RESS
Aprile 2014
Mensile di approfondimento Direzione Editoriale: Michele Spena
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redazione: Viale della Regione, 6 Caltanissetta
- Tel/Fax: 0934 594864
ISSN: 2039/7070
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Anno III Num. 28
Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 conv. N. 46 art. 1 comma 1. Sud /CL
- Stampa: STS S.p.A. Zona industriale Vª Strada, Catania - Reg. Tribunale di Caltanissetta n° 224 del 24/02/2011
SOPRINTENDENZA
OFF-SHORE
Lorenzo Guzzardi e le “Grandi Bellezze” del territorio nisseno
Il parco eolico nel nisseno, pomo della discordia
di D. Polizzi
di F. Infurna
a pagina 24
a pagina 6
L’ editoriale
il “Restauro” della Città
è iniziato con l’ultima cena — di Michele Spena —
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Storia e Ricordi
Il nuovo Vescovo della Diocesi Gela-Piazza Armerina
70° Fosse Ardeatine, nell’ eccidio trucidati anche due nisseni
La Città del Golfo abbraccia Mons. Gisana
di F. Falcone
a pagina 34
Investigazione
Polizia Scientifica: impronte, intuito e passione Il Fatto Nisseno è stato ospite del Gabinetto provinciale della Polizia Scientifica della Questura di Caltanissetta. Vi raccontiamo il nostro viaggio tra scienza e fiuto investigativo, guidati dall’Ispettore Capo Responsabile Alfonso Messina. di D. Polizzi
a pagina 20
a rinascita di una città, la risalita dagli inferi, il risveglio di un intero territorio può metaforicamente essere rappresentato da un restauro, da un pennello, lento ma efficace, che ridona colore e brillantezza ai personaggi della “Cena”? Il gruppo sacro torna all’antico splendore: “grande bellezza” nissena, simbolo assoluto dei resti della grandezza di Caltanissetta, di quel poco che è rimasto a questa città, in questa città. Seduti a osservare da vicino i giganti di cartapesta, che ritrovano smalto e fascino, ci lasciamo cullare dal dubbio, forse sarebbe meglio definirla illusione, che la riscoperta dell’identità dell’essere fieramente Nisseno, possa nascere anche dal restauro di una ‘Vara’. Un segno premonitore,
La pennellata speriamo assurga a gesto simbolico per la rinascita di Caltanissetta un auspicio, un gesto che vogliamo, siamo desiderosi, di caricare di positività, sperando che possa gettare un raggio di luce vivificatrice sul panorama buio, triste e mortificante che ha rappresentato la realtà di Caltanissetta negli ultimi quattro lustri. Un declino, lento, progressivo, inesorabile, che ha ingoiato le eccellenze e le speranze dei nisseni.
segue a pagina 11
La solenne Concelebrazione Eucaristica della consacrazione è avvenuta sabato 5 aprile nella Chiesa - Cattedrale di Piazza Armerina. Il 27 febbraio è stato eletto Vescovo da Papa Francesco. Monsignor Rosario Gisana, è originario di Modica e il 14 aprile ha compiuto 55 anni. “Voglio conoscere tutti, voglio visitare ogni singolo comune che ricade nel territorio della Diocesi e sapere delle realtà ecclesiali di cui ho cominciato da qualche settimana a prendere visione.” Dopo l’ordinazione il suo primo impegno è stato quello di incontrare i sacerdoti anziani e gli ammalati. di L. Blanco
a pagina 16
Fatti & Politica
PD, da Roma a Caltanissetta: percorso tortuoso di G. Falci
Sport
Il Palmintelli si riaccende con i colori della città
a pagina 8
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a pagina 36
Viale Conte Testasecca, 33 - CALTANISSETTA
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I Fatti di
Etico
La corsa
più pazza del mondo Direzione Editoriale Michele Spena
Direttore responsabile Salvatore Mingoia
Collaborazioni:
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uongiorno amici; la corsa più pazza del mondo ossia la corsa a Palazzo del Carmine oggi ci indica la seguente situazione: approfittando dei disastrosi e incredibili problemi dei loro avversari
guidano la gara in un testa a testa furioso Clyde e la sua banda e l’Armata Speciale del
soldato Meekly. Clyde Michele Giarratana e Meekly Giovanni Magrì non accusano pause o debolezze e tirano dritto verso il traguardo. La banda dell’ingegnere parti-
ta subito in testa mantiene il vantaggio con un’organizzazione che Clyde controlla da par suo. Nes-
suno osi mettere in discussione la leadership del gangster. Qualcuno ha ipotizzato timidamente a introdurre in piena competizione discorsi di democrazia partecipata. Clyde è stato subito d’accordo: l’importante che guidi lui la performante vettura n. 7. Discorso chiuso. Il mite soldato
Meekly assecondando il guerrafondaio sergente Blast, Giancarlo Cancelleri, controlla a dovere la vettura n.
6. Si aspetta il rinculo del cannone ma Meekly sarà in grado di tenere in strada questo bolide? Ma cosa succede alle loro spalle? Vediamo scorgere una sagoma mostruosa: mai vista una cosa simile. Ehi ragazzi, state violando le regole della corsa, cosa state combinando? Si presentano travolgenti: Peter Perfect, il damerino della gara, Gianluca Miccichè, con la vettura n.9, un sei cilindri adatto a questo tipo di competizioni che dopo una tattica di esasperante attesa, ha messo alla guida Giovanni Ruvolo il suo staff “civico” e, a traino, il Diabolico Coupè che, dopo mille problemi all’avviamento, gli immarcescibili Big e L’Il, Gallé e Lo Maglio, hanno deciso di agganciare a Peter Perfect. Seguire la scia del biologo si presta a molteplici rischi a causa dell’affidabilità precaria del drago che stanno usando come propulsore. I tanti pipistrelli attorno al Polo Civico infatti potrebbero inceppare il motore e lasciare in panne il delicato Coupè nel più bello della gara.
Ivana Baiunco Marco Benanti Liliana Blanco Rino Del Sarto Alberto Di Vita Etico Fiorella Falci Giuseppe Alberto Falci Filippo Falcone Salvatore Falzone Franco Infurna Annalisa Giunta Lello Kalos Donatello Polizzi Alberto Sardo Lorena Scimé Giuseppe Taibi Giovanbattista Tona Michele Spena
Impaginazione Antonio Talluto
Distribuzione
Giuseppe Cucuzza
Redazione Viale della Regione, 6 Caltanissetta redazione@ilfattonisseno.it Tel/Fax: 0934 - 594864 pubblicità: 389/7876789 commerciale@ilfattonisseno.it
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Disoccupati all’arrembaggio Non curante della tattica dei suoi avversari prosegue intanto la sua marcia la vettura n.10 guidata da Rufus Ruffucut, alias Gioacchino Lo Verme. Il rude boscaiolo aziona le sue se- ghe circolari segando qua e la il centrodestra. Approssimazione nella guida, assistenza precaria ma grande efficacia nel rendimento. Non ci meraviglieremmo di vederlo sul podio. Ma cosa succede alle spalle dei battistrada? Appostiamoci e attendiamo il loro passaggio. Nessuna notizia di Red Max Fausto Marchese che dopo avere accusato ingiustizie e sabotaggi soprattutto da parte del Diabolico Coupè ha perfino inscenato uno sciopero della fame. Da allora silenzio per cui temiamo un malinconico ritiro. Arranca nelle retrovie lo scoppiettante sonnecchiante Luke Rudy Maira; la vettura n.8 non sembra competitiva e per giunta rischia qualche errore di percorso. La vediamo dura caro vec-
Come in Formula 1 impazza il mercato dei piloti: bookmakers in crisi. Chi vincerà la gara per la poltrona di Palazzo del Carmine? chio Luke. Fuori gara ormai o comunque senza nessuna possibilità di recupero il Professor Pat Pending, Sergio Iacona, in attesa sempre che il suo brevetto possa essere approvato; potrebbe esserci una clamorosa sostituzione in corsa con il suo fratello maggiore? Non è prevista dagli autori ma il colpo di scena in questa avvincente competizione non è mai da escludere. Ma tutti vi chiederete dove sono finiti
Dick Dusterly e il suo fido Muttley? “Accidenti accidentaccio”, echeggia la voce acida di Dusterly mentre Muttley ghigna senza capire in effetti cosa stia succedendo. La tattica di gara si è rivelata ancora una volta sbagliata e il continuo sabotaggio agli avversari non ha avuto l’effetto desiderato. Dusterly impreca e intima: “Muttley fa qualcosa!!” ma la vettura 00 non riesce nemmeno a mettersi in moto mentre scorrono i titoli di coda.
Sotto le elezioni amministrative per eleggere il sindaco ed il nuovo consiglio comunale c’è un grosso bacino di elettori che potrebbero essere determinanti ai fini della competizione elettorale. Sono sospesi tra l’avviamento al lavoro o restare candidati alla disoccupazione: si tratta di poco meno di trecento tra giovani e meno giovani, uomini e donne, ma tutti con un grosso carico familiare alle spalle, per cui il bacino elettorale si amplia a dismisura. Una platea di bisognosi che dovrebbero essere imp egnati rispettivamente nei cantieri di servizio, circa 150 lavoratori, e di un centinaio di lavoratori, invece, quelli che dovrebbero essere avviati alla fase sperimentale del “lavoro solidale” la cui graduatoria è stata ultimata. C’è fame di lavoro ed i numeri delle richieste di partecipazione alle due iniziative messe in campo dal comune rappresentano bene la triste realtà della disoccupazione: oltre 1500 le domande presentate per partecipare alla fase sperimentale del “lavoro solidale” e altrettante le richieste presentate per i cantieri di servizio. Nell’uno e nell’altro caso molti sono stati eliminati perchè titolari di reddito. Parliamo di redditi miserevoli con cui si riesce appena a sopravvivere. Ma, la burocrazia non ha un cuore, per cui molte delle istanze presentate sono passate sotto la lente di ingradimento dei funzionari dell’Ufficio Solidarietà Sociale per
una verifica dei requisiti dichiarati che non sono risultati corrispondenti alla direttiva emanata dall’assessore regionale, per cui sono stati tagliati fuori. Il Comune, per fare in fretta e battere sul tempo l’assessore alle Politiche Sociali, in precedenza aveva disposto il trasferimento provvisorio di due dipendenti da altri uffici per dare man forte agli uffici della Soli-
darietà Sociale di via Mauro Tumminelli, alla scopo di esaminare celermente le richieste dei lavoratori e la relativa documentazione, ma non è servito a molto. Di recente, invece, sempre su impulso dell’assessore Peppe Firrone il segretario generale del comune ha messo in piedi due task force di dipendenti comunale per ultimare le rispettive graduatorie dei cantieri di servizio e del lavoro solidale. Stanno lavorando. La regione, che ha finanziato i cantieri, ha già disposto uno stanziamento di circa 600 mila euro a fronte di nove progetti presentati dal comune. I lavoratori saranno impiegati per un periodo di tre mesi; si tratta di soggetti disoccupati e inoccupati, che
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Palazzo del Carmine
di Salvatore Mingoia dovranno prestare la loro attività in ambiti che interesseranno la manutenzione del verde pubblico, la manutenzione della segnaletica stradale, lo spazzamento di vie e piazze e altre piccole opere. Secondo la normativa regionale, potranno essere avviati al lavoro nei canteri i soggetti in possesso di reddito comunque percepito e da chiunque erogato, non superiore però 442,30 euro, corrispondente all’assegno sociale per l’anno 2013. Per dare vita al lavoro solidale il comune tramite l’assessore Firrone ha scovato tra le pieghe del bilancio la somma di novantamila euro destinati a pagare le mensilità delle prestazioni lavorative in cambio del consueto contributo che abitualmente il comune concedeva in favore dei bisognosi iscritti negli elenchi della Solidarietà Sociale. Un modo diverso di affrontare il problema del disagio economico con prestazioni lavorative in alternativa al semplice sussidio. Si tratta di piccoli lavori che riguarderanno essenzialmente, la manutenzione del verde pubblico, degli edifici di competenza comunale e guardiania delle ville. Il valore della prestazione e di circa 7,50 euro netti all’ora per cui a fine mese la cifra sarà vicina ai seicento euro. Ma, ce la faranno i nostri eroi a chiudere la partita del lavoro prima delle prossime amministrative?
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Storia & Cultura
Fatti contro la mafia
per non dimenticare
Quando la “famiglia” rovina le famiglie Quelle sconosciute vedove che accusarono senza paura i mafiosi e i loro complici
di Giovanbattista Tona
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hi entra a far parte di un’organizzazione mafiosa sente dirsi che appartiene ad “una famiglia”; dinanzi ad essa tutto passa in secondo piano, persino la famiglia vera, quella degli affetti. Questa feroce fedeltà ha portato alcuni mafiosi anche ad uccidere amici o a rassegnarsi all’omicidio di parenti, eliminati sol perchè avevano tradito la “famiglia”, quella che, pur non essendo la vera famiglia, veniva considerata al di sopra di essa. Ma i rapporti di parentela o quelli comunque affettivi non sempre recedono dinanzi ai vincoli mafiosi e alcune storie lo dimostrano: la mamma di Peppino Impastato, Rita Atria,
problema doveva risolverlo lui; Tavolacci ci andò e portò l’”ambasciata” di Ferrante. Giovanni Palazzo disse di non essere in grado di ritrovare le bestie e lo congedò; quando arrivò a casa, la moglie Lucia Streva lo vide molto preoccupato. Palazzo le raccontò dopo tempo di quella richiesta e della risposta che aveva dato; ma il vero motivo di tensione era che da allora Ferrante aveva rifiutato di incontrarlo. Un vecchio rapporto giudiziario dei Carabinieri datato febbraio 1978 ci racconta che il furto era stato commesso da Ignazio Bellone di Mezzojuso, Benedetto Panzica e Leoluca Puccio di Corleone: costoro aveva-
che avevano notato le inquietudini dei loro uomini e avevano sentito dire ad essi quelle frasi indiziariamente essenziali per la ricostruzione dei fatti. Lucia Streva era la moglie di Giovanni Palazzo, ma tutti i suoi legami familiari erano connotati da mafiosità: suo padre Arcangelo Streva e suo fratello Vincenzo erano indiziati mafiosi ed appartenevano al gruppo di Michele Navarra, quello che era stato il capo di Luciano Liggio e che poi da Liggio era stato ucciso per prenderne il posto. I “navarriani” erano quindi perdenti. In un primo momento la Streva disse di non sapere niente. Poi ai Cara-
dinanzi a quelle dichiarazioni della figlia e le confermò, anche se cercò di ridimensionare gli scenari nei quali i fatti si erano verificati. Liboria Puccio era moglie di Onofrio Palazzo e ruppe anche lei il silenzio; dopo di lei tutti i suoi figli, Giuseppa, Salvatore e Giovanni, la seguirono su questa strada. Leoluchina Bruno era la moglie di Marco Puccio e raccontò delle inquietudini del marito per la storia di quegli animali e per la lunga teoria di morti che ne era seguita. La Bruno riferì questi fatti ai Carabinieri e li confermò al Giudice Istruttore, persino quando fu messa a confronto con il cognato Leolu-
che dice queste cose e muore”, “queste cose non le dire fuori, perché ne vale della tua vita”. Leoluchina Bruno aveva già riferito ai Carabinieri di temere che potesse capitare qualcosa a suo cognato e probabilmente anche lei in quel modo voleva salvargli la vita. La donna riferì al giudice un’importante circostanza a carico di Leoluca Bagarella (quello che poi sarà un protagonista della guerra di mafia degli anni “80 e “90), cioè che il cognato gli aveva detto di averlo visto nei pressi del luogo teatro dell’omicidio di Giovanni Palazzo; purtroppo l’atteggiamento di Leoluca Puccio fu vago e reticente sul punto, perché sostenne
binieri spiegò francamente che era convinta che nessuno volesse colpire i più potenti esponenti della mafia vincente; poi però decise di dire quanto sapeva solo perché ebbe l’impressione che vi fossero le condizioni per colpire i responsabili dell’omicidio del marito. Lucia Streva assistette a tutti contatti intrattenuti dal marito a causa delle richieste pressanti di restituzione degli animali e riferì agli inquirenti una sua frase sintomatica: “è una tragedia, vogliono pulire il coltello su di me”. Arcangelo Streva, mafioso, si trovò
ca Puccio, fratello di Marco e pure indiziato dello stesso abigeato. In quell’occasione si assistette ad una strana discussione tra due congiunti della stessa vittima della lupara bianca: la donna continuò a fornire elementi per l’individuazione dei responsabili del delitto, il fratello di Marco Puccio ritenne invece di adoperarsi per tutelare la vita sua e dei suoi parenti superstiti, finendo per dire alla cognata in maniera disperata e pure in presenza di un giudice che verbalizzava: “non dire niente, perché nello stesso carcere c’è gente
di aver saputo il fatto dalle voci di paese. La Bruno fu esposta così a pericolo dalla sue stesse accuse e dall’atteggiamento del cognato; e così per ovvie ragioni di procedura Bagarella fu assolto. A causa delle reticenze di quegli uomini, che si misero di traverso a quelle donne coraggiose, i mafiosi riuscirono a farla franca in quell’occasione; ma cominciarono a capire che la loro falsa “famiglia” non può stare al di sopra di tutto.
In quell’occasione i mafiosi riuscirono a farla franca, ma cominciarono a capire che la loro falsa “famiglia” non può stare al disopra di tutto le moglie e i figli degli assassinati che hanno preferito tutelare la memoria dei congiunti piuttosto che rispettare la regola di omertà. Secondo l’opinione comune, queste storie confermano la regola: i vincoli di mafia sovrastano quelli di sangue e quelli di sangue prendono il sopravvento e cancellano quelli mafiosi solo in presenza di una scelta forte e radicale. Da diversi episodi giudiziari invece si potrebbe concludere che i vincoli mafiosi e i vincoli di sangue convivono pariordinati grazie ad un forte collante culturale, ma sono minacciati da qualsiasi imprevista alterazione degli equilibri affettivi. C’è un esempio poco noto, che lo dimostra e che si inserisce nella prima fase della cruenta guerra di mafia del gruppo di Luciano Liggio contro quello di Michele Navarra a Corleone. La notte del 27 giugno 1977 tale Nicolò Tavolacci di Mezzojuso subì il furto di quindici buoi; fece la denuncia ai Carabinieri, ma, per come si usava (e si usa ancora), si rivolse ad un mafioso di Prizzi, Giovanni Ferrante, per recuperarli illegalmente. Ferrante lo indirizzò da un pastore, tale Giovanni Palazzo, facendogli intendere che il
no poi consegnati effettivamente gli animali a Giovanni Palazzo, Onofrio Palazzo e Marco Puccio. Il tutto con il consenso del capomafia di Mezzojuso Salvatore La Gattuta. Diversi degli autori di questo abigeato erano tra loro parenti: Marco Puccio era cognato di Onofrio Palazzo e fratello di Leoluca Puccio. L’abigeato e la mancata restituzione dei bovini furono considerati da Ferrante e dai suoi alleati che erano fedeli al corelonese Luciano Liggio un mancato riconoscimento della loro autorità sul territorio da parte del capomafia La Gattuta e soprattutto di quelli che ritenevano di rubare bestiame chiedendo solo il permesso di costui e non anche dei liggiani. Questo sgarbo fu punito con una sproporzionata rete di omicidi e lupare bianche. In pochi mesi sparì Onofrio Palazzo, poi Giovanni Palazzo fu ucciso a colpi di pistola sulla piazza di Corleone, quindi venne assassinato Salvatore La Gattuta e infine nel gennaio 1978 si persero le tracce di Marco Puccio. Le piste di indagine per i Carabinieri nell’impenetrabile contesto corleonese le fornirono le vedove, le donne
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Gela & dintorni Politici ed amministratori avevano detto no ai parchi eolici. Adesso il fronte si è spaccato di Franco Infurna
Eolico offshore,“cambia” il vento D
a Niscemi a Butera, dai “No Muos”, contro i campi magnetici del sistema satellitare di comunicazione ad altissima frequenza, ai “No Peos”, contro i parchi eolici offshore (fuori costa) per la produzione di energia elettrica dal vento. Sono i cittadini siciliani che scendono in piazza a difendere il proprio territorio dalle varie forme di inquinamento ambientale che interessi di tipo economico o strategico-militare stanno causando alla Sicilia. Così, mentre sono ancora vivi gli echi delle manifestazioni (a volte con scontri) davanti alla base americana di contrada Ulmo, prende corpo la controversa realizzazione del progetto dei parchi eolici nel Mediterraneo di fronte alla costa che va da Gela ad Agrigento, con al centro le acque di Marina di Butera, di Licata e di Marina di Palma di Montechiaro. Vittorio Sgarbi, quando fu sindaco di Salemi, li definì “ladri della bellezza colpevoli, con i loro impianti invasivi, di deturpare il paesaggio della Sicilia”. Rosario Crocetta, ex sindaco di Gela, oggi governatore della Sicilia, ha detto che: “Vogliono rubarci anche l’incanto del paesaggio, che è l’ultima cosa rimasta in una Sicilia martoriata dalla mafia, dalla criminalità, dalla speculazione, dall’ignoranza”. Salemi è riuscita a vincere la sua battaglia bloccando l’eolico a terra. Ora toc-
ca a questo territorio. E proprio a Licata e a Butera, si sono costituiti comitati di lotta contro questi impianti. Nel Licatese, in particolare, la mobilitazione è generale. La guida Salvatore Licata, ex tecnico dell’Eni nel petrolchimico di Gela, ed ex dirigente della Cisl. E’ stato lui a fondare il movimento “No Peos”. A Gela, politici e amministratori hanno detto subito “No” ai parchi eolici ma la gente non ha recepito subito la portata della minaccia ambientale. Se n’è parlato nei vari blog sul web, all’interno delle associazioni e tra gli ambientalisti, ma il problema solo da poche settimane è diventato un vero allarme condiviso. Il dibattito si è acceso fino ad arrivare alla costituzione del primo gruppo di attivisti “No Peos”, con il pittore, Giovanni Iudice, il presidente del gruppo archeologico “Triskelion”, Giuseppe La Spina, e altri. Ma c’è ancora tanto da fare perché ovunque si incontra diffidenza e poca informazione. I timori della gente e degli amministratori sono cresciuti negli ultimi anni, quando due progetti (poi diventati tre), con relative richieste di autorizzazione, sono stati depositati nei comuni interessati, alla Regione Sicilia, e al ministero al territorio e all’ambiente. Il sindaco di Butera, Luigi Casisi, si è detto sempre irremovibile. “Abbiamo investito sul turismo balneare e sull’ambiente
– diceva – perciò diventa un delitto piazzare degli eco-mostri ad appena tre miglia dalle coste che vogliamo valorizzare”. Ma poi sarebbero arrivate le offerte allettanti delle compagnie ai comuni e Butera avrebbe rinunciato alla sua battaglia. Lo ha detto l’avvocato Stefano Polizzotto durante il consiglio monotematico del 4 aprile a Gela. “Butera e la provincia di Caltanissetta – ha comunicato - si sono ritirati dal coordinamento di enti locali che lottano contro i parchi eolici”. Per Butera l’Enel-Moncada avrebbe offerto royalties pari a un milione di euro l’anno. Che per un comune così piccolo e pieno di debiti sono soldi. E Casisi avrebbe smesso di lottare. Infatti non c’era alla seduta consiliare del 4 aprile, a Gela. Ma sono così orripilanti questi complessi produttivi? Certo, affacciarsi sul Mediterraneo per ammirare l’orizzonte, l’azzurro delle acque, e vedere invece 310 torri eoliche che ti spuntano come funghi per un’altezza di 100-120 metri dal pelo libero del mare, non deve essere lo spettacolo affascinante che uno si aspetta. E tuttavia bisogna fare delle scelte. A Copenaghen ce l’hanno davanti al porto, a poche centinaia di metri dalle spiagge, proprio sotto gli occhi. “Avere energia rinnovabile ecocompatibile comporta pure qualche
sacrificio, un prezzo minimo da pagare”, dice Legambiente. “Perciò, senza pregiudizi e nell’interesse generale – si legge in una sua nota – chiediamo un confronto serio con le istituzioni e le aziende per discutere dei progetti eolici off-shore” dicendosi però subito in disaccordo con la distanza di appena tre miglia dalla costa. La proposta
Il business è grande: 700 milioni per realizzare 309 torri da 1000 megawatt ragionevole sarebbe quella dei 10-12 miglia dalla costa. Le imprese però tendono a contenere i costi e non sono d’accordo. Il business è consistente. Tra investimenti e produzione, le cifre sono di tutto rilievo. In totale si spenderanno più di 700 milioni di euro per realizza-
re 309 torri eoliche su un’area di circa 100 km quadrati con cui produrranno più di mille megawatt, il quadruplo della centrale termoelettrica del petrolchimico dell’Eni, che come è noto va a carbone perché brucia il pet-coke ritenuto inquinante e dunque pericoloso alla salute, malgrado filtri e sistemi di abbattimento di fumi e polveri. Cinquecento i posti di lavoro previsti durante la fase della costruzione del parco eolico; quasi 200 a regime, per la conduzione degli impianti. Senza contare i lavori da realizzare a terra per il collegamento alle reti elettriche di media e alta tensione, che nei prossimi tre anni l’azienda di gestione, Terna, dovrà adeguare all’aumentata produzione di corrente. Si tratta, dunque, di una vera e propria industria dell’energia rinnovabile. Ma visti gli esiti finora assai deludenti del polo agro-fotovoltaico “Il Ciliegino” progettato dalla cooperativa Agroverde, ci sono molte perplessità a Gela e soprattutto fondati timori che poi le pale eoliche possano rimanere obbrobriose vestigia marine dell’ennesima opera incompiuta.
