...Editoriale del
Il consesso degli Angeli Matti. Tutti a Fermo, per due domeniche Cinque dicembre, dodici dicembre. Torna Golosari a Piazzetta. Il più antico quartiere di Fermo sarà in festa e ospiterà gli Angeli Matti. Leggo nella bellissima locandina rosso cupo: Il Territorio nel Centro storico, i Grandi Artigiani del Gusto, Cultura Mercato Spettacolo per grandi e piccini. è la seconda edizione che il Club di Papillon Marche Sud, guidato da Pio Mattioli, propone alle Marche e non solo alla nostra Regione. Nel complesso medievale di san Zenone di Fermo e nelle poco distanti cantine dello stupendo Palazzo seicentesco Romani Adami una cinquantina di produttori di cose buone esporrà il loro ben di Dio. Sono loro gli Angeli Matti, come li ha ribattezzati un tempo il presidente nazionale del Club di Papillon Paolo Massobrio. Sono Angeli, perché salvaguardano la nostra salute con le cose più sane e più buone del mondo. Sono Matti, perché hanno deciso di restare nei campi, a coltivarli, a crescere prodotti genuini, a combattere una durissima battaglia con la grande industria. Sono Angeli, perché quando li incontri t’incantano per la passione che mettono nel quotidiano duro lavoro dei campi. Hanno valori antichi e saldi. Ma forse sono i più moderni dei moderni. Il Papa alcune domenica fa all’Angelus – ma guarda che combinazione: Angeli/Angelus – ha invitato le istituzioni a difendere l’agricoltura, e i giovani a non disdegnare il ritorno in campagna. E Benedetto XVI ci vede lungo. Poi c’è Piazzetta, il quartiere più antico, dicevamo. Che rinasce, si rivitalizza, prende forma di comunità. Se ne fanno di manifestazioni enogastronomiche! Ma vuoi mettere un produttore d’olio o di formaggio in un palazzo antico, dinanzi ad una chiesa medievale, sotto l’ombra di un campanile? è tutta un’altra cosa. C’è un’anima lì. Sarà il genius loci,
sarà il bisogno di ritrovarsi insieme in un’architettura che creava unità, sarà la Bellezza… Eppoi, la chiamata a raccolta delle scuole, che si esibiranno; dei gruppi di ballerini, che faranno il loro galà; dei gruppi musicali, che faranno il loro concerto. è un gran puzzle, Golosari a Piazzetta, dove ognuno diventa protagonista e mette del suo. Come i seri professionisti del Rotary Club di Porto san Giorgio, che racconteranno fiabe e canteranno stornelli; come l’Associazione Campanari delle Marche, che farà suonare le campane dal Duomo sino a santa Lucia, per una sinfonia altrimenti mai sentita; come gli sbandieratori Inimicum Vicisti, e come la Contrada Campolege, che rivivrà la domenica di un borgo medievale. Le radici, la terra, la festa. E l’impegno. Non mancheranno i convegni, organizzati a mò di talk show, sulle soluzioni ai problemi del territorio in fatto di prodotti agroalimentari, sul senso dell’Ospitalità, sulle Denominazioni Comunali (con lo stesso Paolo Massobrio). Neppure mancheranno i premi all’agricoltore più rappresentativo, al cuoco più meritevole, al personaggio più “ospitale”. Per finire, voglio proporvi il decalogo del Club di Papillon. Mi piace, vi ci ritroverete, lo so. Dice: Il socio di Papillon crede nell’amicizia, ha la passione dell’incontro, non spreca, ama la tradizione, non ha pregiudizi, non beve le etichette, non lascia nulla al caso, è curioso, è fedele. Sono io, è Golosaria, siete tutti voi, che verrete, per far festa, per ritrovare radici, in una terra. Una Terra di Marca.
Adolfo Leoni 1
della vita
...Sommario
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...Editoriale del Gusto.
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...Una grande famiglia... che guarda lontano
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...Gli chef a convegno sul gelato.
...Il gelato artigianale: un alimento nutriente ma non ipercalorico.
7 8 9 10 11 13 15 17 19 20 22 24 26 28 31 32
...I pasti del Conclave del 1903, i funghi ed il "mal di pancia dei Cardinali".
...Festa del vino cotto. E non solo! ...Il vino cotto del Piceno.
...Acetosa
...Dragoncello
...L'oliva Tenera Ascolana; storia, presente e futuro. ...Di mano in mano, la scienza in cucina si tramanda.
...Il menu di Maurizio Domizi
Direttore Responsabile Adolfo Leoni Progetto grafico Sara Ricci Redazione grafica Studium Design info@studiumdesign.it Fotografo Angelo Cecchetti Hanno collaborato Renato Andrenelli Ugo Bellesi Benedetta Curi Maurizio Domizi Stefano Isidori Daniele Malvestiti Alessandro Pazzaglia Massimiliano Petrelli Meri Ruggeri Luciano Scafà Fabio Scatasta Francesco Seghetti Leonardo Seghetti Giovanni Zamponi Edito da
Ass. "Il Gusto... della vita"
...Il pepe, re delle spezie.
...Merano WineFestival & Gourmet ...Tutto è cominciato perchè cercavo (avevo bisogno) un po' di farro.
...La pizza nella ristorazione ...Le castagne e il gusto della vita nell'autunno di Smerillo.
...Lo stoccafisso in porchetta
...Cicerchi di Serra De' Conti.
...Diario di bordo
sede legale Montegiorgio (FM) via Cestoni, 39 sede operativa Morrovalle (MC) via Carducci, 12 tel. 0733 866909 P.Iva e C.F. 01979520440
Internet www.ilgustodellavita.org Info@ilgustodellavita.org Stampa Artelito - Camerino La rivista è stampata su carta naturale ed ecologica
n.
12 dicembre 2010
inserito nel Registro dei Giornali e dei Periodici del Tribunale di Fermo il 21/10/2008
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il Gusto...
...Professione cuoco
Una grande famiglia che guarda... lontano. Nonostante tutto e certuni di Alessandro Pazzaglia
Dopo oltre un trentennio di vita associativa ci sembra onesto e doveroso fare un'analisi sull'attività portata avanti dalle berrette bianche del territorio. Per certi versi abbiamo ottenuto risultati lusinghieri, per altri decisamente deludenti. Riprendendo alcuni documenti della fine degli anni Settanta, mi accorgo che già da allora - oltre trent'anni fa - sostenevamo (e sollecitavamo le varie istituzioni) che la promozione del nostro amato e splendido territorio andasse fatta in sinergia tra le molteplici realtà. Quello che oggi va tanto di moda chiamare “fare squadra”. Un altro argomento di fondamentale portata era (e rimane) la “cultura dell'ospitalità”, dove abbiamo cercato di mettere insieme, con molti sacrifici, le molteplici componenti di questo variegato mondo, affinché gli elementi vincenti quali il “sorriso” e la “professionalità” fossero da decisivo supporto alle eccellenze del Fermano. Infatti, dietro un'opera d'arte, una scarpa, un cappello, un formaggio, un salume (che non basta solo affettarlo)... c'è una storia e un territorio. Storia e territorio che potrebbero essere penalizzati da un' interfaccia (cioè: gli addetti) non predisposta al ruolo o scarsamente professionale. Altra tematica di grandissima importanza affrontata da anni di vita associativa è stata quella di “UNA SANA E CORRETTA ALIMENTAZIONE”. Quali convinti assertori che molto del vivere bene di ogni essere umano, passi attraverso un modo di alimentarsi corretto; nei tempi, nei modi e nelle quantità (anche Il Gusto... della Vita ne ha parlato ripetutamente), ci sembrava doveroso essere riconoscenti al
nostro bellissimo territorio. Le stupende produzioni agroalimentari che esso ci offre, hanno fatto bene e potrebbero farne a tutta la popolazione (lo documentano gli studi di grandi scienziati). Vediamo però un pericolo: quello di possibili artifici messi in campo dai marpioni di turno, ovvero coloro che pensano solo a fare business, che ci propinano diete miracolose senza far riferimento a quel “Vangelo” che è la “DIETA MEDITERRANEA”. Da noi sempre proposta e sostenuta, la Dieta Mediterranea a breve verrà riconosciuta patrimonio dell'umanità. Lungi dal pensare che siamo noi i migliori, ci definiamo spesso, scherzando, “bruciapadelle”, ma siamo convinti di poter portare a chi, a livello istituzionale è sensibile e preposto ai temi citati, un valido contributo e il frutto di una continua ricerca e l'esperienza di tutta una vita professionale (gli hobbisti... sono un'altra cosa). Continuiamo a dare molto, forse tutto, trascurando però quei meccanismi che ci porterebbero sicuramente maggiore visibilità. Vogliamo dirla tutta? Non siamo schierati, non intrecciamo rapporti privilegiati con i potenti – o considerati tali – di turno. Vogliamo in conclusione lanciare un messaggio a quanti fino ad oggi ci hanno messo da parte. Vogliamo dir loro che NON È MAI TROPPO TARDI. E lo vogliamo sostenere fino a quando (augurandoci di essere smentiti nei fatti) la più profonda amarezza ci potrebbe far dire: “CHI CONFIDA NELL'UOMO È PERDUTO".
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della vita
...Associazione Cuochi Fermo
F.I.C. Ass.ne Cuochi della Provincia di Fermo via Legnano, 2 - 63018 Porto Sant’Elpidio tel. (+39) 330 650208
GLI CHEF A CONVEGNO SUL GELATO
30 settembre. Si parla di gelato. Anzi, si mangia il gelato, e in tutti i modi. Il convegno “Il gelato come alimento e la sua intrinseca flessibilità in cucina” lo ha dimostrato.
La sede è stata quella del San Paolo Hotel di Piane di Montegiorgio, dove il pubblico è stato accolto dalla gentile signora Rossella Scuf fia. Prima l’incontro, com’è tradizio ne dei cuochi di casa nostra, poi la serata a tavola. Il convegno ha visto le relazioni di Raoul Trozzo, maestro gelatiere, e di Massimiliano Petrelli, do cente di Dietetica e Nutrizione all’Università di Ancona. Al tavolo, oltre alla ber retta bianca Sandro Pazzaglia, il presidente della Camera di Commercio di Fermo, Graziano Di Battista, che ha avuto, come sempre, parole di elogio per il valore culturale
degli incontri promossi dall’Associazione Cuochi della provincia di Fermo. L’iniziativa è stata presa in collaborazione con GAIA (Gelatieri Ar tigiani Italiani Associati) e l’Istituto Statale Einaudi di Por to sant’Elpidio. Successivamente, dopo le relazioni, si è passati dalle parole ai fatti. E se le parole sono state di alto spessore, i fatti sono stati altrettanto convincenti. Il gelato ha caratteriz zato ogni piatto, osando l’inosabile, e ricevendo una convinta approvazione. Accogliente anche la sala. Una bella serata!
