sono tuttavia absenti, verso una ben additata redarguizione da farsi, purchè abbiano pagata la tangente di sentenza in reluizione delle parti danneggiate, farà loro comprendere fin dove sia arrivata la clemenza si S. M. l’Imperatore e Re nostro Augustissimo Sovrano, che li dispensa da ogni ulteriore 106 107
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V. AST, AAI, B. 1, ff. 735-736, 738-739, Appendice. V. AST, AAI, B. 1, ff. 737-738, Appendice.
castigo corporale, nella lusinga, che per l’avvenire si dimostreranno sudditi fedeli, ed obbedienti alle Leggi, quanto per se’ son fatti conoscere sanguinarj, violenti e perturbatori della altrui proprietà, e quiete generale”. Viene quindi richiamata la responsabilità diretta dei Membri del Tribunale sull’incasso completo dell’importo dovuto per il risarcimento dei danni subiti dalle persone danneggiate. Infine vengono formulate alcune norme d’indirizzo sul comportamento del Tribunale stesso nei rapporti giudiziari inerenti a tutta la popolazione della Provincia dell’Istria e probabilmente estese pure agli altri territori ex veneti occupati. Più precisamente che per ordini superiori , per non disturbare le tranquillità della popolazione, non si intende più perseguire i colpevoli per reati commessi sotto il precedente veneto governo, che anche in presenza di colpevoli di reati gravi, prima di dar luogo alle relative sentenze, sia sentito il parere del Governo ed infine di mantenere assoluto segreto su questi indirizzi108. E quindi, in conseguenza di quanto sopra, qualora i due assassini del Podestà Pizzamano, cioè il Salmestrin ed il Bastianella, fossero arrestati ed assicurati alla giustizia non si proceda al alcuna esecuzione, in quanto la loro sentenza resta sospesa fino a che, dopo un circostanziato rapporto sul loro fermo, da inviarsi all’autorità di Governo, non siano pervenute ulteriori istruzioni, in ossequio agli indirizzi del “nostro Clementissimo Sovrano”. Lasciando quasi ad intendere una già decisa amnistia anche per questo orrendo delitto, lasciando molto a desiderare, da parte della giustizia austriaca in ossequio alla ragion di stato. Mettendo in evidenza uno scarso rispetto per la vita sottratta al Podestà, seviziato e barbaramente assassinato, per il dolore della sua famiglia e per quello delle altre vittime dell’aggressione della folla. Sacrificando con la clemenza verso i colpevoli, il doveroso atto di giustizia dovuto nei confronti degli aggrediti dalla folla. 108
“essendo poi precisa volontà Sovrana che le ricerche sopra delitti commessi, prima che la Provincia fosse soggetta alla Maestà Sua siano generalmente sospese, in vista di mantenere la quiete, e la contentezza in questa suddita popolazione; e che prima di procedere alla esecuzione di qualunque sentenza di pena grave, che in seguito potesse essere assoggettata alla revista, e riflessi, d’esso Tribunale, contro alcun Reo, prevenuto di enorme delitto, non possa non dispensarsi di avanzare il suo dettagliato rapporto con gli atti d’Inq. ne a questo Governo, per dipendere dalle ulteriori determinazioni, che gli saranno dappoi demandate, così cio gli comunica, per suo lume, ed innalterabile direzione di non obliterar mai, quanto col presente Decreto gli viene prescritto in questo proposito, ritenendo nelle risserve del secreto questa sovrana providenza singolare della M. S”. AST, AAI, B. 1, f. 736.
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Appare grande, la preoccupazione delle autorità austriache di non urtare la suscettibilità dei nuovi sudditi, di non doversi scontrare con nuovi moti di popolo che potrebbero compromettere l’assunto stesso della giustificazione adotta per legittimare l’occupazione dell’Istria: quello di evitare disordini che potessero compromettere i rapporti di vicinato o, ancor peggio, propagarsi in territorio austriaco. D’altro canto non da per tutto le cose erano andate lisce e qualche noia le milizie austriache l’avevano avute, come l’assalto ai soldati, le risse e l’imboscata con l’uccisione di due soldati. La capillare dislocazione delle milizie, fin nei più piccoli villaggi crea qualche disagio e qualche insofferenza nelle popolazioni non abituate a tali presenze e che vedono i rappresentanti dell’autorità più come degli oppressori che dei difensori della legalità. Inoltre, e ciò si sposa con la preoccupazione precedente, c’è quasi un debito di riconoscenza nei confronti delle città che si erano ribellate al momento della caduta della Serenissima, avendo esse con il comportamento violento dei propri cittadini, ed Isola in particolare, in qualche modo affrettato e legittimato l’intervento austriaco, anche se tutto era già stato deciso in sedi più appropriate. Quello che però in qualche modo stupisce è la celerità con la quale questo processo si celebra. Sorge a questo proposito un piccolo caso causato da una fuga di notizie causata dall’isolano tenente Egidio Colombo il quale ancora nel mese di ottobre diffonde in Isola la voce che ci sarebbe stata, da parte delle autorità viennesi, una particolare clemenza nei confronti dei rivoltosi isolani, informazione a lui pervenuta da ambienti vicini a quelli imperiali. Notizia che poi si sarebbe effettivamente dimostrata verace, ma che sul momento obbliga la Superiorità di Isola ed il Governo Provinciale di Capodistria ad una rapita indagine di verifica109. Con sequestro di una lettera indirizzata al Colombo da parte del […] nella quale veniva affermato che i rei isolani potevano dormire sonni tranquilli in quanto era imminente il perdono imperiale. Verifica che viene effettuata e dopo uno scambio di corrispondenza il Presidente del Tribunale di Isola, Besengo, convoca il Colombo e si fa mostrare la lettera, che trascrive ed invia al Governo di Capodistria, il quale l’acquisisce agli atti assieme a delle altre testimonianze sul fatto e, prudentemente, lascia intendere di riservarsi ogni futura determinazione in merito; così la ricostruzione sulla base dei soli documenti disponibili. Sembra tuttavia importante rilevare che la volontà di non usare la mano pesante nei confronti dei rivoltosi fosse nelle intenzioni delle autorità di Vienna sin dall’inizio dell’occupazione dell’Istria. 109
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AST, AAI, B. 1, ff. 887-889, Appendice.
Denuncia anonima contro i notabili isolani aggrediti nella sollevazione popolare di Isola. (Archivio di Stato, Trieste)
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Considerazioni sulla rivolta d’Isola Questo è quanto si ricava dagli atti processuali, costituiti in sostanza dalle sole sentenze, in quanto mancano del tutto i verbali degli interrogatori, presumibilmente dispersi o forse volontariamente sottratti perché ritenuti, anche dopo la conclusione dei processi, compromettenti per qualcuno. Fino al rinvenimento della documentazione depositata presso l’Archivio di Stato di Trieste, la versione dei fatti data dagli storici e da coloro che si erano interessati a questa vicenda era stata leggermente diversa. Sull’argomento, Padre Chiaro Vascotti lascia intendere e Gedeone Pusterla (cioè Andrea Tommasich) lo afferma dichiaratamente che il podestà Nicola Pizzamano era stato ucciso per errore in quanto il vero bersaglio dell’assassino non era lui, ma il ricco Giuseppe Moratti, malvisto dal popolo per le sue angherie, verso il quale era diretto lo sparo che andò invece a colpire, uccidendolo, il Pizzamano110. Non è dello stesso avviso Domenico Venturini che contesta questa versione dei fatti basandosi su una nota di Giacomo Besenghi, il quale, allora ancora bambino, ma testimone dei fatti, scrive che il podestà fu ammazzato barbaramente, “ferendolo ancor dopo morto”, arguendo giustamente che se fosse stato ucciso per sbaglio, perché “lo avrebbero ferito ancora dopo morto”111? Fu Giovanni Quarantotti che per primo collocò i fatti nella loro giusta interpretazione, e quindi Almerigo Apollonio, dopo aver studiato le carte del Governo Provvisorio dell’Istria112. Ma quali furono i motivi alla base dell’ira e dell’astio che spinsero i cittadini di Isola ad insorgere contro un numero così ristretto di concittadini ed a scagliarsi con tanta brutalità contro il podestà veneto? Si può davvero ritenere che il vero ed unico motivo fosse quello patriottico? E perché insorsero proprio il 5 di giugno, dopo quasi un mese dall’abdicazione della Serenissima? Le cause vanno a ricercarsi in una serie di elementi solo in parte convergenti, dei quali qualcuno d’ordine generale e qualcun altro da riferirsi più direttamente ad aspetti di carattere personale; tra i primi le cause stesse della caduta della Repubblica113. 110 111 112 113
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G. Pusterla, I Rettori di Egida, Capodistria 1891, pp. 108-109. Vedi pure Appendice. D. Venturini, La famiglia del poeta, in p. Tedeschi, Nel centenario del natalizio di p. Besenghi degli Ughi, Capodistria 1899, pp. 65-67. Vedi pure Appendice. G. Quarantotti, op. cit., pp. XIV, 17-18; A. Apollonio, L’Istria veneta, cit., pp. 124 e seguenti. Quale la pervicacia nel non volere alcuna intromissione negli organi di governo
Il contesto isolano all’epoca vigente, nel suo piccolo e con le dovute differenziazioni, in quanto Isola non è paragonabile a Venezia e nemmeno a Capodistria, ma riflette e riproduce il modello economico sociale instaurato nella provincia ed più in generale in tutto lo stato veneto. Un municipalismo esasperato, rilevabile dagli statuti, che si manifesta, verso l’esterno, con il predominio del principio dell’incolato, e conseguente estrema rigidità e diffidenza verso l’accoglimento del foresto e, verso l’interno, si manifesta nella scarsa permeabilità tra i ceti sociali, con una politica particolarmente rigida nel sistema delle aggregazioni agli organi del governo cittadino, riproducendo in qualche misura, mutatis mutandis, il modello della capitale, con la formazione di una società sempre più chiusa in se stessa. Una società nella quale la mobilità delle persone e delle idee sono limitatissime; chi detiene il potere economico e politico tende ad accapararsi quelle poche o misere ricchezze che il territorio può dare, aumentando progressivamente la distanza fra i pochi ricchi ed i tanti poveri. Si viene a creare una casta di poche famiglie nelle mani dei cui componenti, cosiddetti notabili, si concentra tutto o quasi tutto il potere politico ed economico cittadino. A queste famiglie, delle quali solo poche appartengono alla nobiltà, e la più parte appartiene al ceto cittadino, non vengono contestati, da parte dei ceti popolari, la titolarità del potere ed il diritto a governare, ma il loro strapotere che si manifesta attraverso la prepotenza e la sopraffazione. Nelle varie e ricorrenti controversie tra i ceti che si manifestano sull’assetto politico cittadino, le rivendicazioni non sono mai fondate sulla legittimazione istituzionale del potere, ma sulla contestazione del suo uso disinvolto e sull’esigenza di contrastarlo e contenerne l’esercizio non corretto o, per lo meno, di porvi dei limiti, esercitando un controllo su di essi114. Tanti sono gli elementi di privilegio che vanno ad influire sui rapporti fra notabili e popolani: l’imposizione tributaria è costituita quasi
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della repubblica dei rappresentanti dei territori facenti parte della Serenissima, totalmente e rigidamente in mano alla sola nobiltà veneziana, tant’è vero che la nobiltà locale dei vari territori, “quale ne fosse la rilevanza, la consistenza economica e derivazione storica, fu tenuta sempre assolutamente estranea al governo della Dominante”. “In tutti indistintamente gli ambiti politici il potere andò naturalmente concentrandosi nelle famiglie di più attiva e prestante presenza, le uniche a godere dell’elettorato sia attivo, legittimazione a votare, che passivo, possibilità di essere eletti. Tale status si espresse ovunque attraverso l’iscrizione nei vari libri di nobiltà [o di ammissione ai Consigli cittadini]. Per effetto del corso naturale degli eventi, per tutte le comunità si pose il problema dell’allargamento della cerchia storica degli aventi diritto al voto, attraverso l’iscrizione al libro cittadino. A fronte dell’estinguersi delle casate, s’impose la necessità di allargare la base elettorale con immissione di nuovi iscritti, le aggregazioni. Esse avevano luogo a Venezia per meriti eccezionali della famiglia, per straordinarie elargizioni all’erario e nelle altre Terre o Città per decisione dei rispettivi organi sovrani. Le Città dell’Istria non si sottrassero al problema, né per esse si verificò alcun intervento esterno capace di risolverlo, per cui i dissidi continuarono e le aggregazioni furono variamente regolate in piene autonomia da ciascuna Città”. I. Cacciavillani, Istria, cit., pp. 25-26. A. Apollonio, L’Istria veneta, cit., pp. 42 e seguenti.
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completamente da imposizione indiretta, quindi più gravosa per i poveri che per i ricchi; le angherie formalmente gravano in misura uguale su tutti i residenti, ma solo i ricchi, che hanno la disponibilità del denaro, hanno la possibilità di convertirle in contribuzione monetaria; lo stesso vale per molte delle sanzioni detentive e corporali previste dagli statuti le quali possono essere, quasi tutte, assolte anche per via monetaria, ma che, per lo stesso motivo, generalmente sono applicate solamente nei confronti dei ceti popolari in quanto poveri e senza disponibilità di denaro. Tuttavia l’amore del popolo nei confronti della Serenissima e dei suoi organi di governo fu sempre sincero e appassionato in quanto in essi vedevano i saggi reggitori dello stato, ed i giudici equi e giusti ai quali sapevano di poter ricorrere ed ottenere giustizia anche nei confronti degli appartenenti ai ceti superiori. Per questo la caduta della Repubblica e quel tremendo zorno, come fu chiamato il 12 maggio 1797, è vissuto anche dai ceti popolari istriani e dalmati come una immensa tragedia, tale da trasformare il moto di incredulità e rabbia in violento moto di popolo che ricerca e punisce chi, almeno nel suo pensiero, è complice di tale misfatto. E così dev’essere successo anche ad Isola, dove l’amore e la fedeltà verso il gonfalone di San Marco non sono mai stati inferiori a quelli di nessuna altra città istriana, e le voci che si sentivano girare, non ha importanza se veritiere o propagate ad arte, hanno sicuramente spinto il popolo a radunarsi in piazza per chiedere ragione e spiegazione sulla loro veridicità al podestà, massima magistratura cittadina, ed ai notabili che governano ed occupano tutti i posti che contano. Ed è anche ragionevole pensare che antichi rancori, a lungo covati, contro uno o l’altro di quei notabili, causati da precedenti sgarbi ed offese, o più semplicemente causati dalla rabbia verso l’intera casta, siano improvvisamente esplosi in molti dei manifestanti ed abbiano suscitato in loro una volontà distruttrice, tanto da spingerli alla violenza ed al saccheggio delle loro abitazioni. Verso questa strada porta anche uno scritto anonimo rinvenuto tra le carte del Governo dell’Istria, individuato solamente con il n. 72 di protocollo ed una brevissima nota: “Si prenderà in considerazione in Isola; 18 giugno 1797”. Il documento fa pensare che si tratti di una denuncia anonima recapitata ai vertici del Governo Provinciale nei primissimi giorni dell’occupazione austriaca, con lo scopo di far loro conoscere i motivi che li hanno causati e, in qualche modo, fornire una qualche giustificazione ai tragici fatti avvenuti dal 5 al 7 di giugno. Lo scritto, steso in buon italiano da persona istruita e ben informata sui meccanismi di funzionamento dei principali presidi cittadini, descrive in modo circostanziato tutta una serie di peculati e malversazioni messi in atto da alcuni notabili con l’appoggio interessato del podestà, sull’attività del fondaco e sulla gestione delle scuole private (confraternite) e della scuola pubblica. 366
Inizia ricordando che ad Isola tutta l’amministrazione pubblica è in mano ad un gruppo ristretto di persone, le quali anziché operare per il bene comune l’utilizzano solamente per l’arricchimento personale; denuncia una sottrazione di fondi dal bilancio del fondaco pari a 32.000 Lire, fatte sparire e presumibilmente finite nelle tasche di alcuni notabili che sono: Domenico Costanzo, Niccolò Drioli, “che in pochi anni e diventato uno dei migliori possidenti” d’Isola, Marco Lessi e suo figlio Antonio, il fonticaro Giacomo Pavanello, il sindico Bastian Carlin ed il podestà Niccolò Pizzamano. La posizione del podestà viene valutata in termini ancora peggiori, in quanto partecipa ai loro “maneggi” e si fa “ungere le mani” da loro, ma la sua colpa ancora più grave è quella di non aver mai fatto rispettare la “legge santissima” della contumacia115, cioè il rispetto, da parte di chi ha ricoperto una carica pubblica, di un periodo di tempo, stabilito dalla legge, senza incarico, prima di assumere di nuovo la stessa o altra carica concomitante o confliggente. La denuncia precisa e circostanziata è rivolta contro i detti notabili isolani definiti “sempre odiati dal popolo” che hanno costituito un monopolio del potere occupando, sempre gli stessi, gran parte delle cariche politiche e economiche cittadine e che, anziché operare nell’interesse della comunità, perseguono solo il fine dell’arricchimento personale, speculando sui beni pubblici. In particolare la nota si sofferma sulla gestione del Fondaco cittadino il quale, per definizione, non può presentare i conti in passivo, ed infatti fino a qualche tempo prima aveva presentato un avanzo di ben 72.000 Lire, importo ragguardevole in rapporto alle entrate cittadine, tanto che ben 18.000 Lire furono versate, per ordine dell’autorità di 115
Caratteristica essenziale del regime veneziano del governo centrale era la collegialità la quale, in certa misura, si ripeteva anche a livello locale; il Podestà invece veniva nominato ed era un organo monocratico. Tuttavia, per tutte le cariche pubbliche, sia collegiali che monocratiche, vigevano alcuni principi fondamentali che costituivano l’essenza dell’impegno pubblico, inteso non come riconoscimento personale di meriti per cui adeguato all’acquisizione di carica o di ruolo, ma come prestazione di servizio a vantaggio della comunità. Questi erano: la temporaneità di tutte le cariche pubbliche; la contumacia, cioè la non immediata rieleggibilità nella stessa carica pubblica appena conclusa e, ove non consentito, l’accumulo di più cariche pubbliche; la doverosità dell’accettazione della carica, il rifiuto era normalmente punito con pesanti sanzioni pecuniarie; ed altre ancora quali la pieggeria, cioè il vincolo di garanzia che doveva mantenere l’eventuale proponente sulle qualità del candidato proposto; il broglio o divieto di propaganda elettorale. Questi principi erano generalmente perseguiti con tenacia inflessibile. “Dal complesso dei quattro istituti (brevità e doverosità delle cariche,piegeria e divieto di propaganda elettorale) emerge nel costume politico e nella stessa mentalità corrente veneziani l’idea della carica pubblica come servizio, come naturale partecipazione del civis alla vita dello Stato” [e di quella della più ristretta Comunità di cui faceva parte]. I. Cacciavillani, Le leggi veneziane sul territorio 1471-1789, Padova 1984, p. 27.
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Venezia, alla sua Cassa centrale. Dopo questa operazione dovevano quindi restare nella cassa del Fondaco ancora la differenza, pari a 54.000 Lire, ma invece, ne sono rimaste solo 32.000 Lire, cosa non spiegabile se non con utilizzi impropri, visto che il bilancio del Fondaco non può chiudere in disavanzo, con il fondato sospetto che le 18.000 Lire mancanti siano finite nelle tasche delle persone citate. Tale gruppo di persone che “a lume sempre del vero non si può fare a meno di dire, che li sempre odiati dal Popolo furono e sono: il Sig.r Domenico Costanzo, e questi in capite, gli segue poi Niccolò Drioli, che in pochi anni senza altri ajuti che di tal monopolio, si fece uno de’ migliori possidenti di questa Terra, col solo sangue di questi miseri, vi segue poi Mattio, ed Antonio Figlio Lessi, Giacomo Pavanello, e Bastian Carlini ora Sindico: il sud.o Costanzo in questa fatal circostanza della terribile giornata della Popolare insurrezione, fù la principal causa le sudette aministrazioni, così ancora Niccolò Drioli, li quali sono li più terribili e li più stretti in amicizia, e per conseguenza raggirano gl’affari a loro capriccio, senza tema di cader nelle reti della Giustizia, perché perfino erano daccordo con li ministri Pubblici Raggionati, si a Capodistria che a Venezia, e ciò s’intende per il maneggio fondaco affare principal degl’altri. Cento modi inventarono per girar la ruota a suo favore”. Continua raccontando in quale modo il Costanzo ed il Drioli, in accordo con il fonticaro ed il podestà riescano a speculare sugli acquisti di grano, acquistandolo a prezzi maggiorati rispetto a quelli effettivamente pagati, e sulla vendita della farina, vendendola a prezzi più alti rispetto a quelli registrati, intascando loro le differenze con grande pregiudizio per la cittadinanza, proprietaria del Fondaco. Gli stessi infine utilizzano il Fondaco in modo improprio per propri fini personali, effettuando di nascosto e privatamente delle compravendite illegali di cereali, contravvenendo per questo all’obbligo di apertura del Fondaco stesso solamente in ore diurne, ma operando senza controllo in ore notturne con la compiacenza dei detentori e garanti delle tre chiavi: il fonticaro, il cassiere ed il podestà, i quali senza presenziare lasciano le chiavi, senza controllo ma in complicità, alle persone citate per l’utilizzo illegale del Fondaco per fini privati. Inoltre il Costanzo ed il Lessi approfittano delle loro posizioni nelle Scuole laiche e riescono a gestire i fondi delle stesse con l’unico scopo del loro interesse privato, il primo “come ragionato o contista” della Chiesa e della Comunità, il secondo come responsabile della Scuola della Beata vergine d’Alieto. Non mancano infine delle dure parole anche nei confronti della scuola pubblica e dei suoi rettori. Questo scritto porta qualche elemento in più sui motivi scatenanti,
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almeno nei confronti di qualcuno dei partecipanti al moto di popolo isolano in quanto formula delle accuse precise, suffragate con elementi di fatto verificabili, sullo stato di disagio e disapprovazione della politica e della conduzione della cosa pubblica cittadina. Inoltre segnala con indicazioni e riferimenti diretti le responsabilità ed i nomi dei responsabili. Volendola analizzare, tutta la vicenda si presenta in termini più complessi da quanto fino ad ora sia stata presentata, d’altro canto è logico sia stato così in quanto il fatto in se non riveste un’importanza tale da aver cambiato il corso della storia, neanche quella della provincia, pertanto non ha suscitato e giustificato ampi ed approfonditi dibattiti. Si è trattato tuttavia di un importante fatto di cronaca locale con riflessi e implicazioni regionali che è stato sempre presentato come emblematico dell’ attaccamento e fedeltà verso la Repubblica veneta e verso le sue istituzioni, e con esso dell’amore per i principi dell’autonomia e della libertà che essa rappresentava e che, implicitamente, lascia intendere e si lascia leggere come un primo atto di resistenza e di difesa dell’italianità di Isola e della sua Comunità, contro il paventato arrivo dell’occupatore straniero, l’Austria, contro la quale, durante tutto il risorgimento italiano, si susseguirà una lunga serie di moti irredentistici. Ed è innegabile che l’avvio dell’insurrezione abbia avuto, almeno nella maggior parte dei manifestanti, tale matrice, ma più ragionevolmente è da ritenere che tale fatto sia stato la scintilla, il detonatore di un’esplosione di rabbia a lungo covata. Altrettanto innegabile è che, paradossalmente, l’insurrezione isolana, esplosa spontanaemente contro la paventata invasione austriaca, abbia costituito, e come tale sia stata utilizzata, uno degli elementi che, assieme agli altri, ha contribuito a giustificare l’invasione stessa. Cerchiamo ora di rispondere a qualcuno dei vari quesiti che possono essere posti. Si è a lungo dibattuto se la rivolta d’Isola sia nata spontaneamente dal popolo isolano o se sia stata fomentata da elementi capodistriani. Per rispondere a questo quesito è necessario definire quali fossero gli argomenti sensibili che potevano influire o far presa sui cittadini. È stato già dimostrato che era ben nota, anche in periferia, quale fosse la situazione a Venezia e quali fossero le eventuali prospettive che si potevano prefigurare per l’Istria e per le sue comunità; l’alternativa era o costituire la municipalità oppure attendere gli eventi, che voleva dire o attendere l’arrivo
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dei francesi oppure, come già qualcuno ventilava, quello degli austriaci. Anche ad Isola e certamente molto di più a Capodistria di questo se ne parlava, tanto che la quasi totalità del partito dei nobili caldeggiava questa seconda soluzione, osteggiata da un altro partito i cui esponenti Franceschi e Bratti si erano già molto compromessi ben prima di diventare i leaders della rivolta capodistriana. Sicuramente anche una buona parte dei notabili isolani, in contatto con quelli capodistriani, caldeggiavano l’arrivo degli austriaci che davano una maggior garanzia di rispetto dell’assetto vigente nei ceti, nella proprietà e nei privilegi goduti. Quindi si può dare per assodato che, ci fossero o non ci fossero contatti, a livello più o meno importante con autorità o emissari austriaci, una buona parte dei ceti dominanti (nobili e notabili) di Capodistria e di riflesso anche d’Isola preferivano ed attendevano l’arrivo degli austriaci. Pertanto la voce sulla volontà di collaborazione con il futuro invasore o come scritto nelle sentenze “sparsasi una voce nella Terra d’Isola, che fosse stata introdotta la Bandiera imperiale, di cui venivano imputati autori li Sig. ri Pietro Besengo, Giuseppe Moratti, Domenico Costanzo, Nicolò Drioli, e l’Eg. D.r Parè, con l’intelligenza, ed assenso del fù Podestà Pizzamano” era veritiera ed è molto probabile, anche se ciò non ha molta importanza, che elementi capodistriani abbiano contribuito a spargere tale voce116. Si può anche immaginare che sia stato semplice far presa sul popolo presentando la cosa non come una scelta del male minore, cioè gli austriaci anziché i francesi, i quali anche ad Isola non avevano lasciato un buon ricordo per le requisizioni ed i metodi spicci e volitivi, ma come una partecipazione attiva dei notabili, ad assestare un colpo basso e mortale, alla Repubblica Serenissima, che però, in effetti, già non esisteva più. Pur vivendo momenti di grande incertezza e di vuoto istituzionale, il senso di appartenenza al corpo statuale della Serenissima è tuttavia molto radicato nella popolazione istriana, con un ampio consenso sia nei ceti dirigenti che nei ceti popolari, sentimento questo che trae origine nella fidelitas , nel patto cioè di dedizione con il quale il comune mantiene la sua autonomia, ma allo stesso tempo diventa, via via sempre più “dipendente dalla capitale, dai suoi uomini, dalle sue leggi, ma anche dai suoi aiuti sia in cereali sia sotto forma di protezione militare”117. Le singole “terre”, con le loro autonomie, fanno parte dello stato, ma percepiscono il loro ruolo e la loro collocazione nello stato quasi come fossero delle regioni “federate”. Venezia, la capitale dello stato, rappresenta un’entità amministrativa sovrastante, ma assolutamente complementare agli altri enti territoriali: provincia, comune, di cui lo stato si compone. Ogni Terra organizza la pro116 117
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Tra gli inquisiti per le manifestazioni di Isola si possono rilevare diversi capodistriani, alcuni per diretta dichiarazione, altri dalla verifica delle generalità. E. Ivetic, l’Istria moderna, cit., p. 32.
pria vita amministrativa in piena autonomia, i Comuni mantengono i loro statuti, la Repubblica li difende, garantisce loro giustizia ed imparzialità di giudizio anche nei contrasti con i ceti superiori, per cui anche le classi più umili si sentono protette e garantite contro lo strapotere e la prepotenza dei ricchi e dei potenti. È questo che spiega l’attaccamento del popolo a Venezia ed alle sue istituzioni. E sono queste certezze, queste garanzie che teme di perdere una buona parte di coloro che, ad Isola, vanno a manifestare in piazza davanti al municipio il 5 di giugno 1797, probabilmente non sapendo neanche contro chi vanno a manifestare; vogliono solo dimostrare il loro attaccamento alla Serenissima. Sono questi i giovani popolani isolani, coi i loro ideali freschi, semplici e spontanei; ciò si ricava da una parziale verifica degli anni di nascita degli imputati per i disordini cittadini, dalla quale emerge che una buona parte di loro risulta essere intorno ai vent’anni, o poco più, o poco meno. Un’altra parte del popolo che manifesta e che, come l’altra, si sente parte dello stato veneto ed è attaccata alla Serenissima, è quella composta da gente matura, che fatica tutto il giorno per sbarcare il lunario e per dar da mangiare alla famiglia, molto spesso poco e male, da coloro che sono costretti a praticare il contrabbando, a rischiare l’arresto ed il sequestro di quel poco che hanno, poiché il sistema economico non consente loro di guadagnare da vivere con il lavoro onesto118, da coloro che sono a conoscenza dei maneggi e degli imbrogli che vengono perpetrati dai notabili che gestiscono la politica e l’economia cittadina, dei quali si può, credibilmente, prendere atto dalla nota anonima pervenuta all’autorità di governo. Questa parte di popolo, certamente meno disincantata e più provata e colpita dagli eventi che scuotono lo stato, è insicura, incerta, vede svanire le poche certezze di cui dispone e che ha sempre avuto; non riesce ad immaginare un domani migliore, anzi teme il peggio, maggiori ristrettezze, la guerra, nuovi padroni, stenti, fame e disagi per la famiglia. In queste persone, magari rozze ma leali, il pensiero che qualche notabile, che oltre tutto ha creato le proprie fortune e ricchezze pescando nel torbido e sfruttando il loro lavoro, ritenga opportuno tradire la Repubblica, per il proprio tornaconto e per salvare le proprie ricchezze, proprio non va giù e li riempie d’ira, un’ira cattiva che li spinge fino agli eccessi di voler distruggere tutto ciò che questi “traditori” hanno accumulato. Non vogliono appropriarsi delle loro cose, non desiderano le loro ricchezze, delle quali non sono invidiosi, ma vogliono privarli di tutto quanto hanno acquisito 118
Il sistema prevede che tutti i prodotti per essere venduti debbano prima raggiungere la capitale, pagare i dazi, se sono dovuti, e quindi vendere là i prodotti o inoltrarli verso altre località, con tutte le diseconomie del caso. Molta offerta, prezzi bassi, deperibilità della merce, rendita di posizione della capitale, necessità di concludere velocemente per il produttore con conseguente scarsa forza contrattuale, dazi protettivi, ecc. ecc. : unico mezzo di difesa era il contrabbando!
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illecitamente e che, nel loro pensiero istintivo, non è di loro proprietà, ma appartiene alla comunità alla quale è stato illecitamente sottratto, ed ora la comunità rappresentata dai rivoltosi vuole riprendersi il maltolto e non potendolo utilizzare lo distrugge. Tra i manifestanti c’è pure una parte di notabili, infatti tra gli imputati spiccano ben 20 componenti il Consiglio cittadino e numerosi loro familiari. Anche tra questi c’è chi sente forte il legame con l’ormai caduta Repubblica, ed anche questi hanno cominciato a manifestare con lo stesso spirito ma, essi ritengono non giusto che solo una piccola parte dei notabili abbia ad essere preminente ed eserciti tutto o quasi tutto il potere cittadino. Per cui il loro disappunto si trasforma in ira contro il gruppo dei cospiratori e dei profittatori, ma lo spirito che li anima e l’ira che li domina hanno in parte motivazioni ed obiettivi diversi, in quanto sono spinti anche da invidia e rancore per non far parte del gruppetto dominante e tendono con la loro azione a sostituirsi loro acquisendo un maggiore ruolo ed un più ampio potere nella gestione politico economica della città. Ma perché tanto livore nei confronti del podestà? Come già detto il Podestà è il rappresentante della Dominante nel governo della città, rappresenta il vertice del potere politico cittadino, esercita assieme al Consiglio il potere esecutivo ed, assieme ai giudici, quello giurisdizionale; è un nobile veneziano ed è eletto dal Maggior Consiglio o dal Senato. Generalmente per la podestaria di una Terra, come Isola, il podestà veniva scelto tra i nobili Barnabotti119, i quali, salvo lodevoli eccezioni, non erano accreditati di grande stima da parte degli altri nobili veneziani, e non sempre lasciavano un buon ricordo nei comuni che avevano amministrato. Il Benussi non è molto tenero con loro, quando parla dei podestà chiamati a reggere le nostre città nell’ultimo secolo di vita della Serenissima, dice che “[…] le magistrature cittadine,” sono “affidate a persone non curanti che del proprio interesse personale”. 119
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“Veniva infine la terza classe dei patrizi, detta dei Barnabotti, tenuta a vile per la scarsezza o mancanza totale del censo, e cui tuttavia, benché fossero aperti impieghi anche di grande autorità, non si conferivano d’ordinario quelli, che sebbene più lucrativi, in compenso esigevano molte spese e sontuoso vivere, come di ambascerie, di generalati e baliaggi, e delle primarie cariche in Terraferma. Invidiosa quindi del fasto dei patrizii che vedeva fra le dovizie e nei piaceri, mentre ad essa gettavano come per carità una tenue annua pensione; scontenta perciò e sediziosa; ignorante per la maggior parte, avveniva che quelli tra essa a’ quali s’erano aperti i gratuiti posti dell’Accademia de’ nobili alla Giudecca … aspirassero a balzar di seggio coloro che negli eminenti posti poggiavano. Nel Maggior Consiglio, a cui tutt’i nobili avevano accesso, la classe de’ Barnabotti veniva a costituire la parte più turbolenta. S. Romanin, Storia di Venezia, vol. IX parte I, Venezia 1860, p. 7.
“I rettori mandati dal governo a reggere le singole città cercavano durante il loro reggimento di provvedere soprattutto al proprio tornaconto (Evviva el podestà novo, ch’el vecio gera un lovo, con questo grido il popolo salutava il nuovo podestà.); nel mentre il breve tempo che rimanevano in carica li assolveva da ogni responsabilità per quello ch’era succeduto prima o stava per succedere dopo il loro reggimento. Le magistrature cittadine alla lor volta, divenute quasi ereditarie in una ristretta e faziosa oligarchia, non avendo alcun freno nel rappresentante della Repubblica, potevano imporsi e spadroneggiare a loro talento. I popolani non tenevano che in poco o nessun conto questo rappresentante del potere centrale che non sapeva far rispettare né l’autorità propria, né quella delle leggi. Quando li fatti succedono a furor di popolo, niente può accadere era il principio fondamentale del diritto popolare al quale si appellavano per assicurarsi l’impunità”120. Ad Isola nel 1796 viene mandato da Venezia, a ricoprire la carica di podestà, Nicolò Pizzamano, uomo maturo ed esperto, ha 58 anni ed è quindi ormai verso la fine della sua carriera; a Isola ha già ricoperto tale incarico, per un mandato, all’inizio della sua carriera, negli anni 1766-67 121. Non siamo in possesso di documenti che consentano un giudizio sull’operato del Pizzamano nella sua veste di rappresentante del governo veneto, certamente c’è da ritenere che abbia svolto il suo mandato con l’impegno e la cura richiesti visti i ripetuti incarichi assegnatigli quale rettore in molte altre città. Ad Isola non rimangono tracce importanti del suo operato; resta soltanto il triste evento della sua tragica fine, sulla quale ha pesato in modo determinante l’incertezza e la brutalità dei tempi. Facendone un capro espiatorio di tutti i mali che venivano allora attribuiti alla classe dirigente della capitale per non aver saputo difendere la patria dallo straniero ed a quella locale per l’arroganza e la corruzione di cui era portatrice. Anche a non voler dare ad essa più valore di quello che ha, cioè di una denuncia anonima, su questa strada sembra portare la nota citata, la quale contiene 120 121
B. Benussi, L’Istria nei suoi due millenni di storia, Trieste 1924, p. 362. Nicolò Lorenzo, figlio di Zorzi Pizzamano del ramo di Santa Ternita, e di Virginia Dolfin di Agostino, era nato a Verona il 13 aprile 1739 (Venezia, Archivio di Stato, nas. XIV 285 t. ). Nel 1760, sposa Santa Teresa Querini di Benedetto Giorgi. Nel 1764-66 podestà di Murano, nel 1767 podestà a Isola; nel1768 nasce il figlio Zorzi Gio. Batta (Venezia, Archivio di Stato, nas. XIV 263); nel 1770 podestà a Caneva; nel 1778 nasce il figlio Agostino Nicolò (Venezia, Archivio di Stato, nas. XIV 265); nel 1783 podestà di Cittadella; nel 1788-89 e nel 1791 podestà di Monselice, nel 1797 podestà a Isola dove morì ucciso. Si può immaginare quali e quanti dubbi lo abbiano travagliato durante gli ultimi mesi della sua reggenza, quando mancavano le direttive dalla capitale ed ognuno lasciato in balia di se stesso doveva operare delle scelte che comunque alla resa dei conti si sarebbero dimostrate sbagliate.
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dei riferimenti precisi anche sull’attività illecita del podestà: il non rispetto della contumacia, la messa a disposizione delle chiavi del fondaco, la partecipazione e l’acquiescenza colpevole alle malefatte del gruppo di potere cittadino. Negli atti del tribunale non si rinviene traccia o riferimento a questo documento, ma che esso sia stato preso in considerazione può sembrare plausibile, se messo in relazione con l’esiguità delle pene comminate a tutti i manifestanti (praticamente solamente la rifusione del danno ai danneggiati), una pena esemplare agli assassini (ma solo in via formale in quanto, come risulta dai documenti, tale pena è da considerarsi sospesa in attesa di ordini superiori) ed infine un assoluto silenzio sul podestà assassinato, per il quale non viene spesa non una parola di elogio, ne di rimpianto, ne di dolore, e nemmeno di conforto alla famiglia; si può quasi dire, nemmeno di esecrazione dell’atto e dei colpevoli. Ma quale grave reato e quale grave colpa la folla, o meglio la sua parte più scalmanata, e gli assassini possono aver addebitato, nella loro follia omicida, a questo povero uomo, ormai avanti con gli anni e senza alcuna possibilità di difesa, che giustificasse tanto odio e tanta crudeltà con i quali è stato attuato il linciaggio, così iniquo e crudele, sia per le modalità che per la sequenza con le quali è avvenuto: il pestaggio in casa, la fuga costellata di pugni da parte di numerosi rivoltosi, le continue botte con il fucile da parte del d’Udine, le cadute, lo sfinimento e la richiesta di pietà non ascoltata, la fucilata omicida del Perentin e lo scempio sul corpo ancora caldo da parte del Mandich e forse altri sfregi ancora, dai presenti. Volendo azzardare una risposta si può pensare che più di qualcuno dei rivoltosi istigasse la folla addebitando al podestà tutte le malefatte delle quali, in quel periodo, veniva fatto carico ai notabili cittadini: la simpatia verso gli austriaci in vista di una loro invasione, i peculati e le irregolarità nella gestione della cosa pubblica, le malversazioni e le prepotenze perpetrate dai più ricchi e potenti. La folla accogliendo, in maniera più o meno cosciente, come vere tali provocazioni si è sentita tradita proprio da colui che doveva essere il garante della giustizia, da colui che tradizionalmente doveva difendere i più deboli dallo strapotere e dalla prepotenza dei più forti e più potenti, da colui che doveva essere il custode e garante, in nome di tutta la comunità, del rispetto degli statuti e delle consuetudini locali, da colui che doveva perseguire il bene di tutti i cittadini, ed istintivamente lo giudica con estremo rigore in quanto ritiene che non possano esistere colpe più gravi di quel tradimento. Ma molto probabilmente, su questo tragico evento, l’effetto psicologico ha giocato la carta più importante; la folla che in casi come questo assume una sua propria personalità, un suo carattere ed una sua volontà, diversi e indipendenti da quelli di ogni singolo suo componente, ha trovato nell’istigazione al protagonismo di qualcuno e nello spirito di emulazione di qualcun altro, un’esaltazione autoalimentata che ha reso ineluttabile la tragica conclusione. 374
Gli effetti della rivolta Conclusi i processi ed approvate le sentenze, le stesse vengono pubblicate e rese esecutive nei confronti di tutti gli imputati condannati e presenti in loco. Dei due condannati principali Giovanni d’Udine e Bastiano Perentin, gli assassini del podestà, fuggiti da Isola subito dopo l’omicidio e processati in contumacia, non si sa più nulla, non risultano più ritornati in patria e le loro tracce si perdono del tutto122. Non ci è dato sapere se le forche, così enfaticamente previste dalla sentenza, siano state effettivamente erette e, in tal caso, per quanto tempo abbiano fatto la loro mostra nella piazza di Isola e quali reazioni abbiano suscitato; di tale fatto non si riscontra, almeno a conoscenza di chi scrive, alcun riferimento né in documenti ufficiali e neppure nelle cronache dell’epoca, il che fa dubitare sulla loro effettiva costruzione. Degli altri due imputati principali, Zorzi Mandich e Giusepe Cherbaucich, già detenuti in carcere durante il processo e condannati a cinque anni di lavori forzati, si ritiene scontino completamente la loro pena detentiva. Si arguisce ciò da alcuni documenti del 1801 comprovanti, mediante plurime testimonianze, che le famiglie dei detenuti Carboncich (=Cherboncich) e Mandich, versano in “notoria indigenza e miseria”, per cui “incapaci appunto a supplire neppure un quadrante delle spese occorse al fermo dei condannati”123. Gli altri condannati, tutti condonati delle pene detentive, a condizione di un sollecito pagamento delle sanzioni pecuniarie, assolvono il loro debito con la giustizia. Per uno soltanto di loro c’è un breve ulteriore strascico giudiziario, quello nei confronti di Zuanne Carboncich detto Rosadel, condannato a 6 mesi di carcere, condonati, ed al pagamento di 2.100 Lire, l’importo più elevato fra tutti quelli dei processati e ritenuti colpevoli per i danni alle abitazioni, in quanto la di lui moglie, Angela, oppone ricorso al Regio Tribunale Revisorio di Venezia, contro la sentenza del Tribunale di seconda istanza di Capodistria. Tale ricorso viene ritenuto mendace e poco rispettoso nei confronti della giustizia e pertanto rigettato con il suggerimento di non lasciare passare sotto silenzio tale riprovevole comportamento, cosa che verrà effettuata. Infatti il Tribunale di Isola viene incaricato di requisire e contemporaneamente “di chiamare a se la detta Angela Carboncich, rimproverandola del suo contegno usato in questa circostanza, e 122 123
Probabilmente una più approfondita ricerca, estesa anche ad altri archivi e ad altri membri della famiglia potrebbe forse far conoscere per lo meno quando e dove si siano rifugiati ed abbiano concluso la loro esistenza. AST, G. P., A. A. I., B. 9, ff. 703-710, V. Appendice.
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facendogli comprendere la publica disapprovazione alle introdotte falsità nel suo memoriale, che gli viene licenziato, ed annullato, perché abbiano luogo gli effetti di giudizio”124. Gli effetti della rivolta non si fermano a quelli riscontrati nei confronti degli imputati e condannati nei processi, ma si riverbera su tutta la popolazione che viene guardata dalle nuove autorità con occhio ostile,sospettoso, segnato da una vena di palpabile sfiducia, in quanto ritenuta nel suo complesso ribelle, rivoltosa, poco incline al rispetto delle leggi e universalmente portata a contrastare l’autorità costituita ed i suoi organi direzionali. Probabilmente disturbano anche l’attaccamento alla Serenissima e l’ostilità all’invasione austriaca, dimostrati dal popolo all’atto della rivolta. Viene coniato anche il detto: “isolan, ‘mazza podestà”, isolano, assassino di podestà. Questo atteggiamento sospettoso si manifesta immediatamente e fa quasi subito sentire i propri effetti non solo nei confronti del popolo minuto, con i ripetuti interrogatori e la continua ricerca di riconoscimenti e prove a carico dei dimostranti, di fatto coinvolgendo una buona parte della cittadinanza, ma anche nei confronti dei notabili e del clero. Come detto, il Consiglio cittadino è già stato azzerato all’atto dell’occupazione e le sue attribuzioni sono state ripartite fra la Superiorità locale e l’Autorità di Governo di Capodistria. Per antico privilegio, tra le attribuzioni del Consiglio di Isola, c’è pure quella della nomina del Parroco e dei Canonici del Capitolo isolano; con provvedimento ad hoc il capo del governo provinciale stabilisce che durante il periodo di vacanza del Consiglio tali nomine siano fatte dal Capitolo stesso. A novembre del ’97 il Capitolo nomina canonico il sacerdote isolano, don Girolamo de Grassi, quello stesso che, durante le manifestazioni di piazza del 7 giugno, aveva confortato e difeso i notabili fatti inginocchiare in piazza sotto minaccia di morte, e che successivamente aveva salvato, con la propria testimonianza, uno degli inquisiti. La sua nomina non diventa esecutiva, ma subisce una serie di sospensioni e rallentamenti provocati dall’autorità civile che, come si può verificare da quella parte degli atti a disposizione, lascia chiaramente intendere un marcato spirito di sospetto e di scarsa fiducia verso l’operato del Capitolo e dei cittadini isolani nel loro complesso125. Questo stato di cose prosegue nel tempo, la vita cittadina tutta resta a lungo scossa da quel tragico evento che la comunità non riesce ancora a spiegare e, meno che meno, in alcun modo superare. Si evita di parlarne, 124 125
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AST, G. P., A. A. I., B. 2, ff. 58 e 60, V. Appendice. AST, G. P., A. A. I., B. 2, ff. 756-757; B. 9, ff. 235, 242. V. Appendice.
ma è sempre presente in tutti e diventa una tacita presenza in ogni rapporto ed in ogni conversazione. Anche i singoli rapporti interpersonali sono pervasi da questo fatto, le molte testimonianze in accusa o in difesa di uno o dell’altro concittadino, date anche in buonafede, creano una fitta rete di dissapori, di discordie, persino di astio ed odio che neanche dopo generazioni sarà totalmente superato. Ne vanno soggetti tutti, indipendentemente dal ceto di appartenenza. Sono anni difficili che mettono a dura prova i sentimenti e l’autostima dei singoli e lo spirito di appartenenza e l’orgoglio cittadino, ci si racchiude in se stessi e si riversano tutte le proprie energie nel lavoro e nella famiglia. Finalmente dopo quasi tre anni qualcosa si muove; il Governo provinciale di Capodistria, a seguito di proprio decreto del 1 gennaio 1800, chiede alla Superiorità locale di Isola l’elenco dei notabili facenti parte del Consiglio Cittadino all’atto dell’insurrezione del 1797. La finalità è quella di renderli ineleggibili a vita nel nuovo Consiglio Civico di cui si preannuncia la prossima istituzione. Si tratta di un provvedimento di grande importanza cittadina, in quanto attesta che finalmente viene riconosciuta la maturità cittadina ad autogovernarsi, facendo cadere quelle pregiudiziali negative che, per tutto questo periodo, avevano condizionato la vita comunitaria. Tuttavia, per doveroso senso di giustizia e per rispetto alle caratteristiche etiche e morali che devono essere insite in chi ritiene di poter essere degno rappresentante della comunità, il decreto prescrive che vengano esclusi a vita, dalla possibilità di essere candidati ed eletti, tutti gli ex membri del vecchio Consiglio che siano stati imputati e condannati a seguito dell’insurrezione popolare del giugno 1797 126. Il Superiore locale, ottempera a quanto richiesto e finalmente il nuovo Consiglio Civico si ricompone; è molto più contenuto nel numero, sono solo 15 i consiglieri, in quanto, pur mantenendo la vecchia logica statutaria, per potervi far parte è richiesto di sapere leggere e scrivere, restano comunque esclusi i condannati già citati. Il 13 di marzo 1800, il Consiglio si riunisce per la prima volta per eleggere le varie cariche cittadine127. Inizia per Isola una nuova era, ma il segno delle tragiche giornate sarà ancora tacitamente presente per lungo tempo, fino a che non sarà volutamente portarto all’oblio, tanto da far dimenticare anche la realtà dei fatti e, come abbiamo visto, alimentare delle fantasiose ricostruzioni.
126 127
AST, G. P., A. A. I., B. 47, ff. 427-432, V. Appendice. AST, G. P., A. A. I., B. 47, ff. 498-502, V. Appendice.
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Appendici
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1 – Documenti inerenti alle requisizioni effettuate dalle truppe francesi. 2 – La fine della Serenissima in Istria. 3 – I fatti d’Isola negli scritti precedenti. 4 – Documenti inerenti ai processi. 5 – Altri documenti riguardanti i fatti d’Isola.
Abbreviazioni AAI
Fondo “Atti amministrativi dell’Istria”.
AST
Archivio di Stato di Trieste.
B.
Busta.
f., ff. Foglio, fogli. G. P. Governo Provvisorio (1797-1805).
Nota Tutti i documenti trascritti provengono dal Fondo “Governo Provvisorio - Atti amministrativi dell’Istria” conservato presso l’Archivio di Stato di Trieste che ringrazio per la disponibilità e la gentile collaborazione. Tutti i testi sono trascritti integralmente, senza correzioni d’interpunzione, ortografia ed uso delle lettere maiuscole. Le eventuali note aggiuntive di commento, sono scritte in carattere corsivo.
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1. Requisizioni francesi a Isola e in Istria. Documenti inerenti alle requisizioni effettuate a Isola dalle truppe francesi.
