CarpFishingMagazine_25_PrimaFiume

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n.25 ottobre

2008

Tariffa ROC – POSTE ITALIANE Spa – Sped. Abb. Post. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n. 46) – Art. 1 C. 1 – DCB Milano

Tra le piante Erbai, canneti, ninfee, castagnole: come affrontarli per fare centro

Sul fiume Ciò che serve sapere per ingannare le forti carpe della corrente

Ultimo metro Elevator rig

ISSN

1828 - 5511

10 regole d’oro

Diffidenza e “pressione”

Anno III - N° 25 MENSILE ottobre 2008

e 5,40 (Italia)

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Self made

Trappola perfetta

Paradisi nostrani Lago di Barrea

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Situazioni e

strategie

Prima volta Ambienti inesplorati e carpe affamate che non si arrendono mai: i grandi fiumi sono una risorsa incredibile per i carpisti. Ma il primo impatto non è sempre facile: in un racconto sincero, ecco tutte le dritte per non sentirsi... pesci fuor d’acqua

A

prile 2006. «Pronto, Paolo?». «Ehi, dimmi Gianlu». «Ho una bella notizia: cambio casa, vado a vivere sul fiume». «Ma sei matto?». «No, dico sul serio, tre mesi e la inauguro». «Aspetta un attimo… hai detto ‘fiume’?». «Ticino! Lo avrò a cinque minuti da casa, forse meno». Le grandi storie, chissà come mai, spesso iniziano con una telefonata. E chi sta alla cornetta non sa che quel breve scambio di parole gli scombussolerà, se non la vita, almeno le abitudini.

L’antefatto è chiaro: uno dei miei soci “storici”, Gianluca, avrebbe cambiato casa per andare ad abitare fuori Milano, in un paese bagnato dal Ticino. Io, che ne sapevo di fiumi quanto un tirolese ne sa di ricciole e pesci serra, non presi la cosa con pieno entusiasmo: ero contento, ma solo perché un amico avrebbe abbandonato le polveri sottili e le multe di Milano, piuttosto che per la parola “Ticino”, come sospettava il mio solare socio. Dopotutto, a me che mi fregava? Pazienza se

il fiume era più vicino rispetto ai miei soliti spot: io avevo i miei laghi, la tranquillità dell’acqua pigra. Poi, tra università e lavoro, ero costretto a sacrificare molti weekend: chi me lo faceva fare di impegnarmi in un’avventura che sulla carta appariva solo una perdita di tempo?

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in fiume a cura di Paolo Meneghelli

Dalla quiete dei laghi alla potenza indomabile del Ticino: che salto!

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Fiume per

tutti

Mai e poi mai!

“Troppo difficile il fiume”... Già, ma non è proprio la sfida a esaltarci?

A “mettere il carico da 11” sulla la mia inesperienza ci pensarono poi le riviste e i pareri degli altri pescatori. «Se in fiume non pasturi con continuità, non prendi niente». «A volte, il filo non sta fermo nemmeno con quattro etti di piombo. E non credere di salvarti con le lanche, perché le carpe non ci entrano sempre». «In fiume puoi anche non pescare durante il giorno: le carpe le prendi al mattino presto o al tramonto. E basta». «La barca

Hot spot a prima vista L’

abitudine di pescare in acqua ferma ha convinto molti carpisti che l’ecoscandaglio sia sempre utile, se non indispensabile. In fiume, però, il rilevatore elettronico di profondità il più delle volte non serve. Infatti, c’è già la corrente a “spiegarci” come è strutturato il fondale! In questi ambienti, imparare a trovare un hot spot “a prima vista” non è poi così difficile e con un po’ di esperienza i nostri occhi possono funzionare meglio del più avanzato ecoscandaglio. Per far capire come trovare un hot spot anche a chi non si è mai avvicinato alla pesca in fiume,

da fiume deve avere il motore a scoppio, altro che mariposa, porta-bote e tender da yacht di Porto Cervo». E, infine: «Il fiume è pericoloso perché se aprono le paratie della diga di notte mentre dormi non ti trova più nessuno».. Maledetto fiume! Non era proprio una cosa per me: troppo difficile, troppo ostico, troppo bastardo. Un sovrano che bastona i forestieri per essere clemente solo con chi lo venera e lo vive. Non avrei mai pescato sul Ticino. Certo, Gianluca me l’avrebbe chiesto e io forse avrei ceduto. Ma sarebbe stato solo

per passare una giornata diversa, magari per una grigliata en plen air. Percepivo la mia presenza sulle sponde del “fiume azzurro” come una cosa lontana, come un diversivo per combattere un’eventuale noia da acqua ferma. D’altronde, finché non me l’ha detto Gianluca, io non sapevo nemmeno che il Ticino lambisse il suo nuovo paese…

