I Cordai 9/2015

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La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Giovanni Falcone mensile per S. Cristoforo a cura del G.A.P.A. Centro di aggregazione popolare - Direttore Responsabile: Riccardo Orioles - Anno Decimo, n° undici, Novembre-Dicembre 2015

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Ivana Sciaccai

re dieci. Un giorno qualsiasi in una piazza del centro. Nei pressi vi è una chiesa davanti alla quale si incontrano donne e bambini che chiedono l’elemosina, ma stavolta la chiesa è solo uno sfondo perché la scena si svolge su una di quelle panchine dove al mattino gli anziani prendono il sole. E proprio uno di loro attacca bottone con una allegra e sgangherata famigliola, una di quelle che in modo spicciolo chiameremmo “rom”. La madre dice di essere giunta a Catania nel 2003 e proviene dal Kosovo. “Di unni?” – chiede smarrito l’anziano. “Dalla ex Jugoslavia, vicino l’Albania” risponde lei. “Ah siti albanesi!” conclude il vecchietto. La donna ha al seguito quattro bambini di tutte le età: due ragazzine di nove e undici anni e due bambini di otto e sei. Le loro voci echeggiano, si rincorrono facendosi dispetti. “Amano giocare, specialmente il più piccolo” – racconta la madre – “si sveglia la mattina presto e subito comincia a giocare con le macchinine! A vol-

La mia casa è la stazione

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te sveglia pure il fratello!” Ha i denti cariati il bambino di cui parla, mentre a lei ne mancano due davanti nell’arcata superiore: così sembra una vecchia, ma è giovanissima. Suo marito sta rovistando nei cassonetti per trovare ferro vecchio che poi rivende. Glielo pagano venti centesimi al chilo. Pochissimo, ma come devono fare? “Cerco un lavoro, qualsiasi tipo di lavoro. Mio marito qualche giorno fa ha trovato quattro euro dell’elemosina che mi avevano dato davanti alla chiesa e si è arrabbiato. Lui non vorrebbe ma come dobbiamo mangiare? A volte non posso mandare neanche i bambini a scuola perché non ho niente da dargli. Poi vedrebbero gli altri bambini mangiare e loro resterebbero a guardarli?” Vivono in macchina. E i bambini più piccoli quando captano la parola “casa” nei discorsi sgranano gli occhietti, come se si parlasse di qualcosa di incredibile. Le ragazzine sono bellissime: hanno delle fossette sulle guance che ingentiliscono le felpe sporche che indossano. Parlano della superstar del momento per gli adolescenti, Violetta, poi corrono a

Preoccupazione e rabbia

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foto: Archivio Giovanni Caruso

Fredda mattina di sole

prendere la loro gatta nera per esibirla con orgoglio. Dopo un po’ abbandonano la compagnia per avviarsi verso il supermercato: a comprare qualcosa o a chiedere l’elemosina? I due fratellini rimangono lì a simulare combattimenti con mosse speciali, calci e pugni che però non fanno male. Ad un certo punto giunge un’auto d’epoca, parcheggia in piazza e i bambini chiamano per nome il signore che la guida. La madre si avvicina, saluta e corre subito al supermercato a recuperare le due figlie. Queste tornano col volto incupito, camminano di malavoglia, non sembrano più quelle di qualche istante prima. Nessun sorriso, nessuna espressione di gioia. La madre le fa salire sull’auto del signore mentre lei rimane in piazza con i più piccoli. Il tale ha l’aria distinta e un sorriso appena accennato. Toglie il suo cappotto dal sedile anteriore per fare accomodare la ragazzina di nove anni mentre la sorella va in quello posteriore. I suoi modi gentili verso le bambine sono agghiaccianti, anche lo sguardo. Loro due sono bellissime e vivono la fame ogni giorno. Quel signore invece... Dove le porterà?

