Paradisi
nostrani
a cura di Paolo Meneghelli
Grazie a un gruppo di bravi carpisti e alla lungimiranza delle istituzioni locali, da quasi cinque anni questo bel bacino toscano è al centro di un progetto per la promozione del carp fishing. Giovanni Martini e i soci della sede 175 Cfi Garfagnana ci hanno spiegato perché è bello pescare a Gramolazzo. Ci hanno convinto, con la proverbiale (e quanto mai gradita) ospitalità toscana 24
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Gramolazzo
Carpe della Garfagnana
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Lago di
gramolazzo
Che dolce melodia! Gli avvisatori bippano a manetta, l’adrenalina sale...
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a barriera di Milano sud è alle spalle ormai da quasi 200 chilometri. È il primo bollente weekend di agosto e ci ritroviamo a pennellare con prudenza i tornanti dell’autostrada della Cisa. La Versilia, con le spiagge dorate e la sua luccicante movida, è una sirena che ci tenta da vicino. Ma non possiamo tradire la meta prefissata: dopo mesi e mesi di lavoro vogliamo concederci una breve vacanza davanti al pod. E niente ci può fermare. “Aulla”, indica il cartello: imbocchiamo l’uscita e, superato il piccolo casello, siamo pronti a inerpicarci sui pendii delle Alpi Apuane. La nostra meta è la Garfagnana, terra di natura incontaminata, di ottima cucina e di relax. Ci stanno aspettando sulle rive di un bacino idroelettrico che dal 2005 è al centro di un progetto di rilancio che coinvolge proprio il carp fishing. Un’occhiata al navigatore e ci prepariamo alla curva successiva: mancano solo 30 chilometri al Lago di Gramolazzo.
Un altro mondo Il panorama cambia lentamente, chilometro dopo chilometro. Le strade ampie e le case lasciano ben presto spazio a stretti tornanti di montagna e a impenetrabili boschi. «È il regno del porcino, qui», sussurriamo tra noi superando Pallerone, Serricciolo, Gassano, piccoli paesi che spuntano fieri dal dorso della montagna. Attraversiamo Casola in Lunigiana e infine ci mettiamo alle spalle Pieve San Lorenzo. Dal finestrino entra aria che sa di natura, mentre qualche vispo insetto per qualche istante decide di accompagnarci nell’abitacolo durante la nostra scalata. Il lago pare non arrivare più: dopo una curva cieca, eccone un’altra e un’altra ancora. Infine, dopo una decina di chilometri abbondanti immersi nel verde totale (ah, benedetta ombra!), ecco il paese di Minucciano. Ci siamo: al lago mancano meno di due chilometri. E così ci concediamo l’ultimo sguardo da turisti: non appena la perla
è una diga e ha oltre 50 anni Fa parte della rete dell’Enel ed è connesso al Lago di Vagli
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a diga che forma il Lago di Gramolazzo è dell’Enel e risale agli anni Cinquanta, più precisamente al 1952, quando terminano i lavori di costruzione della murata alta oltre 37 metri. Il lago, che si trova nel comune di Minucciano (Lu), a 602 metri
sul livello del mare, ha una superficie di circa 1 chilometro quadrato e raccoglie le acque di due immissari, il torrente Acqua Bianca, che nasce dal Monte Pisanino (1.946 metri, la cima più alta delle Alpi Apuane), e il Serchio di Gramolazzo. Quest’ultimo
prosegue poi a monte della diga come emissario e, unendosi al Serchio di Sillano, forma il vero e proprio Fiume Serchio. Il bacino ha una portata di quasi 4 milioni di litri d’acqua ed è connesso all’imponente Lago di Vagli, e al piccolo Vicaglia, che
vi “scarica” acqua tramite una condotta a caduta. È per questo motivo che a Gramolazzo l’acqua non è mai calda: dal Vicaglia entra acqua gelida e non è un caso se, in estate, le trote si concentrano proprio intorno alle griglie della condotta.
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CHE BANDA! Ecco le nostre guide: da sinistra a destra, Orazio Malatesta, Sauro Particelli, Giona Borghesi, Giovanni Martini (il presidente), Egidio Regoli e Matteo Spinetti.
azzurra appare sulla nostra destra, torniamo pescatori. O meglio, carpisti.
con il classico piglio toscano e non vedono l’ora di raccontarci il “loro” lago.
Veri appassionati
Progetto “carpista”
Specificare la tecnica di pesca è importante, in questo caso. Il Lago di Gramolazzo è infatti al centro di un progetto di rilancio eco-turistico basato proprio sulla tecnica del carp fishing, approvato grazie alla collaborazione tra carpisti locali, Comune di Minucciano e Provincia di Lucca. A raccontarci tutti i segreti del lago saranno otto angler del club Cfi Garfagnana, sede 175 di Carp Fishing Italia, capitanati da Giovanni Martini, responsabile della sede e mente di tutti i progetti legati al carp fishing in questo bacino. Ecco gli altri ragazzi: Matteo Spinetti, Orazio Malatesta, Giovanni “Giona” Borghesi, Egidio Regoli, Aurelio Rizzo, Sauro Particelli e Michele Levrini. Hanno simpatia da vendere, ci accolgono
Capiamo subito quanto il bacino sia importante per questi pescatori. Giovanni Martini è un fiume in piena: «Il progetto è stato approvato solo nel tardo 2005, pur essendo pronto già nel 2004», racconta, «ci è voluto un anno e mezzo per convincere le istituzioni che il carp fishing poteva funzionare come “traino” per promuovere la pesca ecosostenibile nel lago. Dopo mesi e mesi di lenta burocrazia ce l’abbiamo fatta, ottenendo dal responsabile provinciale per la caccia e la pesca, il dottor Bertolucci, 25mila euro per dare inizio al tutto. Questa è la prima volta che in Toscana approvano un progetto rivolto esclusivamente alla carpa: di solito, i fondi vengono concessi solo per progetti riguardanti i Salmonidi».
Soldi spesi bene
Le due basi su cui poggia il progetto sono stati prima i ripopolamenti e poi la promozione del lago. «Grazie ai fondi ottenuti dalla Regione Toscana, tutti provenienti dal regolare versamento della licenza di pesca, nel 2006 abbiamo provveduto a un primo ripopolamento del lago con 25 quintali di carpe», racconta Martini, «di peso tra i 5 ai 12 chili, provenienti dall’allevamento di Simone Rocchiccioli, a Vada, in provincia di Livorno. Un secondo ripopolamento è avvenuto invece nel 2007, con 4 quintali di carpe. Il lago è stato ripopolato con 29 quintali di carpe in totale, il 90 per cento regine e il 10 per cento specchi, per una spesa di 20mila euro. Con altri 8mila euro, invece, abbiamo realizzato la cartellonistica informativa, portando a termine anche alcune palizzate».
Un ottimo club e un progetto ad hoc: qui i carpisti sono i benvenuti
VANNO TRATTATE BENE: è questa la prima regola per chi pesca al Gramolazzo.
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Lago di
gramolazzo
Gli svuotamenti totali finora hanno impedito alle carpe di crescere bene
Ora sono al sicuro
I CAPISALDI della sede 175: crescita dei giovani (foto sopra) e “adesione” allo statuto Cfi (foto sotto).
Ma erano proprio necessari i ripopolamenti? «Assolutamente», spiega Martini, «perché il Lago di Gramolazzo ha subito negli anni diversi svuotamenti totali. Le carpe che vi nuotavano prima del ripopolamento provenivano dal Lago di Como. Sono state immesse nel 1998 e hanno avuto problemi: non sono cresciute e non sono riuscite a riprodursi, perché dopo la frega il livello del bacino viene abbassato dall’Enel e le uova muoiono quasi tutte. Oggi possiamo vedere con chiarezza due ceppi ben distinti di carpe nel lago: le regine lunghe, magre, con la bocca minuta e piccolissime, cioè quelle “vecchie”, che nuotano con carpe più grassocce e in forma, le “nuove”. La cosa più importante, però, è che d’ora in avanti la popolazione di carpe non verrà più minacciata dagli svuotamenti totali dell’Enel, perché il progetto prevede un piano di recupero e quindi di reimmissione dell’intero stock di baffone. Poi, faremo pressioni affinché il livello dell’acqua sia mantenuto il più costante possibile».
