CarpFishingMagazine_35_Polverina&Bigattini

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n.35

agosto/settembre

2009

Tariffa ROC – POSTE ITALIANE Spa – Sped. Abb. Post. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n. 46) – Art. 1 C. 1 – DCB Milano

Over francesi La “splendide” del Lac de Romagnieu

A tu per tu Intervista esclusiva al vicepresidente di Cfi: Pietro Cicchetti vuota il sacco!

Paradisi nostrani

Bigattini

Lago di Polverina

Quando, come e perché usarli

ISSN

1828 - 5511

Anno IV - N° 35 34 MENSILE agosto/settembre 2009 luglio 2009

e 5,40 (Italia)

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Di legnaia

Carpe tra i rami

Self-made

Viaggio tra gli aromi

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Pianeta

esche

Bigattini Q

ual è l’esca simbolo del carp fishing? La boilie. Qual è l’esca “tradizionale” per eccellenza nella pesca alla carpa? Il mais. Quando si parla di bocconi alternativi, quali sono i più citati? Pellet, tiger nut, boilie pop-up, pastelle. Alla lista manca proprio l’esca più venduta al mondo, la prima con cui veniamo in contatto quando ci avviciniamo alla pesca sportiva, la meno costosa e la più “abbordabile”, perché I pescatori al colpo si trova in ogni negozio catturano alla di pesca e difficilmente chi la vende rimane grande ma noi non senza. È anche un’esca li usiamo: perché? da gara, che fa impazzire i Ciprinidi, ma noi carpisti la usiamo ancora poco. È il bigattino, signore e signori, la più conosciuta tra le insidie dei pescatori. Usarla nel carp fishing? Si può ma non è facile, perché richiede preci-

sione certosina nell’innesco e, soprattutto, non si adatta a ogni ambiente e a ogni condizione. Ma funziona e ci può salvare da tutte quelle situazioni “al limite”, dove catturare sembra impossibile. Niente di miracoloso, sia chiaro: ci tufferemo in un ritorno al passato che ci darà spunti per fare strike anche in futuro. Il tutto, con un solo obiettivo: catturare la carpa che ancora non abbiamo preso.

Diventiamo... mosche

Partiamo allora dall’inizio, dalla nascita del bigattino, per capire come funziona il processo di produzione industriale. Per farlo, immedesimiamoci in una mosca. O meglio, in un moscone: un grasso esemplare di Sarcophaga carnaria, un dittero appartenente alla famiglia delle Sarcophagidae. Ammettiamo di avere più fortuna di quello... stecchito dal presidente Obama

in diretta televisiva: durante il nostro ronzante volo, veniamo attratti da un bel pezzo di carne fresca. È una carcassa di piccione morto da poco, la carne è ancora sanguinolenta e il processo di degenerazione vero e proprio deve ancora iniziare. Atterriamo morbidi e iniziamo a ispezionare la carcassa quando, all’interno del nostro ventre, sentiamo la “vibrazione” giusta. Non è fame, come si potrebbe pensare, ma sono “fremiti d’amore” che assecondano l’istinto di riprodursi.

Uova già schiuse

Ciò che si agita nel nostro ventre sono larvette minuscole, nate da circa 100-150 uova appena schiuse (che portiamo con noi da una decina di giorni). Infatti, noi mosche “carnarie” siamo vivipare, cioè non scarichiamo le uova come bombe da un aereo ma depositiamo “cuccioli” belli vispi che non vedono

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Lo chiamano cagnotto, begatin, bachino, gianin ma la sostanza non cambia: stiamo parlando della larva di mosca carnaria, il bigattino. Dal processo di produzione agli impieghi in pesca, scopriamo insieme perché la più umile tra le esche è, in alcune situazioni, la più devastante in circolazione

l’ora di mangiare per diventare grandi. È ora che lascino il nido. «Via, fuori di qui!»: piccoli vermicelli microscopici scivolano dal ventre alla carne e iniziano a muoversi lungo il tessuto per cercare il punto giusto. Per fare cosa? Ovviamente mangiare, ingrassare e diventare a loro volta mosconi ronzanti. Il nostro compito di mosche finisce qui: è il momento di volare via, lasciando alla nostra numerosa prole un bel pezzo di carne da “succhiare”.

Crescita irresistibile

Ma si sa, i figli sono “piezz ‘e core”, così decidiamo di continuare a osservarli da lontano. Per i primi 2-3 giorni, le larvette ingrossano fino a circa 5 millimetri. Poi, tra il terzo e il quarto giorno, ingrassano parecchio e le più cicciottelle arrivano ai 10 millimetri. Sono pronte a diventare mosche dopo 5-6 giorni: tutte misurano

a cura di Paolo Meneghelli

delle esche CF35_080_091_Pianeta_Esche_L_A.indd 81

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Mister

bigattino tra 10 e 15 millimetri e si preparano alla muta. Della carcassa non è rimasto quasi più nulla: le larvette hanno succhiato tutto il possibile attraverso la loro bocca appuntita e hanno lasciato solo le ossa. La carne è rimasta “buona” per così tanti giorni perché le future mosche, mangiando, hanno prodotto ammoniaca che ha rallentato la putrefazione.

Volano via!

È quasi arrivato il momento di spiccare il volo. Le larvette smettono di alimentarsi e cercano terreno morbido per scavare una buca e infilarsi sottoterra. Qui la loro pelle diventerà scura e si irrigidirà, e resterà così per qualche giorno (sono le pupe, dette caster, utilizzate nella pesca al colpo) per esplodere al primo Da 5 a 15 millimetri battito d’ali: le larvette in 3 giorni. Dopo diventano mosconi e altri 10, i “bachi” sono pronte a svolazzare per il mondo. Non diventano mosche tutte ce l’hanno fatta: alcune larve sono morte sottoterra. Ma quelle che sono sopravvissute sono forti, e pronte a riprodursi a loro volta.

Non sono occhi... D

a bambini i bigattini ci sembrano vermetti simpatici. Li prendiamo per la coda e, mentre si dimenano, li “guardiamo negli occhi”. «Papà, papà, mi guarda!». In realtà, i due puntini neri non sono occhi e quella che stiamo

È anche un business

Quello che abbiamo appena descritto, scusandoci se a qualcuno è venuta un po’ di nausea, è il processo di nascita e di sviluppo delle larve di mosca carnaria, i notissimi bigattini che tutti abbiamo usato fin dalle prime esperienze di pesca. La produzione “industriale” di quest’esca non è molto diversa dal ciclo naturale. Cambiano, ovviamente, i numeri. Le aziende che producono larve di mosca carnaria per la pesca sono poche e devono seguire rigide norme sanitarie. Carcasse di bovini, suini e, soprattutto, di polli, vengono appese in lunghi capannoni sigillati. In questi ambienti vengono inserite mosche da “colture” scelte che non siano portatrici di malattie e di agenti patogeni, come la salmonella. Le Sarcophaga carnaria si poggiano sulla carne e iniziano il processo di deposizione delle larve. Queste ultime mangiano, ingrassano e quando sono pronte si staccano dalla carcassa, cadendo al suolo: qui vengono raccolte e poi rivendute ai negozi di pesca.

ESCA PICCOLA, CARPA GRANDE: le “ciccione” sono molto sospettose, ma non resistono davanti a un bel mazzetto di bigattini.

I puntini neri sono le narici e la parte tozza è la coda

tenendo è la testa, non la coda! I bigattini sono larve lunghe in media 9,5 millimetri (anche se ci sono “record” che possono arrivare a 20 millimetri), formate da 10-12 anelli concentrici tenuti insieme da una cuticola (la “pelle”). La bocca si trova QUESTA È LA CODA: i due puntini non sono gli occhi ma... le “narici” del bigattino. L’amo o la clip vanno puntati appena sotto di essi, dove la pelle del bigattino è più dura.

al termine della testa, che è la parte appuntita del corpo e non quella tozza! Per nutrirsi, il bigattino assorbe le sostanze dalla bocca e “digerisce” tutto nello stomaco, quella macchia nera che vediamo sottopelle nei pressi della testa. I bigattini

“respirano” grazie a una placca specifica che si trova nella parte finale del corpo (in pratica, dove ci sono gli “occhietti”). Per innescarli sul rig dobbiamo puntarli proprio da questa parte: è il punto più “tosto” di queste larvette. LA TESTA è A PUNTA: è la parte “stretta” del bigattino, ma molti la confondono con la coda. Le larve si muovono trascinandosi con la bocca, che è in grado di fare presa anche sulle superfici poco ruvide.

