Enduro di Bolsena
Tariffa ROC – POSTE ITALIANE Spa – Sped. Abb. Post. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n. 46) – Art. 1 C. 1 – DCB Milano
Montedoglio Selvaggio, pescoso, divertente... tutti i segreti del nuovo paradiso toscano, la meta dell’estate
Non solo agonismo: finalmente il dialogo è aperto fra Fipsas, Cfi e istituzioni
Ittiologia Macroinvertebrati, spie di qualità: benthos e indice I.B.E.
Self made
Prima delle dighe
Boilie: come farne a quintali
Sul fiume in acqua ferma
ISSN
1828 - 5511
L’hair rig giusto
Anno III - N° 23 MENSILE LUGLIO 2008
e 5,40 (Italia)
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Trappola perfetta
Fra le ninfee Hot spot in sicurezza
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Situazioni e
strategie
Fra le Ci sono mille buoni motivi per pescare al limite delle piante dei fiori di loto, ma c’è solo un modo per farlo rispettando la salute dei pesci e i sogni di noi pescatori. Ecco dove calare, quando farlo, come pasturare e quali materiali usare per fare centro e non arrecare danno alle nostre prede
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Pro e contro di un 5-06-2008 19:22:58
ninfee
a cura di Paolo Meneghelli
P
rimi di novembre 1999. Lago di Pusiano, ansa di Casletto. A quei tempi ero proprio un “pivello” alle prese con le sue prime esperienze di carp fishing in un grande lago naturale. Non avevo aspirazioni di cattura, mi bastava lanciare le mie cannette da 2,5 libbre e sapere che le lenze erano immerse nel mio paradiso. Verso le quattro del pomeriggio, poco prima che una giornata piovosa e fredda lasciasse il posto al buio, venne a salutarmi un carpista che, intabarrato nel suo giaccone termico, arrancava a pochi metri da riva a bordo di un piccolo canotto. Veniva da lontano e mi raccontò che campeggiava nel bosco in solitaria da una settimana: aveva fatto un bel pesce e poco altro, perché il livello del lago stava scendendo a velocità incredibile. Incoraggiante... Immedesimandomi come farebbe ogni ragazzino di sedici anni,
continuai a fare domande per carpire più segreti possibile, affascinato. Poco dopo mi lamentai del fatto che, purtroppo, non potevo ancora permettermi di passare le notti fuori a pesca, ma dovevo dipendere dal buon umore di mio padre. Sorrise: «Se ti accontenti, non serve la notte. Vuoi vedere dove sono le carpe? Non sono lontane da qui…». La sua sicurezza mi disarmò. «Vieni su», mi disse, porgendomi il suo giubbotto salvagente e invitandomi a imbarcarmi su quel canotto che tutto mi sembrava tranne che sicuro. «Dai, porta anche una canna», aggiunse. Salpammo. Vuoi vedere che mi fa prendere una carpa? Bello sognare, ancora di più farlo quando sotto gli occhi hai la prova tangibile che la cosa si può avverare: un’ombra che sfila sul fondo. «Guarda, sono qui», mi suggerì. Un’altra ombra. Poi un’altra ancora. Tre, quattro, cinque carpe che sfrecciavano
sotto la bagnarola e si infilavano in un grosso banco di ninfee miste a castagnole. Incredibile: più ci avvicinavamo a quella foresta galleggiante, più pesci apparivano. «Quando vuoi, posa la lenza», disse il mio nuovo amico guardando attentamente il fondo a qualche metro dalle ninfee. Plof… Quel giorno poi non presi nulla, perché non mi restava altro che una mezz’ora di pesca. In compenso, le vidi. Piccole, ma tante. Tutte dentro e fuori da quel banco di foglie galleggianti: non sapevo che in quell’istante mi era stata insegnata una cosa importante, così tanto da diventare una delle mie “fisse”. Peccato che, per scarsa esperienza, non me ne sia subito reso conto.
Trucchi e filosofia per un ambiente che può regalare belle soddisfazioni
Quasi tutto l’anno
Già, l’esperienza. Maestra ruvida, ma brava come poche. A volte basta davvero poco per rendersi
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approccio estremo
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Fra le
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conto di cose che i pescatori più esperti danno per scontate e acquisite, ma che per i neofiti sono piccoli enigmi che tracciano il limite tra pescate fruttuose e sonori cappotti. La lezione è stata semplice: le zone ricche di ninfee sono miniere di Sotto i “fior di loto” carpe ed è proprio vero che finché le esperienze le carpe trovano non si toccano con mano cibo e rifugio quasi non ci si accorge della loro importanza. Da quel tutto l’anno giorno chi scrive ha dedicato molte sessioni alla scoperta dei “segreti” di spot tanto ricchi di pesce quanto difficili e rischiosi come le zone ricoperte di “foglie che galleggiano”. Misteriose, intricate, affapiatto ricco... I fondali nei pressi delle ninfee sono “supermercati” per le carpe. Anche le nostre esche devono essere all’altezza. Per entrare subito in pesca, meglio cubetti o palline tagliate a metà... disperdono prima gli aromi.