Antonio Iandiorio - Preside Scuola Alberghiera di Porto Sant'Elpidio Alessandro Pazzaglia - Presidente Associazione Cuochi Fermo Massimiliano Petrelli - docente di Dietetica e Nutrizione all’Università di Ancona. Raoul Trozzo - vicepresidente nazionale dei Maestri Gelatieri
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il Gusto...
...Associazione Cuochi Fermo
IL GELATO ARTIGIANALE: un alimento nutriente ma non ipercalorico Dr. Massimiliano Petrelli SOD Dietetica e Nutrizione Clinica. Ospedali Riuniti di Ancona
Il gelato è un alimento ottenuto incorporando aria all'interno di una miscela liquida durante la gelatura della miscela stessa. I diversi tipi di gelato si differenziano a seconda dei metodi di produzione e degli ingredienti utilizzati. Qualità nutrizionali Il gelato è comunemente considerato un semplice rinfrescante; in realtà, ha un valore nutritivo non trascurabile variabile a seconda degli ingredienti utilizzati. I gelati possono essere classificati principalmente in due grandi categorie: - base latte (o derivati); - base frutta (con acqua). Gli ingredienti principali del gelato sono latte, zucchero e uova con i quali si produce la base, i vari gusti sono poi ottenuti aggiungendo altri ingredienti (polpa di frutta, cioccolato, panna, ecc). È possibile anche produrre gelato alla frutta senza latte e uova, un prodotto meglio indicato come sorbetto, che ha meno calorie ma ovviamente è meno cremoso e gustoso. Molti produttori di questo tipo di gelato indicano anche l'assenza di zucchero, in realtà il saccarosio viene semplicemente sostituito con il fruttosio, che ha le stesse calorie ma un indice glicemico più basso. Il gelato è un alimento fresco che contiene alimenti facilmente deperibili come le uova e il latte. Tuttavia dal momento della produzione a quello della commercializzazione il prodotto viene sempre mantenuto a temperature molto basse, che bloccano la riproduzione degli agenti patogeni. Inoltre quasi tutte le gelaterie che non utilizzano preparati industriali pastorizzano la miscela prima di lavorarla nella gelatiera, il che aumenta ulteriormente la sicurezza del gelato stesso.
Quelli a base latte hanno un significativo ruolo nutrizionale nella dieta, per l’apporto in proteine, calcio e fosforo. I gelati a base di frutta hanno, invece, un particolare interesse per il loro contenuto vitaminico e in sali minerali che varia in relazione al tipo e alla quantità di frutta utilizzata. Questi ultimi, di conseguenza, hanno un minor valore energetico. Il valore energetico del gelato dipende infatti dal tipo e dalla quantità di materia prima utilizzata. Nei gelati al latte ad alto contenuto in panna, quindi in grassi, il valore calorico può arrivare fino a 280 Kcal per 100 grammi. Quelli alla frutta a base acqua, che non contengono grassi, hanno un valore energetico che può raggiungere le 130 Kcal per 100 grammi. In questi l’apporto energetico è dovuto, quasi esclusivamente, ai glucidi contenuti negli zuccheri aggiunti e nella frutta utilizzata. È quindi molto importante introdurre nella dieta giornaliera il giusto tipo di gelato, in relazione al tipo di regime alimentare adottato. Dopo un pasto leggero, e quindi povero in grassi e calorie, può essere scel-
to un gelato a base latte; se il pasto invece è stato ricco di sostanze nutrienti è bene orientarsi su un gelato alla frutta. Inoltre, in considerazione del valore energetico di questo alimento e della sua rapida assimilazione, i gelati rappresentano il cibo ideale per i pasti intermedi. I gelati possono infine rientrare con successo nella dieta di quelle persone, in particolare bambini e anziani, che hanno scarso appetito; ovviamente in questo caso sono consigliabili gelati a base di latte, mentre debbono essere scartati i ghiaccioli al gusto frutta, che per la loro composizione forniscono uno scarso apporto nutritivo. Questi ultimi sono pertanto consigliati nelle diete a basso contenuto calorico. Come tutti gli alimenti, se consumato in quantità esagerate, può essere dannoso per la “linea”. Ma questa fastidiosa controindicazione è legata soltanto ad un smisurato uso del prodotto. È importante trasmettere al consumatore il concetto di valore nutrizionale del gelato affinché lo introduca, senza pregiudizi di alcun tipo, nella sua dieta, anzi lo valorizzi nel completamento della sua alimentazione. Parlando di gelato occorre fare una distinzione molto importante tra gelato artigianale e industriale. Tali differenze riguardano sia i metodi di produzione che gli ingredienti utilizzati. Il gelato artigianale di qualità è composto da materie prime fresche, la fase di incorporatura dell'aria è lenta e raggiunge il 30 - 50% del volume del composto. Non è possibile produrre gelato di
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della vita
...Associazione Cuochi Fermo qualità senza utilizzare alcuni additivi (peraltro innocui), prima fra tutte la farina di semi di carrube come addensante. Il gelato industriale contiene latte in polvere, oli vegetali, e additivi come coloranti, emulsionanti, stabilizzanti e aromi. Solitamente è più soffice e voluminoso, perchè contiene più aria, ma dipende dalla marca. Si può certamente affermare che il gelato artigianale è un prodotto che qualitativamente non ha nulla da spartire con quello industriale, tuttavia occorre fare attenzione poichè non è raro trovare prodotti artigianali di bassa qualità. Il gelato artigianale infatti può essere fatto utilizzando una base liofilozzata alla quale va aggiunta acqua o latte, spesso queste basi vengono prodotte con gli stessi ingredienti del gelato industriale. L'unica differenza è dovuta al fatto che questo prodotto non deve essere conservato a lungo poichè viene venduto al dettaglio dal gelataio. Per riconoscere un gelato di qualità, quindi, il migliore metodo è affidarsi alla propria esperienza affinando sempre più il gusto e quindi la capacità di riconoscere un buon gelato, sempre partendo dal fatto che non conviene mangiare un gelato senza aver prima letto gli ingredienti. Ecco alcune regole di carattere generale per riconoscere un gelato di qualità. Ogni gelateria deve esporre in vista gli ingredienti del prodotto. Ecco un criterio semplice: ● se il gelato contiene oli/grassi vegetali idrogenati o parzialmente idrogenati, scartarlo; ● se il gelato contiene oli vegetali nelle prime posizioni nella lista degli ingredienti (ovvero in quantità determinante), scartarlo. Purtroppo non è obbligatorio esporre le calorie e i valori nutrizionali e solo pochissime gelaterie lo fanno. ● Più il gelato è cremoso, ovvero meno si avvertono i grumi di ghiaccio, maggiore è la sua qualità. ● Se il gelato non si scioglie in fretta,
soprattutto se la temperatura è elevata (in estate), allora è probabile che contenga grassi vegatali idrogenati. Meglio evitarlo. ● Se il gelato è eccessivamente dolce o troppo "pesante" (vi sentite molto appesantiti dopo che lo avete mangiato), probabilmente la scarsa qualità è stata mascherata caricando con lo zucchero e i grassi e quindi con le calorie. Questo è un criterio di valutazione molto empirico che va preso con le molle, ma stando attenti e con un po' di esperienza può essere utilizzato. Il gelato a base di frutta secca può essere utilizzato efficacemente per valutare la qualità media delle materie prime di una gelateria. Questi gelati sono prodotti con frutta secca macinata e ridotta in pasta (di nocciole, di noci, di pistacchi, ecc.). Tali prodotti costano molto e dunque una gelateria che adotta una filosofia di qualità si differenzierà notevolmente rispetto a una gelateria di media o bassa qualità. Mentre un gelato alla crema costa al produttore la stessa cifra in tutte le gelaterie, perché il costo del latte e delle uova è circa lo stesso e non influenza molto la qualità del prodotto; un gelato alla nocciola con il 30% di pasta di nocciole del Piemonte IGP sarà molto migliore e costerà al produttore il 50% in più di un gelato con il 15% di pasta di nocciole di media o bassa qualità. Se vi piace il gelato alla nocciola o al pistacchio, scoprirete che esistono poche gelaterie che lo fanno veramente buono, perché disposte a spendere di più delle altre. È molto probabile che la qualità media del gelato di questi produttori sarà più elevato in generale e non solo per quanto riguarda il gelato alla nocciola. Di seguito indichiamo alcuni consigli per gustare questa delizia senza dover litigare con la bilancia. 1- Limitare l'acquisto delle vaschette confezionate, e non mangiare mai direttamente dalla vaschetta. Il ge-
lato è un alimento molto appetibile ed è difficile smettere di mangiarlo: chi non è stato mai tentato di finire 500 g di gelato a cucchiaiate? Inoltre la qualità di questi prodotti è a volte discutibile, considerando che la maggior parte (per non dire tutti) contengono oli vegetali e burro (non dannoso, ma utile a mascherare una scarsa qualità), o addirittura grassi vegetali idrogenati. 2- Evitare gelati che contengono margarina o oli/grassi vegetali idrogenati. 3- Pianificare per quanto possibile la visita alla gelateria, in modo tale da "ammortizzare" le calorie nel pasto precedente o in quello successivo. Se so che andrò a mangiare il gelato, posso mangiare un po' meno, magari qualcosa di leggero. 4- Prediligere la qualità. Visto che dobbiamo assumere tante calorie, facciamo in modo che ne valga la pena. Rechiamoci in una gelateria che produce gelato di qualità, non fermiamoci nella prima che incontriamo. Se poi c'è da fare due passi a piedi, ancora meglio: una bella passeggiata dopo cena è un toccasana per la digestione, e ci farà consumare anche un po' di calorie. Concludo dicendo: “IL GELATO ARTIGIANALE: UN ALIMENTO PER TUTTI E NON SOLO A FINE PASTO!” Per i bambini sono indicati i gelati a base di latte, che forniscono anche calcio e fosforo, elementi di cui gli organismi in crescita hanno sempre un grande bisogno. Ideale come merenda per i piccoli anche quando in certi periodi sono “svogliati” a tavola. è consigliabile per i ragazzi che studiano, perché nutre senza appesantire, è una fonte importante di calcio per le persone anziane, che spesso d’estate perdono l’appetito. è utile per gli sportivi, contenendo zuccheri di rapida assimilazione, è un gradito aiuto per le donne in gravidanza, contrastando anche le nausee dei primi mesi.
Per sfatare il luogo comune che il gelato faccia ingrassare, ecco una breve tabella. Se si considera l’apporto calorico di un gelato, anche il più grasso, con quello di altri dolci, ci si può accorgere come questo risulti assai minore. In ordine crescente, quante Kilocalorie contengono 100 grammi di ogni tipo di dolce: Gelato al limone Gelato alla crema Gelato al cioccolato Marmellata Panettone Panna montata Crostata Torta margherita Brioche
124 204 210 237 334 337 339 370 408
Fette biscottate Biscotti secchi Crostatina con marmellata Frollini Torrone Marzapane Cioccolato Plumcake
410 450 450 460 482 500 570 660
Snack gelato industriale a barre (più calorie e meno qualità!) Bounty Winner Mars snikers Twix
346 355 356 388
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il Gusto...
