FOTOGRAFIA La scrittura della luce
Corso di Diploma Accademico di II livello in Grafica e Fotografia Dipartimento di Progettazione e arti applicate a.a 2016/2017 Candidata Ilaria Romano Relatore Ernani Paterra
IN DI CE
Introduzione 4 La fotografia come traccia 6 Le impronte della natura
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Luce: astrazione della realtĂ 36 Luce virtuale 46 Fotografia. Progetto di tesi
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Conclusioni 64 Bibliografia e sitografia 66
IN TRO DUZI ONE
Il significato etimologico del termine fotografia, “disegno di luce” è il fulcro attorno al quale ruota l’intera tesi. La luce ne è l’elemento principale, costituendone l’essenza; numerosi fotografi hanno realizzato immagini straordinarie direttamente all’interno della camera oscura, sfruttando ogni possibilità che questo fenomeno fisico offriva loro. Con brevi e semplici passaggi e con oggetti quotidiani sono, materialmente, riusciti a trasferire il mondo che li circondava su carta fotografica. Nelle pagine seguenti, l’attenzione volgerà verso fotografi che hanno scelto di operare utilizzando solamente la luce, inserendo o meno il mezzo tecnologico nel loro lavoro. Si tratta di un excursus cronologico composto da quattro capitoli principali suddivisi in base alle tematiche trattate dagli artisti nelle loro opere. Partendo dal primo capitolo si potrà apprendere la nascita del procedimento tecnico del fotogramma, sco-
perto da William Fox Talbot agli albori della fotografia e mai abbandonato fino ai giorni nostri. Grazie a questo procedimento fu possibile realizzare fotografie anche senza l’utilizzo di un apparecchio fotografico, ottenendo delle vere e proprie “impronte di realtà”, attenendosi alla teoria di Nadar. Verrà esaminato il concetto alla base del lavoro di artisti come Man Ray e Laszló Moholy-Nagy fino ad arrivare ad artisti contemporanei come Nino Migliori e Luigi Veronesi. Nel secondo capitolo l’attenzione si focalizza su com’è cambiata la percezione della natura con la nascita della fotografia e di come, di conseguenza, è cambiato il modo di fotografarla. Anche in questo caso la tecnica del fotogramma sarà protagonista, poiché fotografi contemporanei come Susan Derges, Adam Fuss e Floris Nesüss l’hanno utilizzata per trasferire la natura all’interno delle loro immagini. Gli ultimi due capitoli
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sono dedicati a una visione più moderna della fotografia. Si parlerà di fotografia astratta, legata molto alla percezione visiva e alla tecnica più che all’immagine in sé, mettendo in primo piano la gestualità e l’azione del “fare” una fotografia. Veri e propri disegni di luce partendo dai “photogenics” di Lotte Jacobi fino ai “blushes” di Tillmans. Con Thomas Ruff, nell’ultimo capitolo, si entrerà in una nuova realtà, virtuale, per apprendere nuovi metodi di realizzazione fotografica legati a programmi di modellazione 3D. La parte finale è dedicata al progetto di tesi dal titolo Fotografia, realizzato in allegato a questo elaborato teorico; un tour virtuale guida lo spettatore all’interno di un’esposizione fotografica, in cui le fotografie occupano gran parte dello spazio. Sono state realizzate seguendo il filo conduttore di tutto il percorso, sono immagini costituite solamente da luce.
FOTO GRAFIA COME TRACCIA
“La fotografia dipende da uno scambio tra due corpi in uno stesso luogo”¹ 1. Teoria e storia della fotografia, Sulle tracce di Nadar. R.Krauss, 2006. E. Grazioli
La luce, come essenza della fotografia, ha il compito di raccontare, disegnare e dare forma agli oggetti attraverso una traccia. Secondo uno dei fotografi più importanti dell’800, Nadar, la realtà centrale della fotografia sta proprio in questo, opera attraverso l’impronta, la traccia, l’orma. Egli si rifà alla Teoria degli Spettri di Balzac, secondo il quale, ogni corpo in natura è composto da varie serie di spettri, in strati sovrapposti all’infinito. La fotografia, differentemente dall’uomo, può “creare” partendo dall’impalpabile, sarà dunque suo compito rivelare, distaccare e trattenere i diversi strati che compongono un corpo fisico. Ogni scatto quindi, diventerà lo scrigno nel quale conservare uno degli infiniti spettri appartenenti all’oggetto fotografato. È la luce che permette di dar vita a una cosa dal niente. Era la primavera del 1833 quando lo scienziato William Fox Talbot condusse
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i primi esperimenti sulla riproduzione di immagini; coprì dei fogli di carta da scrivere con una soluzione di sale comune e nitrato d’argento, rendendoli sensibili alla luce. Fu sufficiente posare una foglia sulla carta ed esporla alla luce per rendere scure le zone non colpite da quest’ultima. In questo modo ottenne un disegno bianco su fondo nero, considerato il primo “negativo” a contatto del soggetto. La tecnica prese il nome di shadowgraph, termine che sta per disegni d’ombra. Si trattava di fotografia off - camera, ossia non prevedeva l’utilizzo di alcun apparecchio, anche perché non era stato ancora inventato. Gli oggetti venivano impressionati sulla superficie soltanto grazie alla luce, lasciavano la loro impronta e si trasformavano in quella che può essere definita “una traccia di realtà”. Successivamente con la nascita degli apparecchi fotografici, gli artisti si concentrarono sullo studio di questi ultimi,
H.Fox Talbot, 1842/43 Positivo-Negativo
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“C’était du plus pur Dada”³
2. A. L. Hockensmith, in Dada, catalogo della mostra, Parigi,Centre Georges Pompidou, 2005. 3. “Era puro Dada”. L’espressione di Tzara viene riportata da Man Ray nella sua autobiografia Autoportrait, 1964 e si riferisce ai fotogrammi di quest’ultimo. T. TZARA, in C. G. ARGAN, Rayograph, Nadar: ricerche sull’arte contemporanea, Torino, Martano, 1970
assecondando il progresso tecnologico. Con le avanguardie artistiche, però, la fotografia viene spogliata della sua classica funzione di rappresentazione della realtà: erano anni di rivolta, di nuove scoperte, caratterizzati dalla voglia di sperimentare nuovi linguaggi che andassero a stravolgere le regole artistiche vigenti fino a quel momento. Artisti come Christian Schad e Man Ray, dedicarono parte del loro lavoro allo studio delle origini della fotografia e di fotografi come Talbot riscoprendo la fotografia off-camera e il fotogramma (termine che indica le immagini realizzate in off-camera). Lo resero un nuovo mezzo di comunicazione visiva, in sostituzione alla pittura o alla fotografia nel senso tradizionale del termine, inserendolo ufficialmente nella sfera artistica. Nel 1919, nel suo atelier di Ginevra, Christian Schad, realizza dei “collage immateriali”²: sovrappone, su fogli di
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carta fotosensibile, dei pezzi di carta o di tessuto su oggetti trouvés, e li espone a una sorgente luminosa. Nel marzo del 1920 appaiono pubblicate, sul numero sette della rivista Dadaphone, alcune fotografie astratte di Schad. All’origine di questa pubblicazione c’è Tristan Tzara che, per indicare questi esperimenti di fotografia senza camera, crea il termine di schadografia: un gioco di parole tra shadow, ombra, ed il cognome dell’artista autore delle foto. Man Ray lavora principalmente con la fotografia, utilizzando questo procedimento per distaccarsi mentalmente e fisicamente dallo strumento tecnologico e arrivare a sfruttarne unicamente l’essenza. Il suo avvicinamento alla tecnica del fotogramma è avvenuta casualmente, per errore, e generalmente si sa, gli errori possono essere interpretati come nuovi inizi, basta cambiare il punto di vista.