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Anche colorati

Qualcuno probabilmente si starà chiedendo: come mai alcuni bigattini sono rossi, arancioni, o gialli? Allora, il colore naturale delle larve è quello “classico”, chiaro tendente al panna; quelle Poche le aziende colorate diventano tali perché alimentate fin che “producono” dai primi momenti con larvette e le norme alimenti specifici che sono assai severe conferiscono la speciale pigmentazione. Non subiscono bagni di colore ma semplicemente mangiano una “pappa” colorata che li rende brillanti. Un esempio sono i pinky, piccoli bigattini di colore rosa che sono molto in voga tra i garisti al colpo: il colore gli viene soprattutto dal cibo, cioè la carne suina!

Regole ferree

Abbiamo semplificato al massimo tutta la procedura industriale, ma ricordiamoci che non è uno scherzo. Primo, perché il mercato delle esche vive muove molto denaro; secondo, perché le norme igieniche da rispettare sono rigide e chi sgarra rischia di pagarla cara. Ogni

APPARATO DIGERENTE: lo stomaco è la macchia nera che si trova vicino alla testa ed è il responsabile del “succo” di cui il bigattino è pieno. Se puntiamo l’amo in questo punto, la larva scoppia e diventa inservibile.

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Mister

bigattino

Asl (azienda sanitaria locale), ha le sue norme, ma tutte fanno riferimento al Regolamento 1774/2002 dell’Unione Europea, che istituisce norme precise per la riproduzione degli insetti con tecniche industriali. Per citare un esempio, il regolamento sull’igiene dell’Asl di Bologna (articolo 303, allegato B) prevede che le aziende produttrici di bigattini si trovino ad almeno 2 chilometri dalle zone urbane e a un minimo di 200 metri dalla prime abitazioni private. Le strutture devono ALTRO CHE “PROFUMO”... impedire la fuga delle larve e l’olezzo forte dei bigattini devono essere perennemente ci costringe spesso a custodite. I metodi di stoccag“cambiare aria”, magari con una polenta aromatizzata. gio, di pulizia delle strutture e dell’eliminazione degli scarti sono poi regolamentati ancora più rigidamenI bigattini non sono te, soprattutto in seguito all’allarme “mucpericolosi per i ca pazza” del 2004 e, pesci. E in inverno di recente, al timore catturano bene suscitato dall’influenza aviaria. Comunque non è questo l’ambito per addentrarci ulteriormente nel processo di produzione dei

bigattini: è sufficiente sapere come nascono per capire... perché è il loro prezzo è salito così tanto in questi anni: un chilo oggi costa circa 6 euro, il quadruplo delle 3.000 lire di metà anni Novanta!

Una leggenda da sfatare

C’è una strana “credenza” che aleggia intorno ai bigattini: alcuni li ritengono pericolosi perché, dicono: “se non vengono masticati, mangiano le viscere dei pesci che se ne sono nutriti, portandoli alla morte”. Secondo costoro, sarebbe proprio questo il motivo per cui la quantità che ogni angler può utilizzare in pesca è limitata e perché, in certe acque, i bigattini sono vietati. Peccato che sia tutto falso: i bigattini non sono pericolosi per le viscere dei pesci e i le limitazioni dipendono da altre ragioni! Lo dimostra anche uno studio dell’Istituto di Ricerche dell’Università di Bologna, citato a tal proposito dall’Anpre (Associazione Nazionale Produttori e Rivenditori di Esche).

Ma se non sono pericolosi, perché sono vietati in tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia dove, secondo l’Articolo 5 del regolamento dell’Ente Tutela Pesca, “è vietato, nel corso dell’attività di pesca, detenere e usare come esca viva la larva della mosca carnaria (cagnotto o bigattino)”? La questione è “igienica”: le larve usate come pastura e non mangiate dai pesci imputridiscono e sporcano l’acqua, mentre quelle gettate nei cespugli a fine battuta da pescatori incivili si interrano e diventano a loro volta mosche, andando ad alterare l’equilibrio naturale. D’altronde, ricordiamoci sempre che abbiamo a che fare con prodotti della putrefazione delle carcasse, non con boilie realizzate con il latte in polvere per bambini! È anche per questo che è vietatissimo produrre bigattini “self-made”: si rischia una bella multa.

Meglio in inverno

Dal punto di vista della pesca, i bigattini non sono esche allround, cioè che vanno bene

IN ACQUE TRASPARENTI: quando fa freddo le carpe ci vedono ancora meglio perché l’acqua è più limpida. Possiamo però ingannarle con un method mix pieno di bigattini.

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SONO UN Po’ FRAGILI: le larve di mosca carnaria non reggono molto i lanci forti. Meglio “appoggiare” i rig a media distanza.

sempre; però sono un’alternativa “a sorpresa”, il classico asso nella manica che possiamo tirare fuori al momento del bisogno per risolvere situazioni intricate. Per esempio in inverno, quando le baffone hanno poca fame e di boilie e pellet non vogliono sentir parlare: le fredde temperature bloccano anche l’attività della minutaglia (golosa di larvette) e ci permettono di utilizzare un’esca molto attrattiva e di rimanere in pesca qualche ora in più. La stagione calda, invece, non è certo l’ideale e neppure l’autunno. Il problema sono proprio carassi, scardole e triotti che non resistono davanti a una bella “medusa” bigattini.

O tanti o pochi...

Più che di stagioni, in realtà bisognerebbe parlare di situazioni. Ce ne sono due, opposte, che vanno a nozze con i cagnotti: la pesca negli spot sempre pieni di angler e quella nei luo-

ghi “vergini”. Nel primo caso introduciamo un’esca nuova (e di sicura efficacia) in un ambiente dove le carpe ne vedono di tutti i colori. Nel secondo caso, invece, utilizziamo un’esca rapida, che piaccia subito al pesce, al fine di ottenere buoni risultati fin dalla prima calata. Chi ci ha provato sa bene quanto è difficile abituare le carpe alle boilie: non si creda che bastino due sacchetti in Pva per avere partenze una dietro l’altra, anche in ambienti che non hanno mai visto un amo! C’è poi la situazione della pesca a vista, magari nei piccoli canali di pianura. Capita molto spesso di vedere nuvole di limo macchiare l’acqua nei pressi delle sponde: se vogliamo provare a catturare quelle carpe con un buon margine di successo, tentiamo con una manciata di bigattini e un Medusa rig, lanciando le larve proprio “in testa” agli esemplari intenti a grufolare sul fondo.

Per farli durare di più Teniamoli al fresco mischiati alla crusca: diventano duri e tosti

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l più acerrimo nemico dei nostri bigattini è il calore. Non solo quello del sole (guai a lasciare la scatolina o il sacchettino sotto il solleone in piena estate, magari in macchina!), ma anche quello prodotto da loro stessi. Avete presente come si comportano le larvette? Si dimenano come se fossero impazzite. Muovendosi, si strofinano e producono calore, che a sua volta fa produrre al loro corpo ammoniaca (ecco cos’è la schiumetta bianca che troviamo nelle scatole lasciate al caldo): dopo poco, i bigattini diventano meno vivaci e

piano piano muoiono, uccisi dall’ammoniaca che hanno prodotto loro stessi. Allora, come fare per conservarli nel modo giusto? Innanzitutto, teniamoli in un frigorifero a temperature tra 1 e 6 gradi: il freddo li intorpidisce, ne blocca i movimenti e ne limita la produzione di calore. Poi, mischiamoli a crusca, segatura oppure alla farina di mais: assorbono il “liquido” prodotto dalle larvette, rendendole più duri e resistenti. A pesca teniamoli all’ombra il più possibile, perché le “botte” di calore, tra l’altro, li rendono poco mobili e inservibili per i nostri scopi! SCATOLINE IN PLASTICA: anche se sono i contenitori più economici, non vanno benissimo perché la plastica trattiene il calore prodotto dai vermetti che si strofinano. Se proprio non possiamo usare altri tipi di contenitore, controlliamo che vi siano buchi nel coperchio per far passare l’aria.

SACCHETTI IN COTONE: diffusissimi al mare e molto usati da chi pesca in piedi dalle massicciate, i sacchetti in cotone sono un contenitore “storico” per i cagnotti. Assorbono parte del liquido prodotto dalle larve che si muovono e garantiscono una buona ventilazione.