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Opera faraonica ma incombe il Tar
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parchi eolici off shore, per i quali è stata chiesta autorizzazione prima a Palermo poi a Roma, non sono due come si è sempre pensato ma tre. Si estenderanno lungo la costa centro-meridionale della Sicilia,
dal mare gelese di contrada Manfria a quello di San Leone, ad Agrigento, interessando il litorale di Butera, Licata e Palma di Montechiaro. Il progetto più avanzato è quello della “Mediterranean Wind”, che (tra nulla osta e revoche per opposizioni) ha già ottenuto l’autorizzazione finale dal governo Monti. Si attende ora la decisione del Tar di Palermo cui si è appellato il coordinamento composto dai sindaci dei due comuni rimasti a lottare (Gela e Licata) e la provincia di Agrigento. L’area di studio del progetto prevedeva inizialmente un’estensione pari a 78,6 km quadrati, con 113 “aerogeneratori”. Lo spazio è stato poi ridotto a 9,5 km quadrati. I pali eolici sono scesi a 38 con una potenza complessiva installata pari a 136,8 megawatt. Il parco dovrebbe sorgere a due miglia marine, cioè a poco più di tre km e mezzo dalla battigia. Gli altri due parchi eolici off-shore sono considerati in una situazione
di attesa perché sono rimasti alla Regione, a Palermo, malgrado i poteri decisionali siano passati dal luglio del 2009 al ministero dell’ambiente, a Roma. Si tratta di un progetto in jointventure tra l’Enel (57%) e l’azienda “M&A srl”, dell’industriale siciliano, Moncada (43%), molto più ampio di quello della Mediterranea Wind. Questo parco infatti prevede115 pali eolici per una potenza complessiva che varia tra un minimo di 345 MW a un massimo di 575 MW. L’investimento previsto è di circa 500 milioni di euro. L’impianto, a regime, fornirà energia elettrica per 1.150 milioni di chilowattora. Il terzo progetto è stato presentato da un’azienda di Trapani che si chiama “Energie rinnovabili Srl”, che vuole realizzare 156 pali eolici per produrre 470 megawatt di corrente investendo 500 milioni di euro ma che ha come capitale sociale, pensate, appena 20
mila euro. Anche la richiesta di questo parco è ferma ancora a Palermo. La Mediterranean Wind, con l’approvazione da parte del governo nazionale, di un progetto in deroga, ha ottenuto insieme al VIA anche delle modifiche che le permettono 1) di ampliare l’area di Desusino destinata alla costruzione di una sottostazione elettrica; 2) di aumentare sia le dimensioni dei rotori delle pali che l’altezza dei pali (da 135 a 137 metri); 3) l’allungamento del percorso del “cavidotto”; 4) la possibilità di spostare tale percorso rispetto al tracciato originario. Quest’ultimo punto le permetterà di uscire dalla zona Sic-Zps che attraversava nella parte marginale ma che avrebbe potuto permettere ai “No Peos” di impugnare le autorizzazioni. Ora si attende che il Tar di Palermo, il 24 aprile, si pronunci sul ricorso di revoca e sulla richiesta di sospensiva della costruzione dell’opera. F.I.
Ambiente. Il presidente Commissione Senato Giuseppe Marinello: “Al via attività istruttoria”
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ulla realizzazione dell’impianto eolico si registrano numerosi interventi tra cui quello del presidente della Commissione Ambiente del Senato Giuseppe Marinello che, a Gela, aveva preannunciato nuove regole sulle trivellazioni e l’intenzione di prestare massima attenzione sull’installazione dell’eolico al largo delle coste siciliane. Per Marinello “il problema è di grande portata ed interessa non solo Gela e Licata, ma ogni luogo in cui si effettuano investimenti a mare”. “Penso anche alle piattaforme petrolifere che si vuole realizzare soprattutto lungo le coste siciliane - dice - tra l’altro, senza tener conto delle fasce di rispetto. Personalmente - spiega - sono convinto che quando si parla di viluppo economico bisogna avere una visione generale del problema, non bisogna soltanto pensare, ad esempio, alla questione energetica nel caso delle pale eoliche, ma alle potenzialità del territorio. I nostri sono territori che esprimono bellezza, bellezze naturali che sono sempre più risorsa, penso anche alle attività turistiche che meritano di rientrare a pieno titolo
Politica e cittadini a difesa della costa nel terzo millennio”. L’analisi del Presidente della Commissione Ambiente al Senato tiene conto di numerosi elementi, comprese le risorse ittiche. Qualcosa sembra muoversi a Roma. “Personalmente - racconta Marinello - in Commissione Ambiente, per quanto riguarda le trivellazioni e le iniziative delle aziende petrolifere a mare abbiamo già votato una risoluzione che di fatto tende ad attivare una moratoria con particolare riferimento agli idrocarburi liquidi. In riferimento alle piattaforme eoliche devo dire che abbiamo iniziato un’attività di istruttoria. Ho chiesto al Ministero dell’Ambiente di acquisire i dossiere e quanto prima avvieremo un indagine conoscitiva. In quella fase, in Parlamento, voglio udire le popolazioni interessate affinché facciano sentire la loro voce”. Intanto, a Gela, giorno dopo giorno si organizzano riunioni e dibattiti sul tema. L’associazione “per la difesa del golfo di Gela” nata sul web si sta muovendo per coinvolgere tutta
la cittadinanza, compresi gli studenti. Per analizzare il progetto è cominciata anche una campagna di informazione nelle scuole. Giovanni Iudice, portavoce del Mo-
lotta contro l’eolico. Non c’è motivo perché questo offshore possa essere giustificato, nemmeno ai fini occupazionali. Ci sono strutture pronte a licenziare perché gravi sono i disagi e forte è la crisi. L’unico fazzoletto di terra che ci rimane viene devastato. La cittadinanza deve prendere piena coscienza di que-
vimento NoPeos di Gela ha un’idea chiara: “Noi diciamo che partiamo dal basso ma l’azione politica in realtà sono i cittadini, dunque, da noi dipende ogni tipo di scelta. Stiamo lavorando con le associazioni di Butera e di Licata, da tempo sostenitrici della
sto. Gli studenti stanno dando un grande contributo,anche con la manifestazione cittadina. La politica locale ha preso in considerazione questa battaglia convocando un consiglio comunale monotematico e dimostrando di essere con noi”. Sta an-
dando avanti il percorso legale. L’associazione gelese ha nominato un gruppo di avvocati che, insieme a quello già nominato in passato dal Comune, l’avvocato Stefano Polizzoto porteranno avanti le ragioni dei territori interessati dal progetto. Dunque, cosa si può fare? L’avvocato Giovanni Puntarello spiega: “le amministrazioni interessate si sono già impegnate nel proporre un ricorso al Tar. Le associazioni possono esperire un ricorso ad adiuvandum, stiamo valutando se fare anche un ricorso autonomo per dare ulteriore forza all’azione promossa degli Enti territoriali”. Per Puntarello “c’è un difetto di istruttoria della procedura che è stata definita con questa autorizzazione perchè non si sarebbero valutati quali sono gli impatti sullo sviluppo economico che questo territorio avrebbe potuto avere nei prossimi anni. Inoltre è certamente singolare che non si sia valutato il fatto che in questa area siano stati rinvenuti numerosi reperti la cui presenza ci conferma che stiamo parlando di una zona di primario interesse dal punto di vista archeologico”. Lorena Scimè
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Il punto politico Il Partito Democratico è “spaccato” dalle correnti
Mischia
“MASCHIA”... di Giuseppe Falci
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a Roma a Caltanissetta, passando per Palermo e Catania, è tutto un pullulare di “correnti”. Correnti che starebbero dilaniando un partito, frutto di un compromesso fra due anime che per anni si son fatte la guerra. Un compromesso che uno come Massimo D’Alema tenne a definire “un’amalgama mal riuscito”. Benvenuti nel fantastico mondo del partito democratico, dove, se non appartieni ad una “corrente”, o se preferite ad un’area, sei uno sfigato. Punto. In Transatlantico, luogo dove si raccontano i segreti del Palazzo, i parlamentari democrat si addensano per correnti. Così in un divanetto trovi i dalemiani (esistono ancora?), a debita distanza un capannello di renziani, o di franceschiani, o di bersaniani, fino ad arrivare al povero Pippo Civati, anima pia del Nazareno che fa corrente a sé. Né con gli uni, né tanto meno con gli altri. Solo. Ecco la rappresentazione macroscopica e plastica del partito democratico. Un partito, oggi guidato da Matteo Renzi - il velocista fiorentino che nel frattempo ha scalato Palazzo Chigi - un partito che settimanalmente si divide su ogni argomento: si chiami legge elettorale, si chiami riforma del Senato, o si chiami “jobs act”. Non importa. Il comandamento del pensiero democratico è uno ed uno solo: far prevalere l’interesse correntizio purché non prevalga quello dell’avversario interno. E questo atteggiamento vale ad ogni latitudine del Paese, e riguarda persino Matteo Renzi. Colui che avrebbe voluto cancellare la parola “corrente” dal dna del Pd si muove da capocorrente quando costituisce la segreteria politica di Largo del Nazareno, oppure quando sceglie i nomi dei ministri che lo avrebbero dovuto affiancare. «Nei posti chiave i miei - è il leit motiv dell’esindaco di Firenze, agli altri le scartoffie». Sì, Per
avvalorare questa tesi i (suoi) fedelissimi - siano peones o di alto rango - antepongono prima di ogni affermazione la seguente: “Noi renziani ...”. Come a voler rimarcare la distanza dalla restante parte della galassia democratica.
Loro, i puri di sangue, non contaminati da anni di lotte intestine all’interno del Pci-Pds-Ds. Loro, che hanno portato le slides a Palazzo Chigi, a Montecitorio, e a Largo del Nazareno. Loro, giovani, belli e intelligenti, che vogliono accelerare il processo legislativo, facendo finta di tagliare le province - le hanno semplicemente svuotate - o riformando la Camera Alta dello Stato alla maniera di un Berlusconi. E gli altri, dove sono finiti? Avrebbero dovuto ripartire da quel 30% racimolato da Gianni Cuperlo e Pippo Civati. Un 30% che avrebbe consentito di ripartire, di rappresentare quella parte di società democrat che non si potrebbe mai riconoscere in Matteo Renzi, e nella forma di partito renziana. No, sarebbe stato troppo semplice ripartire dalla sconfitta dell’otto dicembre scorso. No, infatti. La restante parte si è già divisa in tre sotto-correnti: i “diversamente renziani”, i “riformisti”, e i cuperliani. Divisioni e correnti che si riflettono a
livello regionale e comunale, alimentando rancore e odio. E qui, adesso, torna in mente la farsa tutta siciliana per la composizione delle liste delle europee. Con il Pd siculo che propone dei nomi, il Pd nazionale che ne propone altri ancora, e Rosario Crocetta - campione dell’antimafia che rilancia il sodale compagno di avventure, ma pur sempre paladino della legalità, Beppe Lumia. Lamentandosi ogni oltre modo con il
correnti, al punto che il vice segretario nazionale Lorenzo Guerini congela il caso “liste Sicilia”, troppo complicato spiegare in diretta streaming cosa stia
Pd nazionale per la scelta di Caterina Chinnici, rea di esser stata assessore dell’ex re di Sicilia, Raffaele Lombardo. Un nome impronunciabile oggi fra le fila dei democratici siciliani. Non sia mai pronunciare quelle due parole una dietro l’altra. Non sia mai ricordare che per ben quattro anni il Pd ha corteggiato il principe di Granmichele, considerando, di fatto, il Movimento per l’Autonomia (Mpa), una costola della sinistra. Insomma, dicevamo, è tutto un pullulare di personalismi e
succedendo in quella terra figlia di Pirandello. E preferisce, quindi, riman-
Anche il PD nisseno è diviso in macro e micro-fazioni. Rampante l’approccio dei giovani “renziani”
dare ad un’assemblea regionale delle prossime ore. Tutto ciò a pochi giorni dalla chiusura della liste della competizione europea. E tutto ciò, soprattutto, a pochi giorni dalla chiusura delle liste per le amministrative. E qui si arriva a Caltanissetta. Altra città, altro Pd diviso in macro e micro-fazioni. Il cliché, se vogliamo chiamarlo così, è sempre lo stesso. I renziani - (qui la corrente si chiama “Big Bang” facendo il verso alla seconda Leopolda di Renzi del 2011) avrebbero voluto scalare il partito, ma sarebbero stati frenati dalla vecchia guardia. Mentre la vecchia guardia, divisa in due blocchi, non avrebbe digerito l’arroganza “dei giovanotti renziani”. In sintesi è questo lo stato cose. Questa la versione dei fatti che riferiscono al cronista. Tutto ciò in barba agli elettori nisseni. Che probabilmente si sarebbero attesi dagli eredi della sinistra nissena un atteggiamento differente. Un atteggiamento costruttivo che avrebbe dovuto consentire di costruire un’alternativa seria e autorevole dopo cinque anni disastrosi del centrodestra a Palazzo del Carmine. Invece, udite, udite, a pochi giorni dalla chiusura delle liste regna il caos. Il Pd non avrà un candidato sindaco democrat. Per di più, è l’accusa che arriva dai piani alti del Nazareno, non ha svolto (volutamente?) le primarie per la selezione del sindaco. Sarà costretto a sostenere una lista civica che proprio cinque anni fa impedì allo stesso Pd di scalare Palazzo del Carmine. Meraviglioso. Twitter: @GiuseppeFalci
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Fatti & Settimana Santa
“Splende” la Cena Il restauro completato grazie ad azienda nissena
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agnetiche, imponenti, bellissime. A pochi metri da noi i personaggi, le figure, del gruppo sacro “La Cena”, scomposte, suddivise e poggiate sul pavimento. La vivificante sensazione che la “grande bellezza” prenda sostanza, pervada l’aria, che la Settimana Santa rappresenti il dna degli abitanti di Caltanissetta: … la grande Nissenità. E’ stato completato il restauro dell’ultima Cena, una vicenda, una storia che ha assunto i contorni del romanzo e che merita di essere raccontata in ogni sua sfaccettatura. Tutto inizia allorquando il ceto dei panificatori, proprietario del Gruppo Sacro “La Cena” realizzato da Francesco e Vincenzo Biangardi nel 1885, decide di svolgere il restauro e scelgono Alessandro Maria Barrafranca, apprezzato e stimato esperto di storia locale, come direttore dei lavori che per il suo impegno ha rinunciato al compenso. L’opera è affidata alla ditta “La Partenope” di Elena Vetere. Durante lo svolgimento dei lavori si verificano degli imprevisti, in merito al reperimento dei fondi, che praticamente azzerano la disponibilità del ceto. La situazione precipita improvvisamente, il restauro è già iniziato ma non può essere completato e all’orizzonte non si profilano soluzioni adeguate. La drammatica fase di stallo è stata interrotta dall’intervento della P.F.E. Spa di Totò Navarra, l’imprenditore nisseno, innamorato della sua città e supportato dal figlio Salvatore, che ha deciso di farsi interamente carico della spesa. Il 14 di febbraio 2014, coinci-
denza vuole sia S.Valentino il giorno della festa degli innamorati, si firma il contratto. Il restauro riprende. Vincente e per certi versi affascinante si rivela la decisione di Alessandro Maria Barrafranca di far svolgere il restauro, non in una fredda e asettica
Il lavoro è stato svolto presso una sala della biblioteca Scarabelli: tanti i visitatori stanza chiusa ma, in una sala della biblioteca Scarabelli, messa a disposizione dall’Amministrazione Comunale. La scelta del sito non è casuale come ci spiega il direttore dei lavori: “Perché in questo luogo? Sino al 1882 nel cortile erano sistemati e allestiti i Gruppi, antecedenti a quelli realizzati dal Biangardi, che poi uscivano da qui. Il luogo è impregnato di Settimana Santa. Vedete quel monogramma sul muro è il simbolo di due congregazioni, quella della Santissima Bambina che diede origine alla processione del Gesù Na-
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zareno e quella della purificazione Maria SS. Detta della “Candelora”, di cui faceva parte tutta la Real Maestranza”. Mentre ascoltiamo le interessanti spiegazioni di Barrafranca il nostro sguardo non riesce a staccarsi dai giganti, opere polimateriche, che silenziosi osservano, meditano e pazienti attendono il loro turno di restauro. Alcuni già restituiti all’antico splendore, altri puliti e in attesa di ritornare a brillare. Inutile nascondere che a rivedere il restauro, ci siamo tornati parecchie volte. E’ stato emozionante seguire, momento dopo momento, il certosino e paziente lavoro delle restauratrici, che con tocco lieve, accendevano i colori. Il restauro ha interessato la rimozione della stesura pittorica sovra messa e una
dettagliata pulitura dei numerosi ritocchi ad olio, sui visi, sulle mani e sui piedi delle tredici sculture che presentavano, inoltre, danni sia
In alto le due sezioni del Cristo della cena, a sinistra in fase di restauro a destra a lavoro completato.
Rimossa la sovra-pitturazione. Pulitura e ritocchi ad olio, sui visi, sulle mani e sui piedi delle tredici sculture di Donatello Polizzi di natura antropica che chimica. Dalle prime indagini diagnostiche, compiute è subito emerso che il gruppo sacro in questione, con le sue statue polimateriche, appariva ricoperto da una pittura vivace tipica dell’arte presepiale napoletana di
fine Ottocento, la quale, attraverso gli effetti cromatici, poneva in rilievo le forme volumetriche delle sculture e della loro gestualità Altra scelta vincente, dare la possibilità ai nisseni di assistere al restauro. Abbiamo visto tantissime scolaresche, giungere in visita. La scena dello stupore di chi entrava in quella stanza si è ripe-
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L’Editoriale
Studenti affascinati e ammutoliti dalla maestosità dei “Giganti” del Biangardi tuta costantemente ma ogni volta ci ha sorpreso. Sentivamo il vociare dei ragazzi nel cortile ma appena entravano nella sala, il silenzio, quasi irreale, li rapiva. Rimanevano immobili, folgorati dal fascino dell’opera, ascoltando le spiegazioni. Non staccavano, neanche per un attimo, lo sguardo dalle statue. Gli scolari, guardano quei volti severi, austeri, quelle mani che si protendono nell’aria in maniera misteriosa, di difficile interpretazione perché manca la coralità dell’insieme dei personaggi disposti intorno alla tavola. Ognuno sembra emergere prepotente nel suo essere autonomo, esaltato dalla luce intensa delle lampade utilizzate per il restauro che crea un gioco di luci e ombre, unico, irripetibile. I fari sono spostati, le ombre si modificano, il silenzio regna, avvolge, abbraccia, quasi soffoca. Nessuno parla, si ha la sensazione di disturbare gli apostoli, quasi che qualcuno di essi possa destarsi e intimare il silenzio. I bambini escono nel cortile frastornati, ubriachi di bellezza, intenzionati a non mancare al Giovedì Santo per rivedere i “giganti”, al loro posto, sulla “Vara”.
