Ambienti e
strategie
Dentro il Pesca di stagione questa... e visto lo strano clima di una strana primavera, il momento giusto per fregare qualche bel pesce fra le cannelle quest’anno è arrivato in ritardo. Trasformiamoci da pescatori in cacciatori dalla mira infallibile. Senza colpo ferire, s’intende...
a cura di Paolo Meneghelli Foto di Giulio Marcone
Le parole d’ordine sono precisione e pazienza: senza queste niente festa
Facile fare il carp 76
canneto A
lle prime albe di aprile le postazioni vicine ai canneti vanno “sold out”, esaurite come i biglietti di un concerto di Vasco a San Siro. Ogni anno il corteo si ripete: interi gruppi di carpisti si organizzano per “esserci” nel momento caldo, quella primavera da quasi tutti riconosciuta come il periodo migliore per catturare tanto e “grosso”. Alcuni angler si alternano sulle postazioni, tenendole occupate per mesi. Ma c’è anche chi, più “sfortunato”, si accontenta di sessioni veloci e
hunter...
cerca di sfruttare il grandissimo vantaggio portato dalla bella stagione: le carpe si concentrano tutte in punti ben precisi e fanno a gara tra loro per occupare i “posti d’onore” nei pressi di un canneto. Il carpista veste così i panni del “killer”, del cecchino che si apposta su un’alta torre e spara a freddo verso una piazza gremita di persone ignare del pericolo. Espressione forte, forse troppo, ma parliamoci chiaro: quando le baffone sono spinte dall’istinto a raggrupparsi in “mandrie” in zone molto circoscritte, noi diventiamo più cacciatori che pescatori. è
chiaro che non possiamo scegliere il target come farebbe il cecchino appena citato ma di sicuro abbiamo la possibilità di catturarne moltissime. A patto di avere una buona mira...
Tutti lo sanno...
Che in primavera le zone a canneto siano punti caldissimi ormai lo abbiamo capito tutti, perché questo è uno dei “fondamentali” del carp fishing. I motivi che spiegano questa regola sono due: le carpe si avvicinano al canneto all’inizio della primavera perché hanno a disposizione le prime nuove
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Primavera in
canneto Inverno piovoso quello appena passato. Il livello di molti laghi è aumentato sommergendo grosse fasce di canneto. A buon intenditor...
fonti di cibo dopo i rigori invernali e perché trovano le condizioni ideali di temperatura e di fondale per dare il via alle danze della frega. Le baffone in inverno sono piuttosto statiche e si spostano dalle zone di tenuta solo se gli inverni sono Dalle zone di molto caldi, oppure se l’affollamento di molte tenuta si spostano “concorrenti” sul piano sui bassi fondali alimentare le obbliga a bordati di cannelle darsi da fare per trovare nuovo cibo. Da marzo in poi, in coincidenza con le prime giornate di sole e con il progressivo riscaldamento degli strati d’acqua superficiali,
Golosità da amur C
onosciamo tutti la passione dell’erbivora per tutto ciò che è vegetale: foglie, radici e le nostre granaglie fanno parte della dieta quotidiana del “siluro” cinese. Ma c’è un cibo naturale che fa letteralmente impazzire l’amur e che non vuole nemmeno pasturazione: si tratta della radice (o “germoglio”) del canneto. Per capirne le potenzialità è sufficiente prelevarne uno (in primavera è molto più facile trovarli), tagliarlo in piccoli segmenti e annusarlo immedesimandosi in un amur... è come annusare un intero giardino! Qui di seguito illustriamo le fasi per prepararlo: come si può vedere, il germoglio galleggia, ma basta un amo del 4 per bilanciarlo alla perfezione.
il loro atteggiamento cambia. È come se avessero un termostato collegato allo stomaco: appena la temperatura dell’acqua sale un po’, in genere al di sopra dei 10 gradi, iniziano ad avere molta fame e diventano iperattive per soddisfare la voglia di cibo sopita durante tutto l’inverno. E dove trovano questo cibo? Ovviamente sui fondali d’acqua bassa, tra 50 centimetri e i 2 metri, dove l’azione dei raggi del sole è più influente, la temperatura dell’acqua è più alta e quindi il benthos gode delle condizioni giuste per rigenerarsi. I “pellegrinaggi alimentari” iniziano a metà marzo
La radice di canneto è irresistibile per l’erbivora 1
Ecco il protagonista: una bella radice fresca di canneto. Ne basta solamente una: è talmente attrattiva che non serve pasturare, gli amur non resistono a un boccone del genere!
