La CittĂ del Delta Un progetto resiliente per la rigenerazione del litorale comacchiese
Ilaria Biondi
La CittĂ del Delta Un progetto resiliente per la rigenerazione del litorale comacchiese Laureanda: Ilaria Biondi Relatori: Romeao Farinella Elena Dorato Correlatori: Gianni Lobosco Laboratorio di sintesi nale D, AA 2019-2020 UniversitĂ degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Architettura
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INDICE
00//ABSTRACT 01//PAESAGGI D’ACQUA 1.1 La lettura del paesaggio 1.2 L’evoluzione del delta del Po 1.3 La Boni ca Meccanica
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02//DINAMICHE INSEDIATIVE 2.1 L’antichità 2.2 Il medioevo 2.3 L’epoca delle boni che 2.4 Il dopoguerra
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03//IL TERRITORIO OGGI 3.1 Relitti e speci cità 3.2 L’accesso al territorio 3.3 Il turismo 3.4 L’acquacoltura
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04//L’EMERGENZA 4.1 Il cambiamento climatico 4.2 L’erosione della costa 4.3 Le difese costiere 4.4 La subsidenza 4.5 L’innalzamento del livello del mare 4.6 Lo scenario al 2100 05//LA STRATEGIA DI PROGETTO 5.1 Obiettivi 5.2 Azioni
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06//IL PROGETTO 6.1 Riprogettazione resiliente del Retrocosta dei Lidi Nord 6.2 Il parco delle Lagune di Lido delle Nazioni 6.3 Lidi resilienti
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07//COMACCHIO 2100
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BIBLIOGRAFIA RINGRAZIAMENTI ELABORATI GRAFICI
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abstract
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I cambiamenti climatici stanno causando danni ambientali e territoriali sempre più rilevanti e nelle agende politiche si ricercano misure ecologiche di prevenzione. In Italia l’area della costa adriatica, specialmente tra Veneto ed Emilia-Romagna si trova a rischio di alluvione dal mare a causa del futuro innalzamento del livello del mare e per effetto di fenomeni come l’erosione costiera, la subsidenza, e l’elevata urbanizzazione e infrastrutturizzazione del territorio a scopo turistico. Questa tesi si propone di delineare un nuovo metodo di piani cazione strategica, adoperando un apprccio integrato al paesaggio, che sfrutti la crisi dell’alluvione come occasione di rigenrazione territoriale. Si delinea quindi un progetto che utilizza l’acqua, carattere fondante del paesaggio, come segno fondamentale. Lo scopo è rendere le zone litoranee resilienti rispetto ai rischi idrogeologici a cui sono sottoposti, e avviare uno sviluppo urbanistico futuro dell’area in chiave ecologica. Nello speci co la progettazione delle aree del retrocosta comacchiese si pre gge di valorizzare il paesaggio ordinario agricolo insieme a quello patrimoniale ambientale, entrambi dequali cati dalla presenza della Statale Romea, mettendoli a sistema con le realtà puntuali del patrimonio architettonico.
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paesaggi d’acqua
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1.1 LA LETTURA DEL PAESAGGIO Introduzione alle trame
Il territorio di Ferrara non è di facile lettura: se ad un primo sguardo può sembrare solo una distesa pianeggiante priva di elementi paesaggistici degni di nota, dopo una lettura attenta, sostenuta dal sapere di geologi, idrogeologi, e storici del paesaggio, si può notare invece la sottile e ricca trama di tracce e di forme fatta delle anse dei paleoalvei e dai rilievi dei cordoni dunosi, su cui l’uomo ha poi sovrapposto altri segni, interagendo con il territorio e cercando di governarlo modi cando il reticolo delle acque. Per decifrare la storia geomorfologica di questa pianura quindi è necessario ricostruirne le trasformazioni idrauliche. Il territorio provinciale si presenta morfologicamente come diviso in Terre alte e Terre basse: le prime sono le aree storicamente coltivate e collocate a sinistra del limite naturale chiamato poi Argine di Brazzolo, le seconde, collocate alla sinistra di quest’ultimo sono le aree depresse storicamente occupate da valli salmastre e di acqua dolce, racchiuse tra il Po di Goro a nord, il ramo del Po di Volano, il Reno a sud e i cordoni litoranei a est verso il mare. Le scarse pendenze in gioco, per lo più inferiori allo 0,5 per mille, costituiscono il più grande ostacolo allo smaltimento delle acque, unitamente al fatto che oltre il 40% del suolo provinciale si trova sotto il livello del mare. Per questi motivi i tentativi di controllo delle acque da parte dell’uomo si sono sempre rivelati ardui e spesso fallimentari; almeno no alla seconda metà del 1800 quando si decise di impiegare le più recenti innovazioni tecniche e attuare piani per la boni ca meccanica su larga scala impiegando le nuove macchine idrovore azionate a vapore. Fino ad allora il contesto geomorfologico aveva profondamente condizionato le attività e la localizzazione degli insediamento, 19
che si attestavano, come si nota tuttora, lungo gli argini dei umi ancora esistenti o scomparsi, la cui altimetria garantiva riparo dalle acque. Quindi alla trama geomorfologica e a quella delle azioni di controllo del reticolo idrico, si aggiunge quella insediativa, fatta di centri, nuclei, assi viari e case sparse lungo questi rilievi come sui crinali di un paesaggio collinare. Questi spazi esigui erano sfruttati al meglio per la produzione di eno, per la coltivazione di cereali, mentre i cordoni sabbiosi verso il mare erano coltivati a vigna o a bosco. Tutte queste considerazioni consentono di affermare che questo territorio è stato ed è tuttora plasmato dall’acqua.
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1.2 L’EVOLUZIONE DEL DELTA DEL PO Le origini del territorio
Per comprendere i dettagli della storia e dell’evoluzione degli elementi paesaggistici del territorio è necessario introdurre il ruolo del Po e del suo delta. Il territorio della provincia di Ferrara, è scenario dell’evoluzione dei rami del ume Po, e dei tentativi dell’uomo di rendere questo territorio vivibile e sfruttabile. I problemi che per molti secoli hanno ostacolato l’insediamento umano nel Ferrarese sono espressione diretta dei meccanismi che hanno generato il territorio: i processi idrogeologici e sedimentari uviali e costieri, i fenomeni di subsidenza del settore padano meridionale, e le variazioni climatiche. Proprio a quest’ultime, oltre alle glaciazioni che nel loro susseguirsi hanno portato alla notevole differenziazione dei sedimenti presenti nel suolo padano, si devono i cambiamenti geomorfologici degli ultimi 10.000 anni. Infatti l’alternanza di intervalli di pochi secoli di clima freddo e piovoso a intervalli di clima mite o caldo hanno portato ad avere esondazioni uviali, diffusione delle paludi e accrescimenti deltizi durante i periodi freddi, e generali condizioni di stabilità con parziali invasioni di acque marine nei periodi più caldi. Malgrado ciò i umi si mantengono in condizioni di prevalente sedimentazione, formando argini naturali lungo gli alvei. In aggiunta a ciò l’attività costruttiva del vento e del mare ha portato all’accrescimento verso est della piana del Po, formando sempre nuovi cordoni litoranei, porzioni di delta e lagune. Questa evoluzione è stata complicata dalla subsidenza, che ha favorito il seppellimento con nuovi sedimenti anche di strutture morfologiche importanti, come alvei uviali abbandonati e antichi cordoni dunosi. Grande importanza ha avuto in ne l’azione dell’uomo, che ha disboscato, sempli cato la rete uviale e, innalzando argini, l’ha 21
stabilizzata, boni cando gli ambienti umidi ad acque dolci e ad acque salmastre. Sul nire dell’Età del Bronzo le maggiori linee di de usso del Po, nella bassa Pianura Padana, erano principalmente due: la più settentrionale era rappresentata da quello che oggi è chiamato Po di Adria che passando per Rovigo, raggiungeva il mare a est di Adria, la più meridionale comprendeva una serie di alvei tra Guastalla e il bondenese e, oltre Bondeno, il primitivo Po di Ferrara, con le sue diramazioni di cui si trova ancora traccia nel Ferrarese orientale. Intorno al’VIII secolo a.C. all’inizio di un periodo di clima più freddo e piovoso, si sono prodotti numerosi mutamenti idrogra ci, con sviluppo dell’ambiente palustre. Con una rotta avvenuta presso Sermide il ramo settentrionale del Po si è spostato a sud e ha catturato il ramo meridionale, dando vita a un corso unico per Bondeno, Ferrara e Cona, il Po di Ferrara, che poi si divideva in due grandi rami. Si può dire che a questo punto si formò un primo delta con una diramazione per Baura, Copparo e Berra (Po di Copparo) e un’altra diramazione per Codrea, Gambulaga e Ostellato, lungo la quale è nata Voghenza e presso la cui foce è orita, fra il VI e il III secolo a.C., la città etrusca di Spina che ha dato il nome al ramo del Po Spinetico. Nell’età romana, tra il 265 a.C. e il 476 d.C. vi fu un miglioramento del clima e delle condizioni di abitabilità del territorio che permise i romani di attuare forti diboscamenti e dare grande sviluppo all’agricoltura. Il ramo principale del Po era sempre il Po di Ferrara, che ormai scendeva diretto tra Ficarolo e Bondeno e, dopo Cona, si divideva in vari corsi, tra cui quello per Copparo, con una importante diramazione verso Codigoro, oggi chiamata Volano, e quello per Ostellato, chiamato poi Padòa ed Eridano da Plinio. Alla foce di quest’ultimo, a valle dell’ormai scomparsa Spina, si è formato un vasto e complesso delta, che nel III sec. d.C. si è spinto n oltre l’attuale linea di costa. Anche i Romani sono stati arte ci di 22
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grandi opere idrauliche, ma generalmente rivolte più alla navigazione interna che alla boni ca. Intorno al 500 d.C. si registra una nuova fase di intensa piovosità con dissesti idrologici, importanti mutamenti del corso dei umi, ulteriori diffusioni delle paludi e crisi dell’agricoltura. Fra i secoli VII e VIII si estingue l’Eridano, poi ricordato come Padovetere, e il suo delta viene parzialmente eroso dal mare. A questo punto il Volano e il Primaro sono divenuti i principali rami del Po e alla loro biforcazione nasce la città di Ferrara. L’intervallo climatico caldo tra il 800 e il 1000 d.C. ha portato ad un lieve innalzamento del livello marino e la conseguente ingressione di acque salmastre nelle aree orientali più ribassate dalla subsidenza dell’ex delta dell’Eridano. Oltre al Volano e al Primaro assume importanza il Gaurus che da Codigoro terminava nel Po di Goro, dando origine ad un nuovo delta presso Mesola. Proprio tra il Goro e il Volano, dopo il Mille si è assistito ad un’importante azione di boni ca disposta dai monaci dell’Abbazia di Pomposa mediante il metodo della tagliata, volto a migliorare il drenaggio delle acque dai terreni più alti verso le aree più depresse e paludose per scolo a gravità. Intorno alla metà del 1100, a causa di una serie di rotte avvenute presso Ficarolo, le acque del Po prendevano a de uire in un nuovo alveo a nord di Ferrara che coincideva all’incirca con il corso attuale, mettendo foce presso Rosolina: iniziava così la decadenza del Po di Ferrara e dei suoi rami, Volano e Primaro. Gli Estensi attuavano le prime grandi boni che intorno alla città mentre nel Ferrarese orientale, nonostante alcuni interventi disposti dagli Estensi, proseguiva la diffusione delle acque salmastre rimontanti dal mare. Nel 1526 il Reno viene immesso nel Po di Ferrara, provocando numerose rotte, con allagamento di vaste aree a sud della città, 24
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anche di terreni appena boni cati. Per tutto il XVI secolo gli Estensi cercano tuttavia di realizzare altre opere di boni ca: la più rilevante fu quella attuata fra il 1564 e il 1580 sotto Alfonso II, nota come Grande Boni cazione Estense. Il piano generale della boni ca prevedeva la sistemazione idraulica dell’ampio territorio denominato Polesine di Ferrara, situato fra il Po di Volano e il Po Grande, e la sua divisione in due settori: le Terre Vecchie o Alte, e le Terre Basse o Nuove. Le acque delle Terre Alte vengono quindi convogliate a mare dal Canal Bianco, mentre, per il prosciugamento delle Terre Basse, viene costruita una nuova rete di canali: quelli meridionali, condotti alla Chiavica di Volano (più tardi sostituita dalla Chiavica dell’Agrifoglio, più a monte)e quelli settentrionali regimati dalla Chiavica dell’Abate. Tutte erano munite di porte vinciane, una delle prime macchine idrauliche del tutto automatiche. Dopo pochi anni però, l’abbassamento dei terreni causato dalla stessa boni ca mette in difficoltà il funzionamento di tale rete scolante. Alla ne del XVI secolo appro ttando del vuoto di potere determinato dall’allontanamento degli Estensi da Ferrara, la connante Repubblica di Venezia realizzava, fra il 1598 e il 1604, il cosiddetto Taglio di Porto Viro, ossia la deviazione verso sud-est del corso terminale del Po. L’intervento è stato giusti cato con la preoccupazione che i sedimenti depositati dalle foci più settentrionali del Po potessero provocare l’occlusione delle bocche della Laguna Veneta. Il Taglio di Porto Viro però, che nei secoli XVII e XVIII determinerà la costruzione del Delta Moderno, ha immediatamente ostruito con i suoi sedimenti gli sbocchi a mare dei canali ferraresi, mettendo fuori servizio la Chiavica dell’Abate. In pochi decenni la possibilità di far scolare le acque della Grande Boni cazione è divenuta assai difficile e su quei terreni è tornata la palude. Poiché il mare si andava allontanando, il Canal Bianco è stato 26
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prolungato verso sud e vi sono stati immessi anche i canali meridionali della boni ca. Alla nuova foce del Canal Bianco, nel 1751, è stata costruita la nuova chiavica di Torre Palù. Tale prolungamento ha avuto però come conseguenza una attenuazione della pendenza perciò in breve tempo, anche il funzionamento a gravità delle nuove chiaviche a mare è risultato inefficace. Nei successivi due secoli i depositi del Po di Goro e, in generale, del Delta Moderno sono poi stati tanto considerevoli da formare nuove terre a loro volta oggetto di boni ca. Intanto il Reno era stato distolto nel 1604 dal Po di Ferrara e deviato per boni care per colmata i terreni paludosi a sud di Ferrara (Valli del Vecchio Reno); nel Settecento, sistemato in due alvei, il Reno è stato riallacciato al Po di Primaro a Marrara. Nel 1724 si è messo mano alla costruzione del Cavo Benedettino con lo scopo di sfogare le acque delle paludi del Poggio nel Po di Primaro. Tra il 1767 e il 1795, viene realizzato il Cavo Passardo e riscavato il Cavo Benedettino, per allacciare anche il Reno al Primaro.