Christian Schad, 1977 Schadograph 162 10
4. Autoritratto di Man Ray, SE 2010 Man Ray
E così è stato per l’artista americano: “Un foglio di carta sensibile intatto, finito inavvertitamente tra quelli già esposti, era stato sottoposto al bagno di sviluppo. Mentre aspettavo invano che comparisse un’immagine, con un gesto meccanico poggiai un piccolo imbuto di vetro, il bicchiere graduato e il termometro nella bacinella sopra la carta bagnata. Accesi la luce; sotto i miei occhi cominciò a formarsi un’immagine: non una semplice silhouette degli oggetti, ma un’immagine deformata e rifratta dal vetro, a seconda che gli oggetti fossero più o meno a contatto con la carta, mentre la parte direttamente esposta alla luce spiccava come in rilievo sul fondo nero”.4 Nasce così il rayograph, termine costruito sul suo cognome, ma che allo stesso tempo evoca il disegno luminoso. La tecnica viene perfezionata ed accresciuta, attraverso diversi accostamenti tra oggetti, giocando sulla loro
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distanza dalla carta e sulla direzione della sorgente di luce, spostata attorno all’oggetto. Il negativo diviene per Man Ray la base di numerose sperimentazioni: deformazioni, inversioni, reticolazioni, sovrimpressioni e solarizzazioni. La macchina fotografica rappresenta solo un pennello ausiliario. Non è più importante la riproduzione esatta della realtà, quanto l’esplorazione delle possibilità creative dell’io. Man Ray ha usato la fotografia scomponendola al fine di condurla su terreni ancora sconosciuti. I suoi lavori sono capaci di reinventare una realtà “surreale” e di trasfigurare ogni cosa, aprendo le porte su di un mondo inesplorato. Esalta il carattere inquietante del quotidiano: oggetti che siamo abituati a vedere ogni giorno si trasformano regalandoci un’altra possibile visione, spesso, destabilizzante. Il rayograph è il punto di convergenza delle varie
5. Rayograph, Martano 1970, Giulio Carlo Argan
esperienze di Man Ray: è pittura, fotografia, in certo senso anche oggetto, benché tecnicamente non sia nessuna di queste tre cose. Con questa tecnica, l’artista, crede di aver trovato il modo di fare “quello che facevano i pittori, utilizzando la luce e certi prodotti chimici invece dei colori e dei pennelli”. Man Ray non resiste alla tentazione di sperimentarla con le cose più disparate che gli capitano a tiro: ritagli di pellicola, puntine da disegno, mollette, bottoni, fiammiferi, forbici, occhiali. Il risultato iniziale è la scomparsa della tridimensionalità, le immagini diventano tracce di cose insignificanti e perdute, di cui si evoca il vuoto lasciato. Man Ray decide di applicare al cinematografo la tecnica a contatto del rayograph: “Mi procurai un rotolo di pellicola di una trentina di metri e mi chiusi nella camera oscura, dove la tagliai in piccole strisce, che fissai sulla mia tavola
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da lavoro. Cosparsi alcune di esse con sale e pepe, come un cuoco che prepara l’arrosto. Su altre gettai alla rinfusa spilli e puntine da disegno. Le esposi alla luce bianca come avevo fatto con i rayograph inanimati… le immagini parevano una tempesta di neve i cui fiocchi, invece di cadere, volteggiassero in tutti i sensi e si trasformassero in campi di margherite come se la neve, cristallizzando, diventasse fiore. Seguiva la sequenza degli spilli bianchi, enormi, che si incrociavano e volteggiavano come nella danza di un epilettico. Poi venne una puntina da disegno solitaria, che cercava disperatamente di uscire dallo schermo.” 5 Anche se i fotogrammi di Christian Schad e di Man Ray sono stati posto al servizio dell’arte con un minimo di scarto di anticipo, fu Laszló Moholy-Nagy, artista esponente del Bauhaus, ad analizzarli, non solo praticamente ma anche teoricamente e filosoficamente.
Man Ray, 1922 Untitled, Rayograph
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6. Vision in motion, Moholy-Nagy
P.