Sopra una fase del restauro. A destra, il direttore dei lavori Alessandro Maria Barrafranca
Rimaniamo seduti nell’angolo per ore a scrutare quelle fattezze, a noi conosciute, per averle viste sfilare in tante occasioni ma nuove per la vicinanza e per la brillantezza che gradualmente le avvolge. Si avverte, si respira la sacralità, l’orgogliosa ostentazione, del
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segue dalla prima
...Nisseni autolesionisti nisseno che può affermare, questa è la mia “Vara”. Ogni gruppo sacro non è proprietà del ceto di riferimento, ma dell’intera cittadinanza, di tutti coloro i quali, riconoscono nei riti della Settimana Santa, il più autentico senso di appartenenza alla città, alle sue tradizioni, alla sua storia, alla sua religiosità. Giunge l’ora di chiusura, le restauratrici ripongono i pennelli, la tavolozza dei colori, spengono i fari, il buio avvolge le regali figure, nell’ombra s’intravedono appena i contorni, le forme si attenuano, la brillantezza è ingoiata dalle tenebre. Usciamo nel cortile, è già buio, ci giriamo per un istante: i Gruppi Sacri non sono solo statue di cartapesta, la Settima Santa non è …solo una settimana, sono simboli imperituri della nostra storia che ogni anno si rinnovano. Quest’anno la “Cena” si è rinnovata come non mai: è tornata a splendere.
C’erano una volta i cinque archi In origine, nella “Cena”, alle spalle delle tredici sculture, che compongono la Vara erano montati cinque enormi archi, dai quali pendeva uno scintillante lampadario in cristallo: l’impatto visivo era imponente, maestoso, da togliere il fiato. Per questo motivo il gruppo sacro venne denominato “u palazzu cà camina”. Infatti, durante la sfilata del 1885 la Vara in più occasioni urtò alcuni balconi della via Berengario Gaetani, zona comunemente denominata “u cassariddru”. Il “fatto” colpì la popolazione e per questo motivo lo stesso Biangardi nel 1886 decise di togliere gli archi, e il lampadario, dei quali si è persa ogni traccia e dei quali non esiste una fotografia, disegno, traccia o raffigurazione pittorica. Non traggano in inganno i 7 archi presenti sulla “Cena” dei piccoli Gruppi Sacri (vedi la foto in alto) ; intanto gli archi sono sette (e non cinque) e poi la Variceddra venne realizzata nel 1958 da Salvatore Capizzi che era nato nel 1907 e che dunque aveva soltanto sentito raccontare degli archi e del lampadario … del mistero.
Trasloca l’amaro Averna, presto probabilmente ceduto ad acquirenti stranieri, ha chiuso il “mitico” Caffè Romano, il corso Vittorio Emanuele è un triste percorso incupito da locali vuoti e da polverosi annunci di affittasi, l’università boccheggia, il nostro essere capoluogo di Provincia è un nostalgico titolo, una fotografia in bianco e nero, la nostra classe politica (dirigenti di partito e eletti) ha la stessa credibilità di Peppa Pig, la squadra calcistica simbolo della Città (la Nissa) è stata distrutta e mortificata da un gruppo di sette nisseni: l’elenco sarebbe ancora lungo, ma tutti lo conosciamo ed è inutile fare esercizio di inutile e vana autocommiserazione, noi nisseni ci siamo sempre fatti male da soli. Il tempo delle vacche grasse, dei soldi pub-
tessuto sociale incantato dalle belle automobili, dai vestiti alla moda, dal mito di una borghesia che non esiste più, mentre le mense dei poveri sono piene, le attività commerciali abbassano la saracinesca, le finanziarie sono travolte dall’insolvenza e dove alberga e cresce la ludopatia, il mito del sei al superenalotto, l’infernale speranza del gratta&vinci o della scommessa “vincente”. La rinascita passa intanto dal cambio di mentalità dei nisseni che non abbiamo più nessuna idea del vivere civile: basti guardare i modi in cui posteggiamo le auto o i marciapiedi invasi dalle feci dei cani, frutto dell’indecenza morale di padroni più animali di ciò che conducono al guinzaglio. Non possiamo non citare il meditativo silenzio che ci
blici a iosa, delle raccomandazioni, è stato spazzato via dalla crisi economica e dal mutato assetto sociale. Di fronte a noi il bivio è definitivo e la decisione non rinviabile: proseguire nella discesa, nella perdita di ogni identità nissena e rassegnarsi a sopravvivere ai margini, oppure azzerare tutto e iniziare a costruire un progetto di città nuova, vivibile, degna e con una chiara identità da difendere ed esaltare. Non dobbiamo compiere l’errore, facile in tempi di deriva populista, di arrenderci all’anarchia o al qualunquismo, di ritornare a farsi beffa delle responsabilità individuale al grido di “Piove, governo ladro”. Le responsabilità non possono essere esclusivamente caricate sulla nostra classe politica, mediocre e farisea, perché quella classe politica è il prodotto delle nostre scelte. Dobbiamo scavare nelle nostre colpe, di un
avvolgerà il 25 maggio, allorquando nella tranquillità della cabina elettorale, dovremo scegliere di votare per coscienza oppure con ignominia, continuare ad alimentare la bassezza del voto di scambio o dell’amico o ancor peggio dell’amico … dell’amico. I presupposti non sono incoraggianti, si vedono aspiranti al consiglio comunale che hanno iniziato la campagna elettorale senza neanche sapere chi sia il loro candidato sindaco: questi personaggi, fate un favore alla città, non votateli. Chissà se sia possibile restaurare il senso civico, l’intelligenza, l’onesta: se possa essere sufficiente un colpo di pennello. Non lo sappiamo, ma speriamo che il pennello dell’etica, del buon senso, della civiltà, torni a disegnare colori armonici e brillanti nel cuore e nelle menti dei nisseni. Che sia una Settima Santa di speranza e rinascita.
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La voce
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Sono gli eredi di una cultura antica legata alla sopravvivenza quotidiana del popolo di cui sono la voce. Si sono costituiti in associazione nel 1990
dell’anima nissena
I Fogliamari protagonisti del Venerdì Santo di Fiorella Falci Sono la voce profonda dell’anima nissena, i Fogliamari, che portano a spalla da sempre il Signore della Città, a piedi scalzi e cantando le lodi del Cristo degli ultimi, intorno a cui si snoda la processione più mistica e spirituale che segna l’identità collettiva dei nisseni come nessun altro momento. Fogliamari o Figliamari, nella dizione popolare, a seconda che li si identifichi con il frutto del loro lavoro, le erbe amare raccolte in campagna, o con la durezza amara della loro condizione esistenziale. Non sono “lamentatori”, come le tante Confraternite che nei paesi della Sicilia dell’interno scandiscono le ore della Passione, ma “ladanti”, custodi di un repertorio prezioso di canto tradizionale a più voci che si sviluppa con testi diversi che raccontano gli episodi della Passione di Cristo, intonati tutti sulla stessa linea melodica, animati da due voci soliste (primavuci e controvuci) e da un coro. Intere famiglie si sono tramandate la tradizione del canto e la devozione al S i gnore Crocifis-
so: oggi le famiglie Bellomo e Di Forti esprimono questa continuità, mentre un CD, registrato nel 2004 a cura del Comune, contiene le voci mitiche dei due solisti, ormai scomparsi, che hanno accompagnato nel nuovo millennio il coro dei Fogliamari: Cataldo Raimondi (il “Partigiano”) e Salvatore Li Destri. E il legame profondo tra generazioni diverse è un elemento forte e controcorrente della tradizione dei Fogliamari: sin da bambini si partecipa alla processione, da adolescenti si comincia a “ladare” nel coro, e si apprendono dalle parole degli anziani la storia, i passaggi liturgici, la serietà della devozione, l’impegno spirituale che questa rappresenta. Tutto il contrario del folklore. Sono molto selettivi i Fogliamari nell’ammettere nuovi devoti tra loro: è l’autenticità della fede e l’umiltà interiorizzata come stile di vita che chiedono, anche ai tanti professionisti che desiderano unirsi a loro nella processione. E che vengono ammessi dopo un rigoroso tirocinio, qualificato dalla partecipazione a tutti i momenti spirituali che scandiscono la preparazione alla Pasqua e che si svolgono nel Santuario del Signore della Città, annesso al Convento della Suore Francescane del Signore, la Congregazione fondata a fine ‘800 da Padre Angelico Lipani per assistere le ragazze più povere e le orfane degli zolfatari. E’ il decano dei sacerdoti diocesani l’assistente spirituale dei Fogliamari: padre Giuseppe Sorce, quasi centenario e carisma-
tico, studioso di storia e custode rigoroso della tradizione. Accompagnano il percorso del piccolo Crocifisso di legno scuro, il più antico che si venera a Caltanissetta, patrono della Città fino al 1624: è il Signore degli Ultimi, e per una serata lo sguardo di tutti rivolto a quel Cristo umile e sofferente è il filo conduttore di una riflessione interiore, silenziosa, che si percepisce anche osservando la folla che segue la processione, una meditazione soggettiva e collettiva, che il nostro popolo si ritrova a condividere, con la devozione finalmente consapevole di chi si rispecchia con la propria miseria nel dolore del Cristo e solo in questa identificazione può alimentare la fatica della speranza. I Fogliamari sono gli eredi di una cultura antica, legata alla sopravvivenza quotidiana del popolo di cui sono la voce: conoscitori e raccoglitori delle erbe amare, preziose e aromatiche, che solo loro erano capaci di trovare e raccogliere nelle campagne i n torno alla città (con la misura di chi vuole tutelarne la riproduzione e l’habitat naturale), erbe che andavano a vendere nella strada del vecchio mercato, la Strata a’ foglia, quella strada
diagonale, che taglia il centro storico dalla piazza alla Grazia, dove per secoli si è incontrato il lavoro più duro del popolo più disagiato e la tradizione gastronomica di una Sicilia antica in cui tanti popoli diversi hanno lasciato il loro patrimonio di cultura materiale. E al di sopra dei banchi colorati della frutta e della verdura, le immagini sacre dei Santi e della Sacra Famiglia vegliavano con discrezione sulla vita
Accompagnano il Cristo Nero nella tradizionale processione del Venerdì Santo della città del lavoro, e sulla campagna che in quella strada veniva ad incontrare la città. Anche quest’anno, per la terza volta, i protagonisti del Venerdì Santo sono tornati a cantare la loro devozione nella strada dell’antico mercato: dove intorno a cinque edicolette votive, le figuredde della pietà popolare, si sono alternate le voci drammatiche che accompagnano da secoli la Passione di Cristo a Caltanissetta. Anche una fiaccolata ha illuminato, nella notte della tradizione ritrovata, le “Ladate” dei Fogliamari nella Strata a’ foglia: animata spontaneamente da centinaia di famiglie, di giovani, segno di luce di una città per troppo tempo opaca, che vuole ritrovare forse una dimensione di comunità solidale. A partire dalla Pasqua, e dal suo valore simbolico di sofferenza e di riscatto che da sempre fanno parte dell’identità dei nisseni.
Sta per arrivare in libreria “Piccola Atene”, il giallo di Salvatore Falzone ambientato a Caltanissetta ed edito da Barion, marchio in attività tra le due guerre, rilevato negli anni Sessanta da Ugo Mursia e adesso rilanciato sul mercato nazionale grazie a un progetto di forte impronta umanistica ideato da Beppe Benvenuto. Eredi di una tradizione plurisecolare, nel 1990 i devoti Fogliamari si sono costituiti nell’Associazione Devoti Portatori Fogliamari del SS.mo Crocifisso del Signore della Città, il cui responsabile attuale è Michele Bellomo, con un comitato organizzativo composto da Antonio e Angelo Bellomo responsabili del gruppo laudanti, da Calogero Diforti capo coro e capo vara, da Antonio Fasciana responsabile incensisti, e infine da Giuseppe Scandurra e dall’anziano del gruppo Giuseppe Diforti. Hanno promosso ricerche, studi e attività culturali per far conoscere la loro tradizione. Particolarmente importante la Mostra dedicata al Signore della Città e a Padre Angelico Lipani, con pannelli fotografici, testi e oggetti d’epoca, stimolando l’interesse di altri ricercatori e studiosi che hanno dedicato alla loro attività testi, filmati e DVD. Tra loro ha prevalso sempre l’aspetto spirituale e devozionale rispetto a qualunque tentazione di spettacolarizzazione, più di ogni altro gruppo tra quelli che animano la Settimana Santa nissena; e la loro tenace resistenza nel voler portare a spalla il fercolo del Signore della Città, ha conquistato anche altri momenti della Pasqua nissena: da qualche anno anche il Gesù Nazareno della Domenica delle Palme viene portato a spalla nella sua barca di fiori dai devoti, e quest’inverno la processione dell’Immacolata ha ritrovato dopo molti anni l’antica tradizione dei portatori, grazie anche all’apporto di molti devoti Fogliamari.
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Fatti & Territorio
“Siamo a piedi e non lo sappiamo” Le posizioni tra Scat e Comune rimangono lontane, ma la città sembra non cogliere l’emergenza di Alberto Sardo viene privato di uno dei diritti universali per eccellenza, la mobilità. La media borghesia, invece, snobba il mezzo p u b blico, la cui considera-
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tudenti delle scuole superiori, soprattutto pendolari che la Sais lascia ai parcheggi di via Guastaferro e di via Rochester e che da lì devono raggiungere i loro istituti che si trovano in diverse parti della città, anziani, donne (a volte sole) che vanno all’ospedale per un’analisi o dal medico per un controllo; casalinghe, pensionati che si recano a fare la spesa, soprattutto al mercato della Strata ‘a foglia. Nonni e nonne che la mattina si recano a casa dei figli per accudire i nipotini. Lavoratori stranieri e migranti che non hanno alternative se non l’autobus per raggiungere luoghi di lavoro o uffici pubblici. Sono queste le storie, prima ancora che le tipologie, di chi prende l’autobus a Caltanissetta e che in assenza del servizio pubblico, subisce un vero e proprio danno esistenziale, oltre che materiale. Perchè
zione, del resto, è stata poco più che zero nelle politiche pubbliche delle amministrazioni locali succedutesi negli anni, non ultima quella Campisi. Basta vedere che non sono mai state realizzate le corsie preferenziali, neanche là dove possibile, come ad esempio nel nodo Grazia, oltreché necessario, con centinaia di automobili con al massimo un solo passeggero oltre al conducente. Il problema sono le abitudini di vita e di mobilità dei cittadini, mentre la causa è l’assenza di politiche di incentivazione del mezzo pubblico. Oggi, in questa città, sarà impossibile proporre l’uso dell’autobus, se ad esso non viene associato un nuovo appeal e un’adeguamento a nuove tipologie di utenti. Anche se
poco usato, non significa che il bus urbano non rimanga oggi indispensabile per centinaia di persone. In altre città, un blocco del servizio fa scattare il codice rosso. Qui, dopo una settimana di fermo totale, l’emergenza non affiora, proprio perchè i fruitori sono a volte categorie non rappresentate. La vertenza tra la Scat, cooperativa di lavoro che da decenni gestisce il servizio, e il Comune di Caltanissetta, con cui ha un contratto di servizio per un totale di 525 mila chilometri all’anno, è divenuta una controversia senza soluzione di continuità. Agli scioperi, fanno da contraltare le cause in tribunale, ai mancati pagamenti, fanno da contraltare lo scaricabarile normativo e istituzionale. Il compenso per il servizio pubblico è pari a 1 milione e 50 mila euro l’anno. E’ il corrispettivo contrattuale tutt’ora vigente tra Comune e Scat, in assenza di variazioni al contratto stesso. Dal 2012, la Regione Siciliana, ha però tagliato il contributo del 20%, unilateralmente e da allora l’amministrazione Campisi ritiene che, in modo automatico, anche il contributo da conferire alla Scat deve essere ridotto del 20%. A questo si aggiungono i ritardi nell’accreditamento delle somme da parte della Regione e le anticipazioni relative al contributo annuale fatte dal Comune alla Scat, che divengono progressivamente sempre più insufficienti. Sono ventisei i lavoratori della cooperativa con sede in contrada Calderaro, di cui sedici autisti. Erano diciassette, ma venerdì uno di loro si è licenziato per andare a lavorare al nord. Meglio lontano ma con uno stipendio puntuale, che qui, con dieci mensilità di stipendio arretrate. Poi ci sono due controllori, due meccanici in officina, due addetti all’agenzia e gli amministrativi. Tutti soci lavoratori. Per la Scat, invece, il taglio del 20% operato dalla Regione, non comporta nessuna variazione del contratto tra cooperativa e comune. Il sindaco Campisi e i dirigenti al ramo, invece, richiamano un articolo del contratto secondo cui l’erogazione delle somme da parte dell’ente locale, è vincolata ai trasferi-
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Studenti, anziani, casalinghe, migranti. L’autobus non sarà “cool”, ma è indispensabile a tante persone menti della Regione. Un articolo che secondo la presidente della Scat, Roberta Leonardi, non cambia le carte in tavola, “perchè il servizio si chiama ‘urbano’, e il contratto impegna solo due soggetti e nessun altro, la Scat e il comune”. Anche perchè, è il ragionamento della Cooperativa, non si può operare un taglio a posteriori su servizi già resi. Per il 2012, ad esempio, alla Scat mancano all’appello 270 mila euro che guarda caso coincidono più o meno con il 20% di cui sopra. Ma i servizi già erogati, per i chilometri fatti da contratto, sono stati già espletati, producendo legittime pretese per le ore di lavoro, per la benzina e per tutti i costi di gestione commisurati al 100% dei servizi e non per l’80% che si vuole pagare. Stesso discorso per il 2013, con 270 mila euro in meno ricevuti dalla Scat, mentre per il 2014, si aggiunge un problema di anticipazioni. Una prima anticipazione da parte dell’ente di 100 mila euro per l’anno in corso c’è già stata. Il sindaco Campisi, in questi giorni, ha proposto un’altra
anticipazione di 100 mila euro per far riprendere il servizio. Ma dalla Scat oppongono diniego e i lavoratori vanno avanti con lo sciopero. Perchè con le assicurazioni dei mezzi in scadenza e i fornitori di benzina alle porte, tali somme consentirebbero di pagare forse l’anticipo di una mensilità a fronte di 10/11 arretrate. Dall’inizio dello sciopero, il 7 aprile, i vertici della Scat e i sindacati (Carlo Messina e Salvatore Pasqualetto della Uil), hanno partecipato al tavolo di raffreddamento in Prefettura e anche a un vertice a Palermo presso l’assessorato infrastrutture e mobilità della Regione Siciliana. Il Prefetto Carmine Valente si è impegnato a farsi portavoce presso il dipartimento mobilità, per accelerare il trasferimento delle somme al comune da accreditare alla Scat. Un impegno autorevole e importante che potrebbe non essere risolutivo al momento vista la mancata approvazione della “Manovra bis” all’Ars che sta causando una crisi di liquidità di cassa nei dipartimenti.
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Gela & dintorni
Chiamatemi Don Rosario
di Liliana Blanco
“Difficile abituarmi al titolo di Monsignore”
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n uomo consacrato ancora giovane, poco abituato alle telecamere ed ai titoli altisonanti. Si presenta così il nuovo vescovo della Diocesi di Piazza Armerina Mons. Rosario Gisana, che dal 5 aprile scorso è ufficialmente il vescovo della diocesi di Piazza Armerina e Gela. Un vescovo che ha detto subito di sentirsi investito di un compito gravoso: guidare la Chiesa del profondo sud della Sicilia. “Quando è stata annunciata la mia nomina mi sono sentito come il Cristo rivestito di porpora il venerdì santo: mi hanno subito vestito degli abiti vescovili ed ho sentito addosso la responsabilità che mi ha affidato nostro Signore attraverso il Santo Padre” - ha detto nel corso del primo incontro con i giornalisti che ha affrontato con il conforto del direttore del giornale diocesano <<Settegiorni – dagli Erèi al Golfo>>, don Giuseppe Rabita. “Voglio conoscere tutti – ha detto nel corso dell’incontro con i rappresentanti della stampa – voglio visitare ogni singolo comune che ricade nel territorio della diocesi e sapere delle realtà ecclesiali di cui comincio da qualche settimana a prendere visione. So che questa diocesi ha una realtà composita, a volte difficile dal punto di vista sociale, ma aiutata ma una sezione laicale che segue da vicino le attività delle parrocchie con una dedizione da ammirare. Stilerò
assieme al mio segretario Don Lino Di Dio, una scaletta delle visite e poi ho il piacere di seguire in prima persona la crescita spirituale del mio gregge”. Il clima gioioso del primo incontro con i giornalisti è stato ‘macchiato’ dalla tragedia che ha colpito Gela, il comune più grande della Diocesi, e della famiglia Vizzini che ha subìto la morte dell’operaio dell’indotto industriale, morto in un terribile incidente il giorno prima. “Pregherò intensamente per la famiglia Vizzini - ha dichiarato il Vescovo – per la prova che stanno vivendo in questo momento di dolore inaspettato. Quando sarà il momento, vorrò fare visita alla famiglia per offrire il mio supporto in questo difficilissimo momento”. Ora, a Gela si attende questa visita. La Solenne Concelebrazione Eucaristica della consacrazione è avvenuta sabato 5 aprile nella ChiesaCattedrale di Piazza Armerina, alle 16,30. Il Rito di Ordinazione è stato presieduto dal vescovo, Antonio Staglianò; i Vescovi co-consacranti erano Mons. Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale, già pastore della Chiesa piazzese, e Mons. Paolo De Nicolò, vescovo titolare di Mariana, in Corsica, già reggente delA destra il Cardinale Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo, impone le mani sul capo di Mons. Gisana
la prefettura della Casa pontificia. Presenti alla celebrazione il Cardinale Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo, e gli arcivescovi e vescovi della Sicilia. Come da tradizione, il comune di Piazza Armerina , ha donato al nuovo vescovo l’anello episcopale in oro bianco, a fascia, che nella parte centrale riporta l’immagine di Maria Santissima delle Vittorie, patrona della Diocesi. Grande mobilitazione per la Chiesa di Noto, che lo ha visto parroco per tanti anni e che ha partecipato alla cerimonia di consacrazione con un migliaio di presenze. Da tutti i Vicariati, numerosi i fedeli venuti per manifestare a don Rosario segni di affetto e stima, per ciò che in questi anni ha donato con generosità e piena dedizione alla Diocesi del Siracusano. Si sono stretti al nuovo pastore: parrocchie, gruppi, associazioni e quanti hanno beneficiato dell’ umanità di Don Gisana, che ora da vescovo, sarà chiamato a conformarsi ancora più radicalmente a Cristo buon Pastore. La Chiesa netina vive uno speciale momento di grazia e innalza preghiere per Don Rosario, perché plasmato dallo Spirito Santo, possa testimoniare nel servizio pastorale alla Chiesa piazzese, la cura del Pastore d iv i no, c h e o f fre la vita per i l
suo gregge. Don Rosario, sì. Perché il Vescovo, personaggio schivo, non si è presentato come tale ma ha sottolineato ai giornalisti: “ chiamatemi don Rosario, mi riesce difficile abituarmi al titolo di Monsignore”. Un’ulteriore prova di umiltà che lo contraddistingue e che conferma l’affetto dei netini che vivranno con lui questo momento importante ma che lo rimpiangono già perché adesso n o n potrà s e guire la loro realtà. Mons. Rosario Gisana, è originario di Modica, compirà 55 anni il prossimo 14 aprile, e viene da una famiglia di onesti e
laboriosi lavoratori (madre casalinga e padre muratore). E’ stato alunno dell’Almo Collegio Capranica, quindi ha conseguito il baccalaureato in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana nel 1983, e successivamente la licenza al Pontificio Istituto Biblico e la licenza all’Istituto Patristico Augustinianum. Ordin a t o sacerdote nel la Diocesi d i
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Fu ordinato sacerdote nella Diocesi di Noto il 4 ottobre del 1986 Noto il 4 ottobre 1986, nel 1990 è stato nominato rettore del seminario diocesano. Dal 2010 è vicario episcopale per la pastorale, direttore dell’Ufficio catechistico diocesano e vicerettore della chiesa Cattedrale di San Nicolò di Noto. Succede a Monsignore Michele Pennisi, ora
Arcivescovo di Monreale. L’Ordinazione del nuovo vescovo, è stata celebrata sabato nella Cattedrale di Piazza Armerina. Monsignore Gisana ha vissuto a Noto dove è stato Rettore del Seminario Vescovile e membro del Consiglio Presbiterale Diocesano. Trasferitosi a Catania è divenuto Professore Stabile Straordinario e Vice Preside dello Studio Teologico S. Paolo. Molto vicino ai giovani, comincia la sua carriera proprio facendo pastorale giovanile. Il 27 febbraio è stato eletto Vescovo dal Santo Padre, Francesco, e lascia l’insegnamento per stare vicino al clero e alla gente. Dopo l’ordinazione, il suo primo impegno è stato quello di incontrare i sacerdoti anziani e gli ammalati, e successivamente visiterà tutte le parrocchie. Fra tre anni la diocesi piazzese, che conta circa 250.000 abitanti, compirà due secoli di vita. Il primo vescovo della Diocesi di Piazza Armerina è stato Girolamo Aprile Benso, a seguire: Pietro Naselli; Pier Francesco Brunaccini; Cesare Agostino Sajeva; Saverio Gerbino; Mariano Palermo; Mario Sturzo; Antonino Catarella; Sebastiano Rosso; Vincenzo Cirrincione; Michele Pennisi. Dal 5 aprile scorso, Rosario Gisana.
