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Storia di un torbido e 80
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Finesse a cura di Paolo Meneghelli
Ami piccoli, boilie minuscole, pasture preparate con precisione certosina: abbiamo incontrato due carpisti che pescano come si fa nelle pool inglesi. Nulla è lasciato al caso: scopriamo insieme come adattare questa strategia alle acque made in Italy
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Pesca
“di fino”
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fide. Competizioni. Da millenni le sfruttiamo per migliorarci e per spostare sempre più in là il nostro limite. Succede anche nella pesca sportiva che, a discapito della sua immagine, è invece intrisa di prove stimolanti. Come succede weekend dopo weekend, quando noi angler cerchiamo di catturare carpe sempre più grosse e furbe. Le sfide, nella pesca, sono anche con noi stessi. Per esempio, quando peschiamo in uno spot nuovo: abbandoniamo i porti sicuri per metterci alla prova e per capire se siamo davvero “bravi pescatoLa sfida: pescare ri” oppure persone che con rig “normali” in si sono accontentate. Ma le sfide più belle, uno spot difficile. quelle che ci fanno creCe la faremo? scere davvero, sono con gli altri carpisti. Non solo nelle gare ufficiali: pensiamo ai piccoli duelli che imbastiamo con i nostri amici
più cari o con gli altri soci di un club. «Vediamo chi la prende più grossa», oppure «Scommetto che oggi ne prendo più io»: di solito iniziano così e finiscono con un brindisi. Infantile? No di certo: una sfida insegna sempre qualcosa, anche a chi viene sconfitto.
Montature agli antipodi
Ciò che state leggendo nasce proprio da una sfida lanciata nell’ambito di un club. Una sera di febbraio chi scrive partecipa a una riunione dedicata alla costruzione dei terminali. Il programma è semplice: ogni iscritto porta i suoi due finali preferiti e li mostra a tutti gli altri per stimolare la discussione. Il destino vuole che i miei terminali finiscano al fianco di quelli di un giovane (e puntiglioso) carpista altoatesino, tale Nicholas Holzer, studente di Economia aziendale alla Bocconi di Milano. «Ma non vorrai
mica prendere le carpe con quei terminali lì?», è il suo esordio alla vista dei miei inganni. «Come?! Ho capito bene?!»: tutta la serata viene inghiottita dalle differenze macroscopiche tra i nostri due approcci. I miei sono realizzati con ami grossi e pesanti, con finale combi formato da lead-core più dacron: insomma, veri carriarmati. Invece, i suoi sono sottili, raffinati, realizzati con trecciati finissimi e con ami numero 6 o addirittura numero 8. Chi ha ragione? L’armistizio giunge solo a fine serata: il terminale universale non esiste, ogni acqua vuole il suo rig. Quindi, né i miei né i suoi sono sbagliati: semplicemente, alcuni funzionano in determinati spot e gli altri in posti diversi. Pace? Macché... Il mio grosso difetto è non volerla mai dare vinta. È così che decido di sfidare il buon Nicholas: «Portami in un’acqua “difficile”: io pesco a mio modo, tu peschi
Terrà FINO IN FONDO? è la domanda che ci siamo posti quando abbiamo visto per la prima volta uno dei sottili terminali che si usano al Boschetto. La risposta? Sì!
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IL SEME DELLA DISCORDIA: ecco i terminali che hanno originato la diatriba. Sopra, un rig “finesse”. Sotto, tre “paracarri” da grande lago. Non c’è stata neppure gara... hanno vinto i “piccoli”!
con il tuo stile... vedremo poi chi ha ragione».
ci sono tutti gli ingredienti per una sfida “esplosiva”.
Lo “stadio” e l’arbitro
Mi arrendo!
