Novembre con...ALESSANDRO SARRA

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Colori e suoni non tollerano di essere paragonati in nessun modo, ma si possono ricondurre ambedue a una formula superiore… J. W. Goethe, La teoria dei colori

L’inedito di Mozart di Alessandro Sarra è un’installazione di un quadro più un pianoforte. Nel Quadro sono visibili i segni proiettati dai tracciati di un oscilloscopio che legge le onde sonore del brano eseguito al pianoforte da Luigi Esposito e intitolato, per l’appunto, L’inedito di Mozart. Come testo sconosciuto, L’inedito è un espediente di verosimiglianza, un’invenzione, un ritrovamento di una presunta opera da aggiungere al corpus del celebre musicista. L’inedito di Sarra è anche una burla, uno sberleffo alla sfacciata presunzione di chiudere l’opera d’arte nella rigida insistenza materiale e giunge a definire autentico un falso (per recederlo, alla fine, impunemente a copia) per errore o convenienza ignorando che i fondamenti dell’arte trascendono l’oggetto e sono puro pensiero. L’inedito è anche il capolavoro sconosciuto, il luogo dove la pittura s’incarna riscattandosi dalla superficialità per diventare corpo diafano penetrabile dallo sguardo per cui la musica, che dall’interno lo dirige, diventa irrorazione vascolare, sangue pulsante e vita.1 Alessandro Sarra, aveva già utilizzato in passato grafici, tracciati, elementi pittografici e pseudo - scritture come sottotesto di una stesura pittorica, aveva usato anche immagini impresse, stampate sulla superficie, scritte e persino il graffio più oltraggioso, incisivo. La pittura è un linguaggio che non serve a Sarra per riprodurre oggetti, illustrazioni, figure, schemi, geometrie, i tracciati di cui prima si parlava, da immagini informazionali, nella sua pittura sono sempre stati una sorta di ritratti e paesaggi.2 La pittura di Sarra trascina il segno affermativo e certo della macchina in una zona di apparenza precaria. Un dipinto di Sarra si pone, quindi, nel mezzo, tra una superficie di supporto e una di visione, e quando la costruzione pittorica finisce inizia lo statuto del “dipinto” dove non troviamo mai un compiaciuto grafismo. Nei disegni o negli appunti, il tratto corre sul foglio per fermarsi sempre alla macchia di colore ancora non risolto in pittura quale strumento dell’arte e vettore di contenuti e di tesi ontologiche. Il divario tra arte e quadro “essenza” è rinsaldato da Sarra a cui non interessa la “significanza” e pensa all’artista come a un creatore, non a un comunicatore. L’oggetto dipinto (superficie) per Sarra è dipinto oggetto, o meglio, dipinto objecto, bersaglio di un tragitto visivo che s’allontana dal modello autonomamente, con lentezza. Sotto cortine di colore e velature, la solidità dei segni rimane un appiglio, ma non è la ragione ultima del dipinto, la meta per l’occhio che in quelle nebbie entra e si perde. La chiara evidenza della stesura del colore è una pelle diafana tirata sul piano dal pennello e testimonia un passaggio, una copertura. Il segno che rimane sotto, dentro, è il brusio nascosto di una sinopia, disegno dis-tratto, è come se un’inconscia divagazione, trasferita sulla tela da appunti scarabocchiati durante una telefonata o una chiacchierata, diventasse il groviglio dei tragitti insondabili della psiche. Questo grafico tracciato da una macchina umana distratta, questo inconsapevole automatismo è il volto di chissà quale sintomo registrato da Sarra sottoforma di appunto. Infatti, quando ha utilizzato i tracciati degli elettrocardiogrammi Sarra ha estrapolato dal dato anatomico la “voce” della vita carpita dallo strumento così come ha fatto adesso nel quadro dell’L’inedito. Il quadro di Sarra apre inevitabilmente un dialogo con la linea kandiskiana dell’astrazione, la ripropone quale momento di solidarietà con un processo di emancipazione dal modello, senza però citare pedissequamente il rapporto tra astrazione e musica. Il senso della pittura di Sarra è, innanzi tutto, nel recupero della grammatica della pittura, che non significa celebrazione dell’immagine (citazionismo), né messa in scena di un processo (concettualismo), ma rispetto per il coagulo di segno e superficie nel quadro e se lascia talvolta in evidenza, a margine, la cruda tela fa sì che il disegno, libero foriero dell’idea, sfidi di continuo l’intellegibilità della forma, al contempo grammatica e sintassi di segni. Segni che, 1

Con il titolo La pittura incarnata, Didi – Hubermann affronta l’immagine dipinta rileggendo il racconto di Balzac, Il Capolavoro sconosciuto. G. Didi- Hubermann, la pittura incarnata, saggio sull’immagine vivente, Il Saggiatore, Milano 2008. 2 Si veda in merito il saggio di James Elkins, Le immagini che arte non sono, in “Teorie dell’immagine” a cura di A. Pinotti e A. Somaini, Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 155


in quanto divagazioni del contatto tra strumento e foglio, risolvono una distanza con lo scorrimento su un piano che, in seguito, si trasformerà in corpo con lo spessore della pittura. Ciò avviene, guarda caso, anche tra pianoforte inerte, silenzio e suono. Lo scarabocchio, l’appunto fugace ha già però al suo interno un’ideale soluzione figurativa che informa la superficie sulla pittura a venire è, in un certo senso, già pittura e mostra, infatti, una sua liquidità che smentisce qualsivoglia rigidità grafica, una fluidità riscontrabile soprattutto nelle opere su carta che rimangono pittogrammi persino quando sono timbrate. Il segno che s’inabissa e traspare fa di Sarra un pittore che non tradisce quello che Italo Calvino definiva “L’io della pittura” ossia il disegno, poiché mantiene la tensione della linea senza farla mai decadere nella mera funzione perimetrale. 3 Il groviglio, s’è detto, è già figura e non una figura astratta nata dal rapporto dialettico tra fabula della pittura e superficie, ma prodotta dallo sfruttamento della leva funzionale del colore che coprendo ne amplifica il rumore di fondo: velando rivela.4 È chiaro perciò che i quadri di Sarra, invitando lo sguardo a entrare in profondità e a scorrere nello spazio del disegno, sospendono l’ansia del vuoto con l’atto di copertura e anche se il disegno risolve la contiguità tra piano e pittore, è la pittura a risolvere la distanza tra l’occhio del riguardante e opera. Marcello Carriero

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Italo Calvino scrisse interessanti riflessioni sul disegno che dedicò al pittore Valerio Adami, il quale le pubblicò nel suo Sinopie, SE, Milano 2000, pagg. 134 – 135. 4 Si distanzia così dalla pittura analitica analitico interessata, di converso, a tenere chiaro il binomio segno/superficie.


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