La lettera. Andrea Cassisi scrive al Vescovo
“Guida il nostro cammino” Dura e accorata è la lettera che Andrea Cassisi, nella sua veste di presidente del “Centro di Cultura e di Spiritualità Cristiana, Salvatore Zuppardo”, ha inviato al neo vescovo, mons. Rosario Gisana, in occasione del suo insediamento. “Riconosciamo in Lei, nostro Pastore, la guida sapiente e prudente che possa illuminare la nostra quotidianità in una città qual è Gela, afflitta e tormentata da molteplici problemi” – scrive, Cassisi. “I numeri della disoccupazione crescono – aggiunge il presidente del Centro Zuppardo - la sfida all’emergenza educativa giovanile si fa sempre più dura, molte famiglie sono sconfortate a causa di malattie che negli ultimi anni hanno ucciso, la politica delude. Le chiediamo allora vicinanza, l’affetto di un padre per i suoi figli nel dispensare la Parola nel suo pellegrinaggio. “Le imploriamo un esempio nella sua evangelizzazione che parta dalle periferie, dal basso, dai luoghi lontani. Perché l’insegnamento di Papa Francesco sia per noi fonte dalla quale attingere sentimenti di santità e ricchezza
Il presidente del Centro “Salvatore Zuppardo” punta l’indice contro la chiesa dell’apparenza spirituale”. E poi l’esortazione laica, quasi un richiamo alla “teologia della liberazione” così radicata negli anni ’70 in Sudamerica. “La Parola sia annunciata fuori dalle Chiese – scrive ancora Cassisi - perché esse non siano più forme ritualistiche di pure riunioni, piuttosto linfa per la crescita umana, culturale, sociale per la città. Le nostre parrocchie
sono diventate roccaforti medievali coi ponti levatoi, incomunicabili tra di loro”. Parole dure come pietre, quelle di Andrea Cassisi, che sembra un fiume in piena nella sua requisitoria contro la chiesa dell’apparenza.
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AVVISI LEGALI TRIBUNALE DI CALTANISSETTA Fallimento n. 03/2002 R.F. AVVISO DI VENDITA VANO TERRANO MAGAZZINO Si comunica che il Giudice Delegato al fallimento in epigrafe ha disposto procedersi alla vendita senza incanto del MAGAZZINO facente parte del “Condominio GURRERA” di via Malta n.ri 25/27 in Caltanissetta, al quale si accede dalla strada condominiale che comunica con il viale della Regione altezza civico 100. Il magazzino è costituito da un unico ambiente con superficie di mq. 225 e presenta due aperture a serranda che prospettano sul cortine interno di detto condominio. L’immobile risulta censito al catasto fabbricati del comune di Caltanissetta al foglio 119, particella 11, sub 103, z.c. 1, cat. C/2, cl. 4, consistenza mq. 225, rendita €. 766,94, Piano Terra La vendita è stabilita avanti il Giudice Delegato al prezzo base €. 72.945,00senza incanto per le le ore 12:30 del giorno 10.06.2014 (Palazzo di Giustizia terzo piano stanza 318 – Giudice C.D. Cammarata), ed eventualmente con incanto per le ore 12:30 del giorno 24.06.2014 - rilancio minimo €. 500,00; Ogni ulteriore informazione, anche relativamente alle generalità della ditta proprietaria fallita ed alle condizioni di vendita, potrà essere ottenuta presso la Cancelleria fallimentare o direttamene presso il Curatore avv. Salvatore Emma telefax 0934 571420 – email: avvocatoemma@virgilio.it – P.E.C. salvatore. emma@avvocaticl.legalmail.it Il bando, l’ordinanza di vendita e la perizia saranno pubblicati nei prossimi giorni sul sito internet: www.astegiudiziarie.it Caltanissetta, 05 aprile 2014 Il Curatore Fallimentare Avv. Salvatore Emma
“Parrocchie da cui non escono seminaristi; parrocchie che mantengono il loro orticello; parrocchie che si auto incensano; parrocchie che rimangono lontane dai bisogni veri della gente. I poveri non vengono più in chiesa! Anzi, girano tutte le parrocchie a chiedere soldi o qualche borsa di viveri. Le parrocchie sono diventate luoghi frequentati da sole belle persone, gente per bene che non conosce il bisogno, gente staccata dai bisogni della gente. I consigli pastorali sembrano sodalizi reazionari di sepolcri imbiancati, che amano stare in prima fila a farsi notare e discutono di lana caprina. Allora, non si riduca la preghiera alla sola ricerca di Cristo nel momento del bisogno, sia quindi una esortazione a cooperare insieme alla realtà buone, efficaci, produttive che la città di Gela matura giornalmente”. “Venga nelle nostre parrocchie a guidare il nostro cammino di fede” – conclude, Cassisi, che invitandolo a Gela gli dà fraternamente del “Tu” quando ammette che “abbiamo bisogno di Te”. F.I.
TRIBUNALE DI CALTANISSETTA G.D. Gregorio Balsamo Fallimento n. 19/12 VENDITA SENZA INCANTO 26.06.2014 ore 12.30 presso il Tribunale di Caltanissetta. Beni in SAN CATALDO, Via Generale Carlo Alberto dalla Chiesa: A) Appartamento p. quinto, vani 6,5. NCEU fg. 51, p.lla 671, sub 22. B) Locale autorimessa p.terra mq 16. NCEU fg. 51, p.lla 671, sub 11. C) Locale condominiale p.terra mq 34. NCEU fg. 51, p.lla 671, sub 2. Prezzo base Euro 129.303,33. Rilancio minimo non inferiore al 5% del prezzo base. Presentare offerte entro le ore 12.00 del giorno antecedente la vendita, corredate da assegno circolare N.T. intestato alla Cancelleria, pari al 10% del prezzo offerto, a titolo di cauzione. Eventuale incanto 10.07.2014 ore 12.30. Maggiori informazioni presso la Cancelleria Fallimentare del Tribunale di Caltanissetta.
TRIBUNALE DI CALTANISSETTA ESEC. IMM. N. 71/11 R.G.E. Lotto unico - Comune di San Cataldo (CL), Via Croce Vecchia 25/27. Fabbricato composto da un p. terra adibito a deposito e da un p. 1º formato da 3 stanze, in pessimo stato di conservazione e da demolire. Fg. 52, p.lla 4430. Prezzo base: Euro 15.525,00. Vendita senza incanto: 18/06/2014 ore 16.30, innanzi al professionista delegato Avv. Rita Iannello presso lo studio in Caltanissetta, Via Mons. Guttadauria, 6. Deposito offerte entro le ore 12 del 17/06/2014 presso lo studio del delegato. In caso di mancanza di offerte, vendita con incanto: 25/06/2014 ore 16.30 allo stesso prezzo base aumento minimo Euro 776,25. Deposito domande entro le ore 12 del 24/06/2014. Maggiori info presso il delegato tel. 0934565538 h. 16.30 - 18.30 e su e www.astegiudiziarie.it. (A239600).
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Gela & dintorni
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L’incendio in raffineria e l’infortunio mortale, mettono a rischio i programmi di sviluppo
di Franco Infurna
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opo gli ultimi gravi incidenti avvenuti tra marzo e aprile, la raffineria di Gela sembra un pugile al tappeto, andato “KO” con un terribile “uno-due” che avrebbe steso anche uno stabilimento ancora più forte e più attrezzato di quello gelese. Stiamo parlando di un incendio di prodotti petroliferi, per fortuna senza feriti, e di un grave infortunio occorso a un operaio dell’indotto, che purtroppo è morto, schiacciato dalla gru in movimento presso cui lavorava come imbracatore. Due episodi che hanno creato allarme ma anche il timore che saltino i programmi di sviluppo, compresi i previsti 700 milioni di euro di investimenti. Una situazione talmente seria da mobilitare i sindacati confederali
manutenzione e puntuale controllo delle linee stesse”. Vedremo più avanti come, questa decisione, in un momento caratterizzato da notevoli tensioni e preoccupazioni per le sorti della fabbrica, abbia innescato una serie di polemiche a distanza, tra i vertici della Raffineria di Gela e il procuratore Lotti. L’INFORTUNIO MORTALE - L’altro grave episodio che forse ha segnato ulteriormente il futuro del petrolchimico, è l’incidente sul lavoro in cui ha trovato la morte Antonio Vizzini, un operaio gelese di 54 anni, esperto e affidabile, dipendente dell’impresa appaltatrice “Lorefice & Ponzio”, che stava lavorando come imbracatore con altri colleghi e una autogru allo smantellamento della “Caldaia4” del-
chiedono un tavolo permanente in prefettura. C’è da capire cosa vuole fare l’Eni della Raffineria di Gela, perché già dopo l’incendio ha comunicato ai sindacati la fermata d el l’u n i c a linea di produzione perché col sequestro del-
L’azienda dichiara: “Se si dovesse bloccare il pet-coke, il petrolchimico di Gela può anche chiudere”
Raffineria ENI ... al tappeto
Dense nubi sul futuro dello stabilimento di Gela provinciali Cgil Cisl e Uil, i cui segretari (Giannone, Gallo e Pasqualetto) hanno espresso “forte preoccupazione per i fatti che stanno interessando l’area dell’ex petrolchimico a partire dall’incendio che ha costretto la Magistratura al sequestro dell’area per arrivare all’incidente” mortale del primo di aprile. L’INCENDIO IN RAFFINERIA - Il rogo è avvenuto invece il 15 marzo, per una fuoruscita di greggio ad alta temperatura da una tubazione che si era bucata tra gli impianti di raffinazione primaria “Topping 1” e “Coking 1”, all’isola 7 Nord del petrolchimico. Il suo fumo nero e intenso, è stato visibile da ogni parte del territorio circostante. Alla rimessa antincendio dello stabilimento è scattata l’emergenza (classificata al secondo dei tre livelli dell’apposita scala di sicurezza interna) con l’intervento dei pompieri aziendali e del personale d’impianto. Nel giro di un’ora, il fuoco è stato domato. Ma la zona è stata posta sotto sequestro giudiziario per accertamenti “probatori delle linee interessate dall’incidente e dell’area sottostante– scrive in una sua nota il procuratore della Repubblica, Lucia Lotti - al fine di accertare le cause dell’incendio ed, in particolare, la riconducibilità di questo a difetti di
la CTE (la centrale termoelettrica della raffineria). Il contrappeso posteriore della gru lo ha stritolato contro il baule metallico dove, senza essere visto, Vizzini era salito per prendere alcune “brache”, ovvero le resistenti strisce di fibre intrecciate con cui si legano e si sollevano i pesanti pezzi meccanici. Era girato di spalle quando la cabina della gru si è mossa stritolandolo mortalmente. Una terribile fatalità, ma il manovratore (sotto choc) è indagato ugualmente con l’ipotesi di omicidio colposo. In ospedale Vizzini è giunto cadavere. Lascia la moglie e due figlie, di 31 e 26 anni (quest’ultima incinta). Anche in questo caso è scattato il sequestro giudiziario dell’area del sinistro. Un’ora di sciopero e un sit-in per chiedere sicurezza e prevenzione è stata l’immediata risposta dei sindacati che
le tubazioni, Topping e Coking non potevano operare. L’azienda avrebbe detto che, pur volendo utilizzare un semilavorato proveniente da altri siti per far marciare gli impianti a valle, non c’era riuscita perché per il maltempo la nave con il prodotto da raffinare non ha potuto
ormeggiare lasciando la raffineria senza materia prima. Ora la raffineria ipotizza il trasferimento del greggio-Gela in altri stabilimenti del gruppo. LA POLEMICA ENI-MAGISTRATI - Per molti osservatori, questa deci-
sione sarebbe un aspetto della palese polemica innescata da Eni con la magistratura, sui tempi della giustizia. Ma l’azienda non parla direttamente, lo fa attraverso le preoccupazioni dei sindacati che essa stessa alimenta con le proprie decisioni. Dopo l’incontro con l’amministratore delegato della Raffineria, Bernardo Casa, infatti, Cgil Cisl e Uil hanno diffuso una nota in cui affermano che la fermata “essendo legata agli accertamenti disposti dalla magistratura, potrebbe avere dimensioni temporali non prevedibili”. Un vero e proprio atto d’accusa verso la magistratura inquirente al quale il procuratore della Repubblica, Lucia Lotti, non ha inteso rispondere. Ha semplicemente dichiara- to alla stampa che “la procura della Repubblica quando interviene lo fa con impegno, serietà, tempestività e nel pieno rispetto delle leggi. Quel che fanno o dicono gli altri
non ci interessa”. Per Cgil, Cisl e Uil “il quadro che si delinea … rischia di drammatizzare lo scenario di incertezza presente sul versante delle autorizzazioni propedeutiche al piano di investimenti per il rilancio del sito industriale”. Il riferimento è ai 700 milioni di euro di spesa messi in pericolo dai severi livelli di emissione dei gas inquinanti imposti dai protocolli ambientali (autorizzazione Aia) ai camini della Raffineria di Gela come se fosse solo una centrale termoelettrica e non anche uno stabilimento di produzione che consuma la maggior parte dell’energia per conto proprio. L’Eni vorrebbe una via di mezzo tra i mille normal metri cubi al secondo concesse alle raffinerie e i 400 Nmc/s per le centrali. E per questo si è rivolto al Tar che ancora non risponde, così come non risponde il ministero dell’ambiente stoppato da una pesante e preoccupata relazione ambientale del comune di Gela. Per questo si ha l’impressione di essere arrivati alla resa dei conti. REDDE RATIONEM - Ormai si conduce la madre di tutte le battaglie, quella per la sopravvivenza. Al centro c’è il Pet Coke, ovvero il carbone sintetico, residuo della lavorazione del petrolio, che, bruciato in centrale, produce energia elettrica a bassissimo costo, anche se inquinante. Per l’azienda sono utili fondamentali, è oro che nasce dagli scarti. Lo hanno detto chiaramente: “Se si blocca il pet-coke Gela può anche chiudere”. E siccome il rischio c’è e viene soprattutto dalle future decisioni della magistratura (numerosi i processi a carico dei vertici della Raffineria, per i morti del Clorosoda, le malformazioni neonatali e l’inquinamento ambientale), siamo arrivati come dicevamo alla resa dei conti. O si lavora bruciando carbone e inquinando o si chiude e si mettono sul lastrico tremila famiglie, con le conseguenze economiche a cascata. Una via di mezzo sarà possibile?
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comunicazione commerciale
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Movida nissena
Per gioco,
ma non solo
Una scommessa, è proprio il caso di dirlo. Un’intuizione, che come tutte le intuizioni è volta ad un futuro prossimo, palpabile, realizzabile. Anzi già realizzato. Era l’8 agosto e il “Bingo di Caltanissetta” annunciava una piccola rivoluzione: un’apertura a nuove tipologie di pubblico, a nuove idee, a nuove filosofie da abbracciare. Era partito tutto da una sala bingo e da una caffetteria. Oggi Il CORONA conta una struttura di 2500 mq fatta di luce, intrattenimento di qualità, sicurezza e sempre legalità. Cultura, soprattutto. Cultura del buon bere, del giusto mangiare. Cultura che si trasforma in percorsi turistici alla riscoperta di un territorio spesso ignorato ma pieno di bellezze. All’attivo di questa piccola/grande laboriosa struttura un festival della birra, un mese all’insegna del vino
novello, e il mese delle bollicine (ottobre, novembre, dicembre): il tutto per celebrare e ricordare tradizioni nostrane e d’oltralpe. E ancora serate a tema, degustazioni, visite alle cantine (con la predilezione per il vino del territorio): per avvicinare e comprendere il mondo dello slow food, per ricordare che dietro ad un semplice calice di vino ci sono passione, fantasia, lavoro, studio. Che ogni vino può essere esaltato dal giusto accostamento di cibo. Che il tempo è prezioso, soprattutto se è il tempo che dedichiamo al nostro piacere personale. Ma il Corona sembra essere inarrestabile. Dopo aver inaugurato anche il centro scommesse, si prepara alla “bella stagione” “Abbiamo in serbo delle numerose iniziative per i nostri amici– racconta un delegato del Corona– Il giardino
all’esterno si trasformerà, diventando ancor più luogo di relax, ideale per ascoltare buona musica, bere qualcosa insieme agli amici, o semplicemente riposarsi un po’- . Con la formula della sala eventi indipendente dal Wine Bar, siamo inoltre in grado di accogliere pubblici differenti. Non è strano infatti incontrare chi degusta vino e assapora piatti deliziosi preparati dallo chef, e chi invece balla al ritmo della più appassionante musica deep. Un equilibrio di passioni, gestito con professionalità e serietà, passione e anche un pizzico di intraprendenza. Da non perdere, tra i prossimi appuntamenti, la serata Corona Night Fever, il 26 aprile e il ciclo “A cena con”: ogni venerdì una cantina proporrà e farà conoscere i suoi prodotti, accompagnati da cibi che ne esaltino il gusto. il 30 maggio il primo appun-
tamento con Al-Cantara. Un modo interessante di coinvolgere i pubblici ed avvicinarli alla realtà del vino,
fatta di passione, studio, impegno e creatività C’è del nuovo, in città…
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Fatti, istituzioni & territorio
di Donatello Polizzi
Il Questore: “L ’attività investigativa è sinergia” Il Questore Filippo Nicastro, ci accoglie nel suo studio. Iniziamo dalla sua enorme esperienza, competenza e sagacia, è in Polizia dal 1976, il viaggio alla scoperta della Polizia Scientifica a Caltanissetta. Le sue parole chiariscono in maniera nitida, l’importanza del lavoro di squadra: “L’attività investigativa si compone di più fasi Il primo intervento avviene dalla sezione Volanti, che blocca la scena del reato e assume le prima informazioni; dopo di che se lo richiede il caso, subentrano la Squadra Mobile e laddove è necessario, ci siano tracce da conservare la polizia Scientifica, che è bene ricordare è inserita nella Divisione Anticrimine. Nel
capoluogo nisseno vi è un Gabinetto Provinciale, con due articolazioni nei commissariati di Gela e Niscemi. Siamo alle dipendenze funzionali del Gabinetto Regionale di Palermo, diretto da un Vicequestore e del Servizio Polizia Scientifica di Roma”. Le competenze sono determinate: “Si occupa del fotosegnalamento di P.G. delle persone denunciate o arrestate a vario titolo dagli organi investigativi, le cui impronte vengono archiviate nel Casellario Centrale di Identità del Servizio Polizia Scientifica. Provvede al fotosegnalamento per identificazione o per richiesta Asilo Politico dei cittadini extracomunitari ospitati nel Centro di Accoglienza
di Pian del Lago”. Ecco le cifre del 2013: Fotosegnalamenti: Ordinari 311, Pian del Lago 2289 (media 200 al mese). Sopralluoghi: furto, incendio autovetture, danneggiamenti, rapine, suicidi, incidenti sul lavoro, 243 (media di 20 interventi al mese). Totale autori di furti identificati dal 01.01. 2013 al 31.03.2014, 23 di cui: 17 furti appartamento (di cui 2 identificati dalla Sezione del Serv. Pol. Scientifica che si occupa dei casi irrisolti “Cold Case”); 5 furti Istituti Scolastici (1 Liceo Scientifico;1 Professionale; 1 Geometra; 1 Tecnico Industriale; 1 Tecnico Biologico e Linguistico P.A.C.L.E.); 1 furto autovetture.