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1.3 LA BONIFICA MECCANICA La costruzione del paesaggio odierno
Si arriva così a un momento chiave rispetto all’azione umana di controllo delle acque: se l’approccio di idraulica classica, portata avanti da proprietari terrieri che spesso avevano una formazione tecnica sulla gestione del reticolo delle acque super ciali, mirava ad agire sui rami uviali per creare un sistema il più equilibrato possibile nel grande schema , e operare boni che per scolo a gravità, nel XIX secolo si fa strada la volontà di utilizzare le ultime innovazioni meccaniche per attuare un drenaggio forzato, o almeno al mantenimento, di ben delimitati terreni per l’agricoltura. E’ quindi un dibattito tra un approccio generale e uno settoriale. Questo nuovo paradigma nasce in seguito all’allagamento delle valli salmastre e l’abbandono delle aree lagunari delle Terre Basse viste solo come valvola di sfogo per il prosciugamento delle Terre Alte coltivate. I proprietari dei terreni sacri cati dai piani settecenteschi erano quindi decisi a rischiare i propri capitali per mandare avanti un piano di boni che meccaniche. La prima boni ca di questo tipo nei territori orientali fu quella di Valle Gallare, a ridosso delle Valli del Mezzano a nord. Nel 1851 l’introduzione delle macchine di qualità infonde nuova forza ai tentativi ferraresi di reclamare le terre allagate plaustri, non prosciugabili nei con ni delle tecniche idrauliche settecentesche come la colmata. Lo slancio dei proprietari terrieri trova la convinta partecipazione delle Congregazioni Consortili, un quadro legislativo in rapida evoluzione, comprensivo di contributi e facilitazioni a favore di interventi di boni ca, e in ne l’afflusso di capitalo nazionali ed esteri, rendendo così possibile l’avvio di un processo di boni ca su larga scala. Tanta ducia nella tecnica meccanica è dovuta all’eco delle grandi boni che riuscite nel Nord Europa, nella costa orientale inglese e sul litorale ammingo, olandese e germanico. 29
Tra tutti gli esempi ad avere particolare in uenza è il modello olandese di polder, vocabolo che designa tratti di mare arginati e poi prosciugati e utilizzati per la coltivazione. Su questa spinta sin dall’inizio del XIX secolo anche nel delta padano si cerca di sperimentare tecniche di boni ca meccanica, prima con pale azionate manualmente, poi cercando di sfruttare sempre meglio la forza delle macchine a vapore idrovore. La sperimentazione viene approvata nel 1851, e si cerca di applicare il sistema dei polder olandesi, in quanto anche nel ferrarese le singole aree depresse sono naturalmente delimitate da argini e cordoni dunosi, quindi separate le une dalle altre, e tutte con un de usso organizzato arti cialmente e proprie condizioni di scolo. Per la prime boni che di Valle Gallare e di Valle Volta, si realizza l’impianto di Marozzo, in fregio all’argine destro del Po di Volano, in seguito ad analisi e valutazioni in collaborazione con tecnici olandesi. Nonostante si sperimenti la boni ca meccanica tra il 1850 e il 1880, a Ferrara mancano i capitali capaci di dare impulso alle iniziative locali, pertanto i maggiori investimenti venivano dall’esterno facendo sì che nei territori della boni ca numerose società per azioni concentrino nelle loro mani, terre di proprietà nobiliare e borghese, nonchè grandi estensioni di terre comunali. Una di queste società fu la Ferrarese Land Reclamation Company Limited, società a capitale misto anglo-italiana fondata nel 1871, che acquistò la maggior parte di suoli da boni care e promosse la costruzione dell’impianto idrovoro di Codigoro. Il paradigma della proprietà fondiaria si sposta quindi dalla successione alla compra-vendita. Sarà poi la crisi agricola e il conseguente crollo dei prezzi dei prodotti agricoli a fermare il mercato dei terreni vallivi, suscitando la disillusione dei proprietari terrieri riguardo all’alta remunerazione dei terreni boni cati e scoraggiando le prospettive di un intervento massiccio di prosciugamenti diffusi. 30
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Tramite l’intervento di deputati e parlamentari ferraresi, che si fecero portavoce di questa causa però, ci fu una radicale inversione di tendenza politica, che si esprimerà con la promulgazione di leggi e la concessione di mutui e agevolazioni statali, grazie alle quali si ebbe una ripresa del mercato dei terreni, sebbene non si raggiungerà più ai livelli del 1872-1880. Questo tipo di mercato dei terreni, come detto in precedenza, scardina l’assetto economico e sociale precedente e non lascia spazio ai piccoli proprietari, vinti dalla mancanza di fondi, sancendo il de nitivo tracollo dei fondi limitati a conduzione familiare. Saranno gli ingegneri e gli agronomi, chiamati a piani care e realizzare la trasformazione del territorio, a pre gurare la nascita dell’azienda capitalistica, anche a fronte del fatto che, nell’ormai mercato unico nazionale, sia necessaria e inevitabile una specializzazione regionale dei modelli agricoli, e quindi una modica delle forme del paesaggio. Nel primo ventennio del XX secolo si procede con la boni ca delle valli Isola, Ponti e Trebba, in territorio comacchiese, anche se bisogna aspettare il dopoguerra per vedere la boni ca valli Pega e Rillo e della grande Valle del Mezzano (300 ettari). Quest’ultima viene sviluppata con un impanto molto meno urbanizzato rispetto alle precedenti boni che a nord: gli effettivi insediamenti colonici sono quasi totalmente assenti, in favore di poderi sparsi e ampie distese di seminativi disposti in una tta griglia di canali, fossati, infrastrutture viarie con lari di alberi frangivento.
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dinamiche insediative
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2.1 L’ANTICHITÀ Le prime colonizzazioni dei territori deltizi del Po
Il basso ferrarese e il territorio comacchiese in particolare, rappresentano una delle aree della pianura padana più interessanti e complesse per quanto riguarda la storia geomorfologica e paesaggistica. Diviso tra Terre Alte e Terre Basse, il territorio provinciale offre una prima lettura del suo territorio se si notano le linee che compongono le diverse aree: organiche, plasmate dalle anse dei corsi d’acqua e dai canali del reticolo di scolo storico quelle delle Terre Alte, individuate nella trama frammentata e disordinata dei terreni agricoli; ortogonali e regolari, tanto quanto la trama agricola, di recente impianto delle Terre Basse, unica eccezione a questa maglia, le tracce in trasparenza degli antichi paleoalvei. Nel contesto del paesaggio che si presentava no a un secolo fa, governato dalle direttrici orizzontali del Po di Goro a nord, del Po di Volano e del Reno con i loro argini naturali, e quelle verticali delle paleodune e dei cordoni litoranei, originati nei secoli grazie al progressivo avanzamento della linea di costa, gli insediamenti sorgevano sugli spalti dei corsi d’acqua e sui dossi, al riparo dalle maree e dalle inondazioni, e a ridosso di aste uviali navigabile che quindi potevano costituire delle vie di comunicazione con i territori interni e a foce. Con la stessa logica, fra il VI e il III secolo a.C, sorgeva il primo grande centro urbano conosciuto di queste terre : la città etrusca di Spina. Innestata sul ramo del Po Spinetico, la città si sviluppava con tutta probabilità su due valli lagunari, in aggregati di insulae sabbiose e rettangolari, delimitate da gabbioni lignei e con strutture in elevazione sempre in legno per le pala tte, come erano tradizionalmente realizzati gli abitati nella valle del Po. Con la boni ca di Valle Pega, nel dopoguerra, furono riportati 40
alla luce i resti dell’abitato. L’importanza della città di Spina è testimoniata dalla sua estensione, superiore ai 700 ettari, e dal numero dei suoi abitati, arrivati a mezzo milione di persone, nonchè dall’importanza del suo porto, snodo importante delle rotte commerciali del mondo greco. Con la conquista romana del territorio intorno (182-173 a.C.), l’impulso colonizzatori si rivolse alle aste uviali, importanti vie di comunicazione su acqua e su terra. La particolare conformazione del territorio, e la grande estensione di ambienti paludosi alternati a boschi e dossi sabbiosi, rende necessario la modi ca del tradizionale impianto romano della centuriazione, installato in Romagna e nella pianura emiliana e veneta. Riuscirono comunque a fare della strada l’elemento strutturale dell’opera di colonizzazione. Il primo documento che attesta questo tipo di modi che su questo territorio è la tavola peutingeriana del 226 d.C. che riporta nel ferrarese la via Popilia, costruita nel 131 a.C. in direzione sud-nord, e la via Hostilia per Padum, in direzione est-ovest. L’asse della consolare Popilia, costruita nel 132 a.C., su un dosso litoraneo etrusco del IX – VIII secolo a.C., rappresenta il primitivo tracciato viario litoraneo nell’area deltizia del Po. Subì molte modi che, non solo per i rapidi cambiamenti del territorio su cui insisteva, ma anche per le mutate funzioni dei centri abitati che attraversava. La Popilia che da Rimini, passando per Ravenna, proseguiva verso Adria e Altino no ad Aquileia, inizialmente ebbe una funzione di trasferimento verso le terre dei Veneti e di allacciamento con la via Postumia, assunse poi maggiore importanza quando Augusto, scelta Ravenna come base della marina militare a difesa dell’Adriatico, costruì il grande porto e la Fossa Augusta, un canale navigabile che univa l’importante scalo ravennate al Po e permetteva contatti con l’entroterra padano. Ripercorrendo l’itinerario della consolare, superato il Primaro, la Popilia proseguiva sull’antico cordone dunoso, ora sommerso nelle attuali valli di Comacchio, tracciando un percorso molto 41
simile a quello della Strada Romea attuale, solo spostato più a ovest. Un tempo il terreno che ospitava il tracciato viario in corrispondenza delle valli di Comacchio era emerso, no a quando la subsidenza, determinando l’abbassamento del livello stradale, ne compromise la percorrenza. L’accasciamento fu un fenomeno circoscritto al territorio ferrarese e veneto dove cedette in prossimità della foce del Po. Il tratto stradale odierno compreso fra Ravenna e il margine meridionale delle Valli di Comacchio, da molti ritenuto coincidente con un segmento della Popilia, ha mantenuto nel tempo la sua percorribilità, nonostante oggi non ricalchi esattamente il primitivo tracciato. Con la crisi dell’impero, in un territorio che progressivamente presentava condizioni geogra che e politiche meno favorevoli alla circolazione di uomini e di merci, l’itinerario stradale, divenne sempre più disarticolato. La consolare Popilia si immiserì tra le paludi e in alcuni tratti, travolta dalle alluvioni, affondò. Cominciarono progressivamente a de nirsi “aree di strade” con percorsi alternativi e integrativi più stabili e agibili e, nel corso dei secoli, singoli tratti viari si fusero in un corpo unico. L’appellativo di Via Romea è documentato attorno all’anno Mille e fa riferimento a una delle strade che i pellegrini percorrevano dall’Europa settentrionale e centrale verso Roma, la città che costituiva una delle principale mete, con Gerusalemme e Santiago di Compostela, della Cristianità occidentale. Non è facile riconoscere il passaggio dalla romana Popilia alla medievale Romea, percorsa dai pellegrini, come non è facile ritrovare alcuni antichi segmenti viari coincidenti con il tracciato odierno, ma è comunque certo che la via medievale svolgeva la stessa funzione di collegamento della consolare, toccando nuove città che avevano assunto ruoli preminenti. In ogni caso è evidente che Popilia e Romea sono due vie distinte e non coeve, due importanti vie costiere in tempi diversi in un territorio 42
in evoluzione, considerando il progressivo allungazmento della linea di costa: nel tratto ravennate, la vecchia Popilia permane come “Strada del Boscoâ€?, ma la nuova strada costiera Romea comincia ad insistere tra il IX e il X secolo su un dosso litoraneo piĂš ad Oriente, formato dai detriti dell’Eridano, rispetto a quello romano che si era progressivamente disarticolato. La storia della Strada Romea dopo il periodo medievale invece prosegue tra cambi di nome, come durante il dominio di Venezia su Ravenna, quando prese il nome di strada del Corriere, e periodi di decadimento sotto il dominio austriaco, che lasciarono sono alcuni piccoli resti della strada dei pellegrini. Soltanto nel 1929 tornarono alla mente i meriti paesaggistici della strada e si propose il ripristino del tracciato, anche per colmare il vuoto delle linee ferroviare assenti nel stratto litoraneo veneto-romagnolo.
