ISSN 2037-4380
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€ 1.20 SETTIMANALE n. 1267 del 6 Agosto 2016 - galletto@newnet.it - Sped. ABB. POST. 45% Art. 2 comma 20/B - Legge 662/96 - Firenze Aut. Trib. FIRENZE del 11/04/1988 n. 3694 - Dir. Resp. C. Fusaro - REDAZIONE: Via F. Niccolai, 16 - Borgo San Lorenzo (FI) - Concessionaria Pubblicità e Casa Editrice STUDIO AD.ES di Elissa Spidalieri - www.ilgalletto.net - Telefono 055 8456391 - Fax 055 8495010
PER LUI I consigli di lettura per l’estate
MAGAZINE L’aia azzurra
MATTEO LUCII A PAG. 6
MUGELLO La vera Corte medicea
SAURO ALBISANI A PAG 8-9
CAPOLAVORI MUGELLANI La Pietà di Luco di Andrea del Sarto
FABRIZIO SCHEGGI A PAG. 10-11
ARMANDO CAPRILLI A PAG. 14-15
È giovane, è attiva. È la Pro Loco di Borgo
Ad un anno dalla costituzione del nuovo consiglio intervista al Presidente Alessio Capecchi che traccia un bilancio e lancia un appello ai volontari Serena Pinzani Giovane e attiva. E’la Pro Loco di Borgo San Lorenzo che, a poco più di un anno dal suo rinnovamento, sta vivendo una lunga stagione di impegni ed eventi. Ed al culmine di questa stagione ricca di festeggiamenti e manifestazioni abbiamo scambiato due parole con il Presidente Alessio Ca-
pecchi, impegnato negli ultimi preparativi dei festeggiamenti del santo patrono. E’ passato circa un anno dalla tua elezione. Possiamo fare già un piccolo bilancio? Malgrado le difficoltà logistiche, la mancanza di una sede, le scarse attrezzature in dotazione, ed una situazione economica non certo florida
nonché i pochi volontari attivi il bilancio può dirsi sicuramente positivo. Nonostante tutte queste difficoltà siamo riusciti ad organizzare tanti eventi e far crescere il nostro paese, creando un vantaggio alla comunità e al tessuto economico visti anche i tanti visitatori venuti da fuori. Orgogliosamente posso dire
che quello che abbiamo fatto è stato fatto proprio “pro loco”, pro Borgo. E questo grazie ai volontari attivi ai quali va un doppio ringraziamento visto che si tratta di persone attive anche in altre associazioni di volontariato. La nuova Pro Loco è cambiata molto. L’immagine... Segue a Pag. 2
La Foto della Settimana Precursori della società dell’informazione Quest’anno celebriamo i trent’anni de “Il galletto”. Celebrare vuol dire ringraziare tutti a cominciare dai collaboratori e dai lettori, salutare le autorità e coloro che ci hanno sostenuto e voluto bene, ricordare chi ha partecipato alla vita del giornale e ora non c’è più, augurare al giornale e a tutti di andare avanti sempre così. Pietro Mercatali Segue a Pag. 2
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Barberino - Storie di Cultura, Riccardo Rombi
A Catalyst la direzione artistica del Corsini per i prossimi 3 anni Quattro chiacchiere con Riccardo Rombi, reduce dall’organizzazione e dal successo della manifestazione “Estate senza frontiere” Prima di iniziare quest’intervista fammi dire che ufficialmente la Catalyst ha vinto il bando del Comune di Barberino di Mugello per la direzione artistica e la gestione del Teatro Corsini per il prossimo triennio e il merito va a tutte le persone che lavorano in questo teatro e al pubblico. Bene, complimenti, ma torniamo per un attimo al successo di Estate senza frontiere A Barberino fino a dieci anni fa non era mai stato fatto nulla di organico in estate, solo eventi sporadici, casuali. L’idea è quella di non interrompere la comunicazione creata durante la stagione invernale col pubblico, di creare un palcoscenico open air di qualità per un pubblico vario. Negli anni le proposte si sono fatte sempre più organiche e il rapporto con i commercianti e la Pro Loco sempre più costruttivo. Adesso curiamo una micro stagione, fatta di quattro appuntamenti, nel mese di luglio. Nel panorama nazionale Barberino, in futuro, potrebbe acquisire una dimensione di Festival teatrale ma queste sono scelte politiche. Quindi, una risposta del pubblico quasi inaspettata… Potremmo dire che Barberino s’è desta. I numeri sono positivi, sempre. Il pubblico si è fatto più attento e raffinato. Apprezza anche le proposte più ardite e ormai ha capito che quelle che vengono presentate di anno in anno non sono programmazioni per un pubblico dozzinale o di provincia, ma... Massimiliano Miniati Segue a Pag. 3
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Politica, Enti locali
Sabato 6 Agosto 2016 Il Galletto
Segue dalla Prima
È giovane, è attiva. È la Pro Loco di Borgo ... è quella di un’associazione giovane e frizzante… La vecchia Pro Loco che tanto aveva fatto, non aveva gli strumenti che possiamo avere noi oggi. Ci siamo dotati di un logo, di una pagina facebook, un sito internet e realizzato materiale promozionale, per migliorare la nostra visibilità. Sicuramente siamo un gruppo giovane e abbiamo bisogno di fare esperienza. Questo primo anno è servito ad imparare e a mettere a frutto quel bagaglio di esperienze che abbiamo ereditato dalla vecchia Pro Loco. Sicuramente il nostro dinamismo ha favorito i rapporti tra le varie associazioni, facendoci diventare punto di riferimento per il tessuto associazionistico borghigiano. Quanti tesserati conta attualmente la Pro Loco? I tesserati attualmente sono circa 80 e approfitto per ricordare che il tesseramento è sempre aperto e la tessera
ha validità un anno. Aldilà dei tesserati, la Pro Loco, viste le tante iniziative in programma ha necessità di collaborazioni sia in fatto di idee che di braccia. Abbiamo bisogno di persone che abbiano a cuore il proprio paese. Non ultimo cito l’esempio dei ragazzi del Gasometro e le collaborazioni con Ethnos, Amici delle biblioteche, Comitato del Carnevale, Avis, Centro Commerciale Naturale. Una linea che ci vede in profonda sintonia con l’Amministrazione Comunale, il Sindaco Omoboni e la sua Giunta, che colgo l’occasione per ringraziare per la collaborazione ed il sostegno. In questi mesi quale è stata la manifestazione più facile da organizzare e quale quella più difficile? Più che di facile o difficile parlerei di scommesse. Quella vinta e ne siamo fieri, è l’organizzazione del Palio di San Lorenzo. La prima edizione, l’anno scorso,
è stata un successo. Una manifestazione partita dal nulla, un salto nel vuoto, con successo. Così come lo Svuota Cantine che a Borgo non c’era mai stato. L’impegno messo da alcune persone dell’associazione ha portato i suoi risultati visto che conta diversi espositori e crea movimento nel centro storico. Le manifestazioni più facili… quelle a cui siamo stati chiamati a partecipare e lo abbiamo fatto creando il nostro spazio espositivo come a Fiorinfiera o Vivilosport. Qual è il punto di forza e qual è il tallone d’Achille dell’associazione? Il punto di forza è senz’altro l’entusiasmo delle persone che si sono avvicinate, che vogliono fare e che hanno idee da concretizzare. Il tallone d’Achille rimane purtroppo il fatto di essere comunque pochi nonostante la tanta carne messa al fuoco e le scarse risorse a disposizione. San Lorenzo, patrono la
festa più importante. Cosa ci avete preparato? Le idee son tante. Alla base di tutto vorremmo, dopo l’esperimento dello scorso anno, strutturare e stabilizzare i giochi del palio, rendendoli più organizzati e ricreando, negli anni, una struttura nei singoli rioni. Quest’anno c’è un gioco nuovo, un recupero di un’antica tradizione che rischia di sparire come il tiro alla rulla. Ci aggiungeremo altre iniziative collaterali (su tutte la riproposizione della corsa podistica dopo il successo dello scorso anno) ma, viste anche le numerose “partenze” del periodo, vogliamo dare una crescita graduale senza fare passi più lunghi della gamba. Da settembre lavoreremo su un futuro palietto dedicato ai più piccoli che vada in parallelo ad un’attività di formazione nelle scuole sulla storia e le tradizioni del paese. Serena Pinzani
Segue dalla Prima - I trent’anni de “Il galletto”
Precursori della società dell’informazione Vorrei lasciare da parte tutto ciò e provare a dire ciò che il giornale ha cercato di fare in questi trent’anni. A. Quando Il galletto ha iniziato le pubblicazioni erano quasi cinquant’anni che in Mugello mancava un giornale locale come non ce n’erano in tutta la Toscana. Una tradizione e un servizio presente invece in molti paesi evoluti e anche nelle regioni del nord Italia, almeno dopo la parentesi del fascismo. Forse da noi la tentazione del pensiero unico ha emarginato mezzi e forme per la libertà d’espressione del pensiero. Ricordo l’iniziale avversione delle forze politiche allora egemoni alla nascita delle radio libere locali. Negli anni ottanta Il galletto ha dato voce al pensiero di tutti anche dei dissenzienti, anche dei diversi. Ha suscitato dibattito e polemiche, ha informato sulla vita di tutti i giorni anche chi pensava che i giornali dovessero solo al servizio della politica e dell’ideologia. B. In quegli anni il Mugello non esisteva. C’erano tanti campanili, ognuno isolato dagli altri. Borgo, Vicchio, Scarperia erano mondi a sé difficilmente penetrabili. Il galletto è nato ed ha sempre cercato di accreditarsi come il giornale di tutto il Mugello. Non sempre c’è riuscito, ma ce l’ha messa tutta. Se prendete un qualsiasi giornale locale vedrete che quasi sempre ogni comune della zona ha una o più pagine dedicate e si separa la cronaca di un paese da quella degli altri. Il galletto non l’ha mai fatto. Anche nell’impaginazione ha presentato il Mugello come un’unica comunità. E oggi questa è la nostra identità che possiamo spendere, credo con orgoglio, anche all’esterno.
A pagina 12 e 13 pubblichiamo un “pezzo da museo”: il gioco del galletto!, variante mugellana del gioco dell’oca uscito agli inizio degli anni ’80 quando ancora esisteva “Il raccoglitore di Radio Mugello” antenato del nostro galletto. Ringraziamo di cuore Massimo Biagioni, tra i primi giornalisti della redazione, per questo bellissimo regalo C. Il galletto ha cercato di affermare e sostenere localmente la “Società dell’informazione e della conoscenza”. Infatti dalla metà degli anni ottanta la caratteristica del ritmo accelerato con cui procede l’innovazione è quello di essere veicolato dalla diffusione e dalla possibilità di impiego delle informazioni. L’uso delle tecnologie informatiche ha cambiato sia il mondo della produzione che quello dei consumi, rendendo l’informazione merce pregiata e volano di sviluppo. In Mugello tale concezione dell’informazione che si trasforma in conoscenza e che come tale è oggi il bene economico più importante stenta ancora ad
affermarsi. D. E qui sta il futuro anche per il nostro giornale. Oggi è necessario diffondere le nostre conoscenze, la nostra cultura all’esterno, integrarla con altre conoscenze e saperi per percorrere nuovi canali di sviluppo. Abbiamo iniziato a farlo entrando in una catena di giornali locali diffusi in Toscana e in tutto il nord Italia. Continueremo a farlo integrando la carta stampata con il WEB e i canali d’informazione digitale. Tutto questo senza perdere l’indipendenza e l’identità che ci ha sempre caratterizzato. Pietro Mercatali
In Primo Piano
Sabato 6 Agosto 2016 Il Galletto
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Segue dalla Prima -Barberino
A Catalyst la direzione artistica del Corsini per i prossimi 3 anni ...scelte fatte ad hoc. Anche le compagnie che passano di qua hanno capito che il Corsini ha un profilo nazionale di alto livello, una sua identità. All’inizio però è stata dura, i direttori dei vari teatri ci guardavano dall’alto in basso, eravamo una sorta di parente povero un po’ matto. Si sono dovuti ricredere. Il merito però in questo caso è di Emilia Paternostro che percorre l’Italia in lungo e in largo per scegliere le migliori produzioni teatrali cercando un equilibrio fra risorse economiche e alta qualità degli spettacoli. Un lavoro diplomatico che è difficile anche solo immaginare.