...Un po' di storia
I pasti del Conclave del 1903, i funghi ed il “mal di pancia” dei Cardinali.
di Daniele Malvestiti
Dopo la morte di Papa Leone XIII avvenuta il 20 luglio 1903, venerdì 31 luglio, 62 cardinali entrarono in Conclave. Tra loro era presente l’Arcivescovo di Bologna, il cinquantaduenne montegranarese Cardinale Domenico Svampa il quale fu autore di un “diario” che ha consentito di tramandare sino a noi le vicende di quell’evento.
Egli, quella sera, era molto sofferente a causa di un doloroso ascesso dentale, tanto che preferì restare in cella, dove gli venne servita la cena composta da un po’ di minestra al burro, pesce fritto e dei fagiolini in insalata. Si arrivò così alla mattina di Sabato 1 agosto ed alla prima sessione di votazione. Alle sette i Cardinali, nella sala da pranzo, consumarono la colazione a base di uova e “biscottini” preparati dalle suore, furono quindi convocati nella Cappella Sistina per la celebrazione della messa al termine della quale ebbe luogo la prima votazione ed il successivo scrutinio. Intorno alla grande sala erano collocati 62 piccoli troni per i Cardinali ed anche uno sgabello e un piccolo tavolino con l’occorrente per scrivere. Non essendo riuscita la elezione del Papa, le schede furono bruciate e verso mezzogiorno i Cardinali fecero la sosta per il pranzo, che prevedeva minestra di pasta “minuta”, bollito con contorni di fagioli in umido, fritto di fegato e di riso, arrosto di pollo con insalata mista, formaggio, frutta. Nelle ore pomeridiane del sabato, come previsto, avvenne il secondo scrutinio e subito dopo, nella Cappella Paolina, si celebrò una funzione religiosa. La sera, a cena, fu servita minestra di pasta minuta, arrosto di vitello con insalata di zucchine, formaggio e frutta. Al termine della prima giornata di votazione il Cardinal Rampolla ricevette quasi la metà dei consensi dei cardinali votanti, ossia 29 voti su 62. Si arrivò così al secondo giorno di conclave, caratterizzato da un avvenimento che ne stravolse l’andamento. Domenica infatti, appena aperta la riunione, l’Arcivescovo di Cracovia e primate di Polonia, a nome dell’Imperatore d’Austria, pronunciò contro il Cardinal Rampolla il veto d’esclusione al soglio pontificio, ripristinando di fatto l’antico privilegio, goduto da alcune grandi nazioni cattoliche. Fu un grosso ed inaspettato colpo di scena e l’annunciata uscita di scena di Rampolla fece confluire una parte dei voti sul Cardinal Giuseppe Sarto, Patriarca di Venezia. Dopo la terza votazione, ai cardinali nel pranzo di domenica 2 agosto 1903 fu servita minestra di riso, bollito con contorno
di cavoli e fagiolini, stufatino di pollo con guarnizione di funghi, vitello arrostito in fette, guarnito di gelatina, formaggio e frutta. L’esito dello scrutinio pomeridiano di domenica 2 agosto, fu caratterizzato dal fatto che i voti si restrinsero in pratica, ai due principali candidati, Rampolla e Sarto. A questo punto, il Cardinale Svampa prosegue
la particolareggiata cronaca scrivendo che a cena ai Cardinali vennero servite queste pietanze: «Poco dopo le 8 si cenò. Minestra di pasta minuta, cotolette e carne arrostita, insalata cotta di patate, cocuzze, etc.». Arrivò quindi la terza giornata. La mattina del 3 agosto, dopo il quinto scrutinio, la situazione rimase invariata, continuando i voti a concentrarsi sui Cardinali Rampolla e Sarto. Il Cardinale prosegue nella sua minuziosa cronaca ad appuntare il menù del pranzo del lunedì: «Al pranzo, zuppa di vari erbaggi, bollito di gallina con risotto, budino di entrailles di pollo, rostbeef, formaggio». Il Patriarca Veneziano, nonostante i voti ricevuti dal sacro Collegio, non intendeva tuttavia accettare l’eventuale nomina a pontefice, ma una forte pressione all’accettazione
gli giunse dal “gruppo” che faceva riferimento al Cardinale Svampa e di cui facevano parte i Cardinali Ferrari di Milano e Richelmy di Torino, nonché i Cardinali marchigiani come Taliani e Manara, Arcivescovo di Ancona e Numana ed altri ancora, come il Cardinal Vincenzo Vannutelli. A seguito di tutto ciò nella sesta sessione il Cardinal Sarto aumentò i propri voti da 27 a 35, mentre alcuni Cardinali, continuarono a votare Rampolla. A questo punto il Porporato montegranarese racconta ciò che era avvenuto la notte precedente, ossia che parecchi Cardinali soffersero forti dolori addominali a cui seguì una diffusa dissenteria acuta, manifestatasi appunto con forti dolori addominali e diarrea. Si può immaginare lo spavento provato dagli anziani Cardinali, visto che quasi tutti se n’erano cibati. In quell’occasione si parlò di occasionale e incolpevole intossicazione, ma qualcuno, allora e dopo, ha anche ventilato il sospetto di un tentativo di avvelenamento, perpetrato con l’aiuto dei fornitori, per condizionare il voto per l’elezione del nuovo Papa. “Un conclave”, si scrisse, “che rischiò di far morire i cardinali”. Si arrivò infine alla mattina di martedì 4 agosto 1903 e i Cardinali, alle 9,30 ritornarono in Cappella Sistina per il nuovo scrutinio. La votazione di quella mattina, fu veramente l’ultima del Conclave e in quella occasione, il Cardinal Sarto, ottenne 50 voti, 8 più dei necessari. Al termine dello scrutinio, dalla stufa del conclave, uscì finalmente la fumata bianca e tutto il mondo cattolico gioì per l’elezione del nuovo successore di Pietro che assunse il nome di Pio X.
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della vita
...Vino Cotto a Lapedona
Festa del Vino Cotto. E non solo! La notizia è questa: Lapedona non indietreggia. Anzi rilancia. Il vino cotto è una sua specialità e lo dimostra ancora una volta con la XXII Festa dedicata a questo nettare degli dei. L’evento si è svolto il 25 e 26 settembre. Il titolo è già significativo di per sé: “Il vino cotto: cultura e tradizione del territorio di Lapedona, antico castello di Fermo”. In piazza la gente non s’è fatta attendere, sia per gustare il vino cotto dello scorso anno (invecchiando migliora!), sia per vedere le tecniche di cottura. Stracciata di manzo su misticanza di campo e pesche con emulsione di vino cotto
Bocconcini di coniglio croccanti su riduzione di vino cotto e mezzelune di pesche dorate.
Non è mancato il convegno sul tema. Lo hanno promosso l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Mauro Pieroni, la Pro Loco, la Camera di Commercio e l’Associazione Produttori Vino Cotto. Obiettivo: valorizzare sempre meglio il prodotto in questione, verificare e scandagliare le prospettive di promozione, legando il vino cotto ad un territorio affascinate e storicamente importante. Numerosi i personaggi intervenuti, sia delle istituzioni sia della politica. Non poteva mancare l’Associazione Cuochi del Fermano, rappresentata dal suo presidente Alessandro Pazzaglia. Le berrette bianche sono state presenti
e fattive anche nel corso della festa in piazza. La Festa del Vino cotto è proseguita anche in cucina. Nel senso che, dopo il convegno, gli chef di Sandro Pazzaglia hanno preparato al Didacus (il suggestivo locale di Lapedona) un pranzo dove il vino cotto è stato onnipresente. Questo il menù, che andrebbe riproposto nei nostri ristoranti: aperitivo con olive fermanelle, pizza e ciauscolo, tutto al vino cotto. L’antipasto freddo ha visto la stracciata di manzo su misticanza di campo e pesche con emulsione di… vino cotto; per quello caldo sono stati proposti bocconcini di coniglio croccanti su riduzione di… vino cotto e mezzelune di pesche dorate. Per primo, i commensali hanno gustato gli gnocchetti di patate al ragù bagnato di… vino cotto, con pomodoro fresco; per secondo è arrivato lo stracotto al… vino cotto con mela rosa stufata e sformatino di zucca gialla. Chiusura gloriosa con semifreddo di zabaione al… vino cotto, e ventaglio di pera al forno. Passerina Falerio e Rosso Piceno, i vini, su cui dominava un eccezionale … vino cotto.
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il Gusto...
...Vino Cotto
il Vino Cotto del Piceno
di Francesco e Leonardo Seghetti
Il vino cotto è parte integrante del territorio piceno, tanto da essere considerato il vino del territorio, dove si fondono in un unico insieme, ambiente, vitigni, storia, tradizione e cultura del suo popolo. La produzione è soprattutto legata alla tradizione contadina, tramandata di padre in figlio nel corso dei secoli; basti ricordare che, ad ogni figlio nato, si assegnava una piccola botte di vino cotto, da consumarsi non prima del raggiungimento della maggiore età ed in particolari liete occasioni (come il matrimonio). Inoltre, il vino cotto, rappresentava per ogni famiglia il segno dell’ospitalità. Era sempre sulla tavola nelle occasioni migliori e usato frequentemente come rimedio nella cura di molti malanni (raffreddore). La produzione di vino cotto è nota fin dai tempi remoti. Già nel 191 a.C. viene citato da Plauto, nella commedia “Pseudolus”, fra le bevande da mescere in un lauto banchetto. Nel Iº sec d.C. Columella, nella sua opera “Arte dell’Agricoltura”, libro XII, descrive: “… fino a diminuzione di un terzo si cuocia del mosto di sapore dolcissimo; quando è cotto si chiama defruntum. Esso appena raffreddato si trasferisce nelle botti e si ripone per usarne”.
Plinio il Vecchio, nella sua storia naturale, riporta quanto già detto da Plauto e classifica il vino cotto tra le più ricercate bevande dolci prodotte in Italia, affermando che: “… i cotti hanno il sapor loro e non quello del vino”. Nel 1534 Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III, esalta la bontà del vino cotto ritenendolo di qualità tale da poter essere utilizzato nel rito sacrificale della Santa Messa. Anche Andrea Bacci nel suo testo De naturali vinorum histoira di vinis italiae del 1596, nel capitolo XV del libro I, descrive la produzione del vino cotto e della Sapa. I due autori sopracitati fanno riferimento al vino cotto dell’area Picena.
trovo ottimo, di un bel colore rosso mattone e riflessi di oro cupo, il sapore strano affumicato e ruvido nella sua moderata dolcezza, corregge ed evita quella dolcezza vischiosa e a volte nauseabonda di tanti passiti o marsalati.”. In pratica secondo lo scrittore c’era qualcosa di affascinante, di profondo rustico e montano in quel vino cotto. Anche Guido Piovene e Luigi Veronelli esaltano la gradevolezza del vino cotto, anzi quest’ultimo lo descrive: “… vuole meditata attenzione che tu non ceda all’impulso primo, e l’intenda non più come vino, ma come ricetta. Ti si fa allora subito gradevole; ci senti viva la tradizione, il bisogno di una contadina riserva”.