Procedure rigide
Insomma, ci pare di capire che il rilancio riparte da ciò che noi carpisti amiamo di più: le carpe. Scopriamo che i ripopolamenti hanno seguito rigidissimi protocolli sanitari, controllati da un ente incaricato dalla Provincia di Lucca, poi dalla Asl di Lucca e quindi dal Comune di Minucciano. «La procedura è stata molto rigida», continua Martini, «le carpe provenivano da un ambiente con temperatura dell’acqua a 16 gradi e abbiamo aspettato quindi che l’acqua del lago raggiungesse quella temperatura. Poi l’intero stock di pesce è stato seguito da un ente specializzato affinché non presentasse malattie al momento dell’immissione. Gli esperti erano lì con noi quando le carpe sono state rilasciate. Abbiamo chiesto di inserire anche qualche amur, ma non ce l’hanno permesso: l’ente provinciale ha detto no perché il bacino si trova a 600 metri sul livello del mare, un ambiente non adatto alla specie».
Non solo turismo
Martini e la sua “ciurma” si illuminano mentre parlano di
questo progetto. Pare un’eresia sentir dire dagli angler locali che i carpisti “forestieri” sono i benvenuti nel loro lago, oppure che di Gramolazzo si deve parlare perché è un lago splendido, dove ci si può divertire in compagnia senza troppe preoccupazioni. «Ovviamente», ci spiega Martini, «alle istituzioni noi dobbiamo portare un riscontro. Abbiamo fatto volantinaggio al Carpitaly, abbiamo creato link nel sito della Provincia, abbiamo mandato notizie alle riviste del settore». E ha funzionato? «Sì», prosegue, «negli ultimi anni c’è stato un buon incremento di pescatori. Sono arrivati angler dall’Emilia, dal Piemonte, dalla Lombardia, dalla Liguria. E tutti quelli che sono venuti qui hanno espresso il desiderio di tornare. Non solo per le carpe, in fondo qui non ci sono bestioni record, quanto per la tranquillità, per il paesaggio, per la possibilità di pescare in sicurezza con la famiglia e con le compagne. E, perché no, per la possibilità di collegare alla sessione di pesca una piccola vacanza con escursioni nei boschi della Garfagnana o negli innumerevoli
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Protette davvero In caso di svuotamento integrale, le carpe verranno restituite al lago
MAGICO AUTUNNO. Le foglie cadono e i turisti se ne vanno: è il momento di sfidare il Lago di Gramolazzo.
percorsi enogastronomici della zona». Insomma: relax, natura, funghi porcini e ottima carne. E la pesca? Le canne sono ormai pronte e le nostre guide pure.
Nella confusione
Osservando Matteo, Giona, Orazio ed Egidio, ci siamo resi conto che qui non servono accorgimenti tecnici esagerati e che a farla da padrone è soprattutto l’esca “storica” per le carpe, il mais. Le baffone sono molto “ricettive” nei confronti dei letti di pastura, soprattutto perché si spostano in branco. Una volta trovata una fonte alimentare (le nostre esche), inizia una vera e propria battaglia a chi mangia di più. È a questo punto che i pesci abbassano il livello di guardia che le caratterizza quando si spostano in solitaria o a piccoli gruppi: diventano più “tonte” e noi le catturiamo una dietro l’altra. A Gramolazzo si deve puntare sulla pesca “di branco” anche per tentare le più grosse. Conta molto la fortuna, come ci spiegano i ragazzi della sede 175: bisogna “pescare” il classico jolly dal mazzo, dove il mazzo sono la miriade di piccole carpe che abitano queste ac-
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ome gran parte dei bacini dell’Enel, il Lago di Gramolazzo necessita di essere svuotato quasi integralmente, in gergo tecnico deve essere portato al “livello zero” affinché i tecnici possano procedere alla pulizia e alla messa in sicurezza delle griglie, delle turbine e della murata. Ma che fine fanno i pesci? «Fino a qualche anno fa, il bacino veniva svuotato ogni 10 anni, ma oggi sono 12», ci spiega Giovanni Martini, «molto probabilmente Gramolazzo
verrà portato al livello zero tra il 2011 e il 2012. È già pronto un progetto e sono stati stanziati i fondi per il salvataggio delle carpe: verranno recuperate con le reti e poi ospitate in apposite vasche, fino a quando il livello non sarà riportato alla normalità». D’altronde, non potrebbe essere altrimenti: le carpe sono un patrimonio e la Provincia di Lucca ha speso quasi 30mila euro per i ripopolamenti. «Anche l’Enel ha alcuni obblighi», dice ancora Martini, «per
esempio dovrà risarcire la Provincia per tutti i pesci che moriranno in seguito allo svuotamento del lago. Il prezzo è stabilito sulla base delle fatture emesse durante i due ripopolamenti. La nostra speranza è che si possa evitare lo svuotamento integrale, perché l’Enel adotta a volte anche un’altra strada, cioè quella degli svuotamenti parziali in lassi di tempo più brevi. Ma comunque vada, d’ora in poi le carpe del Gramolazzo saranno al sicuro!».
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Lago di
gramolazzo que. Dobbiamo recarci al lago con buone quantità di mais o di micro-granaglie e preparare rig semplici. Martini e compagni utilizzano line aligner, D-Rig, e anche montature con anellino che tengono l’esca vicinissima alla curvatura dell’amo. E non sbagliano un colpo.
Si lancia lungo!
L’unica vera difficoltà è la distanza di pesca: le carpe transitano (e si alimentano) molto lontano da riva. «Una volta», ci spiega Martini, «si prendevano anche a due passi dal pod, soprattutto nella parte nord del lago. Piano piano, però, i branchi hanno cominciato a girare sempre più al largo, sia per una questione di Le prede pascolano diffidenza sia per “colpa” dei carpisti. È per a buona distanza che alcuni peda riva, soprattutto questo scatori locali vorrebbenella parte centrale ro vietarci l’utilizzo del natante». Una musica già sentita: gli angler scaricano grandi quantità di pastura molto lontano e le carpe,
ovviamente, modificano le loro rotte di alimentazione ignorando completamente il sottoriva, dove di cibo naturale ce n’è poco. Infatti, Gramolazzo è un bacino idroelettrico: il livello dell’acqua viene alzato e abbassato periodicamente, quindi il benthos non ha le condizioni per proliferare come accade nei laghi naturali.
Colpa nostra?
Ma c’è di più, e ce lo spiega ancora Martini: «Il Gramolazzo è balneabile e, con l’arrivo della bella stagione, si riempie di turisti, soprattutto danesi e statunitensi, che non hanno problemi a tuffarsi anche quando l’acqua è fredda. Ci è capitato di vedere gruppi di studenti danesi attraversare il lago a nuoto anche in piena notte! Alle carpe questo baccano non piace, ecco quindi che preferiscono girare al largo dalla confusione, prediligendo i settori centrali del bacino o la sponda opposta. Non è un caso che le catture sottoriva, o comunque en-
tro i 30 metri, si registrino solo quando cala il buio».
Dalla fionda al bait rocket
E allora, prepariamoci a lanciare lungo. Diciamo “lanciare” perché, anche se al momento possiamo ancora utilizzare la barca per calare e pasturare, ben presto (entro la fine dell’anno) quest’ultima operazione sarà assolutamente vietata. Insomma, dovremo arrangiarci da riva. Possiamo innanzitutto creare un tappeto di granaglie tra i 20 e i 30 metri da riva con il cucchiaione e la fionda: ci serviranno per garantirci la “copertura” del sottoriva nelle ore notturne. Poi, inizia la fatica: pastureremo con il bait rocket (il missile pasturatore), ben oltre i 70 metri da riva. È una faticaccia, perché per creare una buona zona di alimentazione potremo essere costretti anche a due-tre ore continuate di lanci e recuperi, da ripetere ovviamente in caso di partenze multiple. Ma funziona
Regole in evoluzione Al momento non ci sono restrizioni, ma entro la fine dell’anno qualcosa cambierà
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Gramolazzo non servono permessi speciali: è sufficiente la licenza regionale. Si può pescare di notte, si può campeggiare con qualsiasi tipo di tenda e si possono usare tre canne. La barca è consentita, così come l’ecoscandaglio e il motore elettrico. Non vi sono
limitazioni sulla quantità di pastura e nemmeno all’utilizzo del natante: qui possiamo scandagliare, piazzare i marker, calare, pasturare e recuperare il pesce, ovviamente indossando sempre il giubbetto di salvataggio. Però, entro un paio di mesi il regolamento
cambierà. Non si potrà più pasturare dal natante: è quanto scaturito da un accordo tra il Cfi Garfagnana e le associazioni di pesca locali, che caldeggiano una limitazione all’utilizzo della barca, ritenuta, a loro dire, la causa dello spostamento a centro lago anche delle carpe
più piccole. Quindi, sulla barca non si potranno più tenere secchi di granaglie e nemmeno una manciata di boilie: al momento del “giretto”, a bordo saranno ammessi solo la canna e l’innesco. Ovviamente, vi informeremo non appena entrerà in vigore il nuovo regolamento.