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2.2 IL MEDIOEVO Gli insediamenti delle Terre Basse
Ritornando alle dinamiche insediative dell’epoca alto-medievale, quindi in un periodo di grandi sconvolgimenti del reticolo idrogra co, soprattutto in seguito alla rotta di Ficarolo nel XII secolo vengono però de niti degli ambiti, chiamati “polesine”: - il Polesine di Ficarolo, che da Ostiglia si estendeva no al mare; - il Polesine di Casaglia che, comprendendo il Polesine di Ferrarasi e limitato a sud dal Po di Volano e a nord dal Po di Venezia, si estendeva no al mar Adriatico; - il Comprensorio di Burana che si estendeva tra il territorio mantovano e quello argentano -il Polesine di San Giorgio situato tra il Po di Volano e il Po di Primaro. La stragrande maggioranza degli insediamenti di età altomedioevalesi trovavano all’interno delle Terre Vecchie (o Terre Alte), in particolare lungo i corsi del Po di Volano, del Po di Goro e del Sandalo. Altri centri urbani si sono invece sviluppati tra le valli, su isole sabbiose o sottili lembi di terra emersa, come nel caso di Comacchio, una città dalla morfologia urbana peculiare, condizionata dall’andamento sinuoso dei canali interni. L’intero organismo urbano appare, nella carta napoleonica del 1814, ancora circondato dai canali che mediavano il rapporto tra la città e le valli, costituendo inoltre un anello infrastrutturale attorno alla città per il raggiungimento in barca delle case tramite i canali interni. Grazie a questa natura an bia Comacchio era una città commerciale importante, con l’approdo al Porto di Magnavacca (l’odierno Porto Garibaldi), un orido mercato di sale, prodotto a sud della città, e di prodotti ittici derivati dalla pesca, sopratutto di anguille, nelle valli limitrofe. Proprio a causa di queste caraatteristiche la città si trovò più volte in con itto con la Re44
pubblica di Venezia, e rimanendo segnata dai molteplici scontri. Un secondo esempio di insediamento molto rilevante nell’epoca altomedioevale è Pomposa: un insediamento monastico molto esteso e potente, punto di riferimento della spiritualità del tempo. Gli storici fanno risalire l’origine dell’insediamento dei monaci a Pomposa al VI - VII sec, quando il luogo salubre e boscoso, racchiuso tra il mare, il Po di Volano e il Po di Goro, era un’isola che favoriva meditazione e lavoro: nello speci co l’area del cordone emerso su cui si instaurava Pomposa veniva coltivata a vigna e a boschi. A partire dalla rotta del Po a Ficarolo (1152) però, il territorio dell’isola di Pomposa diventa palude, il clima si fa malarico ed insalubre. Ci furono numerosi tentativi di boni care e mantenere le aree asciutte e idonee alla coltivazione, attraverso metodi di boni ca che sfruttavano dislivelli e gravità. Tuttavia il sito fu abbandonato nel 1553 dai monaci che vennero trasferiti nel nuovo convento di S.Benedetto di Ferrara. Il recupero dell’Abbazia è attuato dallo stato Italiano a partire dalla ne dell’ ‘800, quando tutti i fabbricati vengono acquistati dal Demanio e restaurati.
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2.3 L’EPOCA DELLE BONIFICHE Lo sconvolgimento degli assetti preesistenti
Nell’Ottocento la messa in atto delle boni che meccaniche nelle Terre Nuove causa un profondo sconvolgimento degli assetti sociali e di proprietà territoriale, facendo tracollare ogni idea di gestione per nuclei familiari, e introducendo il nuovo paradigma dell’azienda capitalistica nel territorio deltizio. Questo mutamento si ri ette con conseguenze evidenti nella differenza tra il paesaggio agrario delle aree della nuova boni ca e quelle limitrofe già coltivate. Infatti il progetto e la razionalizzazione delle aree agricole di nuovo impianto operata da ingegneri e agronomi aveva come obiettivo quello « di trasformare le aree improduttive in aree aperte ad investimenti capaci di garantire elevati pro tti ». (P. Morachiello) A fronte del fatto che nella Pianura Padana, il 60% delle opere di boni ca vennero realizzate tra il 1870 ed i primi vent’anni del XX secolo, la zona del delta verrà ampiamente trattata e presa ad esempio da Emilio Sereni ne Il capitalismo delle campagne, in quanto raffigura il modello classico della trasformazione agraria. Nelle terre nuove si abbandonerà il “versuro”, unità colturale di 32.619 ettari raggiunta nelle terre vecchie, per adeguarsi alle scelte di produzione della nuova gestione. Ciò si traduce nell’opposizione tra due tipi di paesaggio agrario: quello della piantata, con un impianto rettangolare, larghi e allungati, riservati alle colture arboree con due scolini scavati parallelamente ai lari di viti alberate, per il de usso delle acque in aree a difficile drenaggio, e quello della larga, fatto di grandi tenute semplicemente baulate e scolate, prive di piante e viti, immaginata per essere adattabile alle nuove colture industriali. Charles de Brosses nel 1740 descriveva la campagna ferrarese come letteralmente sommersa di alberi, fertile nei luoghi coltivati, ma in gran parte ancora sommersa dalle paludi formate 46
dalle continue inondazioni del Po. Alla ne dell’Ottocento l’agronomo inglese Arthur Young confermava questa descrizione, aggiungendo però che il bosco era solo una illusione provocata dal caratteristico paesaggio della piantata. Questa sostanziale differenza nell’aspetto sico andrà scemando all’inizio del Novecento, quando si darà inizio all’abbattimento delle doppie alberate, degli aceri, degli olmi e delle viti che essi sostenevano. Mentre cadeva quel bosco illusorio ammirato da De Brosses, le giungle di canapa lasciavano il posto a distese aperte di grano, granoturco e barbabietole che porteranno, nel giro di qualche anno, alla specializzazione delle colture. Nel contesto delle boni che meccaniche un altro livello di tracce che si vanno a sovrapporre a quelle morfologiche storiche e quelle appena citate relative all’impianto agricolo, sono quelle delle nuove strade ferrate e ordinarie, e della nuova urbanizzazione. Nel 1908 la Società Anonima delle Ferrovie e Tramvie Padane ottene la concessione di realizzare un altro tratto della linea esistente che connettesse Ostellato e Magnavacca. Il 15 giugno venne inaugurato il ramo con servizio a vapore, lungo 28,54km. Questo collegava la stazione di Comacchio, passando sull’argine del Canale Navigabile, ad altre cinque stazione sul tracciato ferroviario alla darsena di Porto Garibaldi, alimentando il traffico di merci locale, mentre in estate la linea si stendeva no alla spiaggia. Con quest’opera si conferma anche nel territorio deltizio la strategia Sabauda di utilizzare le vie ferrate come elemento uni cante del regno d’Italia, e fornendo a Comacchio una via di comunicazione efficiente con l’entroterra, superando così secoli di isolamento. Parallelamente si assistette anche ad un massiccio incremento delle strade interne ai territori delle boni che, suddivisi in gerarchie ben chiare, per garantire il raggiungimento di tutte le aziende e il trasporto agevole delle merci e degli attrezzi tra i campi. 47
Rispetto all’urbanizzazione dei tipi insediativi delle terre di boni ca, nell’area del comacchiese si sviluppano diversi modelli nelle diverse valli boni cate:
Tra queste è molto riconoscibile la tipologia rurale del periodo fascista a corte aggregata, dove il fabbricato affianca l’abitazione alla stalla e al enile, che utilizzano alcuni stilemi nell’architettura e nei dettagli. Vi è poi l’esempio di impianto realizzato nelle boni che dall’Ente per la Colonizzazione del Delta Padano, che per attuare la ridistribuzione della proprietà terriera, come sancito dalla Legge di Riforma Agraria, porta avanti una parcellizzazione più minuta, costituita da unità poderali autonome a conduzione familiare e contenute entro i limiti minimi sufficienti a garantire un fondo alle famiglie di lavoratori che avevano perso la propria attività in seguito alle boni che meccaniche. All’interno di questi territori spesso era collocato un piccolo borgo, come Volania, frazione di Comacchio, che servisse da centro servizi per le vicine zone rurali. Tutte queste argomentazioni portano a de nire l’interdipendenza tra la formazione di un mercato nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture, infatti, mentre è il primo fattore che suggerirà la specializzazione delle colture, sarà lo sviluppo delle infrastrutture e l’utilizzazione dei moderni mezzi tecnico-produttivi che ne renderanno possibile la realizzazione. Per quanto riguarda la specializzazione regionale delle colture invece, il concetto è portato agli estremi, tanto che attorno al 1950, nel Ferrarese, si potrà parlare di monocoltura dello zucchero: ben sette impianti si sventaglieranno nell’area delle boni che, fra lolanda di Savoia, Comacchio e S. Biagio; un solo stabilimento sorgerà sulle terre vecchie ad occidente della città.
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2.4 IL DOPOGUERRA L’impresa speculativa dell’urbanizzazione del litorale
La nora inaccessibilità del territorio e la notevole distanza dalle grandi città, ha probabilmente ostacolato l’uso a scopo turistico di questo tratto di litorale, uso che invece aveva caratterizzato sin dall’inizio del XX secolo il resto della costa, soprattutto nel tratto riminese, come nel veneziano e nell’alto veneto. Con i decenni di boni ca e infrastrutturizzazione, conclusi con la realizzazione della Strada Romea negli anni ‘60, si avvia il processo di costruzione del litorale comacchiese, anche per una questione di richiesta di nuovi spazi, non più facilmente disponibili in Romagna, e per via della generale crescita del fenomeno delle vacanze, soprattutto estive. Al tempo gli unici insediamenti litoranei esistenti erano i centri di Porto Garibaldi, San Giuseppe, Vaccolino e Volano, che avevano economie prevalente incentrate sulla pesca e sull’agricoltura. Tuttora questi centri rappresentano i presidi stabili di popolazione locale a differenza dei Lidi. Porto Garibaldi rappresentava già un centro conosciuto e frequentato, per via delle strutture presenti e di un contesto in cui si può notare una netta separazione tra i caratteri dei luoghi della pesca, del turismo balneare e della residenzialità. Il primo centro litoraneo turistico a svilupparsi è il Lido degli Estensi, ancora oggi il meglio attrezzato e diversi cato nell’offerta, situato sulla sposta opposta del canale navigabile rispetto a Porto Garibaldi. Questo tratto del litorale presentava condizioni ottimale per l’impianto a scopo turistico con una spiaggia profonda circa 200 metri e una tta pineta su un terreno lievemente dunoso. La richiesta di ulteriori spazi e il facile pro tto traibile da investimenti di costruzione, vide l’espansione tanto a nord, quanto a 50
sud, che diede origine a sette Lidi, lungo un tratto costiero di 23 chilometri, anche in zone in cui le condizioni del suolo apparivano più complesse in quanto persistevano zone paludose, spesso a un livello inferiore a quello del mare. Ciò ha reso necessario il ricorso a grandi opere di boni ca dei suoli, in particolare nelle aree del Lido delle Nazioni e del Lido di Spina. Lo sviluppo tardivo, rispetto alla costa più meridionale della regione, ha coinciso con il periodo della forte espansione edilizia italiana che ha determinato il volto peculiare dei Lidi, una sequenza di grandi costruzioni condominiali, villaggi turistici e quartieri di villette residenziali costruite attraverso la distruzione di aree boscate e lo spianamento di dune sabbiose. Si permise la realizzazione di imprese speculative tramite la costruzione di uno stuolo di seconde case di scarsa qualità architettonica, che garantivano il ritorno pressochè istantantaneo degli investimenti e larghi margini di pro tto. Questa costruzione sregolata e disordinata del litorale appare evidente anche nella mancanza si spazi urbani aperti e in grado di connotare qualitativamente queste nuove città turistiche. Ciò si ri ette nelle morfologie urbane di centri come i Lidi degli Estensi, Spina e Nazioni: il primo è il più strutturato e più vissuto, con un’area funzionale in corrispondenza del nucleo centrale di viale Carducci, che garantisce un polo di attrazione sia d’estate che d’inverno; il secondo è caratterizzato da un impianto urbano a bassa densità in cui le residenze si innestano originarie macchie boschive, all’interno di un disegno urbano vagamente riconducibile a metafore organiche e città-giardino; il terzo è caratterizzato dalla presenza molto più rarefatta delle macchie boschive e un impianto turistico classico, imperniato intorno alla struttura del lungomare. Lo sviluppo dei lidi incentrato sulle seconde case ha pregiudicato la creazione di un sistema turistico attrattivo e dinamico, offuscando la predisposizione di strutture alberghiere. Infatti, su un numero di 33.884 case con 111.099 stanze negli anni ottanta, all’interno del comune di Comacchio che gestisce i lidi, solo 51
un quinto era occupato da popolazione stabile rimanendo per le vacanze il numero di 26.916 case. Questo, a fronte di soli 57 esercizi alberghieri con 3.472 letti. Mentre il numero delle abitazioni ha conosciuto una costante, anche se non regolare crescita, l’ammontare degli alberghi è diminuito. Fortunatamente rimane invece disponibile molto spazio da adibire a campeggi, in particolare con l’attrattiva di porsi a ridosso delle spiagge negli ambiti interstiziali tra i Lidi. Dagli anni ‘90, la formula dei campeggi è apparsa quella a crescita percentuale maggiore, per la connotazione di naturalismo e salutismo, oltre che sportiva. Spesso si tratta di insediamenti presentati come risposta “ecologica” e “sostenibile” alternativi ai modelli stabili del resto del territorio; si tratta in realtà di veri e propri insediamenti, che sarebbe opportuno trattare come tali in sede di piani cazione, per evitare fenomeni di saturazione totale delle aree del retrospiaggia, e per attuare una migliore tutela ambientale. Le potenzialità dal punto di vista turistico si possono evidenziare nello sviluppo in profondità nel territorio in considerazione della presenza del parco e delle possibilità aperte all’agriturismo da una prevalente presenza di imprese agricole. D’altra parte, la recente fase di accorpamento delle aziende agricole, per superare le dimensioni non più confacenti alla moderna meccanizzazione e alle evoluzione delle lavorazioni, e non più corrispondenti a principi di redditività economica, favorisce la trasformazione economica verso un terziario ricreativo. Ciò si pone anche come alternativa ad un turismo solo balneare che trova delle limitazioni ingenerate dall’inquinamento, e dalla richiesta di offerte turistiche più diversi cate e maggiormente legate ad aspetti culturali.