Dopo 60 anni ancora ruspe

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Raccolta differenziata a S. Cristoforo 7


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La mia casa è la stazione Volti e storie dei senza fissa dimora

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testo e foto Francesco Nicosia

ono oltre quarantottomila i senza fissa dimora in Italia, secondo le ultime stime del 2014 dell’Istat e della Caritas. Una stima non accurata e sempre in crescita, che non tiene conto di tutti quelli che vivono in strada, ma non usufruiscono di alcun servizio di assistenza da parte della Caritas o di associazioni affini. Crisi economica, disoccupazione, povertà e disagio psicofisico, sono alcune delle cause; la stragrande maggioranza di queste persone, circa l’ottantasette per cento, sono uomini. A Catania sono circa un migliaio quelli che usufruiscono dei servizi di banco alimentare della sola Caritas. Ore nove e trenta. Davanti all’Help Center della Caritas, alcuni volontari distribuiscono cornetti e pizzette a una dozzina di uomini in attesa. Immigrati, anziani e anche qualche ragazzo che prende un boccone e corre via. Mirko è un uomo di trentasei anni, originario di

Modena, che vive in strada, precisamente alla Stazione di Catania. Ha esperienza come magazziniere, metalmeccanico e ceramista, ma adesso si trova in questa situazione, senza più un lavoro, né una casa. È arrivato in Sicilia perché aveva avuto una proposta di lavoro come autista soccorritore presso un’associazione catanese. “Ho lasciato tutto a Modena – dice –, sono sceso con poco e nulla, ma poi ho scoperto che la proposta di lavoro in realtà era una truffa, un’associazione inesistente. Sono rimasto qui a Catania. Ho dormito prima in un ostello, poi ho finito i soldi e dopo diverse difficoltà mi sono ritrovato a dormire in strada. Non ho più nulla, mi hanno rubato tutto, anche le scarpe e il cellulare”. Spesso i senza fissa dimora si ritrovano in strada a causa di una dipendenza da alcool o droga. Le famiglie originarie non sanno più nulla di loro. Carmelo è un simpatico e taciturno vecchietto di ottant’anni, dal volto segnato, che vive sotto i portici della stazione centrale da circa sei anni. Quaranta anni fa era un bracciante presso le campagne di Calatabiano, ma alla fine perse il lavoro e la casa in cui viveva. Prende una pensione di ottocento euro al mese, ma ormai è talmente abituato

La redazione de I Cordai e l’Associazione GAPA colgono l’occasione per augurare Buone Feste a tutti i lettori

a vivere in strada che non ha più alcuna intenzione di cercare una casa. “È tutta colpa dello stato – urla agitando le mani il signor Ture –. A Sicilia a ficiru accapputtari e lavoro non ce n’è più. Quando c’era la mafia, si è vero, c’erano uccisioni, ma c’era benessere, si travagghiava. E con tutti questi stranieri, come la mettiamo? Tutto il lavoro che dovrebbero fare i siciliani, lo stanno facendo loro per una manciata di pasta. Io vorrei lavorare, ma non c’è più posto per me”. La percezione dello stato è ridotta ai minimi termini, se non fosse per quelle poche associazioni e strutture che forniscono assistenza, docce e dormitori, il più delle volte in condizioni poco dignitose e di scarsa sicurezza. “È da sei anni che dormo nei giardini dell’ospedale Garibaldi – aggiunge Ture –. Ho i cartoni, le coperte e qualche ricordo tra le mie buste di vestiti e cianfrusaglie. Nei dormitori c’è un macello, non si ragiona. Chi cammina con i cuteddi, chi ruba. In ogni caso è per un tempo massimo di tre mesi, poi sei nuovamente per strada. Io voglio un mio tetto, anche piccolo, non ho molte pretese. Vorrei poter cucinare le cose che più mi piacciono, vivere i giorni che mi restano in una casa”.