Theobald,
1947
7. Fata Morgana, n°28 Cosa. De Gaetano Roberto, 2016
Nei primi due risulta molto interessante l’aspetto legato alla casualità e all’errore. L’intento principale è stato quello di andare “controcorrente” utilizzare nuovi mezzi di comunicazione, mentre per Laszlò Moholy-Nagy oltre al lato estetico risulta fondamentale anche quello tecnico e funzionale. “Il fotogramma ci permette di comprendere nuove possibilità di rapporti spaziali, in quanto ciò che appare nel fotogramma non è altro che il manifestarsi dei diversi tempi d’esposizione e della distanza della sorgente luminosa dagli oggetti, vale a dire che il fotogramma è letteralmente il continuum spazio temporale.”6 Moholy rifiuta, attorno al 1925, ogni struttura ottenuta manualmente, rinuncia alla pittura ed esige che si disegni con la luce, che si utilizzi quest’ultima invece del pigmento. “Si fa cadere la luce su uno schermo (lastra fotografica, carta sensibile alla
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luce) facendola passare attraverso corpi con coefficenti diversi di rifrazione, oppure certe parti dello schermo, ecc. Questo processo può aver luogo con o senza macchina fotografica ( nel secondo caso la tecnica del procedimento consiste nel fissaggio di un gioco differenziato di luce e ombra ) Per questa via si rendono possibili composizioni luminose dove la luce, nuovo mezzo creativo alla stessa stregua del colore in pittura e del suono in musica, si lascia padroneggiare perfettamente.” 7 Il principio di creazione del fotogramma non è l’apparecchio fotografico, ma la luce. Questi artisti sono riusciti a manipolarla e a fonderla con le tonalità del bianco e del nero, che per Moholy-Nagy sono i colori della fotografia. Si ottengono immagini prive di prospettiva e in scala di grigi, forme astratte, bidimensionali e dai contorni indefiniti, tracce di qualcosa che è stato sul foglio. Il fotogramma è produzione, mentre la
Laszlò Moholy-Nagy, 1927 Ripresa senza camera
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8. Fata Morgana, n°28 Cosa. De Gaetano Roberto, 2016
fotografia senza innovazione è riproduzione, una ripetizione di cose già esistenti. Moholy-Nagy fa di questa tecnica una sorta di “cura ricostituente per il vecchio e acciaccato quadro”8. Se Man Ray utilizza questa tecnica per ottenere risultati spesso ironici, privi di senso o significati intrinsechi, Moholy-Nagy invece, la utilizza razionalmente, analizzandone ogni aspetto, come uno scienziato nel proprio laboratorio. Egli credeva nel progresso tecnico e nella possibilità di trasformare il pensiero del mondo. Le loro idee e sperimentazioni giunsero anche in Italia, dove artisti come Luigi Veronesi e Nino Migliori ne colsero gli aspetti principali e ne elaborarono nuove versioni. Artista milanese, Veronesi, scopre la fotografia poco più che adolescente e da subito predilige la tecnica del fotogramma e la fotografia astratta. Realizza le sue immagini in studio,
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appoggiando vari oggetti sulla carta da impressionare, tirando fuori forme geometriche astratte. Fondamentali saranno i suoi esperimenti cinetici, consistenti nello srotolamento di fogli e superfici su carta fotosensibile, così da produrre movimenti curvilinei accentuati da rifrazioni luminose. Il suo intento era quello di registrare le trasparenze della materia, gli spessori, le ombre e i riflessi nelle possibili variazioni. Vuole indagare ciò che c’è dietro un semplice oggetto, mettere in risalto il lato nascosto di esso, tutto ciò che non è visibile direttamente. L’immagine che si ottiene non è mai documento, o descrizione di qualcosa, ma un puro rapporto tra luce ed ombra. Utilizzando questa tecnica non si corre il rischio di perdere i contatti con la realtà; è come se ci fosse un collegamento tra il dentro e il fuori. Le sue fotografie riescono a cogliere la poesia delle cose.
“Gli oggetti ritrovano nel fotogramma la loro espressione primordiale, noi possiamo vederli al di là della loro forma reale” 9. FotoGrafie. Segni di luce, Mariagrazia Dardanell, 2016. Cit. Luigi Veronesi 10. Durante la metà del XIX secolo, il pittore francese Jean-Baptiste Camille Corot trasformò il Cliche Verre in una combinazione tra arte figurativa e fotografia. Il Cliche Vérre fu una delle più antiche maniere di riprodurre immagini prima dell’avvento della fotografia.
“Il lavoro artistico è, secondo me, un’operazione che non si conclude con la produzione di un’opera, o meglio l’opera prodotta non è fine a sé stessa, ma deve essere uno stimolo per l’osservatore, il risultato di un complesso modo di operare che a partire dalla formulazione di un pensiero, lo traduce in un’immagine suscettibile di lettura, cioè di comunicazione. Gli oggetti ritrovano nel fotogramma la loro espressione primordiale, noi possiamo vederli al di là della loro forma reale”9 Anche Nino Migliori, artista degli anni ’50, rivolge fin da subito il suo interesse verso la fotografia sperimentale. Sviluppa presto delle metodologie sperimentali di ricerca, affermando in una delle sue interviste che uno dei suoi obbiettivi è sempre stato quello di realizzare qualcosa di simile alla scrittura utilizzando la luce e i materiali della fotografia. Rifiuta i metodi tradizionali, optando il più delle volte per
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l’abbandono dell’apparecchio fotografico (Off-Camera); nascono così le Ossidazioni, disegni su carta fotografica con i liquidi della camera oscura, i Pirogrammi, utilizzando la luce di un fiammifero per impressionare il negativo, gli Idrogrammi, i Cellogrammi e le Polaroid, tutti procedimenti inventati da lui, che utilizzano materiali alternativi dove diventa fondamentale l’alterazione determinata dal materiale utilizzato, dal gesto, dall’intensità e dalla durata dell’intervento dell’autore stesso. Riprende anche tecniche già conosciute, come i Clichés Verres10, incidendo un’immagine su un pezzo di vetro affumicato e posto poi alla luce del sole coperto da carta fotosensibile e i Fotogrammi. Questi ultimi ottenuti collocando pezzi di cellophane o altro materiale semitrasparente direttamente sulla carta fotografica e effettuando esposizioni multiple, ruotando il materiale di volta in volta. In riferimento a
Luigi Veronesi, 1936 Senza titolo
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Luigi Veronesi, 1937 Senza titolo
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11. Cit. Nino Migliori; Video Youtube: Nino Migliori, La materia dei sogni
questo moto continuo, Nino Migliori adotta per tali immagini il nome di fotogrammi dinamici. L’artista, pur utilizzando tecniche non gestibili completamente, non lascia nulla al caso, ci tiene infatti a sottolineare l’importanza della progettualità come elemento prioritario nel pensiero fotografico; le sue opere sono un prodotto del pensiero artistico, il quale si trasforma un gesto non veicolato da tradizioni o dal pensiero comune. Affascinato più dal procedimento che dal risultato finale, Nino Migliori, afferma che fotografare significa scegliere e trasformare; la materia scelta si trasforma in qualcos’altro, si abbandona il vecchio per il nuovo, percorrendo una strada in continua sperimentazione. “…sperimentazione continua, rinnovamento fotografico ogni giorno, mettendo in discussione ciò che si era fatto il giorno prima…la fotografia intesa come linguaggio, come scrittura, come
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capacità di esprimere dei concetti mentali…”11 Così come Nino Migliori, anche negli altri artisti esaminati finora il concept del loro lavoro è la sperimentazione, il bisogno di esplorare gli oggetti, scoprirne il lato nascosto; è come se invece di rappresentare la realtà, essi decidessero di ricrearne altre a loro piacimento, estrapolandone “gli spettri” come citava Balzac, utilizzando un linguaggio già conosciuto ma ridotto ai minimi termini, prosciugato di tutti gli eccessi. La fotografia viene letta come “traccia di realtà”, diventando un documento che testimonia l’esistenza di un determinato oggetto celebrandone, però, l’assenza.