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Accidenti SE TIRANO! Le carpe garfagnine sono indiavolate: anche le piccolotte ci fanno divertire parecchio.
e non è un caso che sia stata la strategia applicata dalla nostra Nazionale per sconfiggere la Francia nell’incontro amichevole che si è svolto nel 2007 proprio a Gramolazzo. «È stato l’evento più importante che abbiamo organizzato», racconta Martini, «insieme allo stage di preparazione al Mondiale nel settembre 2008». Infine, ci resta un’opzione molto efficace: la pasturazione con palle di sfarinati utilizzando la “fionda da canna”. Sulla canna da rocket, a fine lenza, dobbiamo legare un apposito “sacchetto” che ricorda (in grande) quello di una normale fionda. Poi, dobbiamo creare palle di pastura ben pressata grandi come mandarini, posizionarle nel sacchetto e lanciare con violenza. Una volta che la palla ha preso il volo, dopo pochi secondi, blocchiamo il filo con un dito: il sacchetto rilascerà la palla di pastura che potrà così volare a distanze siderali. E, una volta sul fondo,
andrà a creare una nuvola attrattiva molto invitante.
Sfruttare la frenesia
Ricapitoliamo: a Gramolazzo si fa pesca “di branco”, utilizzando grandi quantità di granaglie e lanciando a lunga distanza. Martini ci dà un altro consiglio, parlandoci di “approccio dinamico”. Ce lo spiega così: «Bisogna sapersi adeguare ai movimenti dei branchi. Per esempio, immaginiamo di aver creato una striscia di una trentina di metri di granturco a 60 metri da riva. Bene, a un certo punto un branco di carpe entrerà in pastura e sentiremo così la prima partenza. Subito dopo la seconda e poi la terza. In questi casi è sempre bene concentrare le canne nella zona che regala partenze per approfittare della frenesia, spostando una seconda canna nelle vicinanze del punto clou. Ma poi il lasso di tempo tra una partenza e l’altra si dilata notevolmente: è a
questo punto che dobbiamo muoverci, spostando di nuovo una canna al di fuori della zona pasturata, ma sempre nelle vicinanze. Capita infatti che i branchi, ridotti a causa dalle nostre catture, ispezionino (e sostino) nelle vicinanze del letto di pastura per qualche tempo, prima di spostarsi verso nuove fonti Le di cibo». Semplice, no?
A due facce
microgranaglie e i pellet sono al momento più efficaci delle boilie
Ciò che abbiamo appena detto riguardo agli aspetti tecnici vale per tutto il lago. In poche parole, in ogni postazioni possiamo partire da questa base per poi modificare in corsa la nostra strategia di pesca, giocando sia di esperienza sia di fantasia. Capito questo, partiamo con una panoramica sulle diverse postazioni. Prima di iniziare bisogna notare che Gramolazzo ha, dal punto di vista paesaggistico, due “facce”, una che
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Lago di
gramolazzo
I DUE volti SELVAGGI DEL LAGO: nella foto sopra vediamo le sponde innevate già alla metà di novembre. Sotto, ecco un assaggio della pendenza e dell’asperità delle sponde orientali. In entrambi i casi, ci vuole molta prudenza.
possiamo definire “civilizzata”, l’altra completamente selvaggia. Ce ne accorgiamo se osserviamo le due sponde lunghe opposte, cioè quella nord-ovest e quella sud-est. La prima è quasi interamente costeggiata da una strada statale ed è caratterizzata da abitazioni, bar, ristoranti e piccoli alberghi. La seconda è... come madre natura l’ha fatta, cioè selvaggia: fitti boschi di castagni lambiscono l’acqua e piantano le loro radici in un terreno duro e dall’aspra pendenza. Pescare da questa sponda è il sogno di tutti, ma dobbiamo accontentarci del tratto “civile”. Infatti, la sponda est è ripidissima e i boschi sono troppo fitti per poter ospitare un accampamento. Nella maggior parte dei punti non c’è nemmeno posto per i pod e la conformazione rende pericolose sia la fase di attesa sia quella di recupero del pesce. Certo, la zona merita, soprattutto perché è la preferita dalle carpe che cercano riparo lontano dalla confusione. Possiamo pescarci solo quando il livello del lago è basso, raggiungendo i punti agibili con la barca, oppure calando direttamente dal natante. I nostri esperti ci hanno garantito che ci si diverte davvero. Alcuni piazzano le tende nella sponda “comoda”, per poi pescare solo durante di ore di luce sulla sponda oppo-
sta, e ritornano alla base poco prima del buio.
In acqua bassa
Se in senso longitudinale il lago può essere diviso in due fette, nel senso della larghezza le parti sono tre: una bassa, una media, e una alta. Aiutandoci con la cartina a pagina 36 partiamo dagli immissari del lago, cioè dalla zona bassa (punto 1). È la prima che incontriamo quando, percorrendo Via Tonini, scorgiamo sulla destra l’azzurro dell’acqua. «Qui le carpe vengono a fregare», ci spiega Martini durante una rilassante perlustrazione in barca, «perché trovano acqua bassa, ostacoli sommersi e ossigeno costante grazie ai due immissari, l’Acqua Bianca e il Serchio di Gramolazzo». Non possiamo indicare postazioni precise, perché la sponda è una spiaggia lunga centinaia di metri. «Ma il punto buono è quello vicino agli arbusti semi-sommersi, soprattutto dopo che l’acqua sporca portata dalle piene degli immissari “decanta”», ammette Martini.
Il sole d’inverno
Per quanto generoso, il punto buon di cui sopra è difficile. Gli ostacoli che abbiamo davanti non sono morbidi canneti ma vere e proprie piante con rami e radici. Dobbiamo pa-
sturare e lanciare gli inneschi molto vicino, reagendo subito a ogni partenza, altrimenti tirare fuori le carpe diventa impossibile, anche con la barca. Oltre all’acqua bassa, abbiamo la possibilità di pescare lungo il letto sommerso del fiume Serchio di Gramolazzo: «Si snoda parallelo al primo pezzo di sponda, praticamente nel sottoriva. Con l’ecoscandaglio si nota che il fondo non è lineare ma “ondeggia” tra buche e cunette», ci dicono. Scopriamo poi che d’estate è meglio evitare questa zona. «Troppo casino», spiegano, «ci sono i bagnanti del campeggio e i turisti spesso si fermano su questa spiaggia. Va molto meglio in inverno, durante le giornate tiepide e terse: si cattura bene e a volte si riesce persino a vedere la carpa che mangia l’innesco in acqua bassa, vicino alle piante».
Solo per lanciatori
Proseguendo, incontriamo il settore più ampio, quello “centrale”, che comprende i punti contrassegnati con i numeri 2, 3 e 4 nella cartina a pagina 36. Anche in questo caso non possiamo indicare postazioni precise, perché siamo su una lunga spiaggia interrotta ogni tanto da grossi alberi e lo zona è omogenea. Qui non manca il parcheggio: a fianco della
NEL MIRINO: GIovanni Martini è la mente del progetto “Carp fishing al Lago di Gramolazzo”.
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carreggiata c’è sempre spazio per le nostre autovetture e, se proseguiamo fino al punto 4, troviamo un ampio spiazzo dove c’è posto anche per i camper. La zona centrale è quella da long range per eccellenza. È il tratto dove i consigli tecnici che ci hanno dato i nostri esperti trovano la loro migliore applicazione. Nella zona centrale del lago prende chi riesce a lanciare (e soprattutto a pasturare) lontano. Non ci sono altre difficoltà, perché il fondale è spoglio e digrada lentamente fino ai 5-6 metri. Ed è totalmente duro.
Vacanza e poi ...