Negli ultimi anni numerosi autori citano il vino cotto in diversi scritti, decantandone certe proprietà. In un testo del 1971 Mario Soldati descrive, di passaggio ad Ascoli Piceno, l’assaggio di un vino cotto di 60 anni prodotto dall’ ing. Cimica, pur con una certa diffidenza: “…come vino da dessert lo Dal 1965 non è più possibile produrre e vendere vino cotto. Su sollecitazione di alcuni produttori e di alcuni sindaci del territorio piceno, nel 1973 l’on. Tozzi Condivi scriveva all’on. Preparo, vice presidente della commissione nazionale vini, per far modificare il D.P.R. citato, all’art. 5 lett. f con la dicitura “… ed alle zone delle Marche e degli Abruzzi per la produzione di Vino Cotto Tipico”. Purtroppo questo lodevole interesse non portò ad alcuna discussione in commissione e dal 1965 la produzione del vino cotto è vietata. Recentemente, a seguito dell’entrata in vigore del D.M. 18/7/2000 riguardante l’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, la regione Marche ha riconosciuto come prodotto della tradizione il vino cotto; come successivamente riportato nel DM 25/7/2003 GU n° 141, terza revisione dell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, con i sinonimi: Vino Cotto, vi’ cotto, vi cuot. E la storia continua…
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della vita
...Erbe Aromatiche
Acetosa
di Ugo Bellesi
Proseguiamo il nostro appuntamento con le erbe aromatiche parlando di Acetosa.
Una pianta tanto diffusa nel nostro territorio quanto pochissimo usata. La si trova lungo i corsi d’acqua, nei prati e nei pascoli sia in pianura che in montagna. È una pianta perenne che cresce spontanea (1). Il suo nome più comune è quello di “erba brusca” (ma la si chiama anche “erba agretta”, “erba mandolina” e “ossalide” per il suo alto contenuto di ossalato di calcio - sostanza nociva per i reni - per cui è opportuno consumarla con parsimonia) e viene impiegata soprattutto nelle insalate anche se alcuni ristoratori utilizzano le sue foglie grandi, allungate a forma ellittica, come guarnizione per i loro piatti, essendo assai decorative. Molto impiegata nella ristorazione francese, di questa pianta si raccolgono sia le foglie, specialmente nel periodo primaverile quando sono ancora giovani e tenere, che gli steli freschi che vengono prelevati soprattutto tra maggio e giugno. Le foglie, di sapore acidulo (per abbassare il sentore acidulo prima di impiegarle è opportuno scottarle velocemente in acqua bollente), sono ricche di vitamina C ed hanno proprietà diuretiche, rinfrescanti e antinfiammatorie. Contengono anche ferro e fosfati. Quando la pianta spunta a primavera i primi getti sono ottimi nelle insalate miste (ma in questo caso usare poco aceto e limone perché la pianta stessa è abbastanza acidula) o lessati e fritti, ma vanno benissimo anche per zuppe, minestre e ripieni. Qualcuno li utilizza anche al posto degli spinaci: in questo caso vanno cotti al vapore e serviti come contorno. Sono apprezzati anche nelle frittate. Da non confondere con l’Acetosa è l’Acetosella (detta anche “agretta”, “erba forte”, “melagra” e “lambrusca”) che viene impiegata più nella farmacopea che non nella gastronomia. In cucina possono essere usate le foglioline novelle primaverili (simili a quelle del trifoglio) dal sapore intenso e acidulo, per arricchire il gusto delle insalate e delle minestre (2). Ha proprietà astringenti, decongestionanti, dissetanti e diuretiche. È una pianta molto diffusa soprattutto in Italia settentrionale. Se osservando la pianta di acetosella ci si accorge che le foglioline si richiudono vuol dire che il temporale è vicino (3). Nel Medioevo si dava una grande importanza alla colorazione delle pietanze e spesso nelle ricette compare anche l’indicazione del colore più appropriato. Otto erano i colori preferiti. Per quanto riguarda il verde i cuochi facevano affidamento proprio sull’uso delle foglie di acetosella, oltre che di prezzemolo e di spinaci. (4) (1) Guarnaschelli Gotti M., Grande enciclopedia della gastronomia, Milano 2007 (2) Rapagli M.L., Erborare & cucinare, Edagricole 1995 (3) Castellani F., Le ghiotte erbe, Cingoli 2006 (4) Flandrin J. e Montanari M., Storia dell’alimentazione, Roma-Bari 1997
SALSA DI ACETOSA Pulire bene l’acetosa e, dopo averla asciugata, triturarla perpendicolarmente. Nel frattempo far riscaldare 40 gr. di burro in un tegame; una volta fuso versarvi 400 gr. di acetosa e aggiustare di sale. Una volta evaporata l’acqua di vegetazione la salsa è pronta. Serve per guarnire piatti di salmone. Una ulteriore elaborazione prevede, sempre nel tegame in cui si è fatto sciogliere il burro con l’acetosa, l’aggiunta di panna liquida; aggiustare di sale e pepe e far ridurre di volume.
SALSA DI ACETOSA (ricetta di Antonio Nebbia)
Scottare in acqua bollente l’acetosa, fatela colare e tritatela. Prendete una cazzeruola con un’oncia di butiro, fatelo liquefare, poi metteteci basilico e timo; lasciatela alquanto soffriggere, e quindi metteteci l’acetosa, fatela nuovamente soffriggere insieme; prendete un bicchiero di latte con sale e spezieria dolce (pepe dolce, cannella, noce moscata e chiodi di garofano pestati), fatela cuocere, raspateci scorza di limone, e metteteci un poco di sugo di esso limone e di colletta; servitevene.
CREMA DI ACETOSA Ingredienti: • una piccola cipolla, • 400 grammi di acetosa, • mezzo etto di burro, • un quarto di litro di latte, • un rosso d’uovo, • sale, pepe e noce moscata. Esecuzione: tritare le foglie di acetosa e la cipollina e far appassire il tutto nel burro aggiungendo poi il latte portandolo ad ebollizione. Filtrare tutto il contenuto del tegame in un setaccio e poi rimetterlo al fuoco aggiustando di sale, pepe e noce moscata. Prima di servire versarvi il rosso d’uovo.
BURRO CON ACETOSELLA Ingredienti: • mezzo etto di gorgonzola, • un etto di burro, • mezzo cucchiaio di succo di limone, • foglie di acetosella, • pane tostato. Esecuzione: lavorare il burro per ridurlo a crema e aggiungere i pezzetti di gorgonzola, il succo di limone e le foglie tritate di acetosella, amalgamando il tutto. Avvoltolare l’impasto in foglio di alluminio e farlo consolidare in frigorifero. Al momento dell’utilizzo tagliare l’impasto a fettine e servire con carni alla brace, ma se ne possono fare anche crostini.
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il Gusto...
...Erbe Aromatiche
Dragoncello Il Dragoncello è una pianta erbacea originaria della Siberia.
Gli antichi greci, oltre a ritenerla stimolante dell’appetito e digestiva, la usavano contro il mal di denti. Venne diffusa in occidente dagli arabi (1) nel XIII secolo perché credevano che combattesse la peste, mentre venne apprezzata soprattutto in Spagna perché la si riteneva essere forte antidoto contro il veleno dei serpenti. In Italia (dove arrivò con Carlo Magno nel 774) non cresce spontanea ma è facile coltivarla: raggiunge fino ad un metro di altezza. È molto usata in cucina (specialmente in Francia) sia come decorazione (nell’apic di pollo o di pesce come salmone o trota) grazie alle foglie eleganti di un verde intenso e sia come ingrediente fondamentale per dare aroma sia a piatti di pesce che di uova. Le foglie e i germogli si possono raccogliere da primavera a fine estate-inizio autunno. L’aroma è più intenso quando il dragoncello viene impiegato fresco, altrimenti, con l’essiccazione, perde molte delle sue caratteristiche. Quando è secco è più adatto per preparare salse, sottaceti e mostarde. Il dragoncello lo troviamo soprattutto nella senape (soprattutto in quella francese) ma in particolare viene impiegato per aromatizzare gli aceti (come il famoso vinaigre à l’estragon) e gli oli. Due i tipi di dragoncello più diffusi: quello russo dall’aroma più delicato e foglie lucide, e quello francese con un profumo intenso e raffinato e foglie più piccole di colore verde scuro. I germogli immersi nell’aceto lo rendono gradevolmente piccante. Le foglie contengono vitamina A e C oltre a sali minerali (2). Il dragoncello è di ausilio nelle digestioni difficili e nelle inappetenze (l’infuso di foglioline infatti stimola l’appetito; è usato anche come digestivo e tonico). Per accompagnare uova e carni bianche troviamo spesso salse aromatizzate con questa erba profumatissima che vendono dette appunto “al dragoncello”. Tra le più famose ricordiamo la “salsa tartara” (per pollo lesso) e la salsa “bearnaise” (carne alla griglia). Grazie al suo aroma questa pianta può sostituire anche il sale. (1) Ceccantini G. e altri, Cent’erbe, Firenze 1996 (2) Bremness L., Erbe, Bologna 1994
CARNE AL DRAGONCELLO Ingredienti: • un etto di burro, • un cucchiaio di foglioline fresche di dragoncello, • un cucchiaio di farina, • mezzo bicchiere di Marsala, • quattro filetti, • sale e pepe. Esecuzione: sciogliere al fuoco 75 gr. di burro e farvi cuocere i quattro filetti da entrambe le parti. Togliere la carne dal fuoco e sul fondo rimasto versarvi la farina e, sempre mescolando, anche il Marsala oltre a mezzo bicchiere di acqua caldissima con le foglie di dragoncello tritate. Spegnere il fuoco ed aggiungere i 25 gr. di burro rimasti, aggiustare di sale e pepe e condire con questa salsa i filetti tenuti in caldo.
SALSA VINAIGRETTE Ingredienti: • mezzo bicchiere di olio extravergine, • mezzo bicchiere di aceto, • mezzo cucchiaio di erba cipollina e foglie di dragoncello tritate, • sale e pepe. Esecuzione: sciogliere nell’aceto un pizzico di sale e quindi aggiungere l’olio e gli odori tritati; mescolare bene e aggiungere pepe macinato.