Nino Migliori, 1956 Cellogramme
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IMPR ONTE DELLA NATURA
“Il dagherrotipo le offre il potere di riprodurre sé stessa”¹² 12. Teoria e storia della fotografia, Rosalinde Krauss. Cit. Louis-Jacques-Mandé Daguerre 13. Rivers & Stars. Kumar, Satish. Resurgence & Ecology. No. 223 March/April 2004
La fotografia fin dai suoi primi strumenti, ebbe la capacità di cambiare completamente la visione umana, o meglio di far comprendere all’uomo quanto sia limitata la sua capacità visiva, cambiando completamente il suo rapporto con la natura. Essa acquista la possibilità di rivelare sé stessa, di diventare segno e scrittura grazie alla luce. Questo sarà il punto di partenza per la fotografa inglese Susan Derges; nasce a Londra e si dedica inizialmente alla pittura, successivamente alla fotografia. Espresse un precoce interesse verso l’astrazione poiché offriva la possibilità di poter “parlare dell’invisibile piuttosto che del visibile”¹³ Il contatto diretto con il soggetto divenne fin da subito una priorità per la fotografa, la quale predilige la fotografia off-camera e si dedica alla sperimentazione utilizzando solamente carta fotosensibile ed elementi naturali. Proprio la natura, infatti, sarà il sogget-
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to primario nelle sue opere, le quali diventeranno un vero e proprio ponte di raccordo tra il mondo umano e quello naturale. Grazie alla tecnica del fotogramma, dà vita a immagini che rivelano le forze nascoste della natura, dagli schemi delle onde sonore al flusso dei fiumi. Durante gli anni ‘90, Derges divenne famosa per i suoi “fotogrammi di acqua” racchiusi nella serie fotografica River Taw. L’aspetto tecnico celato dietro le sue fotografie è davvero interessante: lavora “en plein air”, rendendo il paesaggio notturno la sua camera oscura. Immergendo grandi fogli di carta fotosensibile nei fiumi e sfruttando la luce naturale della luna e una fonte luminosa artificiale, imprimeva su di essi il flusso dell’acqua e i riflessi di alberi o rami presenti lungo il fiume. Susan Derges esamina la soglia tra due mondi interconnessi: uno spazio interno, immaginativo o contemplativo e
Susan Derges, 1998/99 River Taw
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“I’m painting with light - or least, that’s the way it feels to me.”14
14. “Sto dipingendo con la luce- o almeno è questo che sento”. Fonte web: www.theguardian. com - art&design. Cit. Susan Derges 15. Fonte web: www.xavierhufkens.com - artists. Cit. Adam Fuss 16. Immagine fotografica ottenuta con il processo della dagherrotipia. Esso forniva un’unica copia positiva, non riproducibile, su supporto in argento o rame argentato sensibilizzato, in camera oscura, mediante esposizione a vapori di sodio
il mondo esterno, dinamico e magico della natura; esplora la relazione tra il sé e il mondo naturale circostante. Il bisogno primario dei fotografi che si sono avvicinati al fotogramma, è stato quello di sorpassare la visione del mondo offerta dai propri occhi, di creare un contatto diretto con esso. Si abbandona quindi l’oggetto che più verosimilmente si avvicina all’occhio umano: la macchina fotografica. Così Adam Fuss inizia a farsi strada nel mondo della fotografia artistica. Fotografo inglese di origini, contemporaneo di Susan Derges, dedicherà la sua carriera alla scoperta dell’ambiente naturale reinterpretando una delle più antiche tecniche fotografiche. “…I fotogrammi ti permettono di vedere cosa non è mai stato in una fotocamera. La vita stessa è l’immagine.”15 Riduce la fotografia alla sua essenza, riuscendo ad imprimere la traccia dell’invisibile sulla pellicola.
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Il suo lavoro riguarda il tempo e l’energia piuttosto che la forma materiale. Evita intenzionalmente la chiarezza dettagliata della fotografia tradizionale, lasciando spazio a forme dai bordi poco definiti sufficienti a far percepire all’osservatore cos’ha davanti. Dispone oggetti viventi e non viventi, tra cui palloncini, fiori, acqua, neonati, interiora e teschi, direttamente sulla carta fotosensibile e li espone alla luce, realizzando fotogrammi che esplorano l’imperfezione, l’intimità, la nostalgia e il passaggio di tempo. Attingendo ai suoi ricordi d’infanzia e alle sue esperienze personali, le sue opere sono concepite come poesie visive incentrate sui temi universali della vita e della morte. My Ghost (2000) è stato creato quando una farfalla si è posata brevemente sul dagherrotipo16 : un emblema della fragilità della vita, così come il passaggio dell’anima e le tracce della memoria. In questa serie fotografica sono
Adam Fuss, 2000 My Gosth
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Adam Fuss, 2004 Ark
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presenti altre immagini che includono abiti da battesimo per bambini, e il corpo umano. Fuss ha detto che la sua intenzione è di riferirsi al proprio passato.Il compito di questo lavoro è quello di evocare piuttosto che descrivere. Adam Fuss, inoltre ha esplorato il tema dell’acqua per molti anni ed è principalmente conosciuto per i suoi fotogrammi a grandezza naturale di questo elemento essenziale. Per Ark (2004) Fuss gettò una goccia d’acqua sulla superficie di una piscina, nella quale galleggiava una lastra di rame lucido sensibilizzata alla luce. Le vibrazioni crearono una serie di cerchi concentrici visibili una volta esposta la lastra alla luce e trattata nella camera oscura con vapori di mercurio. Fu intorno alla fine degli anni ‘80, che mise acqua e un serpente vivo sopra carta fotosensibile, esponendo il tutto alla luce. Il risultato è diventato una delle immagini più iconiche dell’artista.