La parte più interessante si trova in corrispondenza dei punti 5, 6 e 7, cioè nella zona “alta”. In realtà, a vedere la cartina, più che una zona alta sembra una zona “media”, ma oltre il pontile galleggiante che troviamo nel punto 7 non vi sono più postazioni per i carpisti. Le sponde sono ripidissime (affare da rocciatori...) e posto per la tenda non ce n’è. Ma questa zona si differenzia completamente dalle altre per la qualità del fondale. Più ci spostiamo verso l’alto, verso la diga, più la profondità aumenta. A tiro di lancio possiamo già pescare in 6-7 metri, appena dopo un tosto scalino che si trova a una trentina di metri da riva. Anche
Montatura in-line e trenino di mais È importante che l’amo si pianti subito: peschiamo carpe di branco in frenesia
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ui vanno alla grande i montaggi semplici. La maggior parte delle canne delle nostre guide è innescata con il mais, montato “a trenino” con tre o quattro chicchi più due pezzetti di spugna, e ben bilanciato in modo che poggi lentamente sul fondo. «Le boilie qui non hanno ancora ingranato», ci spiega Giovanni Martini, «le
carpe preferiscono riempirsi la pancia a più non posso e quindi non resistono ai letti di mais». Dello stesso avviso è Matteo Spinetti (nella foto sopra, lo vediamo pasturare dalla barca: ricordiamo che a breve non sarà più possibile), che ci spiega anche perché quasi tutti usano montature in-line: «Il peso del piombo si scarica subito sull’amo e
questo è importantissimo: a Gramolazzo si pescano al 90 per cento carpe “di branco”, che entrano a frotte e sono in competizione alimentare su grandi letti di piccole esche. La frenesia le porta a mangiare in velocità, “male” come diciamo noi pescatori. Per questo l’amo deve pungere subito: altrimenti, si rischiano slamate a ogni giro di manovella».
GHIOTTE DI chicchi: nella foto sotto, ecco le tracce di granturco che si trovano nei carp sack.
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Lago di
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Calare sponda a sponda è sbagliato, meglio imparare a lanciare lungo...
in questa zona si pesca lungo, ma di notte possiamo ottenere qualche bella soddisfazione pure nel sottoriva, soprattutto quando il livello del lago è alto. Il punto da noi contrassegnato con il numero 5 è il più comodo: alle spalle abbiamo bar, ristorante, pensioncina, parcheggio all’ombra, i tavolini da pic-nic e una fontana che spilla acqua fresca.
Pesca nel “fiordo”
La zona alta è ottima per le vacanze, ma propone anche una bella sfida dal punto di vista tecnico. Le buone profondità ci permettono di fare catture d’estate in pieno giorno, anche quando i bagnanti e i pedalò scorrazzano su e giù. E, soprattutto, di fronte a noi, abbiamo il tratto più generoso della sponda selvaggia. Davanti ai punti 5-6-7 si apre il “Grotto Pallino”: «Un piccolo fiordo», ci racconta Martini, «che penetra a fondo nel bosco. In mezzo c’è un plateau sabbioso dove le carpe passano spesso. Ci si può divertire per qualche ora, traversando il lago con la barca». Raccomandiamo una felpa, anche d’estate: è un punto perennemente in ombra e l’umidità si sente. D’altronde, siamo a 600 metri sul livello del mare. Qui a fine settembre è già autunno e a novembre di solito nevica...
Una bella regolata
La bellezza della sponda selvaggia, però, ha anche uno spiacevole rovescio della medaglia. Alcuni carpisti (ci è capitato di vederli proprio durante la realizzazione di questo servizio), caricano gli inneschi in barca e li calano contro la sponda opposta, anche in pieno giorno. È un atteggiamento discutibile, soprattutto perché il Gramolazzo è molto generoso che regala (tante) catture anche a tiro di lancio. Martini è categorico: «Ci hanno dato la mano e ci siamo presi il braccio. È per questo che stiamo antipatici agli altri pescatori. Credo che il nuovo regolamento ci aiuterà a limitare queste calate folli in pieno giorno, che creano problemi ai bagnanti, alle barche e, ovviamente, agli altri appassionati».
Basta poco
Insomma, ci vuole rispetto. Anche su un lago dove i carpisti sono benvenuti le buone maniere sono imprescindibili per godere pienamente della nostra passione, senza prevaricare i diritti degli altri. I club di pesca protagonisti dei nostri itinerari ce lo ripetono spesso: «Sottolineate bene che chi viene qui deve rispettare l’ambiente e chi lo vive». Lo ribadiamo con forza, perché non ci sembra vero di poter (finalmente!) arrivare in uno spot pieno di carpe senza
Italia vs. Francia «I
talia contro Francia? Un vero colpo di... fortuna»: è così che Martini inizia a raccontarci di quello che è considerato il più grande evento di pesca mai organizzato al Gramolazzo. «È stato un evento clou», prosegue Martini, «la Fipsas nel 2007 doveva organizzarlo a Ferrara, in un lago privato. Poi uno degli atleti della Nazionale, Riccardo Fanucchi, mi suggerisce di provare a organizzarlo nel “mio” lago. In quattro e quattr’otto preparo
tutto, compresa una visita al lago del responsabile Fipsas, Gigli, e del commissario tecnico, Vastano. Anche loro capiscono che Gramolazzo è “il” lago per Italia-Francia. L’organizzazione parte come un treno: mi sono dato da fare insieme con il responsabile dalle sede Fipsas di Lucca, Stefano Poli, e l’evento è riuscito nel migliore dei modi». Italia-Francia è una sfida amichevole che si svolge ogni due anni, un meeting (preso “in prestito” dalla pesca al colpo)
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doverci preoccupare della tenda, della barca, dei permessi, dei limiti di pasturazione. È un paradiso conquistato con il sudore e la tenacia da un piccolo e affiatato gruppo di carpisti e non merita di andare perduto per la prepotenza di pochi.
I personaggi Ecco chi sono i ragazzi del club Cfi Garfagnana
Grazie, Alessandro!
Arrivati alla fine del nostro viaggio, è difficile lasciare questa “barriera” blu che protegge la sponda selvaggia da quella “civilizzata”. E ci spiace salutare le nostre guide, gente di cuore, con una passione smisurata per il carp fishing. Angler legati a doppio filo alla propria terra, per nulla gelosi dei loro spot, che si emozionano a raccontare i segreti di un lago che vedono come una seconda casa. E a testimonianza della loro passione, concludiamo con un bel pensiero di Giovanni Martini: «Se siamo qui a pescare lo dobbiamo ad Alessandro Tramontana. Era il tecnico del Comune di Minucciano e ci ha supportato durante tutto il progetto, pur non essendo un carpista. Oggi non c’è più, ma io e il mio club vogliamo ricordarlo ogni anno con un memorial di carp fishing in suo onore. L’anno prossimo si terrà la seconda edizione: vi invitiamo tutti, perché se il carp fishing è uno dei simboli di questo lago, be’, gran parte del merito è proprio di Alessandro».
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urante la nostra lunga chiacchierata, Giovanni Martini ci ha parlato anche del “suo” gruppo. «Siamo un club relativamente giovane», spiega, «perché ci siamo formati nel gennaio 2009 come sbocco naturale del progetto “Carp fishing al Lago di Gramolazzo”. Prima della sede Cfi, tutti insieme abbiamo dato vita a “Save your lake”, un’associazione che rappresentasse gli angler davanti alle istituzioni. Infatti, in seguito all’approvazione del progetto è nato qualche malumore tra alcuni pescatori locali». Pare addirittura che
sia stato chiesto di vietare il carp fishing sull’intera sponda “comoda” del lago: «Sì, e sarebbe davvero un’assurdità», continua Martini, «perché la Provincia ha investito molte risorse nel nostro progetto. Cosa facciamo, restiamo con due postazioni in tutto il lago? È per questo che da “Save your lake” è nato il club Cfi Garfagnana: il nostro unico obiettivo è fare del bene al Gramolazzo». Ci viene raccontato che, per statuto, il ricavato di ogni manifestazione viene dato in beneficenza e che sono frequenti gli incontri
con le scuole. Ma c’è di più: questi ragazzi vogliono educare gli altri pescatori al rispetto del lago. Come spiega un aneddoto di Martini: «Il giorno dell’ultima apertura alla trota, il lago era pieno e tutto il club, maglietta bene in vista, ha fatto il giro delle sponde raccogliendo la spazzatura dei pescatori, anche quella lasciata “in diretta”». Insomma, il Lago di Gramolazzo ha proprio bisogno di noi. E del club Cfi Garfagnana: per ogni informazione, possiamo senz’altro contattare Giovanni all’indirizzo e-mail gioblack75@libero.it.