La scelta degli spettacoli deve essere sfiancante… Siamo una compagnia riconosciuta dal Ministero dei Beni Artistici e Culturali e da poco abbiamo la presidenza di Firenze dei Teatri. Quindi prima di tutto siamo una compagnia teatrale e questo per un teatro è un valore aggiunto. Nel senso che la direzione artistica si muove con il chiaro obiettivo di raggiungere il maggior numero di persone senza abbassare il livello qualitativo. Si può dire che lavoriamo per tenere vivo il bisogno di bellezza e di armonia, per riannodare i fili delle relazioni fra umani. Il
problema è che questo lavoro vogliono farlo sempre più le persone che con questo lavoro non hanno niente a che fare, pseudo intellettuali svogliati o psicolabili con amicizie di vario tipo. Se in più aggiungi che le risorse sono quelle che sono... Immagino sia diventato quasi impossibile organizzare, se lo Stato continua a tagliare… Come compagnia investiamo risorse, e non poche, nel Teatro Comunale, perché riteniamo che sia giusto così. Ma a livello generale pensare di sottrarre fondi alla cultura è un miope controsenso. Ovunque si parla di
economia della cultura. Tutti gli studi più seri hanno certificato da tempo che un paese che investe in cultura arricchisce il suo territorio. Il turismo stesso si è modificato, ormai i flussi si muovono verso quei luoghi che valorizzano ambiente e cultura e chi non si adegua resta al palo, è fuori dal giro. Qualcosa di certo per la prossima stagione? Una programmazione che non inseguirà necessariamente il “nome di richiamo” (nelle ultime undici stagioni dal Corsini è passato in tal senso il meglio del teatro nazionale da Paolo Poli, Monica Guerritore, Marco Paolini, Giuliana LoIodice, Arnoldo Foà, Gianrico Tedeschi, Paolo Rossi, Alessandro Bergonzoni, Lella Costa… solo per citarne alcuni) ma è più interessata a mettere in relazione artisti e territorio e a occuparsi di contemporaneità. Barberino diventerà sempre di più un luogo di residenza per alcune compagnie, ospitate per un periodo più lungo rispetto alla data singola. Una sorta di conoscenza approfondita fra cittadini e operatori teatrali, delle iniezioni di sana follia. Un esempio di questa linea di lavoro il debutto nazionale nel mese di febbraio di “Due donne che ballano”, testo di M.Benet Jornet, autore che ha gettato le basi della drammaturgia spagnola contemporanea e che
verrà riallestito a Barberino. In scena Maria Paiato e Arianna Scommegna due interpreti straordinarie della scena nazionale. Si parlerà del rapporto tra un’anziana donna e la sua badante, si parlerà della danza delle nostre vite. Ilgrandeeventocheattraemache brucia risorse in un’unica serata non è più, economicamente, ma soprattutto eticamente, sostenibile. E poi il pubblico che viene al Corsini non è composto da spettatori passivi ma è partecipe, pronto alla scoperta del nuovo e sfata una volta per tutte l’idea che nuovo e contemporaneo sia sinonimo di teatro d’elite o per pochi addetti ai lavori. Contemporaneo, così come lo intendiamo, è un teatro popolare e di qualità capace di parlare dell’oggi anche alle
nuove generazioni. Negli anni il pubblico si è fidato e ha scoperto con noi i Familie Floetz (un graditissimo ritorno di questa stagione), il Trio Trioche, Mario Perrotta, Rita Pelusio, Antonio Rezza. E quest’anno potrà applaudire grandi storie come Moby Dick, Cinema Paradiso, I giganti della montagna oppure la nuova produzione di Spiro Scimone e Francesco Sframeli, Daria Paoletta, Fabrizio Saccomanno e, ovviamente, le nostre produzioni. Spazio verrà dato come sempre al teatro “Tout Public”, spettacoli capaci di parlare a grandi e piccoli spettatori, rassegne dedicate a ragazzi e famiglie di tutta l’area del Mugello, e alle produzioni di base che nascono dal territorio. I lavori sono ancora in corso.... Massimiliano Miniati
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In autunno in libreria due nuovi romanzi dell’autore de “La novella del cuore murato”
“La faina”, e Miniati torna alla banda di Leonardo Gori Serena Pinzani Eravamo rimasti alle avventure de “La scuola delle anime circensi” e alla tenerezza di “Perché sui dimentichi di me” poi Leonardo Gori, protagonista delle storie di Massimiliano Miniati da “La novella del cuore murato” è scomparso… Leo non è scomparso, si è preso una pausa. Avevo voglia di sperimentare qualcosa di nuovo, e tu, con il tuo coinvolgimento in “Mugello da Fiaba” hai fatto scattare la molla, ma ti assicuro che tutti i miei personaggi stanno scalpitando. Allora qualcosa bolle veramente in pentola…
Certo, sto ultimando la prima stesura del romanzo che sarà in libreria per le feste, anzi probabilmente i libri saranno due perché è quasi terminato anche un nuovo capitolo delle “ragazze” del Club delle vergini di ritorno. Due libri in contemporanea, non sarà un po’ troppo… In effetti per me non sono due libri, uno è un romanzo, l’altro è una valvola di sfogo. In che senso? Nel senso che quando devo calarmi in una storia terribile dopo un po’ mi prende la voglia di abbandonarla. Allora scrivo un capitolo delle vergini di ritorno, mi faccio quattro risate e sono pronto a ricominciare con
l’altra storia. Perché “La faina”? Perché è un animaletto piccolo e grazioso quanto letale, ed il mio personaggio è una ragazzina che la paura e la sete di vendetta trasformeranno in leggenda. Due parole in più? Perché tutte le volte che facciamo questi articoli devo tirarti fuori le parole a forza? Perché un libro è più bello se lo si legge senza saperne niente, comunque è una storia partigiana ambientata in Mugello a ridosso della linea gotica. Quindi una storia che parla di guerra… Anche, è una storia che parla di disperazione e del coraggio che questa a volte riesce a tirare fuori, la storia di un personaggio di fantasia che però avrà a che fare con avvenimenti reali di personaggi che hanno dato la vita per permettere a noi oggi di essere un popolo libero. Sembra interessante… Lo è per me, e naturalmente spero lo sia anche per chi lo leggerà; credo sia importante in un mondo dove la gente va a caccia di Pokemon, parlare e ricordare il nostro passato, anche per vedere se evitiamo di fare gli stessi errori.
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Sabato 6 Agosto 2016 Il Galletto
Marradi e Dino Campana
Centenario di un viaggio “che chiamavamo amore.” “ Penso a Campana, alle sue magnifiche membra d’atleta, che racchiudevano uno spirito che il vento della vita spense. Tutta la sera m’è ondeggiata alla memoria l’immagine di lui, della sua pazzia, e quell’altipiano deserto in quelle prime poche notti estive del nostro amore che sono rimaste le più pervase d’infinito ch’io abbia vissuto. “ Così annota l’ Aleramo nel suo Diario tredici anni dopo, ricordando quell’amore “ il più intenso e il più terribile della mia vita” che ebbe inizio al Barco, vicino a Firenzuola, nell’Appennino tosco romagnolo, il 3 agosto 1916.
L’incontro era stato preceduto da uno scambio epistolare, da lei avviato dopo aver letto i Canti Orfici. E sono appunto le lettere le testimoni di una storia fatta di pochi incontri, di lunghi abbandoni, di sofferenze e di dichiarazioni di amore eterno (“your for ever”scrive Dino) . Su un centinaio di documenti fra lettere, cartoline, telegrammi e appunti si fonda l’esposizione organizzata dal Centro Studi Campaniani di Marradi per ricordare il centenario di un “viaggio”, come lo definisce Campana nella lirica “In un momento”, intrapreso con una don-
na libera e spregiudicata che fu l’antesignana dell’emancipazione femminile. L’allestimento cerca “un coinvolgimento emotivo con le parole scritte, la grafia, le missive dei due protagonisti, avvolgendo così il visitatore nel gorgo delle frasi ora tenere, ora disperate, ora quasi da calpestare come quelle rose che ebbero più spine che petali” annota nella brochure il curatore della mostra l’architetto Silvano Salvadori. Per la prima volta i visitatori potranno vedere le copie dei manoscritti delle poesie dedicate ad una donna dagli occhi “forti di luce”, comprese nel
Fondo Matacotta e gentilmente concesse dal figlio Cino e le copie dei manoscritti delle lettere depositate nel Fondo Aleramo presso l’Istituto Gramsci di Roma o provenienti da archivi privati. Tutto questo materiale è stato inserito a corredo dei testi critici predisposti da Mirna Gentilini nel libretto dal titolo “ Questo viaggio chiamavamo amore”, stampato a cura del Centro Studi Campaniani in occasione del centenario dell’incontro Campana Aleramo . “Gli originali delle lettere di Campana, edite nel 1958 da Niccolò Gallo, a cui Sibilla le donò, sono
introvabili” dichiara Mirna Gentilini, Presidente del Centro Studi Campaniani, che ha contattato anche le nipoti di Gallo, all’oscuro di questi importanti documenti, e aggiunge: “Che abbia avuto effetto l’anatema – Le mie lettere sono fatte per essere bruciate da lui pronunciato in una lettera a Sibilla?” Certo la vicenda umana di Campana è costellata di misteri: da vivo gli smarrirono il manoscritto, da morto le lettere d’amore! Saranno esposte inoltre le opere premiate del 4° Concorso Studentesco grafico Pittorico indetto in occasione del centenario e la
maglietta con impresso il disegno vincente. La mostra, inaugurata il giorno del convegno su “Rina Faccio, alias Sibilla Aleramo,”amica amante” di Dino Campana” è stata aperta il 25 giugno 2016 nelle sale del Museo “Artisti per Dino Campana” Via Castelnaudary, 7 Marradi (FI), e potrà essere visitata sino al 25 agosto nei giorni di apertura del Centro Studi Campaniani (martedì e venerdì dalle 17 alle 19), su appuntamento in altri giorni, e nei giovedì di luglio e agosto dalle 21 alle 23. Presidente Centro Studi Campaniani
Dalla parola alla cura
LA RUBRICA DEGLI INFERMIERI DEDICATA AI CITTADINI
Ci scrive una giovane donna da Borgo San Lorenzo. Ho 31 anni e ho avuto il primo attacco di panico quando ne avevo 18. A quel primo episodio sono seguiti mesi di malessere e disturbi, ma il tutto si è concluso senza che io abbia dovuto ricorrere a farmaci o terapie. Dopo quattro anni, però, ho avuto un altro forte attacco, seguito da settimane di forte malessere e distacco dalla realtà. Mi sono sottoposta a terapia psicoanalitica e sono ricorsa a farmaci e il recupero della normalità è stato più veloce della volta precedente. Ora sto bene ma capita, specialmente in concomitanza a determinate situazioni psicofisiche di sentire certi campanelli di allarme degli attacchi, che mi spaventano. Devo aspettarmi che mi ricapiti un altro attacco? Che cosa mi consiglia di fare per prevenire l’eventualità di un’altra crisi? Chi soffre di attacchi di panico riferisce che il ricordo del primo episodio tende a «stamparsi» nella memoria. Ci sono persone che descrivono episodi vecchissimi con una ricchezza di particolari sorprendente. Il motivo di tanta precisione sta nella percezione di una sofferenza e di una paura di intensità elevatissima. Quando una persona con un attacco di panico si rivolge in Pronto Soccorso perché è convinto di avere un infarto, prova una paura così intensa da rendergli certo l’arrivo della morte. Una paura irrazionale, giudicata eccessiva nei momenti di tranquillità ma che quando sopravviene risulta incoercibile. Quando una persona ha un attacco di panico sperimenta una condizione di timore di intensità sovrumana da cui la scelta di derivare il nome della malattia da una antica divinità: il dio Pan, metà uomo e metà caprone, abituato a comparire all’improvviso sul cammino altrui, suscitando un terrore interiore e scomparendo poi velocemente, lasciando le proprie vittime nell’incapacità di spiegarsi quanto è accaduto e ciò che hanno provato. Veniamo alla sua esperienza. Lei fa riferimento a un periodo di forte malessere e di disturbi a seguito degli attacchi di panico. Ma di che tipo di disturbi si trattava? Con grandissima frequenza il disturbo di panico si caratterizza non solo per gli attacchi improvvisi e intensi, che di fatto occupano un tempo limitato, ma anche per la presenza di fenomeni di ansia anticipatoria e condotte di evitamento (evitare tutti quei luoghi che potrebbero far venire un attacco a da cui sarebbe difficile allontanarsi in caso di attacco). Per il disturbo di panico esistono però trattamenti efficaci. L’intervento farmacologico a dosaggi adeguati, e per tempi adeguati, produce in moltissimi casi una regressione dei sintomi e permette di ricominciare a vivere la propria vita. L’obiettivo di tali interventi deve essere la riacquisizione di uno stato di salute ottimale e non la semplice attenuazione dei sintomi più disturbanti. Nel suo caso, ritengo opportuna una rivalutazione dei dosaggi della terapia che sta assumendo. L’associazione a interventi psicoterapici specifici per il disturbo è estremamente utile a modificare le condotte di evitamento e ridurre l’ansia anticipatoria. Superare l'ansia da panico è possibile e richiede innanzitutto la necessità di prendere consapevolezza della natura benigna del problema, che nasce da una reazione naturale a fattori di sovraccarico. È opportuno innanzitutto imparare a collegare i sintomi ai fattori scatenanti, in modo da acquisire un certo controllo delle crisi. È altrettanto importante cambiare il proprio stile di vita, eliminando tutti i fattori che possono aumentare il rischio di ulteriori attacchi di panico: ciò significa curare l’alimentazione, l’attività fisica, il riposo e la protezione della sfera psichica. È importante imparare anche tecniche specifiche per gestire l’ansia, come il Training Autogeno, il rilassamento respiratorio e tecniche di pensiero positivo che servono a migliorare l’atteggiamento verso sensazioni corporee, eventi esterni e verso se stessi. Occorre anche imparare a riconoscere e distinguere le sensazioni fisiche sperimentate, al fine di ridurre la tendenza a rispondere sempre con ansia a minimi segnali fisici, come avviene a causa di un processo di sensibilizzazione instauratosi. La disponibilità a mettersi in gioco sostenendo l’apprendimento di risposte comportamentali più adattive alle situazioni ansiogene è una delle caratteristiche fondamentali che può favorire un completo successo in un percorso di guarigione, il quale spesso richiede il ricorso ad una o più guide professionali competenti che aiutino a superare la disperazione che spesso avvolge chi vive il problema del panico. La prima cosa da fare in caso di crisi da attacchi di panico, è di cercare una posizione comoda: se ti senti costretta, liberati della cintura o allenta un bottone della camicia. Concentra poi la tua attenzione sul respiro e cerca di fare respiri corti, superficiali e regolari. Cerca di fare attenzione ai sintomi che accompagnano la crisi da attacchi di panico: senso di oppressione al petto, formicolio agli arti, capogiri o sudorazione fredda... Intervieni su di essi, massaggiando lentamente ma anche con vigore la parte in cui si condensa il malessere. Per esempio, se avverti l'oppressione al petto, massaggia il torace; se invece avverti un formicolio alle braccia o alle gambe, massaggia gli arti; se ti senti il viso sudato o infiammato dal calore, massaggialo con entrambe le mani, come se dovessi liberarti, attraverso il massaggio, della tensione che percepisci, facendola fuoriuscire verso l'esterno. Il movimento deve essere deciso, come se stessi spingendo fuori da te la forza che smania di emergere e che ha causato la stessa crisi da attacchidi panico. Ricordati che gli attacchi di panico passano sempre.