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Tagliamo la parte inferiore del “germoglio” in piccoli segmenti lunghi 2 centimetri. Usiamo una lama affilata per non deformare o piegare la radice.
o addirittura nei primi giorni di aprile in caso di inverni freddi (come quello che abbiamo appena passato). In questa fase le carpe non si muovono ancora in massa ma da sole o per piccoli gruppi: una dopo l’altra, abbandonano le zone di tenuta per banchettare e riprendere vigore.
Cibo e “amore”
Il loro atteggiamento cambia ulteriormente poco più avanti, non appena la temperatura sfiora i 15 gradi: è in questo momento che le baffone iniziano a radunarsi in branchi e poi a stazionare (e non solo a mangiare) tutto il giorno nelle zone di acqua bassa. E così entra in gioco un altro fattore: l’irresistibile voglia di riprodursi. Quando la temperatura dell’acqua sale sopra i 13 gradi, infatti, nelle carpe si avvia il “motore” che le porta a ricercare le zone più adatte alla frega. Siamo ormai oltre la metà di aprile, al massimo ai primi di maggio, e le carpe sono tutte raggruppate in poche zone spinte da due soli obiettivi: riempirsi la pancia e riprodursi, in un “baccanale” che dura in genere fino a metà maggio, quando la festa finisce e tornano a sparpagliarsi lungo tutto il perimetro del bacino che le
ll rig ideale è un blow-back: ricordiamoci che per avere chance con l’amur è necessario che l’esca sia vicina alla curvatura. Leghiamo all’anello un elastico.
ospita. Cosa c’entrano i canneti? Beh, è chiaro: le zone bordate di cannelle sono caratterizzate da acqua bassa e sono anche le predilette dalle carpe per la frega. Qui le baffone scovano il cibo prima che in ogni Vanno scovate altra zona quando la primavera fa capolino e, “in tana” ma non è soprattutto, trovano gli molto facile capire ostacoli su cui strisciadove si trova re il ventre e portare a termine la riproduzione. Per capire cosa intendiamo, è sufficiente fare un giro in barca in un grande lago i primi giorni di maggio e costeggiare il canneto. Lo sentiremo “croccante” e “frusciante” proprio grazie alle carpe intente a rinnovare il rito del periodo degli amori.
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Il gioco è fatto: avvolgiamo il germoglio con l’elastico e il nostro innesco è pronto per essere lanciato. Con un amo numero 4 è già perfettamente bilanciato.
Primavera in
canneto
Ecoscandaglio? No, meglio gli occhiali! C
ercare le nostre prede nelle vicinanze di un canneto il più delle volte significa avere a che fare con fondali che non superano il metro e mezzo di profondità. È un vantaggio che dobbiamo saper sfruttare “mappando” ogni metro quadrato del settore che vediamo sotto la barca. In questa situazione l’ecoscandaglio è pressoché inutile: dovremo analizzare fondali “piatti”, più o meno tutti consistenti allo stesso modo e davvero bassi. Un paio di occhiali con lenti
polarizzanti, invece, va molto meglio. Il “trasduttore” saranno i nostri occhi: grazie alle lenti che eliminano i riflessi sulla superficie dell’acqua (“polarizzanti” significa appunto “che polarizzano la luce”, cioè deviano l’angolo di entrata della luce in acqua) potremo osservare quello che c’è sotto di noi come se fossimo... in immersione. Nelle immagini che vedete in queste pagine potete notare quante informazioni si traggono semplicemente sporgendosi dal bordo della barca (ovviamente con
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Qui si nota chiaramente uno scalino abbastanza pronunciato. Dai 50 centimetri d’acqua che troviamo sulla destra (più nitida), si passa a quasi un metro e mezzo nella parte sinistra (più sfuocata). È una buona zona ma... non in questo momento. Infatti, il fondale è ricoperto di alghe verdi che stanno per salire a galla: si tratta della classica “mucillagine” primaverile, segno della rinascita dei grandi bacini dopo il letargo invernale. Le carpe qui arriveranno tra qualche settimana, quando a dominare sarà il marrone della sabbia e non il verde della vegetazione.