Una sfida all’insegna del fair play, altro che Mondiali di calcio! per condividere esperienze e verificare l’evoluzione della tecnica e delle strategie di due delle più forti nazionali di carp fishing. Un anno è ospite l’Italia, l’altro anno la Francia. «Abbiamo stravinto», prosegue sorridendo il responsabile del club Cfi Garfagnana, «perché i francesi hanno completamente sbagliato strategia. Pescavano con le boilie a pochi metri da riva, pasturando qui e là con le fionde. L’Italia giocava in casa e si è visto: i nostri atleti ci hanno dato dentro con il
rocket, creando grandi letti di granaglie a lunga distanza. Non c’è stata gara!». A vincere, però, è stato il fair play. «Non dimenticherò mai l’atmosfera di rispetto», conclude Martini, «vorrei vederlo in tanti altri sport: i pescatori delle due nazionali si aiutavano, si complimentavano e a fine gara parevano una cosa sola. Certo nessuno ci stava a perdere, ma di certo non mi aspettavo un clima così rilassato, a neanche un anno dalla testata di Zidane a Materazzi...».
DOPPIETTA PER I CAMPIONI: Emiliano Bani (a sinistra) e Riccardo Fanucchi (a destra) mostrano due belle regine.
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Lago di
gramolazzo
Il lago tra spot e natura 9
Legenda
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Hot spot Punto d’interesse
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Siamo esattamente a metà della sponda “comoda”. Sia a destra sia a sinistra abbiamo tantissimo spazio. È una zona da pesca a lunga distanza: i lanciatori più bravi qui fanno sempre strike.
Via Tonini diventa Via Rimessa. Sulla destra troviamo subito la prima posta. Le carpe fregano qui in primavera, tra gli arbusti sommersi e a pochi metri da riva, dove c’è il vecchio letto del Serchio.
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Proseguiamo per un centinaio di metri e inizia un tratto incredibilmente spazioso: abbiamo a disposizione una lunga spiaggia interrotta solo da qualche albero. C’è posto per tutti!
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“Le Puppe”: una statua che riproduce seni femminili. Ampio parcheggio e cassonetti per i rifiuti: usiamoli sempre!
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Ecco la bussola per non perdersi mai nella perla garfagnina: le poste e i punti di interesse 5
A sinistra c’è il bar Riva del Lago, a destra un parcheggio all’ombra di grandi alberi. Superiamo una staccionata e siamo all’acqua. Posta comoda, ci sono anche i tavoli da pic-nic e una fontana da cui possiamo bere acqua freschissima.
Si trova poco oltre la precedente, poco prima di una curva verso destra. Con la macchina scendiamo da uno sterrato sulla destra. La posta è inconfondibile: in acqua c’è un pontile galleggiante.
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Proseguiamo per cinquanta metri circa: sulla destra troviamo un vecchio casotto in mattoni. Scendiamo lungo una discesa sterrata e siamo al lago. Posta ampia e comoda, c’è spazio anche per tre angler.
Qui c’è la condotta a caduta del Vicaglia che butta nel lago acqua gelida. Non c’è posto per i carpisti, la parete è troppo scoscesa. Ma un paio di lanci con gli artificiali noi li faremmo...
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Ecco una grossa costruzione in cemento: è la chiusa da cui entra periodicamente l’acqua del Lago di Vagli. In questa zona il bacino è profondo. E ci sono tante carpe, ma qui si pesca solo dalla barca.
Siamo alla murata della diga. È alta più di 37 metri e segna la zona più profonda del lago. Qui non si pesca, ma la diga merita una visita: in estate, occhio alle carpe a galla!
In barca arriviamo al Grotto Pallino: è un punto curioso e meraviglioso dal punto di vista paesaggistico. Ricorda un piccolo fiordo. Sponde ripide e quiete assoluta: solo per angler “estremi”. Prestiamo sempre molta attenzione.
Troviamo una piccola piattaforma galleggiante e un bello spiazzo di prato: siamo al Camping Lago Paradiso. Ottimo per una vacanza rilassante, ogni anno ospita parecchi ragazzi danesi e americani.
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Pianeta
Esche
a cura di Fabio Gerratana e Paolo Meneghelli
La carpa è una grufolatrice ma ogni tanto non disdegna una visitina “al piano di sopra”. L’esca più veloce per fare catture a galla è il pane: scopriamo insieme perché un’esplosione d’acqua può essere più entusiasmante di una partenza al fulmicotone
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Pane! Carpe e amur in superficie A vviso ai naviganti: i “puristi” del carp fishing potrebbero essere colti da un fastidioso prurito leggendo le prossime pagine. Non vogliamo ingannare nessuno: chi pensa che la pesca alla carpa si riduca solo a boilie, avvisatori, rod pod e tende può pure passare oltre. Tratteremo infatti un metodo di
pesca alle baffone che non ha nulla a che fare con l’hair rig e i terminali in treccia. E prenderemo spunto proprio dai nostri “maestri” universalmente riconosciuti, gli inglesi. Tutto parte da un’esca eccezionale che i nostri nonni hanno sempre usato e che noi abbiamo ancora qualche difficoltà a impiegare. Stiamo parlando del pane: lo sfrutteremo in ba-
se all’unica strategia ad hoc per catturare le baffone, cioè la pesca a galla. Di ritorno dalle ferie, andiamo alla scoperta di una pesca dinamica, per certi versi più entusiasmante del carp fishing “dottrinale”. D’altronde, l’obiettivo è sempre lo stesso: catturare belle carpe.
Ieri lo usavano tutti, oggi quasi nessuno: eppure il pane cattura...
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Pane
a galla
Perché a galla? D’
estate le carpe sono davvero “antipatiche”. La stagione in cui la maggior parte di noi angler ha a disposizione qualche giorno di ferie coincide sempre con i loro momenti di apatia totale. Mangiano poco, sono lente Un’esplosione, due, e non danno certo il di sé nei comtre. Poi la pagnotta meglio battimenti. E la nostra sparisce in un tensione monta ulteriormente, se pensiaturbine di schizzi... mo che l’estate è il periodo in cui le carpe si fanno vedere di più. Già, perché le possiamo osservare spesso a galla, ferme, pacifiche, apparentemente senza alcun altro scopo se non quella di riposarsi. E magari noi abbiamo i rig lì sotto, qualche metro più in basso. «Eddai, scendete giù!», diciamo mentre lanciamo l’ennesima palla di pastura piena d’olio di pesce, convinti che le bollicine BUON DIVERSIVO: la pesca che risalgono in superficie a galla con il pane è una convincano le baffone a punstrategia micidiale nelle tare il muso verso il basso. piccole (e “pressate”) cave. Ma non succede nulla perché
non è quello il modo giusto: non sono le carpe che devono scendere, sono i nostri inneschi che devono fare capolino tra le baffone a pelo d’acqua. Il concetto di partenza della pesca a galla è tutto qui.
SEMBRA INCREDIBILE, ma anche con una strategia così “rudimentale” si catturano carpe eccezionali.
La bella stagione L’estate è la stagione giusta per provare questa tecnica, per il semplice motivo che le carpe... sono già lì. Per quanto apatiche, la loro indifferenza non dura più di qualche minuto quando gli lanciamo “in testa” alcuni pezzi di pane. Inizia una, poi un’altra, poi una terza, fino a quando si scatena una vera e propria competizione. Tombola! È il nostro momento: non appena vediamo che le baffone si mettono in moto sulle pagnotte dobbiamo lanciare l’innesco e aspettare il nostro turno. E non vale solo d’estate: all’inizio della primavera, quando le nostre prede si avvicinano ai settori con acqua bassa perché sono quelli più caldi (quindi adatti alla riproduzio-
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ne) pescare con il pane a galla può risultare davvero un’ottima idea. Tuttavia, l’estate resta la stagione regina per la pesca a galla, perché possiamo fare catture a tutte le ore della giornata, soprattutto in quelle più calde.