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Sabato 6 Agosto 2016 Il Galletto
Nuova esposizione nel Palazzo dei Vicari a Scarperia
“Piante e Cabrei del Mugello e della Val di Sieve” Sarà la splendida cornice architettonica del Palazzo dei Vicari di Scarperia a ospitare la nuova esposizione di “Piante e Cabrei del Mugello e della Val di Sieve”. Dopo il lusinghiero successo di critica e di pubblico ottenuto nelle precedenti rassegne di Dicomano, San Godenzo, Pontassieve e Rufina, la mostra itinerante sulla cartografia storica locale, curata e allestita dal GAD, Gruppo Archeologico Dicomanese, si presenta a questo nuovo appuntamento, rinnovata e arricchita di ulteriore materiale cartografico d’archivio riferito alle zone di Scarperia e San Piero. Attraverso la riproduzione di oltre 150 immagini in grande formato, la mostra offre un prezioso esempio dell’evoluzione cartografica avvenuta nel Mugello e nella Val di Sieve fra il Cinquecento e la fine del XIX secolo. Un percorso cronologico che dalle Piante più antiche dei Capitani di parte guelfa, si articola secondo l’evoluzione grafica avvenuta con l’introduzione dei Cabrei fra Sei e Settecento, fino alle Mappe del Catasto Leopoldino adottate in Toscana nei primi decenni dell’Ottocento. Realizzati in origine come unico strumento ufficiale d’indagine catastale per la valutazione fiscale dei beni, questi documenti appaiono oggi come strumenti preziosissimi e insostituibili per la conoscenza e lo studio di quelle peculiarità distintive che determinarono la trasformazione e lo sviluppo del nostro territorio nei secoli passati, non solo secondo l’aspetto puramente geografico, ma soprattutto per quel mutare costante dell’impianto urbanistico, dell’economia domestica quotidiana strettamente connessa all’attività mezzadrile se non all’evolversi dell’architettura rurale e alla fisionomia suggestiva degli edifici sacri e delle dimore signorili presenti sul nostro territorio. Accanto a queste caratte-
ristiche strettamente tecniche, essenziali per qualsiasi tipo d’indagine storica, questi particolari documenti offrono inoltre affascinanti e inattese qualità di natura puramente artistica ed estetica, percepibili soprattutto con l’esame della cartografia Sei/Settecentesca (Cabrei), assimilabile oggi a un’inedita e suggestiva arte pittorica. Un esame delle carte più antiche infatti, ci restituisce documenti dai tratti essenziali, poco curati e poveri nella grafica, eseguiti spesso con inchiostri monocromatici, talvolta addirittura disegnati con ordine approssimativo rispetto al normale orientamento cardinale. Di ben altro valore compaiono invece le piante successive, redatte in base a rilievi compiuti direttamente sul terreno, quindi ricche di elementi autentici riferiti agli appezzamenti rappresentati e alla loro natura, fosse questa boschiva o agricola, e alle eventuali colture che vi si impiegavano. Realizzate con tinte ad acquerello dai colori tenui, queste piante costituiscono un esempio suggestivo ed elegante dell’arte figurativa rinascimentale, straordinari strumenti per la lettura del territorio mugellano fra il XVII e il XVIII secolo, con l’individuazione immediata delle strade e dei corsi d’acqua, la disposizione degli appezzamenti poderali e la relativa tipologia agricola adottata. Spesso compaiono arricchiti dall’estro e dalla fantasia di autori raffinati che amavano aggiungere a queste “opere” particolari allegorici inattesi, talvolta anche scene di caccia e del lavoro nei campi; molto più spesso era raffigurata addirittura l’alzata tridimensionale degli immobili presenti nell’appezzamento rappresentato. Una tipologia espositiva di grande fascino visivo dunque, inedita e mai proposta fino ad oggi al pubblico del Mugello, una raccolta iconografica che ha visto im-
pegnati per anni i ricercatori del GAD nello studio e nell’indagine di questi particolari documenti, spesso gelosamente custoditi in archivi privati ma anche conservati e nascosti fra le pagine ingiallite di corposi tomi di Archivi Statali e Comunali, non sempre facili da individuare nella messe incalcolabile di filze e carte che trattano della nostra storia dopo il Cinquecento. Una rassegna significativa, particolarmente curata nei dettagli, che rende finalmente il giusto valore culturale a quest’aspetto storico poco conosciuto del nostro territorio e che lo stesso Gruppo Archeologico Dicomanese pone nel novero di una costante attività divulgativa perseguita nel tempo. L’evento reso possibile grazie alla disponibilità dell’Amministrazione comunale di Scarperia e San Piero e alla collaborazione della locale Pro Loco Scarperia c/o Palazzo dei Vicari, sarà presentato al pubblico sabato 6 Agosto alle 17,30 nell’atrio del Palazzo dei Vicari. Insieme ai curatori della mostra interverranno l’Assessore alla Pubblica Istruzione Ciani Loretta e il Presidente del GAD Bruni Piero. La mostra resterà visibile fino al 21 Agosto, aperta tutti i giorni dalle 10,00 alle 19,00 con ingresso libero. Per informazioni Pro Loco Scarperia tel. 0558468165, e-mail informazioni@prolocoscarperia.it.
Massimo Certini
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Sabato 6 Agosto 2016 Il Galletto
L’aia azzurra Pagina culturale a cura di Sauro Albisani
-----> FRECCE<----Aforismi dei lettori “Io faccio rap coi versi di Campana” (Chiara, Marradi) Invia il tuo aforisma a: scrivi1pensiero@gmail.com
Un Leone e due susini F
acendo quattro passi lungo i bastioni di “uno dei più bei borghi d’Italia” ci si imbatte in una deliziosa piazzetta, vicina al Palazzo dei Vicari, ombreggiata, discreta, contornata di panchine. Sulla facciata di una casa, una grande lapide, sormontata da un ritratto a mezzo busto, con un’epigrafe datata 1906, che più o meno recita così: “Luigi Fiacchi, il Clasio di tutte le famiglie d’Italia, filologo e poeta, una delle voci toscane di popolo (...) ha dalla sua Scarperia onoranze materne l’VIII di settembre del MCMVI nella solenne commemorazione secentenaria della fondazione del paese, voluto alpestre asilo di libertà dal comune e popolo di Firenze”. I tratti del viso restituiscono l’immagine di una persona gentile, perbene; di certo uno studioso, un prete colto. Pensare che lo zio Pier Carlo, curato nientemeno che di Rupecanina - due case, una torre normanna e un campanile - lo giudicò scarso d’ingegno. Era stato il suo primo precettore, per contentare i genitori, gente umile, modestissima, che sperava di sistemare il figlio con la carriera ecclesiastica. Scarso, piuttosto che il nipote, doveva essere il metodo didattico dello zio. Dopo quella prima rustica scolarizzazione, Luigi proseguì gli studi a Firenze con successo e onore: filologia, retorica, poesia, matematica, logica, una specializzazione in filosofia a Bologna... Il granduca Leopoldo lo chiamò subito ad insegnare nelle scuole che aveva appena aperto in piazza del Carmine a Firenze, un modello d’istruzione illuminata. In breve Luigi diventò precettore di nobili fanciulli, dimorando per lo più a Firenze, in pieno centro, dalle parti di palazzo Strozzi, in via Monalda al n. 6, dove è posta una targa in cui si legge: “Qui Luigi Clasio, celebre favoleggiatore, scrisse scherzando la verità”. Luigi cercò di conciliare le croci e le delizie dell’insegnamento con le amate letture e gli studi di retorica, di filologia, dei classici. Alle rinunce dell’abito talare, se ne aggiunse un’altra: vivere lontano dall’amato Mugello, dalle verdi distese punteggiate di lecci, abeti e cipressi, chiuse dalle montagne gelide, animate da caprioli, sparvieri, cinghiali. “Ma il Mugello c’è nelle favole e nelle poesie latine pastorali in cui persone, scene, atteggiamenti sono così nostri da rivedervi e risentirvi riprodotte la verità e la realtà della vita in tutto il suo ambiente mugellano” (Antonio Giovannini, Luigi Fiacchi nel primo centenario della sua morte, in “Bollettino della Società di studi storici”, I, n. 1, giugno 1925, p. 7). Clasio, morto nel 1825, onorato in un lungo elogio funebre dagli Accademici
della Crusca, è sepolto a Firenze, nella chiesa di Santa Maria del Carmine. Di tempo ne è passato, da quel lontano 1754, in cui nacque Luigi. E’ già difficile ricostruire il perché di quello strano nome: Clasio. Non si tratta dell’uso, frequente nel Mugello, di darsi dei soprannomi che finiscono per sostituirsi al nome vero. Piuttosto si deve far riferimento alla predilezione degli intellettuali di fine Settecento per i classici, da cui l’uso di volgere i cognomi alla greca, come il più noto Metastasio. Nel caso del Nostro, Fiacchi sta per deboli, esausti, ellenizzato in Clasio.