Come si apprende dalla corrispondenza intercorsa nel mese di luglio 1797 fra le varie comunità interessate ed il Consigliere di Governo Filippo di Roth, le requisizioni francesi in Istria vennero effettuale nella seconda metà del mese si maggio, furono confiscati: buoi, avene, farine, fieno e legna. Le località coinvolte nelle requisizioni furono: Capodistria per £. 14. 310, Pirano per £. 4. 634, Umago per £. 2. 636, Isola per £. 1. 788, Muggia per £. 1. 361, per un totale di £. 24. 7. 29. (AST, AAI, B. 1, ff. 212, 261-262, 291-303). Più volte, durante i due mesi di occupazione militare francese di Trieste, dal 23 marzo al 23 maggio 1797, i soldati di quell’esercito fecero delle incursioni nel territorio veneto dell’Istria, violando così la sovranità territoriale della Repubblica veneta. Numerose furono senza dubbio quelle destinate al procacciamento dei mezzi di sussistenza di cui abbisognava la truppa di stanza a Trieste, e che la città, sin dalla fine di aprile, non riusciva più a fornire, in quanto “tribolata come già era da continue e gravose requisizioni per le truppe francesi di passaggio”, e pressata dall’”agente militare Hamelin, cui molto premeva di riscuotere il resto della famosa contribuzione”128 di tre milioni di lire imposta da Napoleone. Le cose peggiorarono nel mese di maggio quando “il giorno 2 giunse a Trieste il maggior generale austriaco conte Massimiliano Merveldt, per curare vi fossero applicate le clausole militari contenute nei preliminari di Leoben, di fresco ratificati dall’Austria, e soprattutto per far si che dalla data della loro firma in poi i Francesi si astenessero da nuove requisizioni e non confiscassero più le pubbliche rendite. Non poté egli tuttavia impedire che un grosso corpo di truppe francesi, reduce dai paesi alpini dell’Austria si acquartierasse per alcuni giorni nella città a spese del Comune”129. Sembra quindi che per ridurre la loro pressione su Trieste i Francesi rivolsero maggiori attenzioni verso le città istriane della costa, le quali 128 129
G. Quarantotti, op. cit., p. 59. Ibidem, p. 63.
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videro proprio nel mese di maggio intensificarsi la presenza francese nelle loro terre, ed aumentare la richiesta di vettovaglie e beni di sussistenza. Anche Isola fu soggetta alle requisizioni francesi e conobbe l’insistenza e la boria dei soldati di Napoleone. A Isola fu prelevato soltanto del fieno, forse i militari, considerata la povertà del luogo non vollero infierire, oppure gli isolani furono tanto abili da non far trovare il loro vino, che, se assaggiato, sarebbe stato senz’altro requisito, vista la sua rinomata bontà. Ad ogni prelievo veniva rilasciata regolare ricevuta contenente tutti gli elementi identificativi necessari: di chi requisiva, di chi subiva la requisizione e della qualità e quantità della merce requisita. Le requisizioni interessarono ad Isola solamente nove agricoltori o piccoli possidenti, ciascuno per una quantità diversa, variabile dai 10 ai 40 quintali; essi furono: Pietro de Grassi fu Giovanni, Almerigo Parma, Domenico Civran, Tomaso de Lise, Marco Perentin, Francesco Chico, Niccolò de Grassi, Giovanni Castro ed il Nobile Signor Besengo. Come si può rilevare dalle ricevute firmate e pervenute fino a noi, tutte le requisizioni avvennero nella seconda quindicina di maggio, la prima porta la data del 15 maggio (25 floreal, an 5. m de la Rep. que) e l’ultima del 23 maggio (3 Prairial An 5. m)130, cioè del giorno stesso in cui i francesi lasciarono Trieste (nella notte fra il 23 e 24 maggio), facendo quindi gli ultimi rifornimenti per il viaggio. Dopo l’occupazione austriaca dell’Istria il problema del danno subito dalle popolazioni rivierasche tornò d’attualità ed il Governo, probabilmente sollecitato dalle Comunità che avevano subito i danni, dopo qualche mese dal suo insediamento mise mano alla questione con l’intento di concluderla con una soluzione equa e definitiva. Il Consigliere Roth chiede, con suoi decreti del 30 settembre 1797, al Tribunale di 2. a Istanza di Capodistria di raccogliere “un esatto e preciso dettaglio del quantitativo, ed apprezzo” di quanto era stato fornito dalle varie Comunità, di allegare le “note dei generi, e spese occorse nei trasporti”, e di “proporre quali mezzi potrebbe adoprare per risarcire, con equa distributiva, il peso dell’indenizzazione delle rispettive Casse delle Comunità contribuenti”. (AST, AAI, B. 1, ff. 261-262) 130
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Secondo il nuovo calendario della Francia rivoluzionaria, entrato in vigore dal 22 settembre 1792, l’anno incominciava proprio dal 22 settembre e finiva il 21 settembre dell’anno successivo, e così l’anno primo finiva il 21settembre 1793, il secondo il 21 settembre 1794, ecc., per cui l’anno quinto finiva il 21 settembre 1797; i mesi erano 12 ed erano tutti composti da 30 giorni e partivano dall’equinozio d’autunno; il mese floreal andava dal 20 aprile al 19 maggio, ed il prairal dal 20 maggio al 18 giugno.
Il Tribunale di Capodistria si rivolge immediatamente alle Comunità interessate ed Isola sollecitamente il 6 ottobre, risponde per il tramite del suo Giudice Dirigente, Gianpietro Antonio de Besengo degli Ughi, allegando quanto richiesto specificando che i proprietari da indennizzare erano già stati risarciti, in via provvisoria, con la cassa del Fondaco cittadino, riconoscendo loro un prezzo di 6 Lire a quintale di fieno, mentre il prezzo allora corrente era di 10 Lire a quintale, facendo riserva di risarcire pure la differenza, considerato che il prezzo medio fissato al Fondaco era di 10 Lire; viene pure fatta riserva che anche la spesa sostenuta dalla Cassa comunale venga risarcita. (AST, AAI, B. 1, ff. 291-303) Il 6 dicembre il Tribunale di Capodistria risponde al Governo quanto richiesto, comunicando che la somma complessiva da indennizzare ammonta a Lire 25.729,19.-, e suggerisce di suddividere la spesa da indennizzare fra tutte le Comunità della Provincia e propone di “fissare un gettito proporzionato sopra tutti li possidenti e mercadanti … sembrando, che se questa spesa è stata riconosciuta di una indispensabile necessità a preservare l’intera Provincia dalla minacciata invasione dei Francesi, così non abbia ad essere pur anche discaro alli Possidenti e Mercadanti, che hanno preservate intatte le loro sostanze, di fare una piccola contribuzione a sollievo ben giusto delle poche comunità, che s’attrovano tuttavia nell’esborso di tutte le sopradette contribuzioni”. Allega il conteggio della requisizioni effettuate e l’ipotesi di sua ripartizione, con la quota di contribuzione, di ogni singola comunità. (AST, AAI, B. 1, f. 302) Il 19 dicembre il Governo Provvisorio, a firma di Roth, comunica con due lettere separate al Tribunale di Capodistria ed a quello d’Isola le quote che saranno a loro carico per effetto della ripartizione sopra citata, cioè £. 3.002, per la prima e £. 1.202 per la seconda, ricordando che tali importi dovranno essere suddivisi, a cura dei Tribunali locali, fra i possidenti ed i mercanti; fa presente inoltre che in seguito saranno pure rifuse tutte le spese sostenute dal Comune per questa vicenda. (AST, AAI, B. 1, ff. 212, 225) La vicenda non si risolse subito ma ci volle qualche anno per concluderla in quanto alcune comunità contestavano i criteri adottati e non volevano pagare le quote a loro carico.
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(AST, AAI, B. 1, ff. 291-303) Per il Ces. Regio Trib. Pr.o Politico Economico Isola 6. 8bre 1797 Alberto Gerolamo Borsetti Seg. rio Inclito Ces.o Regio Tribunale di 2da Ist. a Politico Economico di Capod. a Pronto questo Tribunal Provvisorio agli ordini del rispettato decreto dell’Inclito Cesareo Regio Governo, e delle insinuazioni derivategli da Cod.o Inclito Ces.o Regio Tribunale Politico, ed Economico di 2da Ist. a si è data tutta la sollecitudine per ottenere l’esatto , e preciso dettaglio delli generi colli prezzi identifici, che da questo Comune furono sin d’allora contribuiti alla requisizione del generale dell’armata Francese in Trieste e suo agente Militare, il qual dettaglio circostanziato sopra si trasmette a scopo dell’indicata Commissione. Come che però dall’ex Carica di Capodistria fino a quel tempo fu autorizato il pagamento de generi stessi da qualunque cassa Publica possidente onde salvare in ogni forma le private proprietà dei Sudditi, così da questo Ministro Scontro del Fontico viense presa la nota de rispettivi Creditori e delle relative quietanze Francesi, le quali per il saccheggio accaduto alla di lui Casa per parte dei Facin. si insorgenti, sonosi più quietanze smarrite, e furono anche lacerate, di modo che si spediscono tutte quelle, che con diligenza ci è potuto di rinvenire. I pagamenti perciò furon fatti col capiente di questo Fondaco, e si è cercato colle possibili maniere di acquietare li Creditori al prezzo di £ 6 al % dei Fieni, come dalla Nota, quando in quel tempo correva il prezzo del detto genere comunemente a £ 10, e si è fatta una riserva per i Creditori med. mi in capo del risarcimento, tanto più, che il prezzo med.o era già stato fissato alle £ 10 sud. e relativamente agli ordini dell’ex carica indicata. Si fece pure anche l’altra riserva di rendere indennizata, e rimessa la Cassa del luoco Pio per le summe dovute sborsare nei pagamenti incontrati. Isola li 6, 8bre 1797
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Gianpietro Ant.o de Besengo degli Ughi Giudice Dirigente
Nota Allegata alla lettera precedente.
(B. 1, f. 292. ) Nota di fieno dovuto somministrarsi dà questa Com. tà di Isola in ord. e a Lettere dell’ex Pod. à Cap.o di Capod. a; giuste ricevute dell’Agente Hamelin Division Gen. Bernadotte nel Quartier Generale in Trieste e di Spese occorse per la Condotta dei medesimi come segue. pp. Fieno Pietro de Grassi q.m Z. ne
tt. e
1. 917 £
115,2
Almerigo Parma
tt. e
1. 377 £
82,12
Dom. co Civran
tt. e
1. 113 £
66,15
Tomaso de Lise
tt. e
3. 312 £
192,15
Marco Perentin
tt. e
3. 942 £
236,7
Fran. co Chico
tt. e
2. 400 £
144,-
Nob. S. n Besengo
tt. e
2. 436 £
180,-
Niccolò de Grassi
tt. e
3. 940 £
235,11
Z. ne Castro
tt. e
3. 200 £
180,-
pp. Polizza a Giugno al Com. n
£
6,-
pp. Bollettini e Mandati
£
21,12
pp. pagati al S. n Sindico
£
154,-
pp. simili ad sud. ti
£
86,2
pp. Polizza 20 maggio
£
12,-
pp. Polizza 3 Giugno
£
15,-
pp. detta 2 detto
£
23,7
pp. detta 3 detto
£
25,-
pp. simile 14 detto
£
12,-
----------------------
£
Summa
1. 788, 3
Io D. co Costanzo ProvD.r Scontro di questo Fontico ho tratto la pre. te nota dalla Polizza de rispettivi Creditori li quali vennero soddisfatti col denaro della Cassa Fontico, in ord. e alla Lettera enunciante del ex Pod. à e Cap.o di Capod. a.
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Altra importante nota allegata alla lettera precedente che si compone di un foglio doppio dal quale risultano, per valore, il totale delle requisizioni effettuate in Istria in quella tornata, e la ripartizione della spesa, per solidarietà, fra le varie Comunità. Foglio che comprende l’importo de Generi, e spese indispensabili per la loro spedizione, consistenti in Bovi, Avene, Farine, Vino, Fieno, e Legna ricercati, accordati , ed inoltrati dai Luoghi infrascritti all’Armata Francese nel mentre, che la medesima si ritrovava in Trieste, come pure l’intiera Quota, che dovrà essere riscossa, nei qui sotto indicati Luoghi della Provincia dell’Istria con proporzionato riparto, dalli rispettivi possidenti Beni, e Mercadanti per il reintegro delle Casse di quelle Comunità, che tutt’ora sono in esborso anco per la somministrazione di Sotto avvanzate a questa parte, e che per la loro reale impotenza devono essere saldate come segue. Importo Sudetto Supplito dai Luoghi come sopra. Capodistria come da conto prodotto £ 14. 309,9 Pirano come sopra £ 4. 634,Umago come sopra £ 2. 636,10 Isola come sopra £ 1. 788,3 Muggia come sopra £ 1. 361,17 -------------------- Summa £ 24. 729,19 ============= La Città di Capo d’Istria è stata in q. to incontro suffragata dalle descritte Comunità della Prov. a delle seguenti somme in danaro da essere dalle med. me nel rispettivo reparto trattenute giusto redeintegro della loro Cassa. La Città di Pola Cittanova Umago Albona Visinada Portole Orsera Degnano Due Castelli
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£ 180 £ 860 £ 100 £ 240 £ 120 £ 180 £ 600 £ 300 £ 300 -------------£ 2. 880
Comparto delle Spese che devono essere contate come sopra. Capodistria e suo distretto Isola Pirano Umago Buje Portole Cittanova Parenzo S. Lorenzo Orsera Rovigno Pola Degnano Due Castelli Barbana S. Vincenti Piemonte Visinada Gieroldia Leme S. Gio. della Cornetta Pietra Pelosa Racizze Momiano Fontane Grisignana Valle Albona Montona Pinguente Muggia Suma
£ 3. 002 “ 1. 202 “ 3. 704 “ 951 “ 702 “ 652 “ 783 “ 1. 203 “ 602 “ 401 “ 2. 504 “ 901,10 “ 601 “ 401 “ 300 “ 350, 7 “ 300 “ 300 “ 250,2 “ 100 “ 250 “ 500 “ 80 “ 450 “ 80 “ 400 “ 450 “ 500 “ 760 “ 1. 100 “ 950 -----------------£ 24. 729,19 ===========
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Seguono allegate numerose ricevute delle merci requisite; sono scritte in francese e portano all’intestazione: “Armée d’Italie – Division de Bernadotte – Magasin de Trieste”, sono indicate le merci requisite e le loro quantità nonché i nomi dei proprietari delle merci stesse. Le date sono indicate con i nomi dei mesi modificati dopo la rivoluzione p. e”.floreal”, “prairial”.
Esempio di ricevuta.
(B. 1, f. 294. ) Armée d’Italie Je Soussigné G. rd Mag. r des fourrages de la Div. n Bernadotte reconnais avoir recu de Pierre de Pace D’Isola D’Istrie état de Venise la quantité de mille neuf cents livres de foin pour le service le la d. n Bernadotte, n soin de quoi. Trieste le 1 prairal an 5. m Rep. Firma
Lettera con la quale il Tribunale di seconda istanza di Capodistria comunica al Roth l’ipotesi di riparto dell’onere delle requisizioni fra i paesi dell’Istria. (AST, AAI, B. 1, ff. 262-263) All’Incl. Ces. Reg. Provis.o Governo dell’Istria. Il Trib. e Prov.o di 2da ist. a: umilia il dettaglio della requisiz. ne imposta sopra q. ta Provincia dal Generale dell’Armata Francese in allora in Trieste coll’a prezzo di tutto ciò che in linea dalla med. a è stato somministrato dalle Com. tà di Capodistria, Isola, Pirano, Umago e Muggia; col suo buon parere sopra l’indenizzazione delle casse delle medesime.
388
Incl. Ces. Reg. Provis. Gov. dell’Istria Col Venerato decreto di quest’Incl. Ces. R. Governo 30. 7mbre, ricevuto lì 12. 8bre, ultimo decorso atti N. 1432 e 1447, fù incaricata l’ubbidinza di questo Trib. e a raccogliere da tutte quelle Com. tà, che sotto il passato Veneto Governo sono state obbligate a somministrare generi alla requisizione imposta sopra questa Provincia dal Generale dell’Armata Francese in allora a Trieste, un esatto e preciso dettagli del quantitativo, ed apprezzo rispettivamente di tutto ciò che in linea di questa tale contribuzione è stato effettivamente somministrato dalle Comunità di Capodistria, Isola, Pirano, Umago e Muggia, non che da quelle, che in luogo de’ generi contribuirono a questa Comunità danaro, cioè Cittanova, Orsera, due Castelli, Degnano, Pola, Albona, Visinada e Portole. Raccolte tutte le accennate note dei generi, e spese occorse nei trasporti delle medesime dalle rispettive Comunità, che ascendono alla somma di £ 24. 729, 19; si fa un pregio questo Trib. di assoggettarle ai riflessi di questo Ces.o R. G. con tutti què certificati, che furono possibile di poter ritrarre in quelle confusioni dai comandanti della armata Francese. Riguardo poi all’incarico di proporre quali mezzi potrebbe adoprare per risarcire, con equa distributiva, il peso dell’indenizzazione delle rispettive Casse delle Comunità contribuenti, non trova altro espediente que.o divoto Trib. e per reintegrare le Casse med. e, che di fissare un gettito proporzionato sopra tutti li Possidenti, e mercadanti, giusto il Comparto delle rispettive summe assegnate per espropriazione a cad. a Comunità della Provincia, che sono descritte nell’inserto Foglio, che si umilia alla sapienza dell’Inc. C. R. G., sembrando, che se questa spesa è stata riconosciuta di una indispensabile necessità a preservare l’intera Provincia dalla minacciata invasione dei Francesi, così non abbia ad essere pur anche discaro alli Possidenti, e Mercadanti, che hanno preservate intatte le loro sostanze, di fare una piccola contribuzione a sollievo ben giusto delle poche comunità, che s’attrovano tuttavia nell’esborso di tutte le sopradette contribuzioni. Lo stato di ristrettezza nel quale si ritrovano presso che tutte le casse delle Comunità della Provincia, rendendo difficile in esecuzione ed in effetto il riparto, che sopra di esse far si volesse di q. sto peso, suggerisce il ripiego, che sembra più adattabile alle circostanze presenti quale è q. llo di obbligare le due Classi di possid. ti, e mercadanti, a supplire ripartitam. te al soprad.o incontrato dispendio. Sarà della sapienza Superiore di q. to Trib. e a cui non resta che l’onore di venerare le provvide sue deliberazioni. Capodistria, 6. Xbre. 1797
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Risposta del Roth al Tribunale di seconda istanza. (AST, AAI, B. 1, f. 212. )
Al Tribunale Provvisionale di seconda istanza di Capodistria. Versando questo Governo, dietro l’esame del rapporto di esso Tribunale 6, perv. 7 corrente, con i più serj riflessi, per rinvenire il modo più facile da riuscire con un addatata indenizazione verso la cassa di questa Comunità, e delle Terre di Pirano, Umago, Isola e Muggia, che si trovano esposte col riflessibile esborso si £ 24. 729;19, incontrato per altri tanti generi somministrati all’armata Francese nel momento, che si trovava a Trieste, dietro le replicate ricerche violenti di quei Generali, e col solo oggetto di salvare l’intiera Provincia dalla invasione, che fù più volte minacciata, se non fosse stato supplito alle ricerche medesime; però giusto riconoscendo, che ripartitamente siano divisi i pesi di tali contribuzioni, sopra tutte le rispettive Comunità della Provincia, come quelle che sono fate col mezzo delle contribuzioni medesime salvate e dall’invasione Francese e da maggiori discapiti, si approva per conseguenza il riparto di esso Tribunale, e per l’effetto che possa conseguire la sua esecuzione, importando sommamente di aver la vista della massima cautela, a quella ancora della preavertenza politica, onde rendere capaci li sudditi di prestarsi alla dovuta indenizazione, si lusinga il Governo, che appoggiando, ad esso Tribunale, per questa città il pensiero dell’esazione da ripetersi, di £ 3. 002, sopra gli Benestanti, che possiedono e Bottegaj d’Industria, secondo li rispettivi possedimenti, saranno dalla diligenza sua conciliati tutti quei riguardi, perché concorrano di propria volontà esse due classi di persone a pagare l’imposta di dette £ 3. 002, quali esatte e conseguite che saranno dovranno essere depositate, da esso Tribunale, nella Camera Fiscale , da dove qualora dagli altri luoghi della Provincia saranno eseguiti li contamenti si verzerà poi per rifondere le rispettive casse, che sono in esborso; Usando esso Tribunale, di una circospetta desperità e presumibile, che riconoscer possa e nei Benestanti e nei Bottegaj uno spirito patrio, ad una immediata conoscenza di supplire ad una contribuzione che ripartita sopra la massa dei possidenti e dell’ind. non può ne deve essere sensibile troppo per i particolari. Capo d’Istria, 19 decembre 1797
390
Scrib. Rotth
Lettera del Roth al Tribunale di Isola. (AST, AAI, B. 1, ff. 225-226. )
Al Tribunale Provvisionale di Isola. Giusto essendo, a convenienza che codeste casse comunitative ripetano l’indenizzazione delle £ 1. 788,3, sborsate in suffraggio di queste casse della Comunità, nel momento di aver dovuto supplire alle requisizioni Francesi, non meno che il peso del pieno della somministrazione, ascendente a £ 24. 729,19, abbia a cadere ripartitamente sull’intiera Provincia, giacchè a merito di essa, sono stati liberati questi popoli dalla minacciata invasione della Truppa così stabilito essendosi per ragioni di riparto, per la Terra di Isola, la summa di £ 1. 202, si ha creduto ancora che miglior espediente non vi dovesse essere, che quello di far supplire alla summa stessa dalle sole due Classi dei possidenti benestanti, dalli Bottegaj d’Industria, lusingandosi, che concorreranno essi di buona voglia, con la rispettiva quota, che non deve essere gravosa, giacchè a merito di essa, si sono procurati la propria salvezza in un maggior interesse, e confluiscono poi, a mantener in un equilibrio economico le casse comunicative, che intanto hanno contribuito dei pesanti esborsi, non compensabili dal loro sbilancio. A questo fine pertanto si raccomanda, all’esperienza, e desperità di esso Tribunale, d’insinuar a queste due classi di persone, il dovere di questa contribuzione, e quindi con la locale sua esperienza conciliati i mezzi opportuni, e calcolate le rispettive quote da pagarsi, esigere le medesime fino alla detta summa di £ 1. 202, che dovrà essere inoltrata a questa Camera Fiscale, da dove poi verrà a conseguire il suo risarcimento codesta Comunità delle £ 1. 788,3, dalla stessa in precedenza somministrate. Si lusinga il Governo, che dal zelo, d’esso Tribunale, saranno immaginati tutti li mezzi di desperità, per riuscire nella esecuzione del pubblico comando, che dalla confidenza dei sudditi, si crede non troverà opposizione. Capo d’Istria, 19 Decembre 1797
Scrib. Roth
391
2. La fine della Serenissima e l’Istria. Venezia democratizzata vuole unita a se la costa orientale dell’Adriatico “per il prisco suo splendore e l’antica sua libertà 1797, maggio16, Venezia. “Il Governo veneto”persuaso dell’intenzione dei Francesi di accrescere la potenza e la felicità del Veneto Popolo associando la sua sorte a quella de’ popoli liberi d’Italia”, delibera l’abdicazione della nobiltà e concentra l’amministrazione della capitale nella Municipalità, dando vita insieme ad “un’altra amministrazione centrale composta di rappresentanti della Municipalità e di un numero proporzionato di rappresentanti delle Province Venete della Terraferma, Istria, Dalmazia, Albania ed Isole del Levante”. Sotto il nome di Dipartimento questa nuova istituzione doveva “invigilare agli interessi generali della Repubblica e consolidare i legami di patriottismo tra le Provincie e la Capitale, solo mezzo di rendere a questa Repubblica il prisco splendore e la sua antica libertà”. (Speciali deputazioni inviarono allora a Venezia le Comunità di Pirano, Umago, Parenzo, Montona, Rovigno, ecc. V”.Veneto Monitore “ del giugno 1797. ) Manifesto 16 maggio 1797 in “Carte pubbliche stampate ed esposte ne’ luoghi più frequentati nella Città di Venezia dal 13 al 17 maggio 1797 e ristampate a spese del cittadino Giovanni Zatta”.
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Istruzioni segrete per l’occupazione imperiale “provvisoria” dell’Istria.
Vienna, giugno 1797. Observations sur la conduite à tenir lors de l’occupation de l’Istrie par le trouppes de Sa Majesté. De’s que les trouppes atteindront le territoire de l’Istrie, le Commissoire Royal nommé par Sa Majesté publierà une Proclamation, portant, que l’esprit de trouble et de désorganisation bouleversant de toute part les Etats Venitiens, Sa Majesté, pour assurer la tranquillité de se propres Provinces et mantenir l’ordre dans leur voisinage, ainsi que pour la conservation de ses anciens et incontestables droits, n’avoir pas cru pouvoir se dispenser plus longtemps de prendre les mesures que sa conjoncture exigeoit, et de faire entrer ses trouppes en Istrie, …. . …. . l’on peut espérer, que les habitants du pays se voyant garantis de toute vexation injuste, accueilleront les trouppes avec affection, et se preteront de bonne volontà à leur procurer les petites douceurs, que les circonstances et leurs facultés permettront. …. . pour le regime de l’intérieur des ville set des différents districts, ainsi que pour l’administration de la justice; l’on conservera provisoirement les memes formes qui ont été en usage pendant le Gouvernement Venitien, excepté que tout ce qui a été fait au nom de la République, se fera au nom de sa Majesté. Comme il ne s’agit pour le moment que d’une occupation provivoire, Sa Majesté juge inutile de faire détruire les armes de la Republique et le Lion de St. Marc,…. …. . l’intention de Sa Majesté est en conséquence, que les moyens de la douceur et de la persuasion soyent employés préférablement auprès de ceux, qui manifesteroient la volonté de résister; …. Solo un saggio di una nota lunga alcune pagine, dalle quali traspare la volonta di far tutto il possibile per evitare eventuali contraccolpi interni che possano compromettere, anche verso l’esterno, l’operazione.
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Proclama del commissario imperiale per l’occupazione austriaca dell’Istria.
Capodistria, 10 giugno 1797. Noi Raimondo del S. R. Imp. Conte di Thurn, Hoffer, e Valvassina, Capitano ereditario di Duino, Signore di Sagrado e Vipulzano, ecc., effettivo Ciambellano, Consigliere attuale intimo di Stato, e Supremo Capitano delle Principate Contee di Gorizia e Gradisca, al servigio di Sua Maestà Imperiale Reale Apostolica, suo ces. reg. Commissario, e Gran-Croce dell’OOrdine del Leone bianco. Avendo il funesto sconvolgimento, che uno spirito di disorganizzazione totale produce in questi momenti nelle diverse parti dello Stato veneto, giustamente eccitata l’attenzione di Sua Maestà Imperiale Reale Apostolica, la suddetta Maestà Sua, sollecita di assicurare a’ suoi sudditi la tranquillità, col mantenere il buon ordine nelle vicine Provincie, avrebbe creduto mancare agli impulsi delle paterne sue premure, se differisse più lungo tempo a prendere per si importante oggetto le misure le più opportune nelle circostanze attuali; quindi per preservare la Provincia d’Istria da’ tristi effetti della totale sovversione, che à già fatti tanti progressi nel resto degli Stati veneti, come pure conservarvi gli antichi suoi incontestabili diritti, non ha creduto potersi dispensare di farvi avanzare le sue Truppe. Gli abitanti di questa Provincia ravviseranno certamente nell’ingresso delle Truppe Austriache un motivo di riconoscenza a Sua Maestà Imperiale Regia Apostolica, alla di cui vigilanza divengono debitori della continuazione di loro tranquillità nell’uso inviolato delle loro proprietà; quindi spera Sua Maestà, che ogni Abitante si farà un dovere di cooperare, per quanto gli spetta, al mantenimento del buon ordine, con che riceverà ciascheduno dalla parte delle Truppe Imperiali la protezione la più efficace nei suoi beni e nella sua persona; mentre incorrerebbe irremissibilmente i più severi castighi chiunque osasse in qualunque modo opporsi alle misure benefiche di detta Maestà Sua. Data in Capodistria, li 10 giugno 1797
Raimondo Conte di Thurn,
Cesareo Regio Commissario.
Gianbattista Conte di Thurn, seg.
(Tutti i documenti precedenti sono tratti da, Il diritto d’Italia su Trieste e l’Istria, F. lli Boca, Milano-Torino-Roma 1915, pp. 7-17)
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Croniche di Rovigno del dott. p. Antonio Biancini.
1797 – maggio 11. – Ritornò da Venezia il sig. Filippo Spongia ed il Sig. Cap. Leonardo Davanzo Sindico del popolo e riferirono essere stati arrestati in S. Zorzi di Alega li tre Inquisitori di Stato cioè il N. H. Angelo M. Gabrieli, Cattarino Corner, Agostino Barbarico ed il Pizzamano per sodisfar Bonaparte. Che avevano eletto con biglietto de SS. mo Doge Manin che aveva deposto il Corno, il N. H. Zuanne Zusto per Provveditor alle Lagune e Lidi e unico Preside della Città; … 1797 – maggio 15. – Capitò ieri sera in Rovigno da Venezia la barca dei fratelli Blessich già consacrata al servizio pubblico ed ora licenziata e portò la fatal notizia che nella notte di ieri l’altro cioè che la notte del Sabato venindo la Domenica dovea essere impiantato l’albero della libertà nella piazza pubblica di S. Marco, e doveva entrare il generale Buonaparte; ma esso non comparve in Venezia . I Capitoli preliminari segnati col Buonaparte dai tre Commissari veneti Leonardo Giustinian, Alvise Mocenigo, Franc. Donà furono l’arresto dei suddetti Inquisitori di Stato e del Pizzamano, il disarmo di Venezia e sei milioni di contribuzione. 1797 – maggio 16. – Capitò oggi la barca da Venezia coll’avviso che ieri di notte venendo il martedì, entrarono i Francesi in Venezia. 1797 – maggio 19. – Arrivò qui in porto il cittadino Nicolò Morosini direttore delle 13. 000 milizie schiavone disarmate in Venezia e rispedite alle proprie case. 1797 – maggio 25. – Capitò qui incognito emigrato da Venezia Nicolò Andrea Erizzo fu Provveditore straordinario a Vicenza, con un compagno e raccomandato al sig. Francesco Biondo. Erano tutti e due vestiti alla Mataloti. 1797 – giugno 1. – Passarono per di qui due sciabecchi ed un brick che conducevano i due Commissari spediti dalla Municipalità di Venezia a Zara per fraternizzar la Dalmazia; uno era il sig. Calafatti. 1797 – giugno 6. – Morte del sig. Canonico d. Gio. Rocco e venuta da Venezia del Sindico del popolo Proto Rocco Sbisà; il quale portò il metodo da contenersi nella rivoluzione di Rovigno per erigersi in Repubblica democratica. 1797 – giugno 8. – Si formò in refettorio di S. Francesco un congresso di 60 individui circa per stabilire il metodo di tener nella elezione della Municipalità, ed il numero dei Municipalisti, e si stabilì il numero di diciotto. – Capitò oggi la notizia che gli 5 corr. fu ucciso in Isola Nicolò Pizzamano q. Zorzi suo Podestà perché ……. . ed arrivò in ieri la notizia
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che fu da Mons.r Polesini nostro vescovo eletto in Canonico il R. do sig. don Canciani Marini. 1797 – giugno 11. – In questa mattina fu fatto la rivoluzione in questa Città, ed il popolo libero e sovrano al numero di capi famiglia 1036 circa elesse diciotto Municipalisti per reggere e governare in suo nome nel numero de’ quali io pure fui scelto.
(In A. M. S. I., 1909, pp. 121-126)
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3. I fatti d’Isola negli scritti precedenti. Giacomo Besenghi. Il primo a parlare dei fatti d’Isola del 5-7 giugno 1797 fù Giacomo Besenghi che lo fece scrivendo una brevissima nota sul risvolto di un libro dove aveva elencato i principali rivolgimenti ad Isola nel 1700. Da p. Tedeschi: Nel centenario del natalizio di p. Besenghi degli Ughi. Postfazione di D. Venturini: La famiglia del poeta. Capodistria 1899. pp. 65-67. “1797. Rivoluzione contro il podestà Niccolò Pizzamano ammazzandolo barbaramente e ferendolo ancora dopo morto”. Su questa breve citazione Domenico Venturini così interviene e così la commenta. “Rispetto al tumulto del 1797 dobbiamo dichiarare non conforme al vero la descrizione pubblicata in proposito dall’isolano p. Chiaro Vascotto nell’Istria del dott. Pietro Kandler: le archibugiate furono dirette proprio sulla persona dell’infelice podestà Nicolò Pizzamano, in caso diverso perché lo avrebbero ferito ancor dopo morto? Stendiamo un velo pietoso sul truce avvenimento: il nobile movente fece, in parte, dimenticare quell’inutile spargimento di sangue. Quel fior di galantuomo, che rispondeva al nome di Mauro Delise, su cui, proclamata l’innocenza degli accusati, s’era riversato l’odio e lo sprezzo degli abitanti d’Isola, abbandonò la patria e fermò la sua dimora a Parenzo: l’erudutissimo Gedeone Pusterla, al secolo signor Andrea Tommasich, afferma di averlo colà incontrato in casa di un suo parente”. --- --- --Padre Chiaro Vascotti. Il secondo a parlare dei fatti d’Isola del 5-7 giugno 1797 fu Chiaro Vascotti nella sua biografia del canonico Antonio Pesaro pubblicata sull’ “Istria” di Pietro Kandler nel 1847, n. 33, p. 135. Così parla del fatto, del quale non poteva essere stato testimone in quanto non ancora nato, essendo del 1799, ma che ha sicuramente ben conosciuto molti dei partecipanti e deve averne sentito molto parlare, essendo ancora la vicenda ben viva nella memoria di tutta la popolazione.
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“Nel 1797, che segnò novella epoca, ebbe luogo un avvenimento, che forse non discenderà nella voragine dell’oblivione se non colla dipartita dell’ultimo nipote di Adamo. Una nube calò dalle Alpi ad ottenebrare la Serenissima, e prese la poverina all’amo di massime seducenti, le quali promettendo libertà davano catene, sortì dalle sue acque, boccheggiò e perdette la vita: crollò, volevo dire, il colosso che con istupore di tutte le nazioni avea resistito all’urto di tanti secoli, e all’infuriar di tante politiche procelle. Al tonfo la provincia, le città, le castella, le borgate al repubblicano governo attaccatissime si scossero, disperate sollevarono la testa e pel fosco aere echeggiò il grido spaventevole: morte ai traditori! La bruzzaglia inviperita, credendo nella sua forsennatezza che il ceto civile avesse prestate le mani per atterrare e fare in brani il formidabile Leone di S. Marco, il quale co’ suoi ruggiti molte fiate fe’ tremare Europa ed Asia, all’alta classe ringhiando s’avventò e volle vendicarsi. Molti furono dal furor popolare immolati! Anche a Isola il gentame frenetico, sulla piazza grande assembrato, inalberò lo stendardo della rivolta, e colle armi alla mano divisato avea di freddare i signori. Colla croce da cui pendea l’imagine di Lui che morì per noi insanguinato, il clero spaventato con alcuni de’ più notabili, in forma di processione, andarono in piazza, per convincere la plebe della loro innocenza. I fischi, le grida e le minaccie assordarono l’aria. In questo terribil frangente tutti gli occhi de’ tremebondi, cui forte battea in petto il cuore, erano nel rettore Pesaro intenti, tutte le speranze riposte in lui, le cui esimie virtù eran a tutti note, dalle cui labbra il popolo, per così dire, pendea. Il Pesaro non deluse l’espettazione, non cagliò, non impallidì, ma venuto a portata di far udire la sua possente parola, confiso nella purità della sua coscienza, arringò e pose dinnanzi gli occhi della furibonda ciurmaglia la gravità de’ commessi forfatti e l’orrore di quelli che stava per commettere, e la convinse che non solo si attirava addosso la maledizione del cielo ed indegna si rendea del perdono del Signore, ma eziandio che andava soggetta ai severi castighi del governo che sarebbe subentrato. Il torrente della sua facondia ammortò in que’ cuori agitati e riottosi la fiamma dell’ammutinamento, a segno che il popolo pose in libertà le vittime al cruento sacrificio destinate, e tranquillo alla proprie case fe’ ritorno”. (C. Vascotti, Biografia di monsignor Antonio Pesaro, in l’Istria, 1847, p. 135)
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Gedeone Pusterla (al secolo Andrea Tommasich). Così il Pusterla riferisce dei fatti nel suo “I Rettori di Egida ‘Giustinopoli Capo d’Istria”, Capodistria 1891, pp. 107-108, lasciando intendere di avere avuto tali informazioni da certo Mauro Delise, testimone oculare degli avvenimenti. “Isola, la bella e simpatica Alieto, città di 5. 000 abitanti, dediti all’agricoltura, alla pescagione, ai traffici ed all’industria, ebbe il suo giorno nefasto, il 5 giugno 1797: Un proclama incendiario di due agitatori di Capo d’Istria, inviperì quella bruzzaglia, prestando cieca fede, che i nobili ed il ceto civile avessero prestate le mani per atterrare e fare a brani il tremendo Leone di S. Marco. Il gentame frenetico inalberando sulla piazza grande presso il porto lo stendardo della rivolta, gridava spaventevolmente: morte ai traditori! Due di quella turba forsennata, Giovanni Lorenzutti e Sebastiano Parentin detto Bastianelli andarono in traccia del ricco Giuseppe Moratti, malvisto dal popolo per le sue angherie, come dicevasi, per ucciderlo, e trovatolo sulla via che correva in compagnia del podestà veneto per salvarsi nella sua casa, gli tirarono un’archibugiata, colla quale per isbaglio restò interfetto il povero podestà Nicolò Pizzamano, d’anni 58 e venne sepellito nell’arca della confraternita di San Giovanni. Il sacerdote Don Antonio Pesaro, canonico onorario di Cittanova, si presentò a quella furibonda ciurmaglia, fece udire la possente sua parola, rimarco la gravità dei commessi furfatti e l’orrore di quelli che stava per commettere, e col torrente della sua facondia ammortò in quei cuori agitati e riottosi la fiamma dell’ammutinamento, indusse il popolo a porre in libertà le vittime destinate a cruento sacrificio, e di ritornare tranquillo alle proprie case. Così raccontò nell’Istria del Dr Kandler, Padre Claro Vascotti dei Minori Osservanti Riformati del Convento di Castagnevizza presso Gorizia. I suddetti Lorenzutti e Perentin si sottrarono dal capestro colla fuga. Mauro Delise, che dicevano avere accusati i Savi d’Isola presso la Prefettura in Capo d’Istria, pel permesso dato alla flotta Inglese nel 1809, di provvedersi d’acqua e di vettovaglie, i quali dovevano venire decollati su questa piazza di S. Martino, detta anche del Porto, innanzi la locanda dell’Anconitano Orlandi, abbandonò la patria, e fermò la sua dimora a Parenzo. Noi l’abbiamo conosciuto in quella città e veduto centinaja di volte in casa di nostro zio, vicina all’ospitale ed alle case dei fratelli Giovanni, Dr Paolo e Marquardo Artusi e di Angelo Monfalcon, fratello dei canonici Don Giuseppe e Don Pietro. A pianoterra della casa Monfalcon, Antonio Pesante, già impiegato nella farmacia di Tommaso Zudenigo alle porte, aveva nel 1840 una drogheria”.
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Come si evince dallo scritto, l’autore basa la sua ricostruzione dei fatti sulla testimonianza dell’isolano Mauro Delise, che si dimostra, anche a seguito delle risultanze dei processi, non attendibile ed imprecisa anche nell’attribuzione del nome agli assassini. Tale versione era già stata contestata dal Venturini nello scritto sopra riportato. --- --- --Domenico Venturini. Più volte il Venturini ritorna nei suoi scritti sui fatti d’Isola e Capodistria, e lo fa pure nelle “Vicende storiche della pubblica istruzione ad Isola”, Trieste 1900, pp. 20-21, che per comodità del lettore si riporta. “Ad Isola la ferale notizia [della caduta della Repubblica] venne portata da due cittadini di Capodistria. In un baleno la piazza maggiore rigurgita di gente armata. I pescatori sono in maggioranza. Sventola il vessillo di San Marco. Tra la folla serpeggia la nuova che il ceto nobile, d’intesa col podestà veneto, abbia prestate la mani per fare a brani il secolare governo della Serenissima. Il popolo, tremendamente concitato, vuole sangue; e si grida ad una voce: Morte ai traditori! Il clero radunatosi in fretta, scende processionalmente le strette viuzze del Duomo con fanali, croci e gonfaloni; e si presenta sul luogo del tumulto. Ma tutto è vano: i fischi assordano l’aria: i rivoltosi minacciano di atterrare i simboli della religione cristiana, e già stendono le mani sacrileghe sui pallidi e tremanti sacerdoti. In quel frangente dalla via Ettoreo arriva un funesto messaggio: Hanno ammazzato il podestà Niccolò Pizzamano! […] Il tragico annunzio cresce il furor degli animi e, così Giacomo Besengo testimonio alla scena, (Il p. Chiaro Vascotto falsò la storia per salvare la reputazione e il buon nome de’ suoi concittadini. Ma Giacomo Besengo, nella sua rude e laconica franchezza, ha voluto mettere le cose a posto. Vedi il mio scriterello: La famiglia del poeta, inserito nell’opuscolo che contiene la conferenza di Paolo Tedeschi sul lirico isolano. Capodistria, Cobol & Priora 1899.) la gentaglia impazzita muove, ondeggiando, al sito del misfatto, e giuntavi, incrudelisce barbaramente sul corpo ancora caldo dell’infelice magistrato. A tale parossismo di rabbia e di accecamento erano procedute le cose e i pochi buoni correvano, terrorizzati, a barricarsi nelle proprie abitazioni, quand’ecco apparire all’un capo della strada e farsi innanzi a’ quei forsennati il benamato maestro, l’amico del popolo, il canonico Antonio Pesaro, il quale, cediamo di nuovo il posto al suo amoroso biografo, non cagliò, non impallidì, ma venuto a portata di far udire la sua possente parola, confiso nella purità della sua coscienza, arringò e pose dinanzi agli occhi della furibonda ciurmaglia la
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gravità dei commessi furfatti e l’orrore di quelli che stava per commettere, e la convinse che non solo si attirava addosso le maledizioni del cielo ed indegna si rendea del perdono del Signore, ma eziandio che andava soggetta ai severi castighi del governo che sarebbe subentrato. E ben s’apponeva. Entrato il 10 giugno 1797 in Capodistria il generale austriaco conte di Klenau alla testa dei reggimenti Stuart e Giorgis, d’uno squadrone di cavalleria e di una batteria di cannoni, sua prima cura fu di arrestare i promotori dei disordini scoppiati nell’Atene istriana il 16 dell’antecedente mese e, avutili, di spedirli, sotto buona scorta, a Komorn sul Danubio. Ad Isola, certi Giovanni Lorenzutti e Sebastiano Perentin detto Bastianelli, designati dalla voce pubblica come i principali autori dei fermenti deplorati in quella memorabile giornata, vista la mala parata, presero il largo. La prosa anche se un po’ pomposa rende efficacemente l’atmosfera dei disordini e dei moti di piazza, anche se non è molto precisa rispetto a quanto emerge dagli atti processuali, non noti all’autore. Pure lui, come il Pusterla e tutti gli altri che hanno parlato di questi fatti prima del Quarantotti, si rifanno principalmente allo scritto del Vascotti. Dalla lettura appare che l’omicidio e la processione e l’intervento del canonico Pesaro avvengano nella stessa giornata, mentre sappiamo che avvennero in due giorni diversi, anche il nome di uno dei due assassini non è esatto si parla di un Lorenzutti, al posto del d’Udine, che negli atti processuali risulta essere semplicemente uno dei tanti rivoltosi. --- --- --Dispacci inediti del console Lodovico Bonamico incaricato d’affai del Re di Sardegna a Venezia. Mi sembra interessante riportare qui di seguito anche un breve stralcio del resoconto sui fatti di Capodistria ed Isola, fatto dal console del Regno di Sardegna a Venezia. Non si parla direttamente di quanto successo nella nostra città, ma i riferimenti, molto confusi e pure errati, sono chiari e dimostrano quanto incerte fossero le informazioni e quale e quanta fosse la confusione che regnava in quei giorni anche a Venezia. Da G. Sforza, La caduta della Repubblica di Venezia studiata ne’ dispacci inaditi della diplomazia piemontese, in Nuovo Archivio Veneto, N. S. n. 51, 1913, p. 102. Venezia, li 17 giugno 1797.
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“Saputasi la democratizzazione di Venezia nell’Istria, si divise quella Provincia in due partiti, uno per l’Imperatore, l’altro per i Veneziani, e tutti due agivano nascostamente per vieppiù aumentare e fortificare il proprio, quando che li patriotti accortisi del continuo andirivieni dei partigiani a Trieste, li 6 corrente presero le armi, e gridando per le strade Evviva S. Marco, derubavano ed uccidevano tutti gli Aristocratici, che incontravano; armatisi quindi questi, si venne alle mani, e furono sbaragliati dai patriotti, che piantarono l’albero della Libertà a Capodistria. Vi furono molti morti, ma il numero non è certo, il Governatore della città patrizio Veneto è fra gli estinti. Tale anarchia, e tal disordine durò sino ai 10 corrente, giorno in cui informate le truppe Austriache poco distante acquartierate del totale sconvolgimento di quelle contrade, in numero di 6 mila, entrarono nell’Istria, ove pubblicarono il proclama, di cui ho l’onore di unirle una copia, come pure una del manifesto d’amnistia generale per tutti li sudditi Imperiali emigrati e stabiliti in quella Provincia, purchè vi continuino il loro domicilio. Si pretende da taluno che truppe Ungaresi sieno pronte ad invadere la Dalmazia veneta”.
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4. Documenti inerenti ai processi. 1 – Processo contro Giulio Vascotto ed altri. Sentenza. (AST, AAI, B. 1, ff. 755-756. ) All’Inc. to Ces. Reg.o Governo Provv.o dell’Istria. Il Ces. Reg.o Tribunale Provv.o di 2. da ist. a di Capod. a Umilia la sentenza di libera assoluzione in Criminal Processo segnata alli Marco d’Agostini, Pietro d’Agostini q.m Mattio, Domenico Lorenzuti di Simon, e Marco Colomban di Francesco, e di condanna, a Giulio Vascotto q.m Ant.o da Isola tutti. Inclito Cesareo Regio Governo Provvisorio dell’Istria Radunatosi questo Tribunale Provvisorio di Seconda Istanza per l’esame del Processo formato contro li complici dell’insurrezione accaduta a Isola, e prestato il conveniente riflesso alle imputazioni addossate alli volontariamente presentati Marco d’Agostini q.m Pietro, Pietro d’Agostini q.m Mattio, Domenico Lorenzuti di Simon e Mauro Colomban di Francesco, non che contro Giulio Vascotto q.m Antonio, è venuto a segnare a favore de quattro primi la sentenza di libera assoluzione. Marco d’Agostini q.m Pietro è imputato, che nel momento, in cui si attrovavano sopra la Piazza di quel luogo, la mattina dell’ 7 Giugno, circondati da numero d’insorgenti, li Besengo, e Costanzo, pretesi autori dell’introduzione della Bandiera Imperiale, e che li Sacerdoti parlavano a loro favore, perché fossero rilasciati in libertà, abbia da di là scacciato Don Girolamo Grassi, che procurava la pace, usando qualche avanzato termine di minaccia. Nelle da lui prodotte difese giustifica questo allontanamento, protestando, che vedendo il Popolo in rivolta, e potesse quel Religioso andar soggetto a qualche dispiacenza, gli insinuò di allontanarsi, e nel tempo medesimo delle sue difese presentò una giurata attestazione scritta di pugno di
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detto Religioso, con cui egli assicura di essere anzi debitore verso di detto d’Agostini, che lo ha liberato da ogni inconveniente. Pietro d’Agostini q.m Mattio è imputato che nel giorno della riconciliazione, essendo radunato nella Chiesa il Capitolo, e Clero, con numero di persone unitamente alli Besengo, e Costanzo, e Niccolò Drioli, mentre il Popolo li voleva ridotti sopra la Piazza, abbia gridato, che sortissero fuori cosicché nato del Bisbiglio furono necessitati a ridursi fuori della Chiesa, ed in potere degli ammutinati. Nelle sue difese nega questa particolarità che sorge dalla voce d’un solo Testimonio, e giustifica le sue direzioni, per il fermento Popolare, che poteva far insorgere delle rideste conseguenze, per la mala impressione concepita da rivoltosi, verso li pretesi autori della Bandiera Imperiale. Gli altri poi Mauro Colomban, e Domenico Lorenzuti sono imputati, che nell’atto, che il fu Pizzamano fuggiva dalle insecuzioni degli insorgenti, abbiano allo stesso dimenati de pugni. Questa imputazione sorge dalla voce di un Inquisito, e siccome ne loro costituti li contengono nelle negative, con l’asserzione di non essere intervenuti in quella giornata cogli insorgenti, così non trovando questo Tribunale motivo di condanna, è venuto ad assolverli, non avendo potuto convincerli di delinquenza. Giulio Vascotto pur sia convinto di essere stato nel numero de sollevati che intervennero al saccheggio di Niccolò Drioli, quantunque non risulti a di lui aggravio alcuna colpa nel saccheggio medesimo, nonostante e per la di lui unione cogli ammutinati, e per la di lui confessione di essersi approntato alla faccia lo schioppo, rivogliendolo contro il Fonticaro Giacomo Pavanello, fu contro di esso segnata la condanna di mesi sei di carcere a die praesentationis, come dall’inserta. Tanto si onora questo Tribunale Provvisorio di rassegnare all’inclito Ces. Reg. Governo Provvisorio per attendere le sue deliberazioni. Capo d’Istria, 20 8bre 1797
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Formula del Decreto da registrarsi in calce dell’allegata sentenza.
(B. 1, f. 753. ) In Nome di Sua Maestà Ces. Reale Apostolica l’Imperatore, Graziosissimo Protettore di questa Provincia, il Tribunale Provvisorio di Seconda Istanza, procedendo con l’autorità impartitale da Sua Ecc. za R. Commissario Aulico è divenuto alle seguenti sentenze contro gli infrascritto Rei: Giulio Vascotto q.m Antonio detto Baster Marco d’Agostini q.m Pietro detto Torso Pietro d’Agostini q.m Mattio Domenico Lorenzuti di Simon, e Mauro Colomban di Francesco. Imputato esso Giulio Vascotto per quello che nel giorno 5 Giugno passato, essendosi sparsa a Isola la voce, che fosse stata venduta quella Terra, ed introdotta la Bandiera Imperiale, imputandosi autori li sign. i Pietro Besengo, Domenico Costanzo, Giuseppe Moratti, Bastian Drioli, ed il medico dr. Parè, con l’intelligenza del fu Podestà Pizzamano, sollevatosi il Popolo, e ridotto in fermento passava agli eccessi di saccheggi, di minacce, e perfino l’interfezione del Pizzamano medesimo, e quindi passando esso Inquisito Vascotto d’innanzi la Casa del suddetto Drioli, vedendo chiuse le porte, e balconi facesse delle significanti espressioni, e momenti dopo si vedessero comparire li sollevati in molto numero, fra questi pure lui Inquisito Vascotto, con uno schioppo nelle mani, e vedendo alla finestra della propria Casa, situata in prossimità a quella dell’enunciato Drioli, il Fonticaro Giacomo Pavanello, si poneva lo Schioppo alla faccia per praticarne contro lo sparo, senza alcun precedente motivo, ma avvertito a ritirarsi il Pavanello stesso ha potuto in tal modo sottrarsi da ogni sinistro accidente, e quindi passato all’Osteria di nota persona, raccontargli con apparente esultanza la seguita interfezione, e gli accaduti saccheggi. L’altro Inquisito Pietro d’Agostini q.m Mattio imputato come quello, che nella mattina 7 Giugno giorno destinato alla riconciliazione, nel momento, che il Capitolo, ed il Clero erano radunati in Chiesa, con numero di persone, stando il Popolo sopra la Piazza intervenire nella Chiesa stessa, pretendendo che avessero colà a ridursi gli enunciati Besengo, Costanzo, e Drioli, gridasse esso Inquisito alle persone raccolte in quel Sacro Tempio, di sortire, e quindi fossero costretti li Sacerdoti medesimi di condurre quegli infelici sopra la Piazza, dove furono trattenuti fino alla totale combinazione della pace, che seguì sul terminare del giorno. Anco l’Inquisito Marco d’Agostini detto Torso imputato per quello, che nel tempo, in cui le nominate figure erano trattenute sopra la stessa Piazza circondate dal Popolo, che dimostrava verso le medesime il maggior concitamento, invece di promuovere la calma, e secondare le voci de Religiosi, che parlavano a loro favore scacciasse da di là con ardite espres405
sioni il Sacerdote Don Girolamo de Grassi, uno de promotori la sospirata tranquillità. Gl’altri inquisiti finalmente Mauro Colomban, e Domenico Lorenzuti imputati per quelli che nell’atto che il fu Pizzamano fuggiva dalle insecuzioni degli insorgenti, e suoi offensori, gli avessero dimenati de pugni. Che perciò ponderate le loro colpe, non che esaminate le difese dalli stessi prodotte è venuto in deliberazioni il Tribunale medesimodi segnare le seguenti sentenze: Giulio Vascotto q.m Antonio detto Baster sia condannato in una prigione serata alla luce, per mesi sei a die presentazionis, intendendosi senz’altro che fuggendo dalla Prigione, e ritrovato in qualunque luogo di sua dimora, sarà soggetto più severi castighi, e li Marco d’Agostini q.m Pietro Pietro d’agostini q.m Mattio Domenico Lorenzuti di Simon, e Mauro Colomban di Francesco, attesa la validità delle loro difese, siano liberamente assolti, e dalle Carceri licenziati. Capod’Istria, 28 8bre
Gio. Minghella v. Canc. r Pres. Pro
(B. 1, f. 754. ) In assenza di sua Ec. a il Sig.r Conte di Thurn Commissario aulico, si approva per parte di questo ces. reg. Governo provvisorio dell’Istria il tenore della soprascritta sentenza, però cola seguita modificazione, e cioè: Che l’inquisito Giulio Vascotto detto Baster, condannato a stare in una prigione serrata alla luce, dal giorno di sua volontaria presentazione per mesi sei continui, abbia invece per altrettanto tempo, ad essere impiegato nei lavori pubblici co’ ferri ai piedi in questa Città, giusto agl’ordini che saranno in coerenza al presente Decreto modificativo, abbassati alle incombenti figure da questo Tribunale provvisorio di 2. da Istanza. Capo d’Istria, 21 Ottobre 1797 L. S.