Sfida lanciata e accettata: si fa a metà aprile. Nicholas ha scelto un posto particolare, che lui conosce molto bene. Si tratta di una cava privata veneta, il Lago Boschetto di Torreselle (Pd). A prima vista ricorda una “pool” inglese: ha forma di “L”, le dimensioni non sono esagerate, le sponde sono curate e qua e là spuntano i ciuffi dei canneti e i rami degli alberi sommersi. La nostra sfida avrà un arbitro d’eccezione, Riccardo Fanucchi, agonista di alto livello, reduce dalla vittoria nella prima prova del Club Azzurro all’Idroscalo di Milano. Nicholas sottolinea che al Boschetto ci sono tante carpe di buon peso ma che sono difficili da catturare, soprattutto ora che il clima è instabile. Ma per la tenzone ha scelto tre spot omogenei, che possono regalare catture a ognuno di noi:
Il resto... è la cronaca di una sconfitta. Ben presto mi rendo conto che Nicholas aveva ragione, quella sera: pescando “a modo mio” non avrei mai sentito una partenza. Stavo utilizzando tecniche e strategie assurde per un lago come quello: era come se stessi guidando un camion in un quartiere fatto di vicoli e viuzze. Tutto troppo grande: gli ami numero 1 sembravano ganci, le boilie da 20 millimetri palline da ping pong, i terminali da 45 libbre gomene da barca in confronto alle delicate montature dei miei due compagni di pesca. E anche l’approccio era sbagliato: qui non si pastura con il cobra, lanciando 20-30 palline per innesco, ma si usano solo minuscoli sacchetti e retine di Pva. Il pesce va cercato in punti ben precisi e anche l’innesco deve cadere in un certo modo sul fondo. Non basta calare
l’esca nel punto giusto e non è sufficiente avere boilie di alta qualità per catturare. È tutto più complesso ed è per questo che decido di arrendermi. Mi rimane però una possibilità: osservare, fare La sconfitta brucia domande e approfittarma ci lascia in dono ne per imparare tutto i trucchi e i segreti quello che posso su un approccio per me nuodi chi ha vinto... vo, un raffinato “stile all’inglese” non ancora in voga in Italia. Insomma, messe da parte le canne per un po’, indosso i panni di collaboratore di Carp Fishing Magazine e mi concentro sulla ricerca delle “notizie”. Ed è così che la prima persona singolare, “io”, diventa plurale, “noi”. E la sconfitta si fa meno amara.
Sottile precisione
Tutto ciò che abbiamo elencati si può racchiudere in due semplici concetti: “la precisione è tutto” e “piccolo è meglio”. La pesca ultra-fine è in genere una prerogativa dei bacini piccoli
DUE GUIDE d’eccezione: Riccardo Fanucchi (a sinistra) e Nicholas Holzer ci hanno svelato i segreti della pesca “di fino”.
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Il piombo deve finire in “quel” punto, altrimenti si lancia ancora
NON SI SBAGLIA DISTANZA grazie alla “line clip”. Occhio, però, a non lanciare corto!
e pieni di pescatori, ed è un approccio molto “scientifico”. Ogni gesto, ogni materiale, ogni esca risponde a esigenze precise. Tanto per citare un aspetto, possiamo anticipare subito che un lancio lungo e millimetrico conta tantissimo in questi frangenti. Sbagliare la gittata di 30-50 centimetri può significare il cappotto: l’abbiamo provato sulla nostra pelle, lanciando prima qui e poi lì, senza mai centrare il “buco” giusto. Tuttavia, ciò che ci ha stupito davvero è la struttura delle montature di Riccardo e Nicholas: sono semplici, ma talmente sottili e bilanciate da avvicinare il carp fishing al legering. Pare impossibile che le carpe rimangano allamate ad ami numero 6 od 8, o che si possano prendere delle over 20 con finali di 1015 libbre. Eppure... POCO AERODINAMICO: la forma di questo sacchetto non ci aiuta nel lancio. Meglio un lungo stick.
Lanci da cecchini
Vediamo Nicholas entrare in azione. Canna distesa dietro di lui con piombo, terminale e sac-
chetto di Pva che penzolano dal cimino. La violenza del lancio è progressiva, pare ben caricato: l’innesco finisce poco lontano dal canneto sulla sponda opposta. Saranno 80 metri. «Bel lancio!», ma lui scuote la testa. Recupera in fretta e rilancia: altra frustrata e questa volta l’innesco cade a pochi centimetri dalla base del canneto. Ma neppure questo va bene. Solo al terzo Holzer pare soddisfatto: l’esca atterra a una cinquantina di centimetri dalle cannelle. «Devo piazzarla dove dico io», commenta Nicholas, «perché qui le carpe mangiano in punti precisi e di certo non vanno alla ricerca delle tue esche, sei tu che devi mettergli la pallina davanti al muso. Il fondale là davanti è fatto in un certo modo: c’è il canneto, poi la ghiaia che scende ripida fino a 1,5 metri e rimane “piatto” per circa 1 metro, infine digrada dolcemente fino ai 3-4 metri. Bisogna assolutamente lanciare gli inneschi in quei pochi centimetri “piat-
ti”. Se arriviamo molto vicino ai canneti ci va bene perché, per la pendenza, il piombo rotolerà fino a fermarsi nel punto piatto; Ma se stiamo corti rischiamo di pescare in zone improduttive, troppo limacciose». Conoscenza dello spot e precisione vanno a braccetto: se ne manca anche una sola, non si cattura.