Più difficile risalire alla fortuna di questo favolista (oggi quasi dimenticato) letto e studiato per tutto l’Ottocento e oltre, lungo il secolo scorso, come testimoniano le numerose edizioni delle sue cento favole in rima, affiancate da dotti studi (la curatela delle opere di Lorenzo il Magnifico, le ricerche filologiche su alcune controverse terzine di Dante, la preparazione di lemmi per il Vocabolario dell’Accademia della Crusca, di cui Clasio faceva parte) e da scritti di genere burlesco (vedi le Cicalate). Attività letteraria a doppio binario si direbbe, che si occupa della parola in tutta la sua estensione, dal registro alto della lirica ai toni bassi degli stornelli canzonatori, conci-
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Sabato 6 Agosto 2016 Il Galletto liando l’erudizione con lo spirito arguto della terra d’origine. Le favole stesse, l’opera più nota di Clasio, combinano gli echi letterari dell’Arcadia settecentesca con i tratti della produzione popolare: la battuta salace, la morale detta in breve, il comune buonsenso, la saggezza dei proverbi. E’ la doppia natura, colta e villana, delle favole che ne decreta la fortuna come strumento pedagogico: un sapiente uso della metrica e della retorica al servizio di una precettistica semplice, espressa in un motto, in un’immagine, un bozzetto. Non molto tempo fa, Clasio era un autore conosciuto. Luigi Fiacchi l’11 settembre 1823 scrisse a Giuseppe Pucci, con mal celato orgoglio: “Le mie favole hanno avuto la sorte di divenire libro scolastico, perché si usa nelle scuole, collegi e nelle case private, per far leggere i ragazzi e imparare a mente pezzi di poesia”. La conferma di questa notorietà arriva da un blog recente, il “Leone centenario”: “Se nella verde etade alcun trascura Di lodato saper ornar la mente Quando è giunta per lui l’età matura Di aver perduto un sì gran ben si pente. Cercalo allor ma trovasi a man vote potea, non volle; or che vorrìa non pote”* *Incipit de I due susini di Luigi Fiacchi (detto Clasio) 1820 (così come lo ricorda Leone dalle elementari)”. Ma ascoltiamo le sue parole stesse: “Io ho frequentato fino alla quinta elementare e poi ho fatto la scuola serale. I miei genitori mi avrebbero fatto studiare, ma io non vedevo l’ora di smettere di studiare, ignaro del bene che avrei perduto. Ma forse sarei rimasto un modesto intellettuale. Comunque a sei anni avevo cominciato a studiare musica e violino con discreto successo. In seguito per ragioni economiche e poi a causa della guerra ho svolto attività di casaro in vari caseifici”. Chi qualche anno fa scriveva queste frasi era Leone Sacchi, che alla bella età di cento anni, ricordava an-
cora bene, e a proposito!, la morale de I due susini, la favola in cui Clasio raccomandava ai suoi allievi di non interrompere presto gli studi. Leone l’aveva imparata alle elementari, nelle campagne di Carpi, un secolo fa, lui che era nato nel 1913. L’aveva imparata soprattutto sulla sua pelle: vivacità d’ingegno ma scarsa voglia di studiare; poca scuola e tanti rimpianti: violino, musica, scrittura..., una vita di lavoro e di sacrifici. Grazie, Leone: sul tuo blog hai lasciato la testimonianza struggente di un allievo svogliato di cento anni fa, che la lezione l’aveva imparata davvero! La notorietà di Clasio subisce una battuta d’arresto dopo il bicentenario della nascita del poeta, nel 1954, salutato dai saggi di Allodoli e di Bigongiari; ma già non si era sentita più l’esigenza di ristampare i suoi libri. Scarperia però lo ricorda: oltre alla piazzetta di cui sopra, anche la scuola primaria porta il suo nome e, proprio per i più piccoli, viene istituito il premio letterario “Luigi Fiacchi detto il Clasio”. La primaria fa parte di un complesso scolastico più grande, che si chiama Istituto Comprensivo Scarperia San piero, tradizionalmente impegnato nella valorizzazione del territorio. Qui nel 2015 si è realizzato un progetto interdisciplinare sulla stessa favola di cui si parla nel blog “Il Leone centenario”, I due susini, spiegata e imparata a mente dagli allievi della Secondaria di I grado. Il progetto ha affrontato il testo dal punto di vista letterario, con la parafrasi e l’analisi metrica essenziale, proiettate sulla LIM, ma anche dal punto di vista scientifico, dato che la similitudine della favola pone a confronto l’azione pedagogica dell’insegnante con quella di chi pota e innesta le piante per migliorarle. Nella favola del Clasio l’importanza di una precoce e tempestiva scolarizzazione è rappresentata, intendendo il verbo nel suo significato più propriamente teatrale, dal dialogo tra l’agricoltore e un susino che non accetta la medesima sorte capitata al suo gemello più prossimo. Il quale guadagnerà ben altre fronde e frutti dall’innesto, riempiendo di pentimento e d’invidia il suo compagno che troppo tardi vorrebbe sottoporsi alla medesima cura preclusa oramai dall’età. Non solo metrica, dunque, ma anche botanica, con un video di Agri channel sull’innesto, un dise-
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gno tecnico eseguito a scuola, una visita al Museo di Casa d’Erci a vedere gli antichi strumenti contadini, una rapida incursione virtuale al Museo dei Ferri Taglienti di Scarperia per capire cosa fossero la roncola e il pennato; infine il contributo dei nonni esperti, che hanno portato in classe qualche ramo di susino innestato alla vecchia maniera. Qualcosa si sta muovendo, l’interesse per il favolista di Scarperia riprende, se ne riscoprono l’attualità e il valore. Lo testimonia la nuova edizione delle favole e dei sonetti pastorali (Luigi Clasio, Favole e sonetti pastorali, introduzione, commento e testo critico a cura di Davide Puccini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2016) da settembre in libreria. Si tratta della prima edizione ampiamente commentata e annotata, che fa il punto della situazione sulla bibliografia critica di Luigi Fiacchi. Un titolo indispensabile alla conoscenza di questo autore, analizzato con gli strumenti critici più aggiornati, visto con gli occhi di un attento filologo e il senso estetico di un poeta, quale è sempre Davide Puccini, anche quando indossa l’abito antico dell’amico delle parole. Di assoluto rilievo il fatto che il sito ufficiale dell’Accademia della Crusca abbia accolto la relazione dell’attività didattica sopra descritta, arricchendola di documenti iconografici inediti, da consultare al link: http://www.cruscascuola.it/interventi/progetto-i-due-susini Stupisce, una volta di più, ritrovare in pieno Ottocento, già passato remoto, nella favola dei due susini l’uomo eterno, allora come oggi negligente e ritroso dietro il banco, sudato e deluso dietro la cattedra, secondo il canovaccio di quel teatrino che dipinge come cane e gatto l’allievo e l’insegnante, destinati alla fine ad apprendere, l’uno dall’altro, la sopportazione e la pazienza. Stupisce, sì, e commuove constatare che negligenza e renitenza, frettolosamente diagnosticate come conseguenze psicologiche dell’odierna alluvione tecnologica e informatica, fossero già praticate quando ancora circolavano carrozze a cavalli. E tuttavia il rimpianto per i bei tempi andati seguita il suo ritornello, più vecchio del mondo.
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Sabato 6 Agosto 2016 Il Galletto
Mugello, la vera Corte medicea Fabrizio Scheggi
Il castello di Cafaggiolo oggi, in un dipinto di Fabrizio Scheggi
Tutti conoscono l’importanza dei Medici nella storia italiana e mugellana. Nei palazzi e nella corte fiorentina di questa famiglia dopo l’avvento della Signoria si vissero momenti d’alto splendore. In contemporanea, fu costante la presenza in Mugello nei ca-
Trebbio e agì per almeno due secoli una vera e propria corte medicea parallela e affine a quella fiorentina. Si trattava, come vedremo, di una corte davvero principesca per molti aspetti. Il primo riguarda proprio l’architettura delle ville. Non fu certo per caso che i Medici decisero di affidare il restauro dei castelli mugellani al grande Michelozzo Michelozzi (box 1) fino a raggiungere al risultato desiderato. Come a chiare lettere scrisse il Macchiavelli all’inizio del XVI secolo, “…Cafaggiuolo ed al Trebbio, tutti palagi non da privati cittadini, ma regi” (cfr. Istorie fiorentine). Nella denuncia al catasto del 1427 si legge che Giovanni di Bicci aveva a quell’epoca già fatto costruire un fortilizio al Trebbio, “nel popolo di Santa Maria da Spugniolo di Mugello luogho detto a Trebio.”. Il castello fu poi ingentilito e impreziosito dagli interventi ordinati da Cosimo il Vecchio. Cosimo amava passare il tempo in quei giardini tra le viti e gli alberi da frutta, anche perché aveva una vera e propria fissazione per la potatura e gli innesti, e stando lì si rilas-
sava davvero. Al Trebbio visse Lorenzo il Popolano e poi Giovanni de’ Medici detto dalle Bande Nere, che da giovane, appena poteva, veniva qua per divertirsi con i contadini locali e trascorrere le giornate spartanamente. Si accompagnava spesso pure a “cattive compagnie” con gioco e vino di contorno, almeno secondo quanto denunciato dal fattore di allora, un certo Viani. Una vita turbolenta, la sua. Dopo la morte della madre, vivrà qui in Mugello i pochi momenti felici dell’esistenza e l’amore esclusivo per la moglie Maria, coetanea sposata quando aveva appena diciotto anni. Giovanni non perse mai le giovanili cattive abitudini. Si racconta che fosse capace di stupide bravate, come quella di far gettare il figlio Cosimo dal terrazzo del castello e raccoglierlo al volo per aumentarne il coraggio. Forse sono leggende, però che fosse un condottiero fuori dalle righe è cosa arcinota. Ancor più integrato con la vita della corte medicea fu sicuramente il castello di Cafaggiolo, che nel 1349 il Vicario del Mugello Niccolò della Foresta in-
dicava tra i beni ancora in collo alla repubblica fiorentina. Dieci anni dopo la residenza era invece diventata medicea, secondo quanto indicato nel resoconto ispettivo dei commissari fiorentini (“Cafaggiuolo de’ Medici… hanno cominciato ad acconciarlo come è debbono”). La fattoria ben presto si trasformò in villa signorile a tutti gli effetti, e la conferma ci viene dalla descrizione dei beni di famiglia lasciata da Filigno de’ Medici che nel 1373 citava l’esistenza in loco di un vero e proprio “palagio” con tanto di corte e loggia. Negli anni successivi Cafaggiolo diventò un maniero sontuoso con ponte levatoio, fossati profondi e possenti muri di cinta. Sempre nella già citata denuncia al catasto, all’inizio del XV secolo era passata a Averardo di Francesco de’ Medici l’intera proprietà del “…luogo decto Chafaggiuolo con fossato intorno”. Come avvenne al Trebbio, con l’avvento di Cosimo il Vecchio ne fu ordinata a Michelozzo un’ulteriore risistemazione, in specie degli esterni. Secondo il Poliziano, Cosimo diceva sempre che in Mugello aveva
un panorama più bello di quello di Fiesole, perché almeno quello che vedeva qui intorno era tutto suo! Queste parole piene d’affetto e orgoglio, fanno intuire il motivo che spinse i Medici a trasformare questi luoghi in una corte principesca. In effetti, la seconda metà del XV secolo rappresentò il momento d’oro di Cafaggiolo. Il castello diventò il più importante luogo di svago dei Medici, degno di una dinastia ormai divenuta Signoria. Un secondo aspetto rivelatore dell’importanza di questa corte lo troviamo dall’analisi della corrispondenza riguardante la cura di mobili e arredi. Qui si viveva davvero nell’agio, proprio come nei palazzi fiorentini, e perfino le candele furono sottoposte a una diligente scelta. Dovevano essere pregiate, particolari, tanto che le normali “candele bianche veneziane” furono sostituite perché giudicate non all’altezza di un palazzo regale come Cafaggiolo. Un terzo elemento probante del Mugello “vera corte medicea” è rappresentato dal tipo di attività che si svolsero nei manie-
stelli di Cafaggiolo e Trebbio, residenze campestri pure loro protagoniste della saga medicea. Forse non tutti sanno che la valle non fu per i Medici solo un luogo di svago e riposo, un rifugio da beghe e congiure politiche o dalla devastazione della peste. I nostri castelli non furono solo basi operative per