Buone Feste dal


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Preoccupazione e rabbia per gli occupanti La via Calatabiano presidiata dalle forze dell’ordine, i comitati fanno scudo Ivana Sciacca, foto Francesco Nicosia

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ggi 28 novembre 2015 la giornata in via Calatabiano è iniziata presto. L’atmosfera domestica che si è creata da due settimane tra le famiglie che occupano l’edificio al numero quarantanove è stata turbata stamane da visite non tanto inaspettate. Stamattina sono infatti giunte sul luogo diverse volanti di vigili urbani, carabinieri, vigili del fuoco e Digos.

Motivo: fare un sopralluogo per verificare l’agibilità del palazzo. Gli occupanti fiutano il pericolo di essere cacciati in strada per l’ennesima volta. Non ci stanno. Barricano il portone, scortato a sua volta dai ragazzi dei vari comitati studenteschi che sin dall’inizio dell’occupazione hanno dato il loro sostegno a queste persone. Alcune di loro salgono sul terrazzo. Tra queste c’è la signora Maria, più agguerrita che mai “Se qualcuno delle Forze dell’ordine entra dentro, ci buttiamo giù!” Uno dei presenti nel piccolo corteo che si è creato nel giro di pochi minuti aggiunge: “Probabilmente il proprietario dell’edificio ha denunciato la situazione alla Questura e da lì è partito tutto”.

Grande assente ingiustificato continua ad essere il comune e tutte le figure istituzionali che vi orbitano: trincerati in un silenzio assordante di fronte all’emergenza vissuta da queste famiglie. Dove andranno se si dovesse procedere con lo sgombero? “Come si sente?” chiediamo al telefono alla signora Maria. “Io bene ma

mio figlio è molto preoccupato, così come gli altri ragazzini che sono in casa”. Vediamo il figlio disabile con il volto appoggiato alla finestra e lo sguardo smarrito tra la folla sotto il balcone. Preoccupazione e rabbia si leggono sui volti di quegli adolescenti. Tra questi ci sono gli occhi blu di Desiré che sbirciano fuori per capire cosa stia succedendo. Desiré ama l’arte e sogna di frequentare il liceo artistico: andare a scuola per i diciassettenni come lei è un atto normale, per lei un sogno perché non avendo il nullaosta della residenza come fa iscriversi? Ad un certo punto due vigili del fuoco entrano nell’edificio per effettuare il sopralluogo. La polizia resta fuori a presidiare l’area transennata. I ragazzi dei comitati continuano a fare scudo alle famiglie che sono dentro. Solo nel primo pomeriggio si saprà che l’edificio è agibile e non presenta quindi problemi strutturali. Nel mentre si avvicinano gruppetti di ragazzini appena usciti dalle scuole e chiedono: “Che sta succedendo?”, qualcuno risponde che vogliono buttare fuori dall’edificio persone che non hanno dove andare. “E perché non possono restare allora? Tanto qui non ci abita nessuno, almeno ci stanno loro!”.


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Dopo sessant’anni ancora ruspe Il comitato San Berillo lotta per non far crollare ogni speranza Daniela Calcaterra, foto Francesco Nicosia

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e “belle” son sedute a pettinarsi i capelli, a rifarsi il trucco, una risata e un po’ di cipria e la strada rivive. Sono lì da tempo, più di quanto si possa pensare, uniche testimoni di quella fotografia ormai sbiadita di un quartiere a luci rosse. Via Pistone edificio prima del crollo. C’è una prospettiva inquietante lungo quella strada: a sinistra gli edifici degli anni ’60 frutto di un progetto di rinnovamento, a destra le abitazioni ottocentesche. Nella penombra delle viuzze l’odore acre di urina e varichina stordisce, mentre il martellare ritmico di un falegname fa eco al cigolio delle ruote di una bicicletta. Quello che ci meraviglia è trovare la polizia municipale a sorvegliare l’isolato transennato tra via Di Prima e via Pistone: uno degli edifici storici di San Berillo ha ceduto all’incuria del tempo, i solai sono crollati l’uno sull’altro. A resistere solo una piccola stanza che ospitava un senza fissa dimora, che è uscito indenne dalle macerie. Roberto Ferlito da anni si batte attraverso il comitato San Berillo per la salvaguardia di questo quartiere cercando di sensibilizzare rispetto ad alcune dinamiche. C’è stato un momento in passato in cui San Berillo è stato un bene comune? Cosa rimane degli spazi di socialità? In passato il quartiere è stato un luogo di “saperi”, con una filiera produttiva ed intense attività culturali. Dopo lo sventramento, San Berillo