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il territorio oggi
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3.1 RELITTI E SPECIFICITÀ I presupposti dell’emergenza
A fronte dei processi idrogra ci e umani di modi cazione del territorio descritti nel capitolo precedente, la situazione come una complessa trama si segni e memorie di diversa età. Tale complessità rende necessaria un’attività di ricognizione, studio e traduzione dei segni per rintracciare i legami identitari. Rispetto al contesto paesaggistico, i processi di spianamento dei dossi e il prosciugamento della stragrande maggioranza hanno fatto sì che soltanto minuscoli frammenti delle strutture geomorfologiche originali siano visibili. Si presentano all’occhio di un osservatore attento tratti boschivi, come la pineta che si estede tra Volano e Nazioni, e i relitti di bosco nell’area delle Vene di Bellocchio, oltre ovviamente al Bosco della Mesola. Questi boschi litoranei, tra cui quello della Mesola, possono essere boschi termo li, caratterizzati da una vegetazione di tipo mediterraneo. Altri boschi come quello a sud del lido di Volano sono invece pinete, caratteristiche delle aree litoranee. Tracce di arbustiva si ritrovano invece sui dei relitti dunosi: in corrispondenza dei varchi a mare infatti si trovano, tra il Lido di Volano e Porto Garibaldi, piccoli tratti dunosi, memoria del grande cordone litoraneo che proteggeva le aree interne e ospitava il Bosco Eliceo. Tra questi relitti sono da ricordare le dune di San Giuseppe, a nord e a sud del Lido delle Nazioni. Nei Lidi sudinvece, dove lo sviluppo urbano che non si è attestato troppo in prossimità della linea di costa, stretti tratti dunosi, con la propria pineta, sono ancora preservati. Delle estese aree paludose delle Terre Basse oggi rimangono le Valli di Comacchio, le più estese, con le valli minori Fattibello e Molino, e la Valle Bertuzzi in corrispondenza del Lido di Volano. Un contesto umido interessante e dinamico è rappresentato 58
dalle Vene di Bellocchio. Per quanto riguarda il contesto del patrimonio storico-monumentale i punti di interesse di carattere monumentale si dislocano sopratttutto nelle aree che anticamente erano emerse, quindi a ridosso delle aste uviali, sui dossi sabbiosi e sui paleoalvei. Un esempio perfetto è l’Abbazia di Pomposa, insediatasi nel VI secolo d.C. su quella che era un isola in prossimità di un’ansa scomparsa del Po di Volano. Con le stesse logiche di insediamento si trovano i centri urbani di importanza storica, come la città di Comacchio ed il suo ricchissimo patrimonio monumentale, e la città di Codigoro sul Po di Volano, oltre al Castello di Mesola a ridosso del Po di Goro, mete di un turismo culturale ormai consolidato. Nelle terre di nuova formazione, quelle a una quota altimetrica prossima o inferiore al livello del mare, i punti di interesse sono perlopiù relativi all’epoca delle boni che: sono quindi impianti idrovori storici, o anche impianti di sollevamento minori e chiaviche. Importanti per la narrazione della storia del territorio sono anche le costruzioni che afferiscono alle attività insediatesi, nei terreni di boni ca. Si possono quindi considerare i diversi tipi rurali insediatisi nelle diverse valli prosciugate come sistema patrimoniale rarefatto. Anche gli zuccheri ci, sparsi nel territorio ferrarese, costituiscono strutture importanti delcontesto della complessità storica di questo territorio, costituendo la testimonianza tangibile di quel cambiamento da un modello di agricoltura a conduzione familiare a quella industrializzata e di impronta capitalistica. Tra queste strutture si ricorda in primis l’ex-zuccheri cio Eridania di Codigoro del 1899.
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3.2 L’ACCESSO AL TERRITORIO L’infrastruttura di supporto alla vita del litorale comacchiese
Analizzando il contesto del Delta Antico dal punto di vista dell’accessibilità del territorio, la prima cosa che si nota è la mancanza di un collegamento ferroviario che arrivi a collegare la costa con Ferrara e il resto dell’entroterra. Questa mancanza di collegamento che tocca in primo luogo Comacchio,che viene relegata a un ruolo periferico all’interno delle connessioni provinciali e condannata ad essere colonizzata dal traffico su gomma, specialmente nel periodo estivo. Il collegamento ferroviario tuttavia era presente no a 100 anni fa: riportato nell’IGM del 1892, fu smantellato in seguito ai gravi danni subiti durante la seconda Guerra Mondiale e mai più ricostruito. La seconda criticità che si evidenzia rispetto al sistema di accesso è la natura della Strada Romea. Questa strada, realizzata negli anni ‘60 proprio per sopperire alla mancanza di un collegamento ferroviario tra Ravenna e Venezia, quasi ricalca l’itinerario dell’antica strada del Corriere, ponendosi tra le valli di Comacchio e la costa. Negli anni sessanta però non si erano certo previsti i livelli di motorizzazione odierni, perciò, non essendoci stati interventi per ridimensionare l’asse stradale in accordo ai ussi odierni, la Strada Romea oggi è la strada più pericolosa dell’intero paese. Il fatto che questa strada colleghi Venezia a Ravenna e quindi le loro aree produttive, fa sì che ci sia un elevato traffico di mezzi pesanti atti a trasportare merci n nel resto d’Europa, creando una grave situazione di promiscuità. Per risolvere il problema della Romea, già da parecchi anni si è proposto di realizzare il nuovo tratto tra Orte e Mestre del corridoio europeo della E55, che si estenderebbe per 400 km tra Veneto, Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Toscana e Lazio. 64
Questa soluzione passando nel territorio di Comacchio stra le Valli e l’area del Mezzano, permetterebbe di riequilibrare la distribuzione dei grandi ussi di traffico adriatici, lungo l’itinerario Venezia-Padova-Bologna-Firenze-Orte, completando l’itinerario autostradale adriatico, che attualmente si interrompe presso Rimini e migliorando l’accessibilità ai territori costieri tra Venezia e Ravenna. Un asse di comunicazione di progettazione recente è invece l’idrovia ferrarese. L’Idrovia Ferrarese si inserisce nel sistema idroviario padano-veneto, facente parte del corridoio “Mediterraneo” della Core network europea. L’idrovia padano-veneta parte dal polo logistico alle porte di Milano, presso Truccazzano, Qui il canale navigabile si collega al porto industriale di Cremona, dove si immette nel Po e lungo in quale raggiunge l’area del mantovano. Da qui si aprono sue percorsi alternativi: il primo si immette nel canale navigabile Fissero-Tartaro-Canalbianco, che serve lo scalo industriale di Rovigo e , raccordato alla rete ferroviaria, raggiunge direttamente l’Adriatico a Porto Levante, a sud di Chioggia; il secondo prosegue sul Po no alla chiusa di Volta Grimana, per proseguire sul canale Po Brondolo
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e raggiungere la laguna di Chioggia. Su questo secondo percorso si innesta una terza alternativa, rappresentata dall’Idrovia Ferrarese: è possibile, infatti, raggiungere l’Adriatico proseguendo sul Po solo no a Ferrara, imboccando poi i 70 km dell’Idrovia Ferrarese no a Porto Garibaldi. Da qui, con una navigazione sottocosta, è possibile arrivare a Ravenna “core-port”, cioè porto strategico e terminale meridionale del corridoio “Baltico-Adriatico”. Gli obiettivi del Progetto dell’Idrovia Ferrarese sono I principali obiettivi del Progetto sono lo sviluppo di un’infrastruttura compatibile con l’ambiente, che conferisca una nuova valenza all’area Comacchio/Porto Garibaldi come porto uvio-marittimo di accesso all’Idrovia regionale, nonché rendere l’Idrovia fruibile dai cittadini (piste ciclabili, aree verdi) e dai turisti (realizzazione di darsena, attracchi) attraverso interventi di riquali cazione delle aree a ridosso del ume e di valorizzazione delle attività di supporto al trasporto di merci e di persone. L’Idrovia quindi costituendo una via di comunicazione per i ussi di persone e turisti e non solo di merci, avrà l’enorme pregio di alleggerire il carico di traffico che dall’interno della regione si muove verso la costa, costituendo un’alternativa meno inquinante. Per quanto riguarda la viabilità ciclabile, questa si presenta frammentata all’interno del territorio deltizio, seppure costituisca un metodo di collegamento di importanza centrale nel contesto del Parco del Delta.