ACETO AL DRAGONCELLO Si fanno macerare un etto di foglie in un litro di aceto di vino bianco per un mese avendo l’accortezza di capovolgere una volta alla settimana la bottiglia. Dopo 30 giorni filtrare l’aceto e travasarlo in altra bottiglia. Lo si usa, tra l’altro, per sciogliere la senape in polvere.
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della vita
...Oliva Tenera Ascolana
L’oliva tenera Ascolana; storia, presente e futuro.
L’oliva tenera ascolana da sempre è la regina tra le olive verdi da mensa; costituisce un patrimonio del nostro territorio agricolo ed assume un ruolo di importanza ancor più rilevante essendo la base per la produzione della prelibatezza gastronomica qual è l’oliva farcita, più conosciuta come oliva ascolana ripiena. di Francesco Seghetti e Leonardo Seghetti. La coltura, ha un area di diffusione nella province di Ascoli Piceno, Fermo e Teramo (dal fiume Tronto al fiume Vomano). Il territorio comprende zone pianeggianti, dolci pendii e colline fino a ridosso della fascia appenninica su altitudini di norma non superiori ai 500 m. s.l.m.. Le olive Ascolane hanno rappresentato e consolidato nel tempo la loro fama per la qualità, la peculiarità e prelibatezza delle produzioni, come testimoniano le numerose ed autorevoli dizioni, fin dai tempi dell’antica Roma. I classici latini la denominarono Picena e successivamente prese il nome di Ascolana tenera; Plinio la considerava tra le migliori olive di allora ed usate come antipasto (gustatio) come testimonia il famoso banchetto di Trimalcione. Addirittura lo stesso Plinio le consigliava come ottimo rimedio contro la renella e la carie dentaria. I primi a fornire suggerimenti per la preparazione e concia sono stati Palladio, Catone, Marco Varrone, mentre Columella nel trattato di agricoltura la cita tra le diverse varietà di olive da tavola. Anche Marziale aveva un debole per le olive Picene, le consumava sia come aperitivo che a fine pasto; inoltre descrive i recipienti usati per raccogliere, conservare e trasportare le olive “colymbades”(galleggianti in acqua).
Successivamente il papa Sisto V da Montalto Marche, nel 1583 esprime particolare apprezzamento per le olive ascolane, cosi come i positivi giudizi espressi in tempi più recenti da Garibaldi, Rossini, Carducci e Puccini, confermati dai premi ottenuti da aziende locali alle varie esposizioni nazionali ed internazionali di Milano, Roma, Parigi ecc. alla fine del 1800. Da quanto brevemente detto emerge un quadro complessivo del territorio che può vantarsi di saper diligentemente coltivare e provvedere con arte ad addolcire e conservare il frutto. Le caratteristiche importanti di questa varietà sono rappresentate dalla pezzatura (grandezza delle olive) e dalla qualità della polpa, particolarmente tenera e croccante. Il peso medio di una drupa si aggira intorno a 6 - 8 g, con 120 - 140 olive per chilogrammo; il rapporto polpa / nocciolo è veramente ottimale, mediamente tra 5,8 - 6,1, a dimostrazione che la polpa rappresenta una percentuale superiore all’80%. Il nocciolo ha forma allungata e termina a punta; si separa molto bene dalla polpa. La raccolta delle olive si effettua a mano, con molta cura, per evitare le ammaccature e quindi gli indesiderati imbrunimenti della polpa; il periodo ottimale della raccolta generalmente è compreso
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della vita
...Oliva Tenera Ascolana tra la seconda quindicina di settembre fino ai primi giorni d' ottobre, ovvero quando le olive sono verdi o viranti al verde paglierino, comunque prima della invasatura. Il contenuto d' olio nella sola polpa, in quel periodo non supera il 12 - 13 %. Le citate caratteristiche di “tenerezza della polpa” non consentono grandi quantitativi di raccolta giornaliera per uomo, che mediamente si attesta sui 40 Kg. Nella zona d’origine, l’oliva tenera ascolana è coltivata su una superficie di circa 66.000 ha con una produzione stimata di circa 6 – 7000 q di prodotto, inoltre è molto diffusa la coltivazione di piante sparse, coltivate per lo più per soddisfare il bisogno familiare. Oggi è stimata una domanda di oliva tenera ascolana, per la produzione di olive ripiene di circa 20.000 q/anno, mentre altre 10.000 q sarebbero richieste per il consumo diretto. Le olive dopo la raccolta, vengono sottoposte ad un ciclo di lavorazione attraverso la quale si compie la deamarizzazione cui seguono i lavaggi con acqua e la successiva fase di fermentazione-conservazione in salamoia. La deamarizzazione è eseguta con una soluzione di soda in concentrazione variabile dall’1,5 al 3 % in funzione della temperatura ambientale, stato di maturazione delle olive ecc… L’operazione ha lo scopo di idrolizzare e rendere solubile l’oleouropeina che rappresenta il principio amaro presente nelle olive; in questa fase il componente sopraddetto viene scisso in glucosio, acido elenolico ed idrossitirosolo che successivamente vengono eliminati con i lavaggi. Le olive vengono immerse completamente nella soluzione sodica, in quanto all’aria scuriscono rapidamente, periodicamente la soluzione (due - tre volte) è rimescolata per omogeneizzare la concentrazione ed evitare la stratificazione della soluzione. In genere la durata del trattamento con soluzione sodica varia dalle otto alle dodici ore e può dirsi conclusa quando la soluzione è penetrata nella polpa delle olive per i 2/3 o ¾ o fino a raggiungere il nocciolo (in quest’ultimo caso le olive vengono consumate molto presto). Per valutare la penetrazione della soda nella polpa delle olive, si prelevano alcuni frutti e si pratica su di essi un taglio longitudinale della polpa fino al nocciolo; all’aria la parte di polpa interessata dalla soda si ossida e risulterà più scura, Una volta eseguita la deamarizzazione, l’operazione successiva è quella dei lavaggi delle olive con acqua, per eliminare la soda residua. Nella tradizione i lavaggi erano effettuati per più giorni, fino a che l’acqua non risultava chiara; ciò consentiva un immediato addolcimento a scapito di una maggiore conservazione delle olive per forte impoverimento di nutrienti necessari per la successiva fase di fermentazione – conservazione. Completati i lavaggi le olive vengono immerse in una salamoia (sale da cucina) di concentrazione prossima all’8 % dove inizia il processo fermentativo degli zuccheri costitutivi delle olive che portano alla produzione di acido lattico che consente l’abbassamento del pH
della salamoia a valori prossimi a 4, valore necessario per una ottimale conservazione. È evidente che durante la fase di fermentazione - conservazione sono necessari dei controlli sia della percentuale salina sia del pH della salamoia poiché valori anomali possono favorire l’insorgere di alcune alterazioni. Dopo tale processo si può passare al confezionamento con l’aggiunta anche di aromatizzanti; in particolare la tradizione prevede l’aggiunta del finocchio selvatico. È evidente che per i quantitativi prodotti e per la qualità della produzione, l’oliva tenera ascolana è un prodotto tipico del Piceno, che recentemente ha avuto il riconoscimento DOP in base al reg.CEE 2081/92 grazie all’azione di un gruppo promotore che ha fortemente voluto la salvaguardia del prodotto. Il disciplinare di produzione consta di otto articoli che delineano la piattaforma varietale “ascolana tenera”, le zone di produzione delimitate dai territori comunali, le condizioni di produzione tra cui il numero di piante ad ettaro, il materiale vivaistico, la forma di allevamento, le pratiche agronomiche (tecniche a basso impatto ambientale), il periodo della raccolta, la produzione massima ad ha (60 q), le caratteristiche delle drupe ecc.. fino alla commercializzazione. Il prodotto così ottenuto va a costituire la base della prelibatezza gastronomica Oliva Ascolana del Piceno ripiena, conosciuta in tutto il mondo, e per questo ambasciatrice dell’intero territorio piceno.
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il Gusto...
...L'archivio in cucina
Di mano in mano, la scienza in cucina si tramanda di Luciano Scafà
Voglio presentarvi un MANOSCRITTO di cucina, formato da ricette scritte e raccolte dalla fine del 600 all' 800, praticamente una piccola raccolta di ricette tramandate per circa due secoli. Ritengo, ma non ne ho la certezza, che siano state scritte dalle suore del Brefotrofio di Fermo, in molte pagine infatti la filigrana della carta porta incisa la scritta "Brefotrofio di Fermo". Gli scritti sono tutt'ora oggetto di studio e di completamento, essendo tronche o mancanti molte parole ai margini delle pagine, o poco leggibili per le macchie di muffa o di inchiostro. N. 91 ZUPPA ALLA PARMIGIANA Abbrustolite che saranno le fette di pane, si comoderanno nella zuppiera tramezzate di formaggio parmigiano grattato, e questo condito di noce moscata. Una mezz’ora prima di servire in tavola si bagnerà la zuppa con buon brodo di manzo, ma non in tanta copia, perché questa zuppa deve essere soda, si farà vicino al fuoco stufare, e si servirà coperta bene di parmigiano.
N. 92 ZUPPA DI RISO AI FUNGHI Prendete dei brugnoli secchi e fateli per mezz’ora stare in acqua con sale onde depurarli: quindi si mettono a cuocere con cipolla e grasso, e quando avranno soffritto per qualche tempo vi si porrà il riso che può occorrervi, condito di sale, spezie e petrosemolo trito. Di mano in mano che il riso bollirà verrà bagnato con brodo di manzo, e cotto si servirà.
n. 93 ZUPPA DI SPINACI Si prendono dei spinaci e dopo allessati si tritono e si fanno cuocere con butiro e cipolle. Bagnati quindi con tanta acqua per quanta ne dea servire per la zuppa, si condiscono di sale e spezie, e con questo brodo si bagnano le fette di pane abbrustolito e fritte con burro, servendosi la zuppa con parmigiano sopra.
n. 95 BOLLITO DI CAPPONE Si prende un cappone ingrassato in gabbia, e dopo averlo bene mondato si pone a cuocere entro una pentola con acqua e sale con sellero ed una cipolla steccata di cannella. La sua salsa nel servirlo sarà di gialli d’uova stemperati con poche goccie di limone e con poco brodo, e si serve a tavola.
n. 104 ARROSTO DI CAPITONE Se il capitone è di mare, ed è grosso, gli si toglie scorticandolo la pelle; s’è di fiume o di lago sarà molto meglio. Si tagli a giusti pezzi, e si condisca di olio, di sale, e di poco agro di limone e di semi di finocchi. Indi s’infila allo spiedo tramezzato di fronde di lauro, e si fa cuocere bagnandolo collo stesso suo condimento.
n. 111 PATATE AL BUTIRO Si mettono a cuocere le patate frà la brace, e cotte si puliscono della loro pelle, si fettano, e si accomodano nel piatto, tramezzate di ottimo formaggio parmigiano grattato e coperto di liquefatto butiro: così preparate si fanno raggrigliare a lento grado di forno, e si servono calde.
n. 106 CAVOLO FIORE ALLA LODIGIANA Bolliti per poco in acqua con sale i cavoli fiori, si passeranno in brodo condito di butirro, petrosemolo e sale. Dopo compiuta la cottura si accomoderanno nel piatto. Si farà quindi un sapore col latte, butiro, gialli d’uova, e parmigiano grattato, ponendolo a cuocere finchè sarà arrivato a giusta densità. Giunto alla cottura si verserà sopra i cavoli fiori caldi.
n. 108 ARROSTO DI CINGHIALE Si prende un pezzo di cinghiale e vi si conficcano i lardelli, e per una notte si lascia in adobbo di aceto, sale, agli schiacciati, fronde di lardo trite, garofani e cannella grossamente pesta, ed olio. La mattina presso le ore del pranzo s'infila allo spiedo e si fa cuocere a lento fuoco. Bisogna untarlo con olio e con l'adobbo già detto. Cotto si servirà con insalata.