battute di caccia e presidio all’economia di fattoria, per la lettura rilassante delle dame sotto i pergolati o per passeggiate in giardini e orti. Numerose sono, infatti, le vicende e i personaggi celebri legati proprio ai castelli mugellani, tanto da poter affermare tranquillamente che nel Mugello si sviluppò
Raffinata ceramica di Cafaggiolo- anno 1520 Lorenzo di Pierfrancesco, detto il Popolano, fu un personaggio importante per il Mugello, anche se in genere non troppo considerato dagli storici. Non avrà avuto gran tempra per il potere, però era un attivo mecenate e amante dell’arte. Esiliato nella valle, imparò subito ad amarla. Chiamò in Mugello vari artisti e i valenti ceramisti di Montelupo. Spostò proprio qui le fabbriche fiorentine, dando inizio dal 1494 all’incredibile avventura delle ceramiche di Cafaggiolo ri; riunioni di affari e incontri politici, feste, balli e ricevimenti che a volte coinvolgevano persino il popolo. Per fare un esempio, l’Ammirato racconta che nel 1488 furono invitati dagli Otto a venire nel castello Dionigi Pucci e il Bentivoglio, signore di Bologna (“.. a venire a Cafaggiolo in Mugello, ove avrebbe trovato Lorenzo de’ Medici, con cui avrebbe trattato di quello che occorreva..”). Il fascino dei due manieri si mantenne immutato nel tempo. Il Malaspina, in visita verso la metà del XVI secolo, così li descriveva ancora in maniera lusinghiera: “Io arrivai in Cafagiolo, luogo ameno e salutifero quanto alcuno altro che io habbia mai visto; gli è vero che il Poggio (Trebbio, ndr) ha più bella vista, ma questo ha un non so che anche lui di salvatico et di divino giuntato insieme…”. Proprio in Cafaggiolo prese
avvio, alla fine del XV secolo, un’importante attività ceramica per merito di Lorenzo di Pierfrancesco, detto il Popolano (box 2). Nei secoli seguenti il castello fu abitato a tratti da tutti i granduchi, ivi compreso Ferdinando I, grande amante della caccia che introdusse nelle riserve il fagiano, croce e delizia degli odierni cacciatori. Ferdinando amava anche la pesca a cui si dedicava nella generosa Sieve e le passeggiate con i familiari nei boschi di Panna. Nel 1605 organizzò sul prato della villa di Cafaggiolo una festa popolare denominata “ballo con i doni”, com’era in uso nelle famiglie nobili. E un’appassionata relazione fu quella che ebbe quel rubacuori di messer Mugello con molte dame medicee. Maria Salviati visse il suo amore al Trebbio, qui abitò Semiramide Appiani moglie di Lorenzo il Popolano,
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Sabato 6 Agosto 2016 Il Galletto nate Lorenzo il Popolano, a decorare la villa del Trebbio, come successe per il già affermato Botticelli e per Luca della Robbia. Altri, come Donatello, celebrarono con la loro magia il convento di Bosco ai Frati (box 5). E veniamo all’aspetto poetico e ludico della corte medicea. Nel castello si parlava molto di poesia e, manco a dirlo, di donne! Lorenzo componeva La Nencia, Luigi Pulci il suo Morgante e La Beca di Dicomano, Bernardo Pulci il Canzoniere, il Davanzati le sue poesie burlesche! Scriveva proprio il suddetto Luca Pulci da pochi giorni rientrato in Firenze: “… io scoppio, io non ci posso più stare (in Firenze), verrò domattina a rivedere la mia Cavallina, e credo, s’io annumero bene sia il mercato a Barberino. . io mi voglio intanare nel mio Mugello, e starvi tanto che voi non mi riconosciate in Firenze”. Insieme a Cafaggiolo c’era
pure Il Palagio alla Cavallina, altro esempio di corte artistica serena, gioviale e culturalmente elevata. Fu quello il clima del cosiddetto cenacolo mugellano, un ambiente dove nacque la simbiosi tra poesia dotta e burlesca e dove quella dialettale sposò il linguaggio volgare mugellano. Anche se dopo l’ascesa al potere i viaggi del Magnifico in Mugello si diradarono, lui e il fratello Giovanni amavano questo castello dall’atmosfera quieta e rilassante in cui avevano vissuto a lungo in gioventù. Lo raccontano le lettere del fattore e “controllore” Francesco Frousini. Rifugiati qui ancora ragazzini per sfuggire alla peste, i due vivaci pargoletti non erano contenti del forzato isolamento, tanto che il quindicenne Lorenzo scrisse al padre una lettera rispettosa ma ironica, dicendo che ormai lì rinchiusi erano quasi diventati anche loro come dei fratacchioni!
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Nelle lettere emerge la profonda conoscenza del Mugello da parte dei due giovani, terra dove vissero le prime avventure “galanti”. Lorenzo in particolare, insieme all’amico Luca Pulci, era sempre impegnato in feste e visite ai mercati popolari, dove corteggiava le dame e pure, democraticamente, anche le belle contadine locali. Voglio dar sfogo alla mia fantasia e immaginare allora che al mercato di Barberino Lorenzo “ci avesse provato” con una giovanissima ragazza mugellana, ma che questa fosse fuggita spaventata. “Quant’è bella giovinezza!” avrà sicuramente esclamato il futuro Magnifico. “Sì”, avrà replicato ridendo l’amico Pulci, “ma che si fugge tuttavia!”. “Chi vuol esser lieto sia, del doman non v’è certezza”. E’ proprio vero, a volte la poesia e l’ispirazione hanno origini strane e possono nascere anche per caso.
Tutta la stupefacente bellezza di Dianora Alvarez de Toledo in un dipinto da alcuni attribuito ad Alessandro Allori Leonora Álvarez de Toledo y Colonna detta anche Dianora, era una nobile spagnola così affascinante da far perdere la testa. Giovanissima, fu data in moglie al violento e volgare Pietro de’Medici, figlio di Cosimo I. Le malelingue dicevano che la ragazza era stata costretta a rapporti col Granduca stesso e che quello fosse un matrimonio di comodo. Fatto sta che il marito non se la filava anzi, alzava pure le mani. E Dianora si consolò, giustamente, con giovani amanti. Di uno di loro, Bernardo Antinori, s’innamorò. Traditi da alcune lettere, furono scoperti e fecero una brutta fine. Una sera d’estate buia e tempestosa (io almeno la immagino così) Pietro entrò nella stanza della moglie al secondo piano del castello di Cafaggiolo e, non per amore ma per spregio, uccise senza pietà la poveretta appena ventitreenne, soffocandola con un asciugatoio. Caterina de’ Medici, la bella veneziana Bianca Cappello, amante e poi seconda moglie di Francesco I de’ Medici, Caterina Sforza mamma di Giovanni dalle Bande nere, Maria Soderini moglie di Pierfrancesco e infine la sfortunata Dianora Alvarez di Toledo (box 3). Costante fu soprattutto la presenza delle donne legate a Lorenzo il Magnifico. A partire dalla nonna Contessina de’Bardi del ramo di Vernio, che era in Cafaggiolo nel 1433 quando il marito fu esiliato. In seguito, specie d’estate, il castello rimase un punto di riferimento costante per lei e i nipoti. Contessina, che visse ben 83 anni, era ancora nella villa con i ragazzi trent’anni dopo, e pienamente attiva, considerato quello che scriveva in una lettera il fattore: “Per mattina madonna Contessina, Lorenzo e Giuliano, colle brigate di casa andarono a cavallo al luogo de’frati del Bosco…”. Quella delle visite a frati e conventi del Mugello fu un’abitudine che si mantenne a lungo casa Medici. Anche la mamma e la moglie del Magnifico, Lucrezia Tornabuoni e Clarice Orsini, abitarono in Cafaggiolo, e Clarice nelle caldi estati frequentò pure la villa di Galliano per sfuggire alla terribile doppia P: Pazzi e pestilenze! Nel pieno rispetto della tradizione familiare, le due dame si recarono un giorno in visita alle monache di Luco. Accolte con grandi onori dalla badessa Ginevra, le Medici chiesero la produzione di “due cuffie, una federa e una camicia ricamata”, attività dove
le religiose avevano grande maestria. La badessa mostrò il rispetto dovuto verso le illustri e potenti ospiti, ma anche dignità e consapevolezza del suo ruolo. In una lettera alla Tornabuoni del 1476 scriveva così: “Honestissima et prudente donna.. (omissis)….. del pagamento vi priego per l’amore di Dio, non me ne ragionate, perché a me sarebbe un vilipendio grandissimo, vi prego invece sommamente che mi raccomandiate, insieme con Monna Clarice vostra, al Magnifico Lorenzo vostro…”. Pensate alla grandezza di Lorenzo; come possiamo notare da questa lettera, già in vita era chiamato Magnifico! Nella villa di Cafaggiolo fu a lungo Agnolo Ambrogini, il Poliziano, uomo non attraente ma colto, precettore dei piccoli Medici per molti anni. In ottimi rapporti con Lucrezia, si scontrò invece con la moglie del Magnifico. Clarice Orsini, donna introversa e senza fronzoli, non poteva sopportare quel presuntuoso precettore con un’ombra di omosessualità sulla testa. Del resto, alcuni atteggiamenti del maestro erano a dire il vero un tantino preoccupanti, se pensiamo che al piccolo Piero il Poliziano faceva scrivere sotto dettatura “Se mi obbedirai, che ti vuò bene, anzi, a dire meglio ti amo….”! Da Cafaggiolo il precettore spediva lunghe lettere al Magnifico, con cui aveva invece un ottimo rapporto. A dire la verità, Lorenzo pensava in cuor suo che il Poliziano fosse noioso e anche logorroico nei suoi scritti. Non aveva però dimenti-
cato che durante la congiura dei Pazzi fu proprio il buon Agnolo a salvarlo sbarrando la porta della sacrestia in cui, ferito, si era rifugiato. Le missive del Poliziano inizialmente descrivevano la quotidianità, però dal 1478 il tenore cambiò. Non poteva più vedere l’Orsini e cominciò a scrivere in latino, lingua che la donna non conosceva. Quando Clarice stava per partorire, il precettore scrisse a Lorenzo, ben dosando le parole, che “la trovava solo un po’ più inquieta e nevrotica del suo solito…”! Ormai chiaramente a disagio, il Poliziano manifestava noia e inquietudine nella villa mugellana “at fuoco in zoccoli et in palandrano” e la mancanza di una compagnia interessante come quella di “Madonna Lucrezia” senza la quale, diceva, “muoio di tedio”. Il castello, o per meglio dire a questo punto la corte di Cafaggiolo, ebbero anche l’onore di ospitare diversi papi e regnanti di passaggio: Eugenio IV, Pio II, Leone X, Margherita d’Austria, Giovanna e Maria Maddalena d’Austria. L’aspetto senz’altro più rilevante della corte medicea mugellana fu però a mio avviso la presenza di artisti e poeti di alto livello. Frequentarono le ville le più splendenti menti del tempo; oltre al predetto Poliziano, il poeta burlesco Matteo Franco, Pico della Mirandola e Marsilio Ficino che discutevano di filosofia e perfino Amerigo Vespucci (box 4). Artisti famosi furono chiamati qui dai Medici, in specie da Cosimo e dal mece-
Amerigo Vespucci- Statua conservata agli Uffizi Nel castello del Trebbio visse pure Amerigo Vespucci per sfuggire alla peste. Dieci anni dopo (1486), tornò in Mugello dove fu assunto come fattore di Cafaggiolo e controllore delle fornaci di laterizi, all’epoca ancora date in affitto. Sembra però che Amerigo fosse in realtà un agente segreto di Pierfrancesco de’ Medici, e che proprio in questo ruolo si sia trasferito in Spagna. Poi, invece dell’oscura carriera da spia, imboccò quella di navigatore dando inizio alla sua leggendaria avventura
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Capolavori mugellani