POLIZIA “Scientifica”
Gli eredi di Sherlock Holmes in camice bianco e mostrine
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tiamo per entrare nel Gabinetto della Polizia Scientifica della Questura di Caltanissetta, la targa apposta fuori dalla porta, affascina, incuriosisce ma anche incute timore. L’esclusiva possibilità di raccontare il lavoro, la passione, l’impegno, l’abnegazione di questi poliziotti è una responsabilità. Si apre la porta, scorrono nella nostra mente innumerevoli notti trascorsa su Fox Crime o in compagnia di CSI, RIS, film e telefilm vari. Ci accoglie l’i-
a Roma, in via delle Mantellate, Salvatore Ottolenghi fondò la Scuola Italiana di Polizia Scientifica. Nel 1902 presso la sala riconoscimenti delle Carceri di Regina Coeli, Ottolenghi, che era stato assistente del fondatore dell’antropologia criminale Cesare Lombroso, tenne una serie di conferenze in materia di Polizia Scientifica davanti a 35 funzionari superiori della Questura di Roma. Nel 1919, con Regio Decreto 2504, Re Vittorio Emanuele III isti-
cializzazione di Polizia Scientifica presso la sede centrale di Roma, e consegue la qualifica di “Videofotosegnalatore”, è abilitato ad effettuare ‘investigazioni scientifiche’ all’interno del luogo in cui si è svolto il crimine e cioè a ricercare tutte quelle tracce che potrebbero portare all’identificazione del reo come frammenti di impronte papillare latenti, materiale biologico (capelli, saliva, sangue) e qualsiasi altro tipo di traccia con valenza anche solo in-
La tecnologia, non tragga in inganno: sono determinanti l’intuito e il fiuto investigativo
spettore Capo Responsabile Alfonso Messina, che guida il Gabinetto dal 2003. Il nostro sguardo viaggia veloce fra “congegni” particolari, scanner per le impronte, antiche macchine fotografiche ben sistemate in bacheca a testimonianza della tradizione, camici bianchi e le mitiche “valigette” con la scritta “Polizia Scientifica”. Inutile nasconderlo, siamo affascinati. Iniziamo dalle origini. “La fama della Scientifica è stata guadagnata sul campo in più di cento anni di costante impegno e cioè dal 1903 quando,
tuisce in Roma, alle dipendenze del Ministero dell’Interno la Scuola di Polizia Scientifica”. Traspare dalla parole dell’ispettore l’amore per il suo lavoro, per la sua missione, condivisa dai suoi uomini (in realtà c’è anche una donna): 10 Assistenti Capo della Polizia di Stato con specializzazione di Polizia Scientifica (Videofotosegnalatori). Prima di tutto sono agenti di polizia al 100%, infatti Messina spiega: “Il personale in organico infatti, pur rivestendo le normali qualifiche del ruolo della Polizia di Stato, frequenta, in seguito, uno dei corsi di spe-
diziaria (impronta di pneumatico o di scarpa, immagini estrapolate da sistemi di videosorveglianza)”. Impossibile non farsi coinvolgere dalle fiction televisive che hanno sviscerato il settore, una moda partita dall’America ma che ha presto
coinvolto il mondo intero. Noi però ci occupiamo della realtà:” Negli ultimi decenni si è assistito a uno sviluppo tecnologico tale che oggi, ad esempio, è possibile ricavare un profilo di dna utile per successive comparazioni anche da tracce biologiche infinitesimali, ricavare informazioni preziose da un semplice reperto balistico (bossoli, proiettili, armi etc.) grazie ai Microscopi Elettronici a Scansione dotati di Microsonda ai Raggi X che oltre alla morfologia del reperto danno informazioni anche sulla sua composizione chimica, cosa questa fondamentale ad esempio nella ricerca delle cosiddette Particelle dei Residui dello Sparo o nel caso del rinvenimento di un’impronta, avere risposte certe in tempi quasi reali. Tutte le varie fasi sopra descritte di cristallizzazione della
scena del crimine mediante riprese video-fotografiche e rilievi planimetrici, ricerca repertazione e conservazione delle tracce rinvenute e esaltazione di impronte latenti vengono documentate e descritte nel “verbale di sopralluogo” che sarà successivamente consegnato all’Autorità Giudiziaria e che costituirà elemento fondamentale e certo per la ricostruzione futura della scena del crimine”. Non tragga in inganno l’utilizzo della tecnologia, arma vincente è sempre l’intuito, l’esperienza, il “fiuto” investigativo. “La scena del crimine ci parla”, la frase dell’ispettore è un manifesto di empatia. Un quadro che ai nostri occhi potrebbe sembrare astruso o “duro”, sangue, rottami, schegge, pallottole, è una realtà che dialoga
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La scena del crimine “parla”. Lo studio di quell’area spesso svela il modus operandi adottato dal delinquente
il rilevamento
In alto il ritrovamento di Pierantonio Sandri avvenuto il 22 settembre 2009. Sopra la “mia” impronta digitale rilevata con lo scanner per impronte digitali
Il Capo della Mobile spiega la complicità
“E’ uno scambio d’informazioni” con la Scientifica: però quel linguaggio di indizi, segni, impronte, bisogna conoscerlo, interpretarlo nella maniera più proficua. “Dallo studio della scena del crimine spesso otteniamo il cosiddetto Modus Operandi adottato dal reo”. Il caso: “Fra i tanti, ricordo che dovevamo verificare le dichiarazioni di un pentito e rinvenire, nella sughereta di Niscemi, il cadavere di Pierantonio Sandri. Nell’occasione ci avvalemmo anche della collaborazione dei colleghi della Polizia Scientifica del Commissariato di Niscemi, era il settembre del 2009. Iniziammo alle prime luci dell’alba. Dopo svariate ore trovammo, nascosto dalle fronde di un cespuglio, l’indizio che cercavamo: dal terreno emergeva la punta di uno scarponcino. Era un vecchia scarpa buttata lì per caso? O era ancora indossata dal cadavere del povero ragazzo che cercavamo? Il cadavere dopo 14 anni sarebbe sicuramente stato scheletrizzato e quindi molto fragile; per scavare applicammo tecniche di “Archeologia Forense”, impiegando tutti quegli strumenti di solito utilizzati nello scavo archeo-
logico (spatole, cazzuoline, pennelli). La scarpa rinvenuta era parte integrante di un cadavere ormai scheletrizzato. Verso sera concludemmo le operazioni di scavo. Documentate tutte le varie fasi del rinvenimento: alla fine emerse lo scheletro umano con i vestiti e gli oggetti indossati al momento dell’omicidio avvenuto 14 anni prima e che riconosciuti dai familiari permisero in prima battuta di confermare l’identità dello stesso che fu successivamente confermata scientificamente dalle analisi del dna”. Il tempo è quanto mai Tiranno, siamo “costretti” a salutare l’ispettore ed i ragazzi della Scientifica, sono stati straordinariamente disponibili, e ci avviamo verso le scale. Abbiamo compiuto un viaggio, nei meandri dell’investigazione, interessante: i criminali non dormiranno sonni tranquilli. Per un attimo riflettiamo, torniamo indietro e con un fazzoletto togliamo le nostre impronte dalla maniglia della porta…. Non si sa mai!
“Determinante, basilare, risolutiva la sinergia fra Squadra Mobile e Scientifica”. Il Capo della Mobile, Marzia Giustolisi, pratica ed incisiva, come nella sua attività quotidiana, inquadra immediatamente l’argomento: “Se non ci
fosse un attività pregressa della Mobile, basata sui riscontri sul territorio, il loro compito sarebbe più arduo. Un esempio aiuta a capirci. Individuiamo un soggetto che secondo le nostre indagini potrebbe essere l’autore di un crimine sul quale investighiamo. Facciamo in modo si far foto segnalare il soggetto, in modo che la scientifica possa confrontare le impronte rinvenute sul luogo del reato con quello del sospetto. Con questo sistema abbiamo smascherato molti criminali, risolto dei casi”. Senza dimenticare il contributo altrettanto importante degli uomini delle volanti spesso i primi ad intervenire: “Devono assumere un atteggiamento passivo nel non fare nulla e attivo nel fare in modo che anche altri non facciano nulla”. La Giustolisi, come ogni “capo” che si rispetti ha chiaro il significato del lavoro di equipe: “Vincente è il l’operato coordinato di Volanti, Mobile e Scientifica”.
I frammenti di impronte papillari latenti sono “quelle che ci sono ma non si vedono”. Le squadre di sopralluogo evidenziano i frammenti di impronte latenti con le polveri esaltatrici; tale attività risulta efficace specie quando le impronte papillari sono “fresche”: deposte cioè fino a 100 ore prima dell’intervento di sopralluogo. Le impronte papillari latenti rinvenute sulla scena del crimine vengono esaltate con particolari polveri di alluminio a granulometria finissima nell’ordine di qualche micron (millesimo di millimetro), e poi asportate con adesivi speciali e conservate come reperti e se si dovesse riscontrare la presenza minima di 17 punti caratteristici
Le impronte papillari latenti consentono tramite l’utilizzo dell’A.P.F.I.S. l’individuazione del reo detti “minutie”, sono giudicate utili per i confronti. In seguito, dopo essere state scannerizzate, vengono confrontate con quelle presenti nella banca dati informatica denominata A.P.F.I.S. (Automatic Palmprint and Fingerprint Identification System) che racchiude, a livello nazionale, le impronte di tutti i pregiudicati fotosegnalati e nel caso in cui l’impronta incognita rilevata in sede di sopralluogo risulta avere gli stessi 17 o più punti uguali per forma e posizione con quelli di una di quelle presente in banca dati e di cui si conosce il nominativo del proprietario si ha la cosiddetta “Identità Dattiloscopica” e cioè la certezza che le due impronte, essendo uguali, sono state lasciate dallo stesso soggetto.
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Fatti & Regione
Il rimpasto di Crocetta più politico che utile
CHE SPETTACOLO ! di Marco Benanti
A
ffermare che la Sicilia sia un laboratorio politico è una gran paraculata. Diciamoci la verità, si tratta di una definizione che serve a dare un vestito elegante ad un coacervo di interessi, ricerca di poltrone ed elitari affari che ben poco hanno a che fare con il laboratorio letteralmente inteso. La Sicilia per tradizione non si sottrae a queste logiche, che ovviamente disorientano ed aumentano il dissenso che i cittadini hanno verso la politica tout court. La decadenza è a tutti i livelli. Si parte dalla situazione locale, contingente, con una campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale di Caltanisetta che alla data odierna vede ancora troppi nodi da sciogliere. I lettori de Il Fatto Nisseno, probabilmente sfoglieranno questa pagina anche quando i nomi dei candidati finalmente verranno fuori, ma al momento la situazione è incerta tanto a destra quanto a sinistra. Partitamo proprio dal centro sinistra, da quei rapporti tra il Partito Democratico ed il polo Civico, rapporti tutt’altro che idilliaci e dove sino a pochi mesi fa volavano gli stracci. A destra non va meglio dicevamo, con l’operazione Forza Italia, Nuovo Centro Destra sapientemente creata da Berlusconi per stare sia in maggioranza che in opposizione, il gioco d’equlibrio si riverbera quindi sulla scelta del candidato sindaco nisseno. Stessa cosa per il circo regionale, già perché di
circo si tratta. Da un lato un presidente della Regione Crocetta padre padrone, tirato per la giacca di qua e di dall’altro una serie di personaggi che rivendicando posti in giunta paralizzano l’attività di una Regione sull’orlo del disastro. Principale cardine della nostra democrazia è vero, è quello della rappresentanza democratica negli organi di governo, cosa diversa è disertare l’aula di Palazzo dei Normanni per dare un segnale
a Crocetta, perché di questo si tratta, questa è stata l’azione degli ultimi mesi dei partiti che fanno parte della maggioranza, sia il PD che l’UDC. Che poi Crocetta abbia fatto di testa sua, annunciando una giunta che gela tutti, è un ulteriore colpo di scena ad una soap opera che lascia schifati i siciliani, beh quella è un’altra storia. Così il Presidente della Regione siciliana è andato dritto come un treno verso l’obiettivo rimpasto. Dopo
disertato diversi vertici di maggioranza e dopo l’ennesimo strappo col PD dell’ambizioso e (finto) giovane Fausto Raciti, Rosario Crocetta, si è chiuso in una stanza di Palazzo d’Orléans con Beppe Lumia e Salvatore Cardinale. Con la benedizione di Davide Faraone, braccio destro di Matteo Renzi in Sicilia, che ha bypassato il segretario regionale di PD, Fausto Raciti. Questi gli assessori del Crocetta bis, tra 6 conferme e 6 nuovi
ingressi: All’Economia e dell’Energia dovrebbero andare, rispettivamente, il professionista palermitano Roberto Agnello e il leader del Megafono in Toscana e presidente dell’associazione Caponnetto, Salvatore Calleri. In quota PD (area Renzi) viene confermato Giuseppe Bruno, già assessore delle Giunte di Leoluca Orlando negli anni ’90. I Drs di Totò Cardinale lanciano un personaggio molto potente nella Sicilia orientale: l’ex Soprintendente del Bellini di Catania, avvocato Antonio Fiumefreddo, personaggio già vicino all’ex presidente della Regione, Raffaele Lombardo. Articolo 4 di Lino Leanza alla fine dovrebbe puntare su Paolo Ezechia Reale. Tra i nomi nuovi, ecco anche uno dei due assessori Udc: si tratta del presidente di Federalberghi, Nico Torrisi. Il Partito di Giampiero D’Alia conferma Patrizia Valenti, unica dei tre assessori che non l’aveva tradito. Vanno a casa, invece, Dario Cartabellotta ed Ester Bonafede che si erano avvicinati a Crocetta, partecipando, giorni prima alla riunione della Giunta incriminata, contro le indicazioni del loro Partito. Ma la loro ‘crocettizzazione’ non sarebbe servita a nulla: alla fine il presidente della Regione li ha ‘scaricati’. Peccato che dopo poche ore la stessa UDC siciliana abbia sconfessato anche i propri esponenti Valenti e Turrisi. A casa torna pure Mariella Lo Bello. Anche lei ha avviato un processo di avvicinamento a Crocetta, designata
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Il Governatore tirato dalla giacca da una serie di personaggi e leader politici, riesce a far contenti tutti assessore dal ‘Correntone’ del PD di Mirello Crisafulli, agrigentina vicina al parlamentare nazionale, Angelo Capodicasa. Ma, alla fine, è stata messa fuori anche lei. Per il resto, il presidente Crocetta ha confermato la sua segretaria Michela Stancheris; confermata anche Linda Vancheri; il senatore Giuseppe Lumia avrebbe fatto pressioni per confermare Nelli Scilabra. Dentro anche l’assessore Lucia Borsellino. Rimane al proprio posto anche Mariarita Sgarlata: le cronache la danno in quota PD, visto che prima di aderire al Megafono aveva la tessera del Partito Democratico. In realtà, in sua difesa, sono scesi in campo i parlamentari del Movimento 5 Stelle che, anche nella crisi del primo Governo Crocetta, difendendo un assessore ai Beni culturali uscente non esattamente brillante. Intanto sulla questione giunta bis, si affacciano cieli tutt’altro che sereni. La questione europee conferma l’ennesimo strappo partitico interno al PD. Poi c’è il caso Marino che raggiunto dal Fatto Nisseno dice: non mi sento di parlare in questo momento dello strappo crocettiano in zona Caltanissetta, ne riparleremo più avanti, intanto critica Crocetta sulle accuse verso Caterina Chinnici e rilancia sull’eolico: “In quel caso è stata detta un’enorme bugia. Io ho già presentato in giunta i provvedimenti che potrebbero, nel rispetto della legge, bloccare o notevolmente ridimensionare il fenomeno dell’Eolico, nei confronti del quale anche io sono contrario. Ma, non so come mai, Crocetta non ha ancora messo le mani su quei documenti. Lo stesso vale per l’acqua pubblica. Quando il presidente dice che il sottoscritto è a favore dell’Eolico o contrario alla pubblicizzazione dell’acqua dice una leggerezza o è in malafede”. Che ci si avvicini al Crocetta ter? Intanto l’unica cosa che i siciliani hanno a “ter” sono le braccia! @BenantiMarco
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Il delizioso saggio di Nino Agnello racconta la padronanza del lessico del drammaturgo agrigentino di Salvatore Falzone
Le sconciature di Pirandello Per gustare qualcosa di sfizioso a proposito dello scrittore siciliano più famoso al mondo, bisogna procurare “Le sconciature di Pirandello” (Thule edizioni) che un professore di lettere in pensione, Nino Agnello, classe 1937, originario di Grotte, agrigentino di adozione, ha mandato in stampa di recente. Si tratta di un saggio - pubblicato in occasione del primo centenario del romanzo “I vecchi e i giovani” – che accompagna il lettore in un viaggio nella testa e nell’anima del grande drammaturgo di Girgenti: diabolico manovratore della parola, padrone assoluto di una lingua di cui conosce suoni e respiro, e che utilizza a suo piacimento, manipolandola, come un dio capriccioso con le sue creature. Il professore Agnello – che collabora a diverse riviste letterarie ed è autore di numerose pubblicazioni (di particolare pregio i poemetti lirico-narrativi intitolati “Itinerari del sognatore”) - passa pazientemente al setaccio avverbi, sostantivi, aggettivi
e voci verbali presenti nel testo del romanzo in questione. E mostra lo sguardo inedito di Pirandello “sconciatore”, abilissimo cioè a “sconciare”, soprattutto il lessico, in modo personalissimo e con finalità rigorosamente artistiche. Agnello svela insomma l’operazione pirandelliana della sconciatura della parola e degli stessi personaggi che popolano il mondo e le pagine del nobel isolano. “Sì – spiega l’autore -, Pirandello ha conciato e sconciato tanti personaggi con l’uso della parola e così ha trovato il modo di sconciare anche le parole con l’aggiunta di una semplice consonante, che dà il suono di una scudisciata o di uno schiaffo, sonoro e tagliente insieme”. Qualche esempio di termini sconciati? “Sconfidenza”, da intendere come mancanza di confidenza. Oppure “smortume” dell’alba, per indicare il biancore dilavato dell’aurora; o ancora “prezzo”, cioè disprezzo o spregio. Non mancano poi vere e proprie (felici)
invenzioni: “signorinaggine”, ovvero lungo zitellaggio. E ancora: “schifiltà”, cioè schifiltosità; spostando l’attenzione sugli aggettivi, si segnalano: “abbrezzato” (derivante da brezza), “abbottata” (dal dialettale abbuttatu), “arsicchiato” (dal participio del verbo ardere), “attossicato” (dall’aggettivo
La “sconciatura” della parola dei personaggi che popolano il mondo e le pagine del Nobel isolano sostantivato tossico; o dal più plebeo ntussicatu?). Ma Pirandello è davvero ardito: così s’inventa l’aggettivo “disperatonaccio” per dare due brutte attribuzioni insieme. In tal senso
si veda pure “ginocchiuto”, riferito a un tronco d’ulivo molto nodoso, tanti nodi tanti ginocchi dell’albero. Il figlio del Caos raggiunge il massimo della espressività perfino con gli avverbi: “nientissim’affatto”. Già, perché “Pirandello – spiega Agnello – non pone limiti alla sua ricerca espressiva. E questa non è indirizzata a un solo fine come può essere la moralità o la crisi politica o la crisi dell’aristocrazia, ma ad una finalità artistica, che però comprende tutti gli altri come la caratterizzazione dei personaggi, la condizione subumana di taluni ambienti, la caduta dei valori risorgimentali…”. Ma attenzione: l’artista Pirandello non fonde mai la sua lingua con quella delle sue creature. Ogni personaggio ha la sua lingua, i suoi gesti, le sue cadenze. E ogni personaggio viene impietosamente sconciato per sconciare la vita e il mondo intero. E’ questa la lezione del genio di Girgenti, maestro di libertà.
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Ornamenti
La Democrazia ad Atene
di Ivana Baiunco
In una città
normale ...
“Ma ti sembra giusto che in una città normale ci sono i sacchetti dell’ immondizia al centro della carreggiata? ” Mi dice l’altro giorno il mio parrucchiere accompagnandomi alla porta del suo salone, ed indica un sacchetto di spazzatura a qualche metro da noi. Giovanni con la sua affermazione, è stato l’ispiratore della rubrica di questo mese. Mi sono chiesta cos’è giusto che ci debba essere in una città normale. Intanto una cosa civile l’ha fatta lui, il mio parruc-
Ma se fosse una città normale non sarebbe la nostra città, sarebbe Atene chiere si è messo i guanti ha raccolto il sacchetto buttato da chissà chi, e lo ha messo nel cassonetto. In quel momento mentre vedevo quell’uomo distinto che faceva un gesto che pochi avrebbero pensato di fare, gettare l’immondizia altrui, mi sono venuti in mente una serie di pensieri, tra i quali un brano che ho letto ai tempi del liceo ; “La Democrazia ad Atene” di Pericle. Ma senza andare troppo lontano e fare sfoggio di letture classiche, ciascu-
no almeno una volta nella vita avrà pensato al concetto di normalità riferito al posto in cui vive. Baricco dice : “Il futuro è il posto in cui vivere” ma quella è un’altra storia. In qualche modo nei miei pezzi Baricco ce lo devo fare entrare, se no, non sono contenta. In una città normale, il centro storico è aperto al traffico o chiuso. Non è un pò aperto e un pò chiuso ad intermittenza come le luci degli alberi di Natale. Non c’è un’ isola pedonale senza i tavolini dei bar fuori perché il regolamento comunale non lo prevede. Allora che fai a fare l’isola pedonale. In una città normale, le macchine non si posteggiano a ridosso di una fontana tra due chiese, ma negli appositi spazi predisposti, ed i monumenti si transennano, si tutelano, si custodiscono. In una città normale, con dei cittadini civili e rispettosi degli altri, gli escrementi dei cani non si trovano a terra, che camminare è diventato come fare una gimkana, ma muniti di paletta e sacchetto ognuno si prende la responsabilità dell’animale che detiene e pulisce. In una città normale i giardini pubblici sono il polmone verde, servono ai bambini per giocarci, agli anziani per passeggiare, alle coppiette per amoreggiare. Non per spacciare, per prostituirsi, per vandalizzare. In una città normale, le fontane sono pulite e zampillanti. In una città normale il trasporto
pubb l i c o funziona ed il piano del traffico è a misura di città. Non pianificato come se fosse Roma per una città di 60 mila abitanti. In una città norIl rudere del Castello di Pietrarossa, male, i netturbini simbolo della città di Caltanissetta non sono costretti a diminuirsi lo stipendio pur di lavorare, perché e non si gli Ato sono stati un carrozzone entra da mangia soldi per la politica. In una una porta città normale, i consiglieri comu- secondanali non si decurtano lo stipen- ria come dio, per poi aumentarselo con il inserviennumero maggiore di commissioni ti o ospiti convocate. In una città normale, il indesidebel vedere è il punto più bello della rati. Ma se città, non un luogo pericoloso che fosse una per affacciarti ed ammirare il pa- città nornorama rischi la vita perché le ba- male non laustre sono intervallate da tran- sarebbe la senne di ferro messe alla meno nostra citpeggio. In una città normale, il tà, sarebteatro è il luogo dell’affabulazio- be Atene ne scenica dove si racconta la vita ai tempi degli altri, dove gli attori fanno so- di Pericle, gnare e la musica vibrare. Non un sarebbe la culla della democrazia. luogo per convegni, saggi di fine Ma se uno, anche solo un cittadianno e sagre varie. In una città no in più, ogni giorno leggesse il normale, il portone principale del brano di Pericle, forse potrebbe palazzo comunale è sempre aper- contribuire a farla diventare norto per accogliere e ricevere tutti, male.
Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così. Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri,chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. Qui ad Atene noi facciamo così. La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi facciamo così. Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso. Qui ad Atene noi facciamo così. Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero. Qui ad Atene noi facciamo così. Pericle “Discorso Agli Ateniesi 461 a.C.”
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Fatti & San Cataldo
di Alberto Di Vita
Burocrazia senz’anima:
L’agonia infinita di
L
PIZZO CARANO
a bomba viene lanciata qualche settimana fa, quando l’ufficio tecnico del Comune di San Cataldo invia agli abitanti del quartiere “Pizzo Carano” una nota con cui si dà avviso dell’inizio di un procedimento che annulla, in autotutela, le delibere di giunta (2007-2008) relative alla transazione dei maggiori oneri espropriativi. Il tutto a seguito di una autonoma richiesta di parere “pro-veritate” inoltrata al proprio legale di fiducia. Questo è, in termini accessibili ma pur sempre vicini al tecnicismo necessario in questi casi, il succo di un atto che riapre vecchie ferite per quello che è il quartiere sancataldese dalla storia più tormentata e dalle ferite più antiche e mai rimarginate. Sin dalla sua nascita, il quartiere “Pizzo Carano” ha sempre fatto parlare di sé, anche per quell’aspetto di piccolo paese a parte, dislocato com’è in una zona decentrata, qualche centinaio di metri di là dal “confine” di città che più appare naturale, quello cioè costituito dal duo ospedale e cimitero. Città e quartiere non si vedono neanche, divise da colline e terreni che sono soggette, tra l’altro, a vincoli archeologici: il che ne determina l’isolamento irreversibile. Ma non è solo questione di posizionamento infelice: gli stessi abitanti del quartiere si sono sempre sentiti alla stregua di veri e propri “coloni di frontiera” spediti in esplorazione di un territorio nuovo, che avrebbe dovuto aprire i confini di San Cataldo. Insediato a partire dalla metà degli anni ’80, “Pizzo Carano” nasce con disfunzioni e anomalie che avrebbero dovuto sconsigliarne l’occupazione: zona dalla morfologia particolare e piuttosto accidentata, fortissime pendenze, mancanza di strade comunali, assenza di
qualsivoglia opera di urbanizzazione, fogne letteralmente da inventare così come gli impianti per l’approvvigionamento idrico. Per dire del minimo necessario a garantire la civile vivibilità di un quartiere: basta fare un giro per scorgere segni di approssimazione urbanistica a ogni angolo, scelte costruttive azzardate, alte mura di sostegno a dividere palazzi vicini e che già da tempo hanno cominciato a mostrare segni di cedimento e crepe. Nata sotto una cattiva stella, ma ciò non ha impedito alla zona di essere abitata con entusiasmo da chi sognava di ritagliarsi uno spazio di vivibilità diversa dalle angustie del centro storico, né le ha impedito di essere animato da
Il quartiere è nato sotto una cattiva stella: ora somiglia ad una sorta di dormitorio uno spirito diverso e indipendente che l’ha caratterizzato, almeno fino a pochissimo tempo fa: smarrita quell’esuberanza, oggi somiglia più a una sorta di dormitorio. Il quartiere nasce nel 1976 a seguito della redazione del piano di zona che prevedeva l’assegnazione di aree a cooperative per l’attuazione di programmi di edilizia economica e popolare: germoglia, insomma, per dare casa e sicurezze a famiglie meno abbienti. Alle cooperative viene riconosciuto un diritto di superficie di 99 anni a fronte di un pagamento di somme determi-
nate dal Comune. Il problema è che tra l’istituzione dell’iter espropriativo e il suo compimento cambia la normativa vigente: il calcolo delle somme, prima quantificato sul valore agricolo dell’area, viene stabilito sul reale valore di mercato di area edificabile. La sproporzione tra le due somme era ingente e i proprietari dei terreni espropriati hanno, giustamente, provato a far valere la norma per vedersi riconoscere il massimo possibile. Si iniziano così contenziosi che, per abitudine squisitamente italiana, si sono protratti per trentanni. Nonostante le condizioni estremamente disagiate; nonostante costi di fondamenta, muri di contenimento e opere di sostegno spesso più alte del valore degli stessi immobili; nonostante la necessità di autofinanziarsi la costruzione di allacciamenti idrici improvvisati, o sborsare di tasca propria per il continuo ricorso agli autoespurghi (le fogne per molti anni sono state una chimera); nonostante l’area fosse poco appetibile per qualsivoglia colonizzazione; nonostante questo e tanto altro, i tribunali decretavano che l’area fosse di “alto interesse edificatorio” determinando cifre molto alte, spesso equiparate a zone del centro. Situazione in cui il Comune sembra avere avuto ruoli marginali, spesso remissivi e lontani dall’idea di tutela di quella cittadinanza minacciata di dover saldare un prezzo salatissimo nonostante tutti i disagi che ha dovuto vivere sulla propria pelle: assenti o quasi anche i tentativi di mediazione per arrestare, almeno, il degenerare degli importi a causa di rivalutazioni, spese legali e interessi, che oggi superano e non di poco gli importi iniziali. Nel 2000 una svolta a seguito di proteste reiterate delle famiglie, in un Con-
siglio Comunale straordinario trova un punto di incontro: le somme spettanti avrebbero dovuto essere calcolate sull’effettiva superficie di costruzione piuttosto che sull’intera area espropriata, nonché fissato il limite degli interessi dovuto al 20% del totale. Qualche anno dopo, la giunta dell’allora sindaco Raimondo Torregrossa dà seguito a quanto stabilito dal Consiglio Comunale e comincia un percorso di accordo che tendeva a garantire tutti nel modo più equo possibile. Accordi sottoscritti e deliberati tra 2007 e 2008 che però non hanno mai avuto riscontro formale, dato che le cifre non sono state quasi mai richieste da parte delle amministrazioni, pur essendo state inserite regolarmente in bilancio tra le entrate presunte. A seguito dei solleciti da parte del collegio dei revisori dei conti, che chiede conto all’Amministrazione il motivo per cui non si richiedano le somme iscritte in bilancio, oggi l’ufficio tecnico agisce andando oltre l’invito del collegio stesso, ritenendo che le delibere del 2007 siano illegittime per tre motivi: 1) incompetenza della giunta municipale nella approvazione delle transazioni; 2) illegittimità della Giunta municipale nell’assegnazione dell’area in regime di “diritto di proprietà” anziché di “diritto di superficie”, senza che ci fosse approvazione di atto idoneo da parte del Consiglio Comunale; 3) mancato rispetto del principio del perfetto pareggio economico dell’operazione espropriativa. Gli abitanti di “Pizzo Carano”, oggi rappresentate da Epifanio Mistretta, si ritrovano d’improvviso, a 7-8 anni da quella che sembrava l’uscita da un tunnel in cui avrebbero preferito non entrare neanche, ripiombati in un incubo, uno di quei casi in cui pare che
la burocrazia sia una macchina a sé stante e dotata di vita propria, lontana dai problemi della gente, incapace di vestirsi di qualsivoglia aspetto umano, e che cala sul capo dei cittadini una scure feroce e impietosa. Vicenda che avrebbe anche del grottesco se non avesse a che fare con la serenità, se non proprio con le capacità di sostentamento e il futuro di decine e decine di famiglie: oggi un organo interno del Comune dà una valutazione tecnica finora inimmaginata, e cioè che le precedenti Giunte non fossero competenti nel determinare quelle transazione, e individua “vizi di forma” in atti che non sono prodotti dai cittadini ma dalla stessa macchina comunale. E piuttosto che sanare, “motu proprio” (come farebbe qualunque buon padre di famiglia) i vizi di forma che invaliderebbero transazioni a suo tempo ritenute legittime e deliberate, decide di calare la mannaia sulla testa dei cittadini, vada come vada, tanto a pagare non sarà mai un burocrate o un politico. Senza tenere conto di tutte le procedure di contenzioso che saranno attivate dai cittadini stessi, con esiti che non sono scontati e potrebbero ritorcersi contro il Comune, ovvero contro tutti. Tanto a pagare, lo sappiamo, non sarà mai un burocrate o un politico. Sembra quasi superfluo riportare lo sconforto, in qualche caso anche vera disperazione, che molte famiglie stanno affrontando nuovamente, in un periodo in cui la parola “crisi” è argomento ormai quotidiano da parte di tutti. Una vicenda spiacevole che è però specchio di una distanza abissale tra cittadini e Stato: e non stupisce che siano sempre di più quelli che vedono le istituzioni come qualcosa di estraneo e che non li rappresenta.
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Elezioni Amministrative
La corsa a Palazzo delle Spighe
...manca solo il
S
e Franco Raimondi fosse stato primo cittadino di una grande metropoli, probabilmente a quest’ora la sua amministrazione sarebbe oggetto di studio da parte di politologi e sociologi, e sarebbe anche l’intestatario di una particolare sindrome: quella della esasperata diffidenza politica. “Effetto Raimondi”, sorridendoci su potremmo chiamarlo così quello che si sta abbattendo sulla cittadina di San Cataldo a poche settimane dal voto per l’elezione della nuova compagine amministrativa e del consiglio comunale. Al momento di chi Vi scrive, infatti, sono ben dieci i possibili candidati alla poltrona di Sindaco: “manca solo il portiere”, per rilanciare la battuta più divertente sull’argomento. Proviamo anche a sorriderne, benché l’argomento sia spinoso e riflette un malessere della politica locale, da tempo ormai incapace di trovare soluzioni adeguate per una città che ha bisogno di rilancio, coraggio e competenze. I primi a lanciare il famigerato sasso nello stagno sono stati i rappresentanti del movimento “Riprendiamoci la Città”, che hanno di fatto lanciato in corsa il loro rappresentante di sempre, Giampiero Modaffari, da tutti individuato come il grande favorito, quantomeno per l’approdo al secondo turno. Poche settimane dopo, lo stesso Modaffari, a seguito di larghe consultazioni e confronti continui, accetta l’invito e conferma pubblicamente la sua candidatura. A seguire, mossa coraggiosa e al tempo stesso azzardata da parte del “Megafono”, espressione del presidente Crocetta, affiancato alle regionali con UDC e PD. La scelta ricade su Massimiliano Rizza, nome nuovo e tirato fuori anche un po’ a sorpresa. Nonostante diverse voci diano questa candidatura in bilico, a una ventina di giorni dalla presentazione delle liste resiste e non c’è, al momento, motivo di credere che venga ritirata o che possa confluire in altri progetti. Anche se il “grande tentativo” è stato
Portiere
già sperimentato e chiuso con un fallimento. In una domenica mattina di marzo, infatti, nelle stanze di un noto sindacato si sono raggruppati gli esponenti di un corposo numero di partiti e movimenti che hanno fatto prove di coalizione: dipende dalla propria posizione, si può vedere come una “grande ammucchiata” o come una “grande sintesi sociale”. Protagonisti del conclave PD, Primavera sancataldese, Sacco, UDC, Megafono, Popolari Liberi e Forti, associazione Big Bang e Sel, che sembra essere stata la prima a fuggire (e, in seguito, ha preso la decisione di
di Giuseppe Scarantino, già candidato nel 2012 e sconfitto al ballottaggio dall’alleanza Raimondi, Pd e Rifondazione comunista. Candidatura un po’ a sorpresa, visto che tra fine febbraio e inizio marzo le dichiarazioni pubbliche erano rivolte a una collaborazione con altre forze, anche con una forte e per certi versi inattesa apertura al PD locale. Sempre nel solco delle candidature inattese, il PD sceglie, dopo alcuni tentativi di formare una coalizione e quello che è parso un lungo lavorìo non solo interno al partito, di candidare il
di donne, soprattutto “mamme di famiglia”. Il “Movimento 5 Stelle”, dal canto suo, dopo aver seguito il particolare iter per le candidature, propone il nome di Francesco Lombardo, laureato in psicologia e attivo in passato con alcune associazioni locali (tra cui “Tam Tam” e “Real Dream” da lui fondata): seguendo la lunga linea tracciata a livello nazionale, è già stato promesso un taglio del 30% a tutte le cariche politiche. Da questo punto in poi è tutta nebbia. Stupisce che, ad oggi, il centrodestra
Pagano che ricorda ai cittadini di avere superato indenne le traversie giudiziali degli ultimi mesi. Il nome comunque indicato da tempo e in attesa di ratifica pubblica è quello di Giuseppe Scarlata, sulle quali si provano a trovare convergenze. Mentre sembra che le energie dell’UDC si stemperino altrove senza dare precise connotazioni politiche alla scelta, lasciando ai candidati libertà di preferenza, si rimane in attesa di decisione delle altre forze; come Rifondazione Comunista, che potrebbe schierare una propria lista
Dieci i possibili candidati alla fascia tricolore: regna solo confusione
non schierarsi con alcun candidato). Va da sé che l’incontro ha avuto le stigma della temerarietà, viste le marcate differenze tra le forze presenti, la storia locale e le peripezie del recente passato. Pochi giorni dopo, infatti, a rompere gli indugi è “Il Sacco in movimento”, che ripropone la candidatura
giovane Danilo Dagliano, che conferma la disponibile il 5 aprile con una lunga lettera aperta alla città. È di qualche giorno prima, invece, l’uscita pubblica di Beniamino Caramanna, che si propone al grande pubblico con la lista “MI avete rubato il futuro”, annunciata come composta dal 60%
sancataldese abbia lasciato vuoto il nome del candidato sindaco. Un silenzio quasi innaturale per chi ha fatto della comunicazione, che la si condividesse o meno, uno dei punti di forza delle precedenti campagne elettorali: l’unico cenno arriva da un manifesto del deputato Alessandro
con candidato Romeo Bonsignore o Settimio Culora, o che potrebbe addirittura trovare in extremis sintesi con PD, Primavera sancataldese e “Il Megafono”; come quella dei Forconi, dai quali trapela l’intenzione di premiare l’impegno di Maria Concetta Naro insegnante e poetessa apprezzata non solo dalla comunità locale. Sarebbe un quadro monco se mancasse chi ha avviato, inconsapevolmente, questo improvviso vorticare confuso della politica sancataldese. Pare, infatti, che Franco Raimondi ci voglia riprovare ancora una volta: non ci arrivano notizie certe, ma possiamo scommettere sulla sua distanza con gli ex-alleati. Fra qualche settimana sapremo cosa verrà da questa “sindrome Raimondi”, che è comunque specchio di una città unita nella sofferenza ma divisa nella politica che, qui come a livello nazionale, appare incapace di analizzare a fondo e affrontare i problemi veri della gente.
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comunicazione commerciale
Il quarto anniversario Grande festa per i 4 anni del centro commerciale di C.da Bigini a San Cataldo
“Happy birthday”
il Casale
Ci si aspettava un grandissimo successo di pubblico per il quarto compleanno del C.C. Il casale e cosi è stato. Una due giorni di eventi davvero sorprendenti all’insegna dello spettacolo, della moda, ma anche di arte e cultura, che ha attirato migliaia di clienti che hanno potuto apprezzare da vicino testimonial d’eccezione come Raffaella Fico, Giulio Berruti e Cecilia Rodriguez. Raggiante il direttore del Centro, Calogero Sanfilippo, che dopo due anni di direzione coglie l’occasione per tracciare anche un breve bilancio del lavoro svolto sin qui nella bella struttura di San Cataldo ed una analisi sul futuro dei centri commerciali:
“ Vorrei innanzitutto ringraziare le migliaia di clienti che hanno scelto di festeggiare con noi il quarto compleanno del Centro. E’ stato un successo di pubblico straordinario che rende merito agli sforzi organizzativi fatti dalla Direzione ed alla fiducia accordataci dai nostri negozianti e dalla Proprietà del Centro che ci consentono di pensare e realizzare eventi sempre di grande rilievo. Un ringraziamento lo meritano anche tutti le aziende, moltissime delle quali locali, che hanno supportato al meglio la Direzione e la società di gestione, Cogest Retail, nella organizzazione dell’evento, con la consueta passione, grande entusiasmo e pro-
fessionalità. Eventi come questo, con una partecipazione di pubblico straordinaria, ci convincono sempre di più del potenziale enorme e unico di strutture come la nostra. E’ innegabile il fatto che la situazione economica generale renda complicato il nostro lavoro, ma rimane in noi e nei nostri operatori, la consapevolezza che l’investimento all’interno del centro commerciale rappresenti sempre la scelta strategicamente migliore per imprenditori in grado di proporre e realizzare progetti commerciali in linea con le richieste del territorio ed in grado di ben inserirsi nel mix merceologico già presente all’interno della struttura approfittando delle nuove occasioni offerte oggi dal mercato. Credo che una grande risposta alla crisi economica sia quella di affrontare il presente guardando all’idea di futuro che vogliamo seguire. Un futuro in cui il mondo dei servizi, dell’intrattenimento e delle attività collaterali allo shopping rappresenteranno sempre più una leva di fondamentale importanza su cui far riferimento per orientare le scelte dei clienti e per far ottenere ai centri commerciali un ulteriore vantaggio competitivo. Non possono più esistere, quando si parla di grandi progetti, concetti applicabili ad ogni circostanza: ogni centro commerciale ad esempio deve es-
sere
gestito con grande attenzione e sensibilità rispetto a variabili specifiche legate al territorio in cui risiede. Ecco allora che il nostro lavoro quotidiano non può non partire dalla considerazione delle caratteristiche del territorio locale, cui ci sentiamo legatissimi e che cerchiamo di studiare ogni giorno con grande attenzione. La sfida è quella di arricchire l’offerta merceologica del Centro con ulteriori insegne di rilievo, internazionali e locali; ed anzi proprio queste ultime rappresentano oggi una ottima soluzione per differenziare un’offerta che nei Centri Commerciali risulta spesso troppo omologata, valorizzando l’imprenditoria locale. Fondamentale poi continuerà ad essere il mondo dei new media; in epoca di blog e Facebook i milioni di consumatori che passano annualmente dai nostri centri commerciali sono un enorme patrimonio di opinioni, una risorsa che, se ben gesti-
ta, può darci un ulteriore vantaggio competitivo. Il C.C. Il Casale stà andando con coraggio verso questa direzione. Abbiamo accettato una sfida di rinnovamento e di sviluppo che è in atto e che ci teniamo a vincere insieme ai nostri clienti. L’inaugurazione di un bellissima area bowling, il potenziamento dell’area ristorazione, l’ampliamento dei servizi e tante nuove aperture di negozi che realizzeremo già a partire dal mese di aprile ci consentiranno di offrire al territorio una realtà sempre più competitiva e ricca di nuove opportunità che ci auguriamo potrà essere sfruttata al meglio non solo dai clienti ma anche dagli operatori economici del territorio. Il vero obiettivo oggi più che mai è unire le forze, fare squadra, collaborare, attuare progetti “inclusivi” che grazie alla sinergia tra il centro commerciale, il mondo della associazioni, i Comuni, le Pro loco e gli imprenditori del luogo possano arricchire e far ripartire l’intero territorio. Un bellissimo esempio di tale sinergia è sicuramente rappresentato dalla fiera dell’edilizia “Coif ” che il C.C. Il Casale ospita ormai da quattro anni e che è diventato un appuntamento annuale molto atteso ed in grado di attirare l’interesse di migliaia di imprenditori. In conclusione vorrei fare un cenno ad un’altra bella realtà del c.c. Il Casale, il PDV “Decathlon”; si tratta di un’insegna internazionale di prestigio che ci onora delle sua presenza e che dall’11 aprile è diventata ancora più grande con ulteriori 300mq di superficie espositiva. Un altro bel regalo per la nostra clientela!”
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Fatti & Territorio
L’intervista
La nuova Soprintendenza di
Lorenzo
Guzzardi
Il mio obiettivo: valorizzare i siti meno noti della provincia
di Donatello Polizzi
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altanissetta è un provincia che possiede ricchezze artistiche e aree archeologiche di grande valore e testimonia una meravigliosa diversità di stili e di culture, talvolta sconosciuti ai più, finanche agli stessi nisseni. L’incontro con Lorenzo Guzzardi, il nuovo soprintendente di Caltanissetta, già direttore del parco archeologico di Eloro e Villa del Tellaro, è l’occasione per illuminare i tesori di Caltanissetta e della provincia. Archeologo, sottolinea nel corso della nostra conversazione le sue molteplici esperienze negli scavi, 58 anni, siracusano di adozione. Sposato con due figli: Monica, studentessa di Giurisprudenza a Roma e Antonio, alle prese con la facoltà di Economia a Bologna. Non manca la citazione per Kim, il
suo affezionato breton espagneul. “Il mio insediamento a Caltanissetta, avvenuto agli inizi di novembre del 2013, è coinciso con la riorganizzazione regionale delle Soprintendenze, voluta dal nuovo dirigente regionale e fatta propria dalla Giunta Regionale. E’ cambiata la struttura, sono state create dieci Unità Operative (Affari generali, Legale e della Contabilità, Sicurezza e Protezione Civile,Valorizzazione, Archeologica, Architettonica, Paesaggistica, Storicoartistica, Etno-antropologica, Bibliografica) con nuovi dirigenti scelti a livello regionale. Non posso che sottolineare come abbia avuto la fortuna di trovare personale molto collaborativo e dei bravi dirigenti al posto giusto. Alla mission tradizionale della tutela
Il sito archeologico di Sofiana (Mazzarino). A destra Lorenzo Guzzardi con Kim.
si aggiunge ora quella della valorizzazione, per cui una delle finalità più importanti è la creazione dei parchi archeologici così come stabilito dalla legge regionale n. 20 del 3 novembre del 2000, voluta dall’allora assessore al ramo Fabio Granata”. Guardiamo i moltissimi libri, tanti sulla storia di Caltanissetta, presenti sul grande
Armerina e dunque in provincia di Enna, avevo proposto di accorpare alla Villa il sito archeologico di Sofiana, distante solo pochi chilometri, che è in territorio di Mazzarino, in provincia di Caltanissetta. Adess o
Valorizzazione di siti, musei e biblioteche: “La bellezza va vissuta, respirata, condivisa, propagata” tavolo presente nel suo studio, dove peraltro non difettano neanche i faldoni. “Il mio è un lavoro che ha molti risvolti, spesso poco noti. Ad esempio all’inizio della mia attività a Caltanissetta, proprio per quelle riforme di cui stavamo discutendo, ho dovuto dar corso a varie ‘consegne’. Per esempio, mentre ho ricevuto fra le mie nuove competenze vari luoghi di cultura, il Museo delle Solfare e quello archeologico di Marianopoli, ho consegnato il sito di Sofiana per la gestione al Museo della Villa del Casale”. Guzzardi non nasconde uno sguardo soddisfatto: “Quando ero direttore del Museo della Villa del Casale, destinato a divenire parco archeologico, di Piazza
quest a proposta è divenuta re a lt à. Poiché l’istituendo parco archeologico è autonomo e utilizzerà gli introiti rilevanti della biglietteria oltre agli altri
proventi, per valorizzare altre aree, fra cui Sofiana, sito importantissimo, abitato già in età antica e collegato con la villa e il suo latifondo. Sistemando la strada adesso dissestata che collega i due siti ai confini delle due province, si può innescare un meccanismo virtuoso, per cui una parte dei visitatori della villa può essere indirizzata a visitare Sofiana e la stessa straordinaria città di Mazzarino, il cui patrimonio barocco meriterebbe di essere più conosciuto”. GELA. “Anche a Gela è prevista l’istituzione di un Parco Archeologico, c h e
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Accanto il Castello Manfredonico di Mussomeli inaugurato nel 1370 da Manfredi Chiaramonte. A sinistra l’auditorium di Santa Maria La Vetere. Sotto l’Acropoli di Gela.