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3.3 IL TURISMO Il settore vocazionale
Il settore turistico per il territorio dei Lidi Ferraresi è una tra le più importanti attività economiche, che si concentra ancora quasi esclusivamente nei mesi estivi. Dagli ultimi dati disponibili del 2018 della Camera di commercio di Ferrara, relativi ai movimenti turistici della provincia, è interessante constatare come per l’area del comune di Comacchio, rispetto all’anno precedente, si sia registrato una lieve decrescita degli arrivi da parte di turisti italiani (-0.8%) e stranieri(-0.3%). Decisamente in calo sono invece le presenze: -4.8% per i turisti italiani e -3.1% per gli stranieri, ri ettendo il trend delle presenze complessive. Unico dato positivo rispetto l’anno 2018 è la crescita degli arrivi in strutture alberghiere del 1.4%, a fronte però di una in essione del -0.8% nelle presenze. Cercando di comprendere meglio i movimenti per i diversi comparti ricettivi i dati più recenti a cui far riferimento sonno quelli relativi all’anno 2014, nel paragone con l’anno precedente. Si nota in quest’anno il calo delle presenze degli alberghi, ad opera soprattutto degli stranieri (-14,2%) che fanno registrare un segno meno anche per gli arrivi (-6,5%), a fronte però di un aumento del numero delle strutture alberghiere e dei posti letto (27 esercizi, 3.168 posti letto) rispetto all’anno precedente (25 esercizi, 3.107 posti letto). Positivo l’aumento degli arrivi negli appartamenti (+6,4%) rispetto al leggero calo delle presenze (- 0,7%), dove gli stranieri (+2,1%) hanno un trend migliore rispetto agli italiani (-0,8%); ottimo invece l’incremento di arrivi in agriturismi, affittacamere e B&B, +20,2% arrivi e +12,0% presenze, che conferma un trend di crescita degli anni precedenti soprattutto nei periodi di bassa stagione con presenze legate ad eventi sul territorio. L’area dei Lidi Ferraresi è costituito dal modello del villaggio delle seconde case, villette uni o bi-famigliari o a schiera che 68
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trovano un buon compromesso tra prezzo, dimensione e gusto estetico, pubblicizzate in modo da cercare potenziali clienti nelle maggiori città del nord. Viene così attratta la classe media della regione e anche gli operai del sud emigrati al nord negli anni del boom delle industrie meccaniche, che vedono nelle villette dei lidi il raggiungimento dello status symbol. Queste scelte di sviluppo sono state spesso fortemente criticate: “La infelice riuscita di un’offerta che si poneva a completamento delle strutture della Riviera Romagnola è imputabile ad una depradazione degli elementi naturalistici, ad esclusivo vantaggio di una imprenditoria edilizia vorace, che non ha potuto innescare un indotto adeguato a risollevare un’area, da secoli economicamente marginale, che ha visto, anzi, erodersi progressivamente le attività tradizionali della pesca, che costituivano la nervatura del suo sostentamento, in seguito a gravi fenomeni di inquinamento, a favore di un’occupazione solo temporanea, minacciata essa pure dalla mancanza di opportuna gestione” (Franzoni e all, 1988, p. 215)Ad avviare la speculazione edilizia ai Lidi Ferraresi furono società straniere e, in seguito investitori italiani ma esterni all’area. Iniziative locali sono nate solo successivamente, a sviluppo avanzato, avviando al successo imprenditori locali autonomi, investitori e intermediari che traggono guadagno sulle vendite plurime, ripetute a distanza di pochi anni. Per gli investitori è inevitabile cercare di trarre pro tto dalle ampie aree libere presenti tra un insediamento e l’altro e che persistono grazie alla tutela regionale dell’Emilia Romagna che ha istituito nel 1988 il Parco Regionale del Delta del Po che ha diviso il territorio in “stazioni” in conseguenza sia dell’estensione che del forte carico demogra co e agricolo. L’attuale con gurazione è il risultato di interventi edilizi di tipo casuale, privi di qualsiasi criterio urbanistico e di episodi di segno fortemente speculativo, che si sono ripetuti no agli anni 80. In generale, i servizi per il tempo libero in questa zona sono 70
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sempre stati limitati ma soprattutto si sono rivelati nel tempo poco redditizi. Il fenomeno è legato alla ricettività di tipo residenziale piuttosto che alberghiera, dato che in quest’ultima si veri ca un turn over continuo mentre le case vacanze hanno un ricambio minore con permanenze più protratte nel tempo e di conseguenza con minore pressione sulla domanda di strutture varie. Sono stati effettuati vari tentativi di offerta di servizi innovativi, soprattutto per i giovani, ma molti sono falliti e numerose strutture sono state abbattute o ridestinate ad uso tradizionale; anche i negozi subiscono continui cambi di gestione o di destinazione e pure le sale cinema rimangono deserte. E’ un ambiente molto tranquillo, familiare ed i servizi che hanno maggiore successo sono i negozi di generi alimentari. Il turismo in alloggi per vacanza ha schiacciato tutte le altre tipologie, in particolare quella alberghiera, ridotta ad un ruolo marginale. La principale debolezza del settore turistico della zona è rappresentata dalla monotematicità della fruizione, a unico scopo balneare, restando fermi su una ricezione di tipo residenziale di famiglie, che non valorizza il turismo dei week-end e delle escursioni giornaliere. Sta però crescendo un turismo improntato sull’aspetto ecologico e naturalistico, con attività sulle vie d’acqua e sugli itinerari verdi, di cicloturismo, di birdwatching e di ittiturismo, pratiche da promuovere in quanto si collegano all’identità storica ed enogastronomica di Comacchio, integrando il turismo costiero con quello del Parco del Delta. Il tema della riquali cazione e del rilancio del turismo è anche un problema urbanistico, cioè di qualità e di forma urbana di aree che ne sono prive. Inoltre l’estrema scarsità della tipologia alberghiera è un fattore di generale debolezza del turismo della zona. La presenza di una quantità di alberghi signi cativa permetterebbe di offrire una valida alternativa al turismo in case per vacanze, e di sostenere un processo concorrenziale essenziale per il miglioramento e la crescita qualitativa di tutto il set72
tore. L’altro aspetto critico di alcune parti del territorio consiste nella carenza di servizi e di locali pubblici per il tempo libero, il divertimento e l’evasione che non possono mancare in luoghi di vacanze. In questo contesto sarebbe di rande signi cato se una parte, seppur quantitativamente limitata, delle strutture carenti o assenti, venisse ricavata attraverso la riconversione del patrimonio edilizio e turistico esistente.
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3.4 L’ACQUACOLTURA Il mestiere produttivo storico
L’acquacoltura, che po’ essere de nita come allevamento del pesce, ha origini antiche: in Italia viene praticata già nel periodo romano, ma alla ne della seconda guerra mondiale risultava un’attività marginale. E’ stata solo recentemente riproposta come impresa economica in grado di dare risposte durevoli in termini di produzioni, occupazione, tutela dei territori interessati. L’acquacoltura si distingue in quattro settori: 1. itticoltura 2. molluschicoltura 3. allevamento di crostacei 4. alghicoltura. In Italia l’attività più diffusa è l’itticoltura sia in termini di superci territoriali, sia in termini di quantità prodotte. L’acquacoltura si differenzia in diversi metodi di allevamento: estensivo, intensivi, semintensivo. Il primo si svolge su ampie super ci e richiede basso impiego di manodopera e limitato consumo energetico; è poco inquinante ed è in equilibrio con l’ambiente, in quanto la produttività naturale è sufficiente ad assicurare la crescita delle specie in condizioni economicamente soddisfacenti. Nel metodo intensivo il ciclo d’allevamento viene totalmente controllato dall’uomo; presenta i più elevati costi di produzione, tra cui quelli energetici, ma garantisce un’elevata produttività. Il metodo semintensivo cerca di raggiungere buoni risultati economici con un migliore utilizzo dell’energia nell’ottica della salvaguardia dell’ambiente. L’acquacoltura in Italia rappresenta un patrimonio unico di conoscenze, esperienze, eccellenze e cultura che ha favorito lo sviluppo di pratiche di allevamento diversi cate e adattate alle favorevoli condizioni geomorfologiche, climatiche e ambientali 74
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del nostro paese. Il settore dell’acquacoltura nelle Valli di Comacchio merita attenzione in quanto scenario storico della lavorazione legata alla conservazione delle anguille marinate, dal momento della pesca, operata dai ocinini delle anguille intrappolate nei lavorieri, no alla cottura e al trattamento presso la Manifattura dei Marinati, e al successivo inscatolamento, per essere inviate in tutto il mondo. L’opera di recupero di questa attività artigianale è importante in corrispondenza della progressiva carenza di anguille che abbandonano acque sempre più inquinate, tanto da non venire più a depositare le uova nel delta, punto terminale di quel cammino che le porta qui dal Mare dei Sargassi. In Italia sono presenti più di 800 impianti che producono 140mila tonnellate l’anno di pesce, e che rappresentano il 40% della produzione ittica nazionale. La produzione italiana si occupa complessivamente di 30 tipi di pesce, molluschi e crostacei ma il 97% dei prodotti sono rappresentate da solo 5 specie: trota, spigola, orata, mitili e vongole veraci di cui è il principale produttore in Europa. Negli ultimi 10 anni l’acquacoltura italiana, come quella europea, non ha espresso le potenzialità di crescita e innovazione attese e oggi non svolge una funzione sostitutiva alla pesca per la fornitura dei prodotti ittici, fornitura che nel nostro paese è ancora costituita per l’80% da prodotti importati. Secondo gli scenari di previsione della Banca Mondiale (2013) sulla crescita dell’acquacoltura, sulla base delle proiezioni dei dati di consumo e crescita demogra ca, è prevista al 2030 una richiesta di 261 milioni di tonnellate di prodotti ittici, di cui oltre il 62% dovrà essere assicurato con prodotti d’acquacoltura. Per soddisfare la domanda non sarà sufficiente assicurare gli stessi trend di crescita garantiti sinora ma sarà necessario che nel periodo 2012-2030 si triplichino le produzioni da acquacoltura per soddisfare la domanda. 76
Anche il settore dell’acquacoltura, nelle sue diverse forme, subirò in futuro gli effetti dei cambiamenti climatici, come l’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteo marini estremi, e il riscaldamento globale. Il settore speci co che ne risentirà in particolare sarà la molluschicoltura a causa dell’acidi cazione e del riscaldamento delle acque marine, mentre i sistemi di produzione in acque interne entreranno probabilmente in crisi per la disponibilità e la qualità di risorse idriche.
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l’emergenza
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4.1 I CAMBIAMENTI CLIMATICI I presupposti dell’emergenza
I gas serra sono componenti minori dell’atmosfera (che per la maggior parte è composta di azoto e ossigeno) i quali, interagendo con la radiazione infrarossa di origine terrestre, causano il cosiddetto effetto serra. L’effetto serra aumenta la temperatura super ciale del pianeta di circa 33 gradi centigradi rispetto ai valori che ci sarebbero in sua assenza e di fatto consente la vita sulla Terra, dato che senza di esso la temperatura media del pianeta sarebbe molto inferiore al punto di congelamento dell’acqua. Il principale gas serra è il vapore acqueo che, diversamente dagli altri gas serra, è soggetto a forti variazioni naturali di concentrazione sia nello spazio che nel tempo. Dall’inizio della rivoluzione industriale l’uomo ha progressivamente modi cato la composizione atmosferica immettendovi grandi quantità di gas serra “minori”, tra cui il più noto è il biossido di carbonio meglio noto come “anidride carbonica” (CO2). La concentrazione della CO2 in atmosfera è passata dalle 280 ppm (parti per milione) di ne Settecento alle 387 ppm attuali, livello probabilmente mai riscontrato negli ultimi venti milioni di anni. L’incremento della CO2 negli ultimi decenni è per tre quarti imputabile al consumo di combustibili fossili e per il resto alla deforestazione e al conseguente rilascio atmosferico di carbonio in precedenza sequestrato nelle piante e nel suolo. Altri gas serra in aumento a causa delle attività umane sono il metano (CH4), derivante in buona parte da risaie, bestiame e discariche, e il protossido di azoto (N2O), prodotto principalmente dalle concimazioni azotate e da alcuni processi industriali. Totalmente assenti nell’atmosfera naturale, ma introdotti recentemente da talune attività industriali sono i Cloro uorocarburi (CFC), i Per uorocarbuti (PFC) e l’Esa uoruro di Zolfo (SF6). 82
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Gli effetti di questi gas sull’alterazione del clima appaiono oggi sempre più evidenti e, senza adeguati interventi, rappresentano un serio pericolo per la vita di domani. Il clima del nostro pianeta sta cambiando, come si può notare dall’incremento della temperatura globale dell’aria, della temperatura e del livello degli oceani, dallo scioglimento diffuso di neve e ghiaccio, e dall’intensi cazione dei fenomeni estremi, come gli uragani, le alluvioni e la siccità. Per la valutazione dei cambiamenti dello stato del clima a scala locale sul territorio della regione Emilia- Romagna, sono stati analizzati gli andamenti annuali della temperatura dell’aria vicino al suolo e della precipitazione, rilevati su una rete di 45 stazioni per la temperatura e circa 90 stazioni per la precipitazione e sul periodo 1961-2015. L’Atlante climatico 1961-2015 curato da Arpae mostra che il cambiamento climatico nella nostra Regione non è una proiezione o uno scenario con alto grado di probabilità, ma un dato di fatto, un fenomeno documentato e già di rilevante entità. Le conclusioni che possono trarsi da questa analisi dei trend climatici, usando la rete di stazioni descritta in precedenza e sul periodo 1961-2015, sono le seguenti: • Aumento delle temperature (massime e minime) e, nello stesso periodo, un aumento della durata delle ondate di calore; • A partire dal 1985 il valore annuale della temperatura massima e minima è stato quasi sempre al di sopra del valore climatico di riferimento (1961-1990), con incrementi superiori a 1 grado; • Diminuzione della precipitazione totale annuale, con punte di anomalia negativa più intense nel 1983 e1988, ma anche nel periodo più recente. Nello speci co negli ultimi 25 anni, la rete di monitoraggio Arpae ha registrato, in tutte le stagioni, signi cativi aumenti di temperatura rispetto al trentennio di riferimento 1961-1990, con incrementi superiori a 1 grado. Per quanto riguarda le precipitazioni, a una modesta riduzione del dato annuale si accompagna un notevole cambiamento dei regimi di pioggia nel corso dell’anno, con prolungati periodi siccitosi nella stagione estiva. 84
Questi cambiamenti climatici impattano già oggi sul sistema agricolo regionale causando incremento dei fabbisogni irrigui, stress termici per le colture e per gli animali allevati, anticipazione dei cicli colturali, diusione di topatologie e nuovi parassiti. Allo stesso tempo l’agricoltura e la zootecnia contribuiscono insieme ad altri settori all’emissione di quei gas climalteranti che sono i principali imputati del cambiamento climatico.