Competizione Le carpe sono lì in bella vista ma non riusciamo a prenderle. Capita soprattutto in quegli spot dove i pesci sono “pressatissimi”: queste povere creature sono spinte verso l’alto anche da noi pescatori. Infatti, quando tutto il fondale di un intero lago è tappezzato di montature e pure gli ostacoli sommersi sono “occupati”, l’unico posto in cui i pesci possono stare tranquilli sono gli strati d’acqua superiori. «Provate a prenderci!», sembrano dire. E noi siamo lì per quello! La pesca a galla è il top soprattutto nei piccoli am-
bienti come le cave. I nostri maestri inglesi (che solo cave hanno) farebbero sfracelli nei nostri laghi a pagamento: gli basterebbero tre pagnotte e un paio di occhiali con lenti polarizzanti. Perché non possiamo farlo anche noi? Quelle carpe che vediamo a galla anche a pochi metri da riva non sono irraggiungibili; basta “armarsi” nel modo adeguato e puntare dritti all’obiettivo.
Solo canne leggere Armiamoci, allora. Diciamo subito che la normale attrezzatura da carp fishing in questo caso può restarsene in garage. Ci bastano una canna con mulinello, un materassino, un guadino e una scatoletta con gli ami. E del pane, ovviamente. Quanto alle canne, le tostissime “bimbe” da 3 libbre in su non vanno bene. L’ideale è utilizzare attrezzi lunghi tra i 10 e i 13 piedi, con range di
Che scocciatori! Gli uccelli possono renderci impossibile la pesca
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e carpe adorano il pane e sono molto voraci se sono “in giornata”. Gli amur lo sono sempre, ma per tenerli in pastura abbiamo bisogno di “forniture” da fornaio. Ma dobbiamo fare i conti anche con papere, anatre e cigni. Sono molto “intelligenti” e capiscono quando c’è qualche furbo carpista che sta pescando a galla. Non c’è niente da fare: davanti al pane non resistono e sono in grado di rimandarci a casa con la coda tra le gambe, dopo aver
mangiato tutto quello che abbiamo gettato in acqua. Quindi, se abbiamo deciso di provare questa tecnica rassegniamoci a condividere con loro lo spazio... e il pane. Possiamo resistere in pesca qualche minuto in più utilizzando grandi quantità di esche, oppure spostandoci di frequente, così da non dare un punto di riferimento. Ma i pennuti vincono sempre, è matematico! Si fermano solo quando l’acqua comincia a “esplodere” per l’intervento di qualche baffona.
PUSSA VIA! Solo gli attacchi dei pesci sul pane tengono lontani gli uccelli.
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Pane
a galla potenza 1,75 libbre, massimo 2. È vero che avremo a che fare comunque anche con carpe molto grosse, ma scegliendo l’attrezzo dobbiamo tenere in considerazione pure il lancio e la fatica. Quanto al primo aspetto, canne troppo potenti ci impediscono di lanciare lontano l’innesco. Per il secondo, provate un po’ a tenere in mano per ore e ore una pesante canna da 13 piedi per 3,5 libbre e poi a reagire prontamente (questione di decimi di secondo) all’abboccata...
Avviciniamoci allo spot Abbiamo scelto il periodo (l’estate), lo spot (una cava) e l’attrezzatura (una canna “da stalker” da 1,75 libbre): ora non ci resta che avvicinarci all’acqua e iniziare a pesca-
Il vento non aiuta
re. Alt! Anche nella tecnica a galla è fondamentale la pasturazione. Dovremo quindi recarci la sera prima sul luogo prescelto con un po’ di pane per lanciarlo alle nostre avversarie. La quantità dipende dal numero di baffone che nuota nel lago, ma possiamo pure esagerare perché il pane piace tanto anche a “spazzolatori” quali carassi e scardole. Senza pasturazione preventiva le nostre chance calano un bel po’ e dovremo “metterci una pezza” la mattina seguente, pasturando appena arrivati sullo spot e aspettando qualche ora prima di lanciare. Ricordiamoci che dovremo convincere le carpe ad alimentarsi in una posizione “anomala” (verso l’alto) e che gli stiamo proponendo cibo un po’ diverso dal solito.
Sposta il pane e accompagna le carpe fuori dalla nostra portata
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el normale carp fishing lanciamo le esche e, a meno che non ci si trovi in fiume, rimangono sul fondo esattamente dove le abbiamo lanciate. Nella pesca con il pane non è così, anzi: basta un filo di vento per cambiare le carte in tavola e rivoluzionare (in meglio o in peggio) la nostra sessione di pesca. Da un lato la brezza potrebbe avvicinare le prede, aiutandoci ad attirarle vicino a riva. Dall’altra potrebbe malauguratamente allontanarle, portando il fulcro della loro attività lontano dai
nostri piedi. Il pane galleggia e si sposta molto facilmente anche con deboli folate. Se il pesce lo segue, può anche finire fuori dal nostro range di lancio. Insomma, rischiamo di dare da mangiare alle carpe senza catturarne nemmeno una. Quindi, meglio la calma piatta: se vediamo anche solo una leggera increspatura, smettiamo di pasturare e seguiamo il tragitto del pane, perché un altro settore potrebbe diventare improvvisamente produttivo. Ovviamente, si spera che sia vicino a riva!
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Si parte dal Palomar N
elle prossime pagine scopriremo che la pesca a galla può essere praticata sia con la lenza libera sia
È il nodo perfetto per collegare l’amo alla lenza
con il galleggiante. Le due tecniche hanno un particolare in comune, cioè il nodo di giunzione tra amo e lenza 1
madre. “Palomar”: si chiama così il nodo ad hoc che dobbiamo realizzare per avere tenuta, resistenza e sicurezza 2
Facciamo passare il capo libero della lenza madre nell’occhiello dell’amo a gambo lungo, senza la punta disassata, a filo sottile e molto affilato.
Creiamo un’asola facendo ripassare il capo della lenza nell’occhiello dell’amo. Occhio alla posizione dell’uncino: deve “dare la schiena” all’asola.
Infiliamo l’amo nell’asola grande, facendo attenzione a rispettare il verso e la disposizione che vediamo nella foto, altrimenti il nodo non si serra.
Il passaggio sembra complesso, in realtà è semplice. Tra due dita teniamo la lenza madre, con altre due l’amo: iniziamo a serrare il nodo, ricordandoci di bagnarlo.
“Incollato” e nascosto Il pane “giusto”, quello infallibile nella pesca alle carpe, non esiste, soprattutto se parliamo di pasturazione. Possiamo utilizzare il pane secco avanzato dalla tavola di casa, il pan carrè, il pane per i tramezzini, il pane “americano” e tutti quei prodotti confezionati che troviamo al supermercato per pochi euro. Tuttavia, è importante tenere in considerazione soprattutto la tenuta sull’amo: proprio per questo la nostra scelta ricade di prefenrenza sui pani “confezionati”, per intenderci quelli venduti in pagnotte già tagliate in sottili quadratini. Oltre a essere molto morbidi, questi pani possono essere modellati a piacimento (cosa importantissima per realizzare l’innesco, come vediamo a pagina 85). E, soprattutto, ci permettono di nascondere l’amo come una pagnotta non potrà mai fare.
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anche nei combattimenti più tosti. Nella sequenza qui sotto vediamo i passaggi per realizzarlo correttamente.
Via alle danze! Per andare sul sicuro, scegliamo pane di “grano duro” e pasturiamo. Prendiamo il quadratino di pane e pucciamolo in acqua per un attimo. Poi, stringiamolo con forza in un pugno perché si liberi di quasi tutta l’acqua assorbita. Una volta modellato a “palla”, è pronto per essere lanciato con la fionda: ci accorgeremo che, arrivato a destinazione, il pane riprenderà la sua forma quadrata e galleggerà come se non fosse mai stato bagnato. Ripetiamo la sequenza una decina di volte, fino a quando non avremo creato un “tappeto” di pane. L’innesco non va lanciato subito: bisogna aspettare le prime avvisaglie di attività, che si manifesteranno con bollate decise sul pane a galla. Solo le più grosse, però: se ci sono solo cavedani e scardole in attività, meglio aspettare il momento giusto, cioè il “rumoroso” arrivo delle baffone... o degli amur.
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A questo punto dobbiamo realizzare un’altra asola, piegando quella che abbiamo realizzato prima lungo la lenza madre.
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Il nodo è pronto: lasciamo pure un “baffo” di lenza in eccesso perché ci aiuterà a fissare meglio il pane all’uncino. PIEDI PER TERRA: la taglia media delle carpe prese a galla con il pane è bassa. Le piccolotte sono così golose...