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Quando capita di vedere un fondale così... noi carpisti andiamo nel panico. È evidente che qui è passato “qualcuno” che ha mangiato sul fondale: il cerchio di sabbia chiara e fine che si nota chiaramente in mezzo alle alghe è un segnale inequivocabile. Ma siamo sicuri che sia stata una carpa? La “rumata” (così si chiamano in gergo i segnali lasciati dalle carpe che mangiano) ha un diametro piccolo ed è molto probabile che sia stata prodotta da una tinca oppure da carassi e cavedani. Ma c’è di più: e se fosse “colpa” di una folaga?
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giubbetto di salvataggio sempre addosso): ostacoli, zone di alimentazione, vegetazione acquatica, ma anche le stesse carpe che sguazzano nei pochi centimetri d’acqua che lambiscono le radici delle cannelle. Già, ma quando e come è meglio osservare il fondale con gli occhiali polarizzanti? Il momento migliore è la mattina presto, fino alle 11: vedremo il fondo come se stessimo facendo una radiografia. Il sistema non perde efficacia nemmeno da mezzogiorno al tramonto,
ma dovremo stare attenti alla posizione che assumiamo durante l’osservazione. Dovremo infatti guardare il fondale sotto di noi mantenendo sempre le spalle al sole: se ci affacciamo dalla parte opposta, potremo inforcare anche i migliori occhiali polarizzanti ma non vedremo assolutamente nulla. L’unico difetto di questa pratica è che non funziona nelle giornate con cielo coperto, quando c’è poca luce: in questo caso è meglio un batiscopio. Se non lo abbiamo, pronti a sfruttare ogni raggio di sole!
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La stagione è “indietro” e lo capiamo dai germogli di canneto che non hanno ancora fatto capolino dalla superficie: siamo a inizio aprile e la primavera non ha ancora innestato la quinta. Da questa istantanea si capisce che l’inverno è stato freddo: in condizioni “normali” i germogli (i “bastoncini” verticali con la punta di colore più chiaro) avrebbero dovuto emergere già da un po’. Come nella foto precedente si nota la grande quantità di “mucillagine”. In questo caso, però, si può piazzare un innesco alla base dei germogli. A una condizione: che ci siano gli amur...
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Ecco quello che tutti vorremmo vedere quando siamo con il naso all’ingiù sul bordo della nostra barca: gusci di chioccioline sminuzzati dall’azione potente dei denti faringei di una carpa. È impressionante la dimensione dei frammenti più piccoli: le baffone sono in grado di disintegrare letteralmente il cibo. In questo caso la carpa è andata “a colpo sicuro”: non c’è il segno di una rumata evidente, ma il fondale è appena “spelacchiato” nei pressi di quella che, fino a poco tempo fa, era un’inerme e indifesa chiocciolina.
Lenti polarizzanti e batiscopio sono il top per la pesca a ridosso del canneto 5
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Trovare il punto giusto non serve a nulla se perdiamo il pesce per la rottura della lenza su un ostacolo. Sfruttiamo i polarizzanti non solo per cercare le tracce dei pesci ma anche per farci un’idea del settore in cui stiamo pescando. Se, per esempio, trascuriamo un particolare mastodontico come l’ostacolo che vediamo in foto, rischiamo di mandare in fumo un’intera sessione. Attenzione perché i canneti dei grandi laghi sono pieni zeppi di “trappole” come queste: bidoni, telai in metallo, pneumatici e bancali in legno sono purtroppo parte integrante dell’arredamento...
Qui c’è stato un “carassio & scardola party” e il risultato è un fondale a soqquadro. è evidente come i ciprinidi meno amati dai carpisti abbiano fatto una bella festa e poi lasciato il fondo in disordine: ecco perché vediamo i piccoli “crateri” che lo rendono ondulato. Il banchetto non è recentissimo, perché le “rumatine” sono già ricoperte di vegetazione, ma il rischio di non riuscire a stare in pesca a causa del pesce di disturbo c’è. Alla vista di questo fondale è meglio cercare in zona settori più “puliti” e rumate più grandi: anche alle carpe piace “festeggiare”.
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Calata e spot perfetti. A sinistra vediamo la traccia di una “rumata” di carpa: il fondale è smosso e si vede bene la sabbia più chiara. Allargando l’inquadratura, noteremo che intorno a questa rumata il fondale ne è letteralmente tappezzato. Non avremo dubbi allora sul punto giusto per calare l’innesco: omino di neve appena al di fuori della mangiata con poche boilie intorno per allestire un menu irresistibile. È importante l’impiego dello snowman. Come possiamo vedere dalla foto, il fondale è imbottito di alghe di pochi centimetri: l’innesco deve per forza di cose galleggiarvi sempre sopra.