La pulce, anzi la carpa, nell’orecchio... Cinque mesi dopo, Gianluca aveva la barca a motore e passava i weekend in cerca di pe-

Se impariamo a “leggere” il fiume, l’eco non ci servirà

presentiamo alcuni esempi degli spot più redditizi: rivista alla mano, sarà facile andare alla ricerca del “punto caldo” nel tratto di fiume selezionato. Il riquadro prosegue anche nella pagina successiva ECCO UN GIRO D’ACQUA: per trovarlo, basta cercare i punti dove la corrente in superficie va al contrario della corrente principale del fiume. In queste zone di solito si formano buche più profonde, dove la corrente non c’è. La pastura lanciata in acqua girerà nel “gorgo”, per poi depositarsi tranquillamente sul fondo. In questi punti non servono zavorre di peso esagerato!

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piccola, grande soddisfazione. Persino una carpotta merita la foto se per tirarla fuori dalla corrente abbiamo sudato sette camicie!

sce, su e giù tra lanche e raschi. Trote? Sì. Cavedani? Ma certo! Lucci? Of course! Sandre? Quelle non mancavano. E le carpe? «Paolo, io le ho viste, ce ne sono tante. Sto pasturando con quintali di mais, spero di catturarne qualcuna», mi confessò l’amico quando ottobre stava bussando alle porte. Catturò: prima sporadicamente, poi a ogni uscita. «E se il Ticino fosse veramente uno spot “facile”, uno di quelli che ormai si vedono solo con il binocolo?», mi interrogai. Le mie illusioni durarono poco: Gianluca è un vecchio “lupo di fiume”,

Per scegliere il punto dove lanciare bisogna osservare bene la corrente

tra mosca, spinning e passata, pesca in corrente da quando ha cinque anni, per forza lui le prendeva! Quanto a me, il Ticino era ancora un’incognita. Il fiume più “veloce” che avessi provato fino a quel momento era… il Canale di Ostellato. Anzi, no: avevo pescato anche sul Po, a Isola Serafini, a monte della diga; ma senza speranza: il piombo da 150 grammi svolazzava a mezz’acqua, a mo’ di passata senza galleggiante. Similitudine scontata: ero proprio un pesce fuor d’acqua! Meglio: ero ridicolo. Segue a pag. 62

IL “FILO” DELLA CORRENTE: si tratta del punto in cui, in superficie, vi è lo “stacco” netto tra la corrente veloce del centro del fiume e quella, più lenta, che lo lambisce nei pressi della riva. A volte il “filo” della corrente è anche indice di uno scalino o di una variazione di fondale. Bisogna lanciare nei pressi della linea che delimita le due correnti. Ricordiamoci che siamo comunque in corrente: qui servono zavorre molto pesanti!

TOSTE, MA PRODUTTIVE: le prismate, ammassi di blocchi di cemento o di sassi utilizzati per rinforzare le sponde, offrono riparo e cibo alle carpe. Ma attenzione: usiamo snag leader in nylon lunghi e di grosso diametro, per evitare che ogni pesce allamato spacchi la lenza alla prima fuga. Un consiglio da non sottovalutare: in questi spot non si pesca senza una buona mappatura del fondale.

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Fiume per

tutti Tante prime volte

Altro che acqua bassa, canneti e ninfee: il fiume è un ottovolante!

«È impossibile che qui ci siano delle carpe», mugugnai. «Ma le foto le hai viste?», rispose con un lieve tono di sfida Gianluca. «Mah, qui per me le baffone vengono cavalcate dalle trote per fare rafting…», chiusi io. Avevo ceduto: ero sul Ticino, tutto tranne che convinto. Era ottobre e l’aria fresca ci circondava dopo le botte di caldo di un’estate che non pareva finire mai. Scaricammo l’attrezzatura in un tipico e affollato deposito-barche, a metà tra lo spartano e l’abusivo, ricavato all’interno di un piccolo braccio morto del fiume. Qualche centinaio di metri più in là, però, ecco la rasoiata, un fruscìo profondo che raddoppiò il mio abituale timore reverenziale verso la natura: quella corrente impetuosa, quel paesaggio dominato da fitti e magri alberi, quelle distese di sassi perfettamente levigati, mi facevano un po’ paura. Mi parve di vedere il Ticino improvvisamente trasformato in una schizofrenica lingua di terra liquida; di sentire ruggire le onde una sull’altra; di vedere tronchi monumentali trascinati dalla corrente; di percepire sulla