ha cessato di essere un riferimento produttivo. In passato la socialità era favorita dalla fitta rete di stradine e vicoli, dove si svolgevano la maggior parte delle attività produttive: era inevitabile incontrarsi! Queste dinamiche sono sopravvissute ma del tutto ridimensionate. In questi anni il lavoro del nostro comitato si è concentrato sui luoghi di socialità in continuità con il passato, organizzando delle tavolate in strada in collaborazione con l’Arci e delle feste da ballo negli spazi di Officina Rebelde. La partecipazione a queste iniziative non è totale perché gli abitanti del quartiere sono, purtroppo, abituati ad essere sfruttati dai vari poteri o da chi scrive o fotografa, tanto da dimostrare una certa reticenza e rassegnazione. Con le tavolate organizzate di “Porte aperte a San Berillo” cosa avete notato? Hanno preso parte alle tavolate tanti ragazzi portando del cibo: anche grazie a loro si è creata un amalgama con gli abitanti. Storicamente su San Berillo è stata costruita un’immagine negativa, per creare consenso presso la pubblica opinione così da avvallare il progetto di sventramento. Questa operazione ancora oggi non è finita: tutte le notizie su San Berillo contengono messaggi negativi. Comunicare un’altra immagine non è solo restyling ma un’operazione politica che toglie argomentazioni “forti” a chi vuole che il quartiere debba essere cambiato con le ruspe perché degradato. Nella pratica come si combatte tutto questo? Entrare nel quartiere vuol dire acquisire consapevolezza: per questo organizziamo visite con i ragazzi dell’università e non solo. Le loro reazioni spesso sono legate a ciò che

leggono sui giornali: attraverso le nostre visite puntiamo sulla formazione di una coscienza critica. In questo quartiere ci sono diverse barriere: in termini pratici cosa comportano?

Le barriere esistono e non si può far finta che non ci siano, ma sono le stesse che dividono un quartiere degradato come San Cristoforo dalla città bene. Le diverse zone possono e devono comunicare mantenendo ognuna la propria natura. Questa è una delle caratteristiche che contraddistingue Catania: diversità e pluralità di culture. Perché nascondere ed occultare la storia? Gli abitanti sono stati lasciati soli per troppo tempo, la conseguenza è stata la perdita di riferimenti e la diffidenza. Da diversi anni lavoriamo per scardinare tutto questo, da poco iniziamo a raccogliere i frutti. Ad esempio era impensabile che le prostitute di via Pistone e via delle Finanze partecipassero ai pranzi in strada. Eppure gli ultimi eventi li abbiamo organizzati perché sono stati richiesti da loro. Si sono rese conto che c’è un’altra dimensione oltre a quella lavorativa, che può essere anche più piacevole del fatto di guadagnare dei soldi. Questo scambio umano che si sta creando è qualcosa di cui abbiamo bisogno tutti. Cosa è accaduto il 16 novembre dopo il crollo dell’edificio in via Pistone? Il Comune ha chiesto lo stato di emergenza e calamità: ciò consentirà di aggirare le normali procedure sen-