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Così come Fuss, anche Floris Neusüss sceglie di osservare il corpo umano da un altro punto di vista, riproducendolo a grandezza naturale, sempre attraverso la medesima tecnica; nascono così i Nudogrammi intorno agli anni ’70. Tedesco di origine, dedica la sua intera carriera alla tecnica del fotogramma, analizzandola ed insegnandola, rendendola il suo unico mezzo espressivo. La prospettiva e l’orizzonte sono assenti dai fotogrammi, lo spazio diventa infinito. Egli pensa queste opere più come dipinti che fotografie perché le compone “step-by-step”, e successivamente, là dove serve, le modifica con pennelli o stracci immersi in sostanze chimiche con gesti pittorici. Nel 1978 realizza Homage to Talbot: The Latticed Window, Lacock Abbey. Questa finestra fu il soggetto del primo negativo fotografico, realizzato da William Henry Fox Talbot nel 1835. Neusüss coprì l’interno della finestra con carta fotografica,
Floris NeusĂźss, 1978 The Latticed Window, Lacock Abbey
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Floris NeusĂźss, 1963 Nudogramm 30
17. Official site: www.sugimotohiroshi.com, Lightning Fields. Cit. Hiroshi Sugimoto
esponendolo ad una luce esterna. Il fotogramma risultante ricrea il soggetto del piccolo negativo originale di Talbot, ma a grandezza naturale. L’artista trae ispirazione anche da altri artisti del passato quali Man Ray e Moholy-Nagy; fino ad allora, però, questi si erano serviti di piccoli oggetti, ombre trasposte, trasparenze, a causa delle difficoltà incontrate lungo il percorso dovute all’ingannevole facilità di realizzazione di questo genere di immagini. Il lavoro di Floris Neusüss è, non solo, una sfida ai limiti di un processo, ma soprattutto una nuova interpretazione dell’essere umano. Nell’oscurità della notte espone a successivi o simultanei colpi di flash la carta sensibilizzata con sopra corpi, piante, foglie, fili d’erba e frammenti di corteccia, i quali si “materializzano” su di essa. Neusüss pare interessato ad offrire un’interpretazione dell’universo naturale sotterraneo e il suo intento ultimo è proprio quello di
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catturare la natura intima di questi oggetti. Le sue opere trattano spesso di opposti: bianco e nero, ombra e luce, movimento e quiete, presenza e assenza. Rimuovendo gli oggetti dal loro contesto fisico, egli incoraggia lo spettatore a contemplare l’essenza della forma. Collettivamente, le sue immagini esplorano temi di storia, natura e subconscio. L’ambiente naturale, ampliamente esplorato come visto finora, assume un aspetto completamente diverso nel lavoro di un fotografo giapponese di nome Hiroshi Sugimoto. La sua attenzione si sposta verso gli eventi atmosferici, verso le forze della natura. “…L’idea di osservare gli effetti di scariche elettriche sulle lastre fotografiche asciutte riflette il mio desiderio di ricreare le principali scoperte dei pionieri scientifici nella stanza oscura e verificarli con i miei occhi”.17 In queste parole è racchiuso il concetto
“I see the spark of life itself, the lightning that struck the primordial ooze”18
17. Official site: www.sugimotohiroshi.com, Lightning Fields. Cit. Hiroshi Sugimoto 18. “Vedo la scintilla della vita stessa, il fulmine che ha colpito il brodo primordiale”. Fonte web: www.time.com - Hiroshi Sugimoto. Cit. Hiroshi Sugimoto
chiave di una delle sue serie fotografiche Lightning Fields. Grazie alla combinazione tra luce, elettricità e carta fotosensibile è riuscito ad “impressionare” i fulmini. Posizionò la pellicola su una lastra di metallo e tramite l’elettrodo scagliò su di essa una scarica di 400.000 volt; il risultato è a dir poco strabiliante: un fulmine fissato e ingabbiato in un rettangolo; una traccia bianca su fondo nero che si scontra e si divide, diramandosi fin dove i limiti del foglio glielo permettono, simbolo di “una natura” riprodotta dall’uomo. Sugimoto ha disegnato con l’elettricità, trasformando la luce in materia. Si tratta quindi di un ritorno alle origini, all’inizio della vita, scava all’interno della storia fino a aggiungerne l’essenza che, come per la fotografia, risiede nella luce. Non soltanto ricrea un fenomeno meteorologico, lo “cattura”, rendendolo traccia imprigionata per sempre in un rettangolo di carta foto-
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sensibile; la natura entra nella pellicola fotografica trasformandosi in traccia, in altra realtà, sotto forma di fulmini, concedendo all’artista il potere di crearla ma non di controllarla pienamente; il caso, infatti, gioca un ruolo fondamentale: non c’è alcuna possibilità di ottenere più di una volta la stessa identica traccia luminosa. La casualità o l’errore sono stati ingredienti basilari nel lavoro di parecchi artisti che hanno trattato la tecnica del fotogramma o la fotografia astratta. Nel 2003, il fotografo americano Chris McCaw si imbatte in un “ostacolo di percorso” che lo renderà famoso: durante una nottata in campeggio decide di sperimentare la lunga esposizione per registrare il movimento delle stelle. Al mattino, non riuscì a svegliarsi in tempo per chiudere l’otturatore e la forte luce causò dei danni alla pellicola presente all’ interno del suo apparecchio fotografico, andando a bruciar-
Hiroshi Sugimoto, 2009 Lightning Fields, 225
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Chris McCaw, 2014 Sunburned GSP#765 (Pacifc Ocean)
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“My favorite part is watching smoke come out of the camera during the exposure...”19
19. “La mia parte preferita è guardare il fumo che esce dalla fotocamera durante l’esposizione...”. Fonte web: www.withatrace.org Cit. Chris McCaw 20. Riferimento a W.F.Talbot; The pencil of nature, 1844
la, letteralmente. L’effetto ottenuto in seguito alla lunga esposizione viene chiamato solarizzazione, ovvero un’inversione tonale che trasforma il negativo in positivo: risulteranno tracce nere su fondo bianco e non viceversa come dovrebbe essere. Chris McCaw successivamente alla realizzazione di Sunrise, decide di dedicare il suo lavoro alla scoperta e alla sperimentazione di questa “nuova tecnica” che pone in primo piano la luce e il tempo. In seguito a molte prove e molti errori sceglie come supporto alcune carte fotografiche vintage, che prenderanno il posto della pellicola all’interno dell’apparecchio fotografico, in modo da ottenere “negativi” unici nel proprio genere. La luce, entrando attraverso l’obbiettivo, va a bruciare la gelatina della carta fotografica lasciando venature di colore arancio e rosso. McCaw progetta e costruisce le proprie fotocamere di grande formato, dotate di obiettivi
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aerei sovradimensionati progettati per ammettere una quantità massima di luce. La serie Gsp Sunburned, è una registrazione scritta della luce in un luogo specifico sulla terra per un determinato periodo di tempo. Il sole come una matita20 , incide la propria traccia di sulla carta fotografica, come una cicatrice. McCaw vede il suo processo come una sorta di collaborazione tra artista e soggetto, poiché l’energia del sole altera attivamente il prodotto finale. Fulmini, acqua, sole, elementi naturali che sovrastano la forza dell’uomo vengono metaforicamente catturati e gestiti dal fotografo. Questa è la parte più affascinante della “fotografia”: colui che fotografa diventa una sorta di scienziato che studia e ricrea la natura sotto altre forme, non si limita ad osservarla e fotografarla così com’è, ma la rende propria, estrapolandone “un pezzo” per renderlo atemporale e imprigionarlo in un foglio di carta.