A Gela è prevista l’istituzione di un parco archeologico e la costruzione di un museo navale
dovremo perimetrare e che includerà certamente la zona dell’Acropoli e di Capo Soprano. La città è straordinaria, ha un patrimonio che non è da meno rispetto alle altre città greche dell’isola. Purtroppo Gela non è entrata nei circuiti turistici: ecco dove è la differenza. La conosco essendomene occupato per motivi di ricerca e studio. Basti ricordare che dopo le ricerche di Paolo Orsi, sono continuate le campagne di scavo. Nel dopoguerra Gela aveva un suo ufficio quando ancora a Caltanissetta non vi era la Soprintendenza, istituita nel 1991. Nel parco sorgerà un museo dedicato alle imbarcazioni che accoglierà la nave greca riportata alla luce nei fondali gelesi di Bulala. Essendo stati conclusi i primi interventi di restauro nel laboratorio inglese Mary Rose Archeological Services di Portsmouth, andremo a breve a ritirare il relitto per collocarlo al Museo di Gela in attesa della nuova struttura museale dedicata alle navi antiche”. MUSSOMELI. “Il Castello Manfredonico è di proprietà del Comune, noi ne abbiamo la tutela. Per affrontare i problemi del castello ci si sta adoperando in piena collaborazione. Su di esso necessitano importanti interventi che non potranno essere finanziati solo dal Comune. Intanto, per la gestione e la manutenzione ordinaria del monumento, l’ente locale potrebbe prevedere che le entrate derivanti dalla biglietteria e dalle concessioni d’uso
siano utilizzate esclusivamente per il castello. A Mussomeli vi è anche, unico nel suo genere, il sito archeologico di Polizzello, che corrisponde ad uno dei due più importanti abitati sicani nell’isola. Un sito che ha restituito reperti eccezionali e nel quale, dopo Pasqua, la Soprintendenza riprenderà a scavare. Vi è inoltre prevista, con un finanziamento di 500 mila euro, la valorizzazione del Borgo Polizzello, di proprietà comunale, che è ubicato presso l’area demaniale archeologica di competenza regionale. Il vallo-
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ne non ha solo Mussomeli. Ricordo Sutera con l’importante patrimonio museale storico-artistico ed etnoantropologico; Milena che conosco da tempo, il cui museo archeologico possiede oggetti di interesse preistorico unici (rinvenuti durante gli scavi dell’università di Catania e della Soprintendenza di Caltanissetta), che non temono confronti con i materiali dei più noti musei dell’isola. Si tratta di reperti che evidenziano come la realtà mineraria (zolfo e salgemma) fosse già attrattiva in età preistorica”.
Abbiamo modo di conversare con il Soprintendente sulla necessità di mettere in rete tutto il patrimonio del vallone. Ma si riflette insieme sulla necessità che venga migliorata la rete stradale, attualmente pessima; diversamente, come far giungere i turisti? Nella nostra piacevole e appassionante discussione ci “avviciniamo” a Caltanissetta; prima però vi è un cenno ad un’altra iniziativa innovativa in favore del Museo delle Solfare di TrabiaTallarita, il più importante complesso minerario dell’isola, molto visitato specialmente dagli studenti. A breve partirà un progetto, fra i primi in Sicilia, un bando per l’applicazione della sponsorizzazione. CALTANISSETTA. “Bella città dal passato illustre. E’ stata la capitale del centro Sicilia, fra le città più popolose della regione, elevata al rango di capoluogo nel 1816 dai Borboni. Ha avuto un organizzazione ed esperienza amministrativa di grande peso, ma ho la sensazione che abbia perso coscienza della sua forza, della sua storia, della sua tradizione. Bisogna riscoprire il valore dell’essere nisseno. Noi tentiamo di contribuire a questa rinascita e alla riscoperta della città. E’ nostra intenzione rendere fruibile al pubblico la biblioteca d’Istituto insieme ad altro patrimonio bibliografico e archivistico. Abbiamo completato i lavori di restauro di Santa Maria la Vetere, adesso divenuta auditorium. L’abbiamo già
aperta al pubblico in alcune occasioni, come le giornate di primavera del FAI. Nei recenti lavori di restauro eseguiti dalla Soprintendenza vi sono stati rinvenuti segni dei lapicidi medievali. Tutto il complesso conventuale degli Angeli, di cui è stato terminato il primo intervento, è un patrimonio unico che vogliamo valorizzare con un centro culturale che potrà includere importanti lotti bibliografici e archivistici, di cui si vuole garantire la fruizione. Nella città di Caltanissetta, per quanto concerne il patrimonio monumentale e storico-artistico, vi sono tante realtà straordinarie. Vi è un centro storico che merita di essere salvaguardato (come tutti gli altri del Nisseno); si deve intervenire per evitare ulteriore degrado del patrimonio edilizio conseguente all’abbandono di diverse unità immobiliari. E’ per questo che abbiamo chiesto al Comune di eseguire i prossimi interventi nel quartiere della Provvidenza con l’attenzione del caso. E’ importante inoltre che i vari restauri degli importanti edifici di interesse storico-artistico nella città e in provincia siano seguiti da un utilizzo corretto. Le mie esperienze a Noto e Siracusa mi hanno insegnato che fare un restauro senza un utilizzo dell’immobile immediatamente dopo l’intervento significa non garantirne la manutenzione ordinaria”. Non può mancare il riferimento alle Vare. “Ho incontrato i detentori insieme al sindaco ed abbiamo parlato
La legge regionale n. 20 del 3 novembre 2000 che istituisce i parchi archeologici è utile e innovativa del museo. Un’istituzione che non deve essere solo l’esposizione dei gruppi sacri, ma che dobbiamo rendere viva. Serve raccogliere foto, filmati, documenti, anche le tradizioni orali. La bellezza va vissuta, respirata, condivisa, propagata”.
.L’arte e la cultura rimandano ad un concetto di bellezza che serve a fornire all’uomo strumenti migliori per la convivenza sociale e civile. (G.Tornatore)
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Fatti & POST SCRIPTUM
di Filippo Falcone
Settantesimo Anniversario
1944 2014
Ricordando i due nisseni morti nelle Fosse Ardeatine
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Raffaele Zicconi di Sommatino e Gaetano Butera di Riesi
ome è noto tra il 1943 e il 1944 l’Italia visse la tragica pagina dell’occupazione tedesca. Molti paesi e città, specie del centro-nord, subirono rappresaglie e massacri ad opera delle SS, con migliaia di vittime, non solo tra i militari, ma anche tra le inermi popolazioni. Tra questi episodi va ricordato anche l’eccidio delle Fosse Ardeatine, avvenuto a Roma il 24 marzo 1944. Dopo l’attentato di via Rasella, il 23 marzo, ad opera del gruppo partigiano romano dei GAP, contro una colonna
Dubbi sui rifiuti speciali: dopo la chiusura, mai esplorate le gallerie dei vari livelli estrattivi. Mistero... di SS - e che aveva causato la morte di 33 soldati - la risposta dei tedeschi era la stata la rappresaglia, che si sarebbe consumata il giorno dopo presso le Fosse Ardeatine (lungo la via Ardeatina, fuori Roma). Qui, in alcune cave abbandonate, vennero trucidati 335 italiani, tra antifascisti, civili, militari e cittadini di origine ebraica. Tra questi 13 siciliani e due nisseni: il riesino Gaetano Butera, appartenente al Fronte Militare Clandestino e il sommatinese Raffaele Ziccoli del Partito d’Azione. Quest’ultimo era nato a Sommatino
nel 1911, figlio di un perito minerario di origine sarda, che aveva lavorato nella miniera di zolfo Trabia Tallarita. Trasferitosi a Roma, Raffaele aveva sposato Ester Aragona, nipote dell’illustre scienziato calabrese, Alfonso Splendore, che aveva scoperto la toxoplasmosi. Raffaele, padre di un figlio e di una bambina in arrivo (che mai conoscerà), antifascista, aveva nascosto e salvato una famiglia di ebrei dalle leggi razziali. Impiegato delle Poste, era entrato nella lotta clandestina romana aderendo al Partito d’Azione. Il 7 febbraio 1944 si apprestava a mettere in atto un’azione di sabotaggio ma, tradito da una spia, veniva arrestato, assieme ad alcuni suoi compagni, e tradotto nelle famigerate carceri delle SS di via Tasso. Qui rimaneva sino al 24 dello stesso mese, subendo torture e sevizie di ogni tipo, ma non facendo i nomi dei compagni. Dopo quei drammatici giorni, veniva trasferito nel carcere di Regina Coeli, dal quale, in una lettera alla famiglia, scriveva: “Dopo ben 17 giorni di segregazione, murato vivo, maltrattato in maniera eccessiva, adesso che rivedo la luce sono risuscitato. Le botte, la fame, la mancanza d’aria, mi avevano prodotto una nevrosi cardiaca”. Pezzi importanti di questa storia sono riemersi dall’oblio grazie ad alcune lettere del nonno, scritte dal carcere e raccolte dal nipote Massimo Ciancaglini. Toccanti sono le pagine che ricostru-
iscono le ultime ore di Raffaele e dei suoi compagni di martirio; legati fra loro, fatti salire su camion e portati fuori Roma per essere trucidati. Si apprenderà solo successivamente che quei poveri corpi erano stati ammassati poiché lo spazio nelle cave Ardeatine era insufficiente - costretti a salire sui corpi
famiglia a Roma. Prima di essere chiamato alle armi aveva frequentato il terzo anno di un corso di avviamento professionale, che gli aveva permesso di iniziare l’attività di artigiano decoratore. In forza ad un reggimento carrista nella capitale dall’agosto ’43, all’occupazione tedesca, dopo l’armistizio dell’8 settembre, era entrato a far parte dell’organizzazione partigiana Bande Armate Lazio, appartenenti al Fronte Militare Clandestino, operandovi tra il 1943 e il ‘44.
A sinistra Gaetano Butera, a destra Raffaele Zicconi. Al centro l’entrata delle Fosse Ardeatine
di quelli già uccisi, per essere loro stessi trucidati, cadendo l’uno sopra l’altro dopo l’esecuzione. Tra questi anche il trentatreenne Raffaele Zicconi, che viene ricordarlo a Roma da una targa presso le Poste di piazza S. Silvestro e da una lapide davanti la sua abitazione in piazza Landro 7. Analoga è la storia di Gaetano Butera, nato a Riesi nel 1924 che, all’età di dodici anni, si era trasferito con la
Fatto prigioniero in un’imboscata, durante un’azione di sabotaggio, era stato - anche lui come Zicconi - trasferito nelle carceri di via Tasso, dove era stato torturato per giorni dalle SS senza nulla rivelare dell’organizzazione di cui
faceva parte. Da lì, nelle ore successive all’attentato di via Rasella, veniva prelevato dal carcere di Regina Coeli, dove era stato trasferito, e portato assieme ad altri prigionieri alle Fosse Ardeatine, per essere trucidato. Non aveva ancora compiuto venti anni. Dopo la morte, gli veniva tributata la medaglia d’oro al valor militare alla memoria, con motivazione: “Audace patriota appartenente ad un gruppo di bande armate operanti sul fronte della Resistenza, si distingueva per attività, coraggio ed alto rendimento. Incurante dei gravi rischi cui continuamente si esponeva, portava a compimento, brillantemente, tutte le missioni operative affidategli facendo rifulgere le sue doti di ardito combattente della libertà ed assoluta dedizione alla causa nazionale”. Successivamente gli veniva intitolato in nome del 9° battaglione corazzato dell’esercito italiano “Medaglia d’Oro Gaetano Butera”. Oggi, più che mai, in un’Italia così confusa, a 70 anni da quei tragici fatti, raccontare le storie di chi, come Raffaele Zicconi e Gaetano Butera scelsero, e pagarono con la vita, un impegno di libertà, deve farci riflettere. Dalle ferita di quelle pagine di storia, mai completamente rimarginate, bisogna ripartire. Fare i conti con la storia è necessario, rimuoverla sarebbe un ulteriore crimine, tramandarla un dovere civile.
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AVVISI LEGALI TRIBUNALE DI CALTANISSETTA
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AVVISO DI VENDITA DEI BENI DEL FALLIMENTO N. 15/2012 R. FALL. L’Avv. Marco Vizzini, con studio in Caltanissetta, Via Libertà n. 114, nella qualità di Curatore del fallimento n. 15/2012 R. Fall., giusta autorizzazione alla vendita del Giudice Delegato Dr. Calogero Cammarata, rende noto che in data 23 maggio 2014, ore 10,00 presso il suo studio, avrà luogo la vendita dei seguenti beni mobili, nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano:
L’emigrazione è sempre appartenuta alla storia dell’uomo. In passato, però, l’ospite era sacro.
LOTTO N. 27: Autovettura FORD Mondeo 2.0 TDCi, gasolio, 115 cv (103Kw) targata DH 345 GV di colore grigio scuro, immatricolata il 20.07.2007, Km 322.374, cambio manuale. Il prezzo a base d’asta è fissato in Euro 1.650,00.
Anima migrante di Rino del Sarto
Non esiste religione al mondo che non parli del distacco dell’anima dal corpo al momento della morte. Che sia verso l’inferno, il paradiso o la reincarnazione in un altro essere vivente l’anima sempre emigra. L’emigrazione è dunque del creato, di tutte le cose animate e solo apparentemente inanimate. Perfino delle pietre e i continenti emigrano, vanno alla deriva sulla crosta terrestre. L’America Latina, per esempio, milioni di anni fa era attaccata all’Africa, ma poi decise
to in cerca di miglior fortuna: una vita di città invece che di campagna o l’avvenire in altro continente. E insieme ai bisogni c’è anche una gamma di sentimenti e di letteratura che accompagna da secoli chi si mette in viaggio. La stessa Bibbia inizia praticamente con un’emigrazione forzosa, quella di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre. Accompagnati, così come lo è ognuno che lascia la propria terra, dall’angoscia del peccato, dall’ansia speranzosa
sfruttamento delle risorse naturali dei Paesi di partenza. Capitalismo responsabile anche di continue destabilizzazioni politiche e sociali e di guerre. E responsabile anche della crescita esponenziali dei popoli stanziali, con una abnorme e a tratti assurdo sviluppo delle megalopoli a scapito della campagna, e della diffidenza e mancanza di ospitalità verso i nuovi arrivati. Ma l’accusa colpisce anche i ras locali, siano stati e sono uomini politici, religiosi o
LOTTO N. 29: IVECO FIAT 35 F 8 B modello Daily, gasolio, targato CL 191337, di colore bianco, immatricolato il 16/01/1989, con cabina allungata (7 posti) e cassone ribaltabile trilaterale. Il prezzo a base d’asta è fissato in Euro 875,00 LOTTO N. 30: AUTOCARRO FIAT 35101G, modello Turbo Daily, gasolio, targato CL 205492, di colore bianco, immatricolato il 02/03/1990, con cabina allungata (7 posti) e cassone. Il prezzo a base d’asta è fissato in Euro875,00. LOTTO N. 31: IVECO FIAT 35 F 8 B modello Turbo Daily, gasolio, targato CA 529058, di colore bianco, immatricolato il 15/04/1987, con cabina allungata (9 posti) e cassone Il prezzo a base d’asta è fissato in Euro 750,00. LOTTO N. 32: IVECO FIAT 35 F 8 B modello Turbo Daily, gasolio, trovato in parte smontato e privo di targa, di colore bianco, immatricolato il 20/04/1992 (con targa AO 208026), con cabina allungata (7 posti) e cassone, del quale non si è venuti in possesso del libretto di circolazione ma soltanto del certificato di proprietà. Il prezzo a base d’asta è fissato in Euro75,00. LOTTO N. 33: FORD TRANSIT EBBCDS, autovettura per il trasporto di persone, avente n° 12 posti, a gasolio, targato CT A70883, immatricolato il 03/09/93, del quale non si è venuti in possesso del libretto di circolazione ma soltanto del certificato di proprietà. Il prezzo a base d’asta è fissato in Euro 750,00. LOTTO N. 46: gru a torre marca “Fuochi-Milanesi & C. s.a.s.”, del 1980, tipo 1235 AM, n° fabbr. 7380; macchinario in postazione fissa su stabilizzatori, forza motrice 380 volt – 50 Hz, portata max 2.350 Kg (carico base 30.000 Kg), ultima verifica ASL effettuata in data 26/03/07. Il prezzo a base d’asta è fissato in Euro1.125,00. LOTTO N. 47: gru elettrica a torre marca “Benazzato” serie 1.500 del 1990, mod. 24/28/600, n° fabbr. 2185; macchinario in postazione fissa su quattro lati poggianti su plinti in cls, portata max 1.500 Kg (carico base 18.000 Kg). Il prezzo a base d’asta è fissato in Euro875,00. MODALITA’ E CONDIZIONI:
di emigrare in Sudamerica. L’emigrazione insomma fa sempre notizia, è un FattoGlobale sempreverde. Ed è la storia dell’umanità, soprattutto, una storia di emigrazione. La scimmia lasciò l’albero e si avventurò a camminare per terra, poi prese gradualmente la postura eretta e dall’Africa arrivò fino in Sudamerica passando per l’Asia e la Siberia. Da che mondo è mondo i popoli si spostano. A tal punto che alcuni hanno fatto del nomadismo il centro della loro cultura: gli indiani d’America, gli Gnegnezi nel grande nord russo, i beduini dal Sahara all’Arabia Saudita, gli Zingari, da considerare questi ancora oggi gli unici veri cittadini europei, visto che sono dappertutto in Europa. E allora come ora l’emigrare era necessario per sopravvivere. Se infatti i Pellerossa inseguivano i Bisonti da cacciare e farne scorta per l’inverno e abiti, in tempi più recenti, negli ultimi 200 anni si è emigra-
verso l’ignoto, dalla nostalgia verso quanto seppur poco si è lasciato. E c’è anche una delle principali religioni monoteiste che fa continuo riferimento al viaggio, l’Islam, a cominciare dal suo Profeta (peraltro l’unico e solo, a testimonianza della leggerezza e della portabilità di questa fede), fin dai suoi primordi: Maometto infatti era un nomade. E viaggiando di villaggio in villaggio, d’accampamento in accampamento portò la parola di Allah a chi fino a quel momento era un animista. Il culto della Pietra nera della Mecca è infatti precedente a Maometto. E ancora oggi per onorare quotidianamente la fede islamica basta poco: un piccolo Corano in un zaino, un tappetino per pregare in direzione della Mecca. Cos’è che oggi invece spinge queste genti a emigrare verso ‘l’Occidente’? Non si può che lanciare una pesante accusa. Verso il capitalismo e lo
emiri. Per non adottato alcuna forma di redistribuzione dei redditi a favore dei più accumulando ingenti ricchezze che a dirla tutta non sanno più come spendere perché non ci sono abbastanza capricci e vizi nel mondo come nel genere umano. L’aspetto più assurdo è che in passato non era così. Nel medioevo per esempio, nonostante le guerre di religione il senso di ospitalità era molto più spiccato. L’ospite era sacro, così come il viandante specie se con una meta santa nelle scarpe, il pellegrinaggio. senza volerla tirare troppo per le lunghe bisogna però rispondere a una domanda, come si affronta oggi il problema, spesso il dramma dell’emigrazione? Probabilmente sdrammatizzandola, rileggendo la storia totalmente emigrante dell’umanità, facendosi emigranti. Riscoprendo insomma la nostra insopprimibile anima migrante.