Nello stesso punto
Anche Riccardo è alle prese con una serie di lanci. Osservando i suoi gesti scopriamo il trucco che permette a tutti e due di essere così... cecchini: si aiutano con la “line clip”, la pinzetta che si trova sul bordo inferiore delle bobine dei mulinelli. «Innanzitutto», spiega l’angler toscano, «si lega in fondo alla lenza solo il piombo. Poi si lancia fino a quando la zavorra non cade nel punto prescelto. È importante bloccare la lenza non appena vediamo il tonfo del piombo sull’acqua: altrimenti, nel lancio successivo, rischiamo di andare “lunghi”.
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Trovato il punto giusto, si infila la lenza madre dentro la line clip e si poggia la canna sul pod: nel lancio successivo sarà la clip stessa a bloccare il filo e l’innesco cadrà dove richiesto». Riccardo ci mostra anche come risolvere un problema: se blocchiamo il filo nella clip, come fa la carpa a fare la classica partenza? Per il garista tutto si risolve... con quattro passi. «è sufficiente indietreggiare sulla sponda, pinzare il nylon nella clip e poi recuperare un po’ di filo per avvicinarci al pod. Avremo così quei 4-5 metri di lenza avvolti sulla bobina che ci daranno il tempo di svegliarci e di arrivare sulla canna per la ferrata, prima che la carpa si porti via tutto».
Sempre i back lead
Poco dopo notiamo che entrambi i nostri protagonisti ritengono indispensabili i tendifilo. A noi appare inizialmente una mossa sbagliata, perché
stanno pescando “sponda a sponda” e creare un angolo tra la lenza e il terminale è proprio un azzardo: dal momento che pod e finale si trovano quasi alla stessa altezza, mentre il fondale al centro scivola anche fino ai 4 metri, che senso ha creare un angolo così accentuato sulla lenza? «Mimetismo e soprattutto sicurezza nel recupero», ci svela Holzer, «perché i tendifilo schiacciano la lenza a terra e ci lasciano campo libero nel combattimento: è un aspetto fondamentale quando si pesca “sottile”».
Ferrate morbide
Il concetto ci diventa evidente vedendoli alle prese con un cattura: Riccardo e Nicholas non tirano il pesce, lo accompagnano; non lo stancano, lo “consumano”. Un combattimento “medio” dura almeno un quarto d’ora ed è un rito fatto di concentrazione e di movimenti lenti, a partire dalla ferrata. Scor-
Conta anche il colore Il mix è lo stesso ma le palline da innesco sono più chiare
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omanda: quali ingredienti vanno per la maggiore quando si realizzano esche self-made per la pesca “di fino”? Nicholas Holzer ci ha svelato la sua ricetta: un chilo di mix Opal (per questa sessione, già pronto), potenziato con aroma fragola, olio essenziale tangerine, più corn steep liquor e dolcificante Nhdc. Poi, abbiamo scoperto che tra palline da innesco e palline da pastura non c’è differenza, se non per un piccolissimo particolare: in quelle che vanno sul capello non c’è il corn steep liquor. Ma come, si toglie dalla pallina che deve essere più attirante uno dei più potenti attrattori della storia? Holzer ci svela l’arcano: «è tutta una questione di colore: non metto
il liquore di grano perché voglio che le boilie da innesco siano leggermente più chiare rispetto a quelle da pastura». Meno gusto, più visibilità, quindi? «Non è proprio così, perché le boilie da innesco sono comunque attrattive per il palato delle carpe. Semplicemente, secondo la mia esperienza, una boilie più chiara a volte viene trovata prima. Poi, il secondo trucco è inserire una piccola percentuale di pop-up mix alla miscela iniziale: alleggerisce le esche e le rende molto più “naturali” una volta sul fondo. In poche parole, assomigliano di più a quelle di pastura, nascondendo il vincolo con l’uncino: è un trucco che uso sempre dove le carpe si cibano con cautela».