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Pane
a galla
A lenza libera Canna, lenza e amo: un approccio semplice, intuitivo e molto efficace
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l metodo migliore per iniziare con la pesca a galla è quello che possiamo chiamare “a lenza libera”, soprattutto per la semplicità della montatura. Si tratta di una tecnica un po’ “primordiale” perché non prevede altro che una canna, una lenza e un amo. Insomma, è pura pesca!
All’ennesima potenza
Il punto di partenza è proprio la lenza. Ci sono diverse scuole di pensiero ma noi consigliamo di utilizzare il fluorocarbon come lenza madre. A galla sfruttiamo al meglio le sue caratteristiche: è un materiale che rifrange la luce in modo particolare e diventa praticamente invisibile in acqua se frapposto tra la fonte luminosa e l’occhio. In questo caso, tra il sole (che sta sopra) e la carpa (che sta sotto). Così riusciamo a camuffare la nostra presenza, rendendo il più possibile “naturale” l’innesco.
Scuole di pensiero
Tuttavia, c’è chi la pensa in modo diverso. Ad alcuni non piacciono due caratteristiche del fluorocarbon: lo spessore (quindi la rigidità) e le sue
proprietà affondanti. Secondo questi pescatori, un filo spesso vibra di più e quindi va a farsi friggere il “camuffamento” di cui abbiamo appena parlato. Poi il fluoro affonda e crea una fastidiosa “pancia” tra la canna e l’esca che ci impedisce di trasferire velocemente l’impulso della ferrata. È proprio per questi motivi che alcuni angler caricano sul mulinello trecciati finissimi, anche da 0,18-0,20 millimetri, legando solo alla fine uno spezzone di fluorocarbon lungo una volta e mezzo o due volte la canna. In questo caso, dicono, affondano solo gli ultimi 3-4 metri di lenza (fluorocarbon invisibile) mentre la treccia se ne sta a galla, favorendoci nella ferrata.
Andiamo per gradi
Entrambi i metodi sono validi e lasciamo ai lettori la curiosità di sperimentare. Però, la nostra opinione è chiara: la treccia va bene per migliorare le prestazioni di lancio, perché con un multifibra da 0,20 millimetri si va ovviamente più lontano e con meno fatica rispetto a ciò che si fa con un fluorocarbon da 0,30 millimetri (20 libbre circa di carico di rottura, il minimo
La “farfalla” di pane “B
utterfly”, la chiamano così in Inghilterra. Tradotto in italiano: farfalla. Non sappiamo quale somiglianza con il variopinto insetto abbia riscontrato chi ha coniato il termine, ma tant’è: gli inventori sono i pescatori inglesi e noi... dobbiamo “assorbire” quello che ci arriva da loro. Nella sequenza fotografica qui accanto vediamo tutti i passaggi per innescare il pane sull’amo. In questo caso abbiamo utilizzato il “pane americano”, ma lo stesso procedimento più essere seguito con le normali pagnotte o con la mollica. La forza di questo innesco sta nel mimetismo: l’amo è completamente nascosto nel “cuore” del pane, quindi lontano dalla vista del pesce.
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Puntiamo l’amo nella mollica del pane abbastanza vicino al “bordo” più duro.
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indispensabile). E poi si ferra bene anche con il fluorocarbon in bobina: basta modificare lo stile, come vediamo nell’approfondimento nelle pagine 8889. Noi preferiamo comunque la prima ipotesi perché ci piace ragionare per gradi: prima il pesce deve abboccare (e per questo è necessaria una lenza totalmente “mimetica”), solo a quel punto dobbiamo preoccuparci della ferrata.
L’amo giusto
A fine lenza dobbiamo legare un uncino a gambo lungo di taglia compresa tra il 4 e l’1. Usiamo un nodo Palomar (la sequenza di esecuzione è a pagina 83). È importante che la punta dell’amo sia affilatissima e assolutamente non disassata rispetto al gambo. Per aumentare il mimetismo, possiamo anche scegliere uncini ricoperti di Teflon, che smorza i riflessi della luce sul metallo e rende l’amo “invisibile”. Attenzione: con questa tecnica non sempre allameremo le carpe nel durissimo labbro inferiore. Anzi, a volte pungeremo le prede ai lati della bocca e (molto raramente) nel labbro superiore. Quindi, se vogliamo ridurre
l’impatto delle nostre ferrate, utilizziamo ami senza ardiglione: ne guadagnano i pesci, che soffrono meno, e anche noi, che renderemo i combattimenti ancora più entusiasmanti.
Lenta progressione
Innescare il pane è semplice, come possiamo vedere nel box qui sotto. Il difficile è lanciarlo. L’innesco è abbastanza pesante ma è tutt’altro che aerodinamico. Poi, abbiamo in mano attrezzi comunque potenti (2 libbre), non rapide canne da pesca all’inglese! Proprio per questo dobbiamo chiarire subito che non pescheremo a distanze siderali: 30 metri al massimo. E per arrivare a 30 metri dobbiamo... pregare di avere un po’ di vento a favore! L’innesco di pane è fragile e non possiamo “strappare” troppo con il gesto. Dobbiamo accompagnare la butterfly (la ‘farfalla” di pane) con un movimento progressivo e armonico, concentrandoci sulla distribuzione della forza in tutte le fasi del movimento. Pluf! Il pane è arrivato a destinazione nel bel mezzo delle pagnotte da pastura: se le carpe sono in zona e mangiano, sarà questione di attimi...
Il difetto del pane è la morbidezza. Bisogna lanciarlo con delicatezza
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L’amo va nascosto all’interno della mollica, altrimenti i pesci lo vedono 2
Facciamo passare tutto l’amo nel pane, trapassandolo con delicatezza.
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A questo punto l’amo va ripuntato dalla parte opposta, fissandolo nella crosta.
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L’innesco è quasi pronto: pressiamo il pane con la mano, lasciano “molle” la parte inferiore.
La “butterfly” è pronta. Ora: quest’innesco vi ricorda una farfalla? Che fantasia gli inglesi...
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Pane
a galla
Con il galleggiante L
L’astina rossa ondeggia, esita e poi si inabissa: è ora di ferrare!
a prima tecnica che ci insegnano da bambini è quella al colpo, con il galleggiante. Anche noi possiamo pescare a galla con il pane utilizzando il vecchio, caro galleggiante. È forse il modo più semplice per praticare questa tecnica perché ci consente qualche “distrazione”.
Ci vedono bene
LANCI PROBLEMATICI: pane e galleggiante hanno due masse diverse, quindi in volo si scompongono.
Il primo fattore da considerare è la comodità nella visione dell’abboccata. Non c’è storia: con il galleggiante le abboccate si vedono meglio. Per contro, la presenza del galleggiante è un elemento di disturbo per le nostre prede. Infatti, un conto è vedere a galla pezzi di pane, elementi che, per quanto estranei, mantengono una parvenza di naturalità; e un conto è vedere una sagoma colorata, oppure trasparente e rossa, ondeggiare sotto i colpi della brezza. Teniamo presente che, per quanto “orbe”, le carpe a galla ci vedono più che sul fondo e che quando mangiano pane in superficie sono in una situazione “anomala”, cioè hanno il muso puntato verso l’alto e non verso
il basso. Allora, occhio ai pesci diffidenti: possiamo iniziare la nostra sessione di pesca con il galleggiante e poi “convertirci” alla lenza libera in caso di carpe e amur che mangiano senza troppa convinzione.
Vento!
A questo punto entra in gioco un fattore critico. Come abbiamo visto nell’approfondimento a pagina 82, basta poco più di una brezza per obbligarci a tornare a casa. Tuttavia, quando siamo in presenza di una leggera increspatura dell’acqua, utilizzare il galleggiante facilita le cose: non sparisce tra le ondine e ci permette di vedere subito l’abboccata. Poi “appesantisce” la montatura, svincolandola leggermente dall’effetto del vento.