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/Nove za interpellare né la sovrintendenza né i privati. Quindi non si terrà conto neanche di chi ci abita? Quello è l’ultimo problema. San Berillo da chi è abitato? Dai senegalesi e dalle prostitute, quanto contano? Via Di Prima transennata Nel tratto che hanno chiuso non abitano senegalesi. C’è la casa di Amelia che, pur essendo proprietaria, non può entrare a casa! Ci abitano anche due senzatetto e hanno mandato via tutte le ragazze che lavorano lì. Il crollo ha coinvolto anche l’edificio adiacente al residence Casta Diva, provocando ingenti danni, quindi tutti i bassi di via Pistone e di via delle Finanze… Sono stati liberati? Hanno saldato le porte raggiungendo il loro obiettivo con un’ottima scusa, perché quando c’è di mezzo la sicurezza non si può ribattere. La cosa assurda è che hanno chiuso con un’ordinanza preventiva, perché i palazzi potrebbero essere pericolanti… Divieti di accesso su Via Carro Certo! Il dato di fatto è che non hanno ancora proceduto con un sopralluogo o delle perizie, ma ancora più grave è che nell’ordinanza è prevista la chiusura di un perimetro ma loro hanno arbitrariamente chiuso un’altra strada. Cosa che abbiamo posto all’attenzione del responsabile che ci ha risposto: “Sì è vero, c’è stato un errore nell’ordinanza, stiamo provvedendo all’integrazione”. Sono già trascorsi quattro giorni e ancora non c’è stata alcuna integrazione. Il comune sembra aver trovato il modo per controllare la situazione? Bisognerà capire con quali modalità verranno eseguite queste demolizioni, che cosa verrà ricostruito e chi ricostruirà. I privati dovranno svendere? Si prospetta uno scenario molto

complesso. L’assessore all’urbanistica e al decoro urbano Salvo Di Salvo che risposte ha dato? Ha risposto che non è lui l’interlocutore interessato, ma l’ufficio dei lavori pubblici, però l’assessore Di Salvo è giornalmente qui a visionare la situazione. Cosa pensate di fare come comitato? Vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica. Abbiamo già esposto una richiesta formale in prefettura, in sovrintendenza, e al sindaco, affinché indica un’assemblea cittadina per esporre le intenzioni e le procedure che intendono seguire. Anche se il sindaco ha già dichiarato: “A sensa-

zione prevedo parecchie demolizioni”. Quello che mi fa arrabbiare è che stiamo vivendo un’ingiustizia. Le dinamiche a distanza di sessant’anni non sono cambiate. Nonostante da più di cinque anni organizziamo incontri e proponiamo progetti, adesso che potremmo partecipare attivamente ci tagliano fuori! La speculazione che può generarsi è evidente: ad esempio l’edificio crollato ha procurato dei danni al residence Casta Diva, che sappiamo essere di proprietà di una società di Costanzo. Le probabilità che i proprietari del vecchio edificio non possano sostenere le spese per i danni causati sono altissime. Di conseguenza la società

si accorderà acquisendo l’edificio fatiscente ritrovandosi un’area edificabile enorme nel centro storico. Una possibile proposta sarebbe quella di costituire un fondo patrimoniale così da metterci a pari livello degli speculatori. Nel senso che se i proprietari sono costretti a svendere, piuttosto che farlo con un mafioso o uno speculatore possono rivolgersi a un fondo patrimoniale costituito da cittadini attivi che magari in quel luogo possono realizzarci qualcosa di pulito. La lotta che bisogna intraprendere è quella del cambiamento delle dinamiche e del sistema, e questo bisogna farlo con tutte le altre associazioni di cittadinanza attiva.


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Piazza dei Libri è “occupazione” di spazio pubblico Daniela Giuffrida, foto Francesco Nicosia