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della vita
...Ai fornelli
Chef Maurizio Domizi Originario di Pollenza, giovanissimo entra nel settore della ristorazione come cameriere di sala in un ristorante di Porto Recanati. Nel 1988 apre il ristorante “Sandro e Maurizio” con un socio che si occupa della cucina mentre lui dirige la sala. Dopo una breve esperienza presso “Villa Castellani” a Mogliano, nel 1996 decide di aprire il ristorante - pizzeria “Antiche Mura” al centro storico di Treia con la moglie Milena. è qui che inizia la sua carriera in cucina. Segue diversi corsi di specializzazione presso l’Etoile a Chioggia e dopo dieci anni, puntando soprattutto sulla cucina del territorio, apre l’Osteria Cantagallo a Pollenza, dove dal giovedì propone piatti della tradizione regionale. Ecco le sue proposte per un menù particolare, ma di facile realizzazione. Buon appetito a tutti!
Maccheroni al Torchio con Verdure e Guanciale Croccante Ingredienti per 6 persone: per la pasta: • 500 gr farina • 2 uova intere • 1 dl di latte • sale per il sugo: • 150 gr cavolfiore • 1 patata • 5 alici sott’olio • 10 capperi • 10 pomodorini • 150 gr pancetta arrotolata • 20 pinoli tostati 30 gr spinaci PROCEDIMENTO: Impastare insieme le uova, la farina, il latte e un pizzico di sale fino ad ottenere un impasto piuttosto duro. Inserire la massa così ottenuta nel tritacarne, non munito di coltelli, e molto lentamente fare i maccheroni e lasciarli riposare per 5 minuti. Nel frattempo preparare il sugo. Far soffriggere in un po’ d’olio extravergine d’oliva le alici e i capperi. Aggiungere la patata precedentemente bollita e tagliata a dadini, il cavolfiore bollito e spezzettato, gli spinaci bolliti e un po’ d’acqua. Cuocere per alcuni minuti, aggiustare di sale e alla fine mettere i pomodorini tagliati a metà e i pinoli. Nel frattempo, in una padella antiaderente, rendere croccante la pancetta tagliata a striscioline. Lessare in acqua bollente e salata i maccheroni e dopo averli scolati, saltare nella padella con il sugo, metterli nel piatto da portata e disporre sopra il guanciale croccante.
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della vita
...Ai fornelli
Bocconcini di Filetto di Maiale al Varnelli con Millefoglie di Patate Ingredienti per 6 persone: • 3 filetti di maiale (circa 1kg) • 12 fettine di lardo aromatizzato • 6 cucchiai di panna fresca • 3 patate medie • 100 gr burro • Varnelli • origano • sale PROCEDIMENTO: Soffriggere in una padella antiaderente i filetti di maiale precedentemente salati, pepati ed arrotolati nelle fettine di lardo. Prendere un’altra padella, aggiungere 3 spruzzate di Varnelli e i filetti di cui sopra; fare evaporare, mettere un po’ d’acqua, la panna fresca, il burro e far cuocere per 10 minuti. Nel frattempo tagliare a fettine di mezzo cm di spessore le patate sbucciate. Disporre in una teglia rivestita di carta da forno le fettine di patate in 5 strati ognuno dei quali salati e pepati. Alla fine aggiungere un filo d’olio extravergine d’oliva e un pizzico d’origano. Infornare a 180° C per 10 minuti. Tagliare a fettine di 3 cm di spessore i filetti di maiale; impiattare, mettere sopra la salsa ed accanto il millefoglie di patate.
Semifreddo al Torroncino con Salsa al Cioccolato Ingredienti per 6 persone: per il semifreddo: • 2 uova intere • 150 gr torrone mandorlato • 75 gr zucchero • 200 gr panna fresca per la salsa: • 125 gr acqua • 175 gr zucchero • 150 gr cioccolato fondente • 75 gr panna fresca • 50 gr cacao amaro
PROCEDIMENTO: Montare i tuorli con lo zucchero; a parte montare a neve gli albumi con un pizzico di sale. Unire i due composti, aggiungere 80 gr di torrone finemente sminuzzato e poi la panna fresca montata. Mettere in stampini monodose e riporre in freezer per circa 4 ore. Far bollire in una padella l’acqua e lo zucchero, aggiungere il cacao e cuocere per 2 minuti. A fornello spento aggiungere il cioccolato precedentemente sminuzzato e, una volta squagliato, la panna fresca montata. Togliere gli stampini dal freezer, immergerli nell’acqua calda, capovolgerli sul piatto e decorare con la salsa al cioccolato calda e il restante torrone.
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il Gusto...
...Le Spezie
Il pepe
Re delle spezie.
di Daniele Malvestiti
Il pepe è una specie botanica usata come spezia e nel lontano passato anche come medicamento. Appartiene alla famiglia delle Piperaceae, tra le quali possiamo distinguere il Piper nigrum, il cubeba, l’officinarum e il longum. Tra i vari tipi, conosciamo i frutti della pianta del pepe nero (Piper nigrum), del pepe verde, di quello bianco e di quello rosa, le cui bacche provengono da un albero dell'America del sud. Il pepe fu usato come spezia in India sin dalla preistoria e la sua antichità è dimostrata ed indiscussa. Basti pensare che del pepe nero fu trovato in una mummia e più esattamente nella narice di quella del faraone Ramesse II, vissuto 13 secoli prima della nascita di Gesù Cristo. Originariamente fu coltivato nell’India meridionale e per secoli Venezia possedette il monopolio del commercio di questa spezia così preziosa che, per il suo pregio, venne anche chiamato “l'oro nero”. Essa era conosciuta anche nell’antica Grecia, anche se era poco diffusa e molto costosa, tanto che solo i ricchi potevano disporne. Anche gli antichi romani conoscevano il pepe di cui facevano grande uso. Plinio il vecchio nella sua “Naturalis Historia” scrisse che a Roma, nel primo secolo dopo Cristo, il pepe bianco costava 18 denari al chilogrammo ed il pepe nero soltanto 9 denari. Il pepe aveva una così alta quotazione da essere spesso usato come valore di scambio nei mercati finanziari e spesso addirittura come moneta. Si dice che sia l'Unno Attila che il Visigoto Alarico, quando assediarono Roma nel V secolo, chiedessero per la salvezza della città un riscatto di oltre una tonnellata di pepe. Esso veniva usato largamente come antibatterico anche se, pur essendo vero che la piperina, la sostanza che dona al pepe la sua piccantezza, ha alcune proprietà antimicrobiche, è altrettanto vero che la concentrazione allora usata aveva uno scarsissimo effetto terapeutico. Tuttavia il pepe nero figura spesso nelle ricette di medicina in India e in Siria, dove nel V secolo veniva prescritto per varie malattie dalla costipazione, alla diarrea, dal mal d'orecchio, alle malattie di cuore, ecc. Abbiamo accennato al fatto che il pepe riceve la sua piccantezza quasi completamente da un alcaloide denominato “piperina”, sostanza
questa che si trova sia nella polpa che nel seme. La piperina raffinata è piccante circa l'uno per cento rispetto alla capsaicina contenuta nei peperoncini. La polpa, che viene lasciata nel pepe nero, contiene anche importanti aromi quali: terpene, pinene, sabinene, limonene e caryophyllene che danno sapore di limone, di legno e di fiori. Questi profumi sono molto ridotti nel pepe bianco in quanto completamente privo della polpa. Il pepe bianco può contenere altri sapori a causa della lunga fermentazione e, in generale, questa spezia perde sapore ed aroma per evaporazione, pertanto la conservazione sotto vuoto aiuta a mantenere più a lungo la sua originale fragranza. Essa perde sapore anche quando viene esposta alla luce, a causa della trasformazione della piperina. Il pepe macinato perde subito il suo aroma e pertanto le ricette di cucina raccomandano di macinare il pepe al momento. Macina-pepe manuali vengono usati per macinare la spezia sia a tavola che in cucina. Macinini si rinvenirono nelle cucine europee sin dal XIV secolo ma il mortaio ed il pestello usati in precedenza rimasero in uso ancora per secoli. Il pepe è usato in tutto il mondo come condimento da tavola e per insaporire tutti i tipi di piatti salati; i grani interi si usano nei brodi, nelle miscele per salamoia, in alcuni salami e salsicce. Il pepe bianco sostituisce quello nero nelle salse bianche ma solo per un fatto estetico; i grani di pepe verde invece, più teneri, schiacciati si aggiungono a burro, salse alla panna per pesce, anatra, pollame e filetti di manzo. Il pepe è stimolante, tonico e antibatterico. La piperina che contiene, irrita la mucosa dello stomaco, ma nel contempo attiva la salivazione e la produzione di succhi gastrici, aiutando notevolmente la digestione. Nell’antichità a causa di tutte queste sue proprietà, non solo veniva usato come medicinale, ma anche come afrodisiaco sotto forma di decotto assieme ad altre spezie, ad altri aromi come la vaniglia ed al tabacco.
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della vita
...Merano Wine Festival
MERANO
È sceso il sipario sulla diciannovesima edizione del Winefestival&Gourmet
Kurhaus e Passirio
Una edizione dai grandi numeri che ha visto protagoniste le aziende del Fermano con i loro prodotti, definiti dalla stampa locale “vere e proprie eccellenze della gastronomia”. Il maestro Giorgio Nardelli, uno degli chef italiani conosciuti in tutto il mondo ha preparato, una degustazione dei maccheroncini de “La Campofilone”, con salsa di tartufo della “Feliziani” che ha catalizzato l'attenzione di moltissimi ospiti tra cui produttori italiani e stranieri.