1) La vendita avverrà, sulla base del prezzo minimo sopra indicato pari al valore attribuito dal Coadiutore del fallimento Arch. Chiara Di Natale nella propria relazione di stima; ai superiori importi andrà aggiunta l’IVA come per legge. 2) Le offerte di acquisto, IN BOLLO, dovranno essere presentate in busta chiusa, entro le ore 12,00 del giorno precedente la data fissata per la vendita, presso lo studio del Curatore Avv. Marco Vizzini; 4) L’offerta dovrà contenere: A) nome, cognome, luogo e data di nascita, codice fiscale, residenza o domicilio del soggetto offerente unitamente alla copia del documento di riconoscimento. Se l’offerente è una società o altro ente dovrà essere allegato idoneo certificato del registro delle imprese da cui risulti l’attuale vigenza della persona non fisica con enunciazione della spettanza dei poteri di rappresentanza legale; B) i dati identificativi del bene per il quale l’offerta è proposta; C) l’indicazione del prezzo offerto, che non potrà essere inferiore al prezzo minimo sopra indicato a pena di inefficacia dell’offerta; 6) Le offerte di acquisto dovranno essere accompagnate dal deposito, mediante assegno circolare non trasferibile intestato a “FALLIMENTO EDILSTRUTTURE SRL”, di una somma, a titolo di cauzione, pari al 10% del prezzo offerto per il lotto cui si intende partecipare; 11) In presenza di più offerte relative al medesimo lotto, il Curatore inviterà immediatamente gli offerenti presenti ad una gara sulla base del prezzo più alto tra quelli offerti con rilancio in aumento pari al 5% del prezzo a base d’asta. Il bene verrà aggiudicato a chi avrà effettuato il rilancio più alto. 12) L’aggiudicatario dovrà depositare il residuo prezzo, oltre oneri, diritti e spese di vendita detratto l’importo della cauzione entro 7 (SETTE) giorni dall’aggiudicazione a mezzo di assegni circolari non trasferibili intestati a “FALLIMENTO EDILSTRUTTURE SRL”i. In caso di inadempimento l’aggiudicatario sarà dichiarato decaduto e sarà pronunciata la perdita della cauzione versata a titolo di multa. 13) Sono a carico dell’aggiudicatario tutte le spese derivanti dalla vendita comprese quelle relative al passaggio di proprietà delle autovetture nonché quelle occorrenti per il prelievo dei beni dai luoghi in cui sono custoditi. Informazioni sul sito www.ilfattonisseno.it, www.venditegiudiziali.it o al Curatore Avv. Marco Vizzini 0934/595069. Caltanissetta, lì 30.03.2014
Il Curatore Avv. Marco Vizzini
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Fatti & Sport
Lo storico stadio del capoluogo nisseno ritrova colori, cori e tifosi. Per molti, un nostalgico viaggio a ritroso nel tempo
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omenica 6 aprile 2014, lo spettacolo è imprevisto ma emozionante. Il glorioso Palmintelli, stadio dell’autentica storia biancoscudata e dei ricordi più belli del calcio cittadino, è una macchia di colore giallorossa. La tribuna è stipata, la gradinata è rifiorita. Si alzano al cielo i cori e sventolano sciarpe e bandiere.
rete sotto la tribunetta “degli abbonati”, guarda gli eroi realizzare il doppio vantaggio: Zappalà e Ingrassia. Mi concentro, basta qualche secondo, e riecheggia il coro più gettonato che galvanizzava giocatori e tifosi: “Zappalà, Zappalà, Zappalà….”. La Nissa poi perse 3 a 2, i licatesi ribaltarono l’esito con le marcature di Campanella, Giacomarro e del
Rivive il glorioso
più grande, doveroso allo Sporting è per aver riportato la gente a gremire il Palmintelli, a scoprire la gioia di tifare per una squadra di Caltanissetta con ragazzi della nostra città, a convincere tanti tifosi storici a sedersi sui gradoni del campo. Non importa la categoria, non importano i cambi di denominazione (ciò che sparisce, fallisce, non torna, non risorge), importa che alcuni nisseni abbiano avuto la possibilità di tornare a gioire per il calcio nisseno. Il colore del Palmintelli è uno spettacolo che non appartiene soltanto a nostalgici ricordi ma a un gioioso presente. Il ritorno dei nostri concittadini al Palmintelli dopo il dramma vissuto la scorsa estate, è quasi un miracolo. Un anno or sono in questo periodo, sette nisseni strappavano il nome Nissa,
Palmintelli ... era ora
L’atmosfera è d’altri tempi, applausi, grida, emozioni e il glorioso manto sterrato, reso fangoso dalla pioggia, un perfetto abito per i racconti leggendari. Il fango del Palmintelli è mito, è cornice ineliminabile di battaglie agonistiche e sportive di ogni categoria. Chi, giocando a pallone nello storico campo sportivo nisseno, almeno una volta non si è rotolato in quel magico “magma” di sabbia e acqua? Certi discorsi odierni intrisi di retorica sulla struttura sportiva e le sue condizioni, fanno sorridere, inducono al sarcasmo: qualcuno adesso per convenienza forse vorrebbe una centro estetico dentro gli spogliatoi. Siamo seduti, esultiamo, seguiamo la gara ma ancor più attentamente osserviamo gli spalti. I bambini infondono gioiosità e frizzantezza, ancor più piacevole vedere i visi di tifosi che da anni erano distanti dagli spalti. Capelli bianchi, visi solcati dalle rughe, chili in eccesso ma le fattezze di chi 20 anni fa, su quegli stessi gradoni, amava, gioiva, soffriva, viveva, respirava per un mito chiamato Nissa. Inutile nasconderlo la nostalgia ci assale, ne siamo travolti, chiudiamo gli occhi e dagli angoli più reconditi del nostro cervello, schizzano, emergono frammenti di ricordi nascosti da oltre 4 lustri; sembra un’eternità, un’altra epoca, un’altra vita. Una partita in particolare ci sovviene: è il 2 dicembre 1984, il primo anno della Nissa in serie C2. Palmintelli pieno oltre ogni ragionevole limite, in campo Nissa e Licata: una gara entrata nella leggenda. Un ragazzino, quasi schiacciato nell’angolo della
fenomeno Schillaci, Maurizio cugino del mitico Totò (per la cronaca il Licata quell’anno vinse il campionato). Riapriamo gli occhi, il panorama è tristemente cambiato. Lo Sporting
Lo Sporting conquista la Prima Categoria. Caltanissetta ha “fame” di calcio dopo il fallimento della Nissa Club Nissa (del presidente Mauro Di Pasquali e del vice, Natale Ferrante) supera per 3 a 1 l’Atletico Aragona e vince il campionato di seconda categoria. Per un capoluogo di provincia, anche quest’ultimo sostantivo ha perso la sua ragione di essere, non è proprio un traguardo di “lusso”, ma in questi tempi di magra va bene così, bisogna accontentarsi. Bisogna ringraziare questa società nissena, che ha riscoperto il valore degli atleti nisseni, di un giovane tecnico nisseno, Massimo Ribellino, molto preparato. Il ringraziamento
disonoravano la società, sotterrandola con vergogne e teatrini indegni: sono stati capaci di farla fallire, ed è strano vedere fra i molti sani tifosi che affollano la gradinata anche qualche ultrà che aveva sostenuto i “sette samurai”. Chissà come sarebbe finita a Caltanissetta se fosse stato attivo l’Ostracismo, tipo di sanzione vigente nel 5° sec. a. C. ad Atene, consistente in un allontanamento della durata di 10 anni dal territorio della città (non implicante la perdita dei diritti civili né alcuna pena di carattere pecuniario), che l’assemblea popolare poteva comminare nei confronti di cittadini la cui attività fosse ritenuta pericolosa per lo stato. Affinché la votazione risultasse valida, dovevano partecipare almeno 6000 cittadini. È così detto dal frammento di ter-
racotta (ὄστρακον) sul quale il nome del concittadino inviso era scritto da coloro che votavano nell’assemblea popolare. I “sette” sarebbero stati esiliati dai nisseni: non lo sapremo mai! Non è momento di ricordare le vergogne, ma di gioire. Segna il “Bomber” dello Sporting Club, Gigi Melfa e mima il “mitra”, mitico gesto di Batistuta: il Palmintelli esplode. Alza la maglia, vi è disegnato un cuore (ovviamente giallorosso) con la scritta “Grazie a Tutti”! Arriva il triplice
del direttore di gara: la promozione in prima categoria è realtà! Guardiamo i nisseni felici, gettiamo uno sguardo alla maglietta del Goleador…e no, stavolta hai sbagliato a scrivere: grazie a voi ragazzi, grazie per essere riusciti nell’impresa titanica di aver risuscitato lo spirito del Palmintelli ed onorato il nome della compianta Nissa. Grazie a voi!
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Febbre Rosso Blu a un passo
di Giuseppe Taibi
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uanto dista la realtà dal sogno? 180 minuti. La durata di due partite; più che gare sono sfide ala storia. Perché mai, la Mussomeli dello sport si è spinta così in alto. Mai ha lottato per un posto tra i big del calcio dilettantistico siciliano. Questo è l’anno del Mussomeli che gioca a pallone. La
prima squadra a giugno potrebbe infatti festeggiare l’accesso in Eccellenza. E in città sale la febbre rossoblu. Nella sfida di semifinale di Coppa Italia contro l’acerrima “nemica” del girone, il Ribera, gli spalti si sono riempiti come non era mai accaduto. “Mai così pieni dal concerto dei Pooh negli anni ’90” è stato il pensiero ricorrente di chi ha sulle spalle qualche anno in più. Tribune affollate da appassionati, ragazzini, persino donne. Le famiglie hanno inneggiato per gli undici in campo, frequentando un luogo che sembrava anni luce lontano. E c’è chi, nel pomeriggio della partita, ha preferito chiudere bottega pur di non perdersi l’impresa. Che c’è stata. Il Mussomeli, in una partita al cardiopalma, decisa ai rigori, ha conquistato la finalissima in programma a San Cataldo contro il Santa Croce Camerina. Ma non è la Coppa Italia l’unica via per lasciare la Promozione e guadagnare l’Eccellenza. Grazie ad un campionato sfavillante, la compagine allenata da mister Lucio Sapia ha persino prenotato la finalissima dei play off. L’avvenire dei rossoblu è ben rappre-
dal paradiso
sentato da una vignetta pubblicata in questi giorni su Facebook. Tifosi ad un bivio davanti a due cartelli che portato al salto di categoria; su uno c’è impresso “finale play off ” sull’altro “finale Coppa Italia”. Il sogno, insomma, è a portata di mano. E’ sulla strada. Compimento di una stagione trionfale e dagli esiti per nulla ca-
Il presidente Salvatore Petruzzella è l’artefice dei successi e la mente di una società modello suali. I dirigenti, che hanno voluto negli ultimi due anni far rinascere la “Fenice” dalle proprie ceneri, hanno investito cuore e denaro. Tanti soldi. Hanno messo in piedi una macchina da guerra, consegnandola nelle mani di Lucio Sapia, mussomelese doc, con un passato da preparatore atletico nelle squadre lombarde. Un uomo di carattere. “Pasionario” della sfera, dall’indole bonaria nella vita ma severa in campo e negli spogliatoi, avvezzo ogni domenica a cacciare continue urla rivolte ai suoi ragazzi. Li sprona a lottare, li sveglia nei momenti di stanca, strigliandoli nei giusti istanti e a lusingarli quando serve. Un condottiero dal pugno di ferro; sempre in piedi da-
vanti a quella panchina dove nessuno ricorda si sia mai seduto. Teso per 90 minuti. L’uomo insomma che serviva al Mussomeli. Il sergente dal cuore di carne e dalla corazza di metallo. Il presidente Salvatore Petruzzel-
la, che dall’estate scorsa ha accettato di firmare questa nuova avventura, sostenuto da un gruppo coeso di dirigenti e da una pattuglia di tecnici capaci, ha azzeccato tutte le scelte di mercato. A partire dall’attacco, affidando le incursioni ad una coppia brillante: Dario Ribaudo e Santino Scarpinato. Scelta eccellente quella caduta poi su Rosario Costantino, una fortezza per le retrovie, una torre di guardia capace ad arginare ogni incursione avversaria. E che dire delle pennellate di Gioacchino Privitera, un vero mago delle punizioni, o dell’esperienza del capitano Marco Di Piazza. Peccato la malasorte piombata sui portieri. Luigi Scozzaro e Giovanni Strano sono stati costretti a restare fermi per un lungo periodo a causa di brutti infortuni. Ma bisogna anche spendere delle parole di elogio per i pochi ma bravi mussomelesi doc che riempiono le fila di una formazione “palermocentrica”, con molti calciatori provenienti dal capoluogo e dalla sua provincia. Due
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I giocatori hanno esaltato l’intera città: si spera nella promozione in Eccellenza in particolare; l’abile centrocampista Stefano Diliberto e l’accanito attaccante Totò Spoto. Simboli della rinascita dello sport mussomelese. Faville sempre accese di una passione, quella per il calcio locale, che negli anni passati sembrava oramai inghiottita dall’oblio. Ma come la storia e la vita insegnano, mai nulla è perso. In una stagione, la rinascita del blasone rossoblu ha quasi simboleggiato la rinascita di una cittadina che attendeva di potere trovare una ragione di unione, una passione comune. Il calcio, come spesso accade, anche stavolta ha assolto al ruolo aggregante, ha avuto il merito di rafforzare il proprio spirito campanilistico. Adesso bisogna però sperare che il sogno, a cui si è ad un passo, possa realizzarsi. Le premesse ci sono tutte; le ambizioni sono giuste e giustificate. Persino il sostegno della città, piuttosto fredda negli anni, non manca. Legittima la febbre rossoblu che giorno dopo giorno cresce e contagia chi il pallone lo guarda rotolare soltanto in tv. Che dire quindi: forza Mussomeli! Forza ragazzi!
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Trasporti in Sicilia
Le ferrovie siciliane
... fuori binario L
a Sicilia è l’unica regione che non ha ancora un accordo con TrenItalia, in barba alle attese dei cittadini e ai servizi, o ai disservizi ferroviari. Un altro buco nero del Governo siciliano che predica ma non semina. Si attende ancora la stipula dell’accordo tra Regione siciliana e i Ministeri delle Infrastrutture e dell’economia per fornire i servizi ferroviari in Sicilia dove si sono le strade ferrate più arrugginite d’Italia e i treni lenti. Finora i finanziamenti per le opere, la programmazione e la gestione del servizio sono passate da Roma alle casse delle Ferrovie. L’assessore alla mobilità Nino Bartolotta ha in tasca una soluzione, con un accordo che prevede l’erogazione di 111.535.920 milioni di euro alla Regione siciliana, sentiti i rappresentanti dei sindacato, Filt Cgil, Fit Cisl, orsa, Fast Ferrovie e Uilt Ferrovie insieme ai comitati pendolari della Sicilia: “L’incontro è stato voluto per pianificare insieme un percorso che, dopo anni di immobilismo – ha detto Bartolotta - auspichiamo
che la Regione Sicilia firmi un contratto di servizio in grado di razionalizzare e rendere efficienti i servizi ferroviari”. La proposta dell’assessore regionale alle Infrastrutture è stata accolta dai sindacati. A questo punto si attende che si metta nero su bianco per una svolta concreta del trasporto ferroviario nell’Isola. “Apprendo con soddisfazione della ripresa del dialogo fra Regione e Ferrovie per il potenziamento della rete ferroviaria regionale ed in particolare della LicataGela-Vittoria-Comiso che rappresenta una grande infrastruttura a servizio di quel territorio, per il suo rilancio che passa inevitabilmente dalla diversificazione delle attività economiche e dalla valorizzazione a fini turistici dello scalo di Comiso.” Lo dichiara il parlamentare regionale Giuseppe Federico del Partito dei Siciliani MPA che ricorda come “dopo l’approvazione del finanziamento per il Museo del Mare, che conferma la vocazione turistica di questa zona della Sicilia, porre l’attenzione all’infrastrutturazione del
di Liliana Blanco sistema dei trasporti è divenuto ancor più irrimandabile.”Da parte del parlamentare del MPA infine un’apertura di disponibilità a supportare ogni azione politico-istituzionale che possa portare il raggiungimento del risultato: “è un obiettivo - dichiara Federico - per cui certamente ci sarà la collaborazione istituzionale a tutti i livelli della deputazione del territorio gelese.” Negli anni 70 sono state realizzate le stazioni nuove in vari centri dell’isola. A questo non è corriposto però un adeguato servizio di potenziamento dei treni. Nel tempo le linee sono andate decrescendo in corrispondenza con l’aumento delle compagnie aree, più efficienti e celeri per i viaggiatori. Anche se Alitalia e Windjet non abbiano navigato in buone acque, i loro servizi non erano certo paragonabili alle 5 ore di viaggio per una tratta ferroviaria di 100 km. I viaggiatori quindi hanno preferito altre strade per potere raggiungere i siti dei luoghi di lavoro o da diporto. Nel 2012 le Ferrovie hanno annunciato
nuovi tagli nell’isola. Dei 38 treni sono stati soppressi: la metà hanno interessato Catania. Saltano corse per Giarre, Taormina, Siracusa, Agrigento e Caltanissetta. I sindacati chiedono l’intervento della Regione per fermare il «piano di desertificazione» di Rfi. Ma si continua a discutere della velocizzazione delle tratta Catania-Palermo. Mentre a pagare i disagi sono sempre i pendolari. Nel luglio 2012 venivano diffuse due notizia. «Trenitalia taglia altri 38 treni in Sicilia a partire dal 29 luglio». E l’altra «Il progetto di velocizzazione del tracciato ferroviario esistente tra Catania e Palermo dimostra concretamente l’impegno della politica seria e sana». La prima arriva dalla sezione trasporti di Cgil, Cisl e Uil, unite contro quello che definiscono l’avanzamento del «piano di desertificazione» delle Ferrovie in Sicilia. La seconda è stata un’affermazione del deputato regionale del Pdl Nino D’Asero, a conclusione di un incontro con altri parlamentari siciliani, tra cui Enzo Bianco, sul tema della velocizzazione della tratta Catania-Palermo. I pendolari siciliani si sono sentiti presi in giro . Alcune città siciliane sono a rischio isolamento, soprattutto nella zona di Pozzallo, Siracusa e Gela», «Il finanziamento destinato dal ministero dei Trasporti alla Sicilia nel 2012 è stato ridotto da 110 a 90 milioni di euro». Ma mentre Trenitalia prosegue nel tagliare vetture a discapito dei pendolari, si continua a parlare del progetto di velocizzazione della tratta Catania-Palermo. Per i pendolari siciliani viaggiare è sempre più un’odissea, sui treni ormai si bivacca visti i lunghi tempi di attesa nelle varie fermate 5/15 minuti di attesa, incroci calcolati senza un senso logico, coincidenze con altri treni non previste, comporti mancati e,
guarda caso viene annunciata da Trenitalia, che la puntualità dei treni è in netto miglioramento, cioè che le cose vanno meglio. Tutto ciò è inconcepibile e dimostra, ancora una volta, l’assoluta mancanza
Ridotti i finanziamenti dal Ministero: Gela, a rischio isolamento. I pendolari siciliani si lamentano di attenzione verso i pendolari, da parte delle dirigenze di Trenitalia e di Rete Ferroviaria Italiana, nel far funzionare dignitosamente il servizio di trasporto ferroviario a loro affidato, compito cui le due aziende Trenitalia e Rete Ferroviaria Italiana hanno nei confronti dello Stato e dei cittadini-utenti; ed alla Regione Siciliana che in questi anni ha eseguito le disposizioni emanate dal decreto legislativo 422/97 per il passaggio delle competenze in materia di trasporto pubblico ma non è ancora riuscita a farsi consegnare le risorse finanziarie previste per ottemperare alla sottoscrizione del Contratto di Servizio per il trasporto ferroviario in Sicilia. Per non parlare del fatto che spesso si ‘dimenticano’ i passaggi a livello scoperti quando il treno, oramai un reperto archeologico da mostrare ai bambini come materializzazione delle favole, passa nelle strade ferrate che attraversano le città. Questo accade regolarmente a Gela in via Butera. Ci deve scappare il morto per correre ai ripari?
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Ristorazione in città
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Nero
Diamante
“Profumo di mare” a Caltanissetta
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a cucina secondo un grande chef statunitense, Anthony Bourdain, può essere sintetizzata in 4 parole, ossia “è una cosa seria”. Un pensiero condiviso anche da Angelo Manganaro, 46 enne, chef di origine sancataldese che da oltre 30 anni dedica la sua vita all’arte culinaria. Un mestiere cominciato da bambino prima come lava pentole che pian piano, grazie alla passione e all’impegno, lo ha portato a diventare cuoco blasonato. Una grande esperienza quella di Angelo Manganaro maturata in questi anni non solo in diverse città dell’Italia ma anche in Europa. Tra i suoi idoli nel campo culinario, oltre ad Anthony Bourdain, anche l’amico Gianfranco Vissani. “Essere uno chef – dichiara Angelo Manganaro – è la c o s a p i ù bella che mi possa essere capitata nella mia vita dopo mia moglie e i miei figli. Cucinare per me è una passione, un’arte che cerco di fare nel miglior modo possibile
con continui aggiornamenti sposando la tradizione con l’innovazione nel settore culinario”. “Cuochi – aggiunge – ci si nasce non ci si diventa. La più grande soddisfazione è quando a fine serata un cliente ti fa chiamare per ringraziarti dell’ottimo lavoro svolto e sapere che hai allietato la sua serata di relax con le persone care o le sue serate di lavoro. Andare a mangiare al ristorante, un lusso che ormai non tutti possono per-
mettersi, è gustare piatti e sapori nuovi, avere delle soddisfazioni del palato”. Una passione che ha trasmesso al figlio Arcangelo 22 anni, che da 7 anni lavora a fianco al padre e che già ha acquisito una grande esperienza nel settore, diventando un bravo cuoco. “Sono felicissimo – afferma Angelo Manganaro - della scelta di mio figlio Arcangelo. Ai giovani che
ne e di aggiornamento del settore, leggo i libri di cucina, mi consulto con i miei colleghi, vado in prima persona a fare i corsi di cucina”. Dopo aver lavorato negli ultimi tre anni in Spagna Angelo Manganaro ha deciso di dare fiducia a un giovane imprenditore sancataldese, Alberto Anzalone 29 anni, e di sostenerlo nella suo progetto diventando lo chef di “Diamante nero”, un ristorante nato con l’intento di
Lo chef Angelo Manganaro: “La cucina è la passione che voglio trasmettere con i miei piatti”
vogliono intraprendere questo mestiere, oltre alla passione, consiglio continui aggiornamenti sui nuovi prodotti e le nuove tecniche di cucina. Io nonostante la mia età e l’esperienza acquisita negli anni continuo a seguire i corsi di formazio-
differenziarsi dalla solita offerta ristorativa puntando su prodotti di qualità, genuini e freschi: dal pesce fresco ancora vivo (aragoste, astici, granchi) che arriva dalle zone di mare per poi essere preparato e servito ai clienti ai prodot-
ti artigianali quali il pane, la pasta e i dolci. Oltre al classico menu a base di carne, tante le specialità a base di pesce preparate dallo Chef Angelo per deliziare il palato dei suoi commensali: dai tagliolini con granchio e salicornia (asparagi di mare), solo per dare un esempio, alla fiorentina di tonno con varie salse orientali, al pesce crudo in generale, al carpaccio di triglie e gamberoni. Inoltre tante le prelibatezze da gustare anche per i ciliaci, con piatti preparati con cura e attenzione. “Il nome nasce – afferma Alberto Anzalone - dall’intento di creare qualcosa di raro, elegante e particolare come è il diamante nero. Ho voluto investire in un settore in cui credo e che oggi da più soddisfazioni a livello nazionale e internazionale, specialmente nell’ambito della cucina italiana che è una delle migliori del mondo”. “Un’idea – prosegue Alberto Anzalone – che ho voluto concretizzare sposandola con una location centrale, in una struttura di nuova realizzazione, che sfrutterà sia i locali interi ma anche un’ampia terrazza dove i nisseni e non solo potranno nella calde sere d’estate, godere un po’ di aria fresca sorseggiando un buon bicchiere di vino e gustando degli ottimi piatti preparati dal nostro chef. Il tutto con la possibilità di posteggiate le loro auto nel parcheggio interno adiacente al locale”.
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