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osta in pieno centro storico fra le vie Garibaldi, Plebiscito e il Duomo, la zona del Castello Ursino, meglio nota come San Cristoforo, fece tesoro dei fondi stanziati nel 1994 dalla commissione europea, attraverso il programma di iniziativa comunitaria denominato “PIC URBAN”. Il progetto aveva interessato centodiciotto città europee e fra le sedici italiane vi era anche Catania ed il suo centro storico. L’idea della comunità europea era quella di favorire un processo di rivitalizzazione socioeconomica e ambientale delle città e delle zone limitrofe degradate, attraverso il sostegno alle piccole imprese esistenti, l’incentivazione di nuove attività economiche, servizi e attrezzature che avrebbero favorito la creazione di posti di lavoro. Per qualche tempo tutto il centro storico catanese fu un fiorire di ristrutturazioni edilizie che portarono però solo alla nascita di attività commerciali come pub, chioschi e ristoranti, ma quasi nulla nacque di culturale e di socialmente utile. Arriviamo, dunque, alla primavera del 2013 quando cinque persone, provenienti da diversi settori e con esperienze diverse alle spalle, decidono di tentare un esperimento che darà loro grandi soddisfazioni: inserirsi in un tessuto sociale difficile come quello di San Cristoforo e cercare di migliorarlo, lavorando dal basso. Nasce così Gammazita, associazione culturale diventata un punto di aggregazione che mancava nel quartiere. In questi tre anni i suoi volontari hanno abbellito strade e piccoli scorci con orti urbani e piccoli interventi di riqualificazione architettonica. Hanno lavorato insieme agli abitanti, stimolandoli a prendersi cura del quartiere in cui vivono. Ai bambini è stato of-

ferto un posto dove trascorrere il loro tempo tra giochi da tavolo, strumenti di giocoleria e laboratori creativi, lontano dalla strada e dai rischi che questa comporta. I volontari di Gammazita hanno anche creato una scuola popolare di samba e una di circo sociale, e hanno organizzato lo scorso settembre il primo festival di arti di strada di Catania, l’“Ursino Buskers”, interamente autofinanziato. Ma vi è dell’altro. Il 13 novembre 2014 l’associazione, insieme ad altre cinque, si è aggiudicata il progetto P.A.R.I. destinato al recupero di spazi urbani disagiati, nato da un’idea del consiglio dei ministri, in collaborazione con l’Anci e promosso dalla direzione cultura e

dalle politiche giovanili del comune di Catania. Sebbene i diecimila euro garantiti dal bando non siano ancora stati consegnati a Gammazita, Piazza dei Libri e la sua area arredata con materiali di risulta è nata ugualmente grazie a libere donazioni dei cittadini. I volontari hanno dunque trasformato piazza Federico di Svevia da ricettacolo di sporcizie e parcheggio abusivo nella coloratissima biblioemeroteca urbana all’aperto con free wi-fi zone. Ma questa, sebbene molto apprezzata dai cittadini, ha innescato una polemica tra alcuni consiglieri e la stessa associazione. Nelle scorse settimane, infatti, sono apparse sui social media le esternazioni di Maglio Messina, consigliere di centrodestra,

che ha azzardato pesanti affermazioni sui ragazzi di Gammazita e la Piazza dei Libri. Gammazita ha risposto con due giornate (il 15 ed il 16 novembre scorsi) di eventi dedicati ai libri, all’arte e alla musica, culminati con la presenza in piazza di Vinicio Capossela, che non ha fatto mancare il proprio appoggio all’associazione. I volontari di Gammazita non fanno polemica ma rispondono alle provocazioni con un’assemblea pubblica sugli spazi sociali che si terrà il 26 Novembre, alle ore 18 in Piazza dei Libri. Questo il loro comunicato: “Sono passati esattamente 15 giorni dal duro attacco che ha investito la nostra Associazione ad opera di un gruppo di consiglieri comunali appartenenti alla destra cittadina ed appoggiati da una federazione di commercianti. Crediamo che ciò che è successo a noi di Gammazita sollevi due questioni generali terribilmente attuali nella nostra città: il recupero e l’utilizzo di beni comuni e l’esistenza di spazi sociali di condivisione e partecipazione “non commerciali” fuori dalle logiche del profitto e del mercato. Esistono una pluralità di realtà vive nella nostra città che fanno dell’impegno sociale e della cittadinanza attiva la propria missione quotidiana contro le discriminazioni e l’emarginazione. Esistono tante buone pratiche che se messe insieme in una rete possono raccontare una città diversa, solidale, aperta alle contaminazioni e alla socialità. Crediamo che sia giunto il momento di raccontare alla città questo mondo variegato e creativo ed è per questo che invitiamo tutti gli spazi sociali cittadini a partecipare ad un’assemblea pubblica, giovedì 26 novembre, alle ore 18.00 proprio in Piazza dei Libri per discutere insieme un percorso comune.”