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Zavorre pesanti, sempre Così il pesce non può sfruttarle per slamarsi
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ltre che bravi, i nostri due interlocutori si sono rivelati anche attenti osservatori. A una prima analisi delle loro montature, non notiamo niente di particolare: Nicholas usa un normale safety rig mentre Riccardo si affida a una montatura in-line. Ci è sfuggito, però, un particolare importantissimo: il peso del piombo. Entrambi usano zavorre pesanti, da 4 once in su, pur utilizzando stick e sacchetti di Pva. Insomma, vanno contro al classico schema “piombo più leggero perché c’è il sacchetto”. Questo particolare è fondamentale nei combattimenti, soprattutto in luoghi come il Boschetto
dove si usano ami sottilissimi. Nicholas ci spiega che il trucco nasce da un’attenta osservazione della serie di dvd “Korda Underwater Carp Fishing”. Nei filmati subacquei si nota che le carpe, quando il piombo è leggero, sono in grado di far ruotare il terminale, torcendolo fino a che l’amo perde la presa. In poche parole, immaginiamo un piombo che traccia una circonferenza perpendicolare al fondo davanti al muso della carpa. Con un piombo pesante, questo non avviene: con le semplici “musate” le carpe non sono in grado di far sobbalzare la zavorra, che punta così continuamente il fondo e consente all’amo di mantenere la presa.
datevi la corsa sulle canne e le ferrate in velocità mentre il filo sprizza fuori dalla bobina: qui si arriva sul pod, si impugna la canna, si controlla la direzione di fuga del pesce, si recupera un po’ di filo con qualche giro di manovella e solo dopo si tira il “colpo fatale”... Che poi tanto fatale non è, visto che è accompagnato, per nulla secco. Holzer ci spiega che non si deve esagerare quando si usano ami molto piccoli: «Con ami del 6 o dell’8 ferrare non serve: sono talmente sottili che basta il peso del piombo per farli piantare bene. Anzi, ferrare a volte è deleterio. Dobbiamo ricordarci che gli approcci ultra-finesse sono utilizzati negli spot dove i pescatori sono tanti e dove le bocche delle carpe in alcuni casi sono più fragili».
Calma e sangue freddo... ferrate ESAGERATe possono lacerare la bocca del pesce. Meglio stare morbidi, sullo strike e pure sul recupero.
Nicholas continua: «Anche nel recupero è importantissimo fare con calma...», ma un bip bip bip ci interrompe: lo swinger di una sua canna sussulta verso
il basso. L’angler si china sulla canna, la impugna, recupera pochi metri di filo, sente il pesce e poi mette la canna in verticale. Passeranno più di 20 minuti per vedere la carpa nel guadino. «Tira! Fai piegare ‘sta canna! Sbrigati, sennò si slama!», lo provochiamo. Eppure, dai suoi movimenti notiamo che il verbo “forzare” non esiste in questa sessione. Anzi, la frizione non è mai totalmente chiusa e a ogni testata Holzer accompagna la fuga abbassandosi e dando filo. «Mica sto pescando con i terminali da squalo, come fa qualcuno...», insinua con il volto contratto dalla concentrazione. Seconda lezione: non è vero che con ami piccoli e sottili sia necessario far durare poco i combattimenti. Tutt’altro: un amo dell’8 ben piantato ha la stessa presa di un 1/0. Però, se tiriamo troppo forte la tenuta del primo diventa inferiore a quella del secondo.