SOTTO “INFARINATURA”: mescoliamo ai cagnotti un po’ di crusca, di segatura o di farina di mais. In questo modo i bigattini resistono di più anche se li mettiamo nelle classiche scatoline in plastica, poco aerate.

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Pasturazione a lunga distanza Con solide palle di larvette tenute insieme dalla gomma arabica

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bigattini sono larvette piccole e leggere. Finché peschiamo in marginal non ci sono grandi problemi: basta una fionda da pesca al colpo e raggiungiamo comodamente anche i 15-20 metri. Ma se vogliamo andare oltre? Abbiamo diverse possibilità. La prima consiste nel realizzare palle di pastura riempite di bigattini: entrano in pesca rapidamente ma si sciolgono subito. Sono l’ideale per le pescate veloci ma non ci permettono di realizzare un bel “fondo” che duri nel tempo, soprattutto se c’è molto pesce di disturbo. Possiamo utilizzare un secondo metodo, molto usato dai garisti di pesca al colpo: le palle tenute insieme dalla gomma arabica. Qui vediamo come prepararle.

Inumidiamo i nostri bigattini con un po’ d’acqua. Non si deve esagerare: ne bastano pochi millilitri.

1 Versiamo in un secchio 50 grammi di gomma arabica ogni chilo di bigattini.

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“Impastiamo” le larve e creiamo palle grandi come mandarini.

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Le palle sono pronte per essere infilate nel sacchetto della fionda: voleranno lontano!

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L’acqua penetra in profondità e “slega” le larve che iniziano a dimenarsi sul fondale. In pochi minuti la zona sarà pasturata.

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La taglia minuscola dei bigattini fa sì che non disturbino troppo le carpe cadendo in acqua e proprio per questo possiamo realizzare veri e propri approcci “fantasma”.

Odore e movimento sono irresistibili

Arrivati a questo punto, però, dobbiamo porci una domanda: perché i bigattini funzionano? Scopriamo i motivi solo se analizziamo le caratteristiche di queste piccole e indiavolate larvette. Iniziamo dagli elementi a favore, in particolare dal “fattore attrattività”: i bigattini sono più attrattivi e “veloci” di molte boilie. La loro attrattività si basa essenzialmente su tre elementi. Per prima cosa, si tratta di esche assolutamente naturali, che non sono associate dal pesce a una fonte di

pericolo. In secondo luogo, il loro odore fa letteralmente impazzire i baffi delle carpe: chi ha provato a pescare all’inglese nei laghetti a pagamento sa bene che uno scatolino di bigattini è più efficace di un secchio da 10 chili di mais. C’è, però, un ultimo fattore, forse quello più importante: il movimento. I bigattini innescati sul rig si muovono, si agitano, emettono forti vibrazioni che in acqua si propagano a buone distanze. In questo modo possono attirare anche le carpe che nuotano a qualche centimetro dal fondo, le baffone “sbadate” oppure quelle che sono sazie di boilie e di granaglie e che aspettano del cibo nuovo, che stuzzichi la loro curiosità. Fuori dall’acqua il movimento dei cagnotti può apparirci poca cosa, lenti come sono, ma sul fondo quelle pic-

cole creature che strisciano si rivelano spesso irresistibili. Lo sanno bene i pescatori al colpo che le innescano “a bandiera” proprio per sfruttarne la vitalità

Solo belli sodi

Riassumiamo: i bigattini sono esche micidiali grazie all’attrattività, che si basa sul loro essere asInnescate bene, le solutamente naturali, larvette si agitano sul loro odore e, infine, sul movimento free creano vibrazioni netico che producono che attirano i pesci quando sono attaccati all’hair rig. Ma non è finita qui, perché alla domanda “per quale motivo dovrei usare i bigattini per pescare le carpe?”, possiamo dare altre due risposte. La prima è il prezzo: i bigattini costano poco rispetto alle boilie. Attualmente, un chilo di cagnotti costa

PELLET PIù BIGATTINI: il top quando si deve catturare bene e in fretta. Soprattutto nelle cave.

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bigattino

DIFFICILE TENERLI ALLA LARGA: cavedani, carassi, scardole, gardon e brème sono i peggiori nemici dei carpisti “bigattinari”.

6-7 euro: con questa cifra difficilmente compriamo un chilo di boilie di qualità mentre le larve, indipendentemente dal negozio e dalla marca, sono sempre buone. Certo, dobbiamo stare attenti a non farci rifilare bigattini vecchi o che sono stati esposti al calore. Dobbiamo osservare subito le larve non appena il negoziante ce le consegna: devono essere fredde al tatto e soprattutto non devono essere flaccide ma abbastanza “sode”. Poi, dovremo vederle quasi immobili, ancora intorpidite dal freddo del congelatore. In caso contrario, chiediamo spiegazioni... o cambiamo negozio!

Se nulla cattura... effetto sorpresa!

L’ultimo “pro” dei bigattini sta nell’effetto sorpresa. Immaginiamo una situazione-tipo, come la pesca nei luoghi pieni zeppi di angler. Proviamo a cambiare l’aroma delle palline, ma non funziona. Cambiamo la misura, passando a boilie mignon, ma il risultato non cambia. Allora passiamo alle granaglie. Mais, Non durano molto tiger e canapa non funsul rig: sono adatti zionano, quindi sotto con le bacche d’acero, alla pesca a vista le arachidi, i piselli, i o alle “veloci” lupini, fino alle “sconosciute” favette. Ma niente: le carpe non ne voglio sapere. Delle esche finte non ci fidiamo, delle poppy nemmeno. Poi, l’intuizione:

Il caster E

sca scoperta quasi per caso, il caster è molto usato nella pesca al colpo e in quella all’inglese. Si tratta semplicemente di un bigattino che... non è diventato mosca. Sarà capitato a tutti di vedere all’interno delle scatolette di plastica alcuni bigattini ormai immobili, di colore scuro (marrone): bene, quelli sono i caster. Non si muovono come le larvette vive, ma sono altrettanto attrattivi e

perché non tornare all’esca più “scontata” del mondo, al morbido e frizzante bigattino? Et voilà, gitarella nel primo negozio e poi siamo di nuovo in pesca, in attesa di una partenza... che arriva! Forse abbiamo reso le cose troppo semplici ma spesso la realtà non è tanto diversa da quello che abbiamo raccontato. In alcune situazioni una manciata di bigattini crea un effetto sorpresa che nessuna boilie o pastura è in grado di produrre. Contano la forma, il sapore, il colore e, soprattutto, il già citato movimento.

Per le pescate “mordi e fuggi”

E allora... «D’ora in avanti pescherò sempre e solo con il bigattino»? Freniamo un po’ le nostre voglie di essere originali a tutti i costi, perché i carpisti che sono venuti prima di noi non erano stupidi e, se hanno considerato la larvetta un’esca “di nicchia”, un motivo ci sarà. Partiamo dal “contro” più semplice di tutti: i bigattini resistono vivi (e mobili) in acqua non più di un quarto d’ora, massimo venti minuti. Questa caratteristica già li taglia fuori dalle sessioni in notturna, per restringere il loro campo di utilizzo alle “diurne” o comunque alle pescate di poche ore. Ricordiamoci poi che continuare a lanciare e a rilanciare le lenze per cambiare le esche non aiuta certo a essere “discreti”. Ovviamente, i

Affondanti o galleggianti, completano la nostra pastura possono “girare” le sorti di una sessione. I caster chiari sono affondanti, quelli scuri, invece, galleggiano. Possiamo usarli come complemento alla pasturazione con sfarinati. Una volta sul fondo, la palla di pastura si sfalderà, liberando i caster affondanti sul fondo e lasciando andare quelli galleggianti in superficie. In poche parole, facciamo un pasturazione che è sia orizzontale sia verticale.

QUESTO CASTER è POP-UP: il colore scuro ci fa capire che siamo davanti a una larva galleggiante. Quella a sinistra, più chiara, fa per noi perché affonda.

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Conta il “succo” Frulliamo i bigattini e mischiamoli alle pastelle: è strike!