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4.2 L’EROSIONE DELLA COSTA
Il litorale emiliano-romagnolo è formato da 110 km di spiaggia bassa e sabbiosa, di cui le dune costituiscono un importante elemento morfologico. Esse, oltre a costituire ambienti di grande interesse naturalistico ed ecologico (specialmente in presenza della macchia mediterranea), delimitano e proteggono, interponendosi al mare, ambienti umidi di grande importanza ecologica come i laghi e le paludi costiere, oltre a costituire un argine naturale alle acque alte, una protezione per gli ambienti di retrospiaggia e un accumulo di sabbia in grado di alimentare la spiaggia e quindi di contrastare in parte gli effetti dell’erosione. Questi sistemi dunali costieri, piuttosto diffusi no ad epoche recenti, sopravvivono attualmente in un numero alquanto ristretto di zone, in conseguenza delle boni che idrauliche che hanno determinato il loro smantellamento per contribuire principalmente allo sviluppo urbanistico. I restanti ambienti dunali sono tuttora minacciati da gravi e avanzati meccanismi di degrado legati essenzialmente alla diffusa antropizzazione e all’erosione dei litorali, che in Italia interessa oltre un terzo dei circa 3.250 km di spiagge. Anche lungo la costa emiliano-romagnola l’attività antropica ha però accelerato e inasprito i processi erosivi: l’urbanizzazione a ridosso delle spiagge, la costruzione di strutture rigide per proteggere la costa, la realizzazione di opere portuali e hanno prodotto un irrigidimento della costa e la riduzione degli spazi di azione dei processi costieri; con la regimazione dei bacini uviali e l’escavazione in alveo è venuta a mancare l’alimentazione sedimentaria delle spiagge; l’estrazione di uidi (acqua e idrocarburi) dal sottosuolo, in prossimità della costa, ha portato all’aumento del tasso di subsidenza, producendo quella che in 86
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termini di erosione costiera si traduce in perdita di volume a carico della spiaggia. In ne il riscaldamento globale sta producendo lo scioglimento dei ghiacciai e un conseguente aumento del livello del mare. Oltre la metà delle spiagge regionali (circa 74 km) sono protette da opere rigide di vario tipo. Le più diffuse sono scogliere parallele emerse che difendono circa 40 km di costa (vedi gura). I restanti 30 km sono protetti da scogliere radenti (opere parallele ed aderenti alla riva), scogliere a cresta bassa, barriere sommerse in sacchi e pennelli. A queste strutture si aggiungono le opere portuali e le darsene che occupano circa 2,5 km di fronte mare. Lo stato erosivo del litorale emiliano-romagnola è descritto tramite una serie di indicatori elencati di seguito e basati sull’analisi integrata di dati rilevati sulla costa nel periodo 2006-2012. Le informazioni si riferiscono ai tratti di costa descrivibili dagli indicatori (circa 117,4 Km) perciò sono esclusi dalle percentuali gli sbocchi di umi e canali, le darsene, i porti e la riva interna della sacca di Goro, che sommati insieme corrispondono a una lunghezza di litorale di circa 22,6 km. La classi cazione ASPE (espressa in metri e percentuale) fornisce un’indicazione complessiva sullo stato di criticità del litorale, utile ai ni gestionali futuri di difesa costiera. Si basa sull´analisi integrata di molteplici informazioni, descrivendo la tendenza evolutiva delle spiagge all’erosione, all’accumulo o all’equilibrio, nell’arco di un determinato periodo di tempo. L´indicatore descrive le condizioni in cui verserebbe il litorale, in assenza di interventi di difesa, evidenziando le reali criticità delle spiagge. Secondo tale indicatore, nel 2012 rispetto al 2006, il 13% delle spiagge (circa 15 km) è in accumulo, il 22% (circa 25 km) è in condizioni di stabilità senza necessità di interventi, mentre il 65% del litorale (circa 77 km) presenta vari livelli criticità. Tra i tratti critici, 33 km di spiaggia sono in ‘equilibro precario’, 44 km sono in erosione. I primi si presentano stabili, ma sono 88
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oggetto di interventi di difesa di vario tipo (ripascimenti, nuove opere o manutenzione di quelle esistenti); i secondi invece manifestano perdite di sabbia. L’analisi ASPE può essere studiata anche considerando le singole macrocelle. Per macrocella si intende un tratto costiero, contraddistinto da ridotto scambio sedimentario con quelli contigui, a causa della presenza di punti di convergenza del trasporto solido o di lunghi moli portuali che ostacolano il trasporto dei sedimenti lungo costa. Il litorale emiliano-romagnolo è suddiviso in sette macrocelle. L’analisi delle dinamiche rispetto alla macrocella 5 tra il Porto di Ravenna e i moli di Porto Garibaldi,evidenzia che su 13,3 km di spiagge in stato critico, 8.7 km di litorale sono in erosione. Tra i tratti che necessiterebbero di una revisione dei sistemi di protezione ricadono la spiaggia di Marina Romea, il lungo tratto del Poligono Militare di Foce Reno difeso da scogliere radenti, e la spiaggia di Bellocchio sino all’abitato di Lido di Spina. In questa Macrocella sono presenti anche spiagge in accumulo o stabili, in virtù della loro posizione favorevole rispetto alla direzione del trasporto longshore (diretto parallelamente alla linea di costa): Porto Corsini, Lido di Spina e Lido degli Estensi. In merito ai primi due tratti in avanzamento, a Porto Corsini e Lido degli Estensi, si è però evidenziato un rallentamento, rispetto al passato, della tendenza alla progradazione di queste spiagge, ulteriore indizio che i volumi di materiale sabbioso in circolo nel sistema stanno progressivamente riducendosi. Per quanto riguarda la macrocella 6 tra Porto Garibaldi e la foce del Po di Volano, la maggior parte delle spiagge con criticità è in una situazione di equilibrio, raggiunto con continui interventi di ripascimento.
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4.3 LE OPERE DI DIFESA
L’avvio della difesa dei litorali dal mare in Italia viene normalmente fatto coincidere con l’approvazione della legge n. 542 del 1907 per la difesa degli abitati. In Emilia-Romagna, il primo intervento di cui si ha notizia è del 1918 e riguarda alcuni pennelli realizzati a Viserba. Le prime 3 scogliere parallele emerse vengono invece realizzate nel 1931 davanti a Porto Garibaldi. Le ultime due a Lido Adriano Sud nel 2005. Per tutto il ‘900 quindi l’intreccio tra l’espansione a macchia d’olio dell’urbanizzazione lungo il litorale da un lato e l’estendersi dei processi erosivi sugli arenili dall’altro, ha portato ad un continuo ricorso alla legge del 1907 sopraccitata e, conseguentemente, alla realizzazione di decine di chilometri di opere di difesa rigida. Visto che allo stato attuale non vi sono né progetti né previsioni di interventi di difesa con opere rigide, si è fatto l’inventario di tutte le tipologie di opere di difesa no ad ora impiegate e di quelle presenti. È risultato così che il litorale emiliano-romagnolo è attualmente protetto da: - 38.0km di scogliere parallele emerse - 19.0km di scogliere radenti - 6.7 km di scogliere semisommerse - 2.6km di pennelli per un totale 66,3km In realtà i pennelli in roccia o in pali di legno, esclusi i moli dei porti e quelli ai lati delle foci uviali, sono 91, ma, la maggior parte di essi è associato ad altri tipi di difesa. La difesa con opere rigide ha subito in Emilia-Romagna un forte rallentamento a partire dal 1981,anno del Piano Costa, che sancisce un atteggiamento di attenzione ai temi di tutela paesaggistica e ambientale anche per le opere marine. 92
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Perciò tra il 1995 e il 2006 sono state realizzate soprattutto scogliere parallele semisommerse, cioè con la cresta a quota medio mare, ma la loro efficacia è risultata no ad ora solo parzialmente soddisfacente. Il Piano Costa 1981 ha posto la necessità di abbandonare la difesa con scogliere e in alternativa di ricorrere al ripascimento. Di fatto, per quegli anni si trattava di un’innovazione culturale, metodologica e tecnica molto profonda, del tutto nuova in Italia. La Regione ha quindi realizzato nel 1983, il primo intervento di questo tipo portando mezzo milione di mc di sabbia su 4 spiagge distinte. Nei 10 anni successivi, questi interventi sono stati ripetuti su queste ed altre spiagge, portando a 2,1 milioni i mc il materiale utilizzato e a 14 km i tratti di litorale interessati. Per tutti gli anni ‘80-’90, questi interventi sono stati associati alla realizzazione di barriere sommerse in sacchi pieni di sabbia (2 m3), realizzate su un fondale di circa 2,5 m, per il contenimento della sabbia portata a ripascimento. Visti i buoni risultati forniti dagli interventi di ripascimento, nel 2000, la Regione ha nanziato il 1° intervento con sabbie prelevate dai corpi sabbiosi sottomarini. Nei primi mesi del 2002, 800.000 mc di sabbia provenienti da un dosso posto a 40 m di profondità e 55 km al largo della costa sono stati così portati su 8 spiagge distinte, lunghe complessivamente 9 km. A partire dal 1996 è via via aumentato anche il ricorso a tutte le fonti di sabbia disponibili lungo il litorale: sono state utilizzate sabbie provenienti dai dragaggi portuali, da spiagge o litorali emersi in costante accumulo, dallo scavo di fondazioni di fabbricati (Riccione) e dalla pulizia delle spiagge dopo la vagliatura. Complessivamente tra il 1983 e il 2006 sono stati portati a ripascimento 6,6 milioni di mc di materiale sabbioso, di cui 5,3 milioni da fonti esterne al sistema. Nei primi mesi del 2007 la Regione ha realizzato infatti molti interventi di ripascimento tra cui il 2° intervento con sabbie sottomarine (815.000 m3).
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A causa della bassa giacitura rispetto al livello del mare, il territorio retrostante il litorale emiliano-romagnolo è molto esposto all’ingressione di acqua marina. Questo rischio è particolarmente elevato nell’area centro- settentrionale dove più di 100.000 ha di territorio sono al di sotto del livello del mare e vengono mantenuti costantemente all’asciutto grazie all’azione congiunta esercitata dalla boni ca idraulica e dal sottile rilevato costiero che funziona da argine a mare. Queste caratteristiche morfologiche vanno correlate con la congurazione del Mare Adriatico che è poco profondo e chiuso su tre lati. Pertanto in occasione di eventi di bassa pressione atmosferica sul Mar Tirreno, il vento da sud sospinge le acque verso Venezia, determinando innalzamenti del livello marino che in casi eccezionali possono raggiungere anche i 2 m. A queste caratteristiche naturali dell’area, la demolizione di quasi tutti i cordoni dunosi e l’abbassamento del terreno di circa 1 m dovuto all’estrazione di acqua e metano dal sottosuolo. La conseguenza di tutto ciò è che attualmente i 4/5 del litorale emiliano-romagnolo sono fortemente esposti al rischio di ingressione marina. Le prime opere di difesa dall’acqua alta sono state realizzate nei primi anni ’50 nella zona più a nord e che col passare dei decenni la necessità di intervento si è estesa sempre più verso sud, arrivando a coprire più di 80 km di litorale. Tra queste vi è anche la Strada Argine Acciaioli che ha la funzione di proteggere i territori agricoli interni dalle ingressioni marine. L’elevato grado di vulnerabilità dell’intero litorale regionale è confermato dalla realizzazione di argini di difesa invernale in corrispondenza di molte decine di chilometri di litorale. Da alcuni decenni infatti, per contenere il mare e ridurre i danni, i concessionari realizzano nel mese di ottobre un argine davanti agli stabilimenti balneari accumulando con ruspe la sabbia dalla spiaggia antistante. Ad aprile la sabbia residua viene di nuovo stesa sulla spiaggia. L’operazione è ovviamente negativa per quanto riguarda la stabilità della spiaggia, ma la sua necessità è talmente sentita da impedire ogni tipo di opposizione. 95
4.4 LA SUBSIDENZA
Il fenomeno della subsidenza è assai studiato e noto per gli effetti visibili che quotidianamente si possono percepire abitando il territorio comacchiese. Le cause, è noto, sono riconducibili sia a dinamiche naturali che indotte dall’azione dell’uomo attraverso l’estrazione di uidi o gas dal sottosuolo e dalla boni ca delle valli. Esistono innumerevoli studi che cercano di fare dei modelli previsionali sul futuro del nostro territorio, in questo suo progressivo abbassamento. Un tempo i umi con le esondazioni apportavano sedimenti distribuiti sulle piane alluvionali, a compensarne l’abbassamento; ora il sistema uviale è irrigidito e contenuto negli argini per motivi di sicurezza idraulica, e questo non consente più la compensazione. L’estrazione di uidi accellera il fenomeno, aumentando le velocità di abbassamento. L’abbassamento è dunque un processo non compensato e dunque, negli anni, nei decenni e nei secoli, condizionerà non poco la bassa pianura padana. Non è facile fare modelli previsionali per il futuro. Non è stato facile neanche capire l’entità delle velocità di abbassamento di questi anni in cui è stato attuato un sistematico monitoraggio. Le misurazioni fatte nel tempo sulla velocità di abbassamento hanno portato a valori che potevano essere anche sostanzialmente diversi. Il rilevamento topogra co stà evolvendo verso nuove modalità di misurazione, che ricorrono a strumentazioni satellitari (interferometria satellitare, livellazioni con GPS), capaci di ridurre l’occorrenza di errori ed il trascinamento dei medesimi.