ASTRA ZIONE DELLA REALTÀ
21. Lotte Jacobi: Photographs, 2002, Peter A. Moriarty
Il ritorno alle origini, all’essenza stessa della fotografia ha permesso a molti fotografi e artisti di fare della scrittura con la luce il fulcro del proprio lavoro; ognuno, con scopi differenti, ha potuto sfruttare fino all’estremo le possibilità offerte da questo fenomeno fisico. Luce, nient’altro che luce, nessun oggetto ne scenari riconoscibili, appaiono nelle opere degli artisti seguenti, i quali hanno puntato tutto sull’astrazione, su realtà altre. “Creazioni completamente libere, senza fotocamera e oggetto, che chiamo Photogenics. È la reintroduzione di un termine che esisteva molto prima del termine fotografia.”21 Con queste parole la fotografa polacca Lotte Jacobi descrive i suoi lavori. Il termine effettivamente nasce da William Fox Talbot durante le sue prime sperimentazioni. Maggiormente conosciuta per i suoi ritratti, decide di concentrare la sua attenzione sulla luce, sulle varie
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angolazioni, ripulendo le sue fotografie da ogni eccesso. Prende le qualità della luce e del movimento e le applica a forme astratte. Iniziò a sperimentare i processi fotografici a New York negli anni ‘40, il che la portò a utilizzare una torcia diffusa oppure una candela, come fosse una penna, per “disegnare” immagini astratte su carta fotosensibile, interrompendo e deviando il flusso luminoso con pezzi di cellophane o vetrini. Luce che continua ad essere protagonista, come per Harry Callahan il quale, però, non abbandona la macchina fotografica, ma la utilizza come mezzo di trascrizione di realtà. Passeggiando per la città di Chicago, nel 1946, intenzionato a cogliere l’atmosfera vivace e frenetica lì presente, inizia a scattare lunghe esposizioni muovendo la macchina fotografica nel frattempo; nasce la serie Neon Lights. In Sunlight on Water invece, sono visi-
Lotte Jacobi, 1946 Mask 38
Harry Callahan, 1943 Sunlight on Water
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22.Font web: www.artsy.net - Garry Fabian Miller, cit.Garry Fabian Miller
bili tracce luminose lasciate dal sole su specchi d’acqua. Per ciò che riguarda opere cambia la tecnica, non si tratta più di fotogrammi ma il concetto di scrittura di luce rimane inalterato. Immagini astratte che ne registrano il flusso, il movimento, che non rimandano a qualcosa di reale poiché non visibile ad occhio nudo. Irrealtà e astrazione, ingredienti primari di una fotografia che conduce l’osservatore verso luoghi inesplorati, verso “qualcosa di ancora non visto, che può esistere solo sulla superficie della carta, o che in seguito potrebbe essere trovato nel mondo”22 . Queste le parole del fotografo britannico contemporaneo Garry Fabian Miller, il quale ha dedicato tutto il suo tempo alla fotografia off-camera e allo studio di tecniche fotografiche del passato, per sperimentare la natura e le possibilità della luce. Da sempre concentrato sul paesaggio come soggetto nelle sue fotografie,
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sposta la produzione verso l’astrazione di esso sfociando in immagini minimaliste; lavora direttamente in camera oscura, utilizzando oggetti di vetro colorato oppure sagome di carta per filtrare la luce e proiettarla su superficie fotosensibile. A differenza di altri fotografi il tempo di esposizione scelto da Miller può variare da una a venti ore, dettaglio grazie al quale riesce ad ottenere risultati unici, imprimendo all’opera una forte carica luminosa. Immagini come The golden flood, To light, and then return, Black Sun, contengono forme semplici, che riconducono al paesaggio, al cosmo o a fenomeni di luce naturale, pervase da una forte energia contemplativa. Le sue opere sono spesso esposte in sequenze che esplorano e sviluppano un singolo motivo e una specifica gamma cromatica. Il colore ha acquisito sempre più importanza in questo genere fotografico, è l’elemento che trasmette emozioni
Garry Fabian Miller, 2011 Black Sun
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“Il pittore costruisce, il fotografo rivela”23
23.Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, S. Sontag, 2004 24.Fonte web: ASX.com, What They Are – A Conversation With Wolfgang Tillmans (2001). Cit. Wolfgang Tillmans
all’osservatore, che lo coinvolge e lo trasporta. Accende la parte dell’esperienza del nostro cervello che ci porta a fissare immagini astratte cercando di attribuire loro un significato. Trovandosi davanti ad immagini come Blushes di Wolfgang Tillmans ad esempio, ci si ritrova travolti da un flusso di segni colorati che non rappresentano apparentemente nulla, se non ciò che ciascuno vuole vederci. Il rimando alla realtà avviene nel momento in cui l’osservatore scopre che ciò che ha davanti è una fotografia e non un dipinto; da sempre messo al centro di polemiche, il rapporto tra pittura e fotografia, diventa il perno centrale su cui fanno leva alcune serie di opere del fotografo contemporaneo tedesco Wolfgang Tillmans. Spesso il suo lavoro è stato associato a quello dei pittori, ma Tillmans ci tiene a specificare che non è sua intenzione imitare la pittura poichè il punto fondamentale di tutto è la “scrittura con
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la luce”, nient’altro, le immagini sono solo una pura rappresentazione di sé stesse. Il fotografo infatti, in un’intervista, alla domanda: “Possono, quindi i suoi lavori essere considerati realmente fotografie?” Risponde: “Si certo. L’immagine non rappresenta la realtà, ma la interpreta e la ricrea”24 . Esprime il suo interesse verso la vera natura dell’immagine, la quale in qualche modo costituisce una somiglianza con il reale senza esserlo mai effettivamente. Viene impressa su carta e ogni volta che la si osserva ha la capacità di trasformarsi in qualcos’altro. Il suo lavoro non si fonda tanto sul contenuto, ma sul modo in cui è raffigurato il soggetto: è una sperimentazione sulle possibilità di rappresentare il mondo attraverso un’immagine fotografica. Usa la luce per agire direttamente sulla superficie chimica della carta, in tal modo riconduce il lavoro del fotografo alle proprie basi, ricercando l’essen-
za stessa della fotografia. Crea opere sempre più astratte che non rimandano più ad alcuna realtà esistente, se non alla propria, interiore. Le serie Blushes e Freischwimmer sono caratterizzate da immagini astratte, realizzate in camera oscura con le proprie mani, senza l’ausilio della macchina fotografica, maneggiando strumenti che emettono luce come flash o laser, come fossero pennelli. Tillmans descrive queste fotografie come “qualcosa” che diventa “qualcos’altro”, segnando il confine tra il qualcosa e il niente. Queste forme ne attivano altre, come se l’immagine risultante fosse in continuo movimento ed evoluzione. Ogni fotografia è un’impronta, una traccia di ciò che è successo sulla carta. Sono realizzate in maniera semplice, l’interesse dell’artista è volto verso la trasformazione di cose semplici o complesse, in qualcos’altro. In queste opere il soggetto cede il posto, sulla
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scala dell’importanza, all’atto di creazione dell’immagine, alla gestualità. Questa fa da raccordo tra artista e opera, permettendogli di gestire ogni elemento, decidere colore, intensità, andamento e dimensione del segno. Il compito dell’osservatore dinanzi ai Blushes o Freischwimmer è quello di osservare, appunto, senza porsi domande su come siano realizzati o cosa rappresentino. È molto affascinante il ruolo che assume il fotografo, quello di “creatore” di nuove visioni, di nuove realtà; le immagini analizzate fino a questo momento risultano essere “souvenir” di un mondo immaginario che gli artisti hanno esplorato e deciso di condividere con tutti noi.