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cavedani sono pesci “bastardi”: avete mai provato a pescare in un grande lago come il Garda, vedere improvvisamente l’asticella del galleggiante che affonda, ferrare e a restare con un palmo di naso a osservare solo la pelle del bigattino appesa all’amo? La larvetta è stata “succhiata” dal furbo cavedano. Mica stupido, questo Ciprinide: il “succo” del bigattino piace tantissimo. Anzi, è praticamente irresistibile per i pesci. Anche noi carpisti possiamo sfruttare questo potenziale attrattivo, semplicemente frullando un po’ di larve e infilando il “succo” all’interno delle pastelle e delle pasture. È un’operazione da stomaci forti (occhio alla puzza e agli schizzi), ma funziona!

SONO PURE “MIMETICI”: la nuvola di larve attira le carpe sospettose nascondendo per bene il rig, in questo caso una boilie.

lanci dovranno essere morbidi e senza strappi, sennò le larvette vanno a farsi friggere!

Piace a tutti

Ma c’è dell’altro, a partire dall’odore delle larvette (a molti può dare fastidio), proseguendo con le allergie (alcuni pescatori sono costretti a maneggiarli con i guanti di lattice) e terminando con la scarsa (o nulla) selettività di queste larve. Infatti, non è che il bigattino attiri solo le carpe. Al contrario, dal più piccolo al più grande dei Ciprinidi, alborelle, triotti, scardole, caras-

si, cavedani, barbi e tinche non aspettano altro che una bella “pioggia” di larve. Le carpe devono sgomitare con tutti questi “cugini” affamati, se vogliono banchettare con i cagnotti. Certo, se grosse carpe sono nei paraggi di una fiondata di bigattini e sono affamate, i “piccoli” se ne staranno alla larga, accontentandosi di piluccare poche larvette sfuggite alle baffone. Comunque, è chiaro come il bigattino sia, in sé, un’esca poco selettiva. Insieme alla scarsa durata in acqua, è questo il suo più grande difetto.

SOLO PER STOMACI FORTI: il frullato di bigattini funziona bene ma... guai a farlo con la pancia piena!

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bigattino

Per renderli più duri Usando la farina disidratante le larve si trasformano in bocconi irresistibili

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er rendere le larve di mosca carnaria più grosse e dure possiamo sfruttare un prodotto nato per la pesca al colpo e per il legering. Si tratta della cosiddetta “farina disidratante”, una polvere bianca (o giallastra) che, miscelata alle larve, ne tira fuori il meglio. I bigattini abbinati alla farina disidratante diventano più grossi e il corpo diventa meno flaccido. Pur non perdendo vitalità, questi si induriscono e ci rendono più facili le operazioni d’innesco. Inoltre, sono più resistenti una volta calati sul fondo: cavedani e compagnia bella dovranno faticare un po’ di più prima di mettere fuori uso il nostro rig!

Conservarli è dura

Dobbiamo considerare ancora due aspetti negativi. Il primo è intuitivo: in pesca è difficile conservare i bigattini belli vispi per più di una giornata. Questi “scalmanati” si agitano nei contenitori dove li mettiamo e più si agitano, più si scaldano. Più si scaldano, più accelerano il processo di trasformazione in mosconi. Oppure in caster, quando vengono soffocati dalla stessa ammoniaca prodotta dai loro corpi durante lo sfregamento. È un bel guaio, che si può “tamponare” portando con noi i contenitori termici per le bibite, oppure i frigo da auto alimentati tramite l’accendisigari. È ovvio, rischiamo di passare il limite della “fantapesca”, ma se vogliamo tenere con noi i bigattini per più di 10 ore non possiamo fare altrimenti.

Trattati come fuorilegge

Il secondo “guaio” sono le leggi. Come abbiamo visto, in tutto il Friuli Venezia Giulia è vietato non solo usare ma anche

detenere i bigattini. È un caso estremo, che non si scosta però di molto da ciò che avviene in tutta Italia, dove i regolamenti di pesca limitano la quantità di bigattini che i pescatori possono utilizzare per ogni giorno di pesca. In media, non si possono usare (e quindi tenere in postazione) più di 500 grammi di larve di mosca carnaria al giorno: una “miseria”, pensando alla quantità di granaglie che utilizziamo di solito per “preparare” i nostri spot.

Niente miracoli, ma catture sì

Dopo questa carrellata, il lettore potrà essere rimasto con l’amaro in bocca. Ma come, si è detto che bigattini sono un’esca devastante e poi, alla luce dei fatti, sono più i motivi per non usarli che quelli per usarli? In realtà, dobbiamo allontanarci di qualche chilometro dal concetto di “esca miracolosa”. Non lo sono i bigattini e neppure le boilie: entrambi (forse) lo sono stati in passato, ora non più. Però, possono ritornare a

esserlo in particolari situazioni solo grazie al nostro “coraggio” e alla nostra voglia di osare. Per farla breve, qui non stiamo dicendo che i cagnotti debbano sostituire le palline e le granaglie nelle pasturazioni, e nemmeno che queste ultime siano “superate”. E neppure vogliamo lanciare la “moda delle larve”, tutt’altro: il nostro intento è quello di mettere la pulce nell’orecchio, di stimolare la creatività e l’originalità di chi legge queste righe. Abbiamo voluto descrivere un’esca con cui le carpe si catturano alla grande ma che per maggior parte degli angler è ancora la Cenerentola delle esche da carp fishing. E, forse, è tutta colpa della pigrizia: una sessione di pesca “a base di larve” è una prova fisica più che un momento di relax. Tuttavia... avete a disposizione mezza estate, tutto l’autunno e il freddo inverno per trovare il “bacio del principe” che esalta Cenerentola. E noi aspetteremo le vostre foto: saranno il premio più bello per ridare la giusta dignità ai bigattini!

CI VUOLE CORAGGIO ma le carpe si catturano bene pure con le esche “alternative”.

ricorda il latte in polvere. Versiamo pochi grammi di farina disidratante nei bigattini (ripuliti dalla segatura) e agitiamo il contenitore. Trascorsi 10 minuti, le larve saranno più consistenti. Pronte per il rig.

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Il Medusa rig Con la maggot clip o con la cork ball, un montaggio da situazioni “estreme”

N

ella mitologia greca, Medusa è una fanciulla mortale che viene trasformata in un terribile mostro dalla gelosa Atena dopo essere stata sorpresa in tenere effusioni d’amore con il re del

mare, Poseidone. Atena è spietata: tramuta in serpenti i capelli di Medusa e non le permette mai più di essere guardata da un mortale. Da quella notte, infatti, chi osa osservarla diventa subito una statua di pietra. Cosa

c’entra il mito di Medusa con i bigattini? Beh, basta dare un’occhiata alla sequenza fotografica qui sotto per capirlo: nel Medusa rig i bigattini sono fissati per la coda a una pallina di sughero o a una maggot

clip (specifico ago ricurvo, inventato in Inghilterra proprio per questo scopo) e, muovendosi, ricordano i terribili serpenti che addobbano la testa della sfortunata amante di Poseidone.

Con la maggot clip 1

2 Infiliamo un bigattino dietro l’altro per la coda. L’ago deve passare sottopelle perché, se la larva “scoppia”, muore e non è più attrattiva.

Queste sono le “maggot clip”: si tratta piccoli e sottili aghi ricurvi che vanno fissati al termine dell’hair rig con un semplice nodo.

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Ecco fatto: dopo aver “addobbato” per bene la nostra maggot clip, non dobbiamo far altro che chiuderla e prepararci al lancio.

Con la cork ball 1

Il sistema si basa sull’impiego di una pallina di sughero come “base” per i bigattini, che andranno poi incollati uno a uno.

2

Non bisogna cospargere la pallina di colla, bensì “bagnare” i bigattini uno alla volta dalla parte della coda. Poi li fissiamo con una leggera pressione.

3

Dopo qualche minuto, sulla pallina di sughero spuntano i “capelli” di Medusa: rimarremo impietriti davanti alla bellezza di questo rig!

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Paradisi

nostrani

Ospiti dei ragazzi del club Civitanova Wild Angler: una vera sicurezza!