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Raccolta differenziata a San Cristoforo: quando? Le responsabilità dell’Amministrazione Comunale

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Marcella Giammusso, foto Ivana Sciacca

el quartiere di San Cristoforo la raccolta differenziata non c’è mai stata e continua a non esserci. È vero che in alcune strade del quartiere si trovano cassonetti con la scritta “CARTA E CARTONE” e “PLASTICA” ma sono solo di facciata perché in realtà questi cassonetti vengono utilizzati solamente per i rifiuti indifferenziati. Per non parlare delle campane per la raccolta del vetro che non sono mai state collocate. Di chi è la responsabilità di ciò è facile dedurlo. Le cooperative che hanno il compito di gestire il servizio non svolgono il proprio compito come di dovere, mentre l’Amministrazione Comunale non vigila come dovrebbe sul modo in cui vengono eseguite queste commesse e addossa le colpe del mal funzionamento del servizio ai cittadini. In alcune vie gli abitanti del quartiere hanno richiuso puntualmente ogni giorno i coperchi dei cassonetti ritrovandoli aperti la mattina successiva dopo la raccolta da parte degli addetti, quando invece dovrebbero rimanere chiusi. In altri quartieri della città i cassonetti per la raccolta della plastica e della carta hanno i coperchi serrati con un unico foro dove inserire la plastica o la carta, e possono essere aperti soltanto con delle chiavi speciali. Fino a poco tempo fa l’unica zona dove si poteva depositare la

differenziata si trovava a Piazza Federico di Svevia. Adesso mancano i cassonetti anche in questo luogo. L’amministrazione comunale e le cooperative si giustificano dicendo che gli abitanti del quartiere non si curano di mettere la spazzatura nei giusti contenitori, mentre alcune persone difendono la loro noncuranza asserendo che gli operatori svuotano tutti i cassonetti negli stessi camion. È vero che molti cittadini non hanno la cultura della raccolta differenziata ma è compito dell’amministrazione comunale educare e abituare i cittadini ad un comportamento conforme

facendo una giusta campagna d’informazione e effettuando continui controlli sul territorio. A gennaio scadrà l’appalto della raccolta dei rifiuti e del conferimento

in discarica attualmente aggiudicato dalle Società Ipi-Oikos, ma sembra certo che tale appalto verrà prorogato, nonostante queste Società abbiamo condotto la gestione del servizio in maniera fallimentare. Inoltre l’Amministrazione Comunale vorrebbe concedere al privato anche la gestione del 25% del servizio attualmente gestito dal Comune. Ciò sarebbe un grave errore, visto l’esito della privatizzazione nei quartieri. Inoltre la gestione diretta di questa prestazione garantirebbe un maggior controllo del servizio e un risparmio delle casse del Comune.

Nel mese di settembre era stata data la notizia che in novembre il Comune avrebbe attivato la raccolta differenziata porta a porta nel centro storico di Catania. È di pochi giorni fa, inve-

ce, il comunicato che ha annunciato che dalla fine di novembre viene sperimentata per la prima volta questo tipo di raccolta in un’altra zona di Catania e non al centro storico. Il territorio scelto è delimitato dalla Circonvallazione (esclusa), via Rosso di San Secondo, viale Vittorio Veneto, viale Sanzio, viale Leonardo Da Vinci, piazza Lincoln e via Caronda. In poche parole nella Catania bene, dove già in qualche modo la raccolta differenziata funzionava. Per quanto riguarda il centro storico, quartiere più popolato, frequentato da tutti i catanesi, meta di tanti turisti, non si hanno notizie. Nessun cambiamento o miglioramento è previsto. Come sempre c’è una Catania di serie A (20%) e una di serie B (80%). La Catania di serie B può aspettare!