segue da pag. 61 INCROCI DI CORRENTI: non sono spot così frequenti ma quando li scoviamo sono sinonimo di carpe. Li possiamo trovare all’ingresso delle lanche o dove il ramo principale del fiume incontra affluenti oppure si dirama in altri bracci. Il gioco delle correnti fa in modo che qui l’acqua “corra” meno e che si depositi molto cibo naturale. Come trovarle? Spesso l’acqua presenta due colori diversi, uno per ciascuna corrente.

ACQUA FERMA: siamo in una lanca, area nota anche come “braccio morto”. Le migliori sono quelle che comunicano con il fiume e non si svuotano quando vi è scarsità d’acqua: in questo caso, sono come veri e propri “laghi”, con tanto di ecosistema e pesci stanziali. Lanche “periodiche”, che si formano dopo le piene, sono ottimi spot soprattutto appena riempite: qui le carpe trovano rifugio se il fiume è “arrabbiato” oppure sfruttano l’acqua bassa e ferma per la frega. Spot facili, ideali per iniziare a pescare in fiume.

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schiena quel senso di precarietà che ti schiaccia quando la natura è veramente arrabbiata. «Oh, mi vuoi passare quel cavolo di pod, così partiamo?». Gianluca mi riportò alla realtà ricordandomi che eravamo lì per pescare, non per farci stringere dalla morsa dei pensieri. Paradossale: in un ambiente così suggestivo non c’era posto per i sentimenti. Era ammessa solo l’impazienza della sfida. Non staccai lo sguardo dalla lama di corrente dove stavamo per infilarci: «Corre veloce…», dissi a Gianluca, come a cercare conferma. E lui, provando a confortarmi: «Adesso “tira” poco: il livello è basso, visto che è da un po’ che non aprono le paratie del Maggiore». Dopo qualche secondo di silenzio, vedendomi ancora rapito dalla perplessità, aggiunse: «Rilassati, non pensare, e usa l’istinto: oggi vivrai tante “prime volte”. Non ti affascina un po’ la cosa?».

Rafting tra i raschi

Sarebbe stato un momento da abbracci tra vecchi amici... se in quell’istante Gianluca non avesse inserito la quinta. Uscì dalla piccola lanca, tagliò perpendicolarmente il ramo principale del fiume, virò bruscamente e fece alzare, fiera, la prua della bar-

ca contro la corrente. Intanto, il mio sedere sbatacchiava sul sedile, mentre con la mano destra stringevo una barra in ferro con forza tale che mi pareva di deformarla. Intanto, la sinistra controllava che il giubbetto salvagente fosse ben allacciato. Il mio socio, in camicia da boscaiolo e Ray Ban d’annata, ostentava quella sicurezza propria delle persone che si prendono gioco di te senza volerlo dare troppo a vedere. Il viaggio sarebbe durato una ventina di minuti, il tempo necessario per raggiungere una postazione isolata. Gianluca ruppe il monopolio acustico del motore a scoppio: «Caro Paolo, finalmente questa volta decido io: altro che acqua bassa, canneti e quelle erbacce delle ninfee!». Con il gas sempre aperto, superammo prima la convergenza di due bracci, dove il fiume si allargava e la sua portata quasi raddoppiava, poi ci infilammo in un ampio raschio; addirittura, la barca pizzicò un paio di volte i sassi sul fondo! Da lì in poi era tutto un dedalo di rami ad andatura veloce, alternati a minuscole lanche dove l’acqua trova riposo quando si stufa del flipper della corrente. Superato

“SCOCCIATORI” OVER-SIZE. I cavedani di fiume sono grossi, potenti e... golosi di mais!

Ogni ramo del corso d’acqua è un mondo a sé, tutto da scoprire

OSTACOLI AFFIORANTI: durante le piene, grossi tronchi trascinati dal fiume incontrano bassi fondali o altri ostacoli che li bloccano nel mezzo del letto. È così che si forma un hot spot: peschiamo dietro l’ostacolo, cioè nella zona opposta al punto in cui batte la corrente. Gli ostacoli formano un interessante “gorgo” dove si depositano detriti e cibo. In questi punti sono d’obbligo montature a perdere.