Torpedo esplosive 56

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Il suono acuto e continuo di un avvisatore che strilla, una canna piegata che punta l’acqua, la frizione che frigge. Poi la ferrata: non si ferma, punta il fondo e chiama filo. Se riusciamo a farla arrivare sul materassino… avremo le braccia a pezzi! Siamo in provincia di Macerata, nella valle del Chienti, e questo è un posto che pacifica l’animo (e piega i polsi)…

a cura di Giulio Marcone e Paolo Meneghelli 57

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Sorprendenti

Marche

«S

embra che qualcuno spenga la luce per accendere un abatjour». Si esprimono con queste parole i nostri accompagnatori per descrivere il momento in cui il sole, ancora splendente, scompare a ovest dietro la collina lasciando il lago nell’ombra. Un’ombra dalle sfumature dorate che riverberano a lungo sulla superficie dell’acqua prima che calino le tenebre. Poi la luce molto lentamente si affievolisce, con gentilezza, fino a diventare un lumicino. Gli occhi si abituano in maniera graduale alla notte. Che arriva dolcemente, senza neanche farsi notare.

Ma la notte… sì!

Ebbene sì, qui a Polverina, come anche in altri laghi delle Marche, si può pescare di notte e si può campeggiare senza l’assillo di prendere una salatissima multa. Del perché e del percome di questa buona regolamentazione ne discutiamo più compiutamente con l’approfondimento nella pagina successiva e nell’intervista a pagina 22 che ha come protagonista Pietro Cicchetti, vicepresidente di Cfi e punto di riferimento per i carpisti marchigiani. È a lui che ci siamo rivolti per organizzare una visita in questa bella terra, magari pescando, magari in un bel lago… magari con bravi carpisti! Oltre a Cicchetti, infatti,

a raccontarci tutto del Polverina sono Michele Micucci e Massimo Mazzoni del club Civitanova Wild Angler, ottimi e simpaticissimi pescatori che ci hanno teso la mano mettendo da parte la gelosia per i “posti di casa”, sentimento che sembra caratterizzare tanti carpisti in tutta Italia. I più sgamati potranno storcere il naso, considerando il Lago di Polverina come un ripiego rispetto ai più ambiti Caccamo e Le Grazie: grosse carpe nel primo e giganteschi amur nel secondo. E invece si devono ricredere, perché questo è un lago splendido: poca confusione, carpe di medie dimensioni (ma possiamo giurare che ci sia dell’altro) che tirano come locomotive e una pesca per niente facile, anzi!

Fra sogno e realtà

Questo non è un posto sconosciuto ai carpisti italiani: già negli anni Novanta c’era chi passava le sue giornate qui aspettando una partenza (Massimo Mantovani ha anche girato un video su queste sponde, nel lontano 1996). Ma non è mai davvero decollato, non ha mai ricevuto l’attenzione che merita. Certo, voci di corridoio dicono che qualcuno, nel più completo anonimato, abbia fatto ottime catture in queste acque. Si parla persino di regine belle grosse… ma si sa che le leggende a volte sono realtà gonfiate a uso e consumo dei so-

Il sole si adagia lento dietro la collina lasciando il lago nell’ombra Ospitalità marchigiana. Da sinistra a destra, le nostre (brave) guide: Pietro, Massimo, Michele e Marian.

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gnatori. Noi possiamo dirvi che, documentate, in queste acque ci sono carpe di buone dimensioni: 10-12 chili se va bene, 6-8 le catture più frequenti. Vi sembra poco? Aspettate di vederle e di… sentirle: lunghe e sfinate, sono vere torpedo da combattimento che ci faranno impazzire una volta allamate, puntando sempre il fondo anche quando riusciremo a schiodarle dalle grandi profondità (mica facile). La pinna caudale a galla che sbatte tra mille schizzi e il muso in direzione opposta alla nostra e cocciutamente rivolto verso il basso: far prendere la classica boccata d’aria a queste indiavolate è un’impresa! Per farla breve e per mettere subito le cose in chiaro, di questo lago o ci si stufa in due sole notti o ci si innamora perdutamente… Tanto da scommettere che qui qualcosa di grosso c’è, non può essere altrimenti. Anche perché il fondale ha una buona riserva di alimento naturale (anche cozze e pochi gamberi) e il predatore che fa selezione è il siluro, che qui cresce in maniera spropositata raggiungendo e persino superando i 2 metri.

CATTURA CON DEDICA: la piccola Giulia non ha molta dimestichezza con la lettura (4 anni sono ancora pochi) ma chiede sempre al suo papà Michele Micucci (in foto) di leggerle ad alta voce i racconti di pesca. Questa volta avrà una bella sorpresa: il suo papà dedica a lei questa cattura.

Un fiume, tre laghi

Il bacino di Polverina viene formato da uno sbarramento sul fiume Chienti, lo stesso che alimenta i laghi di Caccamo e Le Grazie. Si raggiunge imboccando la statale 77 dall’usci-

Carpista, sei in regola! G

razie al magnifico lavoro delle sedi marchigiane di Cfi, molto si sta muovendo in questa bella regione per quanto riguarda la pratica del carp fishing (non a caso, abbiamo intervistato il marchigiano Doc e vicepresidente di Carp Fishing Italia Pietro Cicchetti - pagina 22 - per chiedere lumi sui tanti risultati raggiunti). Qui a Polverina si può campeggiare e praticare

la pesca notturna alla carpa (tranne nel periodo di divieto, dal 15 maggio al 30 giugno) con due canne e 1,5 chili di pastura giornaliera (se vi trovano con troppa pastura in tenda sono guai); si può usare la barca ma solo per spostarsi, scandagliare e piazzare i segnalini; non si possono usare barchini radiocomandati (e neanche tenerli all’asciutto sul luogo di pesca, occhio!) e vige

Pesca notturna ok… ma qualche limitazione c’è l’obbligo del no-kill per la carpa. Sono grandi risultati, non c’è dubbio, anche se troviamo strano il fatto che non si possano recuperare i pesci dalla barca (d’altronde sarebbe una regola che pensa più alla salute delle carpe che alla felicità dei pescatori). Il limite di pastura è un po’ (un bel po’) basso, specie in un lago come questo, ma bisogna accontentarsi. Magari un giorno…

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Sorprendenti

Marche

ta Civitanova sull’Adriatica. Il contrasto fra la caotica autostrada piena di gitanti (almeno nei mesi estivi) e la quiete della strada che ci porta alla meta è forte: dopo aver superato la bella Macerata, che rimane un po’ lontana sulla nostra destra, paesi e case si fanno più rade, lasciano il posto alle colline e ai boschi, ai girasoli, alle querce e ai laghi… dopo una sessantina di chilometri dall’uscita dell’autostrada c’è Le Grazie, si vede a occhio nudo poi Caccamo e dopo ancora (doquando c’è calma piatta: ve la superstrada si interrompe ecco il primo scalino “hot”. e iniziano i “lavori in corso”) finalmente vediamo il Lago di Polverina incrociando la diga sul versante ovest. Gli accessi al bacino non sono molti. In realtà sono solo cinque quelli giusti: vi spieghiamo come raggiungerli nelle ultime due pagine di Da monte a valle questo servizio. Da que(da sud a nord) la sti potremo scegliere se raggiungere le poste profondità cresce a piedi oppure se farlo gradualmente caricando tutta l’attrezzatura sulla barca. Un avvertimento: il giubbetto salvagente è sempre la prima cosa da ricordare di mettere nel bagagliaio prima di partire... non facciamo stupidaggini!

Piegano gli ami B

ocche dure e callose come poche quelle delle carpe del Polverina: sul labbro inferiore hanno un callo osseo da far spavento (tutte, escluse solo le piccolette). Potrebbe dipendere dal fondale sul quale si cibano, fatto di sabbia, fango ma soprattutto di pietre. Tuttavia, lasciando da parte le ipotesi sul perché abbiano bocche tanto dure, è necessario spendere due o tre parole su… come bucarle. In tre o quattro occasioni, dopo la cattura l’amo è risultato inservibile perché con la punta letteralmente piegata. E in un caso l’amo si è persino aperto (un ottimo uncino del numero 2), fortunatamente senza provocare una slamata.