Wolfgang Tillmans, 2004 Ostgut freischwimmer
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LUCE VIRTU ALE
“There have to be at least two copies of a photograph, otherwise it’s not a photograph” 25
25. “Devono esserci almeno due copie di una fotografia, altrimenti non è una fotografia” Fonte web: http://jmcolberg.com - A conversation with Thomas Ruff, cit. Thomas Ruff
Con l’evoluzione della tecnologia cambia completamente la percezione della realtà, ci si ritrova ad affrontarne diverse, alcune delle quali sono artificiali, invisibili se non attraverso apparecchiature tecnologiche. Si tratta di realtà virtuale, una sorta di specchio, un doppio di ciò che già esiste, ricostruibile dall’origine, gestibile in ogni suo elemento. L’immagine virtuale non è altro che un incrocio di fasci luminosi all’interno di uno schermo, il che determina anche in questo caso la centralità della luce nel processo. È possibile generare fotografie senza macchina fotografica direttamente all’interno della realtà virtuale? Per il fotografo tedesco Thomas Ruff, si. Con l’intento di scrollarsi di dosso le convenzioni ed i metodi tradizionali, dà vita a un linguaggio del tutto innovativo incentrato sulla tecnologia e sui nuovi strumenti. Affascinato dai fotogrammi, in particolare da quelli di Seigel, allievo di Laszlò Moholy-Na-
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gy, inizia a pensare ad un modo per crearne degli altri ma senza sentirsi limitato dalle “dimensioni” imposte dalla camera oscura. Il più grande fotogramma che avesse visto era di circa venti per ventiquattro centimetri e il suo intento era di realizzarne di dimensioni molto più ampie. Un altro aspetto che non condivide dei fotogrammi è la loro “unicità”, non è possibile ottenerne due uguali poiché cambiando anche lievemente la posizione di un oggetto tutto cambia. Anche il margine di errore era minimo, bastava sbagliare un piccolo passaggio e si doveva ricominciare da capo. Insomma i problemi da ovviare erano diversi, così Thomas Ruff si rivolse alla tecnologia investendo il suo tempo sullo studio di un programma di modellazione 3D. Si ricreò una vera e propria camera oscura virtuale, poiché all’interno di questi programmi è possibile gestire le macchine da ripresa e le luci. Realizzò inizialmente gli oggetti
in 3D, definendo posizione, grandezza, materiale e trasparenza, andando a posizionarli su fogli di carta simulati e restituendo loro le ombre attraverso le luci posizionate nell’ambiente (virtuale). Inizialmente si ottiene un “fotogramma invertito”, poiché la carta fotosensibile si inverte durante lo sviluppo. Invertendo i colori dell’immagine si ottiene un fotogramma.Inizialmente il problema è stato il risultato troppo “perfetto”, troppo levigato, molto lontano da ciò che erano i fotogrammi degli anni ’20. In seguito a diversi esperimenti, rendendo anche “l’errore” parte dei suoi lavori riuscì ad ottenere il risultato desiderato. Il procedimento è il medesimo utilizzato da Man Ray e Moholy-Naghy, ma in questo caso il fotografo ha il controllo su tutto, ogni elemento è gestibile da lui, inoltre ha la possibilità di ottenere immagini a colori inserendo luci colorate. In questo modo nasce la serie Photograms, immagini di grandi
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dimensioni costituite da ombre di oggetti virtuali, non esistenti fisicamente. Lo spettatore può riconoscere “qualcosa” in queste fotografie, ma non si capisce bene “cosa”, sono immagini astratte. Con Thomas Ruff nasce una “nuova generazione” di fotogrammi, leggibili ugualmente però come “disegni di luce”. Colore, luce e movimento risultano protagonisti nelle sue opere, così come in quelle di un’altra fotografa canadese Jessica Eaton, la quale sviluppa un linguaggio molto particolare, apparentemente legato anch’esso a software di modellazione digitale. Gli effetti che realizza, inizialmente, sembrano il prodotto di Photoshop, ma in realtà vengono creati all’interno della fotocamera, utilizzando un film analogico di grande formato, dieci per dodici o venti per venticinque centimetri e una tecnica chiamata “processo del colore additivo tripartito”, che ha scoperto in
Thomas Ruff, 2004 Photograms and Negatives
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“Nella maggior parte di queste fotografie, quello che stai guardando è più di un momento. Non sono momenti di tempo statici. Sono strati di tempo.”26 26. Fonte web: www.time.com, cit. Jessica Eaton;
un vecchio manuale Kodak. Tra le sue influenze ci sono gli artisti Josef Albers e Sol LeWitt che lei cita in ogni immagine Cfaal (Cubi per Albers e LeWitt). Per creare le fotografie, lei stessa crea i cubi, che variano da 10 a 65 centimetri, e li dipinge di grigio o di nero. In seguito, con la tecnica dell’esposizione multipla, fotografa i cubi più volte sullo stesso negativo, applicando un filtro rosso, verde o blu sulla lente. Ad ogni esposizione, i colori si fondono andando a creare immagini sorprendenti. Quando le esposizioni filtrate a colori sono sovrapposte l’una sull’altra, questi colori primari additivi producono un ricco assortimento di tonalità luminose. A differenza della teoria del colore sottrattiva, dove il rosso e il blu si combinano per creare il colore più scuro (viola), ogni volta che il sistema percettivo sovrappone i colori, diventano più luminosi. Sebbene il suo lavoro sia spesso paragonato alle pratiche astratte di
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Josef Albers e LeWitt, i metodi di lavoro di Eaton hanno più in comune con alcuni dei primi pionieri della fotografia: figure come William Henry Fox Talbot, che ha testato la capacità della fotocamera di catturare gli effetti di luce, spazio e movimento. In questo caso l’aspetto “virtuale” risiede proprio nella creazione dell’immagine all’interno di un apparecchio, crea colori invisibili a occhio nudo finché non la si sviluppa. Le sue opere si basano sulle regole della percezione visiva, sulla teoria dei colori e sulle tecniche base della fotografia analogica un mix esplosivo che porta l’artista a comporre pezzo per pezzo le fotografie, come fosse un puzzle, in cui i tasselli sono costituiti da luce e colore. Stravolge completamente la percezione temporale: non si tratta più di un solo attimo, ma sono più attimi insieme a comporre un’immagine. Più frammenti di realtà ne vanno a comporre un’altra.