CURVE, SEMPRE BUONE: ottimi spot, basta “leggerli” in superficie per capire come è il fondale. Nella foto la curva è di circa 90 gradi: la zona in cui “scava” la corrente, cioè quella più a destra, è la più profonda; la corrente “tira” e nemmeno i piombi più pesanti riescono a stare fermi. I detriti si depositano poco più a valle, sulla sinistra: qui il fiume è meno profondo e qui vanno cercate le carpe.

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il raschio, vidi il fiume allargarsi improvvisamente: «La postazione è laggiù», disse Gianluca, mostrandomi con l’indice un punto all’orizzonte. In quel punto il Ticino è larè un carp fishing go, più profondo, e la ve“vecchia maniera”, getazione si dirada, come se fosse ammucchiata in con quintali di pochi angoli per fare spapastura naturale zio a lui, al “re azzurro”, accompagnato dal suo grande esercito di piccoli e grandi sassi perfettamente levigati. La corrente, però, non pareva diminuire d’intensità: «Più che un fiume, sembra un torrente… ci saranno le carpe qui?».

“Leggere” il fiume

è una pESCA DI RICERCA. Attrezzatura ridotta al minimo (sopra) per scovare le carpe più grosse (sotto).

La postazione era una lingua di sassi modellata dalla corrente dopo una curva a novanta gradi. Parentesi: dopo le violente piene di questo inizio estate 2008, la zona ha cambiato completamente conformazione: in fiume, un anno non è mai uguale all’altro… La lingua si formava nella zona di deposito, sulla sponda opposta alla corrente “viva”, un centinaio di metri più a valle. Non me ne accorsi subito, ma avevo già superato una “prima volta”: il compito mi fu reso più facile perché non fui obbligato a scegliere lo spot di mia spontanea volontà, ma più semplicemente ragionai su una scelta già compiuta da un amico. Ini-

zialmente, lo devo ammettere, non lo capii di mia iniziativa. Ci pensò Gianluca a chiarirmi le idee: «Ci mettiamo qui perché davanti a noi c’è un giro d’acqua importante, che scava una buca profonda 6 metri; il resto è sui 3-4 metri, non di più. Almeno fino alla prossima piena». Scoprii che l’ecoscandaglio in fiume quasi non serve: «Guarda davanti a te, non vedi che l’acqua sembra avere due densità diverse?», disse Gianluca, chinandosi per raccogliere un ramo da terra. Mentre accennavo a un “sì” con la testa, il mio socio lanciò il bastoncello al largo, vicino alla linea immaginaria tra i due tipi di acqua. «Quello è il punto dove la corrente deposita tutti i detriti», disse, «la corrente risale e si for-

ma un gorgo: osserva il ramo che ho appena lanciato». In effetti, quel ramo a galla fu prima catturato dalla corrente, poi iniziò a scivolare a valle, per fermarsi, girare, e risalire a monte, come se stesse tracciando un’ampia ellisse. «Non è complicato», mi incitò Gianluca, «quello che c’è a galla c’è anche sotto». E io, ingenuo: «Bene, ma i chicchi di mais continuano a girare in questo gorgo? Come fanno ad andare sul fondo? La corrente tira…». Gianluca sorrise: «Sul fondo c’è meno della metà della corrente che vedi a galla». Della serie: orecchie basse... e a casa!

Alle origini del carp fishing Presi fiducia: il fiume aveva un non so che di affascinante, stavo imparando cose nuove, lo spot pareva buono e avevo scorto alcune carpe saltare in piena corrente a pochi metri da noi. In più, Gianluca mi aveva dato la notizia più bella: «Là sotto la corrente rallenta». Mi fu facile anche la scelta del rig e dell’esca: un semplice line aligner con capello morbido, amo grosso e chicchi di mais. Né più, né meno. Sembrava tutto così strano, a me che forse ho passato più tempo a farmi venire il mal di testa con la scelta di esche e terminali piuttosto che con le canne in acqua… Pochi minuti e le canne furono sul pod. Prima, però, bisognava pasturare. Avevamo con noi due secchi di

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Attrezzatura all’altezza della sfida Dalle canne alle lenze, cosa serve per superare le insidie della corrente

I

qUI NON SERVE l’ECO: il gorgo ci dice che abbiamo davanti una buca profonda, scavata dalla corrente.