Le Fermanelle
A r u ba l e o l i ve a l l 'a sco l a n a d e l l a “ Pa s t a d a Se rg i o, co m e l e acci ug h e sa l ate e m a r i n ate d e l l ' E u ro m a r. G ra n d i s s i m a la cu r i os ità e l 'at ten z i o n e pe r i l v i n o cot to d i M a s s i m o Ge r m a n i (pe r l a p r i m a vo lta a l W i n efes t i va l), co m e pe r l a g ra nd i s s i m a va r i età d i m i e l i d e l l 'a z i end a D e l G a t to. I sa l u m i d i Ci r i a ci, d i Lu i g i Recch i e d e l l 'a z i en d a Ci n q ue G h i a n d e, h a n n o co n q u i s tato i pa l at i d i m i g l i a i a d i pe r so n e ch e s i so n o i nfo r m ate su l l e “ tecn i ch e” di p rod uz i o n e e sug l i a l l eva m ent i. Le m a r m e l l ate d e l l a M o ret t a, ve re s peci a l ità, so n o a nd ate a r u ba pe r
Serata Inaugurale Merano WineFestival "Vin & Chapeau"
l a sodd i s fa z i o n e d e i p i ù g h i ot t i, m ent re l e g a l a nt i n e d i Ba ca l i n i, so p rat t ut to i l “Cosci o” a l fo r n o (u n cot to d i a s so l uto p reg i o) so n o s tate g et to n at i s s i m e dai b uo n g us ta i a ltoates i n i e s t ra n i e r i. Cu r i os ità ed a p p rez za m ent i a n ch e pe r l e ca r n i a lte r n at i ve (ci n g h i a l e, s t r uz zo, p i cci o n e, ecc.) d e l l a “A ra s” e pe r i va r i o l i ex t rave rg i n e d i o l i va d e l F ra n to i o Ag os t i n i. D if f i ci l e, se n o n i m pos s i b i l e, r i po r ta re i co m m ent i d eg l i os p it i ch e s i so n o d ocu m entat i a n ch e su l te r r ito r i o d e l l a n uova Prov i n ci a e su l l e a lt re p rod uz i o n i d i ecce l l en za d e i d i s t ret t i m a n i fat t u r i e r i. Q ues to
Helmuth Köcher - Nazzareno Di Chiara - Graziano di Battista
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il Gusto...
...Merano Wine Festival
Sgombro marinato con insalata di finocchio, arancio e giardinetta di verdure
Team degli chef - serata inaugurale "Vin & Chapeau"
pe rch è l e m i g l i a i a d i p resent i h a n n o pot uto a m m i ra re a n ch e sca r pe, bo r se, g i o i e l l i, pe l l et te r i a a e g l i a b it i rea l i z zat i d a g l i a l l i ev i d e l l a sez i o n e m od a d e l l ' I s t i t u to Pro fes s i o n a l e O s t i l i o R i cci d i F e r m o (i nd os sat i d a be l l i s s i m ee m od e l l e l oca l i), e pe r i d ue cos t u m i s to r i ci d e l l a Ca va l ca t a d e l l 'A s su n t a (a n ch e q ues t i c rea z i o n i d e l ' I s t it uto fe r m a n o) ch e h a n n o fat to ca l a re i v i s itato r i n e l l a s to r i a d e l l a cit tà ca po l uog o. Fa re oggi un bi lancio del la presenza del F e r m a n o a M e r a n o, n o n è fa c i l e. M a l a p r i m a i m p r e s s i o n e, d a i co m m e nt i d e l l e I s t i t u z i o n i p r e s e nt i e d i q u a nto a s co l ta to d a l s i n d a co d i M e r a n o, d a l p r e s i d e nte d e l G o u r m et e d a i co m m e nt i e l a s ta m p a l o ca l e, s i p u ò a f fe r m a r e c h e t u t to, n o n o s ta nte a l c u n e d i f f i co l tà d ov u te a l l a co m p l e s s a o r g a n i z z a z i o n e, i l b i l a n c i o d eve r i te n e r s i p i ù c h e s o d d i s fa ce nte.
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della vita
...Una bella storia
Tutto è cominciato perché cercavo (avevo bisogno) un po' di farro... Mi avevano consigliato di andare al cosiddetto “Polo Lionello”, un centro commerciale un po' particolare, a poca distanza dalla cittadella di Loppiano, sopra Incisa Valdarno (FI), del Movimento dei Focolari, in cui mi trovavo per un breve soggiorno. di Benedetta Curi Durante il tragitto, in un paesaggio tipicamente toscano, la visuale si aprì tra alberi e case, una grande costruzione moderna rossa e bianca mi si stagliò davanti, ero arrivata al Polo. Entrando, accolta in una piazzetta graziosa e silente, mi orientai a naso e sulla sinistra vidi delle vetrine interessanti e sfiziose che forse potevavo fare al caso mio. In quel periodo il farro era un tormentone per me e alcune mie amiche con cui si cercava di seguire l'alimentazione di santa Hildegarda, religiosa benedettina vissuta nel territorio germanico dell'Assia-Renania nel XII secolo, incentrata appunto sul farro come alimento base; volevo provare a preparare l'Habermus per colazione, una di quelle ricette complesse (con farro, mela cotta, miele, mandorle, cannella e spezie), la cui bontà non riesce a compensare la lunghezza, e che quindi è destinata a essere presto abbandonata, soprattutto la mattina appena alzati quando la pazienza e il tempo sono decisamente ridotti. Però in quel momento ancora non lo potevo sapere, e sotto effetto dell'innamoramento, il farro era il mio unico pensiero... Sugli scaffali di legno, numerosi prodotti esposti, e tra questi proprio il farro: trovato! Mi soffermai
sull'etichetta: "Terre di Loppiano. È più di un progetto è una filosofia". Trovai molto interessante questa cosa, e purtroppo per il mio agognato cereale qualcos'altro cominciò ad attirare la mia attenzione: l'alimentazione e la filosofia in collegamento tra loro. Pian piano il mio sguardo si allargò risalendo dal singolo prodotto che tenevo tra le mani, a ciò che si nascondeva dietro di esso: un progetto, una detereminata concezione di Essere e produrre nel Mercato, che lessi essere quella dell'Economia di Comunione. Da quel momento improvvisamente percepii Loppiano in modo nuovo ripensando a tutti i prati, ai campi coltivati, alle colline, ai vigneti, agli ulivi che avevo visto colorare il piccolo territorio e ricordai quell'espressione che tanto mi aveva colpito di Loppiano come “Monastero moderno”: una città internazionale concepita come centro di cultura in tutti i campi dell'umano; luogo di vita, di studio, ma anche di attività produttive, che fosse, però aperto e in dialogo col mondo, e che soprattutto rispecchiasse in questi aspetti la spiritualità lì vissuta, proprio come nel Medioevo. E nel caso di questo particolare monastero "aggiornato", il cuore pulsante di ogni relazione e attività è l' "Amore Reciproco", che alimenta anche la dimensione economica stessa. Un cereale tradizionale, una filosofia collegata ad una spiritualità, l'amore reciproco e l'economia: la storia cominciava a farsi interes-
sante. Per fortuna questi pezzi trovarono ordine e spessore grazie ad un dialogo avuto con il signor Giorgio Balduzzi, presidente della società "Terre di Loppiano". Tutto nacque dalla necessità di lavorare e far fruttare dei terreni che erano stati donati (dalla famiglia Folonari) a Chiara Lubich e al Movimento dei Focolari e che nel 1964 diedero vita alla prima cittadella. Un lavoro di bonifica e di rimessa in produzione che ha coinvolto inizialmente persone interne al movimento e che ha dato vita nel 1973 alla Cooperativa Loppiano Prima. Già dalla iniziale impostazione dell'azienda, le basi erano quelle che sarebbero state di un'azienda di Economia di Comunione, tanto che quando, agli inizi degli anni novanta, visitando i quartieri poveri di San Paolo del Brasile, Chiara Lubich ebbe l'intuizione della necessità di una Economia nuova radicata nella cultura del dare, attenta ai bisogni dei poveri ma anche ad una loro educazione e reinserimento nelle dinamiche di reciprocità della vita civile, la fondatrice del Movimento dei Focolari citò come esperienza già praticata e fruttuosa quella sorta a Loppiano. Nel 2005 la cooperativa confluì nella più complessa e articolata azienda Fattoria Loppiano, una forma più adeguata alle differenti dinamiche e possibilità di lavorazione e produzione, in un territorio sempre più vasto grazie al contributo di nuovi soci, arricchita ed ampliata anche nel settore dell'accoglienza e del Turismo (in particolare dell' Agriturismo).
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il Gusto...
...Una bella storia Con la nascita del Polo Lionello nel 2006, il centro commerciale un po' particolare di cui sopra, che raccoglie al suo interno le aziende in Italia e nel Mondo aderenti al progetto dell' Economia di Comunione, si è data maggiore visibilità a questa realtà, con un punto vendita di tutti i prodotti, non solo della Fattoria Loppiano ma anche delle altre aziende agro-alimentari di Economia di Comunione. Nasce così nel 2009 la società, che attualmente conta ca. 5000 soci, e il marchio "Terre di Loppiano", un nome che ricorda insieme all'originaria esperienza all'interno del movimento dei Focolari e della sua spiritualità, non solo un'appartenza territoriale, ma appunto un modus di agire ecomomico che appartiene a tutti coloro che mettono al primo posto il rispetto della terra e dell'uomo.
Con questo marchio, infatti, viene etichettata una ricca varietà di prodotti, esposti nel punto vendita del Polo, e proposti con una grafica innovativa, arricchita anche da consigli e ricette; oltre quelli più tipicamente toscani, prodotti nelle terre di Loppiano e dintorni, come il farro e l'orzo, sottoforma anche di pasta, "orzotti" e "farrotti", e che ancora vengono coltivati secondo l'antica pratica del sovescio, olio, vino Chianti d.o.c.g. Biologico, Spumanti e Vin Santo, trovano spazio anche una vasta produzione di mieli, confetture dolci e agro-dolci, sughi, thè e tisane, dolcetti, biscotti e crostate di farro, come anche prodotti provenienti da aziende di Economia di Comunione di altri paesi, come il caffè della Colombia, cioccolato dell'Ecuador, e una linea di cosmesi naturale dall'Argentina. Tutti i prodotti di "Terre di Loppiano" sono strettamente qualificati, sottoposti a numerosi controlli e la maggior parte è in possesso di certificazione biologica. Vivere nel Mercato in una maniera nuova, in cui si mette in comunione parte dei profitti dell'azienda per aiutare le persone in difficoltà creando posti di lavoro, per diffondere la "cultura del dare" e "dell'amore", per guardare allo sviluppo dell'impresa, senza alimentare rapporti di concorrenza ma di reciproco aiuto e arricchimento, non è semplice, e non è neanche il momento ottimale, dopo la crisi economica, mi disse lo stesso Giorgio Balduzzi; ma è proprio questo valore aggiunto, che sa di vita fraterna, di vita vera, (intuito inizialmente come possibile segno di speranza e cambiamento da un semplice ma profondo e ispirato sguardo d'amore. Sarebbe bello mettercelo ma la frase diventa troppo lunga), a colpire e ad essere accolto e riproposto da altre aziende in Italia e nel mondo, nonostante le difficoltà del momento. Altri Poli sono nati, attualmente ve ne sono nove in differenti paesi. La distribuzione dei prodotti "Terre di Loppiano" passa anche attraverso ristoranti e negozi che ne fanno richiesta (uno ne esiste a Civitanova Marche), e inoltre da maggio è possibile anche l'ecommerce (www.terrediloppiano.com), per un contatto diretto col privato anche a distanza, attraverso il sito dell'Azienda. Segno visibile di un’attività feconda e coinvolgente che lascia il segno. Quale mondo mi si è improvvisamente aperto, e pensare che era tutto cominciato dal farro.