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Il mare a cavallo

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Nadia Zamberlan

olo io so cosa ho passato, il mare a cavallo ho passato!” Si chiude con queste suggestive parole lo spettacolo che ha per protagonista Felicia Bartolotta, la madre di Peppino Impastato, tenutosi a Volpiano (TO) il 3 ottobre 2015. La storia del giovane assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978 e il suo amore per la verità e per la giustizia, diffusi con forza creativa anche attraverso la radio, rivivono nella storia e

nel dolore della madre. “Io sono del sud e ancora ricordo che mia nonna ci insegnava a camminare con le spalle larghe e la testa alta, proprio perché donne”, ci ha raccontato − Antonella Delli Gatti attrice protagonista. “Interpretare un perso-

naggio scomparso così recentemente è difficile, perché si teme di sbagliare, ma mi sono riconosciuta nella personalità di questa donna”. La vita di Felicia era contesa tra la realtà mafiosa da parte della sua famiglia e la vita del figlio, “celibe, studente fuori corso, nullafacente e terrorista” (così lo definivano i suoi avversari…), votata alla denuncia di quella “montagna di merda” che è la mafia (sono parole immaginifiche e potenti di Peppino). Gaetano Badalamenti, detto Tano “La parte più difficile è stata imparare il siciliano, che secondo me è una vera e propria lingua” − continua Antonella −, “Ho lavorato molto affinché la resa fosse all’altezza delle aspettative”. E il suo impegno è stato ripagato da un interminabile applauso finale e da una valanga di apprezzamenti. Lo spettacolo, presentato in prima nazionale la settimana precedente al

di andare in scena vestendo i panni di personaggi letterari e immaginari, lavorando con creatività e fantasia ma con l’impegno di fondere le politiche giovanili con eventi culturali, laboratori nelle scuole e iniziative sulla partecipazione e sull’educazione alla legalità. “É stato impegnativo gestire gli eventi e anche la mostra esposta − raccontano i ragazzi all’uscita − ma

Festival Torino Spiritualità 2015, è stato la conclusione della settimana “No mafia”, focalizzata sul tema della lotta contro la mafia (www.tototeatro. it) e ormai alla sua quarta edizione. “È stata una settimana di bolla, una bolla che deve scoppiare per creare una forte risonanza!”, racconta uno dei componenti dell’Associazione Culturale TOTO, nata nel marzo 2010 e composta da una decina di ex allievi della scuola di teatro “Orme in Viaggio”. L’idea di questi ragazzi è quella

siamo contenti del risultato”. Alcuni pannelli esposti raccontano le storie di personaggi che, come Peppino e sua madre Felicia, hanno fatto della lotta alla mafia una ragione di vita. A fine spettacolo, uscendo dalla sala, la sensazione che qualcosa potesse cambiare era palpabile. Le parole di Paolo Borsellino diventavano cariche di speranze per il futuro: “La mafia è un fenomeno umano e come ogni fenomeno umano ha avuto un inizio e avrà anche una fine”.

− soprannominato Tano Seduto dalla fantasia irriverente di Peppino −, era infatti amico del marito di Felicia, il padre di Peppino. Ma lei scelse suo figlio e insieme con lui la giustizia e la verità, iniziando una battaglia per smascherarne gli assassini.

Redazione “i Cordai” Direttore Responsabile: Riccardo Orioles

Stampato dalla Tipografia Paolo Millauro, Via Montenero 30, Catania

Reg. Trib. Catania 6/10/2006 no26 Via Cordai 47, Catania icordai@associazionegapa.org - www.associazionegapa.org tel: 348 1223253

Grafica: Max Guglielmino Foto: Francesco Nicosia, Ivana Sciacca, Archivio Giovanni Caruso

Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Caruso, Toti Domina, Marcella Giammusso, Paolo Parisi, Ivana Sciacca, Francesco Nicosia, Daniela Giuffrida, Nadia Zamberlan


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