Profondità crescente

A questo punto non ci resta che suddividere il lago in zone più o meno grandi con caratteristiche differenti, tanto da dare indicazioni utili per la scelta del posto. Qui, infatti, non esistono postazioni numerate oppure con nome e cognome come siamo abituati a vedere in altri e più famosi bacini. La parte a sud, quella subito dopo l’ingresso del fiume ha il fondale più vario, complice anche il fatto che lì corre il vecchio letto del fiume. Quest’ultimo non attraversa il lago tagliandolo a metà, bensì costeggia la sponda destra (spalle a monte) per poi perdersi a meno di metà bacino. Trovare questa “lunga buca” può essere la svolta: piazzare le esche in questo punto, come spesso accade anche in altri bacini, è una buona mossa. Dal vecchio corso del fiume in direzione della sponda sinistra, invece, il fondale è basso e, proprio nella parte iniziale del lago, è pieno di vecchi tronchi che fuoriescono dall’acqua offrendo uno spettacolo suggestivo e diventando un riparo sicuro per le carpe. Vicino a questi alberi, però, non si può

pescare, perché fanno parte della riserva di frega con divieto di pesca permanente. Non ci resta che tentare di intercettare i pesci che entrano ed escono dalla riserva con strisciate di pastura e inneschi lanciati a profondità e distanze diverse.

Pochi punti di riferimento

La parte centrale del lago non è molto profonda, 8-9 metri al massimo (dipende dal livello), ma c’è una particolarità che non dobbiamo trascurare: proprio sotto l’accesso 1 (consultate la cartina a fine servizio), dove stanno facendo i lavori di ampliamento della superstrada, corre (sommersa) una vecchia strada che forma uno scalino netto, piatto e duro: qui ci dicono che le carpe girano spesso, sia sopra sia sotto la strada. Più ci si avvicina alla diga e più la profondità aumenta, arrivando a 15-16 metri poco prima dello sbarramento. Sembra quasi che stiamo liquidando la descrizione del fondale di un’intero invaso con generiche considerazioni e qualche dritta su un paio di spot. In realtà, questi sono i primi elementi da conoscere: la profondità aumenta

E li spuntano pure: non sono carpe ma demoni con le pinne! Strano, se si pensa che stiamo parlando di pesci da 8-10 chili. Eppure è così: le sfuriate davvero fuori dalla norma di queste belve inferocite mettono a dura prova tutta la nostra attrezzatura. Una volta puntato, l’amo viene sottoposto a trazioni fortissime e, proprio perché le carpe hanno le bocche dure, la punta è la prima a cedere, piegandosi. Tra l’altro, non possiamo permetterci di utilizzare uncini troppo spessi e con punte da “bocche morbide”, anzi: la punta acuminata è una prerogativa necessaria per mettere a segno lo strike, così come un piombo dal peso adeguato (130-140 grammi) che assesti

la prima ferrata e uncini dal filo grosso e dalla pancia profonda (per intenderci, i classici “a schiena di maiale”). Certo, lanciare questi pesi (con il sacchetto, tra l’altro) è impegnativo, per noi e per l’attrezzatura. Sono necessari, quindi, shock leader da 0,50-0,60 millimetri, canna da 3 libbre come minimo e… un braccio allenato. Molto utile poter fare un lancio above “appoggiato”, così da aumentare la gittata. Come fare senza rendere inservibile l’amo? Basta infilare il terminale in un sacchetto, così la punta non sarà a contatto con il suolo e non potrà spuntarsi.

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precisione... nel lancio: il segnalino è il nostro punto di riferimento alla base del primo o secondo scalino.

... e sensibilità per accompagnare l’esca nel punto migliore: archetto chiuso e filo in tensione: ecco come fare a “guidare” la zavorra sulla parte mediana del pendio senza farla “spiombare” e incagliare.

Pietre, sabbia e fango: sott’acqua è così... teniamone sempre conto 61

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Sorprendenti

Marche

Pod piantato a terra Uno o due picchetti sono d’obbligo per non vedere il cavalletto ribaltato

I

rod pod sono studiati per avere grande stabilità con qualsiasi angolazione. Tuttavia, ognuno di noi sa che in alcune occasioni questo non basta. Quando c’è forte vento laterale, per esempio… Ma in questo caso non si tratta di difendersi dalle sferzate più violente di Eolo, bensì dalle partenze fulminanti delle carpe di Polverina: non stiamo affatto

scherzando, le torpedo del lago schizzano come siluri verso il largo (dimenticatevi le partenze a singhiozzo) e piegano le canne come fossero fuscelli (blocchiamole bene sul buzz bar inferiore). In questi casi, specie se siamo obbligati a tenere le punte che sparano verso l’alto, anche il pod può cedere a tanta violenza ribaltandosi verso l’acqua. Provare per credere…

SEGNALI Chiari. Sopra, il “futuro” fondale con il bacino alto; sotto, lo stesso tipo di fondo ricoperto dall’acqua. Un gran bello spot!

gradualmente da monte verso valle e ci sono due spot da leccarsi i baffi, ovvero il letto del fiume e la strada sommersa. Tutto il resto del lago è davvero un intrico di scalini, plateau, buche, fondali che digradano velocemente e altri che vanno giù dolcemente. Insomma, un po’ ovunque ci sono fondali interessanti, molto interessanti, e un po’ ovunque abbiamo una caratteristica comune: due o tre scalini (in base al livello) più o meno accentuati che condizionano fortemente la pesca.

Pesca di scalino

In qualsiasi punto del lago ci si piazzi, è bene sapere che di fronte a noi avremo sicuramente uno scalino. Ci sono due possibilità: o è a pochi metri dalla riva, oppure è più lontano, appena oltre un fondale che digrada dolcemente. In entrambi i casi

è proprio questo salto di profondità a condurre i giochi. Si può pescare sopra allo scalino (in acqua bassa), a metà del pendio e anche alla base, dove il fondale ritorna piatto. Ancora più complicato scegliere il punto esatto dove lanciare se di fronte a noi non abbiamo solo uno ma due o addirittura tre scalini uno dietro l’altro, tutti facili da raggiungere con un buon lancio di 70-80 metri (chi riesce a lanciare ancora più lontano chiaramente aumenta le proprie possibilità). Come scegliere la profondità giusta? Su quale scalino lanciare se ce n’è più di uno? A queste domande è possibile rispondere prendendo in considerazione alcuni fattori fondamentali: pioggia, vento, sole e calma piatta. Le indicazioni di seguito, meglio farlo notare, sono utili soprattutto per il periodo estivo, da

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NIENTE RECORD ma le prede sono interessanti: è difficile superare i 10 chili, la media è di 6-7.

giugno inoltrato a settembre, per intenderci.

Che tempo fa…

Ci dicono che qui quando il vento viene da monte è buono, in tutti gli altri casi ferma le catture. In effetti abbiamo potuto constatare questa affermazione: un giorno intero di forte vento da sud ha praticamente fatto impazzire gli avvisatori dei nostri ciceroni. Ovvio, il moto ondoso smuove il fondo e batte con più vigore sulla base degli scalini, accumulando la pastura che abbiamo lanciato e portando alla luce il cibo naturale. Nel caso ci sia, durante il giorno conviene lanciare alla base del secondo scalino, su profondità che vanno dai 4 ai 6 metri, perché in genere è più lontano da riva che i branchi di torpedo nuotano quando c’è ancora il sole. Le ore notturne appena dopo una giornata ventosa, invece, sono ottimi momenti per

Madonna se tirano! Farle sgallare è fatica. Guadinarle? Si suda, si suda!

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Sorprendenti

Marche provare la base del primo scalino, la metà del pendio e addirittura il basso fondale prima dello scalino stesso: i fondali bassi si rimescolano ancora di più (specie quelli più sabbiosi) e le carpe accostano solo al buio, quando si sentono più sicure. In questi casi potrebbe essere facile beccare anche qualche esemplare solitario… magari quello giusto, quello da foto.

Pioggia porta catture

Questa è la più intuitiva delle regole: specialmente durante i mesi più caldi, un temporale o anche una pioggia insistente possono cambiare le sorti di una pescata cominciata storta. Il principio è pressoché lo stesso del vento, ovvero il fondale si rimescoIl cobra è l’arma la (solo se la pioggia è perfetta per forte) e i pesci vanno in frenesia. C’è anche pasturare i nostri da dire che l’acqua si spot a tiro di lancio riossigena e l’aria subisce un cambiamento di pressione che, notoriamente, è un “ingrediente” che

Livello ballerino

sblocca l’apatia. In questo caso è bene provare più profondità, concentrandosi sulla parte alta dello scalino o a metà del pendio, tenendo in considerazione sempre la differenza fra notte e giorno: con il buio meglio in acqua bassa e durante il giorno meglio fondali più profondi. Tuttavia, visto che abbiamo soltanto due canne a disposizione, conviene cominciare con entrambe le soluzioni per poi vedere quale rende prima e meglio…

Con la canicola

Lasciamo perdere l’abbronzatura modello “Baywatch” che due o tre giorni su queste sponde possono regalare e concentriamoci su come il sole forte e l’assenza di vento possono influire sulla nostra sessione. Verrebbe spontaneo a tutti lanciare nei punti più profondi, anche sui 10 metri, e in effetti è la cosa migliore da fare quando la canicola è insopportabile (per noi e per i pesci). Tuttavia, dopo una giornata di sole forte, appena prima dell’alba e subito dopo (specie sulla sponda de-

stra dove il sole arriva tardi), lo sbalzo termico, seppur minimo, riporta i pesci sulle profondità medie (4-6 metri) dove in genere si pesca di più.