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4.5 L’INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEL MARE
Nel corso delle ere geologiche il livello del mare ha sempre subito delle oscillazioni. Tutte queste oscillazioni possono essere connesse a cause astronomiche, climatiche o geologiche; si tratta della sommatoria di variazioni che interessano l’intero globo a cui vanno sommate variazioni locali che differiscono, anche sensibilmente, da settore a settore. Durante l’ultimo periodo “caldo” molto simile al nostro, occorso 125 mila anni fa, il livello del mare era più alto di 8 metri dell’attuale (con 290 ppm di anidride carbonica nell’atmosfera). I quattro diversi contributi che concorrono all’attuale sollevamento di livello dei mari italiani sono: -lo scioglimento dei ghiacci; -il riscaldamento super ciale delle acque; -l’isostasia ed i movimenti tettonici verticali, come la subsidenza. Ciò che misura il mareografo, lo strumento che registrato il livello del mare, posizionato nei porti su strutture solide e sse, è l’effettiva sommatoria di tutti i movimenti relativi del mare. Non a caso i mareogra di Trieste e di Venezia mostrano dei trend molto diversi tra loro: il primo indica poco più di 13 centimetri di sollevamento, il secondo 24 centimetri. Venezia infatti, oltre alla componente dello scioglimento dei ghiacci e quella isostatica (molto simile a Trieste e Marsiglia), è sottoposta ad abbassamenti tettonici decisamente più considerevoli. Utilizzando le previsione delle singole componenti che formaano l’innalzamento del livello, si stanno elaborando sempre più modelli di previsione, riferiti a diversi orizzonti temporali e diverse aree geogra che. 98
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4.6 LO SCENARIO AL 2100 Le previsioni per la costa emiliano-romagnola
Lo studio di previsione per l’innalzamento del livello del mare per il litorale costiero emiliano-romagnolo, è redatto da Luisa Perini, Lorenzo Calabrese, Paolo Luciani, Marco Olivieri, Gaia Galassi, e Giorgio Spada. Lo studio parte dal considerare le componenti che avranno effetti sull’innalzamento del livello del mare, mettendo in pericolo i 130km di costa caratterizzati da vaste aree sotto il livello del mare, identi cando la subsidenza del territorio come una delle forze principali in quanto in combinazione con l’innalzamento del livello del mare causerebbe l’instabilità del sistema costiero, che andrebbe in regressione, causando danni ingenti all’economia regionale. Lo scopo del lavoro è quello di analizzare l’impatto del previsto innalzamento del livello dei mari nel 2100 lungo la costa dell’Emilia-Romagna. Due distinti aspetti sono quindi modellati e discussi: il primo è l’aumento dell’estensione di terre sotto il livello del mare, e quindi potenzialmente allagabili; il secondo è l’effetto delle mareggiate in termini di aree allagabili. Quest’ultime a causa dei cambiamenti climatici sono e saranno sempre più numerose e sempre più violente. Per quanto riguarda la componente dei livelli previsti per l’innalzamento del livello del mare, si fa riferimento ai dati dell’International Panel on Climate Change (IPCC) contenuti nel report AR5. Qui vengono riportati i livelli previsti per il periodo 2081-2100, riferiti al periodo 1986-2005, per diversi scenari riferiti alle previsioni sui cambiamenti climatici determinati dalle quantità di gas serra previste per 2100, chiamati RCP. La subsidenza in uisce sui meccanismi tettonici che inasprisco100
no le conseguenze dell’innalzamento del livello marino, con una componente antropica, rilevata dalla Regione, e una componente naturale (GIA) relativa al compattamento dei sedimenti dato dal diverso contenuto di acqua in diversi strati geologici. Con questi dati si procede quindi all’identi cazione delle aree sotto il livello del mare del 2100: il dato geogra co di partenza viene fornito dal Digital Terrain Model con risoluzione planimetriaca 5x5m della Regione Emilia-Romagna. Su questo dato geogra co viene applicata la variazione del livello del mare all’anno 2100, espressa con la formula S12100= SRCP+SGIA+SSUB. Il nuovo livello del mare al 2100 viene quindi intersecato con la DTM2100. Solo l’effetto della subsidenza contribuirebbe alla perdita di circa 101 kmq di terre. L’effetto combinato di subsidenza e innalzamento del livello del mare causerebbe invece la perdita di 346 kmq. Per quanto riguarda il secondo caso studio, relativo alla mappatura delle aree allagabili in presenza concomitante di innalzamento marino e mareggiata, si procede quanti cando la previsione di una mareggiata al 2100. Grazie a una dettagliata analisi storica delle mareggiata avvenute realizzata da Masina e Ciavola nel 2011, sono stati identi cati i livelli del mare in corrispondenza degli eventi di mareggiata: 0.85, 1.05 e 1.28m rispettivamente per i tempi di ritorno di 2, 10 e 100 anni. Per gli stessi tempi di ritorno i livelli, privati della componente mareale corrispondono a 0.61, 0.79 e 1.02 m. Dato l’obiettivo del caso studio 2, di determinare l’estensione delle potenziali aree allagabili durante un evento di mareggiata nel 2100 e la comparazione di questi dati con la cartogra a del rischio di alluvione costiera esistente, la S22100 risulta come la somma della S1 al 2100 aggiunta della variazione in altezza data dalla mareggiata: S22100 = SRCP+SGIA+SSUB+SSTS.
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Tre scenari vengono proposti per realizzate una mappa del rischio al 2100: -Scenario frequente P3 con tempo di ritorno a 10 anni ed elevazione pari a 1.49m -Senario meno frequente P2 con tempo di ritorno a 100 anni ed elevazione pari a 1.81m - Scenario raro P1 con tempo di ritorno molto maggiore di 100 anni ed elevazioni di 2.50m In sede di calcolo del nuovo livello del mare al 2100 si sono scartati gli eventi con tempo di ritorno 10 anni e >>100 anni, perchè trascurabili ai ni dello studio. Dalle mappe del rischio è da notare che sono state escluse quelle aree che, seppur risultando allagabili da un punto di vista altimetrico, non presentavano nessun collegamento con la linea di costa. Il risultato ottenuto mostra un grande aumento delle aree a rischio di alluvione durante le mareggiate su tutta la costa dell’Emilia-Romagna, ma in particolare nella porzione tra Ravenna e Cesenatico. Relativamente all’area di progetto dei Lidi Nord, si riscontra un aumento di aree a rischio di alluvione del 59% solo considerando il fenomeno della subsidenza. Includendo anche il fenomeno dell’innalzamento del livello del mare le percentuali di aree a rischio si alzano a 102% e 214% rispettivamente per lo scenario Low, associato all’RCP 2.6, e quello High, associato all’RCP 8.5. In de nitiva quindi per il primo caso studio che considera innalzamento marino e subsidenza, si riscontrano 99 cm di innalzamento massimo al 2100 nelle aree con subsidenza maggiore nello scenario RCP 8.5; per il secondo caso studio che tiene conto anche dell’in uenza delle mareggiate, si riscontrano invece 2.65 m di innalzamento al 2100 per lo scenario RCP 8.5 ed mareggiata con Tempo di ritorno pari a 100 anni.
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la strategia di progetto
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5.1 OBIETTIVI
L’obiettivo principale del progetto e della strategia proposta per l’area del comune di Comacchio, e specialmente per quella dei Lidi Nord, è quello di costituire un approccio integrato al paesaggio, portando a sistema le differenti speci cità del territorio, e utilizzando come trait d’union la progettazione dell’elemento storico dell’acqua. Si utilizza quindi la crisi dell’innalzamento del livello del mare, che mette in pericolo di alluvione i centri urbani dei lidi costieri, come occasione per attuare una progettazione paesaggistica, che utilizzi il linguaggio delle forme storiche del territorio, e che promuova nuovi usi e nuovi modi di vivere il territorio in maniera sostenibile. Nell’approcciare il territorio si sono segnati alcuni punti ssi: le due polarità del territorio, quella densa di comacchio e quella rarefatta del sistema di lidi, gli assi di connessione interni ed esterni all’area, e le direzioni strategiche ortogonali. Partendo dallo studio di Perini e collaboratori, che mappa l’estensione delle aree in pericolo di alluvione in coincidenza dell’evento di mareggiata nel 2100, quindi concomitante agli effetti di innalzamento marino, si può vedere come gli abitati dei Lidi e in specie i Lidi nord e il Lido delle Nazioni in primis, siano in una situazione di pericolo. Sebbene questi centri urbani non costituiscano elementi di pregio urbano e architettonico importanti, sono essenziali nel quadro economico del territorio del comacchiese, ospitando la quasi totalià delle strutture ricettive.
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La demolizione della prima fascia costiera di tessuto urbano si rende necessaria per realizzare la difesa litoranea, e può costituire l’occasione per iniziare un programma di investimenti e opere che restituiscano qualità architettonica e urbanistica ai centri. In questo contesto si inserisce anche un approccio di Managed Realignment, rispetto alle linee di difesa interne: la strada Acciaioli, prima difesa contro le acque alte dell’area dei Lidi Nord, viene modi cata in modo che si con guri a ponte in corrispondenza dei varchi a mare, permettendo che si formino aree umide e lagune intorno al centro urbano. Rimane comunque fondamentale nel costituire il lato retrostante dell’anello protettivo dei lidi, grazie a un’ulteriore innalzamento, e nel costituire l’asse di connessione panoramico principale. Con la scelta di permettere l’ingressione da alcuni punti del litorale, si creano i presupposti per ripristinare elementi morfologici tipici del territorio come le lagune costiere, a cui i lidi si interfacceranno quasi come se fossero delle isole, creando un nuovo tassello nella storia del paesaggio del territorio del delta antico.
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5.2 AZIONI
Per costruire il quadro della strategia procede quindi alla de nizione delle linee strategiche e delle azioni, risultanti dall’evidenziazione di alcuni criticità nel territorio. Ci si pre gge di restituire qualità paesaggistica ai bordi della Romea, ora disseminativi di attività industriali e commerciali sparse, conce la strada come punto panoramico in movimento. Si prevedono quindi delle aree scambiatrici della mobilità per garantire l’agevole accesso e fruizione delle nuove realtà paesaggistiche, naturali o produttive, ma sempre visitabili. Si attua la rinaturalizzazione diffusa sfruttando le vie di connessio di progetto per costruire una rete capillare di corridoi ecologici, dove ora si trovano contesti costruiti intervallati da campi o aree residue, tra cui non esiste mediazione o dialogo. Questa rete ecologica si propagherà negli insediamenti, dove i nodi saranno costituidi da aree residue riquali cate, che faranno anche parte della rete di sponge parks emergenziali. Si propone l’impianto di un sistema integrato di gestione emergenziale delle acque a Valle Isola, che abbia anche una valenza paesaggistica: si propone quindi l’allargamento delle aree di esondazione tra gli argini del Canale Collettore e una rete di bacini di detenzione diffusi nella maglia del sistema agricolo. Nel pre gurare l’effettivo masterplan strategico che attui le proposte elencate, si sono anche identi cate quattro fasi in cui la strategia dovrebbe strutturarsi per dare i risultati sperati. Queste fasi non hanno orizzonti temporali ben delineati per via della mutevolezza delle dinamiche in gioco, ci si pre gge soltanto l’orizzonte nale al 2100, coincidente con le previsioni sull’innal112
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zamento del livello del mare prese in esame. La scansione temporale degli interventi sul territorio vede in primis, l’inizio dei lavori di demolizione della prima fascia di tessuto urbano costiero e la sua conseguente ricollocazione, in contemporanea agli interventi per costruire la difesa dell’argine costiero e innalzare la strada acciaioli al livello di progetto di 4 metri slm. Nella seconda fase si continua ad operare la demolizione e il rialloggio della prima fascia di tessuto, oltre ad operare la sopraelevazione degli assi stradali trasversali alla Strada Acciaioli per costituire le arginature sui lati settentrionale e meridionale del centro urbano, a portare avanti il rimboschimento di alcune aree ben de nite e ricostituzione del sistema dunoso embrionale. Si comincia a realizzare la rete di connessioni ciclabile nella futura fascia di allagamento. Si prevede inoltre l’innalzamento del tratto di Romea tra il canale Navigabile e l’insediamento di S.Giuseppe per proteggere le aree depresse di Valle Isola nei punti in cui la loro distanza dalla costa è minore. Nella terza fase si ha il momento di svolta della rimozione delle difese a mare. Si continua inoltre nella realizzazione della rete di connessioni ciclabili interne e delle connessioni verdi che connettano le aree boscate tra di loro, e con le altre aree strategiche. Inoltre si iniziano gli interventi per realizzare gli sponge parks e quella rete di scolo delle acque super ciali negli insediamenti dei lidi, in modo che possano convogliare le acque di meteoriche e le eventuali acque di mareggiata e in ne scaricarle nelle aree umide retrostanti. Nell’ultima fase è permesso l’allagamento, e parallelamente si operano gli interventi al sistema agricolo in Valle Isola appromtando lo spostamento degli argini dei canali e realizzando la rete di bacini di detenzione. In questa fase inoltre si nisce la realizzazione degli sponge parks, e si innestanto i nuovi usi nelle nuove aree umide. 114
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il progetto
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6.1 RIPROGETTAZIONE RESILIENTE DEL RETROCOSTA DEI LIDI NORD
In riferimento agli studi utilizzati per costruire i presupposti teorici del progetto, relativi alle previsioni dei livelli di innalzamento marino e di mareggiata al 2100, si sono usate le soglie calcolate per identi care le aree intertidali, ovvero interposte tra il livello dell’alta marea e quello di bassa marea. Questa semplice analisi risulta la chiave per capire l’effettiva dinamica delle aree allagate e per pre gurare gli usi che vi si possono innestare. Dalle mappature si nota infatti come le aree con altimetria tra il livello di alta e bassa marea siano particolarmente estese, specialmente se si considera che nello scenario di progetto, la barriera lineare odierna della Strada Acciaioli non sarà pù tale e anzi pemetterà l’avanzamento dell’acqua in alcuni tratti. In seguito all’ulteriori analisi in sezione di queste aree comprese tra la linea di costa e la Strada Romea, si sono prese le decisione riguardo gli usi da innestare nell’area. Nelle aree intertidali e subtidali, da quelle completamente allagate con l’alta marea a quelle peremente sotto il livello dell’acqua, si inseriranno attività visitabili di molluscicoltura estensiva in piano, realizzata in “terrazzamenti” di letti sabbiosi adatti ad accogliere le specie in colture e farle crescere. L’azione del moto ondoso che disturberebbe l’attività di coltura, viene schermata dall’azione di piccoli argini, che possono costituire percorsi efmeri, emersi solo duurante la bassa marea e collegati tra loro da passerelle rialzate. A anco delle attività di acquacoltura si sono pre gurati degli usi di tipo agricolo non convenzionali: si propongono infatti, in alcune zone dell’alta fascia intertidale, dei campi di salicornia, che per crescere ha bisogno un ambiente salino e umido. Nelle vicine aree emerse si prevedono delle aree riservate alla colti122
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vazione in serra di specie alo te, utilizzando per l’irrigazione l’acqua degli impianti di molluschicoltura, ricche di nutrienti, attuando un sistema di acquaponica, oppure coltivando regolari specie orticole, utilizzando l’acqua di raccolta piovana precedentemente ltrata. Queste serre hanno necessità di essere an bie per far fronte alle mareggiate. Sono quindi realizzate con una fondazione scatolare in cemento ssa, nella quale si inserisce la struttura con la sua fondazione mobile e galleggiante, realizzata in calcestrutto e xps all’interno. Strutture come questa sono state realizzate per alcune serre nelle Hawaii e per alcune abitazioni nel Regno Unito.