Una sola occasione
È così che la discussione scivola intorno al tema “caldo”
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GOLOSA DI PELLET: questa bella regina (foto a sinistra) non ha resistito a una retina di Pva colma di esche solubili (foto sotto). Ne bastano poche per una pasturazione efficace. Un consiglio: l’amo deve puntarsi dalla parte dei pellet. Quindi, a sinistra.
dei terminali. I due non usano rig molto complessi, alla Withy Pool per intenderci, preferiscono semplicissimi “no-knot” (senza nodo) o blow-back rig. Cerchiamo di saperne di più e li seguiamo nella (lunghissima) realizzazione di un terminale. Notiamo subito le dimensioni irrisorie degli ami, tutti di misura compresa tra il numero 6 e il numero 8. La forma è quella classica, a “schiena di maiale”, il filo è sottile e la punta molto acuminata. Ci fidiamo, ma vogliamo saperne di più: perché si usano ami così piccoli? La risposta è semplice: «Qui le carpe sono molto diffidenti», ci spiega Nicholas, «mangiano in “punta di labbra” e per catturarle dobbiamo fare in modo che l’amo balzi nella bocca del pesce alla prima aspirata». Ci sembra la scoperta dell’acqua calda, ma poi... «Se dico una, è un’aspirata sola: se la allami, bene... sennò alla prossima. E attenzione, perché se la carpa tira l’aspirata e “smonta” la trappola che hai creato con il sacchetto di Pva, tu non catturi più».
I tre elementi del successo
«Amo, esca sul rig e sacchettino», spiega ancora Nicholas, «sono i tre elementi fondamentali della nostra strategia. Come ho già detto, le carpe si avvicinano al mucchietto di esche lasciato sul fondo dal sacchetto di Pva e aspirano una sola volta. L’amo, che è nel bel mezzo della pastura, deve sempre schizzare dentro la bocca del pesce. Subito, come le pellet o la finissima
pastura che riempie lo stick, altrimenti la carpa non si allama. È per questo che usiamo ami piccoli; sono più leggeri e meno visibili. I combattimenti Poi, li accompagniamo sempre con esche di sono lunghi: stiamo dimensioni ridottissiusando ami piccoli me, alleggerite con il e finali sottili pop-up mix o con una spugnetta. Le esche da innesco devono essere in tutto e per tutto uguali a quelle sul fondo, soprattutto nel momento dell’aspirata del
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“di fino” pesce. Le facciamo più leggere solo perché devono trascinarsi dietro l’amo».
Anche con le granaglie
Un’altra partenza ci distrae dalle nostre chiacchiere. Riccardo si sta impegnando in un combattimento strano: la canna non MAIS “Longitudinale”: si piega neanche di un grado e innescato così, il chicco sta lui recupera velocemente la lensteso sul fondo e somiglia za. Il “signore degli amur” (ora quelli usati in pastura. mai in molti lo chiamano così, grazie alle sue numerose catture di erbivore da sballo sia all’Idroscalo sia a Ostellato) ha proprio una di queste snelle e potenti creature a fondo lenza. Tralasciando i particolari sul combattimento, ci incuriosisce l’innesco: il “cinese” è Il lago è molto stato ingannato da una mini-tiger singola, al“pressato”: basta leggerita con un pezzo un chicco di grano. di spugnetta. Quella Uno solo, però. dei chicchi di granaglie singoli sull’innesco è un’abitudine molto seguita in questi ambienti. Anche Nicholas, per esempio, ha catturato metà delle sue prede
Attira ma non sazia
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na componente fondamentale nella strategia di Nicholas e Riccardo è la pasturazione. Entrambi lanciano esche in modo molto preciso, ma con parsimonia. Addirittura, percorrono parte del perimetro della cava per depositare a mano la pastura. «Stiamo utilizzando una pastura particolare», ci spiega Holzer, «realizzata con fioccato, mais,
groundbait agli aminoacidi e pellet (vediamo la sequenza qui di seguito). Il nostro obiettivo è quello di creare un “pastone” attrattivo che non sazi le carpe. Utilizziamo ingredienti minuscoli e solubili per ottenere due effetti: primo, la pasturazione crea una nuvola che, oltre a fare impazzire le carpe, praticamente gli impedisce di usare la vista.
È un trucco molto efficace ogni volta che si pesca in pochi metri d’acqua, come nel nostro caso». Il secondo è di natura temporale e trova conferma anche da Riccardo: «Le carpe impiegano più tempo a “finire” un letto di pastura di esche molto piccole. Insomma, cerchiamo di farle entrare in frenesia e di tenerle nel settore il più a lungo possibile».