l primo impatto con le carpe dei grossi fiumi può destare stupore, come è capitato a chi scrive: anche se di piccole dimensioni, sono potenti, determinate e arrabbiate. Per questo, canne che sembrano toste in acqua ferma possono impallidire davanti all’esplosione di potenza di una carpa che cerca di prendere la corrente. E, ovviamente, una carpa che prende la corrente è

mais, in tutto circa 15 chili: «Ma dobbiamo svuotarli?», chiesi a Gianluca, mentre era impegnato a tirare frustate con il cucchiaione. «Certo, sono anche pochi, qui le carpe non hanno mai visto un amo. Non avere remore, fionda e vedrai che arrivano sotto», mi incitò lui, invitandomi a creare il “contorno” a suon di fiondate. Non aveva tutti i torti: i carpisti più vicini pescavano forse tre chilometri a monte e cinque a valle. Insomma, eravamo solo noi e un carp fishing “vecchia maniera”, fatto di quintali di esche naturali e, si sperava, di carpe poco diffidenti.

praticamente una carpa persa: questi pesci, infatti, oltre a essere forti e muscolosi già per costituzione, sfruttano la forza dell’acqua per aumentare la trazione sul filo: si mettono di traverso e... chi le salpa più? Ecco perché ci vogliono attrezzature toste e affidabili, dalla canna all’amo. Tra l’altro, è impossibile trovare un fondale privo di ostacoli su un grande fiume: le piene primaverili e

autunnali trasportano di tutto, soprattutto alberi caduti in acqua per l’erosione delle sponde. Pescare vicino agli ostacoli spesso significa pescare nel punto giusto, ma attenzione: bisogna rispondere subito, ferrando al primo bip, chiudendo la frizione e trascinando il pesce lontano dagli ostacoli e dalla corrente. Per farlo, servono strumenti all’altezza: vediamo quali.

POTENTI E AFFIDABILi: per il fiume, scegliamo solo mulinelli indistruttibili. Prestiamo attenzione agli ingranaggi: non devono deformarsi dopo le trazioni più intense. La capienza della bobina non ha troppa importanza: in genere si pesca entro i 50 metri da riva.

Momento difficile

Gianluca volle vedermi all’opera: «Dai, lancia!». Spugnetta in Pva anti-garbugli, terminale dietro la testa, trazione, splash. «Va bene?», chiesi. «Te ne accorgerai da solo», rispose lui. Il filo si mise in tensione da sé: il piombo aveva iniziato a rotolare inesorabilmente verso valle. Recuperai, rimisi la spugnetta sull’amo e rilanciai. Ma il piombo rotolò ancora. Spugnetta, e via con il terzo lancio: uguale ai primi due. Possibile? Gianluca mi stava ingannando? Non doveva esserci corrente! «Lancia più vicino, non proprio nel centro del gorgo, ma un po’ a valle», disse, suggerendomi la direzione con la punta della sua canna. Risultato: lanciai sotto i piedi. Ero frustrato, perché si trattava di un lancio di nemmeno 15

TOSTI ANCHE NEL FINALE: niente finali troppo complessi e delicati. Va bene un line aligner in trecciato o fluorocarbon da almeno 35-40 libbre, con un amo grosso: le carpe di fiume hanno bocche molto carnose! In più, la corrente e gli ostacoli sottopongono gli uncini a trazioni davvero consistenti...

CANNE “DA MACISTE”: più che la lunghezza, conta la potenza. I veri carpisti “di fiume” usano canne da 4-5 libbre o attrezzi concepiti per il siluro. Bene anche le canne da 3-3,5 libbre, ma in questo caso si consiglia di evitare spot troppo “pericolosi” per il pesce. Di solito non servono lanci clamorosi, quindi bastano modelli da 12 piedi.

MEGLIO UN NYLON SPESSO in bobina, perché la treccia non ha molta resistenza all’abrasione e, poiché è ruvida, raccoglie molto “sporco”. Il nylon è liscio e resiste meglio allo sfregamento su sassi e ostacoli. Per uscire vincitori da qualsiasi “tira e molla”, imbobiniamo uno 0,40 e montiamo un parastrappi dallo 0,60 in su.