La Pietà di Luco di Andrea del Sarto Armando Caprilli La Pietà di Luco di Andrea del Sarto, un capolavoro destinato alla piccola chiesa di San Pietro a Luco del Mugello. Luco con la chiesa di San Pietro e l’ex ospedale che in origine era stato un convento di monache camaldolesi, rappresenta un insediamento storico religioso che rendono preziosa e sempre da scoprire la valle del Mugello. Riassumendo la storia della chiesa si dovrebbe risalire al 1006 quando la famiglia Ubaldini, donò alcune proprietà al beato priore Rodolfo Falcucci, il quale fondò l’ordine delle monache camaldolesi. Entrarono a farne parte le contesse della famiglia Ubaldini e dei conti Guidi portando le loro doti e il prestigio familiare come era d’uso a quei tempi. La vita nel convento non fu però ne serena ne pacifica. Gli storici del Mugello come Francesco Niccolai e Lino Chini raccontano che sarebbero avvenuti scontri interni fra i Rettori (i governanti) e le badesse , riguardo alla gestione delle risorse del convento che coinvolsero anche il pievano locale sulla pretesa del diritto di nomina dei rettori . Ci volle per- fino l’autorità di Matilde di Canossa per ristabilire un minimo di serenità e pace interna al convento. Tuttavia altri fatti cruenti si verificarono nel 1251 con l’assalto Ghibellino e con l’incendio del monastero. Nel 1357 dopo i danni causati dall’incendio, fu ricostruito il chiostro. La tormentata storia indicativa della vita di quei secoli, avrà un seguito nel 1489 con l’assalto dei parenti della badessa Sebastiana Fioravanti che era stata allontanata dal convento, dette inizio a nuovi scontri concludendosi con la respinta delle pretese dei Fioravanti. Molti secoli dopo, nel 1808, si arriverà agli editti napoleonici che fecero confiscare molti beni ecclesiastici, ma dopo la sconfitta napoleonica a Waterloo e la restaurazione dei vecchi poteri in Europa, le proprietà e i beni interni furono riconsegnati agli ordini religiosi compreso il convento di Luco. Ma nel 1865 con la creazione dello stato italiano si ebbero al- tre chiusure e restrizioni dei beni della chiesa, a causa dell’ostilità che essa aveva mostrato contro il nascente stato italiano. Nel 1871il convento fu definitivamente trasformato in ospedale civile e nosocomio e cosi rimase sino al 1999. Attualmente si è in attesa di nuovi progetti ancora da definire. Di tutte queste intricate vicende, gli storici Lino Chini e Francesco Niccolai, ci hanno lasciato un contributo eccellente per la conoscenza dei fatti che coinvolsero il territorio del Mugello. Lino Chini ad esempio fece la descrizione dove sorgeva il monastero “… era in mez-
zo ad una vallicella ricinta da foltissimi boschi di pini, abeti, querce e cerri. Era un fabbricato a forma di rettangolo con forti muraglie di difesa, che racchiudevano in mezzo una bella chiesetta dedicata all’Apostolo Pietro, con ampio giardino ricco di erbe e frutti di limpidissime acque e anche una vigna. Ma il complesso visto da lontano appariva una fortezza militare piuttosto che un monastero”. Nonostante le trasformazioni subiti nel corso di secoli, il luogo conserva integro il suo fascino. Sono ancora in vista la piazzetta medievale antistante alla chiesa, quindi un bel pozzo con tettoia e due loggiati di diverso stile. Intorno stanno le antiche abitazioni restaurate. con un piccolo portale in pietra datato 1560. La chiesa nel corso degli anni subì rifacimenti e modifiche. Il primitivo impianto romanico mostra un portale e due finestre laterali e un rosone di modello rinascimentale. Quindi nella lunetta in terracotta invetriata vediamo una Madonna col Bambino fra due angeli attribuita a Dino Chini del 1930. Sul retro sta la parte più antica della chiesa, caratterizzata dal robusto campanile e da una bella abside romanica. Nel lato destro, dove si trovava l’antico monastero venne aperto nel 1871 l’ingresso per il vecchio ospedale. Nonostante la chiusura totale, lo stato di’abbandono e le pessime condizioni in cui si oggi è ridotto, mostra ancora i suoi bei chiostri di stile rinascimentale. È molto probabile che i chiostri siano stati realizzati da Michelozzo dei Michelozzi attivissimo nel Mugello grazie in particolare alle commissioni di Cosimo il Vecchio che ne apprezzava moltissimo lo stile. Il lavoro di Michelozzo dovrebbe risalire alla metà del quattrocento, quando l’artista era impegnato anche nella chiesa del Bosco ai frati e successivamente nel rifacimento della bellissima villa di Cafaggiolo. Lo stile di Michelozzo univa l’eleganza e la leggerezza con la simmetria delle proporzioni sul modello brunelleschiano e nonostante il degrado non ha cancellato il fascino di questi chiostri. Rimangono comunque visibili il chiostro interno con il suo bel loggiato di base, retto da colonne ioniche che sorreggono archi a tutto sesto mentre quello superiore è costruito su colonne elegantissime e sottili. Si notano anche gli stemmi di pietra con un toro rampante con banda stellata e due uccelli che si abbeverano al calice della Eucarestia. Sullo sfondo del giardino esiste un piccolo edificio detto cappella dell’Orto, con un affresco; si tratta del Noli me tangere di Cristo e la Maddalena. In questa scena si rileva la zappa tenuta da Cristo alludente all’errore della Maddalena che lo aveva scambiato per
un giardiniere del cimitero. Nella lunetta superiore si nota lo scenario della piccola crocifissione inserita in una profonda spazialità del paesaggio che si scorge dietro la croce. L’opera dovrebbe essere di un anomino seguace di Andrea del Sarto. Per chi scrive é assai probabile che il pittore sia il Franciabigio. (Nel Museo di San salvi si trova un suo Noli me tangere, che ha dimensioni diverse ma con carat- teri stilistici del tutto simili). Interno della chiesa.
Madonna delle Arpie. Ma le traversie per queste opere del maestro non erano finite. Nel 1779 durante il dominio napoleonico, la Pietà fu trafugata e portata al museo del Louvre. Ma dopo Waterlo e gli editti che restituirono i beni ecclesiastici alla chiesa, la Pietà fu riportata a Firenze alla Galleria Palatina. Il Granduca per rimediare al vuoto che si era creato nella chiesa di Luco dovuto al trasferimento; nel 1783, incaricò il pittore Sante Pacini di farne una copia fe-
Noli Me Tangere (Cappella dell’Orto)
L’interno è a croce latina con soffitto in lacunari in legno, dove domina lo stemma dell’ordine dei vallombrosani. Si tratta di un ambiente semplice ma arricchito di opere d’arte e arredi sacri, come il prezioso ciborio di legno simile ad un cofanetto intagliato e miniato, oltre ad una croce del 400 in lana d’orata realizzata a cesello e niello. Quindi un ciborio anche questo del rinascimento, intagliato e miniato che viene espostdurante la settimana santa. Agli stessi anni appartiene un calice di rame dorato. Ma su tutto do- mina la tavola dipinta della Pietà posta dietro l’altar maggiore. La bella tavola dipinta fu chiamata la Pietà di luco. La pittura di Andrea del Sarto deve aver colpito l’attenzione del granduca Pietro Leopoldo di Lorena, il quale nel 1772 lo acquistò per 2.400 ducati, e la fece esporre agli uffizi. Ma nel 1795 la pietà fu trasferta alla galleria Palatina in Palazzo Pitti, dove tutt’oggi la si può ammirare. Agli Uffizi in sua sostituzione, fu esposta un’altra bella opera di Andrea: la cosiddetta
dele, quella tuttora visibile dietro l’altare maggiore della chiesa. Stando a quanto scrive il Vasari nelle Vite. Andrea del Sarto fu costretto a fuggire da Firenze dove imperversava la peste e rifugiarsi nel Mugello ben accolto nel convento delle monache camaldolesi di Luco. “…Venuto l’anno 1522 in Fiorenza, Andrea per fuggire la peste ed anco per lavorare qualcosa, andò in Mugello a fare per le monache di San Pietro a Luco una tavola. Fu accolto molto bene con la sua famiglia, la moglie Lucrezia, la figliastra e similmente la sorella di lei ed un garzone.” Di quella pittura (si tratta di una tavola in legno terminata nel 1524 a Luco nel convento suddetto), le monache. furono sicuramente contente. Si trattava di un’opera realizzata da un maestro come Andrea del Sarto che ormai godeva di una fama notevole. anche se la sua fortuna critica ne risentisse proprio del giudizio che ne dette il vasari “. ll pittore senza errori”. Definizione che separata dal conteso gli rimase ad-
dosso per secoli. Tuttavia correttezza vuole che il giudizio del Vasari fosse espresso entro un ragionamento ampio anche se contorto. “ Gli mancò quegli ornamenti di grandezza e copiosità di maniera, che in altri pittori si son vedute, sono non dimeno le sue figure semplici e pure, ben inteso senza errori e in tutti i conti di somma perfezione.” La definizione del Vasari è apparsa sinonimo di correttezza scolastica, ma anche di una certa freddezza inventiva. Ma aggiunse che la tavola di Luco“ ha dato più il nome al monastero che quante altre spese vi sono state fatte ancorchè magnifiche e straordinarie… cosicchè l’opera di Andrea ha dato più fama al monastero più di tutte le altre opere”. Il Vasari dunque riconosce le qualità del pittore, ma pare rimproverarlo per la troppa timidezza, per le modeste ambizioni e la mancanza di quel coraggio innovativo dei suoi discepoli come il Rosso e il Pontormo, mentre non poteva elevarsi al livello dei grandi Leonardo Michelangelo o di Raffaello, anche se ad essi spesso si ispirava. Agli inizi del 500 lo scenario artistico di Firenze era dominato come è risaputo da personalità altissime, cioè da Leonardo. Michelangelo e Raffaello quando lasciarono la città, si creò un vuoto per cui Firenze perse il primato sull’arte. Non tanto perché non vi fossero pittori di alto livello, ma i tre grandi che avevano lasciato la città non erano certo sostituibili. Di loro erano comunque rimasti alcuni capolavori di pittura, come il Tondo Doni di Michelangelo, l’annunciazione e l’Adorazione dei Magi di Leonardo e la Madonna del Cardellino di Raffaello, oltre ai precedenti già famosi. In particolare i cartoni di preparazione della battaglia di Anghiari di Leonardo che purtroppo si danneggiò irrimediabilmente e fu coperta dagli affreschi del Vasari nel Salone dei 500. Il cartone della battaglia di Cascina di Michelangelo, di cui è rimasta una copia di Aristide da Sangallo. Benvenuto Cellini consapevole del valore eccezionale che quelle due opere esprimevano le chiamò “la scuola del mondo”, dalle quali tutti avevano da imparare e cosi fu. Tra i pittori che studiarono i cartoni ci furono fra Bartolomeo e Andrea del sarto e altri compresi i primi manieristi Rosso fiorentino e il Pontormo. Tuttavia la formazione di Andrea del Sarto non dipese esclusivamente allo studio di quei capolavori. Per Andrea vi era stata già l’esperienza giovanile di orafo con evidenti riferimenti ad Albrect Dùrer e l’esperienza nella bottega di Piero di Cosimo, stravagante e originale pittore che meriterebbe una fama maggiore di quella ricevuta. Eccen-
trico e personalissimo Piero di Cosimo pareva anticipare i vicini tempi del manierismo. Nelle sue pitture compaiono con evidenza le figure michelangiolesche, l’ispirazione forza plastica, le cromie del Tondo Doni, lo sfumato di Leonardo i suoi studi sulla natura e poi gli esempi del classicismo di Raffaello. Ma i rapporti fra il maestro con suoi discepoli il Rosso e il Pontormo come andavano? Con il Pontormo, sappiamo che non erano proprio pacifici. Si narra che Michelangelo quando vide alcune pitture, del Pontormo avrebbe detto: “costui sarà pur giovane, ma se continua cosi dipingerà come in cielo”.Andrea del Sarto non aveva mai ricevuto un simile elogio da Michelangelo (i giudizi di Michelangelo pesavano) come l’aveva ricevuto un suo allievo. Pertanto colpito da invidia avrebbe licenziato il Pontormo dalla sua bottega. A proposito del Pontormo e del Rosso fiorentino Roberto Longhi scrisse di loro: “…erano spiriti vitali che si prendevano delle licenze e delle libertà ,dalle regole, stanchi di rimanere attaccati alle tradizioni” E sarebbero diventati al più presto i primi pittori più audaci e strani del manierismo che pose in crisi Rinascimento. Andrea del Sarto è coinvolto in quella trasformazione e ne è anche condizionato, ma pare difficile comprendere quanto Andrea come maestro abbia influito sui discepoli, oppure quanto loro abbiano influito sul maestro, spingendolo a misurarsi con le novità del- le loro cosiddette stravaganze e stranezze manieristiche. Sicuramente da essi ebbe delle collaborazioni, in particolare con il Pontormo, e il Rosso chiamati a completare il suo lavoro, ad esempio nel chiostro della Santissima Annunziata , dove le influenze fra discepoli e maestro appaiono reciproche. Le problematiche di questo rapporto e il dibattito che esiste da molto tempo, porta ad affermare che Andrea del Sarto, non si decise a portare fino in fondo ad essere o divenire del tutto un manierista Alcuni studiosi ritengono che il Del Sarto non sarebbe stato in grado di seguire o misurarsi con i suoi discepoli un po’ invidioso dei suoi eccentrici ma anche geniali discepoli. In ogni caso Andrea si conquistò un prestigio notevole se consideriamo che fu invitato in Francia dal re Francesco I alla scuola di Fontainebleu nel 1518, quando Leonardo ancora viveva presso la corte del re francese. La pittura di Andrea che con- serva un tono di classicità è più complessa di quanto si colga a prima vista. Nelle sue opere si manifestano elementi formali che possono richiamarsi al pri mo manierismo degli allievi, ma senza uscire mai dalle regole classiche. e credo pertanto che proprio