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IL MOMENTO DELLA VERITà: la carpa si è allamata e ci sta venendo incontro, oppure si è slamata? La risposta è nel cimino della canna.
della sessione con un solo chicco di mais o con boilie piccolissime, da 10 millimetri. Pare impossibile, eppure biglie così piccole si riveleranno micidiali: innescando cubetti minuscoli (ottenuti tagliando boilie da 20 millimetri) riusciamo finalmente anche noi a catturare un pesce. «Non servono bocce da bowling, bastano una mini-boilie, una tiger nut o un chicco di mais... montato rigorosamente in modo longitudinale», sorride Holzer.
Trucco da gara
Riccardo sta addirittura pescando con palline Le boilie giuste per da 8 millimetri. «Le questi spot non esche piccole funziosuperano di solito nano meglio di quelle grandi in moltissime i 10 millimetri situazioni », ci svela, «ne ho avuto conferma anche all’ultima gara disputata all’Idroscalo (il 26 di aprile)». Fanucchi ci spiega che in quell’occasione ha pasturato il suo settore con canapa, boilie
Ingredienti e passaggi per una pasturazione super-attrattiva 1
I due ingredienti base della pastura sono il fioccato e il mais. Versiamoli in un secchio, rovesciando anche parte dell’acqua di bollitura del granturco. Occhio a non esagerare nella “bagnatura” del fioccato.
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Aggiungiamo altri due ingredienti: un po’ di pastura (groundbait) agli aminoacidi e un miscuglio di pellet di diversi diametri (da 1 a 10 millimetri). Poi, mettiamo anche qualche boilie.
Aggiungiamo a piacere gli attrattori liquidi (per esempio, aminoacidi) e la pastura così è pronta. Il risultato è “vomitevole”... ma solo per noi esseri umani: alle carpe questo pastone piace tantissimo e le trattiene nel settore a lungo. Provare per credere!
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piccolissime e mais, attirando un numero tale Le carpe affamate di carpe da consentirgli impiegano più di vincere. Ci spiega tempo a finire un così il perché della sua scelta: «Quando siamo letto di mini-boilie in gara, è importante attirare i branchi sugli inneschi e tenerceli il più a lungo possibile. Una buona strategia è proprio quella di pescare con esche piccolissime, perché le baffone affamate ci mettono più tempo a finire un letto di pastura con palline da 10 millimetri piuttosto che uno realizzato con boilie da 20. Meglio ancora se si crea una nuvola attrattiva con canapa e pastura a base di sfarinati».
Imparata la lezione
Poi Riccardo si volta, impugna la canna e si piazza di fronte al lago, pronto a scagliare lontano l’innesco. Nicholas, invece, ha appena lanciato il suo rig e sta andando sulla sponda opposta per piazzare due cucchiaiate
Mangiano il sacchetto!
GROSSA E FURBA: il sorriso di Nicholas tradisce tutta la soddisfazione per questa cattura “di peso”.
di un pastone attrattivo che in questo lago pare non fallire mai. Si sta facendo buio, la pioggia che ci ha sferzato per tutto il giorno pare essersi stufata e ha lasciato il posto alle morbide nuvole. Le canne sono lì, ferme sul pod. «Che facciamo, ci proviamo?». Un raggio di sole scaccia via gli ultimi dubbi: il piombo vola lontano, trascinando con sé una pallina
minuscola legata a un terminale fine come il crine di un cavallo. Plof! Il piombo casca proprio nel punto desiderato, preciso al millimetro. Il sapore amaro della sconfitta affonda negli abissi, insieme con il piombo tendifilo. Imparata la lezione, ora è tutto più dolce. Si torna indietro nel tempo, ad assaporare il fresco gusto della scoperta.