Primavera momento magico SBOCCIA LA PRIMAVERA: qualche foglia fa capolino a galla mentre le altre sono ancora chiuse a mezz’acqua. Solo in questa stagione potremo pescare in sicurezza in mezzo ai banchi, senza far male al pesce. All’arrivo dei primi caldi, le carpe sono molto attive e stazionano in gruppi nel mezzo dei germogli. Meglio pasturare ad ampio raggio, per attirare più prede possibili.
scinanti, piatti scrigni verdi che nei giorni d’estate macchiano gli specchi d’acqua come il miglior pittore impressionista. Prima di intraprendere il viaggio dentro queste “foreste”, però, bisogna rispondere al quesito principale: perché le aree ricoperte di ninfee sono hot spot? La risposta è, a prima vista, banale e lapalissiana: sono punti caldi perché le carpe vi stazionano e vi passano praticamente tutto l’anno. In tutte le stagioni, o quasi. Ragionando un po’ da ittiologi, un po’ da pescatori e un po’ da… pesci, capiremo il perché di questa presenza costante. In primavera le carpe frequentano i banchi di ninfee perché l’acqua bassa fornisce loro un elemento essenziale per il risveglio dall’inverno e l’inizio delle operazioni di frega. Si tratta delle prime risorse di cibo, sotto forma di benthos, che si sviluppa qui prima che nelle zone più profonde perché qui l’acqua ci mette meno tempo a scaldarsi. In più, con l’avanzare della stagione, le ninfee diventano un “ristorante” completo, perché oltre a forti concentrazioni di larve e vermi di ogni tipo, il fondale melmoso nasconde cozze e molluschi di tutti i generi, le foglie diventano autentici “trampolini di lancio” per gli insetti e, in alcuni bacini, celano al di sotto della loro ombra due risorse di cibo che possono lette-
Stagione per stagione, vi descriviamo come
DOPO IL PERIODO DI CHIUSURA, le ninfee sono nel massimo dello splendore e i banchi diventano foreste praticamente impenetrabili. È pura utopia pescarvi dentro: meglio pasturarne il perimetro e creare piccoli “percorsi” di esche fino al rig, che dovrà essere calato a qualche metro di distanza per permetterci di combattere con il pesce in sicurezza.
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ralmente far impazzire le carpe: stiamo parlando delle uova di rana e di quelle degli altri pesci.
Refrigerio e riparo D’estate il discorso non In estate, però, le cambia. È vero che le carpe frequentano zone piante sono troppo più profonde e ossigefitte: caliamo le nate quando le giornate esche lungo i bordi si allungano e diventano bollenti, ma le ninfee restano senza dubbio uno dei loro “salotti” preferiti perché la “tettoia” formata dalle foglie galleggianti garantisce un minimo di riparo e il ricco fondale al di sotto permette loro di trovare cibo senza fare molta fatica, ovvero senza muoversi troppo. Proprio per questo d’estate, anche di ‹
si presentano i banchi di ninfee L’INIZIO DELL’AUTUNNO va affrontato come il periodo estivo, perché le ninfee sono ancora impenetrabili. Da novembre in poi, quando i banchi si fanno più radi e molte foglie diventano marroni, si può tentare nei “buchi” ai bordi, dove il fondale è pulito. Non esageriamo, però, perché anche se le ninfee stanno iniziando a marcire, sono pur sempre pericolose: massima attenzione!
CON IL FREDDO, ADDIO NINFEE, ma gli spot sono ancora “caldi”. All’arrivo di dicembre le carpe trovano qui le ultime risorse prima del gelo. In gennaio e febbraio queste zone sono buone soprattutto al tramonto, perché l’acqua bassa e il canneto raccolgono calore durante il giorno. Da marzo in poi, è da qui che un bacino si risveglia: benthos e primi germogli di ninfee sono il segnale della vita che riprende.
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Fra le
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Insenature e punte sono il top I buchi solo quando le ninfee sono rade
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ei grandi laghi non è difficile trovare le zone ricche di ninfee: di solito sono le anse di acqua bassa o le sponde che digradano lentamente fino a un massimo di 3 metri di profondità, con fondale sabbioso o ricco di sedimenti. Trovare postazioni libere nei pressi di questi spot non è mai cosa facile, perché di solito sono occupate, soprattutto in primavera: è
ovvio, sono tra le più redditizie! Se invece le ninfee ricoprono il perimetro dell’intero bacino, un’attenta osservazione della conformazione dei banchi di ninfee e del fondale ci sarà di grande aiuto. Occhiali polarizzati e un batiscopio diventeranno i nostri migliori alleati. Ecco qui di seguito i punti buoni, ma attenzione: la sicurezza del pesce viene prima di tutto! INSENATURE, PUNTE E PICCOLI GOLFI sono il top quando ci sono ninfee lungo tutto il perimetro del bacino. Pasturazione sul bordo e innesco in mezzo alle anse: qui il fondale di solito è pulito.
giorno, alle carpe piace stare sotto le foglie che galleggiano. Invece, quando le temperature scendono e le carpe devono “mettere su ciccia” per l’inverno, i banchi di ninfee si trasformano da zone di stazionamento in zone di passaggio. Come è noto, in autunno questi pesci sono molto mobili e tendono a frequentare tutti gli strati d’acqua: alte profondità, scalini accentuati, secche e canaloni sono i loro ambienti preferiti. Ma un’occhiata ai banchi di ninfee le carpe la danno sempre. Lì sanno che il cibo c’è e vi si fermano quando devono “fare il pieno”. Poi, non bisogna trascurare un dato che a prima vista può sembrare poco importante ma che di questi tempi in alcuni bacini va preso in seria considerazione: le ninfee, insieme alle loro “cugine” castagnole, formano un intrico all’interno del quale le carpe trovano rifugio
quando si sentono minacciate. Pensiamo per esempio a certi periodi dell’anno, quando i laghi più importanti sono letteralmente invasi dai pescatori e nelle loro profondità vibrano decine, se non centinaia, di fili. Cosa possono fare le carpe, se non andare nelle zone in cui quei fili non possono e, lo vedremo poi, non devono arrivare? Nella stagione fredda, invece, queste piante acquatiche non proliferano. Infatti, da metà ottobre in poi, a seconda della temperatura dell’acqua, i banchi di ninfee tendono a diradarsi fino a scomparire nei primi giorni di dicembre. Comunque, anche quando fa freddo le carpe passano di qui, perché l’acqua bassa di solito garantisce qualche grado in più, soprattutto di notte. Per riassumere, quindi, le ninfee offrono cibo molto facile, “comfort” e protezione in tre stagioni… e mezza.
DOVE SONO PIÙ RADE possiamo provare con un innesco in mezzo agli steli: una pallina qua e una là, a contorno di un bell’omino di neve, faranno il resto. È lo scenario più probabile a inizio primavera.
QUI IL FONDALE È PULITO. I buchi sono spot caldissimi, perché le carpe qui mangiano sempre, ma sono pericolosi per la loro incolumità. Rischiamo solo se le ninfee sono rade o se il buco non è troppo lontano dal bordo del banco.
I CORRIDOI TRA I BANCHI isolati sono una zona visitata spesso dalle carpe “in caccia”. L’innesco non va posizionato nel mezzo della zona pulita ma sugli spigoli dei banchi. Qui la pasturazione deve essere contenuta ma sparsa lungo tutto il corridoio. ECCO IL SEGNALE CHE CERCHIAMO: in questo punto le carpe sono sicuramente passate e per questo il fondale è più chiaro e costellato da gusci di conchiglie sminuzzati. Innesco singolo e duetre boilie intorno: non serve altro.
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Ninfee, queste sconosciute Ora che ci siamo convinti che le aree ricche di ninfee sono tra i migliori spot in circolazione, andiamo a conoscerle più da vicino per capire con “chi” potremmo avere a che fare nelle prossime sessioni. La ninfea è una pianta acquatica originaria dell’Asia che prolifera ormai in quasi tutti i bacini con acqua ferma d’Italia e d’Europa, dai piccoli e grandi laghi alle vecchie cave. Esistono oltre cinquanta specie di piante di ninfea e la più diffusa è la nymphaea alba: per intenderci, è quella che possiamo comunemente trovare anche nello stagno sotto casa. Il suo habitat preferito sono le zone di acqua bassa con fondale sabbioso e melmoso, che non superano i 3 metri di profondità. Qui la pianta allunga le sue radici sul fondo
accorgimenti: tra le piante di fiori di loto (a sinistra), sasso a perdere con dental floss (sopra) e sacchetto in Pva (sotto) che non affonda nella melma.
molle anche per parecchi metri. Dalle radici si dipartono gruppi di steli morbidi che si sviluppano in verticale; all’apice di questi ultimi, a galla, troviamo la caratteristica foglia dalla forma quasi rotonda, interrotta da un taglio a “V”. Come se fosse un cuore… un po’ cicciottello. Alla base degli steli si fissano poi numerose foglie dalla forma ondulata, che rimangono però attaccate al fondo. In genere le piante di ninfea non crescono isolate, ma piuttosto in piccoli o grossi banchi, o addirittura in lunghe fasce larghe anche venti metri che corrono parallele alle sponde. Il ciclo di sviluppo delle ninfee comincia in genere a metà marzo, quando l’innalzamento della temperatura dell’acqua, grazie ai primi raggi di sole, permette ai germogli di fare capolino dal fondo. Con l’avanzare della stagione le foglie si formano sott’acqua e, giorno dopo giorno, risalgono in superficie fino ad aprirsi e ad assumere la classica forma che possiamo vedere sul pelo dell’acqua. All’inizio dell’estate, indicativamente ai primi di giugno, quando i banchi di
ninfea hanno portato a termine il loro periodo di sviluppo, dall’apice delle foglie si sviluppano anche dei bellissimi fiori dal “cuore” giallo e dai petali che, a seconda delle specie, possono essere bianchi, azzurri oppure caratterizzati da diverse sfumature di colore. Questi fiori sono anche gli ispiratori di un altro nome con cui vengono chiamate le piante di ninfea, ossia “fiori di loto”. Le grosse distese di ninfee nei laghi naturali sono qualcosa di incredibile ed è impossibile non rimanerne affascinati. Se poi si pensa a quelL’estensione del lo che possono nascondere, ecco che la voglia bacino e delle di pesca diventa davvero distese di piante irrefrenabile: black bass, decide la strategia lucioperca, lucci e, soprattutto, grosse carpe!
C’è lago e lago…
Adesso siamo pronti: sappiamo che dove ci sono le ninfee ci sono anche le carpe e sappiamo anche dove trovarle. Non ci resta che partire e cercare la postazione giusta. Arrivati al bacino prescelto, però, non ci si deve far prendere troppo dall’entu-
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siasmo, perché trovare le ninfee non basta. O meglio, non sempre basta: un conto è pescare sul Lago di Pusiano (Lecco-Como) o su quello di Viverone (BiellaTorino), dove le zone ricoperte di ninfee sono poche e localizzate, ma come la mettiamo quando le sponde sono letteralmente protette da un “bracciale” di ninfee come succede sul Fimon (Vicenza) o nel Lago di Alserio (Como)? Vediamo cosa succede in entrambi le situazioni e come trovare la “ninfea giusta”. Il primo caso è il più semplice: abbiamo deciso di affrontare un grande lago naturale dove le zone con ninfee sono poche. Qui basta un minimo di osservazione e il gioco è fatto: cerchiamo le ampie distese o i banchi che ricoprono le anse ad acqua Una ferrata troppo bassa e a canneto, dove tutte le carpe si radunano violenta vanifica all’arrivo della primaveanche la migliore ra per iniziare le danze allamata possibile della riproduzione. Sono spot semplici da scovare, quindi prepariamoci a trovarci di fronte postazioni molto famose e ambite, quasi sempre occupate, soprattutto nel periodo che va dalla fine di febbraio, quando i laghi si risvegliano dal sonno invernale, fino all’inizio
della fase di divieto di pesca, in genere i primi di maggio. Le carpe, infatti, in questo periodo sono tutte qui. Qualora avessimo la fortuna di trovare libera una di queste postazioni, non esitiamo a dargli una chance! E anche in autunno le sorprese sono sempre dietro l’angolo… Nei grandi laghi non vanno trascurati nemmeno i banchi di ninfee isolati a distanza da riva, magari in corrispondenza di secche o grandi plateau. Questi sono hot spot non solo in primavera ma anche in autunno ed estate, perché offrono alle carpe cibo sicuro e protezione. Il discorso si fa più complicato quando affrontiamo bacini con un perimetro interamente ricoperto da una fascia di ninfee più o meno spessa, perché capire qual è il banco di vegetazione giusto è più complicato: infatti, non ce ne sono due o tre tra cui scegliere, ma decine e decine. Le carpe potrebbero essere ovunque e anche in primavera può essere difficile localizzarle, perché sono distribuite lungo tutto il perimetro del lago. In fase di osservazione e ricerca, concentriamo la nostra attenzione su quei tratti dove le ninfee si fanno leggermente più rade o dove il perimetro dei banchi è
molto irregolare e forma piccole anse, rientranze e punte che si gettano al largo. La mancanza di ninfee lungo un banco potrebbe essere infatti indice di fondale più duro o di chiazze pulite, create dalle carpe che si alimentano aspirando violentemente il limo del fondo, oppure di un cambiamento repentino di profondità. Una volta trovate queste zone, armiamoci di barca, occhiali polarizzati e, se si vogliono fare le cose per bene, di un batiscopio. Percorrendo in lungo e in largo il bordo dei banchi di piante, dovremo andare alla ricerca di segnali di mangiate: gusci di conchiglie sminuzzati, cerchi di fondale più chiaro, magari caratterizzati da ghiaino e, perché no, le carpe “in prima persona”.
La sicurezza prima di tutto Continueremo il nostro percorso di avvicinamento alla pesca tra le ninfee nelle finestre di approfondimento, dove passo per passo verranno spiegati alcuni aspetti tecnici, dalla scelta dello spot alla guadinatura della carpa. Da qui in avanti, però, dimentichiamoci per un attimo tutto ciò che è tecnica spiccia per concentrarci su un aspetto
per vederci chiaro conviene usare un paio di occhiali polarizzati (sopra), altrimenti si fatica a scrutare il fondo (a destra).
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da non trascurare, soprattutto in questo caso, quando ci troviamo di fronte a zone di pesca davvero ghiotte che comportano, come lato oscuro, rischi molto alti per il pesce. Sia in fase di scelta dello spot sia nelle fasi di pesca vera e propria, dobbiamo tenere bene a mente che il nostro obiettivo sarà quello di catturare il maggior numero di carpe possibile, ma senza fare del male a nessuna. Le zone ricche di ninfee sono spot redditizi durante tutto l’anno, ma per affrontarli non si può improvvisare. Ci vogliono esperienza, pazienza, materiali ad hoc, montature sicure e soprattutto quel rispetto misto a timore che dovrebbe caratterizzare ogni sfida che l’uomo lancia alla natura. Se si pesca in zone lastricate da ninfee, così come in tutte quelle ricche di ostacoli, prima della cattura viene la sicurezza delle nostre avversarie. Non possiamo permetterci di piazzare le canne e dire “mi basta vedere una partenza”: no, il nostro obiettivo è portare a riva il pesce e slamarlo con tutte le cure del caso. Non esiste margine di errore: a ogni partenza deve corrispondere un pesce sul materassino, perché quando si pesca in zone ricche di vegetazione, parliamoci chia-
ro, le “slamate” equivalgono frequentemente a rotture di terminale o, peggio ancora, a fughe del pesce con metri e metri di trecciato appresso.
Zavorra a perdere
Il primo passo da fare quando si deve affrontare un banco di ninfee è quello di lasciare a casa le montature in-line: la zavorra deve staccarsi non appena il pesce si punge e accenna alla fuga. Per ottenere questo risultato vanno bene delle semplici safety clip, con l’accortezza di puntare il cappuccio di gomma poco sopra il bracciolo. Questo permetterà al piombo di scaricare l’inerzia sulla punta dell’amo quel tanto che basta per penetrare nella bocca del pesce prima di staccarsi, non appena la trazione della preda si farà più violenta al primo accenno di fuga. Se abbiamo fatto le cose per bene, e il piombo si è staccato dopo la partenza, una volta raggiunto il banco di ninfee a bordo di una barca potremo accorgerci che il pesce si sarà spostato di pochi metri e sarà fermo appena al di sotto dello strato di ninfee, piantato sul fondo. Osservandolo con attenzione, lo vedremo “ruminare” con violenza, estraen- ‹
Solo materiali tosti L
a pesca vicino alle ninfee è cosa per cuori forti. Non sono ammesse debolezze, né del pescatore né dell’attrezzatura. In particolare, la madre lenza e il terminale devono essere all’altezza di un lavoro “gravoso”. Sulla bobina è obbligatoria la treccia, meglio se con carico di rottura da 40 libbre in su. L’assenza di memoria ci consentirà di sentire subito l’abboccata. Contrariamente a quanto pensano molti, chi scrive ritiene fondamentale anche l’utilizzo di uno snag leader lungo almeno 10 metri in nylon per lo meno dello 0,60. Motivo? La treccia diretta, sfregando contro i fusti o, peggio ancora, sulle radici
E snag leader minimo dello 0,60. Il terminale, però, deve essere “debole”
delle ninfee, potrebbe non lacerarle del tutto e bloccarsi all’interno, arrivando anche alla rottura. Il nylon, essendo liscio e per nulla abrasivo, vi scivola sopra. In più, dobbiamo tenere in considerazione che in alcuni casi potremmo essere costretti a prendere in mano l’ultima parte di lenza per liberarla dalle foglie e guadinare il pesce: tenessimo in mano un trecciato, in caso di improvvisa ripartenza del pesce potremmo subire brutte lacerazioni alla mano. L’utilizzo del lead core è facoltativo: qualora lo si volesse usare, è più che sufficiente un 45 libbre, meglio se a trama fittissima. Il terminale è un punto “caldo”:
usare materiali con carichi di rottura da big game potrebbe sembrare la scelta ottimale, ma non lo è. Che senso ha utilizzare terminali da 60 libbre quando lead core e lenza madre non superano le 50? Se vogliamo davvero che il pesce se ne vada con il minimo
rischio possibile, dobbiamo fare in modo che il primo a cedere sia proprio il terminale. Premesso che in bocca alle carpe non dobbiamo lasciare nulla, qualora la situazione precipitasse meglio lasciargli pochi centimetri di lenza che un intero rocchetto di filo…
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materiali tosti e zavorra a perdere: va bene il piombo ma è ancora meglio un sasso.