Magazine
Sabato 6 Agosto 2016 Il Galletto nella pietà di luco i caratteri classici siano predominanti e ben visibili. La tavola originale fu pagata dalle monache 80 fiorini d’oro terminata nel 1525 . Si racconta che furono fatti dei solenni festeggiamenti tanto erano contente le monache di quel lavoro. Giustamente elogiato: dal Vasari, e secoli dopo dal Chini da lui definito: meraviglioso inarrivabile quadro, per cui si conosce quanto Andrea fosse esperto nei segreti e nella perfezione dell’arte. Ricevuto il pagamento del suo lavoro fatto a Luco nell’ottobre 1524-1525, tornò con la moglie e famiglia a Firenze dove mori nel 1530 e fu sepolto nella chiesa dei servi di Maria. Il suo destino fu veramente strano: era fuggito nel Mugello per scampare alla peste, ritorna Firenze pochi anni dopo e la peste lo colpisce come se l’avesse inseguito. Descrizione della copia di Santi Pacini che sostituì l’originale La tavola dipinta ad olio conserva la predella originale che dovrebbe essere di scolari di Andrea Essa è
ne direbbe Vasari. Fuor di dubbio l’impronta classica delle forme insieme ai colori che si richiamano a quelli di Michelangelo e all’insorgente manierismo verso il quale il nostro era interessato ma non totalmente, coinvolto. Si noti infatti le belle varietà cromatiche che virano secondo la luce che ricevono dalla sinistra del quadro. Una luce che pone in risalto passaggi dai colori forti a quelli tenui e delicati, in particolare il rosa della Maddalena. Quasi tutte le figure sono ritratti delle persone che vivevano con il pittore nel convento delle camaldolesi. La figura della Madonna si detto che si tratta di Caterina del- la casa. Cioè la badessa che aveva commissionato l’opera. Mentre la Santa Caterina con la ruota, sarebbe da identificarsi con Lucrezia del Fede, rimasta vedova e sposata con Andrea e che spesso appare nelle sue pitture. Quindi la Maddalena la più bella figura della tavola, da riconoscere nella Maria del Berrettaio figlia di Lucrezia. Le figure di uomini dovrebbero essere il giova-
La Pietà di Luco di Andrea del Sarto - 1523 (Galleria Palatina, Firenze) composta di due piani e di sei riquadri : in alto San Gregorio magno a sinistra, l’ultima cena e un angelo. Nel registro inferiore: un altro angelo, quindi Gesù orante nell’orto e san Nicola di Bari. I personaggi della tragedia cristiana si riconoscono nella figura di sinistra il San Pietro avvolto in un grande mantello giallo dagli ampi panneggi: Dall’altro lato il San Paolo, imponente figura che più di tutte richiama a quelle di Michelangelo della volta della Sistina. Quindi il San Matteo che sostiene il corpo ormai inerme del cristo mentre la ma- donna pare inutilmente sollevare il braccio cadente del figlio. Le altre donne sono la santa Caterina con il suo attributo: la ruota della tortura e l’altra in primo piano, inginocchiata e piangente, la Maddalena con il suo vasetto dell’unguento. Vicino a questo si riconosce la firma del Pittore. In realtà si tratta di ritratti fatti con somma perfezio-
ne garzone nell’evangelista che sostiene la schiena del Cristo dal pallore mortale, probabilmente ispirato alla Pietà del Perugino esposta nella Palatina, ma anche a quella di fra’ Bartolomeo della Porta. Più incerte le sembianze ritrattistiche di San Pietro e di san Paolo. Secondo Vasari San Pietro sarebbe l’autoritratto del pittore, mentre non sappiamo chi possa essere la figura di San Paolo. Re- sta il fatto che si tratta della figura più possente e michelangiolesca del dipinto. Si è detto di un certo accademismo presente nella pittura di Andrea. Valutazione opinabile. Prima di tutto era un ottimo di- segnatore diretto discendente a quel che si vede da ispirazioni di Leonardo e dalle possenti figure di Michelangelo Ma oltre a tali figure che possono apparire stu- diate e ancora legate agli ideali rinascimentali, si osservi lo scenario della natura del Mugello. L’insieme figure- ambien-
te- paesaggio, è un’armonia che addolcisce attenua il senso tragico delle scena, poiché la natura, non può non essere lo sfondo ideale della morte del cristo. A sinistra la roccia incombente della grotta destinata a Cristo e su questo brano di natura, l’occhio del pittore riprende esempi di Filippino Lippi ( apparizione della Vergine a San Bernardo), ma con un naturalismo analitico che emerge dalle stratificazioni di rocce arenarie dell’Appennino, corrispondente agli studi sulla natura che avevano appassionato Leonardo. Non si tratta in ogni caso di un paesaggio indeterminato, ma reale e riconoscibile, dalla morfologia della dorsale appenninica che fa da sfondo e separa il Mugello dalla Romagna. Addossato alle montagne la visione offre la vista di una cittadella fortificata. Tutto lascia credere che possa essere il monastero turrito delle monache camaldolesi dove fu accolto il pittore. Francesco Niccolai scrisse che dal quadro si vede ...”lo sfondo di paesaggio in cui il sole rischiara- va le case di un lontano villaggio era stato ritratto dal vero dalla pittoresca valle del torrente Cale, poco sopra ad oriente di Luco”. Ma è da sottolineare che in un’altra tavola dipinta ad olio da Andrea detta: Madonna della Scala collocata al museo del Prado di Madrid, non sia stato finora notato lo sfondo con monastero fortificato, o cittadella , addossata all’Appennino, del tutto simile alla pietà di Luco. La Madonna della Scala fu richiesta dal banchiere fiorentino Lorenzo di Bernardo Jacopo nel 1523. La tavola mostra una composizione piramidale, ricorrente più volte nelle pitture di Andrea. Formata dalla Madonna inginocchiata sulla scala (da qui il nome) con il bambino e l’angelo e san Matteo a sinistra. L’immagine di Gesù che si slancia verso l’angelo è la figura più riuscita per immediatezza e la spontaneità del gesto, Altrettanto riusciti certi cromatismi cangianti. come il delicato viola del mantello di san Matteo. Non è chiarito chi siano la donna e il ragazzo che si incamminano verso le montagne. Probabilmente dovrebbero essere Santa Elisabetta e il figlio Giovannino in fuga dalle persecuzioni romane. La pittura ha una data incerta Alcuni la ritengono del 1522 oppure del 1523. Ma a parte le diversità delle date comunque continuative, resta da considera- re la strettissima somiglianza del paesaggio appenninico e della cittadella turrita, che compaiono sia nell’una, che nell’altra tavola. Pertanto appare credibile l’ipotesi che il pittore in quei tre anni di vita nel Mugello, abbia dipinto non solo la Pietà, ma anche la Madonna della Scala. L’interno della chiesa mostra un rifacimento ad imitazione dell’architettura rinascimentale. In particolare nel presbiterio rialzato con grande arco soprastante, contrassegnato da cornici di colore grigio su pareti bianche. Il soffitto in legno con lacunari e decorazioni. La chiesa conserva altre
Madonna della Scala - 1522/1523 (Museo del Prado, Madrid)
opere e pitture interessanti, come la Crocifissione che presenta ai lati i santi Ansano e san Sebastiano del 1570 di Donato Mascagni. Il suo stile ricorda tendenze manieriste particolarmente quel- le dell’eccellente compositore di pietre dure e pittore Jacopo Li gozzi. Nella ricca cornice della con trofacciata vi è l’immagine del redentore di Lorenzo Lippi, pittore, poeta e scrittore burlesco. Notevoli le sue pitture che rispecchiano insegnamenti di Matteo Rosselli. In alcune opere il Lippi appare come artista puro e devozionale. forse anche per influenze di Santi di Tito con il quale aveva collaborato. Nel 1630 fu ricostruito in pietra l’altare maggiore e nel 1661 dentro questo vi furono portate dalle catacombe di Priscilla da Roma le reliquie di Santa Caterina vergine e madre. Altra opera importante locale è la divina Pastora a cui fu dedicato un culto di origine spagnola, quando un certo Frate Isidoro ebbe la magica visione della madonna seduta sotto un albero che accarezzava una pecora e al comparire di un lupo fu sufficiente recitare l’Avè Maria e far apparire l’Arcangelo Michele che lo uccise. La leggenda divenne un culto importato dalla Romagna nel Mugello e per ex voto fu creata una terracotta policroma dei della Robbia della Vergine col Bambino che ebbe il nome: la Divina Pastora. Un’altra opera del Mugello interessante anche se meno conosciuta, è l’Annunciazione di San Godenzo che si trova a Firenze nella galleria Palatina. attribuita ad Andrea del Sarto e i suoi discepoli. A causa del mal ridotto stato di conservazione si è resa problematica l’attribuzione e il dipinto fu tolto dalla sua tavola di legno su cui era stato e posto una tela antica. Comunque il Vasari lo ritenne lavoro di Andrea e a suo giudizio fu un’opera realizzata dopo che il maestro aveva lavorato agli af-
fre- schi della Natività della Vergine e il viaggio dei magi nel chiostrino dei voti della Santissima Annunziata nel 1511 e 1514. “In quel medesimo tempo fece una tavola ad olio per la badia di San Godenzo a beneficio dei medesimi frati, che fu tenuta molto ben fatta”. Cosi commentava il Vasari. Poi gli stessi frati, ovvero i servi di Maria che avevano fondato il convento di Montesenario ven-
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pinse per l’Abbazia la bella Annunciazione richiesta dai serviti, che fu poi trasportata alla galleria degli Uffizi e sostituita con una copia realizzata da Jacopo da Empoli. La qualità resta alta e lo si comprende nonostante i danni subiti nel tempo. Sempre in base a quanto scritto dal Vasari nelle Vite, esistono differenti opinioni sull’autore o sugli autori. Si tratta di valutazioni di storici dell’arte assai noti, che si sono impegnati oltre che nel giudizio e valutazione critica, anche sulle possibili datazioni. (Cavalcaselle, Berenson, Venturi, Padovani per citarne alcuni). Di recente la critica propende a collocare il dipinto negli ultimi anni dell’attività di Andrea del Sarto. Ma riguardo all’autore è probabile che si tratti di opera di bottega, di un discepolo di Andrea il qua- le avrebbe eseguito la pittura sulla base dei disegni del maestro. La scena rappresenta la Madonna mentre interrompe la sua lettura sorpresa dall’apparizione dell’angelo. Oltre all’angelo annunziante compare San Michele arcangelo e in particolare San Godenzo a cui è intitolata la Badia. Si tratta di figure con alcune caratterizzazioni della scuola di Andrea del Sarto. Si osservi i bei ampi panneggi della veste della madonna vicino ai modi manieristi. Ultimamente però ha preso corpo l’attribuzione che assegna il dipinto a Francesco de Cristofano, detto il Franciabigio. Pittore limpido e attento anche agli esempi del Dürer. e soprattutto un forte ritrattista. Il Franciabigio
Annunciazione di San Godenzo - 1514 (Galleria Palatina, Firenze) dettero nel 1627 il dipinto al cardinale Carlo dei Medici. Per 25 scudi. Il fatto che la pittura fosse passata ai Medici facilitò la ricerca per’attribuzione e per la data dell’opera. Gli storici del Mugello, Lino Chini e Francesco Niccolai citano Andrea del Sarto e le sue opere in rapporto a quanto aveva scritto il Vasari”… molto ben fatta allegatogli dai padri Serviti di Firenze… ma assai più bella assai più celebre riuscì la tavola che Andrea fece per le monache camaldolesi di San Pietro in Luco”. Il Niccolai indica che fra il 1509 e il 1515 Andrea di-
inseribile nell’area di Mariotto Albertinelli, di Ridolfo del Ghirlandaio, ma soprattutto vicino ai modi di Andrea del Sarto con il quale collaborò in diverse opere, vedi ad esempio il Chiostrino dei voti e il chiostro dello Scalzo, e alla villa medicea del Poggio. L’opera più famosa del Franciabigio rimane comunque il cenacolo nel convento della Calza, dove però si fanno sentire soprattutto influenze leonardesche. Bibliografia di riferimento: Giorgio Vasari Lino Chini Francesco Niccolai Roberto Longhi Massimo Certini Piero Salvadori
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Settegiorni
Sabato 6 Agosto 2016 Il Galletto
magazine
Settegiorni
Eventi C inema Sotto
le
Stelle
Arena Don Bosco, la Pro Loco di Ronta, il Circolo La Terrazza di Ronta e il Villaggio La Brocchi. Per il programma completo rivolgersi in biblioteca.