Giochi di masse
«Con il vento, sempre il galleggiante», si potrebbe dire. In realtà, questa montatura è davvero “pericolosa” dal punto di vista dell’aerodinamicità. Pensiamoci: il pane è un’esca abbastanza pesante e, soprattutto, ha una massa per nulla aerodinamica. Il galleggiante a sua volta può essere dotato di
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buon peso (per esempio 20-30 grammi) ma avere una massa che vola alla grande. Insomma, a parità di peso, il galleggiante ha una massa più contenuta che gli permette di volare meglio. E qui nascono i problemi: durante il lancio vedremo il galleggiante precedere e anticipare sempre il pane, e questo assetto di volo non è proprio l’ideale se si vogliono evitare garbugli. In più, l’intera montatura “sbandiera” per il gioco di masse tra galleggiante ed esca, cosa che non la rende l’ideale per lanci lunghi. Figuriamoci poi se c’è vento!
Una variante furba
Tuttavia, c’è un “pro” che non va dimenticato. “Pesca a galla” non significa solo tenere l’esca superficie: noi stiamo pescando a galla anche quando il pane se ne sta qualche centimetro
sotto il pelo dell’acqua. Accade quando la pagnotta si impregna troppo, oppure quando pressiamo con la mano tutto l’innesco. In quel caso, il pane scende lentamente sul fondo. Ingannare i pesci facendo lavorare l’esca poco sotto la superficie è un trucco che ci può far vivere pescate memorabili ed è una strategia che paga molto quando c’è vento. Provando e riprovando, infatti, l’impressione è che in presenza di superficie increspata l’attività del pesce sulle esche si riduca moltissimo. Ma è solo apparenza, perché carpe e amur continuano a mangiare il pane zuppo d’acqua che affonda lentamente! Utilizzando un galleggiante possiamo controllare la caduta dell’esca, bloccandola all’altezza desiderata: 50-60 centimetri sono sufficienti.
Alla vecchia maniera Per un’azione di pesca ancora più “sensibile”
L
a versione a “lenza libera” non è l’unica nella pesca a galla. Possiamo utilizzare anche il galleggiante, trasformando il carp fishing in una pesca più “classica”. Creare la montatura è semplicissimo: dobbiamo infilare sulla lenza madre un galleggiante di tipo “buldo” di grammatura compresa tra i 20 e i 30 grammi, bloccandolo a una certa distanza dall’amo. Possiamo tenere il galleggiante molto vicino all’esca oppure a 50-60 centimetri: la prima opzione è da preferire nel caso in cui le carpe siano molto aggressive e non si curino dell’”oggetto estraneo” (il galleggiante), perché ci permette di reagire
velocemente alla mangiata; la seconda ipotesi è da preferire quando i pesci sono diffidenti e si spaventano anche con un minimo spostamento del galleggiante. In entrambi i casi l’azione di pesca non cambia: vedremo il galleggiante oscillare e poi affondare come nella normale pesca al colpo.
MAI DISTRARSI! Teniamo sempre gli occhi puntati sull’obiettivo, altrimenti rischiamo di perderci ogni abboccata.
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Pane
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Battaglie entusiasmanti
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Il nostro innesco viene mangiato per ultimo: mai avere troppa fretta!
celte la montatura e la strategia, non ci resta che aspettare l’abboccata. Guai a distrarsi: dovremo osservare attentamente i pezzi di pane che abbiamo lanciato e i movimenti che si sviluppano intorno a essi. Indossando gli occhiali polarizzanti, da non la-
La ferrata in 6 momenti N
elle foto che seguono possiamo vedere la ferrata-tipo della pesca a galla. È importante lasciare al pesce il tempo di ingoiare l’esca e di fuggire senza sentire la trazione della nostra lenza. Pronti? Via! Teniamo gli occhi sempre fissi sull’esca che galleggia (a). A un certo punto vedremo le bollate delle carpe e degli amur: pieghiamoci leggermente aguzzando ancora di più la vista (b). I pesci stanno mangiano le fette di pane e si stanno
avvicinando all’innesco, mentre noi siamo concentrati in attesa che accada qualcosa (c). Ecco che il nostro innesco viene toccato dal muso di un pesce e a un certo punto sparisce sott’acqua: la preda ha mangiato l’esca e noi dobbiamo concedergli filo, protendendoci e abbassandoci verso l’acqua (d). Non appena la carpa avrà preso qualche metro, spostiamo il peso verso il basso (e) e con un rapido gesto alziamo la canna al cielo, ferrando (f). È fatta!
sciare mai a casa se andiamo a pescare, aguzziamo la vista cercando le “ombre” che si muovono sotto il pelo dell’acqua. Inizialmente vedremo piccole bollate: sono i cavedani, i carassi o le scardole che, golosi come sono, si gettano a capofitto sul buon pane. Niente di male, anzi! La loro “attività” attira l’attenzione di pesci ben più grossi e “aggressivi”, come gli amur e, in seconda battuta, le carpe.
Timidi, ma poi...
Le bollate dei pesci più grossi sono invece inconfondibili. Di solito si formano gorghi più o meno ampi a seconda della stazza della preda, ma le prime mangiate sono timide: in mezzo al baillamme creato dal pesce bianco vedremo qualche bollatona qua e là, a distanza anche di minuti. Capita così perché i pesci più grossi sono anche quelli
Prima di dare il “colpo fatale”, lasciamo al A
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prima si pappano il contorno e poi, presi della fame, cedono anche all’innesco. Per quanto “mimetico”, infatti, il filo produce vibrazioni e appare comunque come qualcosa di estraneo per le carpe. È per questo che, anche se sono affamate, cedono solo alla fine, quando hanno finito tutto il pane in pastura. Insomma, come sempre dobbiamo avere pazienza e aspettare il momento giusto.
Calma e poi... strike!
CHE FURIA! Le testate del pesce si scaricano dirette sulla piega della canna. Non ci sono piombi, girelle o back lead a ostacolarle!
più schivi e, non essendo abituati a trovare tutto quel ben di dio a galla, vengono colti da improvvisa “timidezza”. Il bello viene quando carpe e amur capiscono che il cibo è “sicuro”: vedremo “esplosioni” d’acqua, una dietro l’altra, in mezzo alla zona che abbiamo pasturato. E l’adrenalina scorre...
Il momento giusto
Il nostro innesco è sempre uno degli ultimi a essere mangiato. I pesci intervenuti al “banchetto”
Quanto alla mangiata, se peschiamo con il galleggiante è più semplice vederla, perché quest’ultimo sparisce oppure schizza via. Nel caso della “lenza libera” è un po’ più difficile ma è solo questione di concentrazione. Infatti, se ci distraiamo anche un solo secondo possiamo “perdere” il nostro innesco in mezzo al pane utilizzato come pastura. In tal caso, rischiamo di ferrare a vuoto scambiando una mangiata sull’innesco con una sul pane da pastura: e sono guai, visto che le prede fuggiranno a pinne levate dopo la nostra ferrata. Quindi, rimaniamo sempre concentrati sull’innesco e non perdiamolo mai di vista. Quando lo vediamo sparire sotto la superficie non dobbiamo ferrare subito ma lasciare che la carpa (o l’amur) prenda il largo con la “pagnotta” in bocca.
Diamo un po’ di lenza al pesce, piegandoci verso l’acqua, e poi piazziamo una ferrata secca e decisa: è fatta!
Si ferra anche di lato
Attenzione, però: prepariamoci a qualche ferrata a vuoto prima di piazzare quella “giusta”. Il problema più grande è il filo in bando. Pescando a galla dobbiamo sì tenere la lenza in tensione, ma non troppo, perché il nostro innesco deve essere libero di muoversi insieme al pane usato come pastura, seguendo il vento e la corrente. Così facendo il filo forma sempre un po’ di “pancia” e questa situazione va a discapito di una buona ferrata. Il pesce rimane allamato solo se la trazione della ferrata si scarica subito sull’amo e la “pancia”, sommata all’elasticità del fluorocarbon, di certo non ci aiuta. Abbiamo quindi una sola possibilità: in caso di lenza in bando, dobbiamo ferrare lateralmente, tenendo la canna bassa o comunque parallela al suolo. Dobbiamo essere rapidi e fare un gesto molto ampio. Se non avete mai provato la pesca di superficie, vi state perdendo un fantastico ed eccitante “diversivo” per catturare carpe e amur. Le partenze violente sono emozionanti, ma vedere l’esca risucchiata da un “turbine” è altrettanto fantastico!
pesce un po’ di filo
BAGNARE E STRIZZARE: solo dopo queste due operazioni conviene pasturare oppure lanciare. Bagnandolo in acqua poi strizzandolo, il pane diventa più compatto. E galleggia ancora molto bene.
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