Buono tutto l’anno

Quanto detto finora non deve far pensare a Polverina come a un lago prettamente estivo. Certo, con la bella stagione la conca d’acqua si riempie di profumi, di colori e di catture veramente da sballo. In realtà, Polverina è uno spot molto interessante in tutti i mesi dell’anno. Naturalmente il nostro approccio dovrà cambiare mese per mese: la pesca di dicembre non è quella di maggio, così come quella di ottobre non è quella di aprile. In un lago che offre così tante variazioni di fondale non è facile trovare il punto giusto al momento giusto, ma ci si può provare seguendo alcune semplici regolette.

A fil di riserva

Partiamo dalla primavera, cioè dalla fine del mese di marzo quando il lago, che si trova leggermente in altura, inizia a

Si alza e si abbassa in poche ore

c’è una bella differenza tra i livelli d’acqua: in 12 ore il lago “si mangia” anche 5 metri di sponda.

L

a diga che sbarra il corso del Chienti formando l’invaso di Polverina serve ad alimentare una centrale idroelettrica dell’Enel (così come quelle degli invasi di Caccamo e Le Grazie formati dallo stesso fiume). In base al prelievo più o meno massiccio, quindi, il livello dell’acqua può alzarsi e abbassarsi a vista d’occhio. Durante la nostra permanenza abbiamo assistito a uno sbalzo

considerevole: mezzo metro in una notte. Teniamone conto quando dovremo piazzare i pod, tenendoli un po’ lontani da riva e con le punte delle canne verso l’alto, così da evitare che la lenza madre possa toccare il terreno prima di entrare in acqua. Ovviamente, occhio a dove piantiamo la tenda! Per quanto riguarda la pesca, invece, questa particolarità (comune a molti invasi

artificiali) incide sull’appetito dei pesci: quando il livello si abbassa sembrano diventare più apatici e meno disposti a mangiare, mentre quando si alza pare accadere il contrario. Abbiamo scoperto l’acqua calda: questa è una regola della pesca in generale e non del carp fishing in particolare. Tuttavia, se qualcuno di voi non la conoscesse, ora può rivendersela…

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In una sola parola: soddisfazione! Chi cattura qui può andare a testa alta

risvegliarsi grazie ai primi caldi raggi di sole. In questo periodo non dobbiamo avere dubbi e fiondarci immediatamente nella parte meno profonda del bacino, cioè quella rivolta a monte. Apparirà scontato, ma è qui che le carpe vanno a rifugiarsi per la riproduzione. Anche chi non è mai stato a Polverina si accorgerà a prima vista della bontà di questo settore. La parte più a monte è dominata dalla riserva, che nei mesi primaverili è totalmente sommersa: vediamo alberi che perforano l’acqua e tendono al cielo. Dove troveranno il posto giusto per riprodursi le nostre prede? Ovviamente, qui... dove noi non possiamo pescare! Possiamo però appostarci poco lontano, cercando di intercettare le baffone in entrata e in uscita dalla riserva.

Meglio in gruppo

Se dovessimo scegliere un punto preciso, consigliamo di pescare sulla sponda destra, poggiando le lenze lungo il letto del fiume o negli scalini che ci sono intorno. Si fa pesca di “intercetto”, provando (magari in coppia) a posizionare i rig in punti diversi per scovare il passaggio delle baffone. Una volta sentite le prime partenze non dobbiamo far altro che adeguarci al trend e spostare anche le altre canne. Insomma, conviene pescare in gruppo per trovare la chiave di volta il prima possibile e quindi divertirsi tutti. Le pasturazioni non potranno essere massicce, visti i limiti imposti dal regolamento, ma non dobbiamo aver paura di esagerare: teniamoci qualche boilie per gli inneschi e per i sacchettini in Pva e iniziamo subito alla grande con una

bella “spolverata” di esche. È l’unico modo che abbiamo per fermare i branchi almeno per un’oretta.

Chi le ferma in autunno?

Dobbiamo adottare una strategia simile anche qualche mese più tardi, cioè dopo l’estate, quando le temperature iniziano a scendere, le foglie si fanno gialle e il lago inizia ad “addormentarsi”. È arrivato l’autunno e le Carpe di branco, baffone hanno tanta facatture di gruppo! me: si muovono freneticamente su e giù per Prima il silenzio e il bacino alla ricerca di in due ore l’inferno! qualcosa che gli riempia la pancia. Vedremo partenze a raffica per un paio d’ore, poi il silenzio, fino a quando un altro branco non entrerà in pastura. In realtà, 65

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Sorprendenti

Marche

Se solo ci fossero più carpisti... La “pressione” a volte serve, eccome!

qui a Polverina funziona sempre così, ma in autunno il fenomeno “partenze da branco” è decisamente più accentuato. Ecco perché non dobbiamo avere il “braccino corto”, ma iniziare subito la pescata con una pasturazione importante: dopo ogni cattura, rilanceremo le lenze accompagnandole con un sacchetto di Pva in attesa della partenza successiva.

Tra i 5 e i 9 metri

Il LIMITE DI PASTURA è di 1,5 chili: il sacchetto di Pva è necessario per non lasciare l’innesco “solo”.

Quanto agli spot, in autunno abbiamo l’imbarazzo della scelta perché le carpe sono molto “mobili”. Qualche chance in più ce la danno i settori con acqua profonda, per intenderci quelli che vanno dalla parte centrale del lago fino alla diga. Le profondità tra i 5 i 9 metri sono le più indicate per ottenere catture autunnali: è in

questo range che si trovano gli scalini più ripidi, lungo i quali le nostre prede si spostano in cerca di cibo. Un approccio di pasturazione “violento” ci dà parecchie chance fino ai primi giorni di novembre. Poi, quando comincia a fare veramente freddo, l’attività delle carpe rallenta e noi dovremo limitarci a pasturare pochissimo, con 1020 palline intorno all’innesco e un piccolo sacchettino di Pva.

Attese di ghiaccio

L’inverno è una stagione da duri, le catture sono molto rare ma è l’unico momento che abbiamo per cercare la “bella”. A Polverina, come abbiamo visto, le carpe di media taglia sono tante, arrabbiate e affamate. Arrivano prima sulla pastura e spazzolano via tutto quello che abbiamo gettato in acqua. È per questo

che catturare le poche big del lago è molto ma molto difficile. Le nostre guide, però, ci hanno messo la pulce nell’orecchio, raccontandoci addirittura di una over catturata nel punto invernale per eccellenza: la zona della diga. Il segreto di questo spot sta tutto nella profondità, che scende fino ai 15 metri. Cercare le carpe in tali “abissi” potrà sembrare un azzardo, ma qui non lo é: non bisogna aspettarsi una partenza dietro l’altra come in estate, tantomeno la big alla prima notte. Però, con un po’ di cocciutaggine, un approccio delicato e un sacco a pelo affidabile, l’impresa non è poi impossibile.

Mais (tanto) e boilie (poche)

Quanto alle esche, il discorso è un po’ complicato. I nostri

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esperti hanno puntato subito sul granturco, fin dalle prime notti di pesca, cercando di creare una zona “interessante” per le baffone. La spiegazione che ci hanno dato è stato questa: i carpisti che pescano qui sono pochi e le carpe devono essere attirate sugli inneschi. Il mais è l’esca veloce per eccellenza: è gialla e contrasta bene con il fondo (attrazione visiva), piace sempre alle carpe per il suo gusto dolce (attrazione gustativa) e, soprattutto, mette in moto gli enormi cavedani che a loro volta attirano le carpe. Ovviamente non si tratta di un approccio semplice, perché dovremo abituarci a catturare tanti “disturbatori” prima di poggiare qualche carpa sul materassino. Ma è forse quello che ci permette di catturare di più... più in fretta. Altrimenti, l’altra soluzione a nostra disposizione è quella di pasturare poco, anzi, pochissimo, solo con il sacchetto di Pva che ricopre l’innesco. In questo caso dovremo curare con attenzione la ricerca dello spot e... prepararci anche a qualche notte con gli avvisatori malauguratamente muti.