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Guarda un po’ chi c’è qui! Forse un fantasma? Macché: questo è il segnale del risveglio delle baffone. Stiamo perlustrando un canneto lungo oltre 500 metri. Lo sciabordio della barca ha disturbato alcune carpe che si riposavano al sole. Noi non le abbiamo viste subito, ma le “belle” ci hanno lasciato una nuvola di fango come segnale inequivocabile della loro presenza. Non andranno troppo lontano: di solito si infilano nel canneto e fanno capolino non appena la situazione torna tranquilla. Ecco perché noi, tra poco, piazzeremo un innesco proprio in questo punto...
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Il cuore ci salta fuori dal petto: abbiamo scovato le carpe (più di una decina) lungo un tratto di canneto molto folto. Quando vediamo, al di là delle lenti, un’immagine così non dobbiamo avere dubbi: qui le carpe ci sono e dovranno esserci anche i nostri inneschi. L’ideale sarebbe addirittura pescare dalla barca, se consentito: si ancora l’imbarcazione a una cinquantina di metri dal canneto e ci si pesca contro, pasturando con pochissime boilie vicino al rig. Equazione scontata: se le vediamo vuol dire che in quel punto ci sono e che abbiamo più chance di fargli assaggiare le nostre palline.
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Primavera in
canneto
Sono tante e in poco spazio: fare selezione è una scommessa persa
Pronti? Via! D
opo aver visto quando e perché i canneti diventano hot spot da carpe, passiamo al “come” affrontare questi fondali, illustrando cosa fare quando ci troviamo Quest’anno i davanti alle cannelle e germogli sono nati veniamo travolti da tutti i grattacapi che una tardi. Come si dice, postazione del genere siamo indietro comporta. Per risultare più chiari ci affideremo alla formula antica ma quanto mai efficace dei “dieci comandamenti”: l’argomento è meno “frivolo” di quanto si pensi e merita quindi un trattamento di prim’ordine, roba da incidere sulle “tavole” della barca...
Sempre diversi
Primo: sappi che non c’è un canneto uguale all’altro. È la “legge” fondamentale e dobbiamo tenerla bene a mente prima di affrontare una sessione di 82
pesca in canneto. Ogni lago fa storia a sé, ma addirittura ogni fascia di cannelle è diversa dalle altre. Per avere successo subito è indispensabile conoscere vita, morte e miracoli del settore in cui stiamo pescando. Un esempio? Non vi è mai capitato di affrontare un lago nuovo ed essere avvicinati da un pescatore che vi chiede: «State pescando verso la casa rosa? E verso il salice? E là, dove c’è il palo che entra in acqua?». Voi, ovviamente non avete nemmeno una lenza nei pressi di questi punti di riferimento e non state prendendo nulla. È una delle conseguenze del primo “comandamento”: le fasce di cannelle sono spot “caldi”, ma all’interno degli stessi ci sono fette ancora più “bollenti”, dove si cattura di più e più in fretta, e altre fette perfettamente “sterili”, dove non si prende quasi mai un pesce. Compreso questo,
le altre 9 “leggi” che vedremo qui di seguito ci saranno d’aiuto proprio per pescare al meglio quando a priori non abbiamo piena confidenza con un settore bordato di canneti.
Lontani dal caos
Secondo: cerca un canneto folto e poco disturbato. In modo più brutale, non è detto che mettersi vicino a un canneto in primavera significa fare catture su catture. Guardiamoci intorno: le fasce di cannelle possono essere lunghe e strette, oppure profonde anche centinaia di metri. Possono essere “spelacchiate”, con piccoli ciuffetti che si stagliano a qualche metro dal “corpo” principale. Oppure, i “ciuffi” sono pochi e sparsi qua e là senza formare una vera e propria corona. Nei grandi laghi i canneti da preferire sono le fasce estese che si aprono anche in profondità, fol-
te, foltissime: quelle impenetrabili, dove non riusciamo a infilarci con la barca e dove non è possibile accedere dalla sponda.
