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STRAPPARE LUNGO I BORDI

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Last night in Soho

Last night in Soho

di Francesca Oriti

Strappare lungo i bordi è una serie Netflix scritta dal fumettista romano Michele Rech, altrimenti noto come Zerocalcare. La serie è ambientata a Roma e si svolge su tre piani temporali: il primo è un flashback che ripercorre l’infanzia e la gioventù del protagonista accanto agli amici Sara e Secco; il secondo, quello che rende i vari episodi unitari, prende il via da quando Sara presenta a Zero una sua amica, Alice, una studentessa biellese fuori sede; l’ultimo è costituito da un viaggio che Zero intraprende con gli amici di una vita. Il flashback ci permette di vedere Zero che, appena diplomato, fa ripetizioni, un debole tentativo di trovare la propria strada imitando le decisioni dei suoi coetanei, per poi capire che senza entusiasmo potrà solo acuire il fallimento della pedagogia odierna, che nel migliore dei casi risulta nell’insegnamento asettico di nozioni e nel peggiore non è in grado di invertire pericolose derive ideologiche. A questo punto il primo piano temporale si congiunge al secondo, diventa dominante la narrazione della storia di Zero e Alice che sta sempre al limite tra l’amicizia e qualcosa di più che non si raggiunge mai, perché, talvolta per inerzia, talvolta per paura di essere ferito, lui non trova mai il coraggio di impegnarsi. Dopo vicissitudini varie la storia di Zero arriva al giorno in cui si reca con Sara e Secco a Biella per assistere ad un funerale.

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La serie è incentrata su due concetti chiave: l’illusione che la vita sia come una linea tratteggiata, lungo la quale basta strappare con attenzione, e il sollievo che si può trovare nel sentirsi “fili d’erba”. Quest’ultimo concetto rientra in una sfera più comportamentale che esistenziale ed indica da una parte la necessità di non farsi mai schiacciare dai sensi di colpa e dall’altra il dovere di non porre sempre noi stessi o il nostro punto di vista al centro del mondo. Se invece vogliamo soffermarci sul titolo stesso della serie, possiamo definire i bordi come i sogni che gli adulti ci consigliano di costruirci quando ci chiedono che cosa vogliamo fare da grandi. È una domanda che abbiamo tutti sentito mille volte nelle nostre vite, che prima ci divertiva e poi ha gradualmente iniziato a metterci un po’ d’ansia, ma qualcuno a questa domanda ha risposto con entusiasmo autentico, coltivando per anni e anni progetti nell’attesa impaziente di realizzarli. A un certo punto del percorso tuttavia ha scoperto che in realtà la domanda è inutile, non conta quello che vogliamo fare da grandi, ma quello che ci sarà concesso fare in base alle nostre condizioni socioeconomiche, in base alla latitudine e all’epoca storica in cui siamo nati. Questa realtà è perfettamente rappresentata da Alice, che non è qualificata solo dall’essersi tolta la vita, perché lei la vita la ama, amerebbe lavorare, realizzarsi come insegnante e mettere in pratica ciò che ha studiato. Invece non può, è costretta a lasciare Roma perché non riesce a sostenere le spese e torna a vivere con i suoi genitori. Trova l’unica consolazione nello sport perché, come spiega suo padre ripetendo le sue parole, “nella vita i cazzotti però si prendono comunque e lei voleva imparare ad incassarli e a darli indietro” . Anche l’altro personaggio femminile, Sara, vive lo stesso dramma, ma tra le due sussiste un’importante differenza: Sara riesce a temperare i suoi sogni con la dose di cinismo che permette di non sentirsi crollare il mondo addosso quando i sogni si scontrano con la realtà, invece Alice non accetta di accontentarsi, “vorrebbe credere nel mondo che ci viene promesso quando rispondiamo alla domanda su cosa vorremmo fare da grandi, e questa certo non è una colpa.” (Citazione dall’episodio n.6 ) Sara e Alice rappresentano più la generazione dei Millennials, cioè i nati tra gli anni Ottanta e Novanta che hanno subito maggiormente l’impatto sul mondo del lavoro della crisi finanziaria del 2008, fonte di impedimenti e di incertezza esteriori. Zero e Secco invece, nonostante l’età anagrafica, sono forse più vicini alla Generazione Z, infatti non hanno tratteggiato un sogno che poi vedono sfumare e sono la perfetta rappresentazione di un’incertezza prettamente interiore. Tuttavia questo permette loro di soffrire meno nel momento della vita in cui loro e tutti i loro coetanei acquistano la consapevolezza che il mondo non si plasma sui nostri sogni, ma che noi dobbiamo adattare i nostri sogni al mondo. Tuttavia i due personaggi sono allo stesso tempo molto diversi: Zero rappresenta il polo opposto a Secco, tanto uno ha una sensibilità eccessiva al confine tra il senso di colpa esagerato e il narcisismo quanto l’altro si bea nella totale indifferenza e nel rifiuto di qualsiasi responsabilità. La via di mezzo è rappresentata da Sara, la voce del pragmatismo e il ponte d’unione tra l’animo tormentato del protagonista e la realtà, che osserva che noi tutti siamo “fili d’erba”. Ho apprezzato questa serie perché tratta un tema certamente molto impegnativo e inquietantemente attuale, la privazione della possibilità di ottenere quella dignità che solo il lavoro può dare, ma allo stesso tempo riesce ad affiancare a questo anche tante altre tematiche accennate quanto basta per sconfiggere i pregiudizi su tutti i fronti, come il sessismo e il razzismo. Nonostante il peso intellettuale ed emotivo di tutto ciò, non mi sono mai sentita schiacciata o indotta a perdere la speranza, sia perché la tragedia è abilmente stemperata dagli interventi del comico armadillo, che rappresenta la coscienza del protagonista, sia perché il messaggio di fondo è tutt’altro che pessimista. Strappare lungo i bordi, seguire una strada ordinata e già percorsa, è ciò che i genitori consigliano spesso e ciò che molti giovani possono desiderare per paura dell’ignoto, per paura di dover tornare indietro, ma in realtà i bordi sono solo l’idea di partenza, sono lo schizzo intorno al quale possiamo creare mille arabeschi diversi perché caduta dopo caduta potremo imparare a non perdere l’essenza dei nostri sogni anche se dovremo ridefinirne i dettagli. Oggi noi giovani siamo in una situazione diversa da quella dei Millennials dato che forse noi non abbiamo il coraggio in primo luogo di costruirceli questi sogni, siamo troppo di fretta, siamo troppo sotto pressione, abbiamo troppi modelli a cui conformarci e non riusciamo a scegliere, un po’ come Zero. Ma in questo ambiente sociale e in quest’epoca storica l’importante è tenere presente che tutto può esserci tolto, ma non la bellezza di trovare nella compagnia degli altri e nell’aiuto che dobbiamo chiedere nel momento del bisogno quella dose di entusiasmo necessario a ripartire dopo tutti i pugni che inevitabilmente riceveremo.

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