Stramaledetti cavedani! N

on è un caso se su queste sponde si accalcano tanti pescatori al colpo: fissa, roubaisienne, bolognese… tante canne in fila per tentare carassi, savette, scardole e grandi nonché combattivi cavedani. Ovviamente, anche le nostre boilie diventano succulenti bocconcini per questi scrocconi, specie se intendiamo fare un fondo di pastura a base di mais, esca da carp fishing che richiama più di tutte le altre il pesce di disturbo, e se peschiamo nelle zone molto battute dai pescatori al colpo e quindi sempre pasturate con sfarinati. Una soluzione vera non c’è: possiamo provare a pasturare solo con boilie (di dimensioni generose) e cambiare spot

se proprio non rusciamo a stare in pesca più di un’ora di fila. Oppure potremmo tentare di lanciare l’innesco “fuori pastura”, alla larga dalla zona presa d’assedio. Tuttavia, bisogna considerare anche i benefici che cavedani, scardole e carassi offrono a noi pescatori di carpe: smuovono il fondo, creano una zona di interesse e frenesia alimentare, espellono pezzetti di mais e boilie in lungo e in largo (ricordate i pesci postini?) e, di conseguenza, possono aiutarci a incuriosire le belle torpedo del lago. Insomma, volendo o non volendo dovremo farci i conti, magari cercando di usare questi disturbatori a nostro vantaggio.

Bello da morire, ma non facile

Ci lasciamo con una considerazione molto importante: non si pensi che questo sia uno spot da pivelli, di quelli che “tanto faccio venti partenze di carpotte”. Col cavolo! Se non curiamo in maniera maniacale la scelta dello spot (con tanto di ore passate sull’eco per piazzare i segnalini), se non pasturiamo a dovere, se lanciamo tanto per lanciare senza precisione, se mettiamo un terminale qualunque pensando di essere in un carpodromo… beh, siamo completamente fuori strada: questo è una fantastico invaso artificiale che ha quasi quarant’anni di vita e che può ben dirsi “inselvatichito”. E se si considera anche che qui ci pescano in pochi, pochissimi, va da sé che catturare diventa una cosuccia parecchio impegnativa. E da gente con gli attributi. Stranamente è proprio questo che manca al lago: un po’ più di “pressione di pesca”. Più palline in acqua, più pasturazioni a lungo termine, più pescatori in genere. Questo lago può crescere ancora… e anche le sue carpe!

QUESTIONE DI CEPPO: le specchi (foto sopra) sono rarissime e la loro livrea è davvero unica. Ma ci sono anche le regine panciute (foto sotto): tirano meno però... crescono di più!

Dopo tre di fila l’imprecazione è perdonata

c’è ANCHE chi li apprezza: Polverina è il “regno” di molti pescatori al colpo. Loro amano i cavedani, noi un po’ meno...

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Sorprendenti

Marche

I punti d’accesso sono cinque A

bbiamo preso come punto di riferimento il bivio di frazione Ponte La Trave sulla superstrada 77 che costeggia la sponda sinistra dell’invaso. È il nostro “punto zero”: da qui azzeriamo il contachilometri e seguiamo le indicazioni qui di seguito per raggiungere i

punti d’accesso. L’accesso numero 1 (l’unico utile ai nostri scopi sulla sponda sinistra) è bene raggiungerlo dal bivio, anche se dobbiamo superare l’accesso per poi tornare indietro. Il motivo di questa scelta, che sembrerebbe illogica, è presto detto: è

necessario viaggiare da ovest verso est (da sinistra a destra della cartina, per intenederci) perché non si tratta di un incrocio vero e proprio ma di una strada che porta al cantiere per l’allargamento della superstrada. Svoltare a sinistra provenendo dal paese

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di Polverina, quindi, è molto pericoloso: evitiamo! Per raggiungere le altre postazioni viaggeremo dal bivio in direzione Pievebovigliana Fiastra e poi subito a sinistra sulla provinciale 138 in direzione Polverina.

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3 2 punto zero

PUNTO ZERO IL PUNTO ZERO è il bivio di frazione Ponte La Trave: da qui azzeriamo il contachilometri e seguiamo le indicazioni di seguito per non sbagliare accesso. Appena dopo il bivio dobbiamo girare a sinistra in direzione di Polverina, mi raccomando. Per pedanteria, e per aiutarvi ancora di più, vi offriamo anche qualche buon punto di riferimento “visivo”.

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Dopo aver raggiunto la sponda ci si può spostare a piedi e anche in barca ACCESSO 1

L’ACCESSO NUMERO 1 dista 1.800 metri dal punto zero. Si gira a destra imboccando la strada che porta al cantiere e ci si ferma poco dopo una lapide che ricorda due pescatori ai quali il lago ha rubato la vita (un’occasione in più per ricordare la prudenza). Il cantiere è chiuso da un cancello… chiuso per modo di dire: durante il giorno è spalancato, di notte è accostato. Da qui ci si muove a piedi se vogliamo rimanere in zona e necessariamente in barca se vogliamo pescare in altre zone della sponda sinistra. Qui pescano spesso e volentieri tanti pescatori al colpo: educazione prima di tutto… non disturbiamoli inutilmente mettendo in acqua la barca proprio sopra il loro galleggianti!

ACCESSO 3

L’ACCESSO NUMERO 4 dista 2.400 metri dal punto zero. Lo riconosciamo perché c’è una strada di ghiaietto bianco che porta a un’abitazione privata (che incanto poter abitare lì…). Ma occhio: non dobbiamo imboccare proprio lo sterrato ma parcheggiare prima (c’è lo spazio utile) e seguire una freccia nera che indica un sentiero che porta al lago. Da qui possiamo scegliere se spostarci a destra o a sinistra oppure se mettere la barca in acqua per raggiungere altre zone: la distanza tra auto e sponda è corta… anche se un po’ ripida e infrascata nel primo tratto. ACCESSO 4

L’ACCESSO NUMERO 2 dista 1.400 metri dal punto zero. Il punto di riferimento è un piccolo spiazzo (si riconosce dai bidoni per la raccolta differenziata) dove possiamo parcheggiare l’auto. Un sentiero (molto lungo, un carrellino è consigliato) ci porta fino a un punto di appostamento per bird watcher. Per arrivare alla postazione dovremo continuare sulla destra seguendo il sentiero… ma meglio fermarsi un attimo proprio nel punto di appostamento. Da qui, infatti, si prendono le misure per delineare la riserva di frega (dove non si può pescare mai): guardando il lago da questo punto, tutto quello che è alla nostra sinistra è riserva, mentre a destra si può pescare. Ci aiutano a orientarci anche una serie di vecchi tronchi affioranti: al limite di questi comincia la zona di divieto. ACCESSO 2

L’ACCESSO NUMERO 3 dista 2.000 metri dal punto zero. Lo riconosciamo da un traliccio dell’alta tensione sul declivio che porta al lago e da uno svincolo per la chiesa di san Giovanni sulla destra. Una strada sterrata ci porta fino all’acqua. O meglio, i primi cinquanta metri vanno bene per qualsiasi auto (si può anche parcheggiare), mentre per proseguire ci vuole un fuoristrada e un po’ di esperienza alla guida (non facciamo gli eroi). Altrimenti servirà forza fisica e qualche viaggio su è giù per la collina per portare tutto l’occorrente sulla sponda… ma questo non dovrebbe spaventare nessuno di noi.

ACCESSO 5

L’ACCESSO NUMERO 5 dista 2.700 metri dal punto zero. Impossibile non vederlo: una stradina (molto ripida) porta a un ampio parcheggio di ghiaietto, con tanto di staccionata che lo delimita. Da qui parte un percorso natura abbastanza frequentato (gradevole, tra l’altro) ma mai pieno di gente. È il punto più frequentato dai pescatori al colpo… ma c’è spazio per tutti, anche per noi “invasori” carpisti e per tutto l’armamentario che ci portiamo dietro. Un sentiero piuttosto comodo (anche se leggermente ripido) ci porta dal parcheggio al lago.

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