...La Pizza
LA PIZZA
nella ristorazione
Oggi la pizza è considerata un prodotto necessario in tutte le forme di ristorazione. Ma non sempre, nel tempo, essa ha avuto uguale popolarità. Come tutti sanno nasce povera, serviva ad alimentare il popolo, alla pari del pane che entrava raramente nella tavola di Corte. di Renato Andrenelli A Napoli agli inizi del '70 0, la pizza veniva confezionata in forni a legna e venduta per le strade e i vicoli della città: un garzone di bottega, portando in equilibrio sul capo la stufa, recava direttamente agli acquirenti le pizze ben calde da mangiare ripiegate in quattro, avvisandoli del proprio arrivo con sonori e caratteristici richiami. È con l’avvento del ristorante (dal francese " restaurant") cioè una struttura edile nella quale vengono ser viti cibi e bevande varie, da consumare nel locale. Il termine ristorante compar ve per la prima volta nel XVI secolo, con il significato di "un cibo che ristora", e si riferiva specialmente ad una minestra ricca e di gusto raffinato. Il significato moderno del termine nacque attorno al 1765, quando un cuoco Parigino di nome Boulanger aprì un'attività di ristorazione. Il primo ristorante ad adottare la forma divenuta poi standard al giorno d'oggi (con i clienti seduti al proprio tavolo con la propria porzione, avendo inoltre la possibilità di scegliere la portata da un menu, durante specifici orari di apertura) fu la Grand Taverne de Londres, fondata nel 1782 da un uomo di nome Antoine Beauvillier. Sembra che il nome sia derivato dal motto "venite e io vi ristorerò" affisso nel primo locale di questo tipo. A cavallo tra il '70 0 e l'80 0, grazie anche a questo nuovo modo di consumare i pasti e con il diffondersi sempre più di locali adibiti all’uopo, comincia ad affermarsi l'abitudine di gustare la pizza presso i forni, oltre che per strada o in casa: nasce la pizzeria, inizialmente sotto forma di bancarella all'aperto e, successivamente, in locale in cui fermarsi a mangiare e conversare. Tutti frequentano questa tipologia di locale, i poveri perché esclusi dai banchetti signorili per differenza di classe sociale, i nobili (di notte) non disdegnavano questi locali popolani dove potevano concedersi stravizi. Nel XIX secolo la ristorazione acquisisce sempre più prestigio, derivante dal fatto che il nuovo modulo del ristorante, permette un
notevole contenimento della spesa e anche un minor spreco rispetto gli interminabili ed eccessivi pasti che le antiche corti offrivano agli invitati. Con l’avvento della diffusione di trasporti rapidi e del turismo di lusso si assiste ad un’evoluzione dell’arte della ristorazione, tanto da indurre professionisti del settore ad aprire alberghi di lusso per gli aristocratici e per la borghesia danarosa. Il divario tra ristorazione e pizzeria si allarga sempre più privilegiandone il ristorante. Ma lo sviluppo turistico automobilistico, che permette anche alla popolazione di spostarsi agevolmente fornisce un impulso all’incremento di trattorie, osterie, bar. Dalla seconda guerra mondiale in poi si crea un ulteriore divario nella ristorazione: vanno in crisi gli alberghi di lusso, il ristorante va verso una ricerca sempre più esasperata della qualità, mentre la cucina regionale tipica e tradizionale ritorna in auge anche grazie a movimenti come lo Slow Food fondamentalmente orientati alla rivalutazione delle tradizioni tipiche del territorio. Queste nuove frontiere della società moderna fanno esplodere il prodotto pizza, che per molti anni ha avuto un successo timido, costante, anche se vissuto all’ombra della ristorazione blasonata. A Milano, nel 1954, dove gli abitanti erano circa un milione e cinquecento mila, esistevano solo sette attività con l’uso di pizza. Negli anni settanta ed ottanta la presenza della pizza nella ristorazione diventa sempre più importante. Prolificano le pizzerie, sia nelle grandi città che in provincia. Nello stesso periodo nasce la prima Associazione di Pizzaioli. Scoppia il boom della pizza, divenendo un fenomeno planetario. Quello che fino agli anni sessanta era considerato un mestiere riser vato a chi non aveva voglia di fare niente, l’ultima spiaggia prima della perdizione,fa divenire il pizzaiolo un operatore ricercato, sempre più coccolato e ambiziosamente conteso, tanto da essere pari ad un grande chef. La pizza, sempre più, diventa importante nella compilazione dei
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il Gusto...
...La Pizza menù del ristorante pizzeria, della pizzeria con l’uso di cucina. Nascono le prime forme di ristorazione veloce legate alla pizza e agli spaghetti, come pure pizzerie al taglio e da asporto. La pizza entra a pieno titolo in tutte le forme di ristorazione ed è elevata al rango di ambasciatrice della dieta mediterranea nel mondo.
Riconosciuta universalmente dal comparto medico come la migliore dieta contro lo stress della vita moderna. Un grande successo annunciato, una conferma per la pizza che nel tempo ha destato curiosità, passione, amore per i suoi ingredienti ma anche per la versatilità, il modo e le modalità del suo utilizzo. Recenti statistiche ci informano che appena nel 1993 le pizzerie classiche, con ser vizio al tavolo, erano in Italia 19.0 0 0 per giungere nel 2010 a 25.0 0 0, mentre circa 27.0 0 0 sono le pizzerie senza ser vizio ai tavoli o in aggiunta ad altre attività. Prendendo per riferimento sempre lo stesso periodo di tempo, l’incidenza del prodotto pizza, nella ristorazione italiana, passa dal 29,6% del 1993 al 40% nell’anno 2010. Una conferma della sua riconosciuta passione culinaria che da tutto il mondo le si inneggia. Destinata nel tempo a confermarsi, ad giungersi anche nei menù dell’alta cucina, elaborata dall’abilità dello chef, ma indubbiamente presente per accontentare i gusti di tutti i commensali siano loro abbienti o meno abbienti.
Pizza Golosa
Tempo di preparazione 10 minuti, tempo di cottura 2 / 5 minuti, temperatura del forno 350° C (a casa al max). Gli ingredienti per una pizza: - 200 g pasta ben lievita - 80 g mozzarella - pomodorini n. 4 - 200 g tagliata di manzo - 40 g rucola - 40 g parmigiano a scaglie - aceto balsamico - olio extra vergine di oliva - sale q.b. Per la preparazione della pasta: vai alla pagina pizza a casa del sito wwwpizzamarche.com e troverai tutto il procedimento per un'ottima pizza fatta in casa. Per gli ingredienti: disporre sul disco di pasta la mozzarella. Mettere al forno e cuocere. Nel frattempo preparare la tagliata di manzo cotta alla griglia. Farcire la pizza appena uscita dal forno con la rucola, la tagliata calda e decorare con pomodorini e parmigiano a piacere. Condire con sale e olio e dell’aceto balsamico (se piace). Servire ben calda.
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della vita
...Le Castagne
LE CASTAGNE E IL GUSTO DELLA VITA nell’autunno di Smerillo
di Giovanni Zamponi Le castagne sono buone. È un film di Pietro Germi con Gianni Morandi (1970). E devono essere buone veramente, se quando l’autunno si inoltra verso le lunghe notti, con le sue brume tinteggiate dal multiforme rosseggiare delle foglie che si estinguono, i riti delle castagnate punteggiano la vita dei nostri paesi. Quella che si vive ogni anno a Smerillo è di sicuro la più nota e gustosa, e quest’anno è la trentesima organizzata dal borgo sibillino. Non è solo questione di castagne e di dolci, di acquaticcio e hot dog; v’è anche da predisporre un complesso e arduo sistema di accoglienza, perché le strade di accesso da Montefalcone, Comunanza e Val di Tenna saranno occupate dalle auto per quasi tre chilometri, in un andirivieni allegro e ordinato dei frequentatori. Il pittoresco trenino che negli anni scorsi ha fatto da navetta fra boschi e campagne, quest’anno è stato sostituito da agili accoglienti pulmini. Ma c’è chi della castagnata smerillese non vuole perdersi nulla, proprio nulla; e allora, fin dalla sera prima, prende posto con il camper lungo il tracciato delle antiche mura. E sono tanti, dal paese a fin dove comincia il silenzio profondo e silvano della notte: una notte d’attesa, che sarà comunque meravigliosa, sia che brillino le infinite stelle di quel cielo, sia che l’aria sia fatta di nebbia; una nebbia che a Smerillo è comunque bella e, quando c’è, completa il fascino misterioso della castagnata. Le castagne frequentano anche le nostre città, e non mancano certo le castagnate a valle. Del resto, chi non ha nostalgia delle caldarroste che si gustano a Roma, belle, grandi e calde, e costose, curate ad una ad una da affumicati folkloristici caldarrostai? A Smerillo, tuttavia, le castagne sono più buone; perché sono profumate di altre percezioni, di altre parole, di altri significati. Gustando le castagne di Smerillo, al cospetto della montagna, si gusta la montagna, e non solo come pura evasione. «La montagna – scrive Francesco Tomatis in Filosofia della montagna – è altamente istruttiva, può suggerire soluzioni ai più complicati interrogativi filosofici o ai nostri problemi quotidiani non ritrovabili altrove. Che si voglian considerare questioni ecologiche, alpinistiche o educative, politiche, religiose o esistenziali, alimentari,
linguistiche o musicali, o tante altre ancora, la montagna non solo insegna, ma anche appassiona; perché in ogni modo la si percorra, da qualsiasi prospettiva la si veda, essa è sempre profondamente vera, secondo una ricchezza semplice e inesauribile, sperimentalmente esemplare per ciascun uomo e per tutte le creature». «Ci sono – riflette lo scrittore Carlo Coccioli – cose essenziali, e altre che non lo sono. Forse vivere utilmente è imparare a distinguere fra le prime e le seconde. L’uomo lo impara raramente. C’è un involucro opaco intorno agli esseri e alle cose e agli eventi. Forse è primordiