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Amo grande o piccolo? L’accampamento è pronto. Lo spot è lì che ci aspetta. Aperta la custodia dei rig, però, veniamo bloccati dal solito, fastidioso quesito: qual è la misura giusta per l’amo? Sul tema se ne sono sentite di tutti i colori… ora vediamo di fare un po’ d’ordine, con il contributo finale di cinque grandi carpisti che una risposta l’hanno già trovata
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Soluzioni per un dilemma “storico”
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utte le sfide tra uomo e natura sono intrise di quesiti che difficilmente trovano risposta. Il pesce si nasconde, l’uomo cerca di stanarlo: la magia della pesca sta nel fatto che è sempre un bel dilemma trovare il sistema giusto per catturare l’esemplare con la “E” maiuscola. Sono soprattutto i carpisti a essere tormentati da centinaia di “paranoie” prima, durante e dopo ogni sessione. Perché una volta lanciata o calata l’esca, il pescatore di carpe non controlla più niente... Non si tratta di pesca a vista come quella con artificiali top water per bass e lucci. E no! Quando una boilie arriva sul fondo, non ne siamo più padroni. È altresì vero che la pesca è bella perché è una competizione infinita; per molti catturare un bel pesce può significare aver perso un esemplare più grosso, catturarne due può significare non aver fatto il possibile per catturarne cinque o sei. Anche quando si raggiunge il successo, non ci si vuole fermare. È così che si migliora: passo
dopo passo, materiali, tecniche e capacità dei pescatori rendono la sfida sempre più impari. Nonostante tutti i nostri sforzi, però, ci sono domande cui non si riesce a rispondere. Pensiamo alle esche: quanti di noi se la prendono con la dimensione della boilie, il gusto, la composizione del mix, l’aroma, il dolcificante, l’idrolizzato, il latte da consorzio che non è quello per alimentazione umana, l’albumina, la caseina, l’emulsionante, e così via, per giustificare cappotti più o meno cocenti... senza mai trovare il vero “responsabile” dell’insuccesso? Oltre alla ricerca dell’esca “filosofale”, tra gli argomenti più discussi dai carpisti c’è quello che possiamo definire un dilemma… fastidioso come un nugolo di zanzare sul canale di Ostellato. Stiamo parlando di un problema che assilla tutti noi, talmente comune che non vi è carpista che non si sia mai trovato ad affrontarlo. Problema che, ogni volta, non ammette risposte definitive e “campa” di testardaggine o di tentativi fortunati. Un dilemma irritante, un
“essere o non essere” in salsa alieutica: è meglio un amo grande o un amo piccolo?
Il “fondamentale” numero uno Noi appassionati che consideriamo la pesca uno sport vero e proprio, sappiamo che ogni tecnica ha le sue fondamenta in gesti, azioni e comportamenti ben codificati. Sono i cosiddetti “fondamentali”, pratiche semplici dalle quali partire per migliorarsi, sessione dopo sessione. Come il basket ha il palleggio o il tennis ha la volée, la pesca comprende, per esempio, il lancio, la legatura degli ami o la tecnica di recupero nel caso delle pesche di movimento. E così come il basket Inutile curare tutta ha il virtuoso palleggio l’attrezzatura se dietro la schiena e il tennis ha la morbida deminon scegliamo con volée, anche nella pesca cura l’uncino giusto vi sono gli ultra-tecnici lanci laterali o pendolari, nodi o legature specifici per ogni materiale, e così via. A noi piace ragionare così: anche il carp fishing ha dei fondamentali
a cura di Paolo Meneghelli
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Metro che vanno padroneggiati, a partire da questi poi si sperimenteranno le soluzioni alternative che più si confanno al nostro modo di pescare e agli ambienti che frequentiamo. Detto questo, alla base del quesito sulla grandezza dell’amo c’è proprio il fondamentale numero uno del carp fishing: stiamo parlando della scelta dell’uncino in base alle dimensioni dell’esca.
Rispetto prima di tutto: ferite sanguinolente (sopra) e mutilazioni (sotto) sono il brutto risultato di ami che non si piantano bene.
ECCO “L’EFFETTO OMBRA”: l’amo numero 4 è troppo piccolo per la boilie da 30 millimetri: la massa dell’esca copre il range d’azione dell’uncino, che così è completamente inefficace.
Una semplice tabella
Tutti sanno, o almeno dovrebbero sapere, che esiste un sistema rapido per selezionare la giusta dimensione dell’amo. Si tratta di una tabella riassuntiva e schematica (la riportiamo qui sotto) che associa la grandezza dell’uncino alla misura dell’esca. Seppure con qualche piccolissima variante, “le penne” del carp fishing hanno sempre dipinto così questa tabella che, in poche parole, ci dice che ogni esca vuole il suo amo. La nostra tecnica basa la sua efficacia sul fatto che l’inganno non ricopre l’uncino ma gli è vincolato grazie a un capello più o meno lungo. La carpa aspira, il terminale si tende sotto l’inerzia del piombo e l’amo si gira nella bocca, puntandosi con facilità nel labbro inferiore, perché libero di incidere senza l’ostacolo della massa dell’esca. Tuttavia, questa allamata “ideale” può avvenire solo se
abbiamo scelto la giusta dimensione dell’uncino in relazione a quella dell’esca. Bisogna infatti ricordarsi che l’amo, per quanto non ricoperto dall’esca, le è comunque vincolato tramite il capello. Pensiamo a un’esca da 30 millimetri legata a un amo del 6, con un hair rig di lunghezza standard, di 5-6 millimetri: riuscirà l’uncino a colpire la bocca del pesce e a puntarsi sempre? Può capitare ma è molto, molto difficile. Il motivo è il cosiddetto “effetto ombra”: con un montaggio così realizzato, quando la carpa sputa l’esca la pallina è talmente grande da coprire con la sua massa il raggio d’azione dell’amo. Viceversa, con un amo adeguato, per esempio del numero 2, l’effetto ombra non si fa sentire. Infatti, in questo caso l’uncino è sufficientemente ampio per potersi puntare non appena il terminale si mette in tensione, per nulla ostacolato dall’esca. Seguendo questa famosa tabellina, saremo sicuri di trovare il giusto rapporto tra dimensioni dell’esca e dimensioni dell’amo. Capito questo, e ci si scusi la pedanteria, siamo già a buon punto. Ora non ci resta che scoprire tutte le altre sfaccettature del nostro dilemma…
Le tre variabili
Assimilato il senso della tabella, ci sorge una domanda sponta-
Tabella fondamentale Di norma, l’amo si sceglie in base all’esca Dimensioni esca (millimetri) 30 o superiori 24-26 20-22 18-20 14-16 10
Dimensioni amo (numero) 1 - 1/0 2 4 6 8 8 - 10
DIPENDONO L’UNA DALL’ALTRA: dimensioni dell’amo e dimensioni dell’esca vanno a braccetto. Memorizziamo questa tabella, è efficace in quasi tutte le situazioni.
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Tre i fattori di scelta: l’ambiente, l’hair rig e... la bocca dei pesci! nea, comune a tutti i principianti che leggono le riviste e che poi confrontano i consigli appena letti con quello che fanno gli altri pescatori: se questa tabellina è così “fondamentale” come ci viene detto, però, perché moltissimi angler non rispettano i rapporti amo-esca che questa suggerisce? In effetti, è sufficiente osservare i rig di molti pescatori che affrontano i grandi laghi o i fiumi per rendersi conto che spesso gli ami sono sovradimensionati rispetto all’esca, tanto che non è raro vedere uncini numero 1 accompagnare palline da 18 millimetri, oppure ami numero 4 con palline da 24 millimetri o più grandi ancora. Sono le rivi-
ste che prendono in giro i lettori o, forse, ci troviamo davanti a diverse “derivazioni” della regola fondamentale? È proprio così: a fronte di una regola generale che prevede un rapporto “ideale”, ci sono alcune varianti che entrano in gioco nelle situazioni di pesca contingenti, quelle che ogni weekend il carpista si trova ad affrontare con... “il coltello tra i denti”.
Il sistema di riferimento Per rendere le cose più semplici, possiamo dire che la scelta dell’amo della giusta misura dipende soprattutto da tre fattori: il tipo di ambiente, la morfolo-
gia delle bocche delle carpe e la meccanica dell’hair rig. Prima di esaminare perché e come questi tre fattori influenzano le nostre scelte, dobbiamo definire un parametro importante: quando si può dire che un amo è “grande” e quando si può dire che è “piccolo”? Non esiste una scala ufficiale che ci permetta di fare questa classificazione, ma per comodità e semplicità considereremo gli ami numero 4-6-8 come piccoli, quelli numero 21-1/0 o superiori come grandi. La classificazione può essere soggetta a critiche, perché ci sono spot come i grandi fiumi dove anche un amo numero 2 è considerato “piccolo”. E in più, ami
GRANDE VS. PICCOLO: ecco due ami Gamakatsu Specialist di misure differenti. Sopra, vediamo un “gancio” numero 1; sotto, un amo numero 4. Tra i due c’è quasi 1 centimetro di differenza, quanto a lunghezza. Vi pare poco?
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di forma e modello diverso hanno dimensioni differenti anche a parità di numero dichiarato sulla confezione. Ne siamo consapevoli, ma per dovere di semplicità abbiamo impostato il nostro ragionamento su valori standard, comuni a tutte le pubblicazioni del settore e, soprattutto, alla maggior parte dei carpisti italiani. Il nostro obiettivo è quello di spiegare quali ragionamenti fare nella scelta delle dimensioni di un amo, fornendo dei riferimenti precisi, comprensibili e il più utili possibile, anche per chi il carp fishing lo pratica da poco tempo. Ora che abbiamo fatto chiarezza sulla base di partenza, possiamo affrontare il primo aspetto critico, ossia l’ambiente di pesca che intendiamo frequentare.
“Big” tra gli ostacoli
La dotazione ideale va dagli ami 1/0 a quelli del 10... Poi bisogna scegliere!
Poco fa ci siamo chiesti perché è facile vedere molti angler montare ami “da siluro” anche con esche di dimensioni normali, di 20-22 millimetri. Questo accade soprattutto nei grandi laghi e nei grandi fiumi. Si può pensare che vengano usati ami grandi perché qui è più facile incontrare una carpa over, piuttosto che nella piccola cava sotto casa. Invece, è sbagliato scegliere l’amo in funzione delle dimensioni del pesce, perché anche un amo numero 6 può consentirci di porta-
re a guadino la carpa dei sogni. Piuttosto, la scelta di uncini di dimensioni esagerate dipende dalle difficoltà che l’ambiente ci impone di affrontare. I grandi fiumi, per esempio, sono tappezzati di ostacoli e dei residui delle piene che obbligano il pescatore a combattimenti molto tirati e forzati. Idem i grandi laghi, dove spesso si pesca a lunghissima distanza e il pesce si combatte il più delle volte dalla barca, sottoponendo il terminale, e in particolare l’amo, a trazioni notevoli. Ecco che in questi casi sovradimensionare l’uncino è una scelta tutt’altro che sbagliata: i modelli grossi, dal 2 in su (intendendo misure maggiori come l’1 o l’1/0), oltre ad avere dimensioni maggiori sono anche più spessi e hanno un “filo” maggiore. Questo si traduce in due vantaggi: primo, sono più resistenti e ci consentono di avere più sicurezza durante i combattimenti al limite; secondo, avendo una sezione più spessa non lacerano la bocca del pesce con la facilità propria degli uncini piccoli, che funzionano come autentiche lame di rasoio. Soprattutto quando combattiamo i pesci dalla barca e ce li troviamo in verticale sotto di noi, spesso non ci rendiamo conto di quanta forza scarichiamo sulla porzione di tessuto del pesce che, per
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NIENTE OSTACOLI SENZA BARCA! Le zone infrascate richiedono ami grandi, perchè sono più resistenti e non lacerano la bocca del pesce. La barca serve per evitare che la carpa si incagli e “rompa”, portandosi via amo e lenza. .
quanto resistente, è pur sempre carne. Meglio pensarci su: è bene portare a guadino il maggior numero di pesci possibile, evitando di slamare le carpe lasciandogli lacerazioni profonde e lunghe parecchi centimetri. Poi, non dimentichiamoci che ami piccoli e sottili sono anche meno resistenti e tendono ad “aprirsi” e a deformarsi molto facilmente. Quindi, in ambienti ostili, meglio ami di grandi dimensioni.
Pungono meglio!
In tema di ambienti di pesca, non possiamo non evidenziare che molte volte avviene l’esatto
contrario di quello che abbiamo appena descritto. A tutti noi, per esempio, sarà capitato di vedere carpisti ultra-tecnici che usano ami piccolissimi soprattutto in cave dove la quantità di pescatori sulle sponde è esagerata quasi tutti i weekend, se non addirittura tutti i giorni. Due sono i motivi di tale scelta: un amo piccolo, è facile da intuire, punge meglio e più in profondità di un amo grande e, in secondo luogo, è più leggero. Per capire il primo vantaggio basterà avvicinare le punte di due ami, rispettivamente del numero 6 e 1. Noteremo che la differenza è notevole: per
intenderci, ci parrà di guardare da un lato uno spillo da sarto e dall’altro un ago da uncinetto… quale punge di più? È indubbio che anche il più affilato amo numero 1 non pungerà con la stessa facilità di un normale amo numero 6... Il segreto sta tutto nelle dimensioni della punta, che è molto più piccola, e nella sezione del “filo”, che è sottile e penetra molto più facilmente anche nei tessuti molto compatti. Con questi due ami possiamo fare un esperimento. Prendiamo due terminali della stessa lun-
Gli ami piccoli si piantano ovunque ma si deformano con molta facilità
Grandi uncini per l’erbivora Meglio non provarci con quelli mini: l’amur è potente e potrebbe “polverizzarli”
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uanto alla carpa erbivora, la scelta della misura dell’amo oscilla tra due scuole di pensiero. Alcuni sostengono che è d’obbligo utilizzare quelli sottodimensionati, perché si pesca prevalentemente con granaglie e gli ami piccoli sono più difficili da scovare, anche per un pesce come questo, che ci vede bene, a differenza della carpa. L’amur, infatti, pur essendo vorace, quasi sempre si avvicina con circospezione alle zone pasturate per capire se qualcosa non va: percepito
l’amo, non ci mette molto ad allontanarsi. Vero è, poi, che gli ami piccoli forano con più facilità quelle due “tenaglie” di labbra che si ritrova la furia asiatica, risultato di giorni e giorni passati a sradicare pianticelle e a sgranocchiare germogli di canneto. Sul versante opposto c’è chi pensa invece che l’amo per l’erbivora non vada scelto in base alle dimensioni dell’esca, ma secondo le caratteristiche del pesce. Infatti, l’amur ha una potenza tale da non
poter essere sottovalutata ed è un rischio utilizzare ami piccoli: basterebbe già una “bestiola” di 10 chili piuttosto arrabbiata per “aprire” con due scodate un amo numero 4. Ecco perché non si dovrebbe lesinare sulle misure... Anche qui ritorna il solito discorso: è meglio vedere una partenza sola e un bell’amur a guadino, rispetto a dieci partenze con esito negativo. Dopotutto, siamo o non siamo “predatori”?
quello GIUSTO PER l’AMUR deve essere resistente, affilato e... molto grosso!
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Metro ghezza, abbinati a due piombi uguali di 80 grammi. Poi, puntiamo gli ami sui polpastrelli dei nostri due indici e tiriamoli verso l’alto per tendere il terminale: il dito che dovrà affrontare la punta dell’amo numero 6 si sottrarrà molto prima... pena una corsa al pronto soccorso!
Terminali camuffati
Appurato che gli ami piccoli pungono meglio, eccoci al secondo aspetto, forse il più importante per chi Un amo grande pesca finesse in luoghi si vede più di uno dove ci sono più pescatori piccolo, su questo che pesci: il camuffamento del terminale. In luoghi non ci piove come piccole cave o tratti di canali adibiti a campo gara, lo sappiamo tutti, le carpe sono in grado di… leggere e scrivere, e sono capaci di riconoscere una boilie vincolata a un terminale molto più facilmente di quanto crediamo. Utilizzare materiali che ben si stendono sul fondo, dello stesso colore del
limo e praticamente invisibili, non ha alcun senso se poi arriva l’amo a rovinare tutto. Non è solo una questione di visibilità: tutti, infatti, sappiamo che un amo grande si vede più di un amo piccolo; piuttosto, è questione di tatto e di reazione del pesce a una situazione anomala. Un pesce poco “educato”, quando aspira l’esca lo fa con violenza, senza pensarci troppo. Invece, le carpe catturate più volte mangiano “in punta di forchetta”, analizzando come un sommelier tutto ciò che stanno per ingoiare. Spostano l’esca con il muso, fanno aspirate fasulle, sollevano il limo con pancia e coda per vedere se tutto è a posto. Un amo piccolo può indurre la carpa a cadere in errore con più facilità semplicemente perché è più leggero: al momento dell’aspirata, infatti, vi è una bella differenza di peso tra un amo numero 1 e un amo numero 6. Quindi, per riassumere, se peschiamo in luoghi “pressati”, dove le carpe
sono smaliziate, meglio utilizzare ami piccoli. Ovviamente, non devono esserci ostacoli: meglio una partenza in meno piuttosto che tante partenze con altrettanti pesci dalla bocca rovinata. Proviamo allora a dare una prima risposta al nostro quesito dopo aver osservato da vicino come scegliere un amo sulla base di un determinato ambiente: gli ami piccoli sono migliori perché sono più leggeri e si puntano con più facilità, ma in luoghi ricchi di ostacoli gli ami grandi ci permetteranno di perdere meno carpe e, cosa importante, di trattarle meglio.
Labbra dure come pietre Il nostro viaggio tra le “paranoie” della scelta dell’amo è solo all’inizio. Abbiamo appena dato una sbirciata all’ambiente e al fondale, ed è il momento di considerare il secondo aspetto critico nella scelta dell’amo, ossia la carpa stessa. L’uncino, infatti, BOCCA DURA O CARNOSA? La prima (nella foto) vuole ami piccoli, più appuntiti. La seconda (in alto a destra) ci obbliga a usare quelli grossi.
QUALE PUNGE DI PIÙ? Ecco due montature identiche con amo di misura 1 (mano sinistra) e 4 (mano destra). Punge di più l’amo piccolo o quello grande? Il nostro collaboratore prova ancora un certo fastidio alla mano destra...
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Amo piccolo, esca grande Con il “confidence rig”: un montaggio particolarmente efficace per spot difficili
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ra gli innumerevoli rig inventati da quei geni dei maestri inglesi, ce n’è uno che risulta particolarmente efficace proprio perché va contro qualsiasi regola di “buona convivenza” tra amo e pallina. Stiamo parlando del confidence rig, tradotto in italiano come “innesco confidenza”. Questo montaggio, adatto a luoghi super-pressati, prevede l’innesco della pallina su un rig lungo anche 5 centimetri. La “confidenza” nasce proprio da questo fattore: non essendo vincolata da vicino all’amo, la pallina ha la libertà di muoversi sotto le più leggere sollecitazioni, come se fosse una di quelle usate in pasturazione. La carpa, convinta della sicurezza del boccone, aspira con forza la pallina e a sua volta si trascina dietro l’amo. Per quanto si
va scelto anche in base alle caratteristiche della bocca del pesce. Per comprendere il perché, è bene ricorrere a due esempi pratici, vissuti in prima persona da chi scrive. Caso numero uno: un amico, in pesca su un lago di sbarramento del Nord Italia, si trovò una volta nella condizione di vedere dieci partenze a notte, ma riuscire a portare a riva solo due, massimo tre esemplari appena. Tutte le carpe si slamavano, sia nella ferrata sia a metà combattimento, sia alla vista del guadino. La situazione era davvero inspiegabile, tanto che l’amico le provò tutte: accorciò i terminali, aumentò il peso della zavorra, cambiò gli hair rig, ricorrendo persino a quelli scorrevoli, utilizzò pop-up invece delle affondanti ma... niente, i pesci continuavano a slamarsi. Solo quando tornò a casa trovò una soluzione al problema, grazie alle foto dei pochi pesci che era riuscito a catturare. Tutte le carpe, infatti, avevano labbra molto sottili, all’apparenza molto dure
e callose. Le slamature si erano verificate per il semplice fatto che… non era stata modificata la misura degli ami. «Hanno sempre funzionato ovunque», fu la risposta del carpista davanti all’evidenza dei fatti. Ma aggiunse: «La prossima volta proverò con ami più piccoli». E, in effetti, i risultati della sessione successiva nello stesso lago non gli diedero torto: riuscì a portare a riva più dell’80 per cento dei pesci che avevano inghiottito l’esca! Il motivo era semplice: le carpe di quel bacino avevano bocche molto dure e callose che potevano essere bucate solo da ami molto affilati e con la sezione del gambo estremamente sottile. Quindi, da ami piccoli.
Occhio alle lacerazioni! Caso numero due. Qualche anno fa, in una cava di medie dimensioni, chi scrive si vedeva letteralmente “schiaffeggiato” dal socio di pesca dopo due notti di calate. Roba da cinque foto
trovi a parecchi centimetri di distanza dalla boilie, l’uncinò sarà sempre in posizione, pronto a “girarsi” non appena entrerà nella bocca, puntandosi immediatamente. Questo rig va contro qualsiasi rapporto regolare tra dimensione dell’amo e dimensione dell’esca perché di solito viene realizzato innescando bocconi piuttosto voluminosi, da 22 millimetri in su, abbinati ad ami piuttosto piccoli, misura 4 o inferiori. Da qui ne discende anche una piccola regoletta: più è ampia la differenza tra dimensione dell’esca e dimensione dell’amo, più lungo deve essere il capello. Il motivo? Un hair lungo evita il manifestarsi dell’effetto ombra. In poche parole, l’esca non “copre” l’amo con la sua massa, lasciando la sua punta scoperta, libera di pungere.
AMO PICCOLO E CAPELLO DI 5 CENTIMETRI: ecco il confidence rig (sopra), l’unico montaggio che ci consente di accoppiare una boilie grande a un amo piccolo. Funziona perché la lunghezza del capello dona all’amo più libertà, non vincolandolo immediatamente vicino all’esca. PALLINA GRANDE VUOLE AMO GRANDE, soprattutto se usiamo rig molto corti. L’amo piccolo in questo caso non va bene, perché la pallina grande ne ostacolarebbe il raggio d’azione.
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Ami grossi con le pop-up Altrimenti le dimensioni dell’esca potrebbero ostacolare l’efficacia del rig
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a maggior parte dei carpisti è solita realizzare rig cortissimi per le boilie galleggianti, tanto da tenerle praticamente attaccate alla curvatura dell’amo. Torniamo in questo caso al nostro “fondamentale”: mai come in questo caso le dimensioni dell’amo devono essere scelte in base alle dimensioni dell’esca. Boilie
pop-up da 24 millimetri aderenti ad ami numero 6 sono decisamente una scelta poco efficace. Meglio seguire la famosa “tabellina” che abbiamo mostrato all’inizio del nostro servizio, senza aver paura di scegliere un amo di una misura in più. Certo, perderemo qualcosa quanto a camuffamento del terminale, ma dopotutto le carpe dobbiamo portarle a guadino, non solamente convincerle ad assaggiare le nostre esche. Altrimenti, non è pesca ma… un succoso pranzo gratuito per loro!
a zero. Il rendimento quanto a partenze era simile, ma la quantità di carpe sul materassino era decisamente sbilanciata in favore dell’amico. Il bello di avere un socio di pesca “pensante” è anche quello di poter costruire delle piccole sfide che aiutino entrambi a crescere: quella volta ci stavamo proprio sfidando ad “amo grosso versus amo piccolo”. Stesse esche, stessi rig, stesso approccio e zone di pesca. Cambiava un solo, fondamentale particolare: mentre chi scrive usava uncini mignon, numero 4 e numero 6, il socio non aveva problemi a utilizzare ami numero 2 e 1, anche su esche da 18 millimetri. Non era la prima volta che prendeva corpo quella sfida, ma in questo frangente il risultato era schiacciante, troppo sbilanciato a favore degli ami “da tonno”. Per quale motivo? Come nel caso di prima, anche qui la colpa era della bocca delle carpe: tutti gli esemplari catturati, infatti, avevano labbra che definire ipertrofiche era riduttivo, erano grosse, gonfie, morbide come un bignè appena sfornato. Gli ami piccoli non funzionavano perché, pur penetrando immediatamente nella bocca del pesce, non erano sufficientemente ampi per colpire in profondità, lì dove il tessuto era più resistente. In poche parole, gli ami piccoli si puntavano sì nella carne ma bastava una leggera trazione per far sì che lacerassero l’abbondante tessuto che “addobbava” le labbra del pesce. Gli ami più grossi, invece, penetravano con altrettanta facilità perché il tessuto era morbido e quindi non risentivano del loro “filo” più spesso. E poi, la punta poteva colpire anche la parte dura al di sotto delle labbra carnose. Tra l’altro, l’ardiglione, essendo più grosso, resisteva meglio nelle labbra del pesce, perché non le “strappava”. Ovviamente, non dimentichiamo che le dimensioni dell’amo dipendono anche dall’ampiezza del cavo orale delle prede: davanti a carpe con bocche molto piccole, che non riescono a ingerire con
facilità una boilie da 24 millimetri, meglio evitare i “ganci da macellaio”.
La meccanica del rig
Siamo così arrivati al terzo aspetto, quello inerente alla meccanica della montatura in generale e del rig in particolare. Ci vuole poco a intuire che ami piccoli ci permettono di guadagnare qualche centimetro nel lancio. Montare in bobina un monofilo da 0,28 millimetri inguainato nel teflon, usare montature ad hoc, ed essere grandi lanciatori può non bastare per raggiungere il limite, se poi attacchiamo al rig un “bandierone” fatto da una boccia da 24 millimetri e un amo 1/0. Per lanci lunghi vanno decisamente meglio esche e ami piccoli perché rallentano meno in volo. Quanto al lavoro del rig nella bocca del pesce, è opinione di molti che, a parità di materiale del terminale e di peso del piombo, su un semplice linealigner un amo di piccole dimensioni “giri” meglio. Per esempio, se facciamo la “prova del dito” descritta da Leon Hoogendijk nel numero 23 di Carp Fishing Magazine, con due terminali identici di 15 centimetri di treccia da 25 libbre e piombo da 100 grammi, ci renderemo effettivamente conto di questo vantaggio. Che, a ben vedere, pur essendo contenuto, in qualche situazione difficile potrebbe tornare utile. Poi, dobbiamo tenere ben presente che ci sono eccezioni come il confidence rig, che prevede una pallina di grosse dimensioni, accompagnata da un amo piccolo e vincolata ad esso da un capello di lunghezza esagerata.
A voi la scelta
Eccoci arrivati alla fine del nostro percorso. Allora… Amo grosso o amo piccolo? La risposta più sensata è senza dubbio: “dipende”. Le variabili sono troppe per poter stabilire una scelta valida sempre, dovunque e comunque. Premesso che una buona regola generale è quella di scegliere le dimensioni dell’amo in base alle dimensioni dell’esca, chi scrive vorrebbe racchiudere in poche frasi, a ‘mo di
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filastrocca, tutto il discorso sulle alternative nella scelta della dimensione dell’amo: in genere è meglio usare ami mignon perché si camuffano meglio grazie alla loro leggerezza, perché si puntano anche nelle labbra più dure, perché ci fanno catturare anche le carpe dalla bocca in miniatura, perché ci concedono qualche centimetro in più nel lancio e, soprattutto, perché “girano” meglio nella bocca del pesce. Tuttavia, gli ami grandi sono una scelta obbligata in luoghi ricchi di ostacoli dal momento che non distruggono la bocca del pesce, oppure là dove le carpe hanno bocche grandi e carnose, perché affondano meglio nei tessuti. Bene, abbiamo vagliato tutte le ipotesi e ora sappiamo se utilizzare un amo grande o un amo piccolo. Da quando abbiamo aperto la scatola porta-terminali, però, è già passata un’ora. Quanti ragionamenti… E ci manca ancora una cosa: dobbiamo “solo” scegliere la forma del nostro uncino. E poi il rig... Beato Amleto con la sua lucida follia!
Non sempre la bocca della carpa è proporzionata alla sua stazza
Xxzxz xzxzxxz csddz<ddssad vfdsdf xzzfdsffs sffff fdfdsffdfdfsdf
Il “bigino”... per l’uncino!
Uno schema di riferimento che può far comodo Piccolo o grande?
Sul fondo o sulle sponde ci sono molti ostacoli
Le condizioni di pesca sono normali, standard
Amo grande
Tabella fondamentale
Amo piccolo
La bocca delle carpe è partiolarmente dura o eccessivamente carnosa?
Bocca dura
Bocca carnosa
Pesca in luoghi molto “pressati”
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La parola ai campioni
Cinque esperti carpisti rispondono al nostro quesito
Piccolo in ogni occasione Emiliano Gabrielli
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on ho dubbi: amo piccolo, sempre! Per anni ho avuto fiducia negli ami grossi che, nel mio immaginario, garantivano una tenuta al top. Poi, confrontandomi con situazioni più difficili e con carpe più diffidenti, ho notato che con ami piccoli riuscivo a ottenere molte più partenze, diminuendo tra l’altro le slamate. Un amo piccolo regala una maggiore naturalezza all’esca, permettendoci di nascondere più facilmente l’inganno al pesce. In più, un amo dalla sezione sottile penetra con estrema facilità nell’apparato boccale della carpa, anche impiegando zavorre non eccessivamente grandi. La bocca della carpa sembra morbida, ma in realtà è molto callosa: è questo il più grande ostacolo da superare per ottenere un eccellente effetto auto-ferrante! Ecco perchè da qualche tempo una delle mie armi preferite è l’impiego di ami compresi tra il numero 8 e il 4, anche con esche voluminose. In questo ultimo caso, aggiungo, bisogna allungare un po’ l’hair rig per scongiurare l’effetto ombra e… il gioco è fatto!».
Grande: una marcia in più in gara
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utto dipende dalle caratteristiche del luogo della sessione, ma soprattutto dalla taglia media delle carpe che ci vivono. Premetto che per i pesci di grossa stazza o gli amur, dato il modo e la forza con cui si alimentano, per un’azione efficace è d’obbligo adoperare modelli di eccellente qualità, robusti e resistenti. Il discorso cambia con le carpe di piccola taglia. In questo caso mi affido a versioni leggere con una punta estremamente affilata per una profonda penetrazione anche al minimo assaggio. Una penetrazione superficiale consente infatti alla carpa di sputare con forza l’amo: ho notato che alcuni esemplari, invece di farsi prendere dal panico e fuggire, tendono a fermarsi e liberarsi della puntura con soffiate potenti. Comunque, la dimensione ideale dell’amo varia in relazione alla proporzione tra diametro dell’esca e lunghezza del “capello”; in sintesi, minore è la lunghezza dell’hairrig, maggiore sarà la grandezza dell’amo selezionato, sempre ovviamente in rapporto alla boilie o alla granaglia innescata. Lo scopo che voglio
raggiungere è quello di agganciare immediatamente la carpa, prima ancora che questa abbia il tempo di rendersene conto. Ecco perché generalmente decido di non staccare troppo la boilie o le granaglie dalla curvatura. Gli ami piccoli, a mio avviso, vanno bene solo con terminali da 35-40 centimetri, hairrig di una certa lunghezza e piombi leggeri. Le mie convinzioni mi spingono però a preferire ami di misura rilevante e mi concentro su misure dall’1/0 al 4 compreso. Quasi mai uso ami più piccoli del 4. In gara, pur sovradimensionando l’uncino, vedo lo stesso numero di partenze, ma limito di molto il pericolo di perdere prede durante il recupero: un amo con un’ampia curvatura ha più probabilità di trovare un po’ di carne e agganciarsi agevolmente. L’obiettivo è non perdere le carpe: nelle competizioni difficili, con poche catture, alla fine una sola carpa può fare un differenza enorme in classifica! Però è obbligatoria una corretta presentazione dell’esca: solo così facendo un amo lievemente più grande non manda al pesce un segnale che lo insospettisce».
Riccardo Fanucchi
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L’ideale è quello numero 6
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econdo me, la scelta di pescare con un amo piccolo o con uno di misura “large” è legata a una serie di fattori. Il più importante è la posizione geografica degli spot. È basilare. Ho notato che chi è abituato a pescare nel Nord Italia, in bacini ricchi di pesce, tende a usare ami grossi perché la preoccupazione principale non è la partenza, ma la sicurezza nel recupero. Invece, al Centro-Sud si usano ami piccoli per non insospettire il poco pesce presente. In breve, ci si regola in base alle esperienze e alle realtà a cui siamo abituati. Comunque, io Guido credo che l’amo debba essere tendenzialmente piccolo, cioè del numero 6. È la misura con la quale si fa tutto, perché ha il giusto rapporto tra robustezza e qualità della punta. Misure dal 2 in su sono giustificate solo in alcune situazioni al limite. Ho sempre considerato la fortuna come la ciliegina sulla torta, ma la torta deve essere fatta
di una serie di accortezze che comprendono la scelta dello spot, la pasturazione, il lancio e, soprattutto, la presentazione. Quindi, avere una bella ciliegia senza saper fare la torta serve a poco! A mio modo di vedere, una montatura ben realizzata aggancerà sempre il pesce sul labbro inferiore e sfido chiunque a dimostrarmi che, in condizioni standard, si perde un pesce di trenta chili a causa dell’amo piccolo. Diversamente, provate a dimostrarmi che la punta di un amo 1/0 è acuminata quanto quella di un buon 6…».
Mazzarella
Matteo Maranini
Assolutamente grandi!
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i fa presto a dire “scegli un amo”! Andare per “assoluti” è quasi sempre sbagliato, e la domanda “amo piccolo o grande?”, così semplice nella formulazione, è assai intricata nella risposta. Chi butterei dalla torre? Senza dubbio gli ami piccoli, per una considerazione incontrovertibile: gli ami piccoli lacerano di più. Sono sì più penetranti, ma altrettanto tendono a “sfilettare” come fanno quegli affilatissimi e sottili coltelli che utilizziamo per tagliare prelibate bistecche! Uso ami di dimensioni consistenti, anche 1 o 1/0, perché credo che un singolo foro, anche un po’ più grande di quello provocato da un amo piccolo, ma ben posizionato, sia quanto di meglio possiamo cercare. Ovviamente, l’amo deve fare leva sulla parte corretta, cioè sulla curvatura. Purtroppo, condensare in poche righe
alcuni anni di ricerche sulla tematica non è semplice. La cosa più importante da capire è che bisogna cominciare a pensare al “concetto terminale” e non al singolo elemento che lo compone, capello, amo, Hppe (materiale per finali, ndr), e così via. Parlare di ami senza affrontare la tematica dei piombi è quasi inutile: per esempio, un amo di misura 1 con un piombo da 60 grammi rasenta il ridicolo! Altresì parlarne senza osservare la meccanica di rotazione del terminale stesso è impossibile, perché un amo che sia realmente efficace deve garantire il massimo delle probabilità che si conficchi nel punto giusto. Infine, scegliere gli ami senza considerare la morbidezza del capello e la sua lunghezza è difficile, perché solo in questa maniera possiamo evitare l’effetto ombra e quindi massimizzare la rotazione del rig».
Piccolo o grande? Medio...
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mo e basta! La scelta è abbastanza semplice per me: non seguo le mode, le novità, né mi faccio condizionare dagli altri. L’amo è il nocciolo della lenza e quando mi trovo a sceglierlo cerco comunque di rimanere nel mio standard, tanto da utilizzare lo stesso modello di ami ormai da svariato tempo. Piccolo o grosso? Nessuno dei due: preferisco la classica via di mezzo. Gli ami piccoli e a gambo sottile non mi fanno dormire la notte da quando ho slamato la cattura
della mia vita davanti alle maglie del guadino: cedono e si aprono, da allora non ci penso proprio più a legarli al mio terminale! Gli ami a gambo grosso, al contrario, mi danno l’impressione di pesantezza, sembrano “ganci” che tolgono l’armonia alle mie presentazioni. Molti utilizzano un amo speciale per ogni rig, però io non lo faccio: per me di speciale c’e solamente lo spot, dove calo con molta attenzione il mio solito amo, insieme all’esca migliore che io possa elaborare...».
Massimo Mantovani
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