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metri e io non riuscivo a essere preciso! O troppo lungo, o troppo corto, o troppo a valle: ero nel pallone, piegato davanti a una carenza tecnica che non sapevo di avere. «RiproIl rig va piazzato va…», mi disse Gianluca, con precisione avvicinandosi. Rilanciai, arrabbiato, senza mettemillimetrica, ma re nemmeno la spugnetta raramente lontano di Pva. Finalmente riuscii a posare il terminale nel punto buono. O almeno sembrava, fino a quando non percepii di nuovo il filo che si metteva in tensione da solo; questa volta, però, il piombo rotolava verso monte. «Gianlu, non fa per me», dissi, sbattendo il cimino della canna in acqua. E lui: «Non ci riesci perché sei nervoso... ma ti vedi? Sei tutto contratto e devi lanciare solo a 15 metri!». «Ma io non ho mica capito dove devo lanciare: ho montato un piombo da 150 grammi, possibile che non stia sul fondo?», chiesi sconfortato. «Il piombo non c’entra», disse Gianluca, caricando una delle sue canne. Lanciò: «È questo il punto giusto». Splash.

Ostacoli pericolosi

OTTIMI PER GLI OSTACOLI: con i captive back lead possiamo schiacciare la lenza sul fondo senza rischio di incaglio.

Raggiunsi l’obiettivo al dodicesimo lancio: il piombo toccò il fondo sabbioso e rimase lì, finalmente immobile. Gianluca lanciò la sua seconda canna e io mi preparai a lanciare quella che mi restava. Il bucone era pieno, quindi avevo due opzioni: o un bassofondo di sabbia alla nostra destra, dove alcuni arbusti si bagnavano in acqua, oppure un ostacolo affiorante poco più

a sinistra. Scartai la prima ipotesi per due motivi: l’acqua era troppo bassa, sembrava uno spot da periodo di frega piuttosto che uno da inizio ottobre. E lanciare lì avrebbe avuto il sapore della resa: non avrei pescato in corrente, ma in acqua ferma. Mirai quindi l’ostacolo e gli lanciai l’esca molto vicino, in piena corrente. «Io rilancerei»: la voce di Gianlu, pacifico sulla sua sedia, giungeva desiderata come il morso di un tafano. «Perché?», feci io, con tono tra il provocatorio e lo scocciato. «La distanza va bene, è il punto che non mi convince», proseguì lui, «lancia più a destra, proprio dietro l’ostacolo: lì il fondale è pulito, e c’è un bel deposito di cibo naturale, perché la corrente picchia contro l’ostacolo e forma un giro d’acqua interessante». Guardai il lago. «Recupera. Scommetto che troverai il terminale pieno d’erbe». E così fu: spiaggiai un intero banco d’alghe!

Un fiume unico

Finalmente eravamo in pesca. Ci avevo messo due ore per capire come assecondare l’acqua che corre. Seduto su un secchio di granaglie, provai a fare un riepilogo di quello che avevo imparato, delle “prime volte” che tanto temevo. Mi sentii meglio, a vedere il paesaggio che abbraccia il Ticino: è un fiume lasciato a sé, nel suo stato naturale, selvaggio e misterioso. Cormorani, aironi cinerini e germani volavano sulle nostre teste, mentre un invisibile picchio ci martellava i timpani. Per qualche minuto scorgemmo

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anche due falchi, che girarono in cerchio prima di fermarsi e cadere velocissimi chissà dove, giù, forse a ghermire una preda. Sulla riva vedemmo anche le impronte di qualche cinghiale. Stupendo: il fascino del fiume e del lago non sono comparabili, ognuno ha le sue magie. Ma, assaporato tutto questo, il fiume vince due a zero: il Ticino in quel punto è pesca d’avventura allo stato puro. A me, che sono abituato al “traffico” del Pusiano, quella tranquillità apparve un dono. Almeno fino a quando il livello dell’acqua non iniziò a fare… su e giù.

Maledette alghe!

Bip. «Oh, c’è», mi destai. Bip. «Gianlu! Non ferri?», chiesi, seduto sul secchio come un nuotatore che sta per buttarsi dal blocco di partenza. «Non è una carpa, sono le alghe», disse lui. Stessa scena cinque minuti dopo, ma stavolta toccò alle mie canne. Poi, ancora. Non c’era pace: era un bip via l’altro. Il Ticino si stava prendendo gioco dell’istinto di noi carpisti che ci agitiamo appena sentiamo un suono dell’avvisatore. «Andrà avanti per molto?», chiesi al mio socio. «Non lo so, ma il fiume