le
Stelle
Venerdì 5 Agosto, gruppo teatrale “La Caldana”, Hotel del libero scambio Venerdì 12 Agosto, “Storie”, serata di danza organizzata da Ughetta Pratesi
degli scavi etruschi di Frascole. Ha preso il via sabato 25 giugno l’Estate Frascolana, un’occasione per passare piacevoli serate e conoscere il bellissimo sito archeologico dicomanesi.
La
rassegna è organizzata dal Comune di Dicomano in collaborazione con il Gruppo Archeologico Dicomanese e l’Associazione Teatro del Macello e il supporto di Toscana Energia e Poggiolini srl.
Santa
maria a
5-15 Agosto Venerdi 5 agosto 19,00: “Aperifagna” con musica
Ore 21,30: conferenza di presentazione
pubbliche e/o private in ambulanza
• Gruppo Protezione Civile (PC) • Gruppo Anti Incendio Boschivo (AIB) • Gruppo Donatori sangue • • •
“Donare con ANPAS” Onoranze funebri con riti religiosi o laici, recupero salme e cremazioni Trasferimenti in ambulanza per visite ambulatoriali Accompagnamento e trasporti con autovettura o mezzo attrezzato
• Corsi formazione (1° e 2° Livello per
Torna anche quest’anno a Palazzuolo sul Senio “Hobby Senio”, il mercatino
Ore 21,30: musica dal vivo
diventato
Domenica 14 agosto Ore 21,15: S.Messa presso la croce dei crocioni in memoria dei caduti di tutte le guerre in collaborazione con gli Alpini di Scarperia
Ore
09,30:
ormai
appuntamento
immancabile di ogni estate palazzuolese. Ogni seconda domenica del mese, da Giugno fino a Settembre, Palazzuolo tornerà così ad ospitare uno dei principali eventi per chi ama ricercare oggetti unici delle tradizioni passate, per chi ama le graziose opere artigiane o colleziona pezzi unici di storia. Gli espositori apriranno le proprie bancherelle dalle 10.00 del
s.
Messa
solenne
e
mattino e rimarranno aperte fino alle 20.
Ore 17,30: vespro solenne
A ssaggia il M ugello … ”con la tua bici!”
Ore 19,00: cena all’aperto
Sabato
Ore 21,30: rosario di ringraziamento
mugello)
processione
6
Agosto
(partenza
dall’alto
Sabato 10 Settembre (in occasione di Le
C orsa N otturna
non
vie del gusto)
competitiva
Vieni a scoprire le strade del famoso
Borgo San lorenzo
distretto cicloturistico Mugello in Bike e i
Sabato 6 Agosto
percorsi in mountain bike del Mugello!
F esta del Patrono San Lorenzo
Ogni raduno è legato a una manifestazione
Borgo San Lorenzo
locale: il 6 Agosto in Mountain Bike al Rifugio dei Diacci e il 10 settembre in occasione di Le Vie del Gusto.
Giochi a Squadre per festeggiare il
M olino F aini
Patrono
Grezzano, Borgo S. Lorenzo
Info: 055 849661 www.comune.borgo-
Le domeniche e festivi 14,30 visita guidata
san-lorenzo.fi.it
al mulino risalente al 1400 con la macina in funzione e modelli interattivi. Per i
M ercanzie
di sara piccolo paci
San Piero a Sieve
Sabato 6 agosto
Ogni seconda Domenica del mese
Ore 19,00: cena all’aperto
Ogni seconda domenica del mese dalle
V isitando
Ore 21,30: briscolata con ricchi premi e
ore 9:00 e per l’intera giornata per
Palazzo dei Vicari di Scarperia
Gioco degli scacchi aperto a tutti
le vie centrali di San Piero a Sieve si
Tutte le domeniche e i festivi
Domenica 7 agosto
tiene “Mercanzie in Piazza” mercato
Tutte le domeniche e i festivi dalle ore
Ore 09,30: s. Messa festiva
dell’artigianato, antiquariato e svuota
10 è possibile intraprendere un viaggio
Ore 16,00: trebbiatura del grano sull’aia e
cantine,
patrocinio
attraverso il Palazzo dei Vicari fra i
Battitura con il correggiato
del Comune di Scarperia e San Piero e
suoi merli, l’archivio storico e le sale
Ore 19,00: cena all’aperto
dell’Unione Montana dei Comuni del
nobili. Percorso guidato per gruppi di un
Ore 21,30: concerto del “Coro alpino del
Mugello e grazie all’impegno dei volontari
minimo di 4 ad un max di 12 persone, con
Mugello”
della Proloco di San Piero a Sieve.
prenotazione obbligatoria. Info: tel. 055
in
realizzato
P iazza
con
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gruppi consigliata prenotazione. Info: tel.
A TUTTO PELO TOILETTE PER CANI E GATTI ATTENZIONE: Pelosi in Viaggio!
P.A. CRS Utilità Pubblica Mugello Onlus
Eventi e manifestazioni di queste pagine sono curate e selezionate da Serena Pinzani. La redazione non risponde di eventuali modifiche ai programmi pubblicati.
Giugno a Settembre
“Il millennio di Fagna 1018-2018” a cura
ambulanza, defibrillatore, brevetti AIB/PC)
Borgo San Lorenzo Via Don L. Sturzo, 57 - Tel.055.8458585 Sezione Polcanto - Tel. 055.8409612 crs.amministrazione@gmail.com
Ogni seconda Domenica del mese da
Sabato 13 agosto
Dal 6 al 10 Agosto
Scarperia
• Ambulanza 118 (24 su 24 h) • Dimissioni ospedaliere e da strutture
Palazzuolo sul Senio
Ore 19,00: “Aperifagna” con musica
Lunedì 15 Agosto
Appuntamenti nella suggestiva cornice
SERVIZI SVOLTI DALL’ASSOCIAZIONE
H obby Senio
Venerdì 12 Agosto
beneficenza
Fino a Domenica 7 Agosto.
Ore
arrivo a Fagna
degli alpini: il ricavato sarà devoluto in
Dicomano
di
13 Novembre, Domenica 11 Dicembre.
mtb”,
Ore 22,30: incontro conviviale con canti
E state F rascolana
32° festa F agna
taglienti” di Scarperia con partenza e
in
Ore 09,30: S.Messa festiva
Ore 21.30, prezzo 10 euro.
colline
Settembre, Domenica 9 Ottobre, Domenica
“Lucciolata
Ore 19,00: cena all’aperto
Corso Matteotti, 184
sulle
nel 2016 sono le seguenti: Domenica 11
20,00:
Ore 15,30: raduno auto e moto d’epoca
Borgo San Lorenzo, Arena Don Bosco
situato
in
collaborazione Con l’associazione “ferri
Ore
Borgo San Lorenzo
A rtisti Sotto
Le date di svolgimento della manifestazione
Mercoledì 10 Agosto
NON ABBANDONARCI!
1. Cinture allacciate e testa all’interno dell’abitacolo. Acqua fresca e soste ogni due ore per fare esercizio e pipì; 2. Non lasciarlo mai solo e se il cane si agita a stare in auto, usa qualche goccia di olio essenziale di lavanda per aiutare a stimolare la calma e il relax; 3. Metti una medaglietta al collare con l’indirizzo e telefono e porta con te le cartelle cliniche utili in caso di emergenza.
Tel. 0558402844 – 338.1044495
Per info o preventivi: info@atuttopelo.com - P.le Curtatone e Montanara 78 - Borgo San Lorenzo
055 8492580-331 2111598
la
Torre
Settegiorni
Sabato 6 Agosto 2016 Il Galletto 8468165
occhio di riguardo per l’artigianato
Dialogo V isibile
locale.
Vicchio Casa di Giotto
M ercantico
Fino 7 Agosto
Palazzuolo sul Senio
Mostra di Mauro Baroncini aperta sabato
Martedì, fino al 23 Agosto
e la domenica ore 10/13 e 15/19
Dalle ore 18.00 care vecchie cose per risvegliare dolci ricordi.
Sagra
del
C inghiale
Marradi
A ll ’O pera
Crespino
Scarperia
Dal 12 al 15 Agosto
Palazzo Vicari Venerdì 5 Agosto e Sabato 6 Agosto “La
Svuotacantine
favola più bella” Musical, Compagnia
Firenzuola
delle Formiche, ore 21.00, Piazza dei
Piancaldoli
Vicari, ingresso € 8,00-13,00.
21 Agosto Mercatino
dell’usato,
artigianato,
oggettistica e prodotti locali a cura della Pro Loco Piancaldoli e Pro Loco Firenzuola
Un musical che cuce insieme i classici Disney più belli di tutti i tempi.
L une
M usica
di
Palazzuolo sul Senio
M ostra-mercato dell ’ artigianato ,
Quattro aperitivo
usato e
serate e
Musica,
concerto
in
Piazza
e
agosto:
antiquariato Dicomano
Lunedì 08/08 - Guitar&FluteD – Donato
3° domenica del mese per tutto l’anno
D’Antonio chitarra e Vanni Montanaro
e
vendita
artiginato,
usato,
di
oggetti
antiquariato
di e
collezionismo.
Sapori e colori M ugello
tra
luglio
con
del
Esposizione
Grano,
di
flauto.
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del
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della Vittoria tutte le prelibatezze e le
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Borgo San Lorenzo
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è abbinata a una gustosa Sagra del
musical e moderno. Novità tip tap. Zumba
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Sono aperte le iscrizioni ai corsi delle scuole
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asana, approcci alla meditazione e al
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DIRETTORE RESPONSABILE Carlo Fusaro REGISTRAZIONE Trib.FI del 11.4.88 N. 3694 galletto@newnet.it STAMPA su carta riciclata Litosud - Pessano con Bornago (MI) DISTRIBUZIONE Ag. Mugello Mattioli REDAZIONE Serena Pinzani (Caporedattore) pinzani.galletto@timenet.it IMPAGINAZIONE E GRAFICA Martina Tonini (Coordinamento) tonini.galletto@timenet.it
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