Proseguendo la disamina degli usi innestati nel territorio dei Lidi Nord, abbiamo, sempre sulla direttrice strategica verticale in corrispondenza della costa e dei lidi, il Parco sportivo e ricreativo delle Lagune Nazioni, sul quale però ci focalizzeremo in seguito. Passando invece alla direttrice orizzontale che collega Comacchio a Porto Garibaldi e al mare, si evidenziano alcune vaste aree residue o utilizzate per la coltivazione di foraggio. Si propone perciò la realizzazione di aree verdi , sponge parks, nonchè di parcheggi permeabile nelle aree di questo tipo collocate all’intergo degli argini di difesa, comprese tra centro urbano di Porto 124
Garibaldi e la Statale Romea. Nelle aree tra Comacchio e la statale Romea, sul corso del Canale Navigabile si propone la realizzazione di un Giardino Botanico della ora palustre. Questo giardino botanico accoglierebbe delle aree umide realizzate facendo breccia nel lato armato del canale, e permettendo l’allagamento controllate di speci che porzioni di suolo. Da queste aree umide si originano diversi appezzamenti per la coltivazione di specie alo te e palustri rare, o economicamente redditize, come la Salicornia, impiegabile in campo alimentare e farmaceutico. a completare il quadro dei giardini, vi saranno delle strutture con doppia valenza didattica e organizzativa; strutture in cui siano approntate le attrezzature necessarie a mantenere l’attività del giardino botanico, e che possano essere visitabili e utilizzate per costituire una sorta di parco-museo dell’ecologia degli ambienti palustri. Alle strutture si affianca un sistema di percorsi, anche rialzati, e torrette panoramiche, oltre ad usi prettante ricreativi come un piccolo lago arti ciale, con possibile funzione di laminazione delle acque del reticolo di scolo, posto in vicinanza al canale collettore e all’impianto di sollevamento Guagnino. A anco dell’area del giardino bonatico, in corrispondenza dell’ex-Cercom si propone la boni ca del sito e il conseguente allagamento con le acque del canale navigabile, per creare delle aree umide, che continuino l’attività di boni ca ed estraggano 125
gli ultimi agenti inquinanti presenti nei suoli. Proseguendo sulla stessa direzione strategica, si incontra l’area dell’ex-zuccheri cio di Comacchio. In quest’area è già prevista l’installazione di un’infrastruttura ricettiva e polifunzionale, con attività commerciali, per lo scalo della futura idrovia. Questo ambito viene accompagnato dalla nuova Darsena Cappuccini. Oltre alle attività di scambio si propone di instaurare un sistema per l’accoglienza dei visitatori del territorio integrato con un’area residenziale ecoturistica. Un quartiere di appartamenti e strutture ricettive di vario tipo, realizzate su piccole aree umide, connesse al canale navigabile.
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6.2 IL PARCO DELLE LAGUNE DI LIDO DELLE NAZIONI
L’ultimo ambito progettuale è quello di Lido delle Nazioni. Qui si prevede l’instaurazione di lagune tutto intorno al centro urbano. Sulla linea di costa, in corrispondenza degli odierni varchi a mare, il cordono dunoso viene rinforzato a meno di un picolo tratto che permette l’ingresso del mare, al ne di evitare che venga spazzato via dalle correnti e il mare entri con troppa forza nel territorio, creando problemi legate alle dinamiche marine. Sempre sul fronte della linea di costa ma in corrispondenza del centro urbano si trova la spiaggia, resa più ampia grazie alla demolizione dellla prima fascia di abitato, nonchè alla costruzione di un pennello, in linea con il lato settentrionale dell’anello di difesa arginale, che crei un accumulo di sedimenti sulla spiaggia, specialmente nella sua porzione a nord, meno profonda di quella a sud. Proseguendo verso nord sulla linea di costa di ritrovano i cordoni, rinforzati anch’essi per prevenire gli effetti di erosione dati dalla presenza del pennello. Con l’accesso riparato dai cordoni, si ritrova l’area della laguna, formata dall’ingressione del mare e dallo sbocco delle acque dei canali di boni ca. Sul lato più interno si è previsto di favorire l’accumulo di sedimenti marini per formare una barriera a protezione delle pinete del Parco Ricreativo. Questo parco si inserisce tra la Romea, su cui ha il suo accesso e il limite interno delle lagune. L’accesso è formato da un area di scambio della mobilità con un parcheggio coperto, e altre strutture come una stazione di bike sharing con annessa officina, la stazione del bus elettrico, un mercato coperto e un’area di parcheggio permeabile, utilizzabile come piazza in periodi in cui non si abbiamo intensi ussi turistici, da cui dipartono i diversi percorsi del parco: quello specialistico per l’accesso delle zone agricole preservate a nord e a sud 130
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del parco, che costeggia il canale e si inserisce tra i campi; quello del bus elettrico, che costeggia i campi a sud e il limite inferiore del parco, prima di passare sopra la laguna e ricongiurgersi con la strada Acciaioli; in ne quello ciclopedonale, che taglia le aree iinterne del parco, ammirando tutti i tipi di vegetazione, e connettendo delle aree con attrezzature sportive, prima di oltrepassare le lagune e giungere sull’argine a gradoni rinaturalizzato della strada Acciaioli. La progettazione del verde nel parco si innesta su quelle linee di cotruzione disegnate dagli allineamenti del reticolo di scolo e delle strade. I tipi di vegetazione si alternano per creare una successione di suggestioni diverse percorrendo il percorso ciclopedonale. Andando verso la laguna gli ambienti vegetati diventano umidi, in modo che possano accogliere le acque della laguna. Sul limite con la laguna, ma in corrispondenza di zone leggermente rialzate si trovano delle pinete , costituendo con il leggero rilievo su cui si innestano, e il canale retrostante, una difesa per il tessuto agricolo contro il cuneo salino. A nord del punto di accesso del parco, in una zona naturalmente depressa, si trova un lago articiale permanente, per gli spot acquatici come paddleboard, wakeboard etc., che ha anche la funzione di bacino di laminazione delle acque in eccessio nel contiguo reticolo di scolo.
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6.3 I LIDI RESILIENTI
Analizzando invece gli interventi che hanno luogo all’interno dell’anello difensivo di Lido delle Nazioni, si può notare la totale riprogettazione dell’infrastruttura del lungomare. il usso automobilistico di servizio alle attività dislocate sulla strada e costiera, e il usso pedonale e ciclabile, oggi affiancato a quello stradale, vengono separati, portando l’infrastruttura della ciclopedonale sull’argine costiero. La connessione tra i due avviene tramite una fascia funzionale, collocata sulla sponda interna vegetata dell’argine in cui si dispongono i nuovi stabilimenti balneari e le rampe. Dalla ciclopedonale sull’argine dipartono delle passerelle che, oltrepassando le dune embionali, raggiungono la spiaggia ove si trovano delle strutture distaccate dei bagni con un deposito per gli ombrelloni e un bar. Le strutture degli stabilimenti balneari ricollocati sono riprogettati in modo modulare in base ai possibili utilizzi che si vogliano inserire, per promuovere una logica di economia e ottimizzazione degli spazi a fronte dell’approccio sregolato degli scorsi decenni. In questo modo la nuova con gurazione del Lido assomiglia aquella di un polder, chiuso da n’arginatura su tutti i lati, a protezione di un territorio depresso. E’ necessaria quindi una infrastruttura progettata per lo smaltimento delle acque meteoriche di dilavamento e delle eventuali acque di mareggiata che dovessero far breccia nel sistema di argini. Si utilizza in questo senso l’infrastruttura della strada costiera, di cui si abbassa il piano stradale così da creare una struttura lineare per la raccolta delle acque di mareggiata, collegata a una rete di dreni ltranti e canali vegetati disposti a anco di assi stradali. Su questa maglia di scoli si innestano gli sponge parks: parchi 136
urbani che ospitano bacini di detenzione, arene allagabili, vasche di bioritenzione, raccoglieranno le acque presenti nel nuovo reticolo di scolo super ciale per laminarle e ltrarle, prima che ricon uiscano, attraverso la rete di scolo, verso l’impianto di sollevamento che le reimmette nelle lagune.
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conclusioni
07// COMACCHIO 2100 Un nuovo rapporto con l’acqua: da crisi ad opportunità
In questa tesi ci si è chiesti come intervenire in un territorio marginalizzato e sconnesso, minacciato dal rischio di ingressione marina che minerebbe le fondamenta del suo funzionamento. Gli stessi ambiti costieri, che creano la condizione di pericolosità, con i loro tessuti urbanizzati insediati a ridosso della costa, e con le numerose difese rigide necessarie alla loro protezione, sono quelli che trainano l’economia dell’intero paese. Questo sistema rigido e controllato non lascia spazio ad alcuna dinamica di adattamento del territorio a fenomeni e processi naturali. Per questo motivo il progetto mira a ride nire il dell’area del comacchiese con l’acqua, elevandolo da elemento di crisi a elemento di opportunità e memoria. Utilizzando l’acqua come segno progettuale, si propone un nuovo modello di città deltizia in stretto legame con il proprio territorio e con la propria storia, che mantenga come principio del proprio impianto e della vita cittadina quello della sostenibilità. Non si cerca di ripristinare uno stato di fatto storico, ma si vuole interpretare e utilizzare i caratteri morfologici storici per costruire la città del domani, continuando la narrazione del paesaggio che si era interrotta. Tramite questo approccio si mira a portare vantaggi diffusi all’economia locale, potenziando il sistema ricettore e quindi l’attrattività del Parco del Delta, stimolando la nascita di nuovi modelli di agricoltura più produttivi e redditizi, sebbene ridimensionati per lasciare spazio allo sviluppo dell’acquacoltura, attuando una fruizione lenta e sostenibile del territorio che si concilia con la sua stessa natura. Ripristinando queste dinamiche si restituirebbe memoria a una città che ha perso il vero legame con il suo territorio. 148
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RINGRAZIAMENTI
Grazie al Professor Farinella per avermi seguito durante questo percorso, e per avermi trasmesso la sua passione per questo territorio. Grazie alla Professoressa Dorato per i consigli preziosissimi e il suo atteggiamento sempre propositivo e onesto. Grazie al Professor Lobosco per la gentile disponibilità, e per i suggerimenti decisivi.
Un grazie speciale alla mia famiglia per avermi supportato e per tutto il loro affetto. Un grazie ai miei compagni di viaggio, perchè con loro nessun giorno è stato noioso. Un grazie a mia nonna Liliana, perchè ha sempre voluto vedermi diventare una dottoressa. And a huge thanks to Sander for always believing in me, even when i don’t.
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