Occhio ai “finti canneti”
Terzo: cerca un canneto che si affaccia su un fondale basso e sabbioso. Per intenderci, al massimo di 2 metri: in tutti i laghi esistono canneti al bordo di tratti di sponda che scendono a picco con pendenze vertiginose. Chi scrive li chiama “falsi canneti”. Sono le fasce di cannelle dove la profondità è contenuta solo nei primi... 50 centimetri! Poi, la pendenza si fa subito impervia e la profondità arriva in un attimo a 10 metri e oltre. Sono ottime zone ma non “da primavera”: vanno meglio in autunno o in pieno inverno. Invece, quando i primi fiori cominciano a sbocciare è meglio cercare i canneti che spuntano dai fondali sabbiosi, profondi tra 50 centimetri e 2 metri, dove lo scalino di profondità è abbastanza lontano da riva. Per intenderci, cerchiamo le anse con i plateau e non sbagliamo di sicuro.
Segnali inequivocabili
Quarto: in un canneto folto e lineare, i punti “caldi” sono le irregolarità. Anse, golfetti, piccoli canali spogli, gruppi di ciuffi che si staccano a qualche metro di distanza: se osserviamo il fondale nei pressi di queste zone notiamo molte tracce di grufolate, come ghiaino chiaro e gusci di cozze o di altre conchiglie. Vale lo stesso discorso che si fa di solito quando cerchiamo con l’ecoscandaglio le irregolarità del fondale. Alle carpe piacciono i “diversivi” ed è nei punti irregolari che dobbiamo ricercarle. è noto a tutti che sono curiose...
Ufo o carpe?
Quinto: benedici i “cerchi nel fango”. Non siamo impazziti: esattamente come gli ufologi gridano al miracolo quando vedono i crop circles (i “cerchi nel grano”, presunte tracce di atterraggi di navicelle aliene, ndr.), noi dovremmo esaltarci quando vediamo invece i “cerchi nel fango”. Insomma, le cosiddette “rumate”, quelle aree di fondale dal colore più chiaro di forma circo-
quello giusto è Il canneto non uniforme, ovvero quello con qualche ciuffo qua e là; quello interrotto da grosse piante o da pontili e anche quello nelle anse di acqua bassa.
lare che si vedono qua e là nei pressi dei canneti. Si tratta delle tracce delle grufolate delle carpe. In genere sono di colore grigio a causa del ghiaino fine che viene alla luce grazie al potente “sifone” che le carpe hanno al posto della bocca. Se il fondale è invece ricoperto da un sottile strato di alghe, le potremo riconoscere proprio per la mancanza di queste ultime. Qui ci sono alte possibilità di vivere incontri ravvicinati del terzo tipo con “oggetti nuotanti ben identificati”.
Prima della fioritura
Sesto: non avere dubbi quando vedi le ninfee. Vederle nell’acqua Tra marzo e aprile, le bassa è un segnale piante galleggianti che colorano di verde la chiaro: questa è superficie dei laghi se pesca a vista... ne stanno nascoste a mezz’acqua con le foglie ancora avvolte sullo stelo. Formano veri e propri boschi sommersi dove le carpe vanno a fare il “pic nic”. In molti bacini le ninfee bordano o macchiano le sponde fasciate dai canneti: in questi punti dovremo pescare assolutamente! I punti migliori
segno evidente che un branco di carpe si crogiola al sole (a destra). Spaventati dal passaggio della barca, i pesci schizzano dentro il canneto. Segniamo il punto: qui bisogna calare.
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Primavera in
canneto sono i “canali” puliti tra il canneto e le ninfee, oppure i bordi esterni, se queste ultime sono disposte in isolette estese in lunghezza e parallele alla sponda.
Un, due, tre... carpa!
Settimo: se le vedi, le prendi. Non ci piace passare per “sempliciotti”, ma è la L’omino di neve verità: se siamo indecisi riguardo al punto in è molto utile per tenere l’esca sopra cui calare gli inneschi, scegliamo i settori dolo strato di alghe ve vediamo una nuvola di fango che si alza dal fondo, un salto, una scodata o un piccolo gorgo. Se ne vediamo più di uno, non dobbiamo proprio avere dubbi: chiudiamo gli occhi e caliamo la lenza. Questo “comandamento” ha quasi dell’ovvio ma è forse il più efficace tra tutti: se posizioniamo l’esca in mezzo alle carpe, è più probabile che qualcuna ci caschi. Matematico...