Quindi, non stendiamo il terminale dopo il lancio
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osì non abboccheranno mai, qui mangiano il sacchetto!». Volgiamo lo sguardo e la nostra “guida” ci svela un altro segreto: le carpe del Boschetto aspirano direttamente il contenuto del sacchetto di Pva depositato sul fondo. Di conseguenza, non si prendono se l’innesco non è piantato in mezzo al mucchietto di pastura. Il commento di Nicholas fa riferimento a un gesto automatico per la maggior parte dei carpisti: dopo il lancio, a piombo atterrato sul fondo, tiriamo un po’ il filo per distendere il terminale. Così facendo, però, spostiamo l’innesco dal mucchietto di pastura, polverizzando le nostre chance di cattura. E, in effetti, le cose sono proprio andate così. «Qui le carpe vanno dritte all’obiettivo», ci spiega Holzer, «aspirano una sola volta, attratte dalla pastura: l’amo ha quindi una sola chance di puntarsi e lo può fare solo
se è nel bel mezzo di pellet e groundbait». Ecco spiegato perché stendere il terminale dopo il lancio qui ci dà meno chance, così come accade quando leghiamo il sacchetto di Pva al piombo, puntandogli addosso il terminale: «Durante la discesa sul fondo, il Pva si scioglie e l’amo si stacca, atterrando qualche centimetro più in là rispetto alla pastura. Invece, se infiliamo il sacchetto lungo il terminale, bloccandolo sull’amo, le nostre chance di abboccata aumentano».
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Alla faccia dello stick! Pastura, pellet, attrattori: quando riempire le retine di Pva è una “scienza”
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i fa presto a dire “stick mix”. A vedere Nicholas all’opera la faccenda pare più complessa di quanto pensiamo. «Fare uno stick mix non significa semplicemente riempire una retina con la pastura», ci dice mentre prepara un “salsicciotto”, «contano gli ingredienti e anche la loro disposizione». Il nostro volto perplesso lo spinge più in là: «Negli stick di questa sessione ci sono tre ingredienti 1
Versiamo in una bacinella circa un etto di pastura (groundbait) agli aminoacidi e un altro etto a base di halibut. Poi, agitiamola bene per miscelare le farine.
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fondamentali: groundbait, pellet di diverse misure e attrattori. Ognuno ha il suo compito. Le groundbait, più volgarmente “pasture”, servono a creare una nuvola attrattiva che stimola il pesce fin dal primo contatto dello stick con il fondo. Poi entrano in gioco le pellet da 1 millimetro, rapidissime a sciogliersi, seguite da quelle da 3 e da 4 millimetri, che impiegano qualche minuto 2
Rovesciamo una manciata di canapa su una mano ricoperta da un fazzoletto. Servirà eliminare l’acqua, lasciando i semi solamente umidi.
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Mescoliamo le boilie sminuzzate alla pastura appena preparata e così completiamo la parte “farinosa” dello stick mix.
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Inseriamo una ventina di boilie da 14 millimetri in un tritacipolle: questo passaggio ci serve per renderle poltiglia.
È il momento dei liquidi. Olio di fegato di merluzzo (o quello che alcune aziende chiamano Fosoil), poi un po’ di stimolatore agli aminoacidi. Infine, attrattori simili a quello che abbiamo inserito nelle boilie da innesco.
prima di assorbire acqua. Infine, ci sono gli attrattori liquidi, aminoacidi e stimolatori d’appetito: quelli entrano in gioco subito». Notiamo anche che nei suoi stick mix usa canapa e boilie sbriciolate: «Quello è il cibo “solido”, cioè quello più simile agli inneschi: è solo la cima della piramide attrattiva. Ovviamente, non dimentichiamo che la canapa è importante perché è ricca di oli». 3
Mettiamo la canapa in un’altra bacinella e rovesciamo un po’ della pastura della prima bacinella nella seconda. Così la canapa si asciuga di più e la retina in Pva si scioglie dopo.
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Ma c’è di più: «Dal momento che in questa sessione peschiamo al lancio, è importantissima anche la disposizione delle esche nello stick. Verso l’amo deve sempre essere disposto uno strato di pastura e mai uno strato di boilie sbriciolate: nel lancio l’amo potrebbe puntarsi nelle palline e risultare completamente inefficace una volta sul fondo. Con la pastura questo non succede». 4
Ora le pellet: da carpe koi e a base di halibut. Sono cilindriche, da 1, 3 e 5 millimetri. Misure diverse per differenziare i tempi di attrazione e di scioglimento.
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Inseriamo gli attrattori anche nella bacinella contenente solo la pastura agli aminoacidi e all’halibut, per farle compattare meglio. Per intenderci, stiamo parlando della prima che abbiamo preparato (vedi fase 1).
8bis Prendiamo una retina e prepariamo lo stick con il contenuto delle due bacinelle. Vicino all’amo deve assolutamente esserci la parte di stick realizzata con la sola pastura.
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