F. Fillippo de Roth np. Per il ces. reg. Governo Provs.o dell’Istria Gian Maria Zugni np.
Cop. e Conseg. Al Sig.r Agjutante de Lise, li 21 ott. e
Razza
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Suppliche (AST, AAI, B. 1, f. 718. ) Inclita Ces. Regia Comissione Prov. a. Giulio Vascotto d’Isola, che da due Mesi in Circa volontario si presentò in queste Carceri, per ordine di questo Inclito Tribunale Prov. o, non riconosciuto per reo né di Spogli, né di sollevatore, dovette l’infelice sino al giorno d’oggi languire nelle medesime, assistito soltanto da un’animo compassionevole qui in Capod. a, che il giornaliero sostentamento somministravagli per titolo di sola Carità, non avente che un Padre incanutito, Moglie, e quattro fanciulli innabili tutti nel procacciarsi il tenue loro mantenimento; Supplichevole perciò si prostra ai piedi di V. E. za col ciglio innondato dal pianto, e sulle labbra li dolci nomi di pietà e di Clemenza, implorando il ritorno alla Patria, in seno alla desolata famiglia per coadiuvare possibilmente alla sua urgente necessità; tanto più che esso reo non apparisce di sedizione alcuna, quanto più la richiede la situazione infelice in cui esso, colla famiglia ritrovansi, per cui non cessarà in ogni tempo di offrire a V. a E. za le tenere espansioni del grato suo Cuore, e in pari tempo nel dimostrarsi suddito fedelissimo, e zelantissimo, che della Grazia. Capod. a, 20 xbre 1797 Pr. d. 21. Dec. 1797 Da rimettersi al Tribunale di seconda Instanza di qui, per l’esame della supplica del Ricorrente, riferendo i motivi del suo ulterior tratenimento, e ciò in termine di 24 ore à recepto. Per il Ces. Reg. Governo provisorio dell’Istria. Capo d’Istria, 22 Decembre 1797.
Emmanuele Persoglia
*** *** *** (AST, AAI, B. 1, f. 705. ) Ad. Num. 2904. Giulio Vascotto della Terra di Isola in supplica presentata li 21 decembre, implora di essere rilasciato dalle carceri, nelle quali viene detenuto, a pretesto della insurrezione popolare seguita in quella Terra la giornata 6 Giugno an. cor., della quale si protesta innocente. 407
Da rimettersi al Tribunale Provvisionale di seconda inst. a di qui, per l’esame della supplica del riccorrente, rifferindo i motivi del suo ulterior trattenimento, e ciò in termine di 24 ore a recepto. Capo d’Istria, 22 Decembre 1797
Scrib. Roth
*** *** *** (B. 1, f. 716. ) Incl. Ces. Reg. Gov. Prov. dell’Istria. Col Decreto 22 corrente di N. 2904, fu commesso a questo Tribunale di seconda istanza d’informare sopra la supplica prodotta da Giulio Vascotto della Terra d’Isola, tuttavia soggetto alle censure della Giustizia, e di riferire i motivi del suo ulteriore trattenimento. Nella fatale giornata 5 giugno decorso, in cui il Popolo ammutinato ha commesso gli eccessi li più crudeli; passando egli d’innanzi la casa di Niccolò Drioli che per una prudente riserva avea chiuse le porte, e balconi, per non andare soggetto a tristi avvenimenti, fece alcune espressioni indicanti una prossima insurrezione anco a danno del Drioli medesimo che si è veduto momenti dopo verificata dall’arrivo di numerosa turba di Gente, la maggior parte munita d’armi, tra quali il detto Vascotto con uno Schioppo, che vedendo alla finestra della propria casa il Fonticaro Giacomo Pavanello, rivolse l’arma contro di lui, per privarlo di vita, dandogli il nome di ribelle. Per le antecedenti espressioni, per la successiva comparsa dei rivoltosiche saccheggiarono l’abitazione dell’anunciato Drioli, e per li tentativi contro la vita del Pavanello, è venuto questo Tribunale nella deliberazione di segnare contro lo stesso, sul metodo del passato Governo, la condanna di mesi sei di Prigione, da computarsi dal di di sua presentazione, perché abbia a servire all’accomodamento delle pubbliche strade della Città, e per servizio de carcerati. Nella lusinga di aver adempiuto l’incarico, si rimette il memoriale del supplicante per le ulteriori deliberazioni di questo, incl. Ces. Reg. Gov. Prov. o. Capod’istria, 24 Xbre 1797.
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2 – Processo contro d’Udine e Perentin. Sentenza (AST, AAI, B. 7, ff. 746-748. ) Incl. Ces. Reg. Governo Prov. dell’Istria. Divenuto questo Tribunale Provis.o di Seconda Istanza, a tenore delle risultanze del Processo formato sopra l’insurrezione accaduta nella Terra d’Isola, ed interfezione del fu Pizzamano, alle annesse sentenze di condanna contro li Rei esistenti in queste Carceri, e contro gli autori dell’interfezione medesima, si onora di umiliarle a codesto Inclito Ces. Regio Governo, perché avvalorate dell’autorevole sua approvazione, possino aver luogo gli effetti tutti di Giustizia. Capod’Istria, 10 gennaio 1798
Elio March. e Gravisi p. mo Assess. e
(B. 7; f. 747-748. ) (Sentenza) In nome di sua Maestà Ces. Reg. Apostolica l’Imperatore Graziosissimo Protettore di questa Provincia, il Tribunale prov. di 2. da Instanza, procedendo con l’autorità impartitale da S. Ecc. Sig. Conte Commissario aulico, è divenuto alle seguenti Sentenze contro gl’infrascritti Rei. Zuane d’Udine q.m Nicolò detto Salmestrin Bastian Perentin di Balsemin d. to Bastianella imputati per quelli, che nella mattina 5 Giugno passato, sparsasi una voce nella Terra d’Isola, che fosse stata introdotta la Bandiera imperiale, di cui venivano imputati autori li Sig. ri Pietro Besengo, Giuseppe Moratti, Domenico Costanzo, Nicolò Drioli, e l’Eg. D.r Parè, con l’intelligenza, ed assenso del fù Podestà Pizzamano, nascesse una universale insurrezione, e quindi fatte addossare le militari divise ad alcuni erano soldati Reclute, comparissero questi armati sopra la pubblica Piazza, e quindi salite da rivoltosi le scale del Palazzo di detto Sig.r Pizzamano, aprissero forzatamente le Porte, che erano state chiuse al primo scoppio dell’insurrezione, maltrattandolo nella persona, senza riflesso al carattere, che sosteneva in quel punto di pubblico Rappresentante, praticando eguali insulti, e mali trattamenti alla di lui famiglia e massime ad una sua figliuola che si attrovava
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in puerperio da pochi giorni, tentando perfino d’inveire contro l’innocente parto, e venisse dimenato un calcio ad altra figlia, che corse in pericolo di precipitar dalla scala; ne contenti di tale inumano procedere, di dassero gl’insorgenti a manomettere gl’effetti tutti, che erano in quella abitazione, levando perfino le porte delle camere, li scuri, e vetriate, che furono slanciate sopra la strada, e ridotte in pezzi, facendo il simile di tutte le altre mobilie colà esistenti, tagliando li materazzi de Letti, li vestiti, biancheria e tutto ciò che capitava loro nelle mani, niente risparmiando con inumana barbarie, e riducendo quella famiglia nella maggiore desolazione. Continuando quindi li mali trattamenti verso l’infelice fù Pizzamano lo riduccessero necessità di fuggire da quella abitazione, dirigendo stentatamente i suoi passi verso la casa Moratti, inseguito da osservabile numero de rivoltosi, che non cessavano di menargli de’ pugni, e delle boccate di Schioppo, gli venisse praticato contro lo sparo della propria arma senza colpirlo, dall’inquisito Zuanne d’Udine, che gli dimenasse poscia tante percosse con l’arma medesima per la vita, che la rompesse in due pezzi, ed afferratosi l’infelice con una mano alla porta della Casa Moratti per non potersi più reggere, gli chiedesse la vita per carità, ma continuando nel furente ingiusto livore, ordinasse l’inquisito d’Udine, all’altro inquisito Bastian Perentin detto Bastianella di privarlo di vita, cosicché con un colpo di schioppo esoneratogli contro lo riducesse cadavere, fatti tutti comprovati dal detto di più giurati testimonj, che però esaminate le colpe di essi inquisiti, ha il Tribunale medesimo decretato, sentenziato, e pronunciato, che Zuanne d’Udine detto Salmestrin q.m Niccolò, e Bastian Perentin de Balsemin, detto Bastianella, absenti, ma legittimamente citati in qualunque tempo caderanno nelle Forze della Giustizia siano tradotti nella Terra d’Isola, ed ivi sopra un paio di eminenti Forche impiccati per le canne della gola sicchè muoiano, le quali forche dovranno essere immediatamente erette doppo la pubblicazione della presente sentenza, ed alle stesse appesi i nomi delli predetti sentenziati, Zuanne d’Udine, e Bastian Perentin, e queste in Lettere cubitali, onde siano alla vista di cadauno. Per sparo d’arma da fuoco, contro il fù N. H. Pizzamano, offese, percosse, e successiva di lui interfezione. Capo d’Istria, 7 Gen.o 1798
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Elio Marchese Gravisi primo Assessore Silvestro Maria Venier Assess. Alessandro Gavardo q.m Gio. Asses. Vettor Zugni Seg.o mp.
3 – Processo contro Cherbaucich, Mandich ed altri. Sentenza (AST, AAI, B. 7, f. 749-752. ) Pr. d. 14 gennajo 1798 All’Inc. Reg. Prov. dell’Istria Il Tribunale di seconda istanza umilia le Sentenze di condanna contro i Rei esistenti in queste Prigioni, e contro gli autori dell’Interfe. ne del fù Pizzamano seguita nella Terra d’Isola al momento della popolare insurrezione, per la loro approvazione. (Sentenza) In Nome di Sua Maestà Ces. Reale Apostolica l’Imperatore Graziosissimo Protettore di questa Provincia, il Tribunale prov.o di seconda Instanza, procedendo con la facoltà impartitale da Sua Ecc. a Sig.r Conte Commissario aulico, è divenuto alle seguenti Sentenze, contro gl’infrascritti Rei; Giuseppe Cherbaucich di Gasparo detto Cazza la scota, Niccolò Vascotto di Giuseppe detto trè gambe, Alessandro Agostini q.m Marco detto Triora, Zorzi Mandich di Mattio, Vettor Corte q.m Nazario, Pasqualin Moratti di Antonio, Giacomo Bollogna detto Bavellin q.m Giacomo, e Pietro Spangher di Gio-Batta, imputati per quelli, che nella mattina 5 Giugno passato, sparsasi la voce nella Terra d’Isola, che fosse stata introdotta la Bandiera imperiale, di cui venivano imputati autori li Sig. ri Pietro Besengo, Giuseppe Moratti, Domenico Costanzo, Nicolò Drioli, e l’Ecc. te D.r Parè, con l’intelligenza, ed assenso del fù Pizzamano, nassesse una universale insurrezione, vieppiù fumentata dagli inquisiti Giuseppe Cherbaucich, Nicolò Vascoto, ed Alessandro d’Agostin, e da altri ancora, e quindi fatte addossare le militari divise ad alcuni erano soldati Reclute, li facessero comparire armati sopra la pubblica piazza, unendosi essi inquisiti con altri compagni, che forma-
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vano un osservabile numero di rivoltosi e salite le scale del Palazzo del fù Podestà Pizzamano, aprissero forzatamente le porte che erano state chiuse al primo scoppio dell’insurrezione, maltratandolo nella persona senza riflesso al carattere, che sosteneva in quel punto di publico Rappresentante, praticando eguali insulti, e mali trattamenti alla di lui famiglia, e massime ad una sua figliola , che si attrovava in puerperio da pochi giorni, tentando perfino d’inveire contro l’innocente parto, e venisse dimenato un calcio ad altra figlia, che corse in pericolo di precipitar dalla scala, ne contenti di tale innumano procedere di dassero gl’insorgenti a manomettere gl’effetti tutti che erano in quella abitazione, levando perfino le porte delle Camere, li scuri, e vetriate, che furono slanciate sopra la strada, e ridotte in pezzi facendo il simile di tutte le altre mobilie colà esistenti, tagliando li materazzi de Letti, li vestiti, biancherie, e tutto ciò capitava loro nelle mani, niente risparmiando con inumana barbarie, e riducendo quella famiglia nella maggior desolazione. Continuando quindi li mali trattamenti verso l’infelice fù Pizzamano, lo riducessero alla necessità di fuggire da quella abitazione, dirigendo stentatamente i suoi passi verso la Casa Moratti, inseguito da osservabile numero di rivoltosi che non cessavano dimenargli di pugni, e delle boccate di Schioppo, gli venisse praticato contro, lo sbaro della propria arma senza colpirlo da altro inquisito in diverso modo sentenziato che gli dimenassero poscia tante percosse con l’arma medesima per la vita, che rompesse in due pezzi, ed afferratosi l’infelice con una mano alla porta della casa moratti, per non potersi più reggere, gli chiese la vita per carità, ma continuando nel furente ingiusto livore, ordinasse ad altro inquisito parimenti in diverso modo sentenziato, di privarlo di vita, cosicché con un colpo di schioppo esoneratogli contro lo riducesse cadavere, e caduto appena in terra, non bene paranco estinto, gli spiriti vitali, passasse l’Inquisito Zorzi Mandich all’eccesso crudele d’imprimergli una ferita di coltello in un fianco, in prova sempre maggiore del crudele suo animo. Prima che seguisse una tale inumana barbarie, attrovandosi il Morati nell’abitazione del fù Pizzamano, e vedendola invasa da solevati, che minacciavano questi eccessi, che si verificarono sul momento temendo egli della propria vità vi determinasse a slanciarsi dalla finestra, e darsi alla fuga verso la propria sua casa, ma nell’atto di entrarvi, gli dimenasse l’inquisito Bologna un colpo di Palosso, che colpendo nel muro lo rompesse in due pezzi, e fosse pocco dopo aggredito dagli insorgenti, che saccheggiarono la di lui abitazione, tagliando in pezzi, e slanciando dalle finestre quanto esisteva là dentro, ed eguale saccheggio parimenti soffrisse in quell’incontro il costanzo collo spoglio di quanto esisteva nella di lui casa, venendo parimenti slanciati dalle finestre, e ridotti in pezzi, Letti, Casse, armare specchi, vestiti, biancherie, e tutto ciò vi era di sua ragione, lacerando perfino, e slanciando al vento libri, registri, e carte di publica e privata proprietà.
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Non forse da eguale saccheggio Nicolò Drioli, cui getato in pezzi il balcone della Bottega, ed indi aperta la porta, si introducessero li rivoltosi, manomettendo, e slanciando dalla finestra li mobili colà esistenti, ed entrati nella di lui cantina, facessero disperdere per terra il vino, con danno riflessibile di quell’infelice, e nutrendosi da solevati eguali sentimenti di livore verso il medico D.r Parè, si portassero alla di lui abitazione, inseguindolo perfino sopra il tetto della casa, per cui si era egli procurato lo scampo, cagionando al medesimo quei danni che professa di aver rissentito in quell’incontro nello smarrimento di effetti di sua ragione. Nel successivo giorno 6 Giugno antedetto passando il nominato Sig.r Moratti nella contrada di siciole del tener di Pirano, per ricoverarsi nella Terra di Umago, e sottrarsi in tal modo da ogni pericolo, venisse aggresso dall’Inquisito Vettor Corte, che continuava a chiamarlo col nome di ribelle, e minacciato nella vita con replicati tentativi, avendola preservata per la sopravvenienze di alcune persone. Siccome continuava ancora il fermento trà quel Popolo tumultuante, si andavano maneggiando li sacerdoti, e le oneste persone a procurare la pace, ed a persuadere il popolo stesso dell’innocenza delle imputate persone e trovando gl’animi disposti alla generale riconciliazione, fù avvertito il costanzo, che si era rifugiato in questa Città, di ritornare in seno della famiglia, cosicché la mattina 7 Giugno suddetto, affidatto da tali promesse, capitasse ad Isola, e quindi ritornando ad imputarlo di ribelle, si ponesse in ginocchio nel mezzo la Chiesa chessa protestando di sua reale innocenza, e dopo varj discorsi pronunciati dal Parroco per indurre la calma, che fù contesa da alcuni,venisse obligato il Costanzo, unitamente al Besengo, e poco dopo al Drioli, di ridursi sopra la Piazza, dove giunti, tenendo li due primi un crocefisso nelle mani, scortati dal Capitolo, dal Clero, e da numero di persone, fossero colà trattenuti frà li schiamazzi, e l’Inquisito Pasqualin Moratti proponesse l’interfezione di detto costanzo con l’espressione di addossarne la colpa al furor Popolare, dando motivo d’una maggior dilazione alla Pace, con pericolo di funestissime conseguenze. Che però esaminate le colpe di cadauno degl’inquisiti, hà il Tribunale medesimo Decretato, pronunziato, e Sentenziato, che, Zorzi Mandich, e Giuseppe Cherbaucich, detto Cazza la scotta, siano condannati a publici lavori in Trieste per il corso d’anni dieci per cadauno, co’ ferri a piedi corrispondenti al tempo della condanna; intendendosi senz’altro, che fuggendo dalla loro prigionia, e ritrovati in qualunque luoco della loro dimora, saranno soggetti a più severi castighi. Alessandro d’Agostin d. to Triora sia, e s’intenda condannato alli
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publici lavori delle strade in questa Città, equalmente co’ ferri a piedi per il corso d’anno uno, da computarsi a die retentionis, venendo parimenti condannato all’esborso di Lire seimilla all’indenizzazione de’ saccheggiati, e nelle spese. Nicolò Vascoto Capo di cento, sia e s’intenda condannato alli publici lavori come sopra per anni uno a die retentionis con ferri a piedi, venendo parimenti condannato all’esborso di Lire quattromilla per l’indenizazione de’ saccheggiati, e nelle spese. Pasqualin Moratti sia, e s’intenda condannato alli publici lavori come sora, con ferri a piedi per mesi otto a die retentionis; venendo pure condannato all’esborso di Lire cento e cinquanta per l’indenizazione de’ saccheggiati stessi e delle spese. Vettor Corte, e Giacomo Bollogna d. to Bavellin, siano, e sintendano condannati ai publici lavori, come sopra per mesi sei per cadauno, co’ ferri a piedi a die retentionis, li qualli tutti s’intenderanno s’enz’altro, che fuggendo e ritrovati in qualunque luogo della loro dimora, saranno soggetti a più severi castighi, e che Pietro Spangher stante la prigionia sofferta sia dalle carceri licenziato. Capo d’Istria, 7 Gen.o 1798.
Elio Marchese Gravisi Primo Assess. mp.
Silvestro M. Venier Assess. mp.
Alessandro Gavardo, q.m Gio. Assess. mp.
Vettor Zugni Seg.o mp.
Per parte di questo ces. Reg.o Governo provvisorio dell’Istria, in derivazione di espressa Sovrana Risoluzione, s’approva in linea di giustizia la soprascritta Sentenza conforme alle Leggi vigenti, con le seguenti modificazioni, determinate in linea di grazia e clemenza speciale di Sua Maestà L’Imperatore e Re nostro graziosissimo Sovrano, cioè: Primo. Alli Giuseppe Cherboncich di Gasparo detto Cazza la Scotta, e Zorzi Mandich di Mattio, condannati per anni dieci continui ai publici lavori coi ferri ai piedi, viene limitata la loro pena a soli anni cinque per cadauno di travagli ai publici lavori coi ferri ai piedi, in quella Città della Monarchia, che sarà determinata, intendendosi sempre, che fuggendo dalla prigione, dove attualmente sono detenuti, e ritrovati in qualunque luogo della loro dimora, saranno soggetti ai più severi castighi.
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Secondo. Alessandro d’Augustini q.m Marco detto Triera, condannato alli publici lavori delle Strade in questa città, coi ferri ai piedi per il corso di un Anno da computarsi a die retentionis, ed al pagamento di Lire seimille, in dovuta reulizione alli danneggiati, viene liberato dalla pena corporale restandogli confermata soltanto la pecuniaria condanna delle suddette Lire seimille. Terzo. Nicolò Vascotto Capo di Cento, condannato, come sopra, ai publici lavori, per un anno coi ferri ai piedi, ed al pagamento di Lire quattro mille, per indennizazione delli danneggiati, viene liberato parimenti dalla pena corporale, e solo confermata la dovuta indennizazione delle sudette £. 4. 000. Quarto. Pasqualin Moratti di Antonio, condannati alli publici lavori come sopra, con ferri ai piedi, per mesi otto, a die retentionis, ed al pagamento di Lire Cento e Cinquanta, per la indennizazione delli danneggiati, sarà sciolto dalla pena corporale, confermandosi la sentenziata indennizazione delle suddette £. 150. Quinto. Vettor Corte q.m Nazzario, e Giacomo Bologna detto Bavelin, condannati come sopra ai publici lavori coi ferri ai piedi per mesi sei continui a die retentionis, siano senz’altro rilasciati in libertà, e sciolti dalla pena corporale; salvo sempre per tutti essi Rei, il pagamento secondo le Leggi delle Spese ministeriali. Capo d’Istria, 24 Marzo 1798.
Francesco Filippo di Roth
L. S. Per il ces. reg. Governo provisorio dell’Istria. Emanuele Persoglia secret. m. p. *** *** ***
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4 – Processo contro tanti altri. Sentenza (AST, AAI, B. 7, ff. 754-761. ) Inclito Cesareo Reg. Prov. Gov. dell’Istria. A seconda delle risultanze del Processo formato sopra l’insurrezione accaduta nella Terra d’Isola, è divenuto questo Tribunale di seconda Istanza a segnare le qui annesse sentenze contro quei Rei, assoggettando ai sapientissimi riflessi di codesto Inc. Reg. Governo, affinché degni di riconoscerle, e possino aver luogo gli effetti di Giustizia. Capodistria, 17 Febraro 1798
Elio March. e Gravisi Primo Assess. e
(ff. 755-761. ) (Sentenza) In Nome di S. M. C. R. A. L’Imperatore, Graziosissimo Protettore di questa Provincia, Il ces. reg. Tribunale prov.o di 2. da Instanza prestato il seguente conveniente riflesso alle risultanze del presente Processo, nonché alle convenienze de Saccheggiati, che implorano d’essere risarciti de’ danni sofferti alle loro case nella giornata 5 Giugno ultimo passato, nell’equiditata , ed approvata grandiosa Summa di £. 36. 416, dalli Capi di Contrada della Terra d’Isola, e dalli Marco de Carli q. m. Fran. co, Fran. co Ugo q.m Zuanne, ed Antonio Benvenuto q.m Almerigo, della Terra stessa, persone non aventi parte di detta Insurrezione, tutti comparsi d’innanzi a questo Tribunale in confronto delli danneggiati, e dovendo questa essere ripartita sopra cadaun reo in proporzione della Colpa, ma insolidariamente, perciò letto in carte, e considerato l’intiero contenuto del Processo medesimo, e ressultando a carico degl’infrascritti absenti, ma legitimamente citati. Imputati per quello, che nella mattina 5 Giugno sud. to; sparsa una voce nella Terra d’Isola , che fosse stata introdotta la Bandiera Imperiale, di cui venivano supposti autori li Sig. ri Pietro Besengo, Giuseppe Moratti, Domenico Costanzo, Niccolò Drioli, e l’Eccelente D.r Parè, con l’inteligenza ed assenso del fù Podestà Pizzamano, nascesse una universale insurrezione, vieppiù fumentata da alcuni inquisiti, e quindi fatti addossare le militari divise a varj, erano Soldati Reclute, si facessero comparire armati
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sopra la publica piazza, unendosi con altri compagni, che formavano un osservabile numero di rivoltosi, e salite le scale del Palazzo del fù Podestà Pizzamano, aprissero forzatamente le Porte, che erano state chiuse al primo scoppio dell’insurrezione maltrattandolo nella persona senza riflesso al carattere, che sosteneva in quel punto di publico Rappresentante, praticando eguali insulti alla di lui famiglia, e massime ad’una sua fgliuola, che s’attrovava in puerperio da pochi giorni, tentando perfino di inveire contro l’innocente Parto, e venisse dimenato un calcio al altra figlia, che corse in pericolo di precipitar dalla Scala; ne contenti di tale inumano procedere, si dessero gl’insorgenti a manomettere gl’effetti tutti, di quella publica abitazione, levando perfino le porte delle Camere, li scuri e vettriate, che furono slanciate sopra la strada, e ridotte in pezzi, facendo il simile di tutte le altre mobiglie colà esistenti, tagliando li materazzi de’ letti, li vestiti, biancherie, e tutto ciò capitava loro nelle mani, niente risparmiando, con inumana barbarie, e riducendo quella famiglia nella maggior desolazione. Continuando quindi li mal trattamenti verso l’infelice fù Pizzamano, lo riducessero alla necessità di fugire da quella publica abitazione, dirigendo stentatamente i suoi passi verso la Casa Moratti, inseguito d’osservabile numero di rivoltosi, che non cessavano dimenargli de’ pugni, e delle boccate di Schioppo, gli venisse praticato contro, lo sbaro della propria arma, senza colpirlo da altro inquisito in diverso modo Sentenziato, che gli dimenasse poscia tante percosse con l’arma medesima per la vita a segno che la rompesse in due pezzi, ed afferratosi l’infelice con una mano alla porta della casa Moratti, per non potersi più reggere gli chiedesse la vita, per carità, ma perdesse miseramente la vita da sparo d’arma da fuoco. Patissero eguali saccheggi colla perdita delle sostanze li nominati, Costanzo, Moratti, e Drioli, essendo state prodotte le note de’ danni ascendenti ad osservabile summa, e continuando in quel medesimo giorno per parte de’ solevati il tumulto, e l’insurrezione, e passati alla Casa del medico D.r Parè, che dalle precedenze, e dallo spavento si era altrove procurata la propria salvezza, fosse inseguito da alcuni degl’inquisiti, da uno de quali gli fosse esonerato contro lo schioppo, da cui restò leggermente, per quanto è introdotto, ferito un di lui figlio. Siccome continuava ancora il fermento frà quel popolo tumultuante, che aveva divisato di praticare eguale saccheggio alla Famiglia Besengo, da cui andò esente, non senza però significante consumo di Cibi, e vino, per saziare l’ingordigia di que’ rivoltosi; vi andavano maneggiando li Sacerdoti, e le oneste persone a procurare la pace, ed a persuadere il Popolo solevato dell’innocenza degl’imputati autori dell’immaginaria introduzione della Bandiera Imperiale, e trovando gl’animi ben disposti alla generale riconciliazione, fù avvertito il Costanzo, che si era rifuggiato in questa Città, di ritornare alla di lui famiglia, cosichè la mattina delli 7 Giugno, affidato in
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tale promesse, capitasse a Isola, dirigendo i suoi primi passi verso la Chiesa dov’era esposto il Sacramento, e quindi ritornando a venire imputato di ribelle, si ponesse in ginocchio verso la Chiesa stessa, protestando di sua reale innocenza, dopo varj discorsi pronunciati dal Paroco, per per indurre la Calma, che fù contesa d’alcuni, venisse obligato il Costanzo unitamente al Besengo, di ridursi sopra la Piazza, dove giunti con un Crocefisso nelle mani per cadauno, scortati dal Capitolo, dal Clero, e di numero di persone, fossero colà trattenuti frà li schiamazzi degl’Inquisiti, da quali fù anco condotto il Drioli levato dal Sacro Tempio, e fossero colà trattenuti molte ore, sempre incerti della minacciata loro esistenza, a preservazione della quale continuassero quegli ottimi Religiosi i loro uffizj, onde persuadere il popolo dell’inganno, e dell’ingiusta punizione addossata a quegli infelici a quali finalmente fù accordata la riconciliazione, vincolandoli però a formare una formale rinuncia d’ogni pretesa di risarcimenti de’ danni sofferti, non attendibile in momenti de’ spasimi, ne quali erano immersi per timor della vita. Che però ponderate le colpe di cadauno ha Decretato, pronunziato, e Sentenziato che li Nicolò Marchesan sia condannato per mesi trè alli publici lavori in questa Città con ferri ai piedi, ed in caso di fuga in qualunque tempo, che cadesse nelle forze della giust. a sarà soggetto a più severi castighi, oltre il pagamento per indennizazione alle parti danneggiate di £. 200. Gio. Batta de Lise di Vicenzo, condannato mesi uno come sopra, ed in. £. 100. Vicenzo Chicco, detto Cochie, condannato mesi trè come sopra, e in. £. 200. Simon Rosignan q.m Pietro condannato in. £ 300. - Saldò! Dom.co de Grassi di Nicolò condannato a mesi 4 come sopra, ed in. £. 400. - , contò a conto £ 300 Zuanne Lorenzuti di Zuanne detto Grilo, condannato mesi 4 come sopra, ed in. £. 700. -, contò a conto £ 400 Zuanne Carboncin det.o Rosadel, condannato per mesi sei coome sopra, ed in. £. 2.100. Marco Carboncin di Ant.o condannato mesi uno come sopra, ed in. £. 250. -, contò a conto £. 60 Pietro de Lise di Zuanne detto Cattamorosa condannato di £ 200. -, Saldò!
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Zuanne Rusignan dt.o non plus ultra, condannato per mesi tre come sopra, ed in. £. 600. -, contò a conto £. 300 Bastian de Grassi di Nicolò dt.o Caifa condannato per mesi re come sopra, ed in. £. 400. Mauro de Grassi dt.o Mostachi, condannato per mesi 4 come sopra, ed in. £ 200. Bastian Perentin di Antonio condannato in £ 100. -, Saldò! Zuanne Pesaro di Ant.o dt.o Scoco, condannato mesi 4 come sopra, ed in. £. 400. Nicolò Chelleris dt.o Uzzo, condannato in £. 100. -, Saldò! Andrea Damiani fabbro condannato per mesi trè come sopra, ed in. £. 100 Zuanne Ricaro Corderaro condannato mesi trè come sopra, ed in. £ 150 Ruggier Pesaro q.m Ant.o condannato in £. 100. -, Saldò! Giuseppe Goina q.m Donà dt.o belocchio condannato mesi 3 come sopra, ed in. £. 400. - contò a conto £. 300 Giacomo Bologna q.m Ant.o condannato in £. 120. -, Saldò! Fran.co Rusignan dt.o Dindiotto di Rigo, condannato in £. 180. -, Saldò! Nicolò de Pase condannato a £. 150. -, Saldò! Benvenuto delle ore di Giacomo, condannato mesi trè come sopra, ed in. £. 400. Giuseppe e Mattio fratelli Valenti, condannati per mesi trè come sopra, ed in. £. 800. -, contò a conto £. 600 Mauro Goina q.m Zuanne condannato in £. 180. -, Saldò! Vicenzo de Lise dt.o San Pierin, condannato mesi due come sopra, ed in. £. 180. Almerigo Russignan q.m Mauro, condannato mesi trè come sopra, ed in. £. 200. Giuseppe Collomban dt.o Pastizzo, condannato in £. 100. -, Saldò! Antonio Lusignan di detto Ferrarese condannato mesi uno come sopra, ed in. £. 350. -, contò a conto £. 300 Giacomo Drioli q.m Marco, condannato in mesi 4 come sopra, ed in. £. 400. -, contò a conto £. 300 Nicolò de Grassi di Pietro dt.o Lughero, condannato mesi due come sopra, ed in. £. 100 Mauro de Grassi detto Pippiu, condannato a mesi 2 come sopra, ed in. £. 200. -
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Bastian Marchesan di Mauro detto Bimberle, condannato a mesi 2 come sopra ed in. £. 200. Zuanne de Grassi di Nicolò dt.o Tarantan, condan. mesi trè come sopra, ed in £. 500. -, contò a conto £. 300 Gasparin Ugo di Pietro dt.o Stortalo, condannato a mesi 4 , come sopra, ed in. £. 500. Ant.o Rusignan dt.o Ronchello condannato mesi 4 come sopra, ed in. £. 300. Antonio Zaro di Zuanne detto Rassina, condannato a mesi 4 come sopra, ed in. £. 300. Bartolo Vascotto dt.o Fuga condannato a £. 300. - , Saldò! Giuseppe Drioli q.m Zuanne del Campanil, condannato a mesi 4 come sopra, ed in. £. 300. Zuanne d’Andri dt.o Pepolo, condannato mesi trè, come sopra, e di in. £. 500. -, contò a conto £. 300 Giuseppe Vascotto dt.o Brazzeti, condannato a mesi due come sopra, ed in £. 100. -, Domenico de Grassi dt.o Marcochia di Zuanne, condannato in £. 300. -, Saldato! Giacomo Vascotto dt.o Baster, cond. Mesi 4 come sopra, ed in. £ 300. Giacomo d’Agostin dt.o Sbaffo, cnd.o a mesi 4 come sopra, ed a £ 300. Nicolo de Lise, di Niccolò dt.o Zareto, cond. a mesi due come sopra, ed a £. 200Mattio Vascotto q.m Bartolamio, cond.o a £ 300. -, Saldato! Sebastian Drioli di Sebast.n cond.o a £. 200. - dt. o! Antonio Pesaro dt.o Terzette, cond.o a mesi 4 come sopra, ed in. £. 2. 000. -; contò a conto £. 300 Antonio Drioli di Santo dt.o Magno condannato in £. 300. Nicolò Vascotto di Almerigo detto la Mora condannato mesi trè come sopra, ed in. £. 400. Giacomo Rughero di Antonio dt.o Taglione, cond. Mesi due come sopra, ed in. £. 150. Liberal Gajo, q.m Fran.o condanato a mesi due come sopra, ed in. £. 200. -
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Zuanne Costanzo di Bastian dt.o Brusamede, condannato a mesi due come sopra, ed a £. 200. Zanin d’Agri detto Buavo, condannato a mesi 3 come sopra, ed a £. 400. Tomaso Nobil q.m Marco condannato a mesi uno come sopra, ed a £. 80. Gasparo Galuppi di Antonio, condannato a mesi due, come sopra, ed a £. 200. Santo de Rossi di Tomaso dt.o Bisdà, condannato a mesi due come sopra, ed a £. 200. Ant.o d’Udine d’Alessandro, cond.o a £. 300. -, Saldò! Zuanne Moratto q.m Mauro, cond.o a mesi due, come sopra, ed a £. 200. Domenico Vascotto di Liberal, cond.o a mesi due, ed a £. 200. Pietro e Domenico Fratelli Puchi, cond. nti a mesi due, ed a £. 400. Rigo Biasuzzo dt.o dell’Orbo cond.o a £. 300. -, Saldò! Dom.co Castro dt.o Zulian, cond.o a mesi due come sopra, ed a £. 250. Bortolo Balestra, di Baldisara, cond.o a mesi due come sopra, ed a £. 200. Mattio Furlan dt.o il Contadin, cond.o a mesi due come sopra, ed a £. 150. Girolamo Lorenzutti dt.o Pambello, cond.o a mesi due, ed a £. 200. Vicenzo de Rossi di Zuanne dt.o Ravaito, cond.o a mesi due come sopra ed a £. 300. -, Saldò li 22 Feb. o! Ant.o de Rossi di Zuanne dt.o Ravaito condannato a mesi due come sopra, ed a £. 300. Zuanne Passaro di Antonio dt.o Cappe, condannato a mesi due come come sopra, ed a £. 300. Battista de Grassi dt.o Lughero, condannato a mesi due, come sopra, ed a £. 200. Francesco Chiro q.m Fran.co detto Napcichin, condannato a mesi due come sopra, ed a £. 250. Ant. Vascotto di Liberal, cond.o a mesi due come sopra, ed a £. 200. Dom.co Bressan q.m Franc.co cond.o a mesi come sopra, ed a £. 200. -
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Dome.co Mascolin dt.o Panocchia, cond.o a mesi due, ed a £. 300. Giuseppe de Grassi di Ant.o dt.o Sacco, cond.o a mesi due come sopra, ed a £. 250. Matio Allessio di Capo d’Istria, cond.o a mesi uno, ed a £. 80. Giacomo Nobil di Capo d’Istria, cond.o a mesi uno come sopra, ed a £. 80. Giov. Batta, e Giacomo fratelli Trojan q.m Anzolo, cond. i a mesi uno come sopra, ed a £. 200. Pietro de Rossi di Tomaso, cond.o a mesi due come sopra, ed a £. 200. Marco Lorenzuti di Simonteo, condannato a mesi uno, come sopra, ed a £. 50. Fran.co d’Andri, di Nicolo, cond.o a mesi due come sopra, ed a £. 200. Fran.co Chico di Vicenzo dt.o Napichi, cond.o a mesi due come sopra, ed a £. 200. Mauro de Pasi di Nicolo, cond.o a mesi due come sopra ed a £. 300. Giuseppe Perentin detto Fatte, cond.o a mesi uno come sopra, ed a £. 60. Fran.co Castro dt.o Volpe, cond.o a mesi uno come sopra, ed a £. 100. Domenico Moratti q.m Domenico condannato a mesi due come sopra, ed a £. 150. Rinaldo Goina di Marcone, cond.o a mesi uno come sopra, ed a £. 100. Pietro Carlin d’Allessandro, cond.o a mesi uno come sopra, ed a £. 60. Fran.co Vascotto di Ant.o cond.o a mesi uno come sopra, ed a £. 50. Zuanne de Grassi di Domenico cond.o a mesi uno, ed a £. 100. Ant.o Baldar, q.m Zuanne, cond.o a mesi uno, ed a £. 60. Marco de Rossi di Tomaso, cond.o a mesi uno, come sopra, ed a £. 60. -
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Franc.co Vascotto q.m Domenico, cond.o a mesi uno, come sopra, ed a £. 50. Zuanne de Grassi di Ant.o cond.o a mesi uno, ed a £. 50. Zuanne de Menis, q.m Zuanne, cond.o a mesi uno, come sopra, ed a £ . 66. Gasparo Goina, q.m Marco, cond.o a mesi uno, come sopra, ed a £. 40. Zuanne Feluga, q.m Zuanantonio cond.o a mesi uno, come sopra, ed a £. 100. Giacomo Almerigo dt.o Manin, cond.o a mesi due come sopra, ed a £. 50. ----------------------Riporto totale £. 26. 266. Altre condanne pecuniarie, come nella precedente Sent. a de Retenti: Alessandro d’Agostini dt.o Triora cond.o a £. 6. 000. Bortolo Vascotto, cond.o a £. 4. 000. Pasqualin Moratto cond.o a £. 150. ---------------------- Summa totale £. 36. 416. E se nel termine di mesi uno dal giorno della publicazione della presente Sentenza conteranno essi Rei nella Cancelleria di questo Tribunale, in effettivo dinaro l’intera summa che a cadauno insolidariamente appartiene a libera disposizione de danneggiati, o se non potendo alcuni di loro contare l’intiera Summa dovuta, ne sborseranno a difalco una parte, e per il residuo produranno autentici legali documenti di aver a supplire entro qualche equo periodo di tempo che potrà esser loro concesso da danneggiati medesimi, saranno in tal caso gli uni, e gl’altri, per somma clemenza liberi, e sciolti dalla pena affittiva, e rimessi nella publica grazia. Per popolar insurrezione, saccheggi, ed ogn’altro loro eccesso, ex arbitrio, e nelle spese. Capo d’Istria, 17 Feb.o 1798
Elio Marchese Gravisi p. mo Assessore Silvestro M. Venier Assessor Allessandro Gavardo q.m Giov. Ass.
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In dovuta esecuzione di espressa sovrana Risoluzione, in linea di giustizia si approva per parte di questo provvisorio Governo dell’Istria, la soprascritta sentenza, però con le seguenti modificazioni, determinate in via di grazia dalla Sovrana Clemenza; cioè: Tutti gli soprascritti Rei condannati simultaneamente con l’alternativa di pena affittiva, in caso che mancassero al pagamento della pecuniaria, vengono per grazia speciale del nostro clementissimo Sovrano, liberati dalla pena corporale, confermandosi però li sentenziati risarcimenti pecuniari alli quali restano obligati, e le spese ministeriali, secondo le Leggi. Capo d’Istria, 24 Marzo 1798 L. S.
Francesco Filippo di Roth m. p.
Per il Ces.o Reg.o Governo provvisorio dell’Istria. Emanuele Persoglia Segr. m. p. 5 – Note aggiuntive sull’applicazione delle sentenze. (AST, AAI, B. 7, ff. 735-739. ) Minute di lettere di Roth relative all’approvazione delle Sentenze sui fatti di Isola, con le sue correzioni in corsivo, da inviare a Capodistria e a Isola. (B. 7, ff. 735-736. ) Al Tribunale Provvisionale di Seconda instanza di Capodistria. Avendo la Maestà del nostro graziosissimo Sovrano l’Imperatore, e Re confermata la sentenza di morte pronunciata da esso Tribunale, li 7 Gennajo p.o p.o controli due Rei principali, Zuanne d’Udine q.m Niccolò detto Salmestrin, e Bastian Perentin di Balsemin detto Bastianella, della interfezione del q.m Nicolò Pizzamano fù nella sua qualità di Veneto Rappresentante attuale nella Terra d’Isola, successa nell’incontro della verificasi inssurrezione popolare a quella parte, nelle giornate 5. 6. 7. e 8. Giugno 1797, però stante la loro assenza, saranno /nell’atto della solenne pubblicazione da farsi sulla Piazza d’Isola, in presenza di tutti gli abitanti ed in particolarità delli Rei ancora presenti (accl. La Sentenza 7 gennaro 1798. ex N. 200)/ i loro nomi a norma della sentenza medesima pubblicamente appesi coll’esposizione del delitto alla forca; al qual effetto in carattere cubitale, e ben chiaro, farà trascrivere la qui unita sentenza con la
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colpa, che gli si trasmette unitamente alle appostevi annotazioni , facendo in conseguenza di ciò, eriggere nella Terra di Isola, in luogo cospicuo, e del maggior concorso, un pajo d’imminenti Forche, sicchè a quelle abbia da essere appeso un Cartello con li nomi, e colpe delli due Rei d’Udine, e Parentin per esempio, e freno delli malfattori. Avendo innalare per grazia speciale la Maestà Sua, limitata la pena di dieci anni di Lavori publici coi ferri ai piedi, pronunziata da esso Tribunale contro Zorzi Mandich, e Giuseppe Cherbaucich lo stesso giorno del 7 Gennajo prossimo passato, /da pubblicarsi ora more solito, tanto qui in Capo d’Istria, quanto in Isola/, a soli anni cinque; si dovrà nonostante continuare a custodirli con molta precauzione in questi lavori, fino a tanto che sia concertato il modo, di farli trasportare in qualche interna città della monarchia, per subire il loro castigo, di anni cinque di publici lavori, non dovendosi da esso Tribunale, in alcun modo disponere de’ medesimi, senza ulteriore comando di questo Governo. E siccome la prelodata graziosissima Maestà Sua, per effetto di quei clementissimi sentimenti, che Le sono connaturali, ha fatto totalmente la grazia a tutti gli altri Rei Inquisiti, e condannati, per la sopraindicata insurrezione, delle pene corporali, pronunziate contro di loro, con le sentenze di esso Tribunale, 7 Gennajo, e 17 Febbrajo p. i p. i, in quanto che restano soltanto confermate le pene pecuniarie ai medesimi individualmente inflitte da esso Tribunale, con l’appostovi riparto, a dovuta reluizione delle parti danneggiate così supplito che abbiano alle stesse, quali Rei, che attualmente si trovano detenuti in queste Carceri, chiamandoli esso Tribunale, alla sua presenza, con gli altri che sono tuttavia absenti, verso una ben addattata redarguizione da farsi, /purchè abbiano pagata la loro tangente di sentenza in reluizione delle parti danneggiate/, farà loro comprendere fin dove sia arrivata la clemenza di S. M. l’Imperatore e Rè Nostro Augustissimo Sovrano, che li dispensa da ogni ulteriore castigo corporale, nella lusinga, che per l’avvenire si dimostreranno sudditi fedeli, ed obbedienti alle Leggi, quanto per l’avanti se’ sono fatti conoscere sanguinarj, violenti, e perturbatori della altrui proprietà, e quiete generale. Non si dubita ancora ma anzi la si assicura, che mediante la vigilanza di esso Tribunale, la summa di £. 36. 416. -, che è il montante delle pene pecuniarie inflitte ai varj inquisiti di dette due Sentenze 7 Gennajo, e 17 Febbraro p. i p. i, sarà tutta realmente impiegata a indennizazione delle persone danneggiate, nel giorno della insurrezione, ripetendo dalle medesime le dovute quietanze, e con l’avvertenza ancora, che /sotto propria risponsabilità de’ Membri d’esso, Tribunale/, non se ne distrugga alcuna parte che quella sola, che le Leggi accordano, per le dovute spese ministeriali essendo poi precisa volontà Sovrana che le ricerche sopra delitti commessi, prima che la Provincia fosse soggetta alla Maestà Sua siano
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generalmente sospese, in vista di mantenere la quiete, e la contentezza in questa suddita popolazione; e che prima di procedere alla esecuzione di qualunque sentenza di pene grave, che in seguito potesse /essere assoggettata alla revista, e riflessi/, d’esso Tribunale, contro alcun Reo, prevenuto di enorme delitto, non possa non dispensarsi di avanzare il suo dettagliato rapporto con gli atti d’Inq.ne a questo Governo, per dipendere dalle ulteriori determinazioni, che gli saranno dappoi demandate, così ciò gli comunica, per suo lume, ed innalterabile direzione di non obliterar mai, quanto col presente Decreto gli viene prescritto in questo suo scritto, ritenendo nelle riserve del secreto questa sovrana providenza singolare della M. S. In conseguenza di ciò al caso, che capitassero nelle forze della Giustizia li due Rei Salmestrin e Bastianella, farà che sia sospesa l’esecuzione della loro sentenza, fino a tanto che, doppo il suo circostanziato rapporto sopra il loro fermo, non gli derivino le ulteriori rissoluzioni, analoghe sempre alla sopra manifestata risserva del nostro Clementissimo Sovrano. Non dubitando, che con somma avvertenza esso Tribunale, non abbia a prestarsi all’immediata dovuta esecuzione del presente Decreto, farà intanto che segua la solenne publicazione delle sentenze tanto in questa città, che contemporaneamente ancora nella Terra di Isola, disponendo gli ordini in anticipazione, perché la mattina della publicazione stessa, siano allestite, ed esposte le Forche in Isola a vista universale di tutti, con appesovi il cartellone dei Nomi, e Cognomi delli condannati, e loro delitti, per dovuto adempimento della clausola della già approvata sentenza. Capo d’Istria, 24 Marzo 1798 (B. 7, ff. 737-738. ) Al Tribunale Provvisionale di Isola Da questo Tribunale di seconda instanza, sarà mandata colà una Commissione per la solenne publicazione in codesta Terra, delle tre sentenze dallo stesso pronunziate li giorni 7 Gennajo, e 17 Febraro p. i p. i , contro li Rei principali della popolar insurrezione ed omicidio del fù Veneto Rapp. te Nicolò Pizzamano non men che de’ Rei di tumulto, saccheggio ed altre violenze comesse nelle giornate 5. 6. 7. e 8 Giugno 1797; prendendo contemporaneamente tutte le disposizioni che convengono, perché sia eseguita l’alternativa, e clausula della sentenza, pronunziata contro li absenti, Zuanne d’Udine q.m Nicolò detto Salmestrin, e Bastian Perentin di Balsemin detto Bastianella. Capoversi scritti ma cancellati: (Nel mentre che però la clemenza del nostro Augustissimo Sovrano è devenuta all’approvazione delle sentenze medesime, hà limitato per 426
special grazia la pena di dieci anni di lavori publici co’ ferri ai piedi, pubblicata contro Rei Zorzi Mandich, e Giuseppe Cherbaucich, a soli anni cinque, in quella città interna della monarchia, che sarà poi determinata, facendo totalmente la grazia a tutti gli altri inquisiti, e condannati per la sopraindicata insurrezione delle pene corporali pronunziate contro di loro dal Tribunale di seconda instanza, con questo però, che debbano soggiacere al pagamento immediato delle pene pecuniarie, che sono loro infisse individualmente nella rispettiva sentenza, per dovuta indennizzazione delle persone danneggiate nell’incontro della seguita insurrezione, e delle spese che giustamente per legge si competevano al ministero. E giacchè totalmente adesso è deffinito un così lungo, e complicato Processo, è volontà sovrana, che sopra delitti commessi prima che la Provincia fosse soggetta alla maestà Sua abbia da restar sospesa ogni ulteriore ricerca, con la clementissima vista di mantenere la quiete, e la contentezza nella popolazione, non dovendosi procedere all’esecuzione di nessuna sentenza grave, e nemmeno contro li Salmestrin, e Bastianella nel caso, che cadessero nelle forze della Giustizia, senza prima dipendere dalle ulteriori deliberazioni, che diverranno ad esso Tribunale, dietro un suo particolare, e dettagliato rapporto, sopra ogni uno dei casi, che fossero analoghi alla presente istruzione, da tenersi nelle riserve del secreto, ed a nessuno palese. ) Sostituiti con il seguente scritto a margine. /Saprà perciò esso, Tribunale prestarsi a tutte quelle disposizioni, che da questo Tribunale di seconda Istanza, o dalla Commissione da destinarsi saranno giudicate necessarie per l’esecuzione delle Sentenze, che da esso, Tribunale di seconda Istanza gli saranno comunicate in Copie autentiche. / Seguìta però che sia la publicazione delle rispettive sentenze, farà esso Tribunale, precorrere a tutti li Rei condannati, che costà vi fossero, di presentarsi immantinente dinnanzi questo Tribunale di seconda instanza, per quelle ulteriori disposizioni, che saranno prese dallo stesso, in ordine ai publici comandi, che gli si sono demandati. Capo d’Istria, 24 Marzo 1798. Continua di seguito con le seguenti disposizioni modificative da inserire nelle Sentenze assieme alla loro approvazione. (B. 7, ff. 738-739. ) NB: in calze della sentenza 7 Gennajo 1798, contro di Zuanne di Udine, e Bastian Perentin, ex num 200.