Tra sabbia e roccia
Ottavo: l’ora conta quanto lo spot. Il discorso è lungo, ma può essere semplificato così: capita molto spesso che le carpe si concentrino tutte insieme in piccole parti delle fasce di canneto, che cambiano a seconda dell’ora. Chi
Facciamo perno! D
escriviamo una situazionetipo. Sessione di 5 notti in un grande lago lontano da casa. Siamo in una postazione completa, con alte profondità, plateau ed erbai. Ma non catturiamo nulla, nemmeno un carassio. Le carpe non ci sono. O meglio, non sono di fronte a noi. Le scorgiamo una cinquantina di metri alla nostra sinistra, in un’ansa piena di canneti ma... non possiamo pescarci. Nei pressi della sponda abbiamo una punta di sassi e vegetazione che ci impedisce di pescare lì dove sono le carpe. È frustrante, perché non è nemmeno long range e non riusciamo a smuovere le carpe da quel punto nemmeno con
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la pasturazione. Che si fa? Si crea un perno! Molti carpisti utilizzano i picchetti, ma la maggior parte preferisce utilizzare una bottiglia. Va svuotata e legata a una corda, a sua volta collegata a un grosso masso. Fatto questo, posizioniamo la bottiglia al largo quel tanto che basta da creare un angolo sufficiente a superare l’ostacolo. Poi leghiamo alla bottiglia uno spezzone di nylon da 0,18 millimetri a cui a sua volta è legato un moschettone in plastica galleggiante. Il sistema è semplice: caliamo l’innesco nel punto prescelto con la barca e poi puntiamo la bottiglia. Facciamo passare la lenza madre dentro il
scrive ha avuto un’esperienza illuminante in questo senso poco tempo fa. Lungo una fascia di canneto uniforme lunga oltre un chilometro, le carpe si spostavano in settori diversi durante l’arco della giornata. Per esempio, durante la mattina, e solo fino a mezzogiorno, si facevano vedere in un tratto lungo circa 150 metri. Nel pomeriggio migravano lontano, rintanandosi in un settore ancora più stretto, per poi ritrovarsi nuovamente nel primo tratto la mattina successiva: il resto della fascia di canneto rimaneva praticamente ignorato. L’atteggiamento delle carpe, inspiegabile esclusivamente con l’istinto gregario, ha trovato una plausibile spiegazione grazie a... un remo. Nel tratto “mattutino” il fondale era sabbioso, ma morbido; invece, nel tratto “pomeridiano” il fondale era sì sabbioso, ma durissimo, praticamente come se fosse di roccia. A bocce ferme, siamo giunti alla conclusione che la “colpa” di queste migrazioni giornaliere era proprio del fondale. La mattina le carpe si trovavano nel primo tratto per mangiare il più possibile (il fondale più morbido offre maggiori possibilità allo sviluppo del benthos) mentre si spostavano nel
indispensabile barca. Senza è davvero difficile, se non impossibile, mettere in pratica questa strategia.
secondo tratto nel pomeriggio per godere, immobili, della temperatura più alta, dovuta non solo alle basse profondità, ma anche alla roccia nascosta al di sotto della sabbia. Roccia che, è noto, è un importante “accumulatore” di calore! In poche parole, le carpe facevano colazione e pranzo in cucina... e la merenda la consumavano sul balcone. Scoprendo il loro tragitto si è riusciti a intercettarle nei settori giusti: in questi casi la strategia migliore è pescare dalla barca, spostandosi insieme ai branchi di baffone.
Una bottiglia ci aiuta a superare gli ostacoli moschettone e andiamo verso il pod. A riva, mettiamo in tensione la lenza e il gioco è fatto. In caso di partenza, fiondiamoci verso la bottiglia e tiriamo qualche strattone forte, così che il nylon si rompa e liberi la lenza madre, permettendoci di entrare in contatto diretto con la carpa. Ci raccomandiamo di non esagerare: è un sistema che non è invasivo se viene utilizzato entro distanze contenute e se è limitato alle sole ore notturne. Ricordiamoci che non siamo i padroni delle acque dove peschiamo e che tutti, pescatori dalla barca compresi, hanno diritto a qualche ora di svago. Proprio per questo, evitiamo anche di
creare angoli troppo accentuati con la bottiglia: altrimenti, il sistema diventa ingestibile e non riusciamo nemmeno a percepire le partenze. TUTTO IN UNA BOTTIGLIA: creando un angolo sulla lenza tra lo spot e il rod-pod possiamo raggiungere i punti “caldi”. Meglio non aprirsi troppo di lato: tutti hanno diritto di pescare!