Jessica Eaton, 2010 CFAAL (mb RGB) 21
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FOTO GRAFIA PROGETTO DI TESI
Idea. Il punto focale del mio progetto risiede nel concetto di “essenza” legato al significato primario del termine fotografia (scrivere con la luce). L’intento iniziale era quello di realizzare delle fotografie “essenziali”, costituite di sola luce, che facessero leva sull’esperienza percettiva dell’individuo, rimandandolo ad immagini che somigliano a qualcosa di reale. La mia attenzione è stata catturata dalla possibile “costruzione materiale” delle immagini attraverso le tecniche trattate in questa ricerca dai diversi artisti. L’apparecchio fotografico è stato utilizzato soltanto come mezzo di trascrizione della realtà. Il vero elemento che ne costituisce segni e forme è la luce.
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Soggetto. Per mantenere una certa coerenza con il tema trattato, la scelta del soggetto è ricaduta sulle fonti di luce naturale: le finestre. Ciò potrebbe essere letto come un rimando al primo negativo risalente al 1835 di William Fox Talbot che ritrasse la finestra della sua residenza a Lacock, di cui ho parlato nel secondo capitolo in relazione ad un’opera di Neususs. Nella mia opera lo spazio viene scandito da fotografie a grandezza reale, che rappresentano delle “aperture” nei muri con conseguenti riflessi sul pavimento o sulle pareti adiacenti. Le finestre sono distribuite in cinque stanze e tre corridoi (frutto di immaginazione). Nulla è reale, in questa esposizione virtuale in cui lo spettatore viene guidato attraverso un video.
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Planimetria Location installazione, scala 1:100
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Modello virtuale 3D Scheletro e primo render senza fotografie
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Modello virtuale 3D Render finali con fotografie 56
Modello virtuale 3D Render finali con fotografie
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Light painting Sagoma finestra e riflesso 58
Tecnica. Light painting e lunga esposizione hanno permesso la realizzazione delle “finestre di luce”. Ho realizzato diverse sagome in cartoncino nero che rimandano alla forma delle finestre, attraverso le quali, con una torcia ho fatto passare la luce ottenendo così, le sagome bianche in contrasto con il nero del cartoncino. Per i riflessi sul pavimento, invece, ho fatto filtrare la luce attraverso le sagome ritagliate andando a fotografare la proiezione della luce sulla superficie.
Carta fotoluminescente. L’idea iniziale era quella di realizzare una vera esposizione fotografica al buio, stampando le fotografie a dimensioni reali su questa particolare carta così da riprodurre l’effetto luminoso. La caratteristica della carta fotoluminescente è quella di assorbire la luce rilasciandola poi in condizioni di buio.Considerato, però, l’alto costo di questo materiale, ho potuto stamparle soltanto in scala, presentandole come tavole bidimensionali con le quali si può interagire piegando i lati ottenendone piccoli modellini delle stanze.
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Virtual tour. Per restituire allo spettatore l’esperienza dell’ipotetica installazione, ho ricreato un modello 3D (tour virtuale) delle stanze utilizzando i software Autocad e Cinema4D. Attraversando gli spazi le diverse inquadrature permetteranno di visualizzare ogni parete delle stanze sulle quali sono state applicate le fotografie. La modellazione delle luci in digitale ha permesso la resa luminosa delle foto così da rendere il tutto più simile a come verrebbe realmente l’installazione.
Fotografia, Virtual tour Render fotografici interni 60
Fotografia, Virtual tour Render fotografico interno
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Fotografia, Virtual tour Render fotografico interno
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Fotografia, Virtual tour Render fotografici interni
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CON CLU SIONI
La figura del fotografo nasce come interprete della realtà e attraverso la sua macchina fotografica ne offre una propria visione. Eliminando il mezzo tecnologico è stato comunque possibile realizzare delle “fotografie” rimanendo legati all’etimologia del termine. La fotografia, è stata spesso erroneamente interpretata come rappresentazione della realtà e la macchina fotografica come mezzo che ne permetteva la trascrizione. Con la fotografia off camera invece, diventa realmente possibile trascriverla, vederne una traccia. Il fotografo non sceglie quale parte di realtà rappresentare bensì ne estrapola letteralmente un pezzo trasportandola nelle sue fotografie. La luce diventa la vera protagonista, la “matita della natura”, grazie alla quale il fotografo può creare il proprio mondo. Con o senza l’utilizzo dell’apparecchio fotografico, dalle tecniche più antiche alle più moderne, ognuno è riuscito a tirar
fuori una visione del tutto personale del mondo circostante. Partendo da uno strumento nato per rappresentare qualcosa di “reale”, è stato possibile sfociare nell’irreale, nell’astrazione, cosa ritenuta possibile solo in pittura dove la fantasia dell’artista gioca un ruolo fondamentale. A partire dagli esordi, negli anni si è sviluppata una categoria di fotografi che possono essere considerati “pittori di luce”. In seguito ad aver appreso le diverse tecniche, analogiche e non, anche io ho deciso di sperimentare. Fotografia nasce con la pretesa di restituire allo spettatore l’illusione di ritrovarsi in uno spazio reale con fonti di luce naturale e non davanti a delle fotografie. Non è la macchina fotografica a fare una fotografia ma la luce; pensando al termine fotografia automaticamente si immaginano scene di vita quotidiana o che comunque rimandano a qualcosa che siamo abituati a vedere (oggetti,
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paesaggi ecc). Ho messo in secondo piano lo strumento tecnologico, allontanandomi mentalmente da esso, cercando di riprodurre la stessa operazione dei fotografi che hanno lavorato in analogico, sfruttando la macchina fotografica solo come mezzo di trascrizione.
BIBLIO SITO GRAFIA
Bibliografia
Sitografia
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www.youtube.com
Dada, A. L. Hockensmith, catalogo della mostra, Parigi,Centre Georges Pompidou, 2005 Autoritratto di Man Ray, SE 2010, Man Ray
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Rayograph, Martano 1970, Giulio Carlo Argan
www.artsy.net
Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, S. Sontag, 2004. E.Capriolo
jmcolberg.com
Vision in motion, P. Theobald, 1947 Moholy-Nagy Fata Morgana, n°28 Cosa. De Gaetano Roberto, 2016 FotoGrafie. Segni di luce, Mariagrazia Dardanell, 2016 Lotte Jacobi: Photographs, 2002, Peter A. Moriarty The pencil of nature, H. Fox Talbot, 1844
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www.ASX.com, What They Are
www.time.com