do e ritraendo continuamente il labbro superiore: sta cercando di liberarsi dall’amo. Se il piombo rimane attaccato, invece, il pesce sente una trazione continua verso il basso che si scarica sul labbro e che lo spaventa. È per questo che impazzisce e fugge nelle zone dove le ninfee sono più fitte, rendendoci impossibile il recupero. In Buona idea il sasso questo caso le probabilial posto del piombo: tà di perdita della carpa per rottura dei materiali meno incagli e non è davvero alta, anche perinquina l’acqua ché il piombo costituisce un punto di aggancio formidabile per gli steli delle ninfee: non possiamo permettercelo! Qualche sicurezza in più ce la dà anche l’utilizzo come zavorra di un sasso al posto del piombo. Montarlo non è difficile, perché basta un pezzo di came-
ra d’aria da bicicletta collegato alla clip di sicurezza mediante uno spezzone di dental floss o di monofilo da 0,18 millimetri. Con il trinomio “sasso - camera d’aria - nylon sottile” saremo sicuri di perdere la zavorra anche se la clip non dovesse malauguratamente aprirsi. Basteranno la fuga del pesce e una leggera ferrata per sciogliere il sasso dal vincolo elastico della camera d’aria. Anche l’helicopter rig è una soluzione sicura, perché in caso di rottura della lenza a monte del piombo il pesce potrà fuggire con pochi centimetri di filo in bocca e non con metri e metri di treccia in bando: il terminale, infatti, con questo montaggio è libero di scorrere sulla lenza madre e, quando quest’ultima si rompe, si sfila. Anche con l’helicopter rig è me-
semplicemente superba questa regina catturata da Luigi Roncoroni, sostenitore della strategia che illustriamo.
glio usare un sasso al posto della zavorra. Teniamo presente che il piombo è, tra le altre cose, un materiale nocivo e inquinante.
Barca, sempre!
Pescare al lancio nei pressi o, peggio ancora, dentro un banco di ninfee è molto pericoloso per la salute del pesce. Possiamo farlo solo nei primi mesi dell’anno, quando le distese sono molto rade e le foglie di ninfea sono ancora a mezz’acqua, oppure da novembre in poi, quando le piante iniziano il loro ciclo di morte e decomposizione, si colorano di marrone e steli e foglie sono decisamente più fragili. È d’obbligo farlo solo di giorno, rimanendo a pochi metri dalle canne, pronti a bloccare la fuga della preda al primo accenno di partenza. Di notte, infatti, il pesce prenderebbe troppi metri e senza una barca non riusciremmo più a tirarlo fuori dall’intrico della vegetazione. Quando i banchi sono formati e rigogliosi, l’unico modo che abbiamo per evitare di fare del male alla carpa è quello di utilizzare una barca. Ed è sempre meglio essere in due. Una volta avvertita la partenza, dovremo salire sul natante il più in fretta possibile, ma senza farci prendere dall’agitazione. Chi scrive ritiene inutile e deleterio persino ferrare con violenza, “pompando” il pesce a più non posso per tenerlo lontano dal banco di vegetazione. Anche se stiamo usando la migliore treccia, una carpa spaventata, soprattutto se è di una certa
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Mimetismo totale I
banchi di ninfee proliferano solitamente dove l’acqua è bassa e proprio per questo dobbiamo prestare ancora più attenzione al camuffamento del terminale sul fondo. Innanzitutto, usiamo un sasso al posto del piombo:
mole, se vuole mettersi al sicuro sa come fare. E il più delle volte ci riesce, tanto più se noi la spaventiamo con trazioni da pesca d’altura: non dimentichiamo che il labbro inferiore della carpa è tosto, ma pur sempre di carne si tratta… non è acciaio! In più, consideriamo che l’allamata non avviene sempre nel labbro inferiore, più resistente del resto della bocca: trazioni esagerate non fanno altro che lacerarlo in pochi istanti. Poi, non lamentiamoci se peschiamo carpe “brutte” perché hanno la bocca distrutta… Torniamo al momento clou. Dopo una ferrata dolce, saltiamo in barca e dirigiamoci verso il pesce, con la lenza sempre tesa ma senza esercitare una trazione violenta, perché non faremmo altro che spaventarlo e provocarlo, con il risultato di portarlo a infilarsi ancora di più tra gli steli delle piante. Una volta arrivati nei pressi delle ninfee, avviciniamoci con cautela seguendo il tragitto del filo e con piccoli strattoni proviamo a liberare la lenza dalle foglie. Qualora non ci riuscissimo, niente forzature: passiamo la canna al socio o posiamola in barca e prendiamo in mano il filo, liberandolo foglia dopo foglia. È sempre meglio essere in due perché, mentre noi liberiamo il filo dalla presa delle ninfee, il nostro socio potrà spingere la barca in avanti, rigorosamente a remi, e recuperare lentamente il filo liberato. Ci vuole pazienza, ma facendo le cose con tranquillità arrivere- ‹
è più naturale e più vicino a quello che una carpa potrebbe trovare. Se questo non bastasse, realizziamo il terminale in fluorocarbon, perché questo materiale è praticamente invisibile una volta in acqua. In più, è rigido:
1 Ecco il finale: sasso a perdere fissato con camera d’aria e spezzone di qualche centimetro di dental floss. Il terminale è rigorosamente in fluorocarbon, materiale invisibile in acqua.
3 Missione quasi compiuta: il finale è completamente disteso sul fondo, l’omino di neve è bene in vista e il sasso si confonde con quello che una carpa potrebbe trovare durante il pascolo giornaliero... ma si può ancora migliorare il mimetismo.
Affondando il sasso nella melma una bella “assicurazione” contro il disturbo di cavedani, carassi e compari, che amano le ninfee esattamente come le carpe. Per completare l’opera, poi, possiamo semplicemente sfruttare… un remo! Vediamo come.
2 Calata precisa: il terminale va fatto scendere lentamente e, una volta sul fondo, va disteso per tutta la sua lunghezza.
4 Remo perpendicolare al fondo sabbioso e paletta appoggiata al sasso: basta una leggera pressione e la zavorra affonderà nel limo.
5 Ecco il risultato: tutto è ben nascosto tranne quello che interessa noi e la nostra preda, ovvero l’esca. In più, l’autoferrata ne guadagna, perché la zavorra è frenata dal fondo e opporrà più resistenza dopo la prima fuga del pesce...
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Fra le
ninfee
mo direttamente sopra il pesce. Quando il filo sarà steso direttamente in perpendicolare sopra la carpa, ci troveremo di fronte a due scenari: o il pesce verrà a galla senza opporre resistenza sotto la traSe il banco è fitto, zione del filo che teniamo scavalcarlo con la in mano, oppure inizierà lenza crea gravi il combattimento vero e rischi per la carpa proprio. La baffona proverà a scappare, ma noi avremo il controllo totale perché gli siamo sopra. Il gioco è fatto: appena è a galla, dovremo essere pronti a guadinarla.
Il recupero in 4 fasi
Questione di scelte
È un dato di fatto che il carpista può prendere tutte le precauzioni possibili per evitare danni al pesce, ma nulla può fare se ha compiuto una scelta sbagliata a monte, cioè nella selezione dello spot. Essere “estremi” in questo caso non paga ma, viceversa, fa pagare un caro prezzo ai pesci. Bisogna sapersi auto-controllare, considerando i limiti della nostra attrezzatura e della nostra azione di pesca. Quando ci ritroviamo a scegliere la postazione, pren-
diamo in considerazione davvero tutte le chance che abbiamo di portare a riva un pesce. Se sono poche, meglio cambiare spot. Per esempio, in estate e nella prima parte dell’autunno, quando i banchi di ninfee sono al massimo della fioritura, sarebbe meglio evitare di pescare a distanze superiori ai 100, massimo 150 metri da riva. Anche se il pesce dovesse stare buono e non infilarsi per troppi metri nelle ninfee, se le foglie a galla sono tante non riusciremo a trovare un buco nemmeno
In ferrata non si deve esagerare. Poi, bisogna mantenere la calma.
SALTIAMO SUBITO IN BARCA e, aiutandoci con il motore, dirigiamoci verso il pesce senza esercitare troppa trazione sul filo: non faremmo altro che spaventare la carpa.
ECCO UNA PARTENZA. Meglio ferrare “lungo” piuttosto che con violenza: anche se volessimo, non riusciremmo a portare il pesce lontano dalle ninfee.
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per immergere il guadino… Nella scelta di una postazione e della strategia di pesca, dobbiamo tenere in considerazione anche la posizione che occupiamo rispetto al banco di ninfee: è sempre meglio pescare sul lato del banco che si affaccia ai nostri pod e non su quello opposto, anche se è più redditizio. Se proprio siamo convinti che al di là ci sia la carpa della nostra vita, cerchiamo un’altra postazione o piuttosto peschiamo dalla barca, ancorandoci a pochi metri di distanza dal punto che riteniamo “caldo”. Pescare scavalcando un banco di ninfee è rischioso, perché non ci garantisce la sensibilità giusta per avvertire subito l’abboccata e ci costringe a fare “numeri” esagerati con la nostra imbarcazione. In estate e a inizio autunno è praticamente impossibile stare in pesca correttamente in questo modo: pensiamoci! Sempre in tema di periodo caldo e di massima fioritura delle piante acquatiche, teniamo presente che in estate i banchi di ninfee sono ottimi spot, ma è anche vero che proprio in quei mesi le piante si sviluppano talmente tanto da diventare praticamente impenetrabili. Lanciare un sacchetto di Pva con dentro l’innesco nel bel mezzo delle ninfee, novanta volte su cento ci consentirà di sentire una partenza: ma siamo sicuri di riuscire a portare a riva la carpa che si è appena allamata? Anche se il piombo si staccasse, l’unica soluzione che avremmo sarebbe quella di estirpare metri e metri quadrati di ninfee… E allora, perché non calare l’innesco a qualche metro di distanza e creare
una zona di interesse attraverso la pasturazione? L’unico sforzo che dovremmo fare sarebbe quello di pasturare tutto il bordo del banco, per poi creare piccole “stradine” di pastura che si gettano verso il suo cuore. Una carpa affamata non esiterà a fiondarsi fuori dal suo castello di vegetazione per avventarsi sulle nostre esche, magari di notte, quando si sente più al sicuro.
Un po’ di buon senso
Quando ci avviciniamo a un bel banco di ninfee, noi carpisti dovremmo sentirci come il cercatore di tesori che trova la mappa per arrivare a un nascondiglio segreto. È importante avere la consapevolezza di trovarsi davanti a quella che potrebbe essere la sessione più clamorosa della nostra vita... ma non dobbiamo esagerare. Non bisogna mai cercare di arrivare dove non si può: se le carpe stazionano sempre di più all’interno dei banchi di vegetazione, è perché hanno paura di noi. Noi che le disturbiamo, spostando il limite metro dopo metro. Usiamo la testa e tutta la nostra esperienza per cercare di trarre il meglio di quello che possiamo permetterci. E cerchiamo di essere umili, rinunciando, facendo un passo indietro, se non vogliamo “bruciare” tutto il nostro tesoro. Catturare una grossa carpa in condizioni estreme può essere un premio che non ha paragone, ma non possiamo permetterci di straziarne altre dieci. Godiamoci ogni pepita che riusciamo a meritarci, giorno dopo giorno. Ne usciremo carpisti migliori. n
Momenti magici nell’attesa che la carpa possa “annusare” l’irresistibile aroma di CARPASWEETY. La persistenza del suo profumo intenso e gli ingredienti studiati per non saziarla mai, alimentano il gioco del corteggiamento reciproco. Questa intimità che si crea cercandosi nel tempo e ritrovandosi nella soddisfazione del cibo prediletto, instaura definitivamente il rapporto con la propria carpa. Non volevamo realizzare solamente un’esca, ma creare una “dolce” esperienza da vivere: Tu e la Carpa... la vostra Storia! Scoprirai in CARPASWEETY il tuo alleato, perché studiato nei minimi dettagli per accompagnarti in questa meravigliosa e UNICA avventura.
Un consiglio: in due è tutto più facile e sicuro.
SE IL PESCE SI È NASCOSTO tra le ninfee, cerchiamo di liberare il filo con leggeri colpetti della punta della canna. Se non bastasse, usiamo le mani, ma attenzione alle ripartenze del pesce: se usiamo la treccia, rischiamo brutte lacerazioni.
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IL GIOCO È FATTO: la carpa è sotto di noi e non dobbiamo fare altro che guadinarla. Una dritta: in due è tutto più facile, da soli ci vanno gli esperti.
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