si sta alzando, ora la corrente spinge di più», rispose. «Meglio recuperare?», continuai. «No, aspetta che si fermi. Fa sempre così: cresce un po’, poi si calma. Se presti attenzione, le differenze nel flusso di corrente sono molto evidenti», rispose lui. E concluse: «La colpa è delle alghe impigliate nel filo». Feci di testa mia e recuperai. Volevo stupirlo, tirando fuori dal cilindro l’accorgimento tecnico che avrebbe fatto impallidire il “maestro”. Da qualche parte avevo letto che in fiume, quando cresce la corrente e c’è molto materiale in sospensione, è meglio montare i tendifilo. Da bravo “scolaretto”, avevo ripetuto la poesia imparata a memoria: applicai due tendifilo su entrambe le canne. Poco dopo, però, ero come lo studente universitario che esce con 110 e lode e poi, una volta assunto, non sa da che parte cominciare: iniziò l’incubo di innumerevoli bip e false partenze. Erano solo alghe: grosse parrucche si ammassavano sui tendifilo e sulla lenza stesa sul fondo. KO al secondo round: dovevo ricominciare da zero e dare di nuovo retta ai consigli del “vecio”. Che rideva. Noi giovani e la voglia di avere tutto e subito…

Tirando le somme… Riposti in cassetta i tendifilo e abituatomi ai continui bip dopo ogni “ondata” del fiume, mi resi conto che, in fondo, era stata una bella giornata. Non negavo di sentirla in parte buttata via perché se fossi andato in uno dei miei abituali spot Le carpe sono rese forse avrei già avuto qualforti dalla dura vita che bella carpa all’attivo. Dall’altro lato, però, sain corrente: che pevo che la cattura non combattimenti! era tutto: avevo imparato tante cose nuove, potevo finalmente dire “anch’io ho pescato in un vero fiume” e, soprattutto, mi ero calato in una dimensione di carp fishing molto affascinante. La giornata stava volgendo al termine e il sole af-

Abituate bene: le carpe di corrente hanno a disposizione tanto cibo naturale (a sinistra, una chela di gambero). Ma sono... di bocca buona: tentiamole con mais (sopra) e boilie (sotto).

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La barca giusta R

egola numero uno: avere paura. Regola numero due: attrezzarsi in modo da ridurre qualsiasi rischio. Non si può improvvisare quando si affronta per la prima volta un fiume a forte corrente. Tender di piccole dimensioni, mariposa, altre pieghevoli o barche in vetroresina grosse come un guscio di noce non garantiscono la sicurezza necessaria per affrontare un “mostro” che nasconde dietro l’angolo ogni sorta di pericolo. Parliamo di massi e ostacoli affioranti, di giri d’acqua, di

Lunga, stretta e con motore molto affidabile: sul fiume non si scherza! rami sommersi e di improvvisi innalzamenti del livello dell’acqua. Le comuni barche da carp fishing non sono sicure in un ambiente di questo tipo: i tender classici, per esempio, non sono sufficientemente resistenti agli urti e, se non sono carenati, non tagliano le onde e sono troppo instabili quando si risale controcorrente. Pieghevoli e piccole barche rigide in vetroresina sono ancora più pericolose, soprattutto per la loro instabilità e le ridotte dimensioni. Qual è, allora, la barca giusta per il fiume?

C’è una regola per scoprirlo: è sufficiente recarsi sulle sponde di un fiume di grande portata come il Ticino o il Po e guardarsi attorno: si vedranno solo barche molto lunghe e strette, tutte rigorosamente con motore a scoppio. Sul Ticino sono molto diffuse quelle che vengono chiamate “barcé”, cioè imbarcazioni in legno o alluminio molto lunghe e molto strette, che molti vecchi pescatori e abitanti del luogo utilizzano per risalire con poca fatica il fiume. A prima vista sembrano ingovernabili, ma quando sono

in mano a un esperto sono più comode di un piccolo tender! La barca che vedete in foto è una via di mezzo tra un piccolo motoscafo e un barcé: è lunga e stretta, e ci consente di tagliare meglio la corrente in risalita. In più, le sue dimensioni ci permettono di spostarci con tutta l’attrezzatura senza correre il rischio di ribaltarci. Quanto al motore, si sceglie tra elica o idrogetto, entrobordo o meno: l’importante è che sia a scoppio e affidabile, perché rimanere “a piedi” in piena corrente non è un’esperienza che consigliamo.

L’EFFICACIA DELLA TRADIZIONE: ecco un barcé, la tipica barca lunga e stretta dei pescatori del Ticino. I vecchi lupi di fiume la governano in piena corrente con un semplice bastone, sfruttando appieno la sua forma altamente idrodinamica. LUNGA E A MOTORE: scegliamo una barca affidabile che affronti la corrente senza sforzo. Motore a scoppio, meglio se a idrogetto (a destra): quelli a elica possono rompersi sui massi affioranti o lungo i raschi. E se la barca è “datata”, quando siamo fermi apriamo il vano motore (a sinistra) per eliminare umidità e l’acqua accumulate durante il tragitto.

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fondava dietro l’orizzonte. Di lì a un’ora saremmo andati a casa, perché in questo tratto (come su gran parte del Ticino), la pesca notturna e la tenda non sono ammesse dalla legge. Poi, era troppo pericoloso navigare il fiume con il buio, considerando il livello basso e l’enorme quantità di ostacoli sotto il pelo dell’acqua. Cominciai a fare ordine, mentre Gianluca rimase sulla sua sedia a guardare il fiume. Poi, disse: «Qui tirano, sono indemoniate».

Premio meritato

Non finì di pronunciare la frase che vidi il pod cascare per terra. Una canna stava rotolando a grande velocità in acqua! La presi al volo per il calcio e, istintivamente, ferrai: al di là della lenza c’era il pesce più tosto che avessi mai “sentito” in canna. A fatica riuscii a bloccare la bobina del mulinello, mentre il pesce puntava la corrente a centro fiume. «Fermala! Non puoi farla andare lì, fermala!», gridò Gianluca, impegnato a rimettere a posto il pod completamente divelto. Chiusi quasi totalmente la frizione, confidando sul fatto che il mio 0,40 in bobina reggesse l’urto. Sentivo uno scricchiolio simile a quello che fanno gli alberi quando stanno per cadere, piegati dal vento. Male-

dette canne telescopiche, sono troppo deboli! Preso dalla mania di avere un’attrezzatura poco ingombrante, le avevo portate per evitare di non sovraccaricare la barca. Mi pentii della scelta: se il pesce avesse continuato con quella trazione, mi avrebbe polverizzato la canna tra le mani. «Non ho mai provato niente di simile!», dissi a denti stretti, quando finalmente il pesce cominciò a muoversi lateralmente verso l’ansa d’acqua ferma. «Te l’avevo detto!», sorrise Gianluca, immergendo il guadino, «e muoviti, altrimenti rimaniamo qui!». Ci volle più di un quarto d’ora per avere ragione di quella furia. Pensammo fosse un siluro, ma si rivelò una carpa. Una regina che sfiorava appena i 10 chili, potente come un bestione di 25.

Una nuova strada

Solo qualche ora dopo mi resi conto dell’affiorare sulla pelle di sensazioni che non si dimenticano: l’entusiasmo della novità, la diffidenza verso ciò che non si conosce, la soddisfazione della scoperta. Merito di un combattimento tosto, feroce, il più adrenalinico mai vissuto da terra nella mia vita. Ma non solo: c’era anche il fremito per l’idea che ci fosse ancora qualcosa di inesplorato, mai vissuto da nes-

suno. L’altalena tra soddisfazione e delusione si era conclusa con un’impennata inattesa; un premio che sentivo meritato, un po’ come un bel voto a scuola. Forse ero fin troppo contento, d’altronde era un pesce di “soli” 10 chili: però, in quel preciso istante sapevo di avere imboccato una strada nuova. Quella preda mi aveva dato l’entusiasmo per mollare gli ormeggi e per convincermi che le carpe non si catturano solo nel “giardino di casa”. Insomma, avevo fatto esperienza nel senso più preciDEGNE AVVERSARIE, le so del termine. Capii che quella carpe di fiume lottano fino allo stremo. Rilasciamole subito! giornata non sarebbe stata comunque inutile. E che la cattura non deve essere il pretesto senza il quale non ci si muove da casa: è un obiettivo importante, ma non l’unico. Insomma, scoprii le carpe di fiume, quelle che ribaltano i pod, quelle che spaccano le canne e, soprattutto, quelle che non si Una regina sui 10 arrendono mai. Tornammo a casa con il buio, a chili, in fiume tira velocità minima, facendo come un batiscafo slalom tra rocce e alberi da 25 preso in lago in acqua. Sulla pelle il timbro degli sguardi di migliaia di animali curiosi e le carezze di una notte ancora tiepida, nelle braccia la fatica di combattimenti al limite. «Gianlu, quando ci torniamo?».

onore al merito... carpe a specchi come questa, in fiume sono il risultato di un’accorta scelta dello spot e anche di un’abbondante pasturazione a base di granaglie (a sinistra).

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