Primavera vuol dire risveglio... dei pesci e della nostra voglia di pescare
Esche porta a porta
Nove: avvicinati al canneto; anzi, pescaci dentro. Molti carpisti hanno timore a pescare in 30 centimetri d’acqua, proprio contro le radici delle cannelle. Eppure si dovrebbe fare così, soprattutto in primavera! Basta osservare l’atteggiamento delle carpe: il più delle volte le vedremo ferme tra i “giunchi”, oppure intente a strusciarsi. Portargli le esche “in casa” è la cosa migliore che possiamo fare, soprattutto se puntiamo a una pesca “veloce” che dia risultati immediati. Teniamo d’occhio questi spot: le carpe si sentono protette e, se gli diamo cibo facile, si fanno catturare anche di giorno.
Quatti quatti
Dieci: fai sempre silenzio, naviga rigorosamente a motore. Romantico lo sciabordio dei remi sulla superficie dell’acqua, vero? Riporta il pescatore a una dimensione antica, ormai dimenticata... Eppure, è una cosa che rompe le scatole al pesce. Provare per credere: avvicinatevi a una canneto pieno di carpe prima remando e poi usando un motore elettrico con velocità impostata su 1. Non c’è paragone: potreste anche essere i rematori più “vellutati” al mondo ma alle carpe quel “cik ciak” dà fastidio. Viceversa, l’elica di un motore elettrico che ronza “muta” ha un impatto molto più discreto. 85
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canneto
Dalla partenza al guadino 1
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Momento delicatissimo, la partenza. Scordiamoci pure le “run” al fulmicotone: le abboccate si mostreranno al pescatore solo attraverso semplici bip o timide calate dello swinger perché le carpe non faranno altro che spostarsi di neanche un metro per infilarsi nelle cannelle. Quando ferrare? Bella domanda... Contano molto l’esperienza e l’intuito, ma possiamo trovare un valido alleato nel cimino delle canne: se, dopo aver teso la lenza, questo si raddrizza un paio di volte di fila, saltiamo in barca e corriamo incontro al rig. Se non è una carpa, è un carassio. E se non è nessuno dei due, ricaliamo subito la lenza: purtroppo non esistono regole, ma anche questo è il bello, no?
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Abbiamo liberato la lenza dalla mucillagine e siamo giunti vicino al punto in cui avevamo calato la canna. La carpa non si deve essere mossa poi molto: il filo ora punta il canneto e vediamo l’acqua muoversi all’altezza delle prime cannelle. Arrivati a questo punto è assolutamente “vietato” tirare forte con la canna per cercare di far uscire il pesce dall’intrico: lo facciamo arrabbiare e questo si infila ancora di più nelle cannelle. Se poi la lenza è bloccata a un ciuffo, il pesce la romperà sicuramente con appena due testate. Avviciniamoci più che possiamo, recuperando piano con il mulinello e facendo meno rumore possibile.
Se si è a pesca in due, mentre un angler è impegnato a fissare i cimini, l’altro deve slegare e allestire la barca per andare incontro al pesce. Dopo la ferrata (che nel caso delle lunghissime distanze non è nemmeno necessaria), si parte dritti verso il pesce spingendo in avanti la barca con i remi o con il motore elettrico. Evitiamo di “trainarci” con l’azione di pompaggio della canna perché rischiamo di stressare o, peggio ancora, di spaccare la lenza in caso di ostacoli sommersi: questo gesto ci è concesso solo se siamo in pesca da soli, ma teniamo gli occhi aperti perché rischiamo di perdere molti dei pesci che abbiamo allamato. Il problema dei problemi nei grandi laghi in primavera è la cosiddetta “mucillagine”. A Viverone ce n’è davvero un mucchio, a Pusiano idem (abbiamo citato due casi ma è cosa comune in molti specchi d’acqua), ed è una bella rottura di scatole. Si presenta sottoforma di alga filamentosa ed è il risultato del fondale che “gira” e si rigenera con la primavera. Di solito è molto fastidiosa nelle giornate calde (intere zolle si staccano dal fondo finendo sulle nostre lenze): se peschiamo con Eolo in faccia, il risultato è quello che vedete in foto. Come liberarsene? Aspettiamo giugno, usiamo treccia in bobina (taglia le erbe) e portiamo pazienza. E, se necessario, liberiamo la lenza persino con le mani. Mai forzare: se un grumo di mucillagine si blocca nell’apicale rompiamo tutto. Ovvio, si perde tempo... e in questo caso bisogna pregare di avere confezionato un rig con tutti i crismi.