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In derivazione di espressa Sovrana risoluzione si conferma e si approva per parte di questo ces. reg. Governo Provvisorio dell’Istria la soprascritta sentenza. Capo d’Istria, 24 Marzo 1798. NB. NB: in Calze della sentenza pur 7 Gennajo 1798, contro li controscritti Rei, ex num 200. Per parte di questo ces. reg. Governo provvisorio dell’Istria, in derivazione di espressa Sovrana Risoluzione, s’approva in linea di giustizia la soprascritta Sentenza, conforme alle leggi vigenti, con le seguenti modificazioni, determinate in linea di grazia e Clemenza speciale di S. M. l’Imperatore, e Rè Nostro Graziosissimo Sovrano; cioè Primo – Alli Giuseppe Cherbaucich di Gasparo detto Cazza la Scotta, e Zorzi Mandich di Mattio, condannati per anni dieci continui ai publici lavori coi ferri ai piedi, viene limitata la loro pena a soli anni cinque per cadauno di travaglio ai publici lavori coi ferri ai piedi, in quella città della Monarchia, che sarà determinata, intendendosi sempre, che fuggendo dalla prigione, dove attualmente sono detenuti, e ritrovati in qualunque luogo della loro dimora saranno soggetti a più severi castighi. Secondo – Alessandro d’Augustini q.m Marco detto Triora, condannato alli publici lavori delle strade, per il corso di un anno da computarsi, a die rettentionis, e al pagamento di Lire sei mille, in dovuta reluizione alli danneggiati, viene liberato dalla pena corporale, serbandogli confermata soltanto la pecuniaria condanna delle sudette Lire sei mille. Terzo – Nicolò Vascotto Capo di Cento, condannato come sopra, ai pubblici lavori, per un anno coi ferri ai piedi, ed al pagamento di lire quattro mille, per indennizazione delli danneggiati, viene liberato parimenti della pena corporale, e solo confermata la dovuta indennizazione delle sudette £. 4.000. -. Quarto – Pasqualin Moratti di Antonio, condannato alli publici lavori come sopra, con ferri ai piedi, per mesi otto, a die rettentionis, ed al pagamento di lire cento e cinquanta per la indennizazione delli danneggiati, sarà sciolto dalla pena corporale, confermandosi la sentenziata indennizazione delle sudette £. 150. -. Quinto – Vettor Corte q.m Nazzario, e Giacomo Bologna detto Bavellino, condannati come sopra ai publici lavori coi ferri ai piedi per mesi sei continuati a die rettentionis, siano senz’altro rilasciati in libertà, e sciolti
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dalla pena corporale, salvo sempre per tutti essi Rei, il pagamento secondo le leggi delle spese ministeriali.
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NB. NB. NB: In calze della sentenza 17 febbraro 1798 ex num.o
In dovuta esecuzione di espressa Sovrana Risoluzione, in linea di giustizia, si approva per parte di questo Provvisorio Governo dell’Istria la soprascritta sentenza, però con le seguenti modificazioni, determinate in via di grazia dalla Sovrana Clemenza; cioè Tutti li soprascritti Rei condannati simultaneamente con l’alternativa di pena affittiva, in caso che mancassero al pagamento della pecuniaria, vengono per grazia speciale del nostro Clementissimo Sovrano, liberati dalla pena corporale, confermandosi però li sentenziati risarcimenti pecuniarj alli quali restano obbligati, secondo le Leggi. Capo d’Istria, 24 Marzo 1798
Srib.
Roth
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5. Altri Documenti riguardanti i fatti d’Isola. Utilizzo dei carcerati. Relazione del Tribunale di prima istanza di Capodistria al Presidente Roth, sull’utilizzo dei prigionieri per lavori di pubblica utilità. (AST, AAI, B. 1, ff. 695-696. ) (Pr. d. 3 Sept. 1797) All’Inclito Ces.o Reg.o Governo Provisorio dell’Istria (Il Tribunale di p.ma Istanza Civile, e Criminale di Capodistria rassegna l’entroscritto Memoriale riguardante le condanne Criminali ai Pub. ci Lavori. ) Inclito Ces.o Reg.o Governatore Provis.o della Provincia dell’Istria. Se gli essenzialissimi oggetti, che devono determinare la qualità delle Pene da infliggersi nei Criminali Giudizj sono non solo la punizione dei delinquenti, ma altresì l’esempio che senza far fremere l’umanità coll’atrocità dei Castighi raffreni pure, se intenzionati a secondare gli impulsi delle loro passioni, ed in complesso il vero bene della Società; sembra per certo a questo Ces. Reg.o Pret.e Tribunal Prov.o di p.ma In.za Civ.le e Criminale di non poter meglio incontrare gli oggetti med. mi ed insieme le benefiche mire del Sovrano, che si è degnato di approvare la di lui destinazione in al riparto al ben essere di questa Città e Territ.o, che col fissare nei Pub.i Lavori a beneficio della Città e Territ.o medesimi lo scopo principale delle proprie Criminali Sen.ze, particolarm.e in sostituz.ne alle Condanne nelle Pub.e Galere, che or più non esistono, e che formarono la maggior parte de’ criminali Giudizi nel Veneto or abolito Governo. Esclusi i più enormi delitti, che a freno de Malvagi esigono talvolta la pena di Morte, non resterebbe ora, se si escludessero i Pub.ci Lavori, altro oggetto alle Condanne Criminali, che lo squallore delle Pub.e Carceri, il quale oltrecchè troppo atrocemente punisce i Rei col più desolante abbattimento dell’Umano e riuscendo di non lieve peso al Pub.o Erario non
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confluisce minimamente al bene della Patria, e le ridurebbe altresì in poco tempo insufficienti affatto a contenerli, perché non molto ampie, e poiché non si può a meno di non accettare i Rei dei più gravi delitti anche dagli altri luoghi della Provincia, che non avendo né Prigioni, ne forze sufficienti a trattenerle, sono costretti di spedirli alla Capit.e. Mosso pertanto d. to Tribunale da tali oggetti ed impegnato alla coretta amministrazione della Giustizia non meno che al bene dell’Umanità, ed ai vantaggi della Patria, osa di presentare a questo Incl.to Ces.o Reg.o Prov.o Governo le devote sue rimostranze, richiedendo le opportune Providenze in tale importante argomento e sperando d’incontrare colle proprie mire le viste beneficche del Augusto Generoso Sovrano, che ci protegge. Gli ristretti angustissimi Porti, ed il Paludoso Canale, che circondano d’ogni intorno questa Città essendo ormai quasi del tutto incapaci di più ricevere non che i grossi Bastimenti, a grandi stenti anche le piccole Brazzere a motivo del vicino Paludo, che li ha tutti occupati, pongono in una assoluta impossibilità questa povera Popolazione a porsi in attività, e prevalendosi della felice mutaz.e del Governo promovere posibilm.e il commercio Marittimo, che può mirabilm.e confluire a farla uscire dalla propria miseria, e niente meno lo stato deplorabile delle nostre strade Urbane, Suburbane, e Territoriali, oltrecchè è contrario affatto agli oggetti di Sanità, di comodo, e di decoro ad una Cap. le di Provincia, inceppa pure dall’altra parte, anzi totalmente impedisce il Commercio Terrestre. Ecco gli essenzialissimi ogetti che impegnar possono le benefiche cure di S. M. Imp.e R. le Ap. ca e le viste paterne di chi sì degnamente lo rappresenta, ed ecco il mezzo di render utili alla Patria i Castighi stessi de’ Malvaggi. Ciò però, che direttam.e si oppone a mire così salutari, si è la mancanza di un Luogo di forza, o assicurazione per custodire li Condannati ai Pub.i Lavori, giacchè le Prigioni oltre gli obbietti sopraindicati indebolendo coll’aria insalubre e coi patimenti le loro forze, si opporrebbero all’intento contali mire contemplato. Osa pertanto il d. to Mag. to di suggerire a tal uopo il Pub.o Castello, al quale essendo stato prestato di recente un generale restauro, ora con lieve dispendio potrebbe addattarsi a tale oggetto, e la Guardia Civica, o sia il Corpo così detto dei Bombardieri ridotto ad una addattata organizzazione , e disciplina, ed animato da un quasi proporzionato compenso, che potrebbe desumersi da una Casa di Polizia da istituirsi, supplire potrebbe alla Custodia de Condannati med.mi, ed a scortarli altresì ai Pub.i Lavori. Ecco in tal modo incontrati gli oggetti tutti di Castigo de Rei, di Pub.o esempio a freno de male intenzionati, e di vero vantaggio alla Patria, che sono, ed esser devono lo Scopo delle mire tutte giustiziarie insieme, e
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politiche del Tribunal Crimin.le, quale impegnato a prestargli tutto l’impegno all’esecuz. ne degli importanti doveri del suo Ministero, ardisce sperare, che siano benignam.e da questo Ces.o Reg.o providissimo Governo accolti, e pienam.e esauditi i suoi voti. Capod. a Dal Tribunal di p. ma In. za. li 2, 7. mbre 1797
Gio. Batti. lo Fini Poteri(?) Assessore Alessandro Gavardo di Ant.o Assessore Giorgio Baseggio Assessore *** *** ***
Risposta del Roth al Tribunale di prima istanza di Capodistria e disposizioni, al Tribunale di seconda istanza ed all’autorità militare, in merito all’utilizzo dei prigionieri. (AST, AAI, B. 1, ff. 700-701. ) (Ad. num. : 1171 - 2651. ) Al Tribunale Provvisionale di Prima instanza di Capodistria. Sarebbe già prima d’ora deliberato sopra il riflesso fatto da esso, Tribunale, con Suo rapporto de’ 2, ricev.o li 3 di settembre a. corr. che non potendosi più assentire per costituzion di Governo alla condizione de’ prigione serrata alla luce, se non nei casi particolari, che devono essere risservati alla conoscenza, e decretati dalla superiore autorità, e molto meno alle altre di Gallera nei casi criminali, sarebbe opportuno d’impiegare tali condannati ai pubblici lavori in questa Città, se si avesse potuto trovare il modo di supplire alle spese della loro custodia e del loro accompagnamento. Ora però, essendo stati immagazzinati tutti li Sali publici che sin’ora si trovavano esposti nelle saline, si è divenuto alla determinazione d’impiegare provvisionalmente le guardie della Saline alla detta custodia ed accompagnamento. Se perciò d’ora in avvenire precedendo ad esso, Tribunale, nei casi criminali di segnar sentenze, che dalle vigenti leggi, dovessero meritarsi l’una e l’altra delle condanne, alla Prigione scura, od alla galera, e così pure per quelle sommarie afflittive, abbia invece a condannar li delinquenti ai publici Lavori in questa Città per quel tempo, che ad esso Tribunale, parerà di stabilire a giusta pena dei delitti, e delle mancanza delli condannati, i quali saranno accompagnati a facionare, e a riparare i bisogni interni delle strade, a sempre maggior decoro e benefizio dell’istessa Città e de’ suoi abitanti. Capo d’Istria, 27 Decembre 797.
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Cop. li 2 Gen.o 1798 Piazza
Al Tribunale Provvisori Seconda instanza di Capodistria. Volendo che li Rei tutti, che vi fossero condannati in Prigione, e quelli, che fossero destinati e si meritassero la pena della Galera, abbiano invece a subir la pena dei publici lavori sotto la custodia de’ 16 benemeriti oltremarini sin’ora stati impiegati alla custodia di queste Saline, de’ quali ogni giorno a quest’oggetto saranno disposti a dipendenza di esso Tribunale, 4 in 5 uomini del sergente Matte Francevich, però occorrendo, che sia allestito tutto l’occorrente per questa facione, gli si ordina, di far commettere l’acquisto di un carro, e dell’altri Istrumenti relativi, da pagarsi con discretta e conveniente spesa, dalla Cassa Cameral Fiscale, per il qual oggetto saranno rilasciate le corrispondenti commissioni, subito che sarà rassegnata la nota dell’importo di quella provista. Disponerà quindi, esso Tribunale le sue commissioni al detto Sergente Francevich, perché faccia col mezzo de suoi soldati eseguire quelle operazioni, che farsi dalli condannati travagliatori in cadaun giorno secondo che parerà alle sue cognizioni, che vi fossero bisogni o e le occorrenze tanto nelle strade interne, che nelle esterne sotto le pubbliche mura a miglior comando, e decoro di questi abitanti, e della città. Capo d’Istria, 27 Decembre 797. Al Sergente Matte Francevich. A dipendenza degli ulteriori comandi, che gli saranno rilasciati da questo Tribunale Provisorio di seconda instanza, destinerà esso Sergente, ogni giorno quattro o 5 in sei delli suoi soldati oltremarini per la custodia di giorno, e di notte, nel luogo publico arresto e del lavoro su queste Strade delli condannati ai publici Lavori, che vi passeranno meno che delli arrestati civili, sotto sua grave responsabilità, nel caso di fuga di alcuno delli delinquenti. Destinerà egualmente, secondo le instruzioni del detto Tribunale, quel numero di soldati, che fossero bastanti per accompagnare giornalmente li condannati ad eseguire il publico lavoro, che sarà determinato, osservando tutta la vigilanza, perché in ogni tempo sia eseguita in questo proposito la publica volontà. Capo d’Istria, 27 Decembre 1797.
Scrib.
Roth
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Nota su come valutare i danni subiti durante l’insurrezione del 5-7 giugno 1797.
(AST, AAI, B. 1, ff. 702-703. ) (Ad num. 1737. ) Al Tribunale Provvisionale di seconda instanza di Capodistria. La qui racchiusa instanza nel suo autentico viene comunicata, ad esso Tribunale, perché ponga in considerazione negli oggetti del suo petito, devenga con sollecitudine a conciliare i riguardi dovuti all’interesse delli danneggiati (Isolani), ed insieme la facilità di assicurare la conveniente indennizazione a medesimi, a carico delli Rei, e complici della seguita popolar insurrezione. Sembrerebbe opportuno a questo Governo, che l’esattezza, di esso Tribunale, dovesse aver in riflesso tutti gli oggetti d’involute circostanze, che non ci possono schiarire con la ordinata inquisizione, e che con la massima di confluire alla quiete, e felicità di quella popolazione, potesse rendere ultimata la questione dei giusti rissarcimenti dovuti ad essi danneggiati, per facilitar in questo modo la publica clemenza, a benefizio dei colpevoli. Esaminate le circostanze però dei fatti rissultanti dall’Inquisizione, non meno che le pretese del rissarcimento, sarà della diligenza sua, di chiamar in corpore di suo Tribunale, essi danneggiati (Isolani), ed insieme li capi delli sestieri, ed altre quattro persone delle più oneste della Terra di Isola, che non avessero però l’imputazione di essere immedesimate nei fatti della seguita insurrezione, e col confronto delle polizze presentate, riddurre un equa, proporzionata liquidazione dell’importo delle medesime, dietro il parere anche delli Capi Sestieri, e delle altre persone dalla parte del Popolo, per poi, venuto in cognizione esso Tribunale, dei modi, e possedimenti mobili, stabili, e d’industria degl’Imputati, complici, Rei, determinarne un comparto in solidario sopra il totale della summa, da imponersi a cadauno de medesimi, secondo il proprio stato, e con quel respiro, che parerà conveniente tempi, da concertarsi con li danneggiati, e con le circostanze delli Individui contribuenti, affinché reso quest’affare nella sua semplificazione possano avere la sicurezza li danneggiati, di conseguire il dovuto loro risarcimento. Tanto si crede di prescrivere, ad esso Tribunale, ben certo il Governo, che la conosciuta sua descrecità, saprà riuscire nelle mire politiche, che esiggono la pronta ultimazione di quest’affare. Capo d’Istria, 12 Decembre 1797 Scrib. Roth Li 14 Copiato Girolamo Sanguinazzi, 15 consegnato all’Ajutante de Lise.
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Nota anonima sui fatti d’Isola.
(AST, AAI, B. 6, ff. 519-520. ) Nota senza indicazione di luogo, data e firma; sembra trattarsi di lettera anonima. Sul risvolto posteriore dell’ultimo foglio porta scritto oltre ai numeri di protocollo, n. 72, un breve appunto di scrittura che potrebbe essere di pugno del de Roth stesso”.Si prenderà in considerazione in Isola; 18. Giugno 1797. La mala amministrazione di questi pubblici affari in questa Terra d’Isola sempre diretti da que’ pochi che per li loro privati maneggi sempre erano i soli, di poco buon genio erano veduti dal Popolo, perché altro non cercavano ch’il proprio privato interesse, col’innocente sangue dei miseri che per necessità cader doveano nell’insidia. Questo al certo è indubitato, essendovi qui un Fondaco che solo questo non molti anni sono possedeva un capital di lire settantaduemilla delle quali solo lire diciottomilla furono (per ordine della fù Repubblica di Venezia) passate in quella Ceca(?), dunque doveano almeno essere £ 54.000: ma invece sono al presente £ 18.000: ergo mancano £ 32.000:. Cosa che fa trasecolare, perché con gli affari di Pubblico Fontico non mai si deve perdere, come a tutti è noto; è vero ch’il Pubblico fece già pochi anni abbruciar molto formento, per essere di cattiva qualità, il quale però fù da loro così voluto, avendolo comperato ed ingannato il corpo del Collegio che reteneva facoltà di tal compera come dissi ingannato perché quando lo riceverono in consegna invece di leggittimo (così d’accordo fra loro pochi) ne riceverono di quello che era fetido, ad un vilissimo prezzo, cioè per due terzi di meno, essi lo pagarono di quello che avevano stabilito, ma bensì compraron la somma del buono, e così ingannarono la fede Pubblica. Per legge, legge santissima ma mai eseguita, due cariche contumacianti non si potevano da un sol individuo esercitare, ma invece sempre già dacordo con S. Ecc. a Podestà ungendogli la mano, invece dico ne fungevano molte, e così sempre da loro stessi si coprivano del monopolio. A lume sempre del vero non si può far a meno di dire, che li sempre odiati dal Popolo furono, e sono, [scritto ma cancellato: e saranno] il Sig.r Domenico Costanzo, e questi in capite, gli segue poi Niccolò Drioli, che in pochi anni senza altri ajuti che di tal monopolio, si fece uno de migliori possidenti di questa Terra, col solo sangue di questi miseri, vi segue poi Mattio, ed Antonio Figlio Lessi, Giacomo Pavanello, e Bastian Carlini ora Sindico: il sud.o Costanzo in questa fatal circostanza della terribile giornata della Popolare insurrezione, fù la principal causa le sudette aministrazioni, così ancora Niccolò Drioli, li quali sono li più terribili e li più stretti in amicizia, e per conseguenza raggirano gl’affari a loro capriccio, 435
senza tema di cader nelle reti della Giustizia, perché perfino erano daccordo con li ministri Pubblici Raggionati, si a Capodistria che a Venezia, e ciò s’intende per il maneggio fondaco affare principal degl’altri. Cento modi inventarono per girar tal ruota a suo favore, e principiando dalle comprede a voler un lucro facevano in tal modo: il venditore rimaneva inteso con li sudetti “Verbi gratia” il formento a £ 34: lo staro, essi dicevano poi a tal prezzo faremo che siete pagato, e lasciate che ancor noi cerchiamo un qualche interesse, radunavano il Collegio composto di sette, o al più nove individui, e con l’accordo del Contraditor opponente, che non rigettasse il proposto prezzo facevano che il venditor non cedesse il formento per £ 36: 37: almeno, onde a vista d’occhio si vede il primo rapace guadagno. 2°: Vendendo la farina, sempre il peso scarso di libre inoltre per staro. 3°: Il soldo che settimanalmente dalle pistore ritraevano, invece di passarlo in cassa per legge stabilito, se lo trattenevano e di notte compravano, e scaricavano a loro talento, non essendovi guardie al porto, e per ciò il luogo pio non percepiva di tal compreda alcun vantaggio, e perciò la Cassa Medico stabilita dal Magistrato Ecc.o alle Biave non percepiva il suo giusto avere, che cosiste in diecinove soldi per staro d’esito di farina in questo fontico. 4°: Vendevano in tal modo, Tizio aveva bisogno non della farina ma del soldo, si portava dal fonticaro e diceva, la farina vale £ 40: lo staro, datemi £ 36: e giratemi un staro di farina che pagarò alla scadenza; la scadenza succede ogni sei mesi, ed allora di tal utile la Cassa non percepiva alcuna cosa, per essere questo un contratto a parte dannato da tutte le leggi. 5°: Le chiavi dovevano per legge esser tenute da tre persone, senza di questi non si poteva aprire, l’una dal Fonticaro, l’altra dal Cassiere, e l’altra dal Podestà, ma già d’accordo col Podestà si facevano dar le chiavi, e facevano ciò che più volevano, insomma mai si finirebbe di tanti monopolij. Ecco le raggioni del Popolo che da molto tempo covavano un odio a tali ministri, ed in fatti pochi giorni prima della rivolta, apprirono la Cassa con la scusa delli Francesi e portarono via varie borse, e per quanto si rileva v’era più di due milla lire, poi le remisoro col difalco di lire mille e duecento circa, insomma opperazioni diaboliche. Le Casse delle scuole pie di chiesa ancor queste soffrivano una gran lapidazione perché sempre maneggiate dal Costanzo come Raggionato, o contista. La Cassa Comunità ben si può raccogliere qual lapidazione abbia sofferto, e così le altre tutte. La Scuola della così detta Beata Vergine dalieto e da molti anni maneggiata da Mattio Lessi, scuola ricca e senza mai rendimento di conti, ora si crede ch’abbia maneggiato con li Ministri competenti della carica di Capodistria, per un finto esame, onde esser possa stata firmata la giusta parità ecc.
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Di raggion Pubblica vi sono due Conventi, l’uno di S. Francesco l’altro di S. a Cattarina ambi sopressi da qualche anno: Mattio Lessi e Niccolò Drioli per ordine dal Magistrato sopra Monasteri, sono stati eletti comissarj, questi anno sempre percepito l’entrate senza alcun mai rendimento di conti, che si sappia. E Pietro Scarboncich d.o Trebusi conduce o sia lavora le campagne del Convento nominato di S.a Cattarina, il quale è inteso che tutte l’entrate si dividano con li sud. i comissarij. Ecc. Vi sono poi le Pubbliche scuole, erette da 2: anni circa per maneggio di questo Rettor D n Antonio Pesaro che maneggiò a Venezia oro l’ex Procurator Pesaro, ed ottenne da quel Governo il recinto del Convento della sud.a S.a Cattarina con l’orto, ed un campo presso la via Pubblica, vicino anzi in faccia il Convento stesso. L’instituto in apparenza sembra santo ma a ben considerar in questa Terra è dannoso, perché distraggono molta gioventù dai necessarij lavori di campagna e perciò viene quella pregiudicata di molto, e poi questi per non più lavorare vanno Religiosi, diventano oziosi, non avendo che adoperarsi ecc. Nota sulle famiglie Cherbaucich e Mandich.
(AST, AAI, B. 59, f. 703. ) Cesarea Regia Direzione Politica di Capod.a In obbedienza ad osseq.to Decreto di codesta Ces. Regia Direcione 3. corr.te al n° 141, pervenuto a q.ta Località nel giorno otto pur cor.te, con cui viene incaricato esso Giudice di rillevare fondatamente, se le Famiglie delli Giuseppe Carboncich, e Zorzi Mandich condannati ai Pubblici Lavori abbiano in bonis, per supplire alle Spese occorse per il respectivo lor fermo, e traducione alla esecuzione della Condanna, fù creduto niente di meglio, per esaurire conplettamente la derivata Commissione, formare un Processeto colla introducione di alcune Persone capaci à poter decidere sulla realizacione del ricercato argomento, come in fatti dagli Attii Processuali risulta essere le pred. te due famiglie della classe dei veri indigenti, e bisognosi, incapaci appunto a supplire neppure un quadrante delle Spese occorse al fermo, e traducione delli due Condannati Carboncich e Mandich. Questo stato, che si conosce tale, come dimostrato dalli Testimonj assunti, fu documentato egualmente dalla attestazione giurata del Parroco, che resta unita al Processeto, onde consti fuor di ogni equivoco la reale notoria indigenza, e miseria delle Famiglie stesse, a cui non avendo che aggiungere essa divota Superiorità non im. ora punto di rassegnare ogni
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cosa a codesta Aut.tà in esaurimento delle Pubbliche Ordinazioni espressa nelle prelodate Lettere 3 cor. te a N. ° 141. Isola, li 21 Marzo 1801
Gaetano Badoer
Al Ces. R. l Sup.tà Locale Domino Costanzo Canc. Ricorso di Angela, moglie di Zuanne Carboncich.
(AST, AAI, B. 20, f. 58. ) Al Tribunale provvisorio di Seconda Istanza. Capodistria. Angela moglie di Zuanne Carboncich detto Rosadel Inquisito, e di già condannato da esso Tribunale per il fatto della insurrezione popolare seguita nel mese di giugno 1797, nella Terra di Isola, ha reclamato presso l’Inclito Governo generale di Venezia sull’effetto ed esecuzione di sua condanna per cui l’ecc.so Supremo Tribunale Revisorio per li Superiori impulsi avuti, onde riconoscere la qualità dei delitti del detto Carboncich e la corrispondente sua sentenza, fù da questo Governo fino dalli 29 7bre p.o p.o con sue apposite lettere informato dell’ingenuo andamento di quell’affare già espedito in termini di santa giustizia non solo, ma della maggior clemenza ancora, per disposizione della Suprema autorità. Penetrato l’ecc.so Tribunale Revisorio da que’ medesimi sentimenti, da quali giustamente fù commosso questo Governo per la falsità, e reticenze contenute nel memoriale di reclamo presentato da essa Angela moglie del condannato Carboncich, che disalveando da quell’autorità cui trovasi soggetta, osò di calunniare le giustissime direzioni, ordinò il licenziamento dell’istanza medesima, e che sia corretto il suo tentativo, prendendosi le misure le più efficaci perché abbia luogo il giudicato. Esso Tribunale pertanto a cui spetta far valere la pronta esecuzione di sua sentenza verso il detto Carboncich ne eserciterà l’effetto, e contemporaneamente requisirà il Tribunale di Isola di chiamar a se la detta Angela Carboncich, rimproverandola del suo contegno usato in questa circostanza, e facendogli comprendere la publica disapprovazione alle introdotte falsità nel suo memoriale, che gli viene licenziato, ed annullato, perché abbiano luogo gli effetti di giustizia. Capo d’Istria, 20 gennajo 1798
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Srib.
Roth
(AST, AAI, B. 20, f. 60. ) A S. E. Il Sig. Consigliere de Roth. Capodistria. Eccellenza, Benché non per propria disposizione, ma per eseguire li superiori ordini dell’Imperial Regio Governo Generale abbia il Regio Tribunale Revisorio sottomesso alle considerazioni di V. E. il Memoriale di Angela Moglie di Zuanne Carboncich detto Ragadel della Terra d’Isola di cod. a Provincia tuttavolta rilevata la serie de’ fatti, e delle circostanze alle quali si riferisce, detagliatamente descritta nell’ossequiato di Lei Foglio 19 Xbre decorso, mentre riconosce ben giusta la sorpresa, che ha occasionata l’arditezza del Ricorso, non può non risentir rincrescimento do averle recato un disturbo, per un affare di già espedito in termini di tanta giustizia non solo, ma nella maggior clemenza per disposizione della suprema autorità. Penetrato il Revisorio da que’ medesimi sentimenti da quali si trova giustamente commosso l’animo di V. E. per le falsità, e reticenze contenute nel detto memoriale, non crede che possa lasciarsi senza disapprovazione l’audacia della Ricorrente, la quale disalveando da quell’Autorità cui si trova soggetta, osò di calunniare le giustissime direzioni. Merita senza meno di essere corretto il reo tentativo, e di usarsi delle più efficaci misure perché abbia luogo il giudicato; il Tribunal Revisorio non potrà che applaudire alla giustizia dell’E. V. cui si protesta con pienissimo ossequio. Data dal Regio Tribunal Revisorio li 12 Gennaro 1799. Angelo Maria Priuli Presid. te Gio. Andrea Fontana p. Seg. rio Nomina a Canonico di don Gerolamo de Grassi. (AST, AAI, B. 2, f. 756. ) Al Tribunale provvisionale di Isola. Col rapporto di data 6, pervenuto li 9 corr. te accenna esso Tribunale di rassegnare la copia autentica della elezione di Canonico di cod.o R. do Capitolo, seguita nella Persona del R. do D. Gerolamo de Grassi a seconda delle canoniche massime, e con aggradimento degli individui. Siccome, che a questo Governo non pervenne l’accennata Copia, perché omesso d’inserirla nel sud.o rapporto,così se ne fa con il presente il conveniente cenno a regola di esso Tribunale, e per la dovuta spedizione della copia med. ma. Capo d’Istria, 20 Nov. bre 1797
Scrib.
Roth
*** *** *** 439
(B. 2, f. 757. ) All’inclito Cesareo Regio Governo dell’Istria. In ordine allo Specioso e Venerato Decreto di Codesto Cesareo Regio Governo in data 6 ultimo scaduto alli N.i 1293 e 1301 pervenuti li 20 anzidetto si compiace questo Tribunale di accompagnare la Copia Autentica della Elezione fatta in Canonico di questo R.do Capitolo nella degna Persona del R.do d.n Gerolamo de Grassi, ellezione, che dopo l’infelicità dei passati tempi riuscì secondo le vere massime canoniche, e lo Spirito della Chiesa assai aggradito da tutti gl’individui e che si spera riuscir anche debba con vantaggio spirituale delle anime alla cura del Benefico stesso soggette. Tanto si fa un preggio con esultanza di animo di annunciare il Tribunal med.o al s.no Cesareo Regio Governo per tutte quelle altre deliberazioni, e prescrizioni comandate dal vostro decreto sopradetto, come particolarm. te per la Desiderata approvazione della ellezion sudeta, che si spera sempre di ottenere a maggior gloria di dio Signore. Gianpietro Ant.o de Besengo degli Ughi, Giudice Dirigente Per il Cesareo Regio Tribunal Prov.o Isola, 6. 9bre. 1797 Alberto Berlam Borsetti *** *** *** (B. 9, f. 235. ) Ad num. 2425. Al Rev. mo Mons. Vescovo di Capodistria Aspettando già il diritto dell’elezione dei Canonici del Capitolo della Terra di Isola al popolo della stessa, e siccome in questi ultimi tempi è incorso il popolo istesso negli eccessi di criminosità notoriamente palesi col fatto della popolar insurrezione della giornata 5 Giugno prossimo passato, così non potendosi dal Governo schiarire fino a questo tempo li rei, e complici particolari di un tal fatto, dagli innocenti, ha creduto per sole viste di politica di determinare e di accordare, però per questa volta tanto, l’elezione di Canonico a quel Capitolo, che promosse a questa dignità il Prete D.n Gerolamo de Grassi. La qui acclusa copia della seguita elezione pertanto si rimette a Vs. Rev.ma, per il suo buon parere, se ed in quanto il beneficato de Grassi abbia requisiti morali sufficienti, e capacità per meritar di venir confermato nella dignità, a cui fù promosso da quel Capitolo.
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Ciò che si attende da Vs. Rev. ma, con la riproduzione degli atti, con la possibile sollecitudine. Fiume, 18 gennaio 1798 Scrib. Roth Cop. li 20 detto Cazza. *** *** *** (B. 9, f. 242. ) All’Inclito Ces. Regio Governo Provisorio della Provincia dell’Istria. Ecco nuovamente la Copia autentica della elezione di Canonico seguita da questo R.do Capitolo nella Persona del Rev.do Gerolamo de Grassi, e ciò in obbedienza al decreto del Cesareo Regio Vostro Governo 20 corr. e al n. 2172. Gianpietro Ant.o de Besengo degli Ughi p.mo Assessore Dirigente Per il Ces. Reg.o Tribunal Prov. o Isola, 25 9bre 1797 Alberto Gerolamo Borsetti Canc. r *** *** *** Membri del Consiglio Cittadino compromessi con i fatti del giugno 1797. (AST, AAI, B. 47, f. 427. ) Num.: 1057. Al C. r. Superior. Locale di Isola. Adempiuto avendo esso Superior locale col suo rapporto 5, pervenuto li 8 corrente, quanto fù preliminarmente statuito, e disposto dal publico editto 1.mo gennaio an. cor., all’articolo II dello stesso, si riconosce in addesso coll’anzidetto suo rapporto avanzata la specifica di tutti li nomi, e cognomi, che alla circostanza della seguita locale insurrezione popolare delli 5 giugno 1797 componevano gli individui, formanti l’adunanza di codesto Civico Consiglio.
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Perciò in conseguenza della massima presa, e determinata che abbiano da restar degradati, e per sempre esclusi dalla votazione, e dal comparire sotto altro titolo nel sudetto Consiglio Civico, quegl’individui, che legalmente sono provati di aver cooperato alla detta insurrezione popolare, diviene questo Governo doppo di avervi fatti li suoi riflessi alla medesima rassegnata specifica di risolvere uniformemente all’art. II del motivato editto 1. gennaio decorso la esclusione immediata e definitiva dal Consiglio Civico locale, delli Francesco Chico q.m Francesco detto Napcichin, Pietro de Lise di Z. nne, Gio. Batta de Lise di Vicenzo, Francesco Chico di Vicenzo detto Napcicha, Vicenzo Chico q.m Andrea d. to Coche, Pietro Perentin q.m Antonio, Pietro Carlin di Alessandro, Bastian Perentin q. m. Antonio, Simon Russignan q.m Pietro, Iseppo Drioli q.m Zuanne, Giacomo Drioli q.m Mauro, Mauro de Pase q.m Nicolò, Pasqualin Morato q.m Antonio, Domenico Morato q.m Domenico, e Gasparo Ugo di Pietro, salvo però, e riservato alli superstiti e discendenti legittimi delli sunnominati espulsi, il beneficio riservato a medesimi dell’articolo IV del suindicato publico editto, doppo la morte delli rispettivi Padri e antenati che si sono dimostrati compartecipi, o fautori della detta Insurrezione popolare. E perché li nomi, e cognomi, che risultano ad evvidenza della specifica rimmessa a questo Governo da esso Superior Locale, non vi sono dichiarati li sopranomi, che in vari Inquisiti della già detta Insurrezione popolare si leggono negli atti d’Inquisizione, così dovranno restar in riserva, e non si potrà permetter l’introito alla prima prossima riduzione del civico consiglio, alli Zuanne Russignan detto non plus ultra, Vicenzo de Lise detto Pierin, Antonio Russignan detto Rombello, a riguardo dei quali dovrà esso Superior locale avanzare il nome del rispettivo Padre, giacchè essendo compartecipi della Inquisizione, devono restar essi pure esclusi per sempre dal consiglio. Essendovi nientemeno nella specifica di esso i. r. Superior Locale quattro Nicolò de Pase, cioè q.m Giacomo, q.m Bortolo, q.m Mauro e q.m Zuanne, dovrà precisarne, quale di essi quattro Nicolò de Pase, siasi reso colpevole di complicità nell’insurrezione medesima; e finalmente comparindo inquisito certo Almerigo Russignan q.m Mauro si vede dalla sua specifica il solo nome di Almerigo Russignan q.m Marco, e si vuole perciò sapere, se pure per un qualche equivoco esso pure sia stato effettivamente uno dell’Inquisiti condannati per il fatto della già detta Insurrezione popolare. Esclusi però per esser dovendo dal consiglio tutti gl’Individui sopra nominati in numero di 15, e lasciati sotto riserva gli altri 6 posteriormente nominati, col debito ad esso i. r. Superior Locale di avvanzarne aderitamene il voluto rispettivo rischiaramento, si lascia inoltre al suo arbitrio di convocar con tutta sollecitudine la prima adunanza del civico Consiglio,
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per trattarvi nella stessa le emergenze più pressanti della Comunità, verso l’obligo di avvanzar a questo Governo, mediante questa i. r. Direzione politica di Capodistria, tutte le Parti, che in circostanze tale venissero prese dalla pluralità dei voti di codesto consiglio. Capo d’Istria, 9 Marzo 1800.
Scrib.r
Roth
*** *** *** (AST, AAI, B. 47, ff. 428-432. ) Inclito Ces. Reg. Governo dell’Istria. In Capod. a In obbedienza al Venerato Decreto di Cot.o Ces.o Reg.o Gov.o Primo Gen.o p.o p.o ricevuto il giorno 31 detto ad n. 5349 accompagnante l’Editto di detto Inclito Ces.o Reg.o Governo del prefato giorno Primo Gen.o, umilia q.sto divoto Giud.e, e Sup.r Locale una precisa ingenua Nota di tutti li Nomi, e Cognomi degl’Individui esistenti in vita, che componevano nella Ins.e Generale delli 5 Giugno 1797, il Consiglio Civico Locale, onde poter Essa Superior Governiale Autorità seggregare que’ nomi, che dovranno restar esclusi dallo stesso determinatam.e. Adempito ad un tale preciso suo dovere supplica detto Giudice Sup.e Locale, perché venghi dall’Inclita Aut.tà Superiore medesima determinato il tempo in cui dovrà essere radunato Questo Civico Consiglio attesa la somma necessità di una tal riduz.e onde passare all’elezione tanto indispensabile di un Medico Condotto, giacchè è terminare l’espiro del termine di giorni 30 in cui si assume l’Ec.e D.r Gio Batta Parè. Allegato: Nomi dei cittadini che componevano prima delli 5 giugno 1797 il Civico Consiglio della Terra d’Isola. Il signor Domenico Costanzo quondam Andrea Il signor Giuseppe Moratti quondam Zuanne Il signor Stefano Moratti quondam Zuanne Il signor capitan Antonio de Lise Il signor Mauro de Lise del signor Antonio Il signor Mattio Lessi di Mattio Il signor Sebbastian Carlini quondam Pietro
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Il signor Pietro Carlini di Sebbastian Il signor Niccolò Drioli quondam Antonio Dno Francesco de Lise quondam signor Zuanne Dno Tomaso de Lise quondam signor Zuanne Dno Giacomo de Lise quondam signor Zuanne Dno Battista de Lise quondam signor Zuanne Dno Zuanne de Lise di Giacomo Dno Mattio de Lise di Giacomo Dno Pietro de Lise quondam Lise Dno Lise de Lise di Pietro Dno Pietro de Lise quondam Domenico Dno Lise de Lise quondam Lise Domenico de Lise quondam Francesco Lise de Lise quondam Nicolò Nicolò de Lise di Lise Dno Antonio de Lise di Lise Dno Vincenzo Chico quondam Andrea detto Cocchie Dno Andrea Chico quondam Francesco Dno Francesco Chico di Andrea Dno Zuanne Chico quondam Francesco Dno Francesco Chico di Zuanne Dno Francesco Chico quondam Benvenuto Dno Benvenuto Chico di Francesco Dno Iseppo Chico di Francesco Dno Vincenzo Chico quondam Benvenuto Dno Benvenuto Chico di Vincenzo Dno Francesco Chico di Vincenzo Dno Iseppo Chico di Vincenzo Dno Iseppo Chico quondam Giacomo Dno Giacomo Chicco quondam Mattio Dno Bortolo Chico quondam Francesco Dno Iseppo Chico di Bortolo Dno Francesco Chico quondam Francesco Dno Francesco Chico di Francesco Dno Domenico Perentin quondam Zuanne
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Dno Alessandro Perentin quondam Ugo Dno Zanin Perentin quondam DonĂ Dno DonĂ Perentin Dno Piero Perentin di Zanin Dno Domenico Perentin di Zanin Dno Marco Perentin quondam Piero Dno Bortolo de Lise quondam Mattio Mattio de Lise quondam Lise Dno Bastian de Lise quondam Giacomo Dno Giulio de Lise quondam Giacomo Dno Zuanne de Lise quondam Pietro Dno Pietro de Lise di Zuanne Dno Ugo de Lise quondam signor Bortolo Dno Zanin de Lise quondam signor Bortolo Dno Bortolo de Lise quondam signor Ugo Dno Zanin de Lise quondam signor Ugo Dno Antonio de Lise quondam signor Ugo Dno Iseppo de Lise quondam signor Ugo Dno Vincenzo de Lise quondam Giacomo Dno Gio. Batta de Lise di Vincenzo Dno Vincenzo de Lise quondam Girolamo Dno Antonio Chico quondam Mauro Dno Francesco Chico quondam Mauro Dno Francesco Chico quondam Francesco detto Napiche Dno Vincenzo Chico quondam Francesco detto Napiche Dno Francesco Chico di Vincenzo detto Napiche Dno Antonio Chico quondam Francesco detto Napiche Dno Gasparo Chico quondam Zuanne Dno Vincenzo Chico quondam Martin Dno Martin Chico di Vincenzo Dno Tomaso Chico di Vincenzo Dno Antonio Chico quondam Andrea detto Cocchie Dno Giacomo Perentin quondam Pietro Dno Balsemin Perentin quondam Bastian Dno Zuanne Perentin quondam Benardin
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Dno Niccolò Perentin quondam Piero Dno Piero Perentin Dno Domenico Perentin di Niccolò Dno Antonio Perentin di Niccolò Dno Niccolò Perentin quondam Mauro Dno Bastian Perentin quondam Antonio Dno Mattio Perentin quondam Antonio Dno Piero Perentin quondam Zuanne Dno Antonio Perentn quondam Zuanne Dno Piero Perentin quondam Antonio Dno Alessandro Carlin quondam Piero quondam Niccolò Dno Piero Carlin di Alessandro Dno Piero Carlin quondam Piero Dno Piero quondam Pasqualin Carlin Zanne quondam Piero Carlin Dno Alessandro Carlin quondam Piero quondam Bastian Dno Niccolò Carlin quondam Piero Dno Piero Carlin quondam Rinaldo Dno Santo Carlin quondam Pasqual Dno Antonio Perentin quondam Niccolò Dno Iseppo Perentin quondam Niccolò Dno Niccolò Perentin quondam Niccolò Dno Zuanne Russignan quondam Domenico Dno Domenico Russignan di Zuanne Dno Zuanne Russignan di Zuanne Dno Zuanne Russignan quondam Antonio Dno Antonio Russignan di Zuanne Dno Piero Russignan quondam Ugo Dno Antonio Russignan quondam Marco Dno Almerigo Russignan quondam Marco Dno Antonio Russignan quondam Piero Dno Mattio Russignan quondam Marquardo Dno Zanne Russignan quondam Piero Dno Simon Russignan quondam Piero Dno Antonio Russignan quondam Antonio
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Dno Pietro Drioli quondam Iseppo Dno Iseppo Drioli di Pietro Dno Iseppo Drioli quondam Zuanne Dno Donato Drioli quondam Bortolo Dno Antonio Drioli di Donato Dno Niccolò Drioli quondam Bernardin Dno Iseppo Drioli quondam Niccolò Dno Andrea Drioli quondam Iseppo Dno Zuanne Drioli quondam Mauro Dno Giacomo Drioli quondam Mauro Dno Iseppo Drioli quondam Mauro Dno Francesco de Pase quondam Niccolò Dno Piero de Pase quondam Piero Dno Francesco de Pase quondam Piero Dno Piero de Pase quondam Piero Dno Domenico de Pase quondam Domenico Dno Niccolò de Pase quondam Giacomo Dno Francesco de Pase di Niccolò Dno Domenico de Pase quondam Iseppo Dno Iseppo de Pase di Domenico Dno Balsemin de Pase quondam Iseppo Dno Iseppo de Pase di Balsemin Dno Artemio de Pase di Balsemin Dno Niccolò de Pase quondam Bortolo Dno Niccolò de Pase quondam Mauro Dno Piero de Pase quondam Mauro Dno Iseppo de Pase quondam Mauro Dno Piero de Pase quondam Piero Dno Giacomo de Pase quondam Piero Dno Iseppo de Pase quondam Piero Dno Mauro de Pase di Niccolò Dno Niccolò de Pase quondam Zuanne Dno Domenico Moratto quondam Mauro Dno Zanne Moratto quondam Mauro Dno Pasqualin Moratto quondam Antonio
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Dno Antonio Moratto di Pasqualin Dno Francesco Moratto di Pasqualin Dno Marco Moratto quondam Zuanne Dno Zuanne Moratto quondam Zuanne Dno Liberal Moratto quondam Zuanne Dno Francesco Moratto quondam Domenico Dno Domenico Moratto di Francesco Dno Domenico Moratto quondam Domenico Dno Francesco Coletti quondam Piero Dno Piero Ugo quondam Gasparin Dno Gasparo Ugo di Pietro Dno Domenico Ugo di Pietro Gasparin Ugo quondam di Domenico Dno Marco Ugo di Pietro
Nuovo Consiglio Civico di Isola. (AST, AAI, B. 47, f. 500. ) A di tredici 13 Marzo 1800 Isola In dipendenza al Venerato Editto dell’Inc. Ces. R.o Governo dell’Istria p.mo Gen.o p. p. Convocato lo Sp. Consiglio nella Sala di questo Pub. co Palazzo alle ore dieci antimeridiane a N. di Consiglieri 15 quindeci, compresa la Persona del N. H. S. Gaetano Badoer Ces. R.o Giud. e Superioe Locale destinato dal prelodato Inc. Governo per divenire all’elecione delle seguenti Cariche, verso la graciosa conferma ed approvacione dalla Aut. tà dell’Inc. Ces. R.o Governo sudetto. (AST, AAI, B. 47, f. 501. ) Ces. Reg. Giud.e Superiore Locale Spt.i Sindici On.do Consiglio Finalmente dopo tanti disastri, e disavventure incredibili persino nelle venienti età, a cui andò soggetta Questa sgraziata Terra d’Isola comparve un qualche raggio di Luce, che la trasse in parte dalle sue tenebre. 448
Questo Raggio o Cittadini è appunto il ripristino del vostro Civico Corpo, e non vi turbate giamai se lo vedete limitato, perché così fù sanzionato dal Voto Sovrano per il miglior essere e ottimo andamento. Voi certamente lo credevate per sempre ammortizzato, ma chi regge e Governa, come Superiore in Provincia, conosceva benissimo, che ella era un’effimera, e che il diritto perduto doveva ripristinarsi. Così appunto avvenne, e di fatto furono admessi a Q.ta Civica adunanza tutti quelli soltanto aventi il Requisito di Leggere, e scrivere coll’esclusione assoluta di quelli fattisi Rei nella Popolare corsa insurrezione 5 Giugno 1797; è di dovere adunque che si dimostri questo Ceto grato a si fatto benefizio, che si restituisce alla Patria quel diritto esclusivo, come lo era dapprima, verso le sancionate prescrizioni. È di dovere adunque che si dimostri questo Ceto grato a si fatto Benefizio che restituisce alla Patria quel diritto escluso, come lo era dapprima, verso le sanzionate prescrizioni. Per palesare frattanto la sincerità del cuore, la gratitudine, la leale sudditanza e un vero attaccamento al nuovo nostro Potente Sovrano, non sarebbe cosa inopportuna di eleggere due Persone con apposita Parte, per l’effetto che questi rassegnar si avessero espressamente all’acclamata Bontà dell’Umanissimo Nostro Nob. Sig. Governatore in Capod.a per fargli comprendere l’aggradimento esperito del ripristinato di tutti quei diritti, che per l’avanti possedevano, e la gratitudine che veracemente si professa offerendosi di servire nella miglior forma ai doveri del vecchio Cittadino, e ad ogni esigenza, che riguardasse il Pub.co interesse. L’anderà però Parte posta dalli Sig.i Sindici, de licentia D. ni Judicis, che siano eletti due Soggetti di Q.ta adunanza, quali incaricati siano di presentarsi all’Autorità della Superiorità Politica Provinciale in Capod.a, per palesare li tratti più umilianti della più estesa gratitudine di una verace sudditanza sull’ottenuto ripristino dei deritti di Q.to Corpo Civico; sperando poi e lusingandosi, che sarà riguardata in ogni avvenimento Questa povera Terra con occhio di Pietà, e di Carità, e non per quella che fino ad ora per le strane insorgenze venne universalmente considerata. Posta e Ballotata ebbe Prospere N. 15; C.o, 0. per.ò fù presa.
Per la Ces.a Reg.a Sup.à L.e
Stefano Novati Canc. Copiò
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IV PARTE Paola Pizzamano
LA FAMIGLIA PIZZAMANO
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Attorno a Nicolò Pizzamano, ultimo podestà di Isola Nicolò Pizzamano1 – ultimo podestà di Isola e vittima innocente – fu ucciso in modo crudele il 5 giugno 1797, durante il clima di incertezza alimentato da tumulti popolari nell’ambito del conflitto tra la Francia e l’Austria, mentre l’aristocratico governo di Venezia già dal 12 maggio non esisteva più. Apparteneva ad una famiglia di antica origine2, proveniente dalla Boemia, che ancora prima del Mille si era insediata a Venezia dove, assieme ai Dandolo, aveva costruito la Chiesa di San Luca3 e, all’inizio del Cinquecento, quella di Santa Croce alla Giudecca. Grazie all’impegno civico, militare e mercantile, unito alla fedeltà e ai meriti di alcuni suoi componenti, la famiglia Pizzamano fu aggregata nel 1
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L’assassinio dell’ultimo podestà di Isola è ricordato in molte pubblicazioni: p. Molmenti, Venezia: nuovi studi di storia e d’arte, Firenze 1897, p. 359; T. Sillani, A. Venturi, E. Pais e p. Molmenti, La Dalmazia monumentale, con 100 tavole fuori testo, 1918, pp. 58-59; “Emporium”, Bergamo 1919, vol. 49, p. 310; G. Vátova, Raccolta di proverbi istriani, Venezia 1963, p. 439; F. Semi, Capris, Iustinopolis, Capodistria: la storia, la cultura e l’arte, 1975, p. 233; S. Govi, L’universo, 1979, vol. 59, p. 982; L. Tomaz, Le quattro giornate di Cherso 12-15 giugno 1797, in difesa del gonfalone di San Marco e la tenace resistenza popolare durante la prima dominazione austriaca, in “Atti e memorie della Società dalmata di storia patria”, 25, Venezia 1966, p. 127; D. Alberi, Istria: storia, arte, cultura, Trieste 1997, p. 545; G. Bergamini, Napoleone e Campoformido 1797: armi, diplomazia e società in una regione d’Europa, Milano 1997, p. 18; A. Apollonio, L’Istria veneta dal 1797 al 1813, Gorizia 1998, p. 124; p. Blasi, Poeti dell’Istria tra le due guerre mondiali: 1914-1939, Istituto regionale per la cultura istrianofiumano-dalmata, Unione degli istriani, 2000, p. 106; M. Dassovich, L’impero e il golfo: i territori degli Asburgo sull’Adriatico, Udine 2002, p. 194. Sulla famiglia Pizzamano non esistono pubblicazioni e questo contributo è il primo, frutto anche delle ricerche e del lavoro di Alessandra, mia cugina, figlia di Romano Romani e Elda Pizzamano, che ringrazio per la generosa e assidua collaborazione. Secondo Corner, essa fu edificata dalle nobili famiglie Dandolo e Pizzamano in data incerta, comunque anteriore al 1072, cfr. F. Corner, Ecclesiae Venetae antiquis documentis nunc etiam primus editis illustratae ac in decades distributae, Venetiis 1749, vol. XII, pp. 252 e segg. ; Ib., Notizie storiche delle chiese e dei monasteri di Venezia e di Torcello, Padova 1758 (rist. anastatica Bologna 1990), p. 220; G. Cappelletti, Storia della Chiesa di Venezia dalla sua fondazione sino ai nostri giorni, Venezia 1851, II, p. 401; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia 1858, p. 26; G. Tassini, Curiosità veneziane, Venezia 1915, pp. 354-356; Il Patriarcato di Venezia. Situazione al 15 ottobre 1974, a cura di G. Bortolan, Venezia 1974, p. 373; “Rivista diocesana del Patriarcato di Venezia ufficiale per gli atti di Curia”, 1 (gennaio 1998), pp. 24, 64.
1297 alla Serrata del Maggior Consiglio, tra le “case nuove” del patriziato veneziano. Così da cittadini divennero nobili, con uno stemma di semplice tipologia, a testimonianza dell’antica origine: spaccato di azzurro e di rosso con una croce d’oro attraversante. Essere ammessi all’aristocrazia di Venezia4 corrispondeva alla partecipazione per diritto ereditario alla vita politica, tramite un complesso meccanismo di ballottaggi e per i più ricchi anche di prestiti alla Serenissima Repubblica in cambio di ambiti ruoli di potere. L’appartenenza al ceto nobiliare equivaleva a un diretto coinvolgimento in termini non solo di impegno, di responsabilità, di sacrificio, di fedeltà assoluta, ma anche di prestiti forniti alla Repubblica per garantirne il sostentamento e la floridezza (nei casi di estrema necessità si attuò la confisca dei beni). Le cariche di maggior prestigio, espletate senza alcun compenso, anzi con il personale contributo, erano affidate alle famiglie più ricche. Le più povere accettavano incarichi in centri minori, spesso lontani e ostili, ma dove potevano avere interessi economici, ricevendo in cambio un modesto stipendio. Più che diritti, erano obblighi, ordini del Senato e del Maggior Consiglio, che il nobiluomo – tutti, dai più ricchi ai più poveri – dopo aver svolto in giovane età tirocinio sulle navi, doveva eseguire in modo rigoroso per il bene della Serenissima Repubblica, pena il processo, la condanna all’esilio o all’impiccagione. Le cariche venivano conferite a tempo determinato, per brevi periodi, in luoghi sempre diversi e spesso lontani da Venezia, nell’entroterra, nel Levante, in Albania, in Dalmazia5, a Corfù, in una rotazione continua fino alla morte, senza la possibilità di rifiutarle, pena l’esclusione definitiva dalle funzioni pubbliche e il pagamento di una pesante tassa all’erario. Il rischio e il coraggio erano inclusi nell’espletamento dell’incarico: i nobiluomini sapevano di dover difendere i commerci e le terre conquistate per preservare la sovranità della Repubblica di Venezia, sempre pronti a partire, a combattere e a morire. Nello Stato “diffuso”, conquistato e governato dalla Dominante, molti nobiluomini affrontavano ripetuti viaggi, con la famiglia al seguito, 4 5
Sulle famiglie aggregate nel corso dei secoli al Maggior Consiglio, si veda il Dizionario storico-portatile di tutte le patrizie famiglie, pubblicato nel 1780 a Venezia. Per gli intensi legami tra i veneziani e e terre governate dalla Serenissima, alcune famiglie risultano spesso ricordate tra la nobiltà locale, come, per esempio, la famiglia Pizzamano in Dalmazia, cfr. C. Heyer von Rosenfeld, Der Adel des Königreichs Dalmatien, Nürnberg, 1873.
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spinti da una ferma coscienza e capacità di adattarsi a contesti, culture, lingue e popoli diversi, con l’obiettivo di favorire scambi, grazie a trattati di pace e a progetti di sviluppo economico, che si alternavano a frequenti tumulti e guerre. Così all’inizio i nobili erano soprattutto abili mercanti e allo stesso tempo ambasciatori, militari e amministratori, dotati di uno spirito aperto alle diversità, capaci di mediare per il benessere proprio e, al contempo, collettivo, o di combattere, in nome della fede cristiana e della Serenissima Repubblica che, multietnica e multilingue, conquistava con il suo vincente sistema politico riconoscimenti anche da altri regnanti che spesso ne chiedevano l’aiuto. Su richiesta del Re di Tremisen (Algeria) alla Serenissima Repubblica, Alvise (Luigi)6 Pizzamano, capitano di galea, fu nel 1488 nominato magistrato incaricato ad amministrare con le leggi venete tre città africane. La nobiltà era, quindi, un riconoscimento di capacità e risorse al servizio di ideali civici, di un progetto di integrazione fra popoli, di rispetto e di dialogo nella condivisione di obiettivi economici e culturali. Già a partire dal Mille, alcuni Pizzamano appaiono come testimoni di documenti nelle terre conquistate dalla Serenissima. Intraprendenti uomini di mare e commercio, ma anche d’armi, s’insediarono nelle terre conquistate per rafforzare il controllo degli scali, in particolare nel Levante, Corfù, Dalmazia e Albania. La loro presenza è documentata anche nell’isola di Candia (Creta)7: insieme ad altri veneziani cercarono, sotto il gonfalone di San Marco, di favorire il commercio, la pace e l’unione dei suoi vari abitanti, nel segno della tranquillità e della prosperità, con il fine non di “signoreggiarlo ma di proteggerlo”8. In cambio di incentivi e terreni, i nobiluomini dovevano difendere le terre conquistate e combattere le frequenti guerre contro i turchi9 in nome della cristianità. Erano uomini al servizio del potere di Venezia, animati da ideali e da un chiaro progetto politico-economico, pronti a sacrificare la propria vita (e quella dei familiari) nonché il patrimonio personale per affermare la sovranità della Repubblica. Nel 1206 un Giacomo Pizzamano fu consigliere di Marino Zeno, 6 7 8 9
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P. Bembo-G. Scotto-C. Gualteruzzi, Istoria veneziana, Venezia 1747, p. 59; ristampa p. Bembo, Della istoria veneziana , Milano 1809, vol. 1, p. 68. M. Philippides, Mehmed II the Conqueror and the fall of the Franco-Byzantine Levant to the Ottoman Turks, Temp 2007, p. 362; A. Lombardo, Documenti della colonia veneziana di Creta, Torino 1970, p. 49. Id., p. 18. G. Brusoni, Historia dell’ultima guerra tra veneziani e turchi, dall’anno 1644 al 1671, Venezia 1673, dedicata a Giorgio Morosini, cavaliere e procuratore di San Marco.
podestà a Costantinopoli10 e, nel 1216, ambasciatore mandato a Treviso11 per la confermazione della pace. Tra i primi coloni veneziani a Candia appare, nel 1271, un Pietro12 Pizzamano, mentre nel 1324 un altro Giacomo era capitano dell’isola13. Il graduale e progettuale processo di integrazione tra coloni veneziani e nobiltà locali avveniva com’era in uso anche attraverso il vincolo matrimoniale per fortificare interessi e intrecciare patrimoni. Alcuni componenti della famiglia Pizzamano sposarono donne delle terre conquistate, dove li troviamo con le loro galee, assieme ad altri valorosi nobiluomini uniti ai marinai di varia provenienza, spesso impegnati nelle guerre contro i turchi e i pirati. Già nel 1453 Antonio partecipò all’assedio di Costantinopoli, mentre nel 1470 nella battaglia di Negroponte le navi di due fratelli Pizzamano (ricordati nobili di Candia)14 si offersero invano alla distruzione del ponte dell’isola, “sebbene conoscevano esporsi senza riparo alla morte”. Oltre un secolo dopo, nel 1571, nella guerra di Lepanto, Michiel partecipò con la sua galea nel nome della Santissima Lega15 alla battaglia contro i turchi, mentre Marco combatté nel 1687 a fianco di Francesco Morosini, e ancora nel 1695 morendo nella battaglia di Scio. Per la sua morte eroica, suo fratello Paolo fu nominato senatore. Nel Seicento la perdita di alcune terre del Levante prefigurò l’inesorabile declino economico e militare della Repubblica di Venezia che ormai non poteva più competere in fatto d’armi e di commerci a difesa delle colonie contro i turchi. Se il destino del nobiluomo veneziano era, quindi, fin dalla nascita di servire la patria, rimaneva escluso da tale obbligo ereditario e totalizzante solo chi avesse scelto la missione ecclesiastica come Antonio Pizzamano16, nato nel 1462, laureatosi in teologia all’Università di Padova, allievo di Francesco Ludovico Ferrarese. Fu amico fraterno del cardinale Domenico 10 11 12 13 14 15 16
F. Cornero, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis, Venezia 1749, p. 232. G. Verci, Storia degli Ecelini, Bassano 1779, p. 229. Lombardo, cit., pp. 49, 136. I registri delle deliberazioni del Consiglio dei rogati, Venezia 1960, libro 7, n. 409. C. Tentori Spagnuolo, Saggio sulla storia civile, politica, ecclesiastica e sulla corografia e topografia delli Stati della Repubblica di Venezia ad uso della nobile e civile gioventù, Venezia 1786, p. 232, cfr. anche per la seguente citazione. F. Mutinelli, Annali di Venezia, Venezia 1838, p. 134. Cfr. A. Cambruzzi, Storia di Feltre, Bassano 1873, vol. II, pp. 218-219; e la voce biografica di A. Niero, in Biblioteca Sanctorum, Roma 1968, vol. X, pp. 939-942 e in G. Musolino, A. Niero, S. Tramontin, Santi e beati veneziani, quaranta profili, Venezia 1963, pp. 110-118; Le biografie feltrine di Giuseppe Biazus, a cura di G. M. Dal Molin, Feltre 1992, pp. 277-281. Una medaglia rinascimentale con il suo ritratto giovanile, di profilo, è conservata a Parigi al Louvre.
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Grimani, ma anche di importanti umanisti del tempo: Poliziano17 e Pico della Mirandola18. “Uomo di gran santità, preclaro per lettere e diligenza”19, scrisse alcuni libri, tra cui uno di grande diffusione su Tommaso d’Aquino20, ma quando fu nominato vescovo di Feltre – dopo aver rinunciato all’Arcivescovado di Zara conferitogli dal governo di Venezia ma poi assegnato dal Papa Giulio II al nipote Cypico21 – pur essendo un ecclesiastico (e quindi esonerato dalla vita politica) fu incaricato dalla Serenissima Repubblica di parlare in più occasioni con l’Imperatore Massimiliano I durante la Lega di Cambrai. Ambasciatore di Venezia, ma soprattutto uomo colto, profondamente pio e attento alla cura spirituale e riformatrice della diocesi di Feltre, dove risiedeva, seppe conquistare anche la stima dell’Imperatrice Bianca Maria Sforza che nel 1506 domandò invano al Papa di farlo cardinale. Durante le guerre tra Venezia e il Papato poi confluite nella Lega di Cambrai, il vescovo rimase a Feltre, accanto ai fedeli della sua diocesi, fino a quando l’Imperatore Massimiliano I, prima di invadere le terre gli impose di allontanarsi dalla sede del vescovado. Antonio fu un esempio di spiritualità e di amore per la propria patria, incarnando gli ideali di missione spirituale e insieme civica, curando le anime ma pronto a diventare ambasciatore, su ordine del governo di Venezia, come cittadino di origine nobile. In lui rivive quel carattere di generosità d’animo e di impegno verso il prossimo, come religioso e come patrizio. A distanza di anni dalla morte (1512), la sua salma fu trovata nel 1519 integra: “fo judichato esser stato bona anima, et nel numero dei beati; et di ordine dil Patriarcha, fo portato di suso in la sua capela sopra l’altar, e il dì seguente, a dì 10, Io fui a vederlo. / È cosa miranda come è integro; io in vita el conobi, era mio amico” ricorda Marin Sanudo nei Diari. 17 18
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A. Poliziano, Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e inedite, Firenze 1867, p. 80; V. Branca, Poliziano e l’umanesimo della parola, Torino 1983, p. 143. Fu Antonio Pizzamano, per conto del cardinale Grimani, a redigere l’elenco dei libri della biblioteca di Pico della Mirandola, cfr. Della biblioteca di Giovanni Pico, in F. Calori Cesis, Giovanni Pico della Mirandola detto la Fenice degli Ingegni, Mirandola 1897, XII, pp. 31-76; E. Garin, Giovanni Pico della Mirandola: vita e dottrina, Firenze 1937, p. 103. L. Alberti, Descrizione di Venezia, Bologna 1550, p. 464. A. Pizzamano, Opuscula Sancti Thome, ed. Hermann Liechtenstein, Venezia 1490; ed. Boneto Locatelli-Ottaviano Scoto, Venezia 1498; ed. Petri Liechtenstein Coloniensis Germani, Venezia 1508; Ib., Incipiunt preclarissima opuscula diui Thome aquinatis sacri ordinis predicatorum in quibus omnis & diuinarum scripturarum theoremata est complexus, Venezia, Hermanni lichtenstein Coloniensis, 1497. Tutte le notizie su Antonio Pizzamano sono ricavate dai Diarij di Marin Sanuto, cit.
Ritratto di Nicolò Pizzamano, di Antonio, del ramo di Santa Maria Formosa. Il ritratto non raffigura il podestà di Isola, del quale sembra non sia possibile reperire una qualsiasi immagine, ma un altro Nicolò del ramo di Santa Maria Formosa vissuto nello stesso periodo. È evidente, che subito dopo i fatti del giugno 1797, tutta la famiglia del podestà assassinato abbandonò immediatamente Isola, secondo alcuni trasferendosi nell’area di Treviso. Però il legame tra alcuni componenti della famiglia Pizzamano con Capodistria sussiste ancora qualche anno dopo la caduta della Serenissima, ed è documentato dall’aggregazione nel 1802 al Nobile Consiglio di Capodistria del cavaliere Nicolò Pizzamano, probabilmente proprio il personaggio del ritratto appartenente al ramo di Santa Maria Formosa. Suo fratello Iseppo sposò Antonia Gordini di Grado; e il loro figlio Giuseppe visse a Trieste, prima di trasferirsi a Vienna dove poi fu nominato console di Gerusalemme. (Collezione privata)
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1797: la fine della Serenissima Repubblica Se l’impegno commerciale, militare e diplomatico dei cittadini sta all’origine della floridezza della Repubblica di Venezia, il diritto di partecipare alla vita politica e il titolo di nobiltà implicavano la consapevolezza di dover nascere, vivere e morire spesso lontano da Venezia, nell’espletamento della missione civica. I nobiluomini veneziani rappresentavano quanto di più lontano dalla concezione dispregiativa dell’aristocrazia solamente dedita all’ozio. Erano prima di tutto impiegati, ma non nel senso di burocrati, al servizio del governo della Serenissima Repubblica nella veste di soldati-marinai e amministratori, promotori della cultura veneta come sistema di governo e di identità progettuale coinvolgente popoli diversi. Alcuni di loro, pienamente consapevoli di tale impegno morale, lo furono anche negli ultimi giorni della vita della Repubblica: sempre al servizio di una politica che veniva decisa a Venezia da un folto gruppo di nobili cresciuti negli ideali civici, e dal doge, per cui la volontà personale era obbligatoriamente in funzione di un disegno collettivo. Da secoli, i governatori veneziani dovevano rappresentare la sovranità della Repubblica e il loro compito era di prevenire le sommosse, garantire la tranquillità e migliorare la condizione delle terre conquistate22. Nelle terre dell’Istria – ripopolate secondo l’uso d’integrazione sociale attuata dalla Serenissima con l’invito, in cambio di molte esenzioni, a diverse etnie provenienti dalle terre della Dalmazia e dell’Albania, minacciate dai turchi23 – furono inviati alcuni Pizzamano con il titolo di podestà, “il di cui carico dura sedici mesi verso il mare, e entroterra trentadue. Questo giudica, governa, e castiga, e fa tutto quello che fa un rappresentante del Principe. Ha il suo cancelliere, e Cavaliere o Zaffo. A certi giorni da l’udienza, ascolta, e decide, è presente ai consigli de’ popoli, assiste alla custodia dei luoghi, ed invigila ad ogni loro bene. [...] un magistrato in Capo d’Istria di un senatore cospicuo con il titolo di Podestà e Capitanio, con due Consiglieri, il quale avesse amplissima autorità sopra tutti li rappresentanti della provincia, e dell’isola di Cherso e Ossero, di censurar qual si voglia causa civile, e criminale”24. Tra i podestà della famiglia ricordiamo: Fantino (1383)25, Nicolò (eletto dalla comunità di Al22 23 24 25
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B. Dudan, Il dominio veneziano di Levante, Bologna 1938, p. 243; Prospetto cronologico della storia della Dalmazia con riguardo alle province slave contermini, Zara 1863. L’archeografo triestino raccolta di opuscoli e notizie per Trieste e per l’Istria, Trieste 1837, vol. IV, p. 53. Ib., pp. 137-138. P. Kandler, Codice diplomatico istriano, Trieste 1986.
bona26, 1422-24,) Alvise (a Isola nel 1497-1504), Sebastian (nel 1532-3334, a Raspo e Pinguente)27, Alvise (a Isola nel 1534-35), Marco (a Isola nel 1632-37), Michele (a Isola nel 1676), Mattio Giovanni (nel 1692 castellano a Castelnuovo d’Arsa, senatore agli atti; e nel 1732-34 capitano di Raspo e Pinguente); Zuane (nel 1717-18-1928, a Raspo e Pinguente), Nicolò q. Giovanni Battista (suo ingresso il 19 aprile 1737), Nicolò (a Rovigno nel 1738- 40), Domenico (provveditore di Castelnuovo-Istria nel 1750), Agostino (ad Albona nel 1783-85), Nicolò (a Isola nel 1767 e poi nel 1797). Alla vigilia della caduta29, il governo veneziano si rivelò debole e incapace, perché l’ancora viva coscienza politica di un ridotto numero di nobiluomini e la ricchezza dei nuovi aggregati non bastarono a formulare una politica chiara e condivisa, un impegno concreto e interprete delle esigenze sociali e a difesa della patria. La nobiltà, conquistata un tempo con l’impegno, era diventata per molti solo un titolo aristocratico ottenuto attraverso la ricchezza, ma non per alcune famiglie veneziane che nel corso dei secoli, di generazione in generazione, avevano contribuito alla potenza della Serenissima Repubblica e avevano ancora ben vivi i valori di sacrificio, a favore di un disegno politico-sociale-economico, per l’affermazione di ideali attraverso azioni e opere concrete. Nel Settecento la famiglia Pizzamano risulta tra le più povere del patriziato veneziano, ma era ancora ben conscia del proprio ruolo e impegno politico: accettando cariche in luoghi lontani da Venezia (Dalmazia, Trau, Sebenico, Istria...) e per un modesto corrispettivo economico. Anche se appare raramente nella storia ufficiale della Repubblica, sembra, proprio in questo ultimo e contrastato secolo, rappresentare ancora tali ideali di fedeltà e impegno verso la patria come alle origini. Nel 1770, alla vigilia della fine del secolare e oligarchico governo, la famiglia Pizzamano si divideva in tre rami30 partecipi alla vita politica del Maggior Consiglio. Il primo di San Lio era formato dai figli di Nicolò: Iseppo (ai Quaranta C. N.), Zuanne, Mattio (conte e capitano a Sebenico), Domenico (sopracomito). Il secondo di Santa Maria Formosa, figli di Lorenzo: Antonio (conte alla Brazza), Domenico e suo figlio Lorenzo. 26 27 28 29 30
Sui podestà di Albona, in “L’Istria”, a. 1, n. 57-58, 5 settembre 1846. Podestà di Raspo in Pinguente, in “L’Istria”, a. 1, n. 21, 18 aprile 1846. E. Ivetic, La popolazione dell’Istria nell’età moderna: lineamenti evolutivi, Rovigno 1997, p. 324. F. M. Agnoli, Napoleone e la fine di Venezia, con introduzione di Paolo Granzotto, Rimini 2006. La temi veneta contenente magistrati, reggimenti et altro per l’anno 1770, Venezia 1770, p. 128.
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Il terzo di Santa Ternita, i discendenti di Nicolò: ZuanBattista (podestà a Noale), Zorzi, Lorenzo (formatore a San Marco), Marco (capitano e podestà a Mestre), Bernardin (cottimo ad Alessandria) e Sebastian; Girolamo di Zuan Batta; di Zorzi: Nicolò (podestà a Caneva), Lorenzo e Agostin; e infine, Antonio Andrea di Sebastiano (castellano a Padova). In un’amministrazione ormai in fase di declino, alcuni governatori godevano ancora di rispetto e stima, tanto da meritarsi raffinati encomi. È il caso di Agostino – fratello dell’ultimo podestà di Isola – che fu podestà di Cividale del Friuli (1767-68), di Torcello (1779-80), di Albona (178385), di Bassano (1789-1791), destinatario dei libretti: Nella partenza del reggimento di Bassano di Sua Eccellenza Agostin Pizzamano, e poi Alcuni poetici componimenti, dedicati dal Collegio di S. Spirito al merito di S. E. Agostino Pizzamano, sul termine del suo glorioso reggimento di Cividale del Friuli, quando fu nuovamente nel 1795-6 governatore di Cividale31; ma anche di Iseppo32, in occasione del termine del suo incarico a Vicenza: Terminando il glorioso suo reggimento sua eccellenza Iseppo Pizzamano podestà e v. capitanio di Vicenza. Sonetti, (Vicenza 1771). All’aprirsi del 179733, negli ultimi giorni della Serenissima, alcuni Pizzamano risultano impegnati nell’apparato amministrativo e militare: per esempio, Nicolò è podestà a Isola, Domenico è comandante al Forte di Sant’Andrea, Iseppo è podestà di Belluno, Zuane di Nicolò è castellano a Trau in Dalmazia, Mattio è avogadore delle Entrate, l’anziano Iseppo è senatore (muore il 19 febbraio), Bertucci è Provveditore e capitano di Legnago. A nulla valsero le sommosse popolari e neanche le potenti cannonate dal Forte di Sant’Andrea contro gli invasori francesi, ordinate dal comandante Domenico Pizzamano34, come ultimo, valoroso e insieme disperato 31 32
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Alcuni poetici componimenti dedicati dal Collegio di S. to Spirito al merito di S. E. Agostino Pizzamano, nel termine del suo gloriosissimo reggimento di Cividale del Friuli, Udine 1796. Durante l’incarico a Vicenza fece uscire, a nome della Repubblica di Venezia, un bando: Noi Iseppo Pizzamano per la Serenissima Repubblica di Venezia & c. podestà, e vice capitanio di Vicenza, e suo distretto. Divenuto ormai troppo osservabile il contegno di quei benefiziati ecclesiastici,Vicenza 1771. A Giuseppe sono dedicati alcuni libretti teatrali-musicali: N. Zingarelli-cor. U. Garzia, L’antigono, dramma per musica, Venezia 1786; p. Guglielmi-cor. p. Giudici, La bella pescatrice, dramma giocoso per musica, Crema s. d.; G. Gentili, Il capriccio drammatico, rappresentazione per musica, Venezia 1788. G. Scarabello, Gli ultimi giorni della Repubblica, in Storia della cultura veneta. Il Settecento 5/II, Vicenza 1986, pp. 487-508. Domenico è un tipico esempio di nobiluomo veneziano, la cui vita è legata ad altre città-paesi dove la famiglia d’origine poteva avere avuto interessi economici. Nato nel 1748 a Corfù, dove suo padre Nicolò era provveditore e capitano. Sempre a Corfù, nel 1783 sposò Bianca Maria Marin e due anni dopo, il 5 giugno, nacque suo figlio Nicolò Spiridione Matteo (Venezia, Archivio di Stato, nas. XVII 292). Quest’ultimo studiò arte a Milano, allievo di Jacopo Raffaelli; tra il 1810-15
atto di difesa della patria. La Serenissima Repubblica, secolare e un tempo gloriosa potenza mercantile e militare, scomparve sotto lo sguardo rassegnato dei nobiluomini rappresentanti del Maggior Consiglio, uno sparuto gruppo presente nell’ultima convocazione, e dell’ultimo doge (l’unico non veneziano), il ricchissimo friulano Lodovico Manin: subirono le imposizioni di Napoleone e dovettero rassegnarsi al triste epilogo, ormai consapevoli della profonda debolezza del loro potere. Sarà utile ripercorrere i fatti avvenuti in quello scorcio di anni, nella cronaca di giorni che videro l’astuzia di Napoleone nel condurre le trattative politiche e piegare la volontà del governo veneziano, per affermare il proprio potere, strumentalizzando i fatti e fomentando l’accusa nei confronti dell’Austria. Quando l’ultimo podestà di Isola fu assassinato, il 5 giugno del 1797, era ormai solo un cittadino, non era più il rappresentante della gloriosa Serenissima Repubblica caduta il 12 maggio, nonostante il tentativo di difesa del valoroso comandante Domenico Pizzamano, che fu tra i pochi nobili protagonisti, pronto a combattere per uno Stato che oramai aveva esaurito la sua forza politica. Il comandante fece il suo compito, come il podestà Nicolò35, nell’incarico che gli era stato assegnato, fino al decreto della fine del governo di Venezia. Le loro storie si intrecciano e sembrano essere state oggetto dell’aspra condanna e del potere di Napoleone intenzionato ad annientare Venezia e l’Austria. L’appartenenza alla stessa famiglia veneziana può forse aver influito sulla drammatica sorte dell’ultimo podestà di Isola? Cosa successe in quei mesi febbrili dal 1796 fino all’epilogo del 12 maggio 1797? Di fronte alle pressanti minacce di avanzamento di Napoleone verso Venezia, il 2 giugno 1796 il Senato veneziano decise di preparare un piano di difesa, grazie al valoroso contributo di alcuni nobiluomini volontari di Venezia e di Capodistria, con i loro marinai. Tra questi Domenico Pizzamano, del ramo di San Lio, nominato il 23 giugno comandante del Forte di
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restaurò i mosaici del Giudizio universale nell’ingresso principale nella Chiesa di san Marco (cfr. G. A. Moschini, Guida per la città di Venezia, Venezia 1815, pp. 232-233); morì a Venezia il 5 febbraio del 1820. Nicolò Lorenzo, figlio di Zorzi Pizzamano del ramo di Santa Ternita, e di Virginia Dolfin di Agostino, era nato a Verona il 13 aprile 1739 (Venezia, Archivio di Stato, nas. XIV 285 t. ) e gli fu assegnato il nome dei due fratelli morti poco dopo la nascita nel 1736 e nel 1737. Nel 1760 sposa Santa Teresa Querini di Benedetto Giorgi. Nel 1764-66 è podestà di Murano, nel 1767 a Isola; nel 1768 nasce il figlio Zorzi Gio. Batta (Venezia, Archivio di Stato, nas. XVI 263); nel 1770 è podestà a Caneva; nel 1778 nasce il figlio Agostino Nicolò (Venezia, Archivio di Stato, nas. XIV 265); dopo altri incarichi, nel 1797 è podestà a Isola dove morì ucciso.
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Ritratto di Domenico Pizzamano, comandante del Forte di Sant’Andrea. La figura del più noto discendente della casata dei Pizzamano fu certamente l’ammiraglio Domenico Pizzamano (1748-1817), considerato uno dei pochi eroi della resistenza veneziana all’arrivo dei francesi. Al comando del forte di Sant’Andrea a guardia del porto del Lido, il 20 aprile 1797, diede l’ordine di sparare sulla fregata francese Le Liberateur d’Italie che tentava di entrare in rada, affondandola. L’incidente fu il pretesto per un ultimatum da parte di Napoleone, cui il Maggior Consiglio ottemperò decretando il 12 maggio la fine della Repubblica e consegnando la città ai Francesi. (Museo Correr di Venezia)
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Sant’Andrea con il compito di impedire l’ingresso dei bastimenti stranieri (ordine del Senato 7 luglio 1796). Il disegno politico di Napoleone era di umiliare Venezia e i suoi aristocratici governanti. Contro l’invasore francese, ma anche contro l’incapacità della Serenissima Repubblica di Venezia di reagire nel difendere le proprie terre, si verificarono numerose insurrezioni popolari come spontanee reazioni dei contadini contro le spoliazioni e i soprusi dello straniero. Tale sentimento di malcontento era favorito dalla scelta di Venezia36 di rimanere neutrale nel conflitto tra la Francia e l’Austria, in disparte, in attesa dello sviluppo degli eventi. Lasciando campo libero all’intraprendenza di Napoleone, essa subì l’invasore senza opporre resistenza, nonostante le insurrezioni popolari a difesa del suo governo e il dovere svolto da alcuni nobiluomini nel suo nome. “La mitezza, forse la viltà, la remissività, la fiducia nella persuasione, nel buon senso, nella contrattazione, di questi rettori, di questi provveditori, di questi segretari, che via via si trovano a tu per tu con Bonaparte e i suoi generali, finiscono per ridonar loro immagini di civiltà/cultura che riscattano in parte l’alone di non-sense che informa di sfinitezze la Repubblica e i suoi uomini. Sono immagini che la vincono su quelle della prepotenza al limite della retorica del Napoleone raccontato dai dispacci dei rappresentanti veneziani che lo incontrano. Un Bonaparte, giovanissimo signore della guerra, che il 31 maggio a Peschiera investe di minacce il vecchio Provveditore Foscarini e il ‘circospetto’ Segretario Rocco Sanfermo, che erano andati ad incontrarlo, e blatera di ‘massime di guerra’ che gli fanno dovere, se Venezia non lo plachi di umiliazioni e di sacrifici, di spargere il terrore tra le popolazioni, punire di rappresaglie indiscriminate, incendiare magari una città, magari Verona, magari la prossima notte stessa. Uno stile, una cultura, che, prima ancora di indignare, stupiscono i rappresentanti veneziani, fanno loro immediatamente sentire la distanza che separa il loro vecchio mondo da quello nuovo di cui sono portatori questi Francesi. / Napoleone mostrava con Venezia una arroganza particolare. Forse perché si era accorto che il governo veneziano non aveva altre alternative al cedimento, forse perché già interessato a provocare rotture con la Repubblica che gli consentissero di lanciare, sulla testa del Direttorio, la sua gestione delle cose d’Italia e di impostare prospettive di una 36
Per ricostruire il contesto attraverso i documenti cfr. Raccolta cronologicoragionata di documenti inediti che formano la storia diplomatica della rivoluzione e caduta della Repubblica di Venezia corredata di critiche osservazioni, 2 voll., Firenze 1800; e M. Mazzucchelli, La rivoluzione francese vista dagli ambasciatori veneti, Bari 1935.
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sua contrattazione politico-territoriale con la controparte austriaca. / Le discussioni che continue si susseguivano in Senato (spesso fuorviate dal fatto che i Savi del Collegio col meccanismo delle ‘comunicate non lette’ non fornivano al Senato stesso informazioni dettagliate su nodi importanti dell’evolvere delle situazioni), approdavano non di rado piuttosto che alla elaborazione di linee di intervento, al soppesamento critico del muoversi dei rappresentanti veneziani i quali – essi sì – dovevano, spesso senza istruzioni, in concreto far fronte agli sviluppi rapidi degli avvenimenti: Nicolò Foscarini criticato per la sua acquiescenza allo spadroneggiare francese a Verona, alla metà di luglio veniva sollevato dal suo incarico mentre al teatro degli avvenimenti era Francesco Battagia ritenuto ‘simpatico’ dei e ai Francesi”.37 Ormai all’orizzonte si andavano delineando le grandi manovre politiche tra la Francia e l’Austria, formulate in ipotesi di cessione di terre, mentre Venezia attendeva impotente la propria sorte e subiva le pressioni di Napoleone. Con le “Pasque veronesi” durate nove giorni, dal 17 aprile 1797, mentre i Provveditori veneti abbandonavano Verona, vi fu un’insurrezione generale del popolo contro il nemico francese. Tali ripetute e spontanee manifestazioni a Venezia furono soffocate dalle stesse autorità venete, anche se il Senato rinnovava l’ordine di impedire l’ingresso al porto delle navi straniere. Il processo di integrazione fra popolazioni attuato dal governo veneziano, “impiantato da secoli nei territori, il quale era riuscito (ora lo si vede bene, anche se sopravvive solo a livello di mito) a costruire e mantenere se non un edificio istituzionale-politico rappresentativo delle comunità dei territori stessi, almeno un grumo di riferimenti storici, economici, sociali, religiosi, destinuali, sentiti come comuni, come specifici, dal grosso della popolazione: quasi una patria, quasi un grumo culturale accomunante, pur nelle irrisolte giustapposizioni della dimensione ‘Venezia’ e della dimensione ‘Stato Veneto’”38, è all’origine di molte reazioni difensive da parte dei contadini e del popolo, in grande parte ancora indifferenti alle proclamazioni francesi di “libertà”, “democrazia” e “uguaglianza”. Al 18 aprile risalgono i “preliminari di Leoben”: Napoleone cedeva all’Austria le terre, fino allora venete, della Dalmazia e dell’Istria. Mentre nello stesso giorno il comandante Pizzamano stendeva una relazione sullo stato del porto, dell’esercito veneziano e delle navi da difesa, chiedendo rinforzi. 37 38
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Scarabello, cit., p. 491. Ib., p. 494.
“Dopo Leoben, Napoleone moltiplica le pressioni su Venezia. Le sue truppe si preparano a liquidare la Repubblica. Ogni mossa dei Veneziani viene enfatizzata come ostile [...] È paradossale: i ‘rivoluzionari’ che si trovano ad invocare il disarmo delle masse e il vecchio regime veneziano che si trova a temere che contadini e popolari armati vogliano difenderlo troppo”39. Pur dichiarandosi neutrale durante la campagna d’Italia condotta da Napoleone40, la Serenissima Repubblica fu invasa dalle truppe francesi. L’attacco più audace di Napoleone (poi trasformatosi in colpo di grazia) fu di mandare a Venezia la fregata Le Libérateur d’Italie, per affermare ancora una volta la sua invincibilità. Solo gli Inquisitori di Stato (Agostin Barbarigo, Angelo Maria Gabrieli e Catterin Corner) e il comandante Domenico Pizzamano41, insieme al popolo, ai soldati (i fedeli schiavoni provenienti dalla Dalmazia e dall’Istria) e ad altri nobiluomini, promossero un piano per la difesa della patria. Un ultimo sussulto di coraggio di un governo che non era più in grado di reagire di fronte ai terribili eventi, ebbe luogo nel Forte di Sant’Andrea al Lido, dove il comandante Domenico Pizzamano ordinò, il giorno 20 aprile, una salva d’artiglieria contro la fregata francese entrata nel porto, nonostante gli inviti ad allontanarsi e che per prima aveva sparato sette colpi a salve. La pronta reazione della difensiva veneziana ne impedì l’accesso: una ventata di gioia e forza, tanto che il Senato premiò il 23 aprile il valoroso equipaggio della galeotta del capitano Viscovich e lodò il comandante Pizzamano, con l’ordine di proseguire “con pari zelo e fervore nell’esercizio delle appoggiategli importanti incombenze”. Ma quest’ultimo atto di coraggio del patriziato veneziano42, dei soldati e del popolo, nel ricordo di un glorioso e secolare passato fatto di con39 40 41
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Ib., p. 499. Annul review and history literature for 1804, Londra 1805, pp. 157-164. Il Lido di Venezia raccomandato alla custodia del n. u. s. Domenico Pizzamano nel 1797. Memorie necessarie alla storia del tempo presente, Venezia 1798. Sul comandante cfr. p. L. Mozzetti Monterumici, Domenico Pizzamano al Lido e l’epistolario di un contemporaneo, Venezia 1911; A. Da Mosto, Domenico Pizzamano, in “Nuovo Archivio Veneto” n. s., a. XII, t. XXIV/I, Venezia 1912; M. Nani Mocenigo, La mancata difesa di Venezia nel 1797, in “Ateneo Veneto”, a. CXXXIII, volume 129, Venezia 1942, pp. 253-260; A. Da Mosto, Domenico Pizzamano. Un uomo di mare veneziano contro Napoleone, Editoria Universitaria, Venezia 1997; G. Paolo Borsetto, Il caso Pizzamano (1797), s. l., s. d. Raphael Sabatini nel romanzo Venetian Masque (1934), si è ispirato al periodo della fine della Serenissima, creando personaggi fantastici della famiglia Pizzamano. Tentori Spagnuolo, cit., p. 232.
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quiste e difese, commerci e trattati di pace, non fu sufficiente; per i francesi divenne anzi il pretesto per accusarli di fomentare l’odio. L’astuto Napoleone progettò un piano preciso per piegare Venezia: prima chiese di rilasciare tutti i giacobini prigionieri, di comandare con un proclama al popolo veneto il rispetto dei cittadini francesi, di rimandare a casa tutti i valorosi e fedeli schiavoni che furono accompagnati dal nobiluomo Nicolò Morosini. Poi il 24 aprile mandò un suo console a redigere il verbale dei fatti e due giorni dopo arrivò una protesta formale al Senato veneto. Il comandante Pizzamano, insieme ai suoi soldati e ai rivoltosi di Verona, fu accusato di voler inasprire il popolo veneto contro i francesi e di aver attaccato la loro nave, diretta in Istria contro i bastimenti austriaci, che cercava a Venezia solamente protezione. “La belligeranza francese nei confronti della Repubblica si formalizzava col manifesto lanciato da Napoleone il 1° maggio dal quartier generale di Palmanova. Prendendo a pretesto gli avvenimenti degli ultimi giorni, dalle resistenze dei contadini (addirittura 40.000, esagerava il manifesto), alla sollevazione dei popolani di Verona, (il riferimento ai Vespri siciliani era esplicito), alle ingiurie antifrancesi (‘giacobini’, ‘regicidi’, ‘atei’), all’incendio della casa del console francese a Zante, all’affondamento de Le Libérateur d’Italie al porto del Lido (20 aprile), Napoleone ingiungeva al rappresentante francese a Venezia Lallement di lasciare la città e ai rappresentanti veneziani di sgomberare la terraferma, nonché ordinava ai soldati di Francia di trattare da nemici i soldati veneti atterrando dappertutto i leoni di S. Marco”43. Girolamo Dandolo rievoca qualche decennio dopo quel drammatico momento in cui Venezia fu circondata dalle truppe della “nuova divoratrice Repubblica francese [...] il doge Ludovico Manin, uomo onesto, della patria amatissimo, che l’aveva ottimamente servita nella reggenza delle provincie soggette, nelle quali aveva lasciato assai buon nome di se; ma lontanissimo era nel possedere quell’altezza di ingegno, quella prontezza di consiglio, e sopra tutto quella fortezza d’animo e quella serenità di mente, che in ispezieltà si domandano in colui che è chiamato a salvare nelle più grandi fortune del mondo la nave pericolante dello Stato, raccoglieva attorno a se una straordinaria consulta, composta dai capi delle più gravi magistrature; e con il parere di questa, benché, a merito specialmente di Jacopo Nani Provveditore straordinario alle Lagune e Lidi, si fosse posta Venezia, se non in ottima, certo in sufficientissima condizione di difesa, induceva il Maggior Consiglio plenipotenza al Senato di trattare la pace con il generalissimo francese. Ma Bonaparte, sfacciatissimo abusando della fortuna, diventava ad ogn’ora più temerario. Perciò rifiutava ogni tratta43
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Scarabello, cit., pp. 501-502.
tiva, finché non si fossero processati e puniti”44 gli Inquisitori di Stato e il comandante Pizzamano. In breve, ecco che il 2 maggio il Maggior Consiglio fu convinto che l’unico modo per salvare la Serenissima Repubblica fosse di sacrificare i propri eroi, con l’arresto e la prigionia del comandante e, due giorni dopo, dei tre Inquisitori di Stato, e con l’avvio dell’istruttoria per il processo. Cadde prima la difesa del governo di San Marco, poi non bastò un atteggiamento remissivo: i governanti veneti ebbero paradossalmente paura dell’irruenza e fedeltà del popolo45 e delle pressanti minacce di Napoleone. Il 12 maggio, mentre nelle calli, piazze e rive di Venezia, spinto dall’amor patrio, il popolo gridava “Viva San Marco!”, il Maggior Consiglio presieduto dal doge Lodovico Manin, pur non essendoci il numero legale, abdicò e dichiarò decaduta la Repubblica, istituendo il governo di una Municipalità provvisoria che chiese a Napoleone la grazia per gli accusati. L’ambizioso Napoleone, futuro Imperatore, non solo rifiutò la grazia, ma fece inserire nel trattato di pace franco-veneto del 16 maggio la prosecuzione del processo. Non bastò quindi l’impegno di alcuni nobiluomini, insieme al popolo e ai marinai, abituati da secoli agli aspri scontri navali contro turchi e pirati, nell’affrontare l’invasore francese e gli eventi drammatici. Se da una parte il comandante Domenico Pizzamano reagì fino all’ultimo e con coraggio contro l’invasore, dall’altra i Podestà incaricati non poterono far altro che assistere all’impotenza del Maggior Consiglio e alla sua ultima drastica decisione che annullava qualsiasi loro azione, indirettamente vanificando gli atti eroici, anzi dichiarandone l’illegalità, nel momento in cui si piegò alle imposizioni di Napoleone per far imprigionare e processare gli ultimi difensori della patria. Fu la fine, “una catastrofe”: tutte le terre venete, comprese l’Istria e la Dalmazia, furono soggette al nuovo domino politico e al corso degli eventi. Domenico Pizzamano fu oggetto della più aspra condanna di Napoleone. Prima subì la decisione del suo governo di essere incarcerato e processato, insieme agli altri ultimi difensori di Venezia; poi fu sottoposto a un linciaggio morale e a un processo-farsa. Abbandonato dai suoi e disprezzato da Napoleone che con il processo voleva screditare il suo atto eroico”. La fermezza di obbedire divenne in seguito una colpa” ricordava, amareggiato, il nobiluomo veneziano. 44 45
G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia ed i suoi ultimi cinquant’anni, Venezia 1855, p. 49. Sugli accordi tra Napoleone e Venezia, cfr. p. Daru, Storia della Repubblica di Venezia, Mendrisio 1834, tomo VIII, pp. 235 e seguenti.
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L’obiettivo di Napoleone era di distruggere i simboli della Serenissima Repubblica: la sua forza navale, le lapidi con il leone di San Marco, il comandante che gli aveva opposto resistenza; infine, il Bucintoro. L’eco di tali fatti si diffuse in tutte le terre, com’era sua intenzione. Il comandante veneziano fu il capro espiatorio e forse su Nicolò, del ramo di Santa Ternita, ultimo podestà di Isola, si estesero tali sentimenti filofrancesi, tanto che fu accusato di essere stato favorevole all’Austria. Con il crollo del Maggior Consiglio, i nobili erano diventati solo dei cittadini, senza alcun potere e ordine da eseguire. Considerato che dal 12 maggio la Serenissima Repubblica non esisteva più, rimasti solo i due schieramenti stranieri, la nobiltà locale era forse più orientata verso la Casa d’Austria46; ma il popolo che cosa auspicava? Con il crollo della Dominante e Napoleone invincibile, ecco che alcuni sembrano ora ribellarsi contro l’Austria, pronta a invadere le terre oggetto dell’accordo segreto di Leoben. A Isola il prevalere di uno stato di incertezza portò uno gruppo di rivoltosi ad uccidere il povero podestà in Istria che non era fuggito a Venezia o in luoghi sicuri, come avevano fatto qualche mese prima i governatori di Verona, ma era rimasto lì, nelle vesti di cittadino, nonostante la decretata fine del proprio governo. Egli rimase vittima del clima di incertezza politica, esploso nel malcontento della popolazione nei confronti dell’incapacità del governo veneto di difendersi dallo straniero; o forse su di lui si riversò quell’insofferenza per le ingerenze e le corruzioni subite nel passato o quei sentimenti filo-francesi tanto diffusi proprio nel momento in cui il comandante Domenico Pizzamano era oggetto di un aspro attacco da parte di Napoleone che lo accusò di nuovi complotti, pur essendo egli in prigione. Il comandante subì per ben sei mesi ingiuste angustie e accuse. Solo grazie all’intervento del vescovo di Treviso47, Bernardino Marin, che ospitò Napoleone e sua moglie, ottenne la libertà dopo avergli inoltrato una supplica il 20 ottobre del 1797. Lo sgretolamento dell’aristocratica e oramai anacronistica Repubblica che, fino a quel momento, aveva vissuto di antiche glorie e splendori, corrispose quindi a uno stato di incapacità nel competere con le grandi potenze, incalzato dalla rivoluzione sociale promossa dai francesi. Sembra proprio che l’ultimo podestà di Isola sia stato vittima di un risentito e secolare sentimento popolare che riesplodeva nel momento in cui tutto il sistema politico della Serenissima cadeva sotto i colpi “demo46 47
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A. Apollonio, L’Istria veneta dal 1797 al 1813, Gorizia 1998, p. 7. A. degli Azzoni Avogadro, 1796-1803, vita privata e pubblica nelle provincie venete, Treviso 1954, pp. 105-108.
cratici” dei francesi. Fu ucciso perché era un rappresentante-simbolo della classe nobiliare-dirigente, non una persona del popolo ma un nobile. Con la morte crudele del podestà s’intendeva uccidere il passato, e con lui la gerarchia secolare e oligarchica veneziana. La tragica, ingiusta e violenta morte dell’ultimo podestà di Isola non sembra essere stata quindi, come ricordano quasi tutti gli studiosi, una testimonianza di un forte attaccamento del popolo istriano al governo veneto: un ultimo atto di fedeltà, seppur crudele e irrazionale; un segno capace di esprimere un legame irrimediabilmente perduto, un epilogo non ancora accettato, una nostalgia non ancora sedata, un’appartenenza all’identità veneta ancor viva e bruciante da non tollerare e accettare l’evolversi delle trame politiche esistenti e straniere. Sicuramente in quei giorni potevano essere ancora vivi e forti i sentimenti veneti espressi ancora una volta dalla maggioranza del popolo, più che dagli ex-amministratori ormai consapevoli della fine del loro potere: un tentativo irrefrenabile di salvare la cultura veneta, così profondo, che fu manifestato anche durante le quattro giornate di Cherso48 e più tardi divenne simbolo e mito dell’irredentismo. Ma l’assassinio del podestà fu solamente un atto crudele di rivendicazione sociale, per colpire un classe fino a quel momento privilegiata e detentrice del potere. Gedeone Pusterla si soffermava proprio sulle insurrezioni del popolo contro la nobiltà, nel 1797 e ancora nel 1814, quando cessò il nobile Consiglio di Capodistria, annotando: “per suggestione di qualche ribaldo, come successe nel 1797 alla caduta della Repubblica, dove la feccia del popolo, col pretesto d’essere fedele al governo di S. Marco, sfogò l’atra bile contro onestissime persone civili d’ambo i sessi che non ebbero agio di evadere dalla città”49. Ecco che allora la morte il 5 giugno (il giorno prima a Venezia veniva piantato l’Albero della Libertà e bruciato il Corno dogale insieme al Libro della nobiltà veneta) dell’ultimo podestà di Isola non è neanche da legare, come ricordano alcuni studiosi50, al trattato di Campoformido tra la Francia e l’Austria che avvenne alcuni mesi dopo, esattamente il 17 ottobre, ma fu frutto solamente delle tensioni di rivoluzione sociale esplose in un momento di transizione e di incertezza politica. 48 49 50
Tomaz, cit. G. Pusterla, I nobili di Capodistria e dell’Istria, Capodistria, III edizione 1888, p. 23. A. Bernardy, L’Istria e la Dalmazia, Bergamo 1915, p. 31; Prose scelte di Gabriele D’Annunzio, a cura di D. Pastorino, Milano 1937, p. 310.
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Ritratto di Antonio Pizzamano, vescovo di Feltre. Discendenti della casata veneziana dei Pizzamano si trovano in epoche diverse sparsi in localitĂ e con compiti e funzioni diverse. (Collezione privata)
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L’Ottocento, ideali e impegno al servizio di società ancora multietniche e multilinguistiche Mentre nell’Ottocento si delinea il mito romantico-letterario del secolare e glorioso passato culturale e politico di Venezia, il forte senso e amore civico dei nobiluomini veneziani sembra essere ancora vivo nelle generazioni successive. Qualcosa rimase nei geni dei discendenti di un patriziato abituato a servire un governo per una progettualità collettiva. L’impegno politico era insito nelle loro vite: una coscienza che si tramandava di padre in figlio. La capacità di confrontarsi con altre culture e lingue, per finalità sociali, tipica di molti veneziani, favorì l’intreccio di percorsi di vita, destini, a volte con risvolti tragici, come avvenne per l’ultimo podestà di Isola. Se sotto il governo francese, il patriziato perdette il titolo nobiliare, con il successivo governo austriaco51 si ripristinò l’appartenenza al ceto aristocratico come elemento di aggregazione e propulsivo della società. Rimaneva ancor viva la memoria di vincoli coltivati nei secoli tra la nobiltà veneziana e quelle locali, nel singolare e continuo progetto di integrazione sociale attuato dalla Dominante. Il legame tra alcuni componenti della famiglia Pizzamano con Capodistria sussiste ancora qualche anno dopo la caduta della Serenissima, tanto che “il cavaliere Nicolò Pizzamano fu aggregato nel 1802 al Nobile Consiglio di Capodistria”52. Il cambiamento politico segnò le loro vite, riposizionando a volte competenze e ruoli. Domenico53, del ramo di Santa Maria Formosa, se sotto il governo veneziano nel 1791 era capitano a Zara e nel 1796 podestà di Cavarzere (anno in cui sposò Andrianna Milletich, di famiglia nobile croata-slava54, da cui ebbe nel 1797 un figlio Antonio Alvise), nel 1818 lo troviamo al servizio di Sua Maestà d’Austria, a bordo del vascello Pasqualigo, durante la campagna nell’America meridionale. Uomo esperto in 51
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La nobiltà della famiglia Pizzamano fu confermata con sovrana risoluzione del 1 gennaio 1818, 2 dicembre 1819 e 10 novembre 1820, cfr. F. Schröder, Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle provincie venete, Venezia 1830, pp. 147-148. Giuseppe Pizzamano fu insignito del titolo di Conte dall’Impero Austriaco con sovrana risoluzione del 21 febbraio 1860. Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria, Società istriana di archeologia e storia patria, Parenzo 1936, p. 130; G. Pusterla, cit., p. 21: Nicolò Pizzamano, cavaliere, forse fratello di Iseppo e Domenico, del ramo di Santa Maria Formosa, cfr. nota 62. Domenico di Antonio e Palma Rosalem, nato nel 1752 a Budua, dove suo padre era podestà (Archivio di Stato Venezia, nas. XVI 263 t. ). Ivan Bojnicic, Der Adel von Kroatien und Slavonien, Nürnberg 1899.
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navigazione, è l’autore di una mappa55 conservata a Vienna. Anche il giovane Giuseppe56, suo nipote, nato nel 1807 da Iseppo57 (ultimo podestà di Belluno) e Antonia Gordini di Grado58, pose le sue capacità ed energie al servizio di nuovi ideali sotto la Casa d’Austria, fino a conquistare la stima dell’Imperatore Francesco I che lo nominò, dopo una graduale carriera, primo console generale a Gerusalemme, dove morì in modo repentino nel 1860, a soli cinquantadue anni, (mentre stava contribuendo con il filantropo Sir Moses Montefiore59 al progetto di costruire una strada da Gerusalemme a Jaffa) confortato dall’affetto fraterno, stima e preghiere di Padre Ratisbonne60 e dalla moglie Costanza con la piccola figlia Emilia che con lui avevano condiviso un importante e difficile obiettivo di integrazione tra popoli, culture e religioni. Dopo essere stato nel 1834 capitano circolare di Gorizia, nel 1837 segretario dell’Imperial Regio governo a Trieste, fu nominato deputato alla Costituente austriaca, assieme ad Antonio Madonizza (di Capodistria, avvocato, rappresentante istriano, noto patriota e promotore della causa istriana in Italia, fondatore e direttore del giornale letterario “La Favilla”). Madonizza lo ricorda in una lettera inviata alla moglie, datata Vienna 17 55
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Pizzamano, Domenico, Carta Generale che comprende li Mari dal 48° di Latitudine Nord al 39° di Latitudine Sud e dal Meridiano 19° Est al 50° Ovest di Parigi, redatta sopra le Mappe più accurate, e dietro le osservazioni astronomiche tratte dalla Connoissance de toms, all’appoggio del Giornale della Fregata di S. M. l’Austria nella Campagna dell’America Meridionale 1817 e 1818 Verfasserang. Pizzamano, Vascello Pasqualigo. Jehan disegno Kartograph. Angaben [Ca. 1:11 000 000] Ort S. l. Jahr [1818] Umfang 1 Kt. + 1 Bl. Illustr. / Techn. Ang. Handzeichn. Formatangabe 74 x 103 cm Fussnote Mit 1 Bl. Tabellen. – Mit 2 Nebenkt: Campagna dell’Adriatico nel 1815, crociera della Fregata di S. M. l’Austria. Ca. 1:1 350 000. Campagna del Mediterraneo nel 1816 della Fregata di S. M. l’Austria. Ca. 1:9 000 000. K. Vielmetti, Joseph Pizzamano, in Österreichisches biographisches lexikon 1815-1950, 1983, p. 111. Iseppo di Antonio e Palma Rosalem, nacque nel 1755 (cfr. Archivio di Stato di Venezia, nas. XVI 263 t. ). Nel 1803, a Grado sposa Antonia Gordini. Nel 1805 a Grado nasce Maria, poi nel 1807 a Chioggia, Giuseppe, nel 1809 Elisabetta, nel 1810 Giovanni Battista, nel 1815 Domenico. Figlia di Antonio Gordini che durante il governo veneto fu notaio della cancelleria inferiore (1788-90), cfr. A. da Mosto, L’Archivio di Stato di Venezia, Roma 1937, tomo I, p. 269. Moses Montefiore, Judith Cohen Montefiore, Louis Loewe, Diares of Sir Moses and Lady Montefiore, Chicago 1890, p. 108. Appartenente ad una ricca famiglia ebraica di banchieri, Alphonse Ratisbonne nasce il 1° maggio 1812 a Strasburgo. Quando suo fratello Thèodore si converte al cattolicesimo, il loro rapporto si inasprisce. La conversione di Alphonse avviene più tardi e improvvisamente a Roma, a seguito dell’apparizione miracolosa della Madonna mentre era nella chiesa delle Fratte di Sant’Andrea. Viene battezzato con il nome di Maria. Nel 1848 diventa gesuita, ma poi decide di affiancare il fratello Thèodore fondando la Congregazione di Notre Dame de Sion, con il compito di convertire gli ebrei al cattolicesimo. Si trasferiscono in Terra Santa dove comprano dei terreni per costruirvi dei conventi. Muore il 6 maggio 1884.
luglio 1848: “La seduta parlamentare terminò or ora senza che vi accadesse nulla di rimarchevole. [...] Ti dirò ora delle persone di vecchia conoscenza che qui ho veduto [...] Pizzamano, che aspetta il momento per partire per Gerusalemme in qualità di Console”61. Giuseppe era stato nominato primo console austriaco a Gerusalemme dal Kaiser Ferdinando, ma la rivoluzione ne aveva ritardato la partenza. Come i suoi avi, egli non fu solo un burocrate, non si fermò ad accarezzare il sogno nostalgico del glorioso passato di Venezia e neanche il culto dell’identità veneta che conservava però nel cuore e nello spirito, ben documentata dai quattro ritratti di famiglia che portò sempre con sé. Sotto lo sguardo dolce e fiero di suo padre Iseppo, raffigurato nelle vesti di ultimo podestà di Belluno, dei suoi zii Nicolò62 e Domenico, e del suo avo più celebre, Antonio, il vescovo “beato” per i veneziani, la vita di Giuseppe si svolse lontano da Venezia, in un legame strettissimo tra il passato e il presente, che rimase sempre vivo nella vita quotidiana di sua figlia Emilia anche quando fu poi a Vienna. Consapevole del proprio impegno etico, egli si dimostrò capace di interpretare gli ideali del governo austriaco63, pronto ad affrontare con la famiglia i rischi di una missione politica, a profondere energie e sacrificio in una terra lontana da Venezia e da Vienna, in una terra percorsa da molteplici idee e lingue, con l’obiettivo di favorire l’integrazione tra popoli, culture e religioni, come un tempo lontano i suoi avi. In lui sembrano sopravvivere quegli antichi valori fatti di impegno, fedeltà e sacrificio per un ideale di vita inteso come missione sociale. Giuseppe affermò la presenza dell’Austria a Gerusalemme come protettrice dei cristiani nell’Est, attraverso opere filantropiche a favore degli ebrei. Nel 1852, in collaborazione con l’Ordine dei Francescani a Gerusalemme e la Generale Commissione per la Terra Santa a Vienna, progettò di fondare un ospedale cattolico, che però a causa di aspre opposizioni del Patriarca Latino a Gerusalemme, della Francia e del Vaticano, divenne solamente un ospizio per pellegrini. “The Austrian Hospice”64 sulla Via Dolorosa, fu costruito con enormi difficoltà, completato nel 1858, funzionante solo dal 1860, dopo la morte del console, ma ancor oggi esistente. 61 62
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Antonio Madonizza, Lettere dalla Costituente Austriaca del 1848-49, a cura di Giovanni Quarantotti, Venezia 1961, pp. 16-19. Nicolò di Antonio e Palma Rosalem, nato a Nona in Dalmazia il 5 febbraio 1749 (Venezia, Archivio Stato, nas. XVI 263 t.). Sposa nel 1798 Elena Maria Luigia contessa Arnaldi. Suoi figli: Girolamo Francesco Costanzo, Marina e Girolamo Antonio Lorenzo. Da quest’ultimo, padre di Pietro e nonno di Guido, discende l’unico ramo della famiglia Pizzamano ancora oggi esistente. Per il ruolo e l’attività di diplomatico di Giuseppe Pizzamano a Gerusalemme cfr. Y. Ben-Ghedalia, The Habsburgs and the Jewish Philanthropy in Jerusalem during the Crimean War (1853-6), Gerusalemme 2009. H. Wohnout, Das Oesterreichische Hospiz in Jerusalem: Geschichte des Pilgerhausese an der Via Dolorosa, Vienna 2000.
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“Uomo di mondo”, così lo ricordava il console britannico James Finn65, Giuseppe frequentò i numerosi viaggiatori66 nella Città Santa, da D. Bartolini a F. de Saulcy, E. Delessert, J. B. Huysmans, F. Hugonnet, Sir Moses Montefiore. Realizzò un’intensa attività di promozione, apertura, mediazione e cooperazione tra ebrei e musulmani, fino ad innalzare con orgoglio sulla sua casa a Betlemme la bandiera austriaca, in occasione del compleanno del Kaiser Francesco Giuseppe, il 18 agosto del 1855, provocando grande shock e divertimento. Con intensi sforzi diplomatici, appoggiò l’anno dopo, non senza difficoltà e polemiche con gli ebrei conservatori, il progetto riformatore di Ludwig August Frankl67 (Chrast, Boemia, 3 febbraio 1810 – Vienna 12 marzo 1894; poeta e scrittore, dalle idee liberali, che ebbe un ruolo importante nella rivoluzione a Vienna del 1848) con la costruzione del Laemel Institute (finanziato da Elise Hertz-Laemel), una piccola scuola elementare destinata a provvedere all’educazione e all’assistenza di quaranta bambini ebrei poveri: la prima moderna scuola per gli ebrei in Palestina nonché la prima istituzione austriaca nella Terra Santa, seguita dall’Ospizio. Dando protezione consolare e aiuto a Frankl, egli abbinò le doti di diplomatico a progetti filantropici, affrontando l’accusa di Ignaz Deutsch, alto burocrate a Vienna e appartenente alla comunità ortodossa, di favorire riforme liberali. Proseguì nel difficile progetto diplomatico-filantropico a Gerusalemme fino a far diventare l’Austria una potenza significativa nella Città Santa, conquistando il titolo di Console Generale e di conte. Così lo ricorda Padre Maria Alfonso Ratisbonne: “Peu de jours après la mort de Joseph, j’eu la douleur, après avoir reçu sa confession, de fermer les yeux à mon excellent ami, le Comte de Pizzamano, Consul général d’Autriche. / Je ne veux pas oublier de signaler, à cette occasion, un trait bien touchant de la charité du noble Consul. Lorsqu’il apprit que j’avais loué, à quelques pas du Consulat autrichien, une pauvre bicoque arabe, afin d’y surveiller plus facilement les travaux de l’Ecce homo, le comte de Pizzamano voulut l’approprier et la meubler à ses frais. / La reconnaissance me fait un devoir de rappeller ici un acte si caractéristique de sa délicate générosité /”68. 65 66 67 68
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J. Finn, Stirring Times, London 1878, p. 85. In quegli anni sono numerose le cronache pubblicate dai viaggiatori che si recavano in Oriente alla scoperta della Città Santa. L. A. Frankl, Nach Jerusalem!, Leipzig 1858, pp. 16, 152, 445, che è stato tradotto in varie lingue, tra cui l’ebraico; e Ib., The Jews in the East, 1859, p. 107. Padre Maria Alfonso Ratisbonne, Annales, tomo 3, “Bulletin” n. 25, 1883, p. 24.
Mentre il necrologio pubblicato sull’“Ost Deutsche Post”, riportato nella traduzione in lingua italiana sulla “Gazzetta uffiziale di Venezia”69 nella rubrica Notizie recentissime, annunciò: “Riceviamo la notizia della repentina morte del conte Giuseppe Pizzamano, I. R. console generale a Gerusalemme, seguita il 22 luglio, nell’età di 53 anni non ancora compiuti. La sua morte, in questo momento fatale, è doppiamente dolorosa e deprecabile. Il defunto, che trovavasi a Gerusalemme dall’anno 1845 (dapprima l’Austria non aveva un Console nella santa città), seppe cattivarsi col suo spirito e col suo amabile carattere la simpatia dei Maomettani, e, quel ch’è più, dei Cristiani. La sua intelligenza lucida e perspicace sapeva risolvere le più difficili complicazioni, e conciliare le più grandi divergenze. Patrizio veneto, appartenente ad una famiglia, il cui nome è registrato nel Libro d’oro della Repubblica, era stato innalzato l’anno scorso da S. M. l’Imperatore d’Austria al grado di conte, e nominato poco prima a console generale, per le sue benemerenze. Egli fu il primo che, dopo Leopoldo il glorioso, fece sventolare la bandiera bianco-rossa austriaca in Palestina. Noi la vedevamo issata sul Palazzo del Consolato. Allorch’egli ci accompagnava al Cimitero cristiano davanti la porta di Sionne, non c’immaginavamo quell’uomo, sì bello e vigoroso nell’aspetto, avrebbe riposato così presto in quel luogo stesso! Anch’egli possedeva il senso artistico, ch’è proprio della sua poetica patria. Cantava egregiamente, e la sua raccolta di monete seleucide e d’antichità siriache è fra le più interessanti. Coloro che si recarono in pellegrinaggio a Gerusalemme non dimenticheranno la sua nobile ospitalità, né i suoi amici oblieranno la sua devotissima amicizia. La Potenza, ch’egli rappresentava con tanta fedeltà e tanto splendore, perde in lui uno degli uomini più degni, e ciò è doppiamente grave in questo momento. Pace alle sue ceneri!”. 69
O. T., Notizie recentissime, in “Gazzetta uffiziale di Venezia”, sabato 18 agosto 1860, n. 188.
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Ritratto di Giuseppe (Iseppo) Pizzamano, ultimo podestĂ di Belluno, pure del ramo di Santa Maria Formosa. (Collezione privata)
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Anche la vicenda di Emilia, sua figlia, può essere letta come un destino che si è incrociato – anche in senso figurato di croce per la sua morte avvolta nel mistero – con altre etnie, lingue, vite, nella difficile scelta di donna-musicista a Vienna tra la fine dell’Ottocento e l’inizio Novecento. Nata a Gerusalemme il 24 maggio 185470, alla morte del padre, ancor piccola, ritornò con la madre Costanza a Vienna, dove come cittadina austriaca decise di vivere, alternando soggiorni a Venezia e mantenendo i contatti con il cugino Pietro. Lei, poliglotta, dai suoi genitori prese il coraggio e visse da sola, lontana da Venezia e dai suoi parenti italiani. La sua formazione musicale è molto probabilmente legata alla frequentazione di Ludwig August Frankl von Hochwart71 (il già citato amico di suo padre, che aveva studiato medicina a Vienna e anche all’Università di Padova; a Vienna fu segretario e archivista della congregazione ebraica, insegnante al conservatorio dell’Impero, nonché direttore del Musikverein) e del compositore boemo Kamillo Horn72. Come i suoi avi, Emilia assimilò più stimoli culturali, la cultura italiana e quella austriaca, ed aprì a Vienna una scuola privata di canto – in Metternichgasse 11 dove abitava – che fu frequentata dal 1905 al 1907 dalla giovane Ada Sari. Rappresentò una coraggiosa ed emancipata donna di fine Ottocento, capace di mantenersi con il lavoro di insegnante, pronta a viaggiare nel grande Impero73 tanto da tenere nel 1902 un concerto di beneficenza a Lubiana a favore dell’ospedale infantile e da affrontare nel 1910 il lungo viaggio da Vienna fino a L’Aquila per l’ultimo saluto al cugino Pietro74. 70
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I documenti sono conservati presso Latin Parish Priest of Jerusalem. Grazie a Markus St. Bugnyar, rettore dell’Ospizio Austriaco a Gerusalemme, per avermi fornito i documenti e le molte informazioni riguardanti Emilia e Giuseppe. Emilia muore nell’ospedale di Steinhof il 12 febbraio 1921. Lettere di Costanza ed Emilia Pizzamano a Ludwig August Frankl von Hochwart sono conservate presso Wienbibliothek im Rathaus. Sempre presso la Wienbibliothek im Rathaus si conserva un documento di Emilia Pizzamano a Kamillo Horn (Reichenberg, Böhmen, 29 dicembre 1860, Wien 3 settembre1941). Der Merker, 1970, p. 7; p. Kuret, Glasbena Ljubljana: v letih 1899-1919, Ljubljana 1985, p. 243. Emilia è la prima a firmare il registro di partecipazione al funerale di Pietro, conservato nell’archivio della mia famiglia.
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Morì in circostanze ancora poco chiare nel 1921, nell’incrocio con il destino del militare75 Viktor Sagai e di sua moglie Olga76 che, quando portò una smemorata di nome Emilia Pizzamano all’Ospedale di Steinfhof, dichiarò essere sua nipote. Nello stesso anno, il console italiano Zannoni, dopo circa due mesi dalla morte di Emilia e dalla ricezione dell’ultima lettera di Guido Pizzamano77 (figlio di Pietro), rispose a quest’ultimo, in modo telegrafico che era deceduta e non aveva sostanze. In realtà, la contessa Emilia, figlia del primo console generale austriaco a Gerusalemme, viveva nel bel Palazzo vicino all’Ambasciata italiana, e aveva beni, gioielli, i ricordi di famiglia e un conto corrente presso la Banca Rothschild, che furono ereditati dai Sagai. Il suo testamento78 era stato redatto a Vienna il 6 agosto 1920 presso il dr. Fritz Neumann (Spielgelgasse 19 – Wien 1), poco dopo che Guido Pizzamano inviasse alcune richieste di notizie al console, perché pur avendo scritto precedentemente e ripetutamente a Emilia non aveva mai ricevuto risposta. I moduli con le disposizioni testamentarie non recano la firma di Emilia: da essi risulta che non avrebbe avuto eredi-parenti, nominando Hemma e Helene Sagai, figlie di Olga e di Viktor, e lasciando un vitalizio a Mary Absalon79. Dal testamento si apprende che disponeva di essere cremata presso l’associazione “Die Flamme” di Vienna, strano per una cattolica e per quei tempi, dopo la Grande Guerra, di grande penuria. Per ragioni sconosciute, 75 76
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Le notizie sono tratte dalla cartella clinica del ricovero di Emilia e dalle ricerche del professor Dr. E. Gabriel dell’Ospedale di Steinhof, che ringrazio. Olga nata a Seitendorf 2 dicembre 1881 (morta a Wien 24 aprile 1964), da Adolf Loibel e Helena Vergani; sposò Viktor Sagai. Abitava a Vienna in Liechtenstrasse 119/13. Suo marito Viktor Sagai, militare, era nato in Croazia, Pozaga, 23. 2. 1873, morto a Marburg (Slovenjka Bistrica) 20. 07. 1925. Emmy Sagai nata il 6 gennaio 1906 a Agram (Zagabria-Croazia), morta a Wien 17 febbraio 1985, sposata con Karl Maria Grimme (8. 12. 1897-1. 3. 1985). Helena Sagai, nata 6. 9. 1909 in Freihermersdorf /Schlesien, sposata con Dr. Alexander SchillingSchletter; ebbe un figlio Oskar Schilling (17. 11. 1930-27. 12. 1960). Le lettere sono conservate nell’archivio della mia famiglia, insieme ad alcune cartoline di Emilia indirizzate al cugino Pietro. La documentazione è conservata a Vienna: WStLA, Verlassenschaftsakt Pizzamano, A4/6, 6A, 136/21. Emilia fu cremata a Monaco, il suo conto corrente presso la banca Rothschild fu intestato a Emma e Helene Sagai; i preziosi, arredi, vestiti assegnati a Viktor Sagai, che li aveva in parte già venduti alla definizione del resoconto finale del testamento. Helene e Emma Sagai ereditano a testa 164. 540. 03; Mary Absalon 25. 665. 95. A Vienna risultano sepolte al cimitero Inzersdorf (Gruppo 3, Fila 51, sezione 3) due Marie Absalon: la prima, nel 3. 4. 1921 all’età di 19 anni (quasi due mesi dopo la morte di Emilia), la seconda, nel 31. 1. 1969 all’età di 95 anni.
il suo corpo fu invece trasportato a Monaco80 dove fu cremato; e solamente più tardi, nel 1938 fu sepolta a Vienna nel Cimitero centrale81. Il colonello Sagai, curatore per le figlie minori, vendette subito i gioielli, arredi, vestiti e altri beni di Emilia. Purtroppo anche i documenti della sua vita e di suo padre, il console, andarono perduti, ma per fortuna sono rimasti i quattro ritratti degli avi che, a distanza di quasi un secolo, sono ritornati per circostanze fortuite82 da Vienna in Italia, come testimonianze delle loro storie riemerse solo ora nell’intreccio tra legami affettivi e documenti. Sull’esempio di Giuseppe, anche suo nipote Pietro83, nato a Venezia nel 1844, mise la propria vita al servizio della società del nuovo Regno d’Italia. Avvocato, egli abbandonò Venezia e i ricordi di famiglia alle sue sorelle84, per intraprendere la carriera di magistrato a Rovigo, Firenze, Volterra e, come Presidente della Corte d’appello, a L’Aquila, dove morì nel 1910 lasciando una giovane vedova con un figlio piccolo Guido85, che ritornarono poi nel Veneto. 80 81
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Presso il Friedhof: Münchner Krematorium. La sezione n. 43 della magistratura della Città di Vienna preposta ai cimiteri mi ha comunicato che la Sig. ra Emilie Pizzamano è stata sepolta il 5. 4. 1938 nel cimitero centrale di Vienna Gruppo 59A, fila 16, n. 24. Il diritto al possesso della tomba è decaduto il 5. 4. 1968. Grazie al dr. Kubalek Johannes per le notizie. Grazie a Renzo Leonardi per la segnalazione dell’esistenza dei quattro ritratti, attraverso i quali ho riscoperto la storia dei miei avi. Pietro Antonio di Girolamo e Elena Pastori, nato a Venezia nel 1844, dopo aver studiato al ginnasio S. Caterina, nel 1867 si laurea a ventitré anni in legge. Svolge un tirocinio al tribunale di Venezia, ottiene l’abilitazione nel 1872 e poi la nomina di aggiunto giudiziario. Nel 1878 è nominato giudice al tribunale di Portoferraio, nel 1887 a Venezia, nel 1893 è promosso al grado di vice-presidente a Firenze, nel 1895 è presidente a Volterra; nell’aprile del 1901 è a L’Aquila, prima consigliere e poi presidente della Corte d’Appello. Nel 1886, a Rovigo, sposa Edvige Chiarato. Nel 1890 nasce il figlio Pietro. La famiglia Pizzamano del ramo di Santa Maria Formosa, possedeva due preziosi dipinti: La Sacra Conversazione di Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio, e San Gerolamo in meditazione di Jacopo Bassano, che furono venduti nel 1900 alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, da Alessandro Bedendo, vedovo di Elena Pizzamano (1832-1887), sorella di Pietro. Guido di Pietro Antonio, nasce a Venezia nel 1890 e muore a Lendinara (Rovigo) nel 1957. La discendenza è continuata dai suoi figli Pier Lorenzo e Giovanni, dai nipoti e pronipoti. Grazie a Carlo Cainelli, Anna Tomasella e a Maria Luisa Crosina per l’ottimo aiuto; a Giorgio Busetto per i preziosi suggerimenti sulla storia di Venezia, e ad Antonio Fancello della Biblioteca Querini Stampalia di Venezia per la collaborazione. Dedico questo studio ai miei straordinari genitori, Marisa e Pier Lorenzo, a mia zia Elena Pizzamano, che avrebbe amato conoscere e raccontare la storia di Giuseppe e di Emilia; ai miei fratelli Guido, Alessandro, Franco, con Emanuela, Sara e Monica; ai miei nipoti Marcello, Paolo, Elena, Anna, Maria, Lorenzo e Francesco.
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Come i loro avi al servizio della Serenissima Repubblica, Giuseppe e Pietro morirono nell’espletamento del loro incarico, lontano da Venezia ma con un ideale civico nel cuore e nella mente, nell’antica vocazione veneziana di intermediazione tra culture, lingue e popoli. Furono interpreti di una sensibilità non localistica ma di grande apertura verso la diversità nell’ambito di una storia che è sempre fatta dal lavoro dei singoli individui: pronti a sacrificarsi per un ideale collettivo, attenti a confrontarsi e a dialogare nella pluralità di lingue, culture e religioni, a difesa di un’identità individuale e al contempo sociale, fatta di valori ed intesa come possibilità di essere partecipi e protagonisti di un progetto-missione. Rappresentano destini nel crogiolo di culture, lingue, ideali, che si incrociano e hanno lasciato tracce pulsanti di memoria di un universo sepolto definitivamente con la Prima Guerra Mondiale, con l’affermarsi sempre più dei nazionalismi. E quei quattro ritratti, provenienti da Vienna, sono lo specchio di un’epoca, di un passato privato e pubblico insieme: la storia di uomini al servizio della Serenissima Repubblica di Venezia, rappresentanti e cittadini nel mondo di una politica veneta che fu promotrice del mescolamento di etnie diverse per la realizzazione di progetti sociali-economici-culturali.
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Bibliografia Fonti inedite Abbreviazioni Venezia, Archivio di Stato, nas. = Venezia, Archivio di Stato, Avogaria di Comun, Nascite. Libro d’oro
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488
M. Philippides, Mehmed II the Conqueror and the fall of the Franco-Byzantine Levant to the Ottoman Turks, Temp 2007 A. Pizzamano, Opuscula Sancti Thome, ed. Hermann Liechtenstein, Venezia 1490 A. Pizzamano, Incipiunt preclarissima opuscula diui Thome aquinatis sacri ordinis predicatorum in quibus omnis & diuinarum scripturarum theoremata est complexus, Venezia, Hermanni lichtenstein Coloniensis, 1497 A. Pizzamano, Opuscula Sancti Thome,ed. Boneto Locatelli-Ottaviano Scoto, Venezia 1498 A. Pizzamano, Opuscula Sancti Thome, ed. Petri Liechtenstein Coloniensis Germani, Venezia 1508 Podestà di Raspo in Pinguente, in “L’Istria”, a. 1, n. 21, 18 aprile 1846 A. Poliziano, Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e inedite, Firenze 1867, p. 80; V. Branca, Poliziano e l’umanesimo della parola, Torino 1983 Prose scelte di Gabriele D’Annunzio, a cura di D. Pastorino, Milano 1937 Prospetto cronologico della storia della Dalmazia con riguardo alle province slave contermini, Zara 1863 G. Pusterla, I nobili di Capodistria e dell’Istria, Capodistria, III edizione 1888 Raccolta cronologico-ragionata di documenti inediti che formano la storia diplomatica della rivoluzione e caduta della Repubblica di Venezia corredata di critiche osservazioni, 2 voll., Firenze 1800 M. A. Ratisbonne, Annales, tomo 3, “Bulletin” n. 25, 1883 “Rivista diocesana del Patriarcato di Venezia ufficiale per gli atti di Curia”, 1° gennaio 1998 R. Sabatini, Venetian Masque, Boston-New York, 1934 M. Sanudo, Diarij, Venezia 1890 G. Scarabello, Gli ultimi giorni della Repubblica, in Storia della cultura veneta. Il Settecento 5/II, Vicenza 1986 F. Semi, Capris, Iustinopolis, Capodistria: la storia, la cultura e l’arte, Trieste 1975 F. Schröder, Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle provincie venete, Venezia 1830 T. Sillani, A. Venturi, E. Pais e p. Molmenti, La Dalmazia monumentale, con 100 tavole fuori testo, 1918 G. Tassini, Curiosità veneziane, Venezia 1915 C. Tentori Spagnuolo, Saggio sulla storia civile, politica, ecclesiastica e sulla corografia e topografia delli Stati della Repubblica di Venezia ad uso 489
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490
491
V PARTE a cura di Silvano Sau
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE
492
Anno 1253 – Il primo documento che testimonia della presenza a Isola di un’organizzazione comunale “In nomine Domini Amen. Anno a nativitatae ejusdem millesimo ducentesimo quinquagesimo tercio, undecima Indictione. Die primo intrante madio in Palacio Comunis Ysule, in generali consilio per preconem comunis congregato. “Presentibus Wecelo Assaldi. Walteramo Simonis et Nicolao Firadi camerario Comunis et aliis. Johannes Boncinius Walteramus de Businus et Walteramus Ursi. Consulles Ynsule. De voluntate et consensu majoris et minoris Consilii, fecerunt et constituerunt. Venerium Paisane et Menardum Nastasie, suos certos Nuncios sindicos auctores et Ptrocuratores, in causa que vertitur inter Dominam Abbatissam Monasterii Sancte Marie de Aquilegia, et comune terre Ysule coram domino Gregorio de Montelongo Sancte Sedis Aquilegiensis ellectus Patriarcha atque Marchionis Ystrie. Quod quidquid dicti Nuncii Sindici Auctores et procuratores super hoc fecerint concordio sive rationem sententiam definitivam quam interlocutoriam audientiam, testes introducendo, replicando, sive apellando in omnia et singula que dicti negotii sive cause opportunum fecerit quam quidquid dicti Nuncii sindici auuctores et procuratores super hoc fecerint predicti consullis de voluntate ed consensu majoris ed minoris consilii promiserunt firmos habentes et non contra venire omnino ullo atichulo contradicent et… “Ego Adelardus Yusule Notarius hiis interfui, et ut predicitur jussu dictorum consulum scripsi et roboravi”. (CDI, N. 289)
493
Immagine di Isola del XII secolo del geografo turco Al Idrisi. Oltre alle mura che circondano l’abitato è già visibile la piccola chiesa di Santa Maria d’Alieto.
494
Podestà veneti d’Isola: 1280 – 1797 1254.
Landone di Montelongo, podestà d’Isola e di
Pirano (nominato dal Patriarca di Aquileia.
1280.
Enrico Orio.
1285.
Marino Gabrieli.
1307.
Alvise Quirino.
1313.
Nicolò Loredano.
1314-17.
Giovanni Trevisano.
1317.
Ubaldino Giustiniano.
1319.
Marino Micheli.
1320.
Marino Bembo.
1321.
Pietro Monolesso.
1324.
Giovanni Contarini.
1326.
Giorgio Contarini.
1333.
Nicolò Barbo.
1338.
Nicolò Michieli.
1341.
Moreto Coppo.
1348.
Giacomo Belegno.
1360.
Giovanni Sanuto.
1370.
Tomaso Micheli.
1372.
Nicolo Badoer – Cancelliere: Pietro Campenni
1373.
Lodovico Giustiniani.
1378.
Maffeo Aymo – Cancelliere:
Dethemarus di Umago.
1383.
Nicolò Malipiero.
1395.
Scipione Contarini – Cancelliere:
Pietro Campenni.
1398.
Pietro Belegno – Cancelliere: Pietro Campenni.
1399.
Vittore Lauredano. 495
1400.
Alessandro Bono.
1402.
Sciavi Magno.
1407.
Vittore Dolfin.
1409.
Alessandro Bono.
1410-11.
Nicolò Minio.
1411.
Matteo Venier.
1417.
Pietro Trevisano. Raffaele Grimani.
Paolo Lombardo.
1419.
Marco Barbaro – Cancelliere Benedetto
de Astolfi di Pola.
Una ricostruzione della piazzetta e dell’antico municipio che, prima di assumere ruolo e sembianze attuali, era servito da palazzo Pretorio con tanto di annessa loggia, dalla quale il podestà si rivolgeva al popolo isolano ed ai piedi della quale si riuniva anche il Consiglio Maggiore del Comune. L’arengo veniva convocato dal podestà al suono delle campane, come in quel 5 novembre del 1360, quando venne approvato lo statuto del libero comune di Isola.
496
1421.
Marco Soranzo.
1422.
Luca Contarini.
1423.
Marco Venier.
1424.
Antonio Contarini.
1427.
Girolamo Lombardo.
1428.
Andrea Loredano.
1430.
Matteo Grosi.
1430.
Marco Barbaro.
1432.
Pietro Marcello
1433.
Andrea Loredano.
1434.
Pietro de Canale.
Dal tempo di Nicolò Malipiero (1383) fino a quello di Pietro de Canale (1434) abbiamo i seguenti podestà la cui data non è precisata: Giacomo de Mosto, Carlino Zani, Giovanni Celso, Nicolo Gisi, Lorenzo Gisi, Bernardo Faliero, Pietro Vitturi, Basilio Malipiero, Alvise Badoer, Antonio Venier, Bartolomeo Lombardo, Marco Badoer. 1435-36.
Leonardo Zantani.
1439.
Andrea Bragadino.
1440.
Nicolò Delfino.
1441.
Alessandro Bono.
1442.
Francesco Morosini.
1443-44.
Ursato Polani.
1444-
Girolamo Donato.
1449.
Alessandro Bono.
1451.
Luigi Tiepolo.
1454.
Andrea de Priuli.
1456.
Mauro Caravello.
1458.
Lorenzo Morosini.
1458.
Daniele Malipiero.
497
498
1459-60.
Francesco Baffo.
1464.
Lorenzo Morosini.
1467.
Bartolomeo Vitturi.
1469.
Girolamo Michieli.
1470.
Lorenzo Morosini.
1471-72.
Bernardo Cicogna.
1473.
Luca Faliero.
1474.
Francesco Memo.
1475-76.
Pietro Leono.
1476.
Lorenzo Pesaro
1478.
Cristoforo Torro.
1479.
Giov. Francesco Memo.
1480.
Benedetto Bono.
1481-82.
Francesco de Canale
Cancelliere: Giovanni di Padova.
1483.
Federico de ca’ Taiapiera.
1485
Giovanni Alvise Bolani.
1486.
Alvise Longo.
1487.
Lorenzo de Canale.
1488.
Ursato Giustiniani.
1489-90.
Francesco Minotto
Cancelliere: Giacomo Falcono.
1490.
Ubaldino Giustiniano.
1492-93.
Luigi Soranzo.
1497.
Luigi Pizzamano.
1504.
Giov. Antonio Lombardo.
1506.
Vincenzo Venier.
1507.
Alessandro Badoer.
1508.
Gaspare Mauro.
1510
Alvise Cicogna.
1511
Zaccaria Zantano.
1514.
Vincenzo Venier.
1516.
Pietro Barbaro.
1518.
Nicolò Venier.
1521
Simone Premarino.
1523.
Alvise Ferro.
1525.
Zane Dolfin.
1528.
Giacomo Monolesso.
1530-32.
Pietro Barbaro.
1532.
Pietro Marcello.
1533.
Tomaso Donato.
1534.
Alvise Pizzamano.
1534.
Alvise Zancorolo.
1536.
Alvise Giorgio.
1538.
Gritti.
1539.
Agostino Bembo.
1541.
Lorenzo Remondo.
1544.
Girolamo Morosini.
1546.
Giorgio Quirino.
1548.
Marino Tagliapietra.
1549.
Francesco Battaglia.
1552.
Nicolò Monolesso.
1553.
Marco Monolesso.
1554.
Tomaso Pasqualigo – Cancelliere: Abrain.
1556.
Melchiore de Canale.
1557.
Giovanni Pisano.
1558.
Pellegrino Pasqualigo.
1559-60.
Bartolomeo Pisano.
1561.
Girolamo Contarini.
1562.
Giacomo de Riva.
499
500
1563.
Francesco Minio.
1564.
Bartolomeo Pisani.
1565.
Girolamo de Canale.
1566.
Federico Malatesta
Cancelliere: Federico Segulino di Brescia.
1569.
Vitto Diedo.
1569
Girolamo Sagredo.
1571-72.
Giacomo de Riva.
1573.
Ettore de Riva.
1574.
Antonio Donato.
1575.
Marco Venier.
1577.
Girolamo Battaglia.
1578.
Marc’Antonio Dolfino,
1580.
Stefano Briani.
1581.
Stefano Bredano.
1581.
Nicolò Trevisano.
1583.
Francesco Capello.
1584.
Alessandro Pasqualigo.
1585.
Antonio Balbi.
1587.
Francesco Balbi.
1588.
Girolamo Briani.
1590.
Federico Malatesta.
1599.
Zuane Balbi.
1613.
Giovanni Longo.
1615.
Giov. Domenico Baseggio.
1619.
Benedetto Boldumerio.
1624.
Alvise Gritti.
1626.
Giovanni Balbi.
1628.
Francesco Zane.
1632.
Marco Pizzamano.
1637.
Giov. Batta Salamon.
1642.
Luca Polani.
1643.
Zanne de Riva.
1644.
Michiele Memo.
1645.
Giorgio Loredano.
1650.
Giuseppe Loredano.
1652.
Giov. Francesco Polani.
1656.
Giacomo Quirini.
1657.
Nicolò Minio.
1661.
Matteo Calergi.
1663.
Gabriele Zorzi.
1667.
Pietro Loredan.
1671.
Pier Antonio Corner.
1676.
Michiele Pizzamano.
1700-1.
Paolo Longo.
1701-2.
Girolamo Zorzi.
1703-4.
Giacomo Barbaro.
1704-5.
Bartolomeo Minio.
1705-6.
Zuane Corner.
1707-8.
Vincenzo Zen.
1708-9.
Marin Zorzi – Cancelliere: Giov. Batta Alfieri.
1709-10.
Andrea Contarini.
1710-11-12.
Gaetano Zorzi.
1712-13.
Francesco Loredano.
I713-I4-I5.
Marc’Antonio Foscarini.
1715-16.
Antonio Roncieri.
1716-17-18.
Girolamo Balbi.
1718-19.
Alvise Priuli.
1719-20.
Gaetano Zorzi.
1720-21.
Antonio Balbi. 501
502
1721-22-23.
Giov. Batta Pizzamano.
1723-24.
Giov. Pietro Barozzi.
1724-25.
Franc. Maria Balbi.
1725-26-27.
Giov. Batta Contarini.
1728.
Vincenzo Zen.
1729.
Domenico Zen, fratello del primo.
1729-30-31.
Marco Loredan.
1732-33.
Zuane Balbi.
1734-35.
Domenico Balbi – Cancelliere: Andrea Filippi.
1736.
Vincenzo Canal – Cancelliere: Antonio Valle.
1736-37.
Franc. Batta Balbi.
1738-39.
Domenico Zen.
1740.
Francesco Barbaro
Cancelliere: Domenico de Lise.
1740-42.
Marc’Antonio Corner detto parruca negra
Cancelliere: Sebastiano Ratissa.
1742-43.
Nicolò Barozzi
Cancelliere: Matteo Tomba da Caorle.
1743-44.
Antonio Maria Balbi (Princeps)
Cancelliere: Giuseppe Pallini dalmatino
morto in Asolo nel 1760.
1744-45-46.
Antonio Balbi – Cancelliere: Antonio Davia.
1746-47.
Ottaviano Balbi, suo fratello – Cancelliere:
Francesco Banali cittadino veneto.
1747-48.
Santo Marin – Cancelliere:
Adriano Marchetti da Pordenone.
1748-49-50.
Antonio Zorzi – Cancelliere: Giovanni Gagnola.
1750-51.
Giacomo Bembo, l’orbo – Cancelliere:
Antonio Piccoli.
1751-52.
Francesco Bembo – Cancelliere: Antonio Curti.
1752-53-54.
Giacomo Corner – Cancelliere:
Giov. Batt. a Cavassi d’Udine.
1754-55.
Antonio Contarini – Cancelliere:
Girolamo Fornari.
1755-56.
Zorzi Barbaro – Cancelliere:
Marquardo Petronio da Pirano.
1756-57-58.
Domenico Balbi – Cancelliere:
Giuseppe Lanci da Pirano, morto nel 1766 a
Barbana d’Istria.
1758-59.
Simeone Barbaro – Cancelliere:
Andrea d’Ambrosi da Buie.
1759-60.
Antonio Balbi (Princeps – Cancelliere:
Giov. Ant. Curti da Burano.
1760-61-62.
Gasparo Zorzi – Cancelliere:
Maria Drachia delle boche di Cattaro
1762-63.
Marc’Antonio Pasqualigo.
1763-64.
Alberto Romieri.
1764-65-66.
Gabriele Zorzi – Cancelliere Zuane Corner.
1766.
Lucio de Riva – Cancellieri:
Giorgio Apollonio e Francesco Biciachi
1767.
Nicolo Pizzamano – Cancelliere: Pier Domenico
Florida da Portogruaro.
1769.
Andrea Semitecolo – Cancelliere:
Giuseppe Angeli Veneziano.
1770.
Vincenzo Corner.
1771-72-73.
Girolamo Salamon – Cancelliere:
Matteo Tomasini da Montona.
1773-74.
Domenico Pisani – Cancelliere: Girolamo Nani.
1774-75.
Marc’Antonio Semitecolo – Cancelliere:
Antonio Medici da Zara fino al 1777.
503
504
1775-76-77.
Benedetto Balbi.
1777-78.
Girolamo Contarini – Cancelliere:
Giov. Batt. a Mompiani.
1778-79.
Pietro Bembo, podestà de’ migliori – Cancelliere:
Z. Domenico Ricaldini morto
nel 1780 in Venezia.
1779.
Antonio Francesco Contarmi, bel – Cancelliere:
Antonio Bravis da Barbana.
1781.
Lorenzo Balbi – Cancelliere:
Ermenegildo Marin Bennoni.
1781.
Zan Andrea Pasqualigo, morto a Cittanova.
1782.
Maria Bernardo Mosto.
1783-85.
Francesco Querini dal 26 dicembre 1783 al 26
aprile 1785 – Cancelliere:
Stefano Valeri di Cittanova.
1785.
Zorzi Rizzardo Querini, fratello del suddetto.
1786.
Girolamo Marini.
1786-89.
Cristoforo Bonlini – Cancelliere:
Antonio Torre da Monfalcone.
1789-90.
Francesco Querini.
1790-91-92.
Rizzardo Balbi.
1792-93.
Francesco Maria Badoer.
1797.
Nicolò Pizzamano.
Lapide del 1450 ancora incastonata nella facciata dell’edificio che testimonia la presenza a Isola già in quell’anno della famiglia degli Ughi che, più tardi si unì con quella dei Besengo. L’edificio, a quanto sembra, era direttamente collegato alle antiche mura difensive che circondavano la cittadina anche dalla parte del mare.
505
Descriptio omnium hominum existentium de Consilio antiquus Terrae Insulae. Anno 1360 Gosta q.m Domenego Almerico fu Niccolo’ de Emilian Almerigo de Carlo Mattio de Chicco Carlo dethamar Mengolin de Zusto Pietro Beroxo Carlin q.m Pietro Can de Carlin q.m Giacomo Mengolin q.m Zuan de alberigo Almerigo q.m Allessandro Hector q.m Ser Allexandro Can q.m Pietro de Carlin Marquardo Beroxo Marco Saraceno (1) Mattio Marano (2) Almerigo q.m Gasparin Batta q.m Gasparin Can q.m Michiel Dethamar Almerigo de Thoma de Berton Toma q.m Caro Antonio Dethamar Balsemin q.m Pietro Adalperio Domenego q.m Pietro so fradello ra Carlo q.m Almerigo de Carlo Dom. co de Ser Caro Cane de Caro so fradello
506
Cane de Mattio de Chicco Giacomo so fradello Fillippo de Tamar Dorligo Albini Mattio q.m ser Albini Dethamar Michiel Andriol de Merico de Carlo Hectore q.m Gasparin Allexandro de Hectore Niccolo’ Folcherio Merissa.
Lapide del 1321 posta sull’edificio che testimonia la presenza della famiglia di Almerigo de Grimaldis a Isola già nel XIV secolo.
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Anno 1360: prologo dello statuto di Isola trascritto in lingua volgare Nel Nome del Nostro Sig.r Giesù Cristo Redentor, et Salvator Nostro Amen. Correndo l’anno della Natività di quello del MCCCLX. Indit. ne XIII. a il giorno de Zobia alli 5 del Mese de Nov.mbre, nel tempo del Regim.to del Nobile, e sapiente Uomo Sig.r Zuanne Sanudo Hon.do Pod.à de Isola esistente i Giudici di esso Comun, et Officiali di esso Sig.r Pod.à Ser Vidal q. Ser Beltrame Vidali, Ser Michiel Varnerio, Ser Almerigo de Carlo Albini, et Ser Mattio del q. Domenego Marani, et il Nod.o di esso Sig.r Pod.à Ser Nicolò. Incomincia il Prologo delli Statuti del Comun d’Isola. Il sommo Dio Creator di tutte le cose, il quale creò di niente la Machina Mondiale, et con la parola creò l’Uomo del limo della Terra ad imagine, et similitudine sua, e lo costituì in mezo del Paradiso semplice, Iusto, et Recto, sottoponendo à esso Uomo tutte le cose, che vivono sotto il globo della Luna, dandoli la Legge, la q.le se avesse osservada inviolada; Mà dà poi, che transgredì li Precetti del suo Creatore, sicome fù inobediente, e discacciato dalla sedia del Paradiso, procurandosi la morte, e tutte le infirmità, le q.li per la proibition del gustato pomo si acquistò infelicem.te, et alla posterità del suo genere la mandò, così bisogna massimam.te, hà bisognato, et bisognarà nei posteri per la legge di natura esser sottoposti al peccato, et al giogo della servitù, et servir alla libertà del Giudicio; Così bisogna com’è lecito, che tutte le cose fossero comuni alli Uom.i, e ciascuno fosse contento delle cose, che li fussero bastante al suo uso. Ma doppo crescendo o la nequità degli Uom.i, volsero essi Mortali possieder il prop.o, volendo ognuno conoscer il suo, presero à crescere, et ad accumulare le ricchezze. Cominciarno nelli cuori arder per la fame dell’oro, et un sfrenato desiderio de tutti li mali, cominciò nascer discordie, contentioni, e risse, per le q.li violentie, et Rapine, homicidj, et altri maleficj si comettono; Cominciarno i Potenti iniustam.te opprimere, e travagliare li deboli; Che non volendo i Populi sustenere q.to gravame, fecero la legge, et constitutioni et consuetudini, le quali conservassero le raggioni di ciascuno, et al bene, e virtuosamente astringessero gli Uom.i, et che per la paura delle pene si astenessero delli Maleficij. La Giust.a ancora come si legge è costante, et perpetua volontà di dar a ciascuno quello ch’è suo. Questa è q.lla Giust.a, sop.a la cui sedia se il Rè insederà, non li succederà alcuna cosa maligna; questa è quella, che stabilisce li Imperij, confirma i Regni, et assalta i Principati, accresce, e multiplica le Città, partorisce la concordia, mette la pace trà le genti, e popoli, e regge quelli in stato pacifico, e quieto. Questo adunq. facendo, ministrando, 508
mantenendo, et vendendo alli Sudditi, et invigilar, e procurar sono tenuti per debito tutti q.lli, alli q.li tanto dà Dio, quanto dalli Uom.i vien commesso il governo de popoli, e Regim. to de Città, overo Terre, per la qual causa Noi Zuane Sanudo de Mandato del Seren.mo Giovanni Gradenigo Per la Iddio gratia Inclito Dose di Venetia et Pod.à d’Isola per debito del n.ro Regim.to desiderando con tutto il posser, et intiera volontà proveder a tutti li honori, et utilità di esso Comune, questo perchè la Pub. ca utilità hà dà esser preferida avanti tutte le cose. Considerando con frequenti meditationi, che li Statuti della Terra d’Isola erano infra se in alcune cose discrepanti, in alcune altri superflui, et in molte altri non poco defettivi, oscuri, et anco confusi, et che le additioni, et corretioni sino hora, per diversi Pod.à sopra di essi Statuti fatte in diversi tempi per il volume d’essi Statuti, restavano incognite, e disperse. À tal che per essi Statuti molte volte nascevano tra li Giudici, contentioni, altercationi, et diverse opinioni; Non volendo, che perciò nasca discordia di dove la ragion diè aver luce. Invocato il Nome de Dio à honor, e gloria sua, e della gloriosiss.ma V. M. a Madre sua, e del Beatiss.mo Marco Evangelista, et del Beato Martire Mauro glorioso governator, e digniss.mo Prottetor della Terra d’Isola, et suo distretto, del pred. to Sig.r Dose, e del Comun de Venetia. Et per il buon, quieto, et pacifico stato della Terra d’Isola, e suo distretto, q.li pred. ti Statuti, così deffettivi, et sue additioni racolte nel p.nte Volume habiamo; la discrepanza de quali habbiamo accordato, resecando le cose superflue, supplendo at diffetti, dilucidando le cose oscure, et confuse, acciò nei medesmi all’avvenire non si trovi cosi alcuna oscura, superflua, ò captiosa, ordinando, statuendo, e strettam.te comandando, che i p.nti Statuti confirmati, e corroborati tanto per il picolo, che per il gran conseglio, e che sia stato laudato dà tutto il Popolo al suono di Campane congregato tanto nei giuditij, q.nto fuori debbano haver loco, e ottengano vigore di fermezza, e gli Uom.i tutti della Terra d’Isola, e distretto, i n.tri Giudici, e Vicarij dall’osservat.ne dei med.mi non si partano, anzi con soma diligenza gli osservino, acciò possano à tutti prestar retta ragione, et Giusticia. Et perchè tutti i Casi non possano esser compresi nei Articoli di rag. ne, essendo che sono in magg.r num.o i negotij di quello sian i Statuti. Vogliamo, che quando succederanno casi impensati non compresi nei presenti Statuti, si habbia à ricorrer à quelli, che sono ai mede.mi più simili, e così di simili à più simili. Mà se non si trovasse caso simile, si corra alla Consuetudine approbata. Et se il negotio della controversia, di che si tratta fosse deciso, et che non si trovasse la Consuetudine all’hora, Noi Pod.à consultatam. te haveremo disponer, come anco i nostri Giudici, et Vicarij in quel modo le parerà giusto, e meglio alla sua prudenza. Dovendo sempre avere Dio avanti gli occhi della nostra Mente qual’è la vita, la salute, et la nostra Redentione, per il quale siamo, vivemo, e si salviamo; acciò nel giorno del giudicio avanti così tremendo Giudice, che ci farà un strettissimo essame, et al quale tutte le cose sono chiare, possiamo delle nostre operationi render raggione.
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Non abbia inimicitie chi sede à dar raggione Nè portino odio q.lli hano leggi, e raggione Non habbino paura d’un volto, nè Delle parole altam.te proferite dà Potenti Nè si lascino mover dalle Lagrime di persona, che si lamenta.
La prima pagina dello Statuto medievale di Isola del 1360, attualmente conservato presso l’Archivio di Stato di Fiume. Una trascrizione dello Statuto in lingua volgare, invece, è conservato presso l’Archivio di Stato di Trieste.
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A. D. 1398/99 – I Codici Danteschi di Pietro Campenni Verso la fine del secolo XIV a Isola, vennero trascritte due copie integrali della “Divina Commedia” di Dante Alighieri, con il commento di Benvenuto da Imola. Il primo codice, composto di 285 fogli di pregiata pergamena, era stato scritto, come risulta dagli explicit dell’autore, nel 1398 e 99 a Isola d’Istria da un notaio e cancelliere al servizio del podestà di quella cittadina, che rispondeva al nome di Pietro Campenni di Tropea, figlio di Giovanni. La successiva trascrizione del commento risultava definitivamente completata nel 1400 a Portobuffolè, borgo medievale della Marca Trevigiana, dove Pietro si era nel frattempo trasferito per motivi di lavoro. Nel comunicato si faceva cenno di come il manoscritto fosse passato già ai primi del Quattrocento in Spagna da dove, dopo cinque secoli di permanenza, nel 1926 un collezionista lo portò in America e finalmente dopo circa un decennio avesse fatto ritorno in Italia per opera disinteressata della Libreria Olschki. Il codice, che attualmente assume l’identificativo It. IX 692 (12134) e misura 370 x 275 mm., si compone, come si è detto, di 285 pagine non numerate in buonissimo stato di conservazione. Gli inizi delle cantiche sono ornati di grandi lettere iniziali ed ogni cantico ne possiede a sua volta delle minori, ornate di ori e fregi molto eleganti. La scrittura, di tarda forma gotica, è calligrafa e perfettamente uniforme con una chiarezza delle lettere che ne agevola al massimo la lettura. Il grande spazio lasciato volutamente tra un verso e l’altro dimostra che il commento fu trascritto in tale spazio in epoca successiva al completamento delle cantiche. Da vari brani del testo, dove il Campenni appunta sia note personali che sulle vicende del manoscritto, si evincono con facilità le varie fasi storiche del codice, sì da poter delinearne l’evoluzione compositiva. L’explicit nell’ultimo foglio ci offre il nome e l’origine dell’autore nonchè le date in cui avvenne la scrittura. Si legge testualmente: Iste liber est scriptus per me Petrum Campenni quondam Johannis de Tropea in terra Insule provincie Istrie anno nativitatis domini millesimo trecentesimo nonagesimo nono indictione septima die XV frebuarii (sic). Hec sunt expleta scriptor portetur ad leta. Amen. E più sotto in rosso: Suprascripte rubrice et parafrache scripte et finite fuerut per me suprascriptum Petrum. Anno nativitatis domini millesimo quadrigentesimo indictione octava XVIII marcij in terra Portus Buffoleti marchie Tarvisane. La trascrizione del testo fu dunque terminata nel 1399 in Isola d’Istria. Le note apposte alla fine della prima e seconda cantica indicano che l’autore terminò di trascriverle nello stesso luogo rispettivamente il 6 luglio ed il 20 settembre 1398. Infatti sono leggibili alla fine della prima:
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1398 ind. 6, 6° Julij Insule e alla fine della seconda 1398, ind. 6, 20 Septebr. Insule pntie Ystrie. Pietro Campenni , terminata la copiatura del poema, si trasferì a Portobuffolè, dove nel corso dell’anno 1400 completò la trascrizione del commento di Benvenuto da Imola e la relativa rifinitura calligrafica ed ornamentale (rubriche dei canti, colorazione dei parafiti, disegni delle iniziali filogranate del commento). L’intero lavoro fu compiuto quindi in tre anni. Due servirono per la trascrizione dei versi, uno per quella del commento. Un tale piano di lavoro in quanto al tempo occorso tiene conto principalmente del fatto che Pietro non esercitava la professione di copista ma attendeva al lavoro di trascrizione ogni qualvolta gli impegni di notaio glielo potevano permettere. Minime sono le notizie relative a Pietro Campenni. Sicuramente si tratta di un uomo culturalmente evoluto che in più di una circostanza da prova di essere uno studioso di Dante, di cui molto probabilmente apprese l’opera attraverso le pubbliche letture di essa durante gli studi di formazione per notai e magistrati che in quel tempo si tenevano ufficialmente nelle aule delle università di Firenze, Pisa, Bologna. In quest’ultima città, poco dopo il 1361, avrà verosimilmente conosciuto di persona Benvenuto che in quel periodo esercitava le funzioni di docente e aveva già finito di elaborare una delle prime edizioni del commento della Commedia. E ciò a distanza molto ravvicinata dalla scomparsa di Dante Alighieri avvenuta a Ravenna nel 1321. Nemmeno qualcosa si sa o si potrebbe supporre dei legami di Pietro con la Calabria e con la sua Tropea dove viveva la famiglia d’origine, una delle più antiche e nobili che vi abbiano dimorato, che Francesco Sergio nella sua ‘Chronologica Collectanea’ 4 chiama “antiquissima”. Di tale famiglia, estinta intorno al 1676, si sa che ai primi del Cinquecento, a seguito di un matrimonio, un ramo di essa venne impiantato nella vicina Nicotera. Parlare della figura di Benvenuto da Imola – il vero nome è de’ Rambaldi – è al contrario molto più facile. Nasce nel 1330 da padre notaio che lo introduce agli studi di grammatica e diritto all’interno della propria scuola privata. E diviene giudice e notaio senza però esercitare perchè esiliato. Nel 1361 ripara a Bologna al seguito del Governatore Gomez Albornoz, dove scrive il Romuleon, compendio di storia romana e si afferma quale maestro di autori classici come Virgilio e Lucano e anche contemporanei come Dante e Petrarca che conosce personalmente. È di questo periodo il suo capolavoro Commentum super Dantem, rielaborato in tre edizioni fino al 1383, che richiama ancora oggi tanta attenzione e ammirazione degli studiosi del sommo poeta toscano. Molte ancora sono le opere che Benvenuto produce come il confronto tra Petrarca e Dante. L’ultima fase della vita viene trascorsa a Ferrara sotto la protezione di Niccolò d’Este, dove 512
completa i commenti su Virgilio, Lucano e Seneca. Qui compone l’Augustalis libellus, rassegna di imperatori da Giulio Cesare a Venceslao. Nella città estense legge pubblicamente Valerio Massimo e si afferma definitivamente quale una delle figure di maggior spicco del primo Umanesimo trecentesco. Muore a Ferrara nel 1387. Ai tempi del ritrovamento del manoscritto conservato presso la Biblioteca Marciana di Venezia, agli studiosi di Dante era già noto un altro codice istriano, sempre con il commento di Benvenuto, custodito nella Bibliothèque Nationale de Paris con l’identificativo it. 77 (già fonds ancien 7002). Esso era stato indicato e descritto dallo storico rovignese Antonio Ive che, in un articolo apparso su un giornale locale di Capodistria, si occupò del codice ‘parigino’ fornendoci, da buon istriano, un accurato e minuzioso esame non solo del testo ma anche della consistenza cartacea del manoscritto. Ive era nato a Rovigno nel 1851 e fu uno dei più apprezzati etnologici del tempo. Famose sono le sue ricerche linguistiche sulla parlata originaria della sua regione, l’istrioto o istro romanzo. Molte sono le pubblicazioni su tale materia. Soggiornò anche in Francia da dove inviò l’articolo sul codice istrian’parigino’ a La Provincia dell’Istria, che lo pubblicò il 16 agosto 1879. Il codice “parigino” è un grosso volume in pergamena, un po’ meno massiccio del “venezian”. Misura 400 x 285 mm e conta 192 fogli. La legatura è in pergamena sovrapposta a del cartone; sul dosso della coperta ci sta il titolo, in scrittura recente: Dante Alighieri Opere col Commento. Nel primo foglio all’interno, anch’esso in pergamena, ci sono delle note che ci fanno conoscere gli antichi possessori del codice: Marcelli Muti et amicorum -- Nunc Joannis Bissaighe canonici Sanctorum Celsi et Iuliani de Urbe. 168010. Da un explicit, che si legge alla fine del commento del Purgatorio, risulta che questa cantica fu scritta ad Isola d’Istria il 10 marzo del 1395 da un Pietro dal casato illeggibile per abrasione della pergamena. Tale Pietro veniva identificato dal cultore di storia patria istriana Luigi Morteani col notaio Petrus de Pilis de Pergamo (Bergamo), cancelliere del podestà Scipione Contarini nell’anno 1396. Studiando gli statuti di Isola, egli aveva rinvenuti alcuni atti aggiunti di quegli anni, ove figuravano le autentiche del de Pilis e di un altro cancelliere denominato Petrus Campeni de Turpia (il Morteani leggeva de Turpini o forse Trapani?). Ed aveva optato per il bergamasco. Tutta colpa dell’abrasione del casato nel codice ‘parigino’. Ma quando fu scoperto l’altro codice istriano, quello ‘veneziano’, non vi fu dubbio alcuno che quel Pietro fosse il Campenni di Tropea, notaio e cancelliere del podestà di Isola d’Istria. Ormai era certo che la mano che trascrisse, durante i momenti liberi dal lavoro, il codice ‘veneziano’ aveva già vergato su pergamena qualche anno prima anche quello ‘parigino’.
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Un solo tipo di scrittura appare in quello ‘parigino’. Infatti i caratteri usati nei versi appaiono uguali a quelli adoperati nel commento. La pagina di solito viene occupata da due colonne: l’una a destra riservata al commento e l’altra ripartita tra testo e commento. Diversamente nel marciano, i versi delle cantiche prendono molto spazio al centro e per tutta la lunghezza della pagina e ai lati si sviluppano le due colonne di commento. E mentre nel commento la scrittura appare identica al ‘parigino’, quella dei versi invece si presenta di tipo assai diverso: elegante e ricercata e di corpo di gran lunga più grande. A tale proposito, Luigi Ferrari13 avanza l’ipotesi che il testo dantesco, nel codice più recente, non sia stato trascritto da Pietro ma affidato ad un copista accuratamente scelto fra i migliori, perchè riuscisse ottimo questo nuovo prodotto di quella che potremo chiamare ‘l’officina’ di Pietro Campenni. A sostegno di tale ipotesi esistono sufficienti indizi. Infatti, quando il testo è difettoso e alcuni versi saltano (in tutto sono 25), l’imperfezione è sempre segnalata a margine con la scrittura dei versi mancanti, rivelando la mano di Pietro che adopera un segno, un monogramma composto di due lettere, la p. e la S., le sue iniziali appunto. Ciò ci dice che il testo dantesco è stato riveduto da Pietro che vuole lasciare un segno del suo intervento correttivo, rivelando che non è stato lui il trascrittore. Ed è qui che Pietro ci appare non più come semplice copista ma come studioso dell’opera dantesca con il disegno ben preciso di diffonderla nel migliore dei modi.
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Bella immagine della prima pagina del Codice dantesco scritto a Isola alla fine del XIV secolo da Pietro Campenni di Tropea, figlio di Giovanni. Il Codice composto da 185 fogli di pregiata pergamena è stato scritto nel 1398 e 1399 a Isola mentre l’autore era notaio e cancelliere del podestà. A testimoniarne l’autenticità l’explicit dell’ultimo foglio, dove è possibile leggere testualmente: “Iste liber est scriptus per me Petrum Campenni quondam Johannis de Tropea in terra Insule provincie Istrie anno nativitatis domini millesimo trecentesimo nonagesimo nono indictione septima die XV frebuarii (sic). Hec sunt expleta scriptor portetur ad leta. Amen!” Il codice è conservato presso la Biblioteca Marciana di Venezia. Un secondo codice con la trascrizione della Divina Commedia dantesca, pure provvista di ampio commento e sempre opera di Pietro Campenni, è custodito nella Bibliotèque Nationale de Paris. Opera altrettanto pregevole e ben conservata, che è stata scoperta nel 1879 dallo studioso istriano Antonio Ive.
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1419 –La scuola pubblica a Isola nasce il 2 Ottobre 1419 MCCCCXVIIII. Indict. septima, die secondo mensis octobris Insule sub logia comunis. In pieno et generali consilio hominum terre Insule congregato ad sonum campane et voce preconis ut moris est, de mandato et licentia spectabilis et egregii viri domini Marci Barbaro pro serenissimo Venetiarum ducali dominio honorabilis potestatis Insule: in quo quidem consilio fuit ipse dominus potestas antedictus cum consiliariis XXIIII. or qui totum consiliuin represententur. Captimi et affirmatum fuit per consiliariis XX. ti et quatuor in contrarium quod s. Benedictus de Astulfi; de pola ad presens cancelarius suprascripti domini potestatis finito officio sue presentis cancelarie sit conductus et ex nunc salariatus in rectorem et magistrum scolarum pro tribus annis proximis futuris et Incepturis illico complete sue presentis cancelarie. Et habere debet pro salario suo a comuni Insule ducatos sesaginta auri in anno et ratione ant[…]. et teneatur docere omnes et singulas personas ad scolas suas pergentos in gramatica hac tamen adicta conditione quod scolares nil eidem magistro benedicto solvere teneatur nec debeant, ymo quilibet scolaris qui positus fuerit in primo secundo vel tertio latino solvere teneatur comuni Insule ducatos duos in anno, et ratione ant[…]. reliqui vero non latinantes ducatum unum in auro et ratione ant[…]. ut dictum est. Ego Gasparinus q. sp. hectoris Almerici cancelarius comunis Insule de mandato suprascripti domini potestatis.
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Il leone di San Marco (da “Il leone di San Marco” di Alberto Rizzi) Palazzo Comunale, entro il timpano della facciata: leone marciano andante (I metà del XV se.). Pietra d’Istria, cm 100x170 c. Leone nimbato andante (tipo stante) verso sinistra reggente libro aperto lievemente inclinato (scritta consueta in caratteri gotici: è caratterizzata per allineamento su entrambe le pagine) e avente accigliato muso da leonessa un po’ scorciato, con naso camuso e lingua estroflessa, ali parallele e divergenti, coda distesa arcuata, testicoli visibili (?); poggia su acqua e terreno (appena accennati). Per il corpo pressoché glabro e specialmente pel modo in cui cade la coda, l’animale assomiglia un po’ ad un babbuino. Altorilievo in comparto rettangolare dentellato. Prov.: probabilmente dalla facciata dell’antico Palazzo Pretorio.
Il leone di San Marco situato nel timpano della facciata del Palazzo Comunale, risalente alla prima metà del XV secolo, ma che in precedenza ornava probabilmente la facciata dell’antico Palazzo Pretorio.
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1547 – Duomo di Isola Oltre le chiese principali di S. Maria e di S. Mauro parecchie altre furono costruite e nel luogo e nel territorio: dal che si comprende che gli abitanti non risparmiarono né fatica né spesa. E difatti eressero monasteri, romitaggi, confraternite e fondarono ancora un’ospitale pel ricovero dei pellegrini e degli infermi. Ora diremo qualche cosa delle altre chiese e di tutte le istituzioni pie, rilevando particolarmente tutto ciò che serve a darci un’ idea della coltura della popolazione. Prima fra tutte e la Collegiata di S. Mauro, provvista d’un buonissimo organo, di molti ornamenti d’oro e d’argento e di altari adornati di belle pitture. Venne rifabbricata nel 1547, a spese del comune e delle scuole, e fu consacrata nel 1553. Dividesi in tre navate: quella di mezzo, sostenuta da più archi sopra 14 colonne, termina colla cappella dell’altar maggiore, alla quale si accede per una scala rotonda, posta nel mezzo della nave fra due balaustri di pietra. Dietro l’altare e il coro costruito per cura di Tomaso Ettoreo, uno de’ più illustri cittadini. Sopra il coro c’ è la palla di S. Mauro che ricorda la vittoria di cui abbiamo parlato. Nel 1576 fu costruito l’organo col denaro della cameraria, delle scuole e del comune colla spesa di 3000 lire; e nel 1585 la cameraria spese del suo per l’erezione della cima del campanile, rifabbricato nel 1655 e ristaurato nel 1705 sotto la direzione del maestro Marchetti, il quale lo riparò dai danni cagionati dal fulmine. Lo stesso maestro vi pose nel 1722 la croce. Nel 1647 un giovane tedesco aggiustò 1’ organo ; ed in questa occasione rileviamo che l’organista percepiva 212 lire di salario; 84 dal comune, 36 dalla cameraria e 92 da sei confraterne. Per la fede de’ cittadini e pel denaro della chiesa, questa si arricchì di molti ornamenti, fra cui nomineremo il Tabernacolo, donato nel 1641 dal cancelliere del podestà di Verona, Cristoforo Ettoreo d’Isola; il cesandelo del valore di lire 691 e soldi 2, regalato da G. Battista Marini all’altare di S. Mauro; la palla della B. V. della Cintura, dipinta dal pittore Francesco Minotto (1670); due palle, 1’una del Redentore e l’altra della B. V. de’ Battudi, dipinte da Palma il vecchio per la somma di lire 1860 (1582); la nuova palla di S. Mauro del Seccante da Udine, dipinta per lire 1240 (1580); il penello di S. Mauro, dipinto da un celebre pittore di Capodistria per lire 170 (1761); la palla di S. Giuseppe, dipinta da Girolamo di Santa Croce (1537); quella di S. Donato, dipinta dal romano Carlo Paparocci (1678); la pittura di S. Rocco, dipinta da Giorgio Venturini da Zara; la palla di S. Giuseppe, dipinta da Giorgio Ventura da Capodistria. Sopra tutti questi dipinti merita speciale menzione la palla di S. Sebastiano, un capolavoro d’Irene di Spilimbergo, allieva del Tiziano. Aggiungendo ancora la palla di S. Donato fuori delle mura, lavoro di un certo pittore Carlo (1661) per 518
L’immagine di San Mauro, protettore di Isola, è conservata sull’altare del Duomo a lui dedicato. Opera di autore ignoto che risale al XVI secolo.
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commissione della confraterna del suddetto santo, e quella di S. Donato in morte, dipinta da Giorgio Ventura (1602), ci persuaderemo che Isola seguiva 1’ esempio delle altre città istriane nell’ ornare le proprie chiese con dipinti d’illustri pittori italiani. Fra le chiese minori ebbero importanza quelle di S. Pietro, di S. Simone, di S. Donato, della B. V. di Loreto, di S. Caterina, di S. Francesco e di Strugnano. Già nel 1152 abbiamo notizia di un ospizio benedettino donato da Vernardo, vescovodi Trieste, a’ Benedettini di S. Giorgio maggiore di Venezia. Molto più importante fu il monastero de’ Serviti di S. Caterina, che credesi essere stato dapprima di monache e poi di Benedettini. Passò quindi all’ordine di Malta che lo conferì in commenda al cavaliere Domenico Pavanello, patrizio padovano, il quale lo cedette nel 7 ottobre 1473 all’ordine de’ Serviti coll’ assenso del pontefice, dotandolo di alcune vigne, oliveti e frutteti nel Viario. Fra la chiesa di S. Pietro e quella di S. Caterina esisteva la chiesa di S. Francesco col convento de’ minori conventuali, eretto nel 1582 per opera di Fra Fermo Olmo, primo inquisitore stabile dell’ Istria colla sede in Isola, sul terreno donato a tale scopo dalla famiglia Manzioli, alla quale era stato riservato il ius palronatus del suddetto convento. V’erano ancora le cappelle di S. Marina, dirimpetto alla madonna della Neve, di S. Andrea, vicino all’arcata della porta per cui s’entrava in Isola, di S. Rocco, fuori della porta, di S. Giacomo, sul dorso del monte omonimo, di S. Fosca, non lungi della strada che conduce da Isola a S. Giacomo, di S. Lorenzo, non lungi della fontana e di S. Elisabetta nella Valderniga. Dalle suddette chiese e cappelle prendevano il nome le numerose confraternite che risalivano certamente all’antica divisione delle arti, le quali si posero sotto 1’ egida della chiesa. La loro importanza è riconosciuta dal fatto che servivano ad avvincolare i cittadini fra loro, ad istruirli nella pietà religiosa e a soccorrerli. Meritano speciale menzione: la confraternita della Carità, fondata nel 1580 da Agostino Valiero, visitatore apostolico per l’Istria e Dalmazia, con a capo un priore, un cassiere e sei presidenti, i quali avevano l’obbligo di visitare gl’infermi, somministrando loro sussidi e conforti spirituali; quella del Sacramento, i cui fratelli andavano vestiti di cappa rossa, e questa scuola accrebbe nel 1550 la sua importanza, perchè ottenne l’amministrazione dell’ospitale, salvandolo dalla rovina, ad esempio di Capodistria che ne diede il maneggio alla confraterna di S. Antonio ancora nel 1454; quella della B. V. de’ Battudi coll’abito bianco, e l’altra di G. Battista coll’abito nero. A capo delle singole scuole stava il gastaldo, il quale era obbligato 520
a tenere conto specificato di tutte le giornate prestate dai confratelli per vedere infine quelli che avessero mancato al loro dovere. I gastaldi, finita la loro carica, presentavano il resoconto alla presenza del podestà e d’uno de’ sindici coll’ intervento di quelli della Banca (presidenza), ed ottenutane 1’ approvazione sottoscrivevano il saldo suddetto.
Il Duomo di Isola dedicato ai compatroni San Mauro e San Donato venne consacrato il 10 agosto 1553, mentre la sua costruzione ebbe inizio nel 1547. Il campanile, staccato dall’edificio della chiesa, venne eretto nel 1585.
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La vita a Isola nel XV secolo “Attendono gli habitanti di detto luoco, eccetto alcuni pochi, tutto il tempo dell’anno all’agricoltura, et arte de lavori della terra nelle loro vigne campi et oliveti inserti, piantati, e lavorati con molta industria e diligente fatica. E sono gli huomini, e donne di buona, e bella statura, e dalla benigna natura sotto così salutifero clima ben fatti e proporzionati, valorosi di forze di corpo, d’anemo riposati, e quieti, assuefatti a sostenere delle fatiche per sostentar le loro famiglie, facili a perdonar 1’ingiurie, e pieni di religione verso il Signore Iddio, fedelissimi al suo serenissimo Principe e Dominio Veneto, il quale per il passato si valse della loro fedeltà in reprimer le discordie, e tentate rebellioni de alcuni de’ vicini, e non troppo tempo nella prossima passata guerra contra Turchi, dove intrepidamente hanno mostrato il loro valore. Sono le donne di honestissima presenza et in fatti, et in parole, e se bene da certa semplice introduzione antica, attendono a far l’amore con loro innamorati, che con altro vernacolo parlare, si dice doniare, nondimeno il tutto passa con semplicità, nè mai vengono ad effetto alcuno, nè di disonestà, ne d’altro, se non quando si congiongono in matrimonio; et è tanto angusto il luogo, e tanta la prossimità del sangue, che rare volte avviene che possi effettuarsi matrimonio alcuno senza dispensa della Sede S. A. R. L’usanza poi delle spose chiamate novizze, innanzi che siano tradotte a casa del marito, s’ appresentano alla chiesa davanti il Parrochiano, dove vengono proferite le parole del sposalitio, e posto l’anello in dito, il sposo in segno d’amorevolezza dà un baccio alla sposa modestamente in presenza del popolo, e poi un schiaffo in segno dell’osservanza che deve tenere verso il marito, e segue tuttavia il costume antico da pigliarsi dalla sposa l’offerta de anelli, danari, o altro che dalli suoi parenti gli vengono dati in dono, o segno d’amore; si contraggono li matrimoni per legge, et osservanza antiqua del luoco, e del paese d’Istria con un ordine chiamato dai paesani nel loro parlare, a Fra, e Suor con uguale partecipatione de beni, cioè se l’uomo mandato ha qualche quantità di beni, e la donna all’incontro non ne avesse d’alcuna sorte, immediate, seguito il matrimonio, la moglie acquista, et è patrona della metà de’ beni del marito, e così l’homo delli beni, che provengono dalla parte della donna; ha poi privilegio la donna morto il marito, essendo aggravato de debiti, di refudare i beni del marito, e tenersi al suo proprio capitale, che portò in dote, se ben tal ordine nelle terre vicine vien eseguito in altra maniera, che la moglie fa solamente eletione da parte della quantità dei beni, cioè della metà, e l’altra resta a beneficio dell’heredi del marito, e suoi creditori. Sono le donne di eruditissimo governo, e governano le case loro più con il poco, che fanno l’altre in altri luochi e paesi con il molto”.
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“Continua il modo d’accompagnare i morti alla sepoltura, così dalle donne come dalli huomini con pianti e singulti, uso certo dall’ antichi pervenuto in questa etade ancorché da molti cominci per una certa civiltà essere interlassato, massime dalla parte delle donne”.
Isola in una stampa del 1772 conservata presso l’Archivio di Stato di Milano
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Pietro Stancovich: “Biografia degli uomini distinti dell’Istria” COPPO Pietro da Isola, come tutti gli autori lo indicano, il Manzioli, Fra Ireneo, il Carli, Apostolo Zeno, ed il cav. Morelli, ma probabilmente da Venezia, per quanto sembra dal di lui contratto nuziale, e dal di lui testamento, de’ quali più a basso parleremo, e che originali esistono nell’archivio d’Isola, de’ quali ne feci trarre la copia. Nacque pertanto il Coppo intorno l’anno 1470, e di circa 29 anni sposò in Isola Colotta Ugo, da cui ebbe cinque figli Antonio, Francesco, Vincenzo, Giovanni, e Marco, al figlio del quale Nicolò legò i suoi libri, vedendolo inclinato alle lettere. Fece molti viaggj, e compose più opere di geografia, per le quali acquistò un nome distinto nella letteraria repubblica. Nell’anno 1550, di oltre gli ottanta di sua vita, fece testamento dal quale più notizie ritrarremo. Apostolo Zeno scrivendo a suo fratello p. Pier Cattarino nel 1725, lettera n. 667 T. IV dice: “Essi opuscoli sono cagione di aggiungere un nuovo poeta a’ miei scrittori veneziani in quel Fantin Coppo, della qual famiglia, non so di aver osservato altro scrittore; poiché Pietro Coppo autore di una picciola, ma esatta descrizione dell’Istria, già stampata, e di qualche altra cosa da me veduta scritta a mano, non era patrizio veneziano, come lo fa Pier Angelo Zeno nel libretto delle sue Memorie ecc., ma da Isola, presso Capodistria”. Il cav. ab. Morelli regio bibliotecario di S. Marco di Venezia nella nota 15 p. 63, Lettera rarissima di Cristoforo Colombo, Bassano 1810, dà conto del nostro Coppo, e delle di lui opere, né meglio conviene, che portare letteralmente le di lui espressioni. “Delle isole e terre scoperte dal Colombo li nomi non sono sempre li medesimi nelle carte nautiche vecchie, e ne’ portolani disusati. Pietro Coppo da Isola , terra dell’Istria, in un suo Portolano stampato in Venezia nel 1528 per Agostino di Bindoni in 24.o questa indicazione, non però abbastanza esatta, ne mette ... È sconosciuto questo Portolano, di cui gli esemplari, sì per la piccolezza del libro, come per 1’ uso fattone, devono essere mancati; giacché sarà esso a suo tempo stato pregiato, anche per avervi sette carte geografiche intagliate in legno, una delle quali il planisferio col mondo tutto allora noto contiene. Altra operetta il Coppo fece Del sito dell’ Istria, stampata in Venezia per Francesco Bindoni e Maffeo Pasini nel 1540 in 4to, nella quale ha descritto quella provincia, ed anche la rappresentò con una tavola in legno parimente intagliata. In lettera premessa a Gioseffo Faustino istriano suo condiscepolo presso il Sabellico dice, ch’ era sessagenario, e che aveva altre volte scritto e designato le provincie e lochi de tutta la terra a cerco in latino. E in vero ho io veduta in un bel codice a penna presso privata persona, ma alla sfuggita, questa di
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lui opera alquanto diffusa, intitolata De toto orbe libri quatuor; nella prefazione della quale dice che in età di cinquanta anni l’aveva scritta, dopo avere viaggiato per tutta Italia, navigato quasi tutto il mare Mediterraneo, e letti recenti e accreditati itinerarii: e specialmente quanto all’Italia v’inserì egli esatte e non comuni notizie, apprese anco nella dimora che fatta aveva in Venezia, in Roma, dove trovossi a conversare con Pomponio Leto, e nel regno di Napoli, in cui per diciotto mesi s’era trattenuto: alla fine poi con molte tavole geografiche generali e particolari, diligentemente lavorate, pregio all’opera accrebbe, e più chiaramente il sapere suo ha dimostrato. L’oscurità in cui rimase questo geografo italiano, benché egli pure andato non sia esente da più errori, come non lo andarono tanti altri rinomati, fece che il nome suo io volentieri in luce qui ritornassi”. Il contratto nuziale è scritto come segue: In Christi nomine amen. Anno domini millesimo quadrigentesimo nonagesimo nono, indictione secunda die vero trigesimo mensis maj. Actum Insulse in domo habitationis infrascripti J. Cadi de Ugo coram etc.[…] Ibique cum sit quod contractum fuerit veruni et legitimum matrimonium per verba de presenti secundum scripta S. Romanae Ecclesiae inter prudentes virum dominum Petrum Coppum de Venetiis praesentem ex una, et ex altera dominam Colottam filiam egregj viri J. Cadi de Ugo de Insula fac et contrahentibus matrimonium secundum statutam consuetudinem provincia Istriae, et praesertim terrae Insulae, quae consuetudo appellatur fratris et sororis etc. In questo documento osserviamo che Pietro Coppo è indicato da Venezia de Venetiis, come la sposa Colotta è dichiarata da Isola, né ci sembra, dubbio ch’egli sia stato veneziano. II testamento è come segue: In Christi nomine amen. Anno nativitatis ejusdem millesimo quingentesimo quinquagesimo, indictione octava die vero sèptimo mensis julii. Actum Insulae ad cancellum domus habitationis mei testatoris infrascripti. Ibique cum sit “ch’ avendo io Pietro Coppo, et Colotta mia consorte dotati li nostri cinque figlioli ... excepto Marco ultimo dotato sempre stato in casa ... et essendo nui pervenuti all’ età de anni ottanta, e più, ch’è la sesta età del viver nostro, la predetta mia consorte nelli mesi precedenti fece el suo testamento della mittà sua delli predetti beni a mi restati, di che anchor mi Pietro predito attrovandomi in bona convalescentia sano della mente senso et inteletto, et nella età preditta cognoscendo niuna cosa esser più certta che la morte, né più incerta che l’hora di essa, qual vegnando no la temo, et mancho la desidero, no vojando mancar da questa vita senza disponer et ordinar della mia mità de questo pocho de’ beni restati, che sono si pochi, che quasi è vergogna a farne mentione ... Item vojo che la fraternita di S. Michiel habbia a levar el mio corpo, et sepellirlo nella sua sepoltura ... Item non vojo che alcuno de’ miei fioli habiano a portar quei 525
certi mantelli (Questo costume di coprirsi con un nero mantello nell’accompagnamento funebre, come ora è inusitato nell’Istria, così è praticato giornalmente a Vienna, ove nel 1819 trovandomi in quella metropoli viddi nel funerale di un borgomastro nella parrocchia di S. Leopoldo in Leopoldstat, gl’uomini coperti di nero mantello, ed era il mese di luglio) da corotto che soleno portar alchuni, ma solver habiano a scorzerme con li loro habiti soliti senza pompa alchuna, né habbiano andar alla chiesa li otto zorni secondo che se usa andar qui; né fatto annual, nè vojo che morendo mi avanti Colotta mia consone l’abbia a scorzermi alla sepoltura, perchè morendo essa avanti non la vojo scorzer, come se observa a Venetia ... Item lasso al monastier de S. Maria de Grazie, ch’ è tra Poveja, e Malamocho el mio primo libro, cioè la mia prima opera che feci de Cosmografia, et Geografia in foglio real, che non è colorita ma scritta, et figurata, et ordinata de mia man, da esser posta nella libraria de ditto monastier, dove 1’excellente messier Mancantonio Sabellico conditor della veneta Historia, per la qual l’hebbe ducati 200 all’anno de promission lettor pubblico de studio de humanità in Venetia, del qual fui suo carissimo auditor anni tre continui, lassò le sue opere composte de sua man, qual mia opera habbia a star nella ditta libraria appresso le sue a mia memoria ... Item lasso per rason de legato et benediction, et contento a Niccolò mio nevodo fiol de Marco mio fio, tutti li miei libri, per chel vedo più per impeto, et naturalmente inclinato alle lettere, che alcun altro, […] In reliquis autem meis bonis […] presentibus et futuris lasso Marco mio fiol universal herede, commissarj veramente ad exeguir i legati soprascripti el magnifico messer Marchio fiol del clarissimo messer Francesco Coppo, et Marco mio fiol preditto […]”. Impariamo da questo testamento il singolare rito funebre che a quel tempo accostumavasi nell’Istria al qual uso rinunzia il Coppo, e vuole che sia osservato il semplice costume di Venezia, cosa che sembra confermare che fosse veneziano; al che ancora si aggiunga aver studiato a Venezia tre anni l’umanità alla scuola del Sabellico, ed aver prescielto il monastero delle Grazie di Povegia per il deposito della sua Cosmografìa scritta di sua mano, da conservarsi in quella libraria, accanto delle opere del Sabellico, pure scritte di mano dell’autore. Chi sia, e da dove quel commissario testamentario, che chiama magnifico mesier Marchio fiol del clarissimo mesier Francesco Coppo noi lo ignoriamo. Il magnifico e clarissimo, a quel tempo, era titolo de’ patrizj veneti, e possiam credere che tale appunto egli fosse, mentre sappiamo che vi era in Venezia la famiglia Coppo patrizia veneta, e da tutte le cronache abbiamo che questa famiglia trasse sua origine dall’Istria. Sembra dal contratto nuziale, che Pietro Coppo avesse dei beni ad Isola, potrebbe darsi, ch’egli nascesse a Venezia per qualche accidente, come appunto, Girolamo Muzio nacque a Padova, e ch’egli amasse di chia-
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marsi da Venezia, ove fu peranco educato, né cosa nuova era a quel tempo di adottare una illustre città per patria , mutarsi il nome a capriccio con qualche nome fastoso; e da questa debolezza potrebbe forse giudicarsi non esente il nostro Coppo, benché da’ suoi scritti ci si appalesa di un modesto e semplice carattere.
Tra i personaggi più importanti che diedero lustro alla cittadina di Isola, il cartografo Pietro Coppo (1470 – 1556), autore della prima carta geografica dell’Istria.
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TAMÀR fra Bonaventura da Isola, minor osservante riformato, ci viene indicato dal Naldini (p. 340) per mirabile integrità della vita, ed autore dell’ opera intitolata: Acqua della vita spirituale. Il Waddingo dice di esso: Bonaventura Thamar de Istria edidit artem theoricam bene inserviendi Deo. Il padre Pierantonio da Venezia nella cronaca della provincia riformata di sant’Antonio di Venezia, colà stampata nel 1688, al capitolo degli Scrittori di detta provincia chiama il nostro Bonaventura, senza indicarne il cognome, ed errando nella patria, da Capodistria, e lo caratterizza di gran bontà di vita, e santità di costumi, e come autore delle opere seguenti: 1. Arte teorica per ben servire a Dio, stampata in Trevigi 1625. 2. Acqua di vita spirituale da pigliarsi in ogni tempo per beneficio dell’anima; stampata in Venezia, ed in Padova 1641. MANZIOLI Niccolò dottore di legge da Capodistria, nel 1611 pubblicò in Venezia per Giorgio Bizzardo in 12.o una Descrizione dell’Istria, facendo la corografia della medesima, dando conto di un buon numero d’uomini illustri che si distinsero in armi, scienze, ed impieghi, nonché le vite di varj Santi all’Istria attinenti, libretto ora rarissimo, e che gioverebbe riprodursi colle stampe, e che fu dedicato al N. H. Niccolò Donato. Pubblicò pure nel 1620 una collezione di Rime e Prose per l’esaltazione al principato di Venezia del suddetto Niccolò Donato, seguita nel 1618, alla quale precede la dedica dello stesso Manzioli, e dalla qual raccolta tratto abbiamo notizie di varj letterati istriani. EGIDIO Francesco – secondo Attilio Degrassi, il Manzuoli ed il Coronelli lo vantano come il migliore dei figli d’Isola, per la sua profonda conoscenza delle lettere greche e latine, un grande umanista, ma non sanno dirci niente della sua vita e delle sue opere. Il sacerdote isolano don Giovanni Thamar, posteriore a lui, dopo aver lodato la sua erudiyione ndi dotto aggiunge che visse molti anni a Roma e in Francia alla corte di principi e che fu molto favorito dal cardinale Pisani Francesco che per poco non divenne papa”.Ciò è quanto si sapeva dell’Egidio fino a quando non ebbi l’occasione di consultare un codice antico nel municipio d’Isola e uno nella biblioteca civica di Capodistria contenenti registri della vicedominaria di Isola e della parrocchia. In questi documenti trovai ricordato più volte il nome di Francesco Egidio, del padre suo e dei fratelli”. Queste notizie – scriveva sempre il Degrassi – che ho attinte servono a fare un po’ di luce nelle tenebre che avvolgono questo illustre isolano. Suo padre Giacomo, valente avvocato era venuto a Isola da Sacile alla fin del secolo XV o al
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principio del XVI. Qui a Isola sposò la figlia di uno dei Carlini di nome Pasqua e fu notaio. Nel 1506 il 1 febbraio, considerate le sue doti fu aggregato al consiglio e dichiarato cittadino e consigliere unitamente a Pietro Coppo. Nel 1541 fu giudice col podestà Lorenzo Rimondo, occupò alte cariche e morì a Isola verso il 1560. Essendo estesi i diritti del padre anche ai figli e discendenti, anche Francesco e i fratelli Bortolo e Giambattista, vennero a far parte del Consiglio. C’era anche una sorella di nome Faustina. Francesco lo troviamo fra i consiglieri già nel 1518, ciò che ci fa capire almeno approssimativamente la data della sua nascita dal momento che bisognava avere almeno 15 anni per averne diritto, ciò che invece non avvenne per gli altri due fratelli allora molto più giovani di lui, non figurando i loro nomi quando se superiori ai 15 anni ne avrebbero avuto tutto il diritto. Francesco certamente fece le scuole fuori di Isola; sappiamo che nel 1533 era a Venezia a difendere i diritti dei cittadini di Isola non riconosciuti da Venezia. Di lui i documenti di Isola non parlano fino al 1550; in questo periodo deve esser stato a Roma e in Francia. Il Thamar ne esalta le doti di umanista, ma non fa riferimento a nessuna sua opera, questo silenzio è spiegabile quando pensiamo che anche del Coppo allora si conosceva poco. Nel 1550 fa ritorno a Isola alquanto deluso e sfiduciato, qui ha la sua famiglia ma egli rimane scapolo avendo a suo servizio un servo, un certo Francesco Malvezzi da Bologna, che più tardi diventerà suo nipote sposando una figlia di uno dei suoi fratelli. Da questo periodo lo troviamo al servizio del comune dove esplica felicemente tutte quelle mansioni che gli vengono affidate quale patrocinatore degli interessi di Isola. Nel settembre 1533 ottiene che sia approvata dal consiglio del doge una deliberazione del consiglio isolano in riguardo i danni che certi animali allo stato libero possono fare ai campi, obbligando i loro padroni a rispondere di essi. Nel 1555 come ambasciatore a Venezia ottiene che il provveditore di Marano tolga la confisca di un carico di vino isolano. Nel 1556 fa al consiglio di Isola delle proposte circa il miglioramento dell’approvvigionamento del grano. Nel 1559 propone che siano privati dell’eredità i figli che si maritano i1 consenso dei genitori, tutelando così la moralità rilassata e nello stesso tempo reprimendo abusi. L’ultima volta che l’Egidio figura a Isola è il 30 aprile 1570, quando vende un suo oliveto ad un certo Giovanni Pugliese. Dopo quest’anno il suo nome così spesso riportato nei documenti non lo si trova più. Si potrebbe pensare alla sua morte avvenuta in questo tempo, ma da un manoscritto capodistriano veniamo a sapere che in questo periodo si trova a Capodistria anche per una sua dichiarazione in merito a dei possedimenti in quel territorio, del suo nipote Francesco suo ex servo. A Capodistria data la sua età non deve essersi tratttenuto a lungo e come dice il Thamar bisogna credere che nel 1581 sia già morto. Il nipote e i due fratelli Bortolo e Giambattista, giudici, continuarono ad abitare a Isola. Questa famiglia 529
continuò ancora per alcuni decenni dopo la morte di Francesco, poi il nome scompare completamente dai documenti isolani. Le pestilenze che travagliarono la nostra cittadina valsero ad affrettare la fine anche degli Egidio.
Il palazzo dell’antico municipio di Isola, sorto nel XVI secolo dove prima esisteva il Palazzo Pretorio con annessa loggia. È probabile che in questo spiazzo, dove ancora alla fine del XIX secolo era presente il pennone comunale, fosse stata innalzata la forca sulla quale, secondo la sentenza del tribunale, avrebbero dovuto venir impiccati i responsabili dell’assassinio del podestà non appena fossero stati catturati.
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1794. – ANTONIO Pesaro – fondatore del ginnasio Antonio Pesaro nacque nel 1750, fece i suoi studi nel seminario di Capodistria, e nel 1774 passò a Venezia a compiere la sua educazione nel collegio di S. Maria degli Angeli in Murano. In questa città si cattivò la benevolenza di tutti e specialmente delle famiglie patrizie Pesaro, Manin e Trevisan, e strinse amicizia coll’ abbate Andrea Rubbi e col padre Martinengo, illustri letterati della repubblica. Da Venezia passò a Firenze ove s’intrattenne alcuni anni. Ritornato in patria, venne nel 1787 assunto a Pinguente come precettore di letteratura, e fu chiamato più tardi in Isola, quando vennero fondate nuove scuole publiche, che lo ebbero sempre a rettore e professore di filosofia e matematica sino all’anno 1812 in cui mancò ai vivi. Il biografo del Pesaro è in errore coll’asserire che Isola non avesse mai veduto fra le sue mura una scuola ordinata fino a questo tempo; devesi dire soltanto che il Pesaro ordinò meglio la scuola esistente, dividendola nell’istruzione elementare, ginnasiale e filosofica in base ad un piano mandato dai riformatori dello studio di Padova; e siccome il comune mancava di mezzi per sostenerla, s’adoperò affinchè la Repubblica desse al comune in dono i beni spettanti al soppresso cenobio de’ Serviti (1794) colla rendita dei quali doveva mantenersi la suddetta scuola. Ma il governo, in luogo degli accennati beni, accordò 300 ducati all’anno dal fondo delle opere pie per l’emolumento dei tre maestri, e l’ospizio dei Serviti per la costruzione delle scuole con entro l’abitazione dei docenti. Secondo il NALDINI la scuola pubblica si teneva prima di questo tempo nel recinto dell’ospitale”.Nel recinto di questa fabbrica tiene il suo posto la scuola pubblica della Gioventù Isolana, che sotto la sollecita vigilanza d’un Precettore, per lo più sacerdote secolare, dalla Comunità stipendiato, s’ammaestra nelle scienze humane, e Divine; poiché i più minuti accoppiando à i rudimenti grammaticali i Sacri dogmi del Vangelo, assistiti dal proprio Precettore, ne danno saggio di questi con le pubbliche dispute, tutte le Domeniche fra l’anno nella Chiesa Maggiore”. FRANCISCO AEQUITI, AC D. MARCI PROCURATORI IOHANNI SENATORI AMPLISSIMO PETRO LEGATO AD SUMMUM PONTIFICEM PISAURI S. FRATRIBUS VOTIS OMNIBUS ALIETI PATRONIS NUNCUPATIS QUOQUE AUSPICIIS / SENATUS MUNIFICENTIA SACRIS IAM D. MAURI AEDIBUS RESTITUTIS ET MEDICO AEGROTIS PROVISO HUNC LOCUM OLIM SERVORUM D. M. COENOBIUM
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NUNC MORIBUS – AC – STUDIIS LIBERORUM CONCESSIT FRANCISCO BADUARIO PRAETORE MATTHEO LESSIO, NICOLAO DRIOLIO p. I. VIRIS CIVES G. D. M. P. P. ANNO MDCCIVC, IX KAL: IUL: L’iscrizione scolpita nel marmo, alquanto danneggiata, è posta sul fianco della casa situata sul lato destro dell’edificio che ospitava la Scuola “Dante Alighieri” in via s. Grogorčič (già via Santa Caterina), nel sito dove in tempi più lontani si trovava l’ex Convento dei Servi di Maria. La lapide ricorda l’emanazione del decreto del Maggior Consiglio di Venezia in data 7 Giugno 1794, con il quale venivano ripristinate ad Isola le scuole pubbliche. Il governo della Serenissima s’impegnava a finanziare tre insegnanti e concedeva alla scuola gli ambienti dell’ex Convento dei Servi di Maria da adibire ad aule scolastiche. Fu adunque un vero istituto scolastico, provvisto d’ una biblioteca e del numero necessario di docenti, in cui i giovani isolani potevano assolvere tutta la scuola media, compresa la filosofia, e passare quindi al seminario di Capodistria, se si dedicavano al sacerdozio, od all’ università di Padova, se bramavano di battere altra carriera. A rettore e professore di filosofia fu nominato il suddetto don Antonio Pesaro; a maestro di rettorica don Antonio Vascotto ed a maestro di grammatica don Nicolo Zaro […]. Continuando a parlare del Pesaro, diremo ancora ch’egli s’adoperò nel far abbellire e restaurare la collegiata, nel soccorrere i poveri e nel tranquillare gli animi della popolazione, quando nel 1797 insorse contro il ceto civile, credendo che questo avesse prestato le mani per atterrare il governo di S. Marco. Egli fu canonico onorario di Barbana e di Cittanova, e sarebbe stato nominato vescovo di quest’ ultima città, se per modestia non avesse negata la sua adesione. Visse in corrispondenza con dotti italiani e particolarmente coll’ archeologo abbate Andrea Rubbi veneziano. Dopo la sua morte la scuola ben presto cessò; e gli ultimi allievi che le fecero onore furono: i Besenghi, Chiaro Vascotti, l’avv. Francesco dott. Bressan ed Antonio Pesaro, nipote del sullodato canonico. Le opere del canonico Pesaro edite in italiano sono: “Un esercizio accademico, in cui si discute: Se il numero de’ beni a cui va soggetto”. (Venezia, coi tipi Curti, 1799)
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La lapide ricorda l’emanazione del decreto del Maggior Consiglio di Venezia in data 7 giugno 1794, con il quale, su iniziativa del canonico Antonio Pesaro, venivano ripristinate ad Isola le scuole pubbliche. Il governo della Serenissima s’impegnava a finanziare tre insegnanti e concedeva alla scuola gli ambienti dell’ex Convento dei Servi di Maria da adibire ad aule scolastiche.
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1794: Il piano degli studi del Ginnasio Piano de’ Studj per norma delli tre Maestri delle Publiche Scuole d’Isola in Istria istituite dall’ Ecc.mo Senato col D. to 7 Giugno 1794 : 1) Tre saranno in queste scuole le Classi, alle quali assisteranno tre differenti Maestri. Questi dovranno essere sacerdoti secolari sudditi Veneti di nota probità, e di sperimentata capacità nelle rispettive loro destinazioni eletti da Colleggetto apposito della Comunità secondo i metodi suggeriti da Sindici della medesima nella loro Carta 6 Dicembre 1795 rassegnata all’ Ecc.mo Rappresentante di Capodistria, ed approvati di volta in volta dal Magistrato Nostro. La prima di queste Classi sarà di Grammatica, la seconda di Rettorica, e la terza di Filosofia; e il Maestro di quest’ultima classe avrà il titolo di Rettore, e sarà incaricato della ispezione generale sopra la disciplina e gli studj di tutte e tre le classi. 2) Le scuole si apriranno il giorno tre di Novembre e continueranno fino alli 7 di Settembre, eccettuato, il Giovedì d’ogni settimana, le Feste di precetto, li ultimi otto giorni di Carnovale, e la Settimana Santa. Durerà la lezione nelle due prime Classi due ore e mezza la mattina, ed altrettanto la sera; e per la terza Classe basterà un’ora e mezza tanto la mattina, quanto la sera. 3) La cura principale di detti Maestri sarà quella d’instruire la Gioventù nella soda morale, e nella Cattolica Religione e di diriggerla negli esercizi corrispondenti. Però assisteranno ogni giorno gli Scolari alla S. ta Messa che sarà celebrata da detti maestri alternati veramente una settimana per cadauno; ogni Sabbato si spiegherà la Dottrina Cristiana della Diocesi nella prima Classe, ed un pezzo del Catechismo Romano nelle altre due. Assisteranno essi Maestri nei giorni festivi alle sacre Funzioni della Parrochia, e sopratutto alla Dottrina Cristiana, invigilando, che non manchino i rispettivi scolari, ed eccittandoli alle pratiche di Religione, ed alla frequenza de’ Sacramenti. Infine si legga ogni giorno in tutte e tre le scuole una parte di S. a Scrittura sul testo della vulgata, ovvero su qualche versione approvata, unindovi quei riflessi, e quelle spiegazioni, che meglio contribuiscono a far conoscere la Santità della nostra Religione, e la purità della Morale Evangelica, i quali riflessi e spiegazioni potranno cavare i Maestri dalla Bibbia Italiana di Mons.r Martini Arcivescovo di Firenze, ovvero dalla Bibbia di Sans stampata anche in Venezia. 4) Nella prima di queste scuole oltre il dirozzare i giovinetti al leggere, ed allo scrivere s’insegnerà la Grammatica Italiana, la Grammatica Latina, e l’Aritmetica. Per l’esercizio giornaliero del leggere sarà opportuno il Catechismo Istorico del Henrij. La Lingua Italiana si potrà insegnare sulle Lezioni di Lingua Toscana del Sigli, ovvero sugli avvertimenti grammati-
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cali del Facciolato; e per la Latina servirà il compendio del Porretti, o altro ancora più facile dell’Abbate Dalle Loste, ogn’uno de’ quali è bastante per rendere i Giovanetti capaci d’ intendere uno dei più facili autori Latini come Cornelio Nipote, Fedro, alla qual cosa devono esser limitati gli studi di essa Classe. Per l’Aritmetica poi può esser a proposito il compendio del p. re Crivelli, quando non si preferisse l’altro più ragionato, e scientifico compendio del S.r della Caille stampato anch’esso in Venezia. 5) Nella seconda di queste Scuole avrà impegno il maestro di continuare gli esercizi sopra la Lingua Italiana e Rettorica, di avvezzare i giovani a comporre da se in Italiano e di dar loro i Precetti della Rettorica, e d’instruirli nella Geografìa, e nella Storia Gli esemplari nell’una e nell’altra lingua da essere letti ed imitati verranno scelti con prudente discernimento dal Maestro, preferendo quelli di Stile semplice, e mezzano, come sono gli Storici, e gli Esemplari, e sopratutto avrà attenzione, che colla lettura mal regolata de’ Poeti non si faccia oltraggio all’innocenza ed al costume della gioventù. Per dare una breve nozione delle figure e dei Tropi basterà il compendio ad uso del Sem.o di Padova e per i precetti della Rett. a potrà il maestro farne un brevissimo trassunto de’ più essenziali, e più pratici da Quintiliano, e da Cicerone dal Rollin, e dal Beteaux fra moderni. Un breve trattato di Sfera, e di Geografia moderna, come sarebbe quella del Grenet, che si stampa presentemente in Venezia, il quale ha il vantaggio di paragonare la Geografia moderna coll’antica, e con ciò rende più agevole l’intelligenza degli Autori Latini; il discorso sopra la storia universale del Bossuet; l’Epitome d’Istoria Veneta del Veri; le opere in fine di Tito Livio, atte egualmente a far conoscere la Storia Romana, che a somministrare ottimi esempi di discorsi, e di Arringhe, saranno gli altri Libri da usarsi in questa Scuola per gli oggetti di sopra enunciati. 6) Nella Scuola di Filosofia sarà diversa la Lezione della mattina da quella della sera. La mattina s’insegnerà la Logica, valendosi degli elementi dell’ Einecio, ovvero delle istituzioni dello Storkenau. Chi volesse che gli alunni di questa scuola acquistassero una qualche cognizione della Filosofia degli antichi, e nello stesso tempo continuassero un qualche esercizio della buona lingua latina, potrebbe occupare una parte di questa lezione medesima la spiegazione delle Opere Filosofiche di Cicerone. La sera poi s’insegnerà la geometria, e potranno servire a quest’uso gli Elementi del Grandis, o quelli del Bacques; e se si volesse qualche cosa di più oltre gli Elementi di Euclide potrà scegliersi il Libro Elementi di Matematica ad uso delle Pub. che Scuole di Venezia. 7) Sarà impegno del Colleggietto destinato a presiedere a queste Scuole di stabilire il Piano, ed il metodo degli esami da farsi sul fine dell’anno in tutte e tre le scuole suddette, e di accordare le onorificenze e gli incoraggiamenti possibili a quelli tra giovani, che si sono nello studio distinti. Ed al Colleggietto medesimo spetteranno quelle ulteriori providenze, che
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salve le cose nella presente deliberate potessero occorrere al buon progresso di questi studj; e spetterà al medesimo parimenti di rendere inteso annualmente il Magistrato Nostro dello stato ed andamento di dette Scuole, onde poter assicurarsi che siano ben impiegate le publiche beneficenze, e che si verifichino a dovere le Sovrane intenzioni dell’ Ecc.mo Senato nell’ accordare, e proteggere questa Istituzione. Estratto Della Carta 6 Dicembre 1793 presentata dalli Spettabili SS.ri Mattio Lessi e Nicolò Drioli Sindici attuali all’ Ecc.mo Rappresentante di Capodistria, giusta le venete Commissioni ad esso derivate dalla gravissima Mag.ra degli Ecc.mi Riformatori allo studio di Padova. Assecondate, dalla Sovrana Clemenza, e Pietà del Sereniss.o nostro Principe le divote istanze di questa fedelissima Comunità sopra la istituzione delle Pub.che Scuole di educazione anche in questa terra, ed accordati in vece degl’implorati Beni dei due soppressi Ospizi de’ servi di M.a e de’ Minori Conv.li qui esistenti, Ducati trecento Val Piazza annua da somministrarsi dalla Pub.ca Cassa Opere pie per l’emolumento di tre Pub. ci maestri dei quali almeno è bisognosa la nostra Patria composta di c.a 3000 Abitanti non compreso il suo distretto non che destinato a tal oggetto Dalla Sovrana Munificenza l’Ospizio de’ Servi, la Chiesa, col Circondario annesso per abitazione dei detti tre Maestri, e per l’uso della Scuola, ed inoltre D.ti duecento V. C. per il ristauro, e riduzione della medesima, si stabilisce: 1) Che il Maestro della prima Classe incominciar debba le sue lezioni dai primi rudimenti fino a tutta la Grammatica inclusive; il secondo dalla Grammatica esclusive fino a tutta la Rettorica, il terzo abbia a dettar la Filosofia, il tutto come nel Piano degli Ecc.mi Riformatori allo studio di Padova. 2) Che dovendo essere sempre i Maestri dotati di distinta abilità, buon costume, ed altri requisiti si essenziali all’importantissimo Ministero di ben educare la Gioventù sieno questi scelti dal num.o degli Ecclesiastici secolari di nostra Patria, se ve ne saranno delle dette qualità forniti, e ciò spezialmente per il mediocre loro emolumento, che nelle sue proporzioni si indicherà dappoi e per uno zelo maggiore nel loro carico, figlio naturale di un saggio Patriotismo. 3) La imparzial elezione de’ medesimi tutta convergente al pub.co Bene sarà di volta in volta eseguita a Bossolo da un Collegietto apposito composto di n. ° 12 Votanti, e saranno, oltre la spettabile Persona di S. Ecc. za Podestà pro tempore, i due Sindici, due Giudici de’ più vecchi pro tempore, e sette Capi di Famiglia de’ più probi, e benestanti di essa Terra 536
da indicarsi con fede giurata dal nostro Parroco: né s’intenderà giammai legalmente eletto quel Maestro, sopra del quale non cadranno a suo favore almeno 9 voti, e la di cui elezione non sarà approvata dall’ Ecc.mo Mag.to de’ Riformatori allo studio di Padova, al quale dovrà di volta in volta esser rassegnata da quei soggetti, che in seguito si enuncieranno. 4) Essi Maestri sostener dovranno il loro Ministero ore due e mezza la mattina, ed altrettante il dopo pranzo (eccetto quello di Filosofia, per il quale sarà sufficiente, come si pratica ovunque un’ ora e mezza la mattina ed altrettanto il dopo pranzo) incominciando l’anno scolastico dal giorno dopo la Commemorazione de’ Morti li tre Novembre, e terminando li 7 Settembre Vigilia della Natività della B.a V.e M.a, eccettuate le Feste, li Giovedì, gli ultimi otto giorni di Carnevale, e tutta la Settimana Santa; e dopo la scuola ogni dì servir gli Scolari della Santa Messa (libera sempre l’applicazione) coll’alternativa di una settimana per cadauno; facendo loro ogni sabbato dopo pranzo un competente zelante Cattechismo onde colle scienze abbia negli studenti ad aumentarsi la Relig.e, senza la quale ogni altro lume o è nullo o è vano, od anche pernicioso; intervenendo essi alle Domeniche nella Parrochia alle Pub.che sacre Funzioni, e specialmente alla Dottrina Cristiana ad esempio salutare, ed efficace degli scolari, ai quali dovranno precettare l’intervento alla medesima, non che la frequenza mensuale dei S. S.mi Sacramenti della Confessione e Communione; offerendo altresì sul compier d’ogni anno scolastico qualche Accademico esercizio od altro pub.o saggio de’ talenti, e de’ progressi della Gioventù in esse scuole istrutta, ed educata, isciegliendo degli argomenti i più interessanti l’umana felicità, il buon costume, e la Religione, da dedicarsi annualmente agli Ecc.mi Reformatori sullodati, e ciò a decoro degli stessi Precettori, a conforto della Patria, e ad emulazione ed eccittamento degli scolari, ond’abbiano vieppiù a distinguersi, ed a conciliarsi il merito di una giusta approvazione. 5) Sarebbe bene, ch’ essi Maestri abitassero nell’ Ospizio de’ Servi, luoco appunto, nel di cui recinto avrannosi a costruire le pub. che Scuole. 6) Al Professore di Filosofia, che goderà del titolo di Rettore, spetterà il fissare un metodo di studij vantaggioso nelle rispettive classi incombenti uniformemente al Piano degli Ecc.mi Riformatori, e la Tabella dell’ apertura delle scuole nella vicissitudine delle Stagioni, l’invigilare del continuo sulla tanto necessaria fedel esecuzione de’ doveri de’ Maestri, il supplire talvolta alla loro scuola nel caso di lor accidentale malattia, ed altra indispensabile urgenza o da per se e col mezzo di qualche suo scolaro di miglior talento, il fissar loro la Camera a scanso di dispareri sulla scelta della medesima. 7) Al Rettore Professore di Filosofia restano fissate sulli D. ti 300 V. p. dal sovrano benignamente accordati tre decime parti, e mezza che sono D. ti 105 V. p. coll’aggiunta dell’ usufrutto dell’orto de’ Servi; al maestro di Po537
etica e di Rettorica pur tre decime parti, e mezza, cioè D. ti 105; ed al terzo dei rudimenti, e grammatica tre decime parti, che sono D. ti 90. 8) Dovranno esser elette due Persone col titolo di Pressidi onorarj fra il num.o de’ Votanti dal Collegietto stesso, i quali coll’intelligenza del Rettore presiederanno gratuitamente all’erezione di quattro stanze, due inferiori e due superiori entro l’ Ospizio de’ Servi in faccia il Portone nel sito de Folladore, decenti sì, ma senza magnificenza e lusso, nelle due inferiori delle quali si faranno le scuole di grammatica, e di Rettorica, nelle superiori, una per la Classe della Filosofia, e l’altra ad uso di pub. ca Libreria ed Archivio di dette Scuole, e ciò coll’ impiego de D.ti Duecento V. C. dalla Sovrana Munificenza decretati ad hoc, ed altro, che potranno ottenere dallo zelo di questi abitanti, o da qualche altra Pub.ca Liberalità da implorarsi opportunemente. 9) Dovranno essi Pressidi dall’una, ed il Rettore dall’altra formare due libri in cui raccoglieranno i pub.ci documenti spettanti a questa vantaggiosissima istituzione, riponendovi l’uno nella pub.a Vicedominaria di nostra Patria, e l’altro da esser custodito nella pub.a Libreria suddetta con una copia d’ anno in anno degli Accademici esercizi, od altri pub.ci saggi, che avrannosi a verificare nelle scuole. 10) La custodia e direzione della Chiesa de’ Servi coll’officiatura, e la celebrazione delle poche Mansionarie ad essa addette, spetterà al Rettore, Chiesa già avocata insieme con quella dei minori Conventuali in ius Patronato Regio e di gelosamente custodire le elemosine de’ Fedeli destinate al mantenimento dell’esterno culto di Dio Signore nel suo Tempio, e sacri Arredi colla sopraveglianza dei signori Pressidi. 11) D’ anno in anno nel mese di Settembre al compier dell’ esercizio scolastico li due Pressidi onorari in unione del Rettore, e colla sufficienza anche di due soli rassegneranno al Magistrato Ecc.mo de’ Riformatori la Dedica, ed alcune composizioni, che si saran offerte al pub.o negli Accademici esercizi od altri saggi, come sopra, e queste in conveniente forma, e caratteri, (il che dovrà eseguirsi dal maestro direttore dell’ esercizio); non che umilieranno annualmente un dettaglio genuino dello stato, ed andamento delle pub. che Scuole, la elezione de’ Maestri toties, quoties per la loro conferma, e tutte quelle nuove providenze, che il Collegietto stesso col tempo credesse necessario l’implorare da quel gravissimo Magistrato per un sempre miglior progresso di sì giovevole edificio, perpetuo tributo, e monumento di quella sensibile riconoscenza, laude, e benedizione, che deve eternarsi di generazione in generazione nella nostra fortunata Patria verso la Sovrana Pietà, e Munificenza. A 29 Giugno 1794. Isola Presentata per li Spettabili Sig.ri Sindici ad hoc
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Dalla Sovrana Munificenza dell’adorato nostro Serenissimo Principe istituite anche in questa Terra le Pub.che Scuole di educazione con spezioso Decreto del dì 7 corrente, e con altro pur clementissimo del dì 11 stesso approvato il Piano degli Ecc.mi Riformatori allo studio di Padoa relativo alle medesime, convocato nella sala di questo Pret.o Palazzo con i metodi in d.o Piano precettati il presente spettabile Collegietto apposito a sì importante oggetto, dove, compresa la Persona dell’ Ill.mo ed Ecc.mo S.r Francesco Maria Badoer di Rizzardo attual Podestà intervennero li spettabili S. S.ri Mattio Lessi e Niccolò Drioli sindici attuali, li DD: Zuane de Lise q.n Pietro e Drioli Drioli q.n Iseppo Giudici de’ più provetti attuali, il Nobile S.r Conte Alvise Contesini Ettoreo, il S.r Domenico Costanzo, Francesco Ugo q.n Zuane, Sebastian d’Agostini q.n Giacomo, Alessandro d’Agostini q.n Marco, Antonio Vascotto q.n Marco, Pietro Bettoso q.n Niccolo tra’ Capi di Famiglia in questa Terra de’ più probi e Benestanti indicati con giurata Fede da questo nostro Parroco attuale il Rev.mo S.r D.n Marco Ugo, si trattò quanto segue. Esultanti del pari che riconoscenti gl’ attuali Capi Rappresentanti questa spettabile Comunità alla benefica Sovrana previdenza della salutar istituzione delle dette Pub.che Scuole di educazione assecondati pienamente dall’umano, e retto genio dell’attuale Ecc.mo S.r Podestà, non saprebbero in miglior modo appalesare la lor tenerezza, e sensibilità per si gran bene a questa fedelissima Popolazione impartito, nè con maggior diligenza ed esattezza corrispondere alle Sovrane intenzioni, che col devenire immediatamente, premessa la lettura de’ Veneti Decreti 7 ed 11 Giugno e Piano enunciati all’elezione di due Pressidi a dette scuole da eleggersi dal Corpo di questo stesso Collegietto, i quali abbiano a sostenere gratis l’importante ispezione della Fabbrica materiale, che devesi erigere ad uso delle medesime scuole, la fedele sopraveglianza all’esatto ministero de’ Maestri, al sensato stabilimento del piano, e metodo degli esami da farsi sul fine dell’ anno scolastico nelle rispettive Classi, e l’onorevole officio di rassegnare alla cura del Magistrato de’ Reformatori allo studio di Padoa l’elezione de’ Maetri, che si verificherà di tempo in tempo per la sua conferma, umiliando opportunemente altresì lo stato, ed andamento di dette Pub. che scuole, onde possa Egli assicurarsi del felice impiego delle pub. che Beneficenze, e della accurata esecuzione delle Sovrane Intenzioni dell’ Ecc.mo Senato nella munifica sua condiscendenza, e protezione accordata a questa sì pia ed utilissima istituzione, il tutto come nel veneto Piano, e Decreti suddetti. Effettuata detta elezione, perché s’incontri a tutta pienezza la Sovrana Carità, e restino opportunemente decorosamente, e vantaggiosamente coperte le dette Scuole di soggetti di distinta abilità, e d’integgerrimo costume, si fanno un preciso dovere Essi spettabili SS.ri Sindici Capi Rappresentan-
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ti di proporre altresì all’elezione di Rettorica, e Professore della Classe di Filosofia il R.o S.r Don Antonio Pesaro Can.o titolare onorario, socio delle due Pub.che Accademie della Città di Capodistria e di Pirano, già pub. co Professore di scienze nel Capitaniato di Raspo approvato con spezioso Decreto dell’ Ecc.mo Senato, Sacro Oratore, morigerato Ecclesiastico del pari, che zelatore impareggiabile della patria coll’incombenza precisa alli SS.ri Pressidi, eletto ch’ Egli sia, d’interpor a nome di questo Spettabile Collegietto, l’organo de’ Voti di tutta questa Popolazione, i più efficaci offici ond’abbia Egli a non rifiutare, ma a benignamente assumere un tal incarico, a cui viene destinato per unico bene di questa Gioventù, sicuri della sua deferenza per la nota probità del suo Cuore; e perché abbia Egli uno stimolo ulteriore ad assecondare i pub. ci desideri ed esperimentare la commune gratitudine trovano bene Essi Spettabili SS.ri Sindici di proporre che la di Lui Personalità abbia a durar vitalizialmente in tale carico, il che non avrà luogo dopo di lui, limitando ora per allora la elezione di ogni altro Rettore de cetero ad un quinquennio colla abilità delle conferme. Secondo: per la Classe di Rettorica la Persona del Molto R.o D. n Antonio Vascotto q.n Francesco soggetto pur di accreditata dottrina, ed esemplarità già Maestro nel Seminario vescovile di Capodistria. Terzo: per la Classe di Grammatica il Molto R.o D. n Niccolò Zaro Religioso pur questo di abilità, e buon costume, quale del pari che i suoi successori, non possa ricevere nella sua Classe quei Fanciulli che muniti non saranno di giurata Fede del Parroco da esser riveduta anco dai SS.ri Pressidi, onde consti di aver essi completi gli anni sei di loro età. Colla benigna permissione adunque, e presenza dell’ Ecc.mo S.r Podestà li Spettabili SS.ri Sindici attuali mandano parte, che dopo la chiara lettura de’ Sovrani Decreti 7 ed 11 corr, e relativo Piano degli Ecc.mi Riformatori allo studio di Padoa illustri monumenti della preziosa Sovrana Munificenza, e Carità verso questa povera Terra, non che della Carta 7 Dicembre 1793 di essi spettabili SS.ri Sindici rassegnate all’Ecc.mo Rappresentante di Capodistria, e suo Estratto: 1° siano eletti due Pressidi alla Pub. che Scuole con tutte le enunciate facoltà e come ne’ Decreti, e Piano sullodati, ed Estratto; 2° il R.mo S.r D. n Antonio Can.° Pesaro in Rettore, e Professore di Filosofia vitalizialmente; 3. il R.mo S.r D. n Antonio Vascotto q.n Francesco in Maestro di Rettorica per anni due;
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4° il Molto R.o S.r D. n Niccolò Zaro in Maestro di Gramatica per anni due colle utilità già fissate dalla Sovrana Largizione, ed approvate nelle loro rispettive proporzioni, come nel1’Estratto della Carta 6 Dicembre suddetta, al quale si dovrà, aver riguardo in ogni altro rapporto ancora in esso descritto, e cogli obblighi e doveri già conciliati nel Piano mentovato degli Ecc.mi Riformatori allo studio di Padoa, sicuro e certo questo Spettabile Collegietto che gli eletti saranno per corrispondere perfettamente agli oggetti dell’ importantissima loro destinazione. E la presente letta, e ballottata che sia, sarà rassegnata dalli Spettabili SS.ri Sindici in unione agli eletti SS.ri Pressidi alla gravissima Mag.ra degli Ecc.mi Riformatori per ottenere la sua approvazione, e perciò ebbe prospere, come al Margine A Capello Per due Pressidi alle pub. che Scuole di educazione del corpo di questo spettabile Collegietto P. 10 C. — II Nobile S.r Conte Alvise Contesini Ettoreo P. 10 C. — II Nob: S.r Domenico Costanzo q.n S.r Andrea Per il Rettore, e Professor di Filosofia P. 12 C. — II R.mo S.r D. n Antonio Can.° Pesaro vitalizialmente Per il Maestro di Rettorica P. 12 C. — Il Molto R.° S.r D. Antonio Vascotto q.n Francesco per anni due Per il Maestro di Gram.ca P. 9 C. 3 — Il Molto R.° S.r Don Niccolò Zaro per anni due Sebastiano Carlini attual. Canc.r di Com.ta in Fede.
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Besenghi degli Ughi (dal testamento di Giacomo Besenghi o Besengo)
Palazzo Besenghi, uno degli edifici barocchi più belli della regione fatto costruire nel XVIII secolo dalla famiglia Besenghi degli Ughi, che si vantò sempre delle proprie origini veneziane.
Io Giacomo Besengo Nobile di Sua Maestà Francesco primo, Imperatore d’Austria, Re d’Ungheria, Boemia, Lombardia e Venezia etc. etc. etc. come da nomina imperiale venti otto ottobre mille ottocento ventitrè. Cittadino originario antico di Venezia ad intus, et extra, come da Diploma di riconoscenza tredici ottobre mille seicento venti /1620/. Figlio del Nobile Signore Giovanni – Pietro – Ant.° Besengo nativo del Castello di Piemonte d’Istria, e della nobile Signora Contessa Orestilla Freschi Auspergh nativa di Ronchi nel Friuli nelle vicinanze della citta di Cividale, il di cui matrimonio sucesse nel mille settecento ottantasei in detta località, e che
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sta registrato nella Parrochia e chiesa di Faedis, capo luogo in allora della giurisdizione, ossia Signoria senza tributi della Illustre Famiglia Freschi Conti di Cuccagna d’Auspergh. Il suddetto mio genitore fu decorato dal Pontefice Pio settimo con due Brevi datati in Roma li dodeci novembre mille ottocento cinque, uno di Conte Lateranense, e l’altro del cavalierato dello speron d’oro, i quali Brevi sono firmati dal cardinale Don Romualdo Braschi, ma senza impronta di sigillo marcato, e di numero d’inserizione. Credo che tal sistema si praticava ed usava così a quel tempo della Corte di Roma. Tali matrimonj succedevano in quei tempi ancora barbari, e non sviluppati, i quali in sostanza non erano altro che iniqui tradimenti. Passare dall’Italia in Istria individui di coltura è lo stesso che rapirli dal giardino e condurli nel deserto. Maggiormente se lo sposo è deforme, e per conseguenza ributtante. Dispongo dopo successa la mia morte nella presente forma della mia spettante ed appartenente facoltà per conto di paterna porzione pervenutami come consta dal Foglio di divisione Familiare inscritto nel Libro delle intavolazioni presso L’Imperial Reggio Uffizio di Pirano sotto il numero quattrocento cinquantauno li quattordeci giugno mille ottocento ventidue, qual sta registrato al numero di Carte quaranta, come sta pure al Att.° quattrocento quaranta otto nel Libro notifiche l’atto della seguita Fraterna Transazione li venticinque Maggio mille ottocento ventidue detto anno e registrato al N.° di Carte trentanove. Segue in seguito il rimanente. Lascio erede universale il mio amato Fratello Pasquale dell’usufrutto soltanto vita sua durante, coll’obbligo e dovere di non poter né vendere, né impegnare la sopra detta mia facoltà ma invece passarla questa ai suoi legittimi maschi, se al caso si ammogliasse, quali non avendo per combinazione, instituisco in allora una Mansioneria perpetua con questa per altro condizioni, e prescrizioni, essendo questa la mia volontà dopo la sua morte. Lascio ad esso mio suddetto Fratello Pasquale la facoltà di prevalersi in caso di malattia di poter prendere qualche piccola somma di denaro ad’interesse per sostentarsi e per soccorersi. Un sacerdote di Venezia dell’esistente Famiglia Besengo (della quale esisteva il passato Provinziale dei R. di Padri Cappucini nella persona del Padre Giovanni Battista) sarà il mansionario, e perciò sarà fatta ricerca al Patriarca di detta Città, oppure al Podestà, se esistesse tal individuo insignito di questo carattere, come pure si farà contemporaneamente esata ed’esatissima ricerca se esistesse alle volte un simile individuo col mio provato cognome Besengo, il qual mio anzidetto casato credo non più esistere, il quale per altro esistendo avvi per diritto e giustizia la preferenza e la preminenza per sempre sopra tutti. Abbenché il cognome di queste due Famiglie siano diferenti di una sola lettera, non cessa per questo che non siano in origine una stessa e sola Famiglia qual poscia separatesi mediante 543
probabilm. la corrutella della lingua Veneziana, e per il più facile, e spedito modo di esprimere. Confrontato il mio albero genealogico di trè e più secoli con quello pur distinto della Famiglia besendo, qual’è questo pubblicamente riportato, e che comincia nel mille quarantaquattro (1044) nella Persona di Pietro Besengo, come è reso manifesto dal pubblico annotista autore Veneziano Ziliola, a tutta evidenza scorgesi, e provasi l’indubitata verità del medesimo, e stesso casato, e tanto più provasi per essere stato amalgamato ed’unito (per la non bene composta scritturle lettera S. ed R.) qualche individuo appartenente al Casato Besengo riportandolo sotto il Casato Berengo. Il suddetto Diploma tredici ottobre mille seicento venti di Cittadinanza de intus et extra di Venezia fu registrato nell pub. offizio dei dieci Offizj nel Libro Privileggi, ed a carte cento sessantadue, e ciò per Niccolò Becegui Nodaro, e così pure registratto nell’Offizio della Fornarianova nel Libro dei Privileggi li 24 Marzo mille seicento trentatre dal Pubblico Notajo Giovanni Accenti, e cosi pure cattasticato nell’officio degli Illuistrissimi Proveditori di Comun al No. 49. Succedendo il caso che dei suddetti, e sunominati Casati non fosse per combinazione alcun Sacerdote, si faccia in allora venire un Sacerdote qualunque siasi nativo di Venezia in Mansionario, il quale dopo morto succeda in successione un altro consimile per sempre di detta Città, mà con questa condizione per altro che se nel fratempo dell’attuale servizio sortisse qualche sacerdote delle sopradette famiglie abbia sempre questo la preferenza di essere in Mansionario e quindi cessar abbia sull’istante per tal suindicato motivo il suddetto Mansionario scielto a sorte, ed abbia sempre la preferenza quello rionvenuto fosse col provato mio cognome Besengo, oppure se ancor tal individuo sortisse da qualche altro paese fuori dekka sunnominata Città di Venezia. Non accettando il Sacerdote Veneziano la detta Mansioneria, che è impossibile, subentri tosto nel possedimento di essa il Parroco pro tempore della Chiesa Colleggiata di San Mauro della Capo Comune di Isola d’Istria, e vada in successione di Parroco in Parroco, mà con la condizione e prescrizione per altro di eseguire, ed adempire sempre il suespresso obbligo, e comando di fare annualmente esatta ricerca ogni anno in Venezia sopra l’esistenza, e rinvenimento dell’individuo delle surriferite, e sopranominate Famiglie. Se al caso succedesse che per Reggie imposte, o vicissitudini la distinta mia abitazione aggravata fosse in maniera che cader dovesse in pubblica mano, oppure per non trovarsi il Mansionario in modi sufficienti di reastaurarla come conviene; venghi in allora chiesto il soccorso della Magnifica ed illustre Città di Venezia, perché non dubito che l’innata generosità, e pietà veneziana al tutto si presterà con vigore, e forza in sostenere la presente disposizione di un suo indigeno Concittadino distaccato dalla Madre patria nel mille seicento novantaotto a questa parte. 544
Si rende avvertito il Mansionario che la detta mia abitazione è solam. e la mettà di mia libera disposizione, e l’altra mettà spettante al sunominato mio amato Fratello Pasquale. Se al caso della sunominata Città di Venezia non si potesse rinvenire il contemplato soccorso, in allora venghi data parte della presente Mansionaria all’Imperial Cittàdi Buda Capitale del Regno Ungarico con ferma egualmente sicurezza che la magnanimità Ungherese si presterà al tutto sostenere, ed in allora resti e venghi per sempre uno dopo l’altro in successione un Sacerdote Ungarico per Mansionario libero, e sciolto dalle suespresse condizioni di far ricerca sopra i Casati. Tutte le menti Istriane, ed Italiane stupirano come un Italiano rivolga le sue fiducie in caso di bisogno nell’Illustre Pannonica Terra colla quale pochissimi e rarissimi hanno relazione. Eccola. Per quella ragione e rara combinazione che il Magnate Sigismondo Conte Lovitz fu nella mia abitazione nel mille ottocento quattro, essendo in tal epoca governatore in Trieste, e senza discendenti. Per l’impressione dei teneri bacci impartitemi nel mese di Giugno mille settecento novantasette da parte del Conte Kollowath (Kollovrath?), maggiore in tall’epoca nelle Imp. R. Armate, e così pure similm. e per i bacci ricevuti dal Conte Schermatz pure ungherese nella suddetta epoca. Ho sempre cara memoria verso l’Illustre nazione Francese, come egualm. e verso pure tutta la Longobardica, e Veneta nazione egualmente pure verso la pur Illustre Austriaca nazione. Sono quell’individuo che conta un’occulta familiare storia che ancora l’Istriaco suolo non ha giammai contato, né conterà. Conviene portarsi nel fior degli anni, ed essere di particolare avvenenza ossia di beltà colpente in quei tempi dove tutta l’europa era in continuo guerresco erroico movimento dove le fortune correvano dietro o come il vento verso quei individui che dottati erano di tali speziali prerogative. In queste parti dominarono i galli e cosi gl’Italiani, sotto l’ex Regno Italico Francese. Gl’Inglesi in mare, ed i Corsari, ossia Ladroini in mare pure, originarj dlle Bocche di Cattaro. La famiglia Besengo nel mese di Maggio 18°9 fu assalita da Corsari Siciliani, e quindi spogliata d’effetti per un forte valore. Nella mia casa furono alloggiati e mantenuti molti illustri individui, fra quali il Comissario Aulico Plenipotenziario dell’Istria, Dalmazia ed Albania in unione al suo seguito, nella persona del Conte Raimondo della Torre (Thurn) di Duino in Giugno mille settecento novantasette; così pure in simil epoca l’Austriaco Generale Conte Klender in unione ai Colonelli e Maggiori. Poscia altri generali, e Collonelli egualm. e come sopra fu alloggiato, e mantenuto il Comissario aulico plenipotenziario dell’Istria Dalmazia ed Albania nel 1801 e 1802 nella Persona del Barone Steffaneo, poscia Ajo del Regnante Clementissimo Imperatore Ferdinando, in unione
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al consigliere Pietro Conte di Goess nativo di Klanfurt, poscia Governatore in Trieste e Venezia, e finalmente Ministro del Regno Lombardo Veneto in Vienna, e così pure alloggiato e mantenuto nel finire il mille ottocento tredici S. A. l’Arciduca Massimiliano d’este in unione al suo seguito. Lascio da parte i Principi di Roma e Cardinali, come egualmente il Cardinale Flangini, poscia Patriarca di Venezia, ed altri illustri personaggi di ogni genere tanto sotto il Veneto governo quanto sopra i sopranominati decessi Dominii. Sarà celebrata una messa cantata di morto li ventinove Agosto in memoria, ed in suffraggio questa che in tal giornata mancò a vivi il mio amato avo Pasquale Besengo morto nel Castello di Piemonte li 19 8. bre 1723, e morto qui in Isola nel mille ottocento quattordeci in età d’anni novantauno. Fu pubblico notajo nella suddetta località laureato in Capodistria nel 1754. Fu ammogliato in Isola con la nobile Signora Agnese Ugo o Ughi; per il qual motivo il mio genitore denominossi capricciosam. e degli Ughi, egli fu quello che edificò la mia abitazione la quale cominciò nel mille settecento settantacinque e terminò non compiutamente nel mille settecento ottanta. Era figlio il suddetto mio avo dell’Illustrissimo Signor Giovanni – Pietro, nato questo li dieci maggio mille seicento settantaotto nella Parrochial chiesa di San Barnaba in Venezia e morto nel sunominato castello nel mille settecento settantacinque. Il primo di casa Besengo che portassi a piantare raduce in Istria. Fu giudice Civile e Criminale in detto Castello, come pure in Barbana d’Istria. Tal cognome è in vera origine Lombardo Veneto, e probabilmente dalla piccola Terra Barengo vicino alla Città di Novarra in Piemonte Stato Sardo. Sarà celebrato un altro santo sacrifizio di morto e cantato con i tre notturni, Laudi e vespere nel giorno diecisette Giugno, nella qual giornata alle cinque ore della mattina la mia cara e carissima Madre andiede in Ciello. Fu assistita da mè Giacomo Besengo e Besenghi estensore in tutto, e per tutto per il corso di ventidue anni gli diede la vita tante volte, e ciò in forza della mia cognizione in unione al Dottore medico Sig. Antonio Pesaro d’Isola per fargli fare le piccole estrazioni di sangue, patindo quasi ogni anno il male inflamatorio di petto, e così pure in forza delle mediche prescrizioni del Dottor di Medicina Sig. Andrea Gobbi di Trieste. Fu assistita non come comanda gli uomini, ma come comanda il Cuore di Gesù Cristo, e la vera Religione. Egualmente ancora fu diuturnamente confortata e ravivata e radolcita nelle sue malattie e convalescenze e sanità. La sua camera odora di santità. Andiede in Ciello munita di tutti i Santi Sacramenti, e dei conforti della Religione. Santamente visse, e santamente morì. La sua camera odora vieppiù di Santità per la continuazione dei Religiosi Isolani, Piranesi, Padri Cappuccini r minori osservanti. Essa prega per me, per la sua famiglia, e per tutti. Morì in età d’anni 81 in ottantadue nel mille ottocento quarantatre. 546
Sono grato in questo, e nell’altro mondo alla mia Patria per quel tratto di amore che dimostrarono i seguenti Signori, i quali per la prima volta portarono sopra le loro spalle la Barra della suddetta Mia cara Madre, e ciò nelle preggiate personne dei Signori Alessandro Vascotto di Marco sopradetto Piccolo, Alessandro Carlini di Pietro sopradetto Furia, Giorgio Vascotto sopradetto Sorte e Giovanni Vascotto fu Francesco sopradetto Bevilaaaaaqua. Stiano certi e sicuri che morte buona faranno, perché anche per essi prega particolarmente. Mi rincresce di non essere un Signore!!! Sarà egualmente celebrato un sacrifizio pure in perpetuo come sopra in quella giornata che caderà la mia morte, e così egualmente un’altra in quella giornata che caderà la morte del sunominato fratello Pasquale. Sarà egualmente come sopra celebrato un santo sacrifizio li undici aprile, e ciò in memoria che in tal giornata morì mio Padre amato nel mille ottocento ventiuno. Esso si denominò scioccamente Besenghi, e ciò per il motivo perché in generale tutti quasi i cognomi Italiani terminano con la lettera i., e pochissimi sono quelli che terminano con la lettera o., e per questo fu impartita la Nobiltà austriaca sotto tal nomenclatura. Sarà egualmente celebrata una messa di morto li cinque giugno e ciò in memoria che in tal giornata morì nel mille ottocento ventiotto in Trieste la mia cara ed amata Sorella Agnese, stata amogliata col vivente Sig.r Francesco Dottor Bressan avvocato in detta Città mio amato cognato, verso il quale sono pieno di obbligazioni. Un’altra messa sarà celebrata nel giorno quindeci del mese di marzo e questa in memoria che in tal giornata morì nel mille ottocento tredici la mia amata Sorella Maria. Un’altra messa sarà pure celebrata nel giorno ventiotto Maggio, e questa in memoria che in tal giorno la mia amata unica nipote Amalia figlia della suddetta mia Sorella Agnese e Francesco Dottor Bressan andiede in Ciello in Trieste in ettà di dieciotto anni, stata traditta dai medici curanti. Era fornita di Musica, di lingua tedesca e Francese educata alle Dimesse in Udine. Andiede in Ciello nel corr. e Mille ottocento quarantasei. Nella presente fondazione sono compresi quei Beni campestri che tocheranno a mè tanto come mezza dotte, come quarto di dotte lasciati ad io mediante il testamento della mia cara Madre 28 Ottobre mille ottocento ventiquattro, avendo poscia fatto due aggiunti codicilli nel medesimo testamento ventisette ottobre milla ottocento trentauno, e venti febbraio mille ottocento quarantatre; il di cui testamento è depositato presso l’Imp. R. Tribunale in Trieste del quale io Giacomo Besengo o Besenghi ebbi uffiziosa copia, i quai Beni dottati stanno descritti nel foglio Dottato sotto la lettera A. Inseritto al No. quattrocento quarantanove /:14 Giugno mille ottocento ventidue, ed a carte 39 nell’offizio Tabulare di Pirano; la di cui campestre dotte fu nuovamente estimata affiziosamen. e per ordine del Tribunale di Trieste dall’Imp. R. Giudizio di Pirano ed ascendente a quattromila quattrocento novantauno Fiorini e carantani cinque, avendone avuta
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copia uffiziosa dal sud.o Tribunale 30 Novembre 1844. Nella presente fondazione è compresa la cantina del vino, con corte annessa, essendovi entro una ficcaia, (ossia la cosi detta Scola) la quale toccò a mi per fraterna divisione col fratello Pasquale, come consta dalla pub. carta trentauno Decembre mille ottocento ventiquattro; Numero 164 ed epoteca quattordeci Gennaro mille ottocento venticinque e questa mediante il Procuratore del suddetto fratello il R. do Don Bortolo Costanzo. In questa instituzione e fondazione viene pure compreso l’acquisto fatto di mè di una casetta e scoperto annesso dal mio suddetto fratello come consta dall’istromento primo gennaio mille ottocento venticinque, ipotecato li quattordeci dello mese in Pirano sotto il numero cento sessanta quattro, la di cui casetta è affittata a Mauro Dellise detto Portella, e sua moglie Antonia, e il scoperto annesso contorniato di muri è affittato a Sebbastian Tognon nativo da Grado. L’affitto dello Dellise e moglie è rilasciato gratis, come ha desiderato mia madre mediante il suo testamento sunominato per atto di carità. Nella presente instituzione sono pure compresi quei pezzi di terreno campestre toccati in usufrutto alla cara sunominata Madre; quali stanno descritti nel foglio N.o quattrocento cinquantattre delle intavolazioni in Pirano nell’anno mille ottocento ventidue, e questi sono in questa parte spettante ad io. È compreso nella presente carta, (se più che in vita non avesse di adoperarlo) il capitale Livellario attivo che tengo verso Francesco Dolee fu Antonio di Pirano della somma di F. ni duecento quarantasei di data 27 Decembre 1833, inscritto li ventinove di detto mese ed anno nel Libro XI a Carte trecento ottantaquattro No. 750, e così pure un’altro privato capitale non ancora inscritto della soma di Fiorini cento verso Almerigo Fragiacomo nativo di Pirano, ma domiciliato qui in Isola di professione Zuppano del Torchio, e ciò per carta nove Febbraio mille ottocento trentasei. Tanto la porzione di argenteria toccata a me Giacomo besengo e Besenghi nelle familiari fraterne, e matterne divisioni di oncie settantatre in settantaquattro, quanto quella lasciata ad’io dalla sunnominata mia cara Madre mediante il surriferitto testamento e codicilli toccata ad essa suddetta, in unione a qualche oggetto prezioso mobiliare di sposa; e di cui oggetti mobiliarj, ed’argenteria sono stati lasciatti a mè dalla amata Sorella come consta nell’articolo quinto della sopranominata carta di Transazione mille ottocento ventidue. La suddetta argenteria lascio a mio Fratello (se più che non occorresse per il mio funerale e per vivere) egualmente lascio al suddetto fratello tutta la biancheria, coperte, Stagni, rami, uitensili di Casa ad’eccezione dei mobili, delle quali cose aspettano a mè tre parti, avendo le mie amate Sorelle rinunziato la loro parte a mio favore come consta nel suddetto articolo quinto della Transazione surriferitta. 548
L’annello da brillanti lascio a mio Cognato Bressan e le perle bianche che portava al collo la mia cara Madre le lascio queste all’amata Sorella Domenica sposa Amoroso. La scattola d’oro lascio a quel Religioso che mi assisterà in morte. Sarà egualmente celebrata una messa di morto in quel giorno che caderà la morte della suddetta mia amata Sorella Domenica. Sarà celbrata pure anualm. e una messa di morte in suffraggio dei defonti Besengo in Piemonte, Orsera, Venezia ed Isola nella persona del Sig.r Giacomo Besengo fu Giudice Civile e Criminale in Piemonte per anni ventiquattro, stato ammogliato colla Signora Nicoletta Ugo o Ughi d’Isola, e morto nel 1764 in Isola. In Orsera morì nel 1768 Antonio Capitanio Besengo, e in Vienna tra il 1814 al 1816 il Capitanio Antonio defonto nell’ospitale Militare. Sarà celebrata una messa di vivo in contemplazione questa per quei dolori e svenimenti che provò il povero eterno Padre Benedetto, quando il suo unigenito Divin figlio Gesù Cristo chiamò esso in soccorso nel momento delle sue ultime languenti atrocissime angonie pendente dalla Santissima Croce, unitamente a quei dolori che provò la benedetta Sua Madre Maria Santissima. Sarà celebrata un’altra Messa consimile di vivo nel giorno di San Steffano, implorando da Dio la perpetua conservazione e dilattazione della Religione Cattolica nel Regno d’Ungheria e la perenne durata di quel Regno. Sarà celebrato un altro sacrifizio consimile di vivo impetrando da Gesù Cristo la conservazione pro tempore del Sovrano Imperatore d’ Austria, implorando in pari tempo la perpetua conservazione e dillatazione della Santa Religione Cattolica in detto Impero. Sarà celebrato un altro Sacrifizio di vivo come sopra, impetrando da Gesù Cristo l’assistenza verso quei venerandi individui che come missionari inspirati da Dio vanno a portarsi nelle lontane regioni a propagare ed innestare la Religione Cattolica. L’Installazione di detta Mansioneria sarà praticata dall’Arciprete di Piemonte al quale gli si darà Fiorini dieci. In Pirano nacque i primi Istriani di mia Famiglia. Maria nata 15 Agosto 1698 Francesco nato nel 1700 o 1702. Giuseppe nato li 19 Maggio 1701 qual poscia fu Arciprete della suddetta Terra di Piemonte. Viene ingiunto e ordinato al Mansionario di farmi fare un sepolcro di pietra nel quale riposerà le mie ossa, apponendovi sopra l’inscrizione addattata, e poscia con quattro arpisi impiombati, e questo con la vendita della Casetta ove abita per carità Mauro Dllise della sportella, oppure con la vendita del stallaggio annesso. Nel suddetto sepolcro saranno riportate entro le care ed amate ossa di mia madre, della quale tutti i viventi si ricordano il luogo ove fu sepolta nel cimitero. 549
Sarà dovere del Mansionario di conservare e mantenere più che sarà possibile i mobili distinti dell’abitazione e così di non tramuttarli mai, come pure di non tramutare ne permutare giammai alcun stabile appartenente alla detta Mansioneria giammai alcun stabile appartenente, o podere alla detta Mansioneria; al che mancando resti privo il Mansionario pro tempore, e subentri un’altro. Egualmente viene ingiunto di non vendere nessun stabile. Al più detto Mansionario viene pure ingiunto il dovere di rimettere la seguente inscrizione (se più che in vita non fosse rimessa da mè) sopra il sasso del Portone di entrata della Casa, quale era prima, e che fu cancellata dal fu mio Padre per il motivo della venuta dei Francesi nei ultimi di Ottobre dell’anno mille ottocento cinque, sulla suposizione che i Francesi facessero pagare un contributo a quelle case che avessero inscrizioni. Paschalis de Besengo Civis. Orig. Venetie ex Castro Pedemontis Histrie edificavit 1775. Il suddetto mio amato avo fece dono alla Chiesa Parrochiale d’Isola nel 1798 di un messale, avente per stemma due sirene; il di cui messale ha i cartoni di veluto cremese e contornato d’argento largo lavorato avente pure i broconi d’argenti lavoratto. Sarà pure dovere al Mansionario di dare sempre alloggio alli Reverendi Padri Cappuccini e così a tutti gli altri ordini Religiosi e ciò per essere stata la mia famiglia ascritta sempre a dette Sante Fratellanze, ed essendo stata sempre per consuetudine l’asilo dei Religiosi forestieri tanto qui in Istria quanto in Venezia, ancora all’epoca del Parroco, di San Bartolomio il Reverendo Don Angelo Besengo, figlio dell’Illustrissimo Signor Bernardo, nato nella contrada di San Eustachio tra il 1575 al 1580 e gran benefattore de i Monaci Camaldolessi di San Clemente, morto in Venezia satamente con suo testamento rogato al pubblico notajo Claudio Pauli li ventidue agosto mille seicento quarantasei. Del presente né fà degna menzione Giovanni Battista Gallizioli nell’opera voluminosa sopra le venete memorie. Raffaele Besengo figlio di Pietro era Priore e Provinziale nel 1654 dai Monaci di San Girolamo in Venezia, ossia della Congregazione del Beato Pietro Gambacorta da Pisa, detti in Venezia di S. Bastiano, il quale lasciò al Convento sedici milla ducati. Tutti noi Fratelli di numero due, e sorelle pur due siamo i primi nati qui in Isola, e gli ultimi, essendo tutti gli altri individui morti fanziulli ad eccezione della amata mia sorella Maria annunziata di sopra, e tutti battezzati col vero cognome di Besengo.
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Dalla presente Mansionaria voglio, e comando, che subito successa la mia morte sia fatto noto, e manifesto al Patriarca di Venezia, e alla Curia Vescovile residente in Trieste, e per conseguenza sia data una copia esata e fedele, e così una copia al governatore di Fiume nella circostanza di ricorrenza di sopra annunziata. Sotto il Gallico governo fui per essere fatto nel mille ottocento sette e otto Capitanio dell così detto in allora guardia Nazionale, in presente Landoher, e così pure stava in me ad accettare in Capodistria, il posto di Capitanio comandante col rango di Capo Battaglione, ossia Maggiore. Il tutto con dolcezza e ragioni, addotto dal mio genitore sopra il Capitaniato fondate, sopra la mia fisica salute mi sono esentato e ciò per non alterare le domestiche finanze da capo a fondo. Sotto egualmente il suddetto governo fui delegato della Comune avente in allora il tittolo di Maire, e tutto abbenché senza lettere. Finalm. e sotto il presente egreggio Austriaco Governo fui Delegato della Comune, e poscia ancor Podestà. Mi dispiace di non poter lasciar qualche cosa al mio nipote unico Andrea Amoroso, figlio dell’amata mia Sorella Domenica, e ciò perché il mio stato è piccolo non sapendo in che miglior forma e maniera disporlo; hò disposto perciò, e stabilito nella presente formazione, affinché il tutto non vada squarciato e disperso. Sono Liberi e padroni i miei cognati sunominati e Sorella vita loro durante di abitare enlla più detta mia mezza abitazione. Tutto il presente è scritto in cinque fogli di Carta semplice. Fu sigillato a cera spagna il di cui impronto sono due sirene, il quale è lo stemma di mia famiglia. Lascio alla mia serva Antonia nativa del Cadore ed amogliata con Giuseppe Vascotto fiorini cento, o in dinaro, oppure in effetti. Fatto in isola li due Luglio mille ottocento quarantasei. Giacomo Besengo, e Besenghi, Nobile di S. Maestà Imperiale Francesco primo Imperatore d’Austria etc. etc. etc. Nobile della Città di Capodistria e di Parenzo, e Cittanova di San Lorenzo in Istria, e Cittadino della Città di Pirano. Più lascio alla mia suddetta fu serva la quale ora mi assiste notte e giorno nella mia malattia Antonia nata Zandigiacomo Orsolina di Avronzo del Cadore mogli di Giuseppe Vascotto il Campo in Callelarga tenuto a Collonia da Domenica Moratto, il quale confina con la famiglia Vascotto detta Grego, ed al di là della stradella con Grassi detto Polentrella, e così pure col Conte Marcovich. Giacomo Besengo e Besenghi Isola 24 9. bre 1847 551
Rara immagine di Isola risalente agli inizi dell’800.
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Bibliografia Almerigo Apollonio, L’Istria veneta dal 1797 al 1813, LEG-IRCI, Gorizia 1998 Marino Bonifacio – Giovanni Radossi, Cognomi e stemmi di Isola, Edizioni “Il Mandracchio”, Isola 2000 Luigi Ferrari, Il nuovo codice dantesco marciano, Officine grafiche di Carlo Ferrari, Venezia 1935 I servi di Maria in Istria, a cura di fra Sergio M. Pachera e fra Tiberio M. Vescia, Edizioni “Italo Svevo” Trieste 2005 Egidio Ivetic, La popolazione dell’Istria nell’età moderna. Lineamenti evolutivi, Trieste-Rovigno 1997 Pietro Kandler, Codice Diplomatico Istriano, voll. I-V, Trieste 1986 Luciano Lago – Claudio Rossit, Le “Tabulae” di Pietro Coppo, Edizioni Lint, Trieste 1984 Luigi Morteani, Isola e i suoi Statuti, Parenzo, 1888, “Atti e memorie della Società Istriana di archeologia e storia patria”, voll. III-IV, Parenzo 1887-1888 Paolo Naldini, Corografia ecclesiastica o sia descrittione della città, e della diocesi di Giustinopoli, Venezia 1700 fra Sergio M. Pachera – fra Tiberio M. Vescia, I Servi di Maria in Istria, Edizioni “Italo Svevo” Trieste 2005 Miroslav Pahor, L’organizzazione del potere nel comune di Isola, in “Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno”, Trieste 1978/79 Prospero Petronio – Memorie sacre e profane dell’Istria, a cura du G. Borri, con la collaborazione di L. Parentin, Trieste 1968 Alberto Rizzi, Il Leone di San Marco in Istria, Signum Editrice, Padova 1998 Giovanni Russignan, Testamenti di Isola d’Istria dal 1391 al 1579, Trieste 1986 Luciana Sitran Rea – Giuliano Piccoli, Studenti istriani e fiumani all’Università di Padova dal 1601 al 1974, Antilia, Treviso 2004 Pietro Stancovich, Biografia degli uomini distinti dell’Istria, Trieste 1829 Statuti del Comun d’Isola, a cura di Franco Degrassi e Silvano Sau, Edizioni “Il Mandracchio”, Isola 2003 Giovanni Tamar, Notizie d’Isola nel 1581, in L’Istria, a. III, Trieste 1848 Antonio Vascotto, Ricordando Isola, Imola 1989 Domenico Venturini, Vicende storiche della pubblica istruzione ad Isola, Trieste 1900
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INDICE Prefazione di Astrid Brenko Introduzione di Silvano Sau
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I PARTE Corinne Brenko – Alessandra Rigotti NAPOLEONE E LA CAMPAGNA D’ITALIA
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Napoleone e la campagna d’Italia Decadenza di Venezia Appendice documentaria Bibliografia
15 20 41 55
II PARTE Kristjan Knez LA MUNICIPALITÀ PROVVISORIA DI VENEZIA E L’ADRIATICO ORIENTALE
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Sigle e abbreviazioni La caduta della Serenissima Tra mutamenti e desideri di continuità Lo smembramento dello Stato veneto La trama politico-diplomatica sino al trattato di Campoformido Appendici Fonti e bibliografia
58 60 75 122 190 211 259
III PARTE Franco Degrassi L’INSURREZIONE POPOLARE D’ISOLA DEL 1797 e l’uccisione del podestà Pizzamano
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Isola nel 1700 La guerra Franco-Austriaca in Italia e in Istria La rivolta di Isola Appendici Bibliografia
279 329 341 379 451
IV PARTE Paola Pizzamano LA FAMIGLIA PIZZAMANO Attorno a Nicolò Pizzamano, ultimo podestà di Isola Bibliografia
455 457 487
V PARTE a cura di Silvano Sau DOCUMENTI E TESTIMONIANZE Bibliografia
493 555
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Editore / Založnik Comunità degli Italiani “Pasquale Besenghi degli Ughi” – Isola / Skupnost Italijanov “Pasquale Besenghi degli Ughi” – Izola Edizioni / Založnik Il Mandracchio – Isola / Izola
Opera / Naslov Gli ultimi giorni della Serenissima in Istria L’insurrezione popolare di Isola del 1797 Autori / Avtorji Corinne Brenko-Alessandra Rigotti, Kristjan Knez, Franco Degrassi, Paola Pizzamano, Silvano Sau
Impaginazione / Prelom Andrea Šumenjak
Stampa / Tisk Birografika “Bori” – Isola / Izola Tiratura / Naklada 500 copie / izvodov
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La pubblicazione del volume è stata possibile grazie al contributo della Regione Veneto (L. R. n. 15/1994) e della Comunità Autogestita della Nazionalità Italiana di Isola nell’ambito del programma culturale supportato dal Comune di Isola e dal Ministero per la cultura della Repubblica di Slovenia Knjiga je nastala zahvaljujoč finančnemu prispevku dežele Veneto (D. Z. št. 15/1994) ter Italijanske Samoupravne Narodne Skupnosti Izola v okviru programa, ki sta ga omogočila Občina Izola in Ministrstvo za kulturo Republike Slovenije
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