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Momento delicato: dobbiamo prendere la lenza in mano e avvicinarci al pesce come se stessimo facendo il tiro alla fune. Mai annodare il filo alle dita: se il pesce si lancia fuori dal canneto rischiamo brutte lacerazioni. Anche per questo è sempre bene utilizzare uno snag leader in nylon da 0,60-0,70 millimetri lungo almeno 10 metri: taglia meno della treccia e il suo diametro maggiore ci permette di gestire meglio l’avvicinamento al pesce. Seguendo il “filo d’Arianna” della lenza arriviamo a un palmo dal pesce. I casi sono due: o lo vediamo appena sotto la superficie, fermo tra le prime cannelle, e allora lo guadiniamo, oppure... passiamo alla foto successiva.
In barca tra trabocchetti e astuzie: la pesca fra le cannelle è inimitabile 6
Delicatezza, sensibilità e un po’ di fortuna: questa fase del combattimento si supera solo con questi tre ingredienti. Il pesce è a pochi centimetri da noi, fermo, quasi non sembra allamato. È pure grosso. Noi siamo agitati perché vogliamo guadinarlo ma c’è un problema: il pesce ha fatto l’ottovolante attorno a un ciuffo di canneti. Come si vede nell’immagine, il filo ha formato una spira attorno al ciuffo che noi dobbiamo assolutamente sciogliere. Parentesi: qui ci è andata bene, perché a volte le carpe riescono a fare anche 4-5 giri attorno allo stelo e a trovare quel punto di appoggio solido che gli permette di slamarsi. Si lavora con le mani: ancora occhio ai tagli.
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Se l’amo ha “tenuto” la sfuriata, il combattimento prosegue in una situazione favorevole. Le cannelle sono lontane e il fondale non supera i 2 metri: la carpa non può rifugiarsi nello “sporco” né puntare le buche profonde. Siamo quasi in dirittura d’arrivo, se non fosse per un piccolo particolare: come si vede nell’immagine, la clip portapiombo è rimasta bloccata su un grumo di mucillagine! È una situazione critica perché la zavorra penzola sotto al puntale e non ci permette di scaricare la trazione della canna sull’amo in modo diretto. C’è una sola soluzione: terminare il recupero quanto prima.
La carpa ha subìto uno stress notevole. Prima è stata punta dall’amo, poi è fuggita con uno zavorrone a penzoloni. Si è infilata nel canneto ma si è incastrata a causa della lenza. Noi l’abbiamo liberata e questa è di nuovo fuggita verso il largo, dando tutte le energie che aveva per liberarsi. Insomma, la baffona è stremata e fa anche caldo: poggiamola sul mat e bagniamole il più possibile la cute. Una raccomandazione: se abbiamo chiuso le stecche del guadino, evitiamo di sollevare di peso il pesce per portarlo sul materassino, perché le maglie si stringono molto sotto il peso del pesce, rovinano le scaglie o, peggio ancora, le pinne e gli occhi. Poggiamola direttamente sul materassino non appena attracchiamo a riva.
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Se abbiamo liberato la lenza dall’intrico e il pesce è tranquillo, possiamo guadinarlo. Di solito, però, le carpe fuggono verso il largo non appena sentono una diminuzione della trazione dovuta allo scioglimento del nodo che le legava al canneto. Questo è un momento critico, che molte volte decreta l’insuccesso del recupero: capita che la carpa, dopo essere rimasta per minuti interi a ruminare, a soffiare e a tirare la lenza facendo leva sul canneto, riesca proprio a liberarsi con la testata di avvio della sua fuga verso il largo. Per il carpista è una “sberla” clamorosa vedere un pesce, magari enorme, fuggire a pinne levate a 5 centimetri dal guadino.
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È andata bene! Dopo qualche minuto la carpa ha ceduto e si è arresa alle maglie del guadino. Per sicurezza, abbiamo “chiuso” le stecche. A questo punto non dobbiamo commettere due gravi errori. Primo, non dobbiamo issare il pesce in barca, anche se abbiamo il materassino: se la carpa si dovesse agitare e sbattere contro i sedili rischierebbe di farsi male e di perdere parecchie scaglie. Secondo, non dobbiamo avvolgere troppo le maglie del guadino sulle stecche, ma bisogna lasciargli un po’ di rete “morbida”. Ora si torna a riva per le foto di rito: una mano tiene il motore, l’altra le rete del guadino in acqua. Se siamo a remi, un piede tiene la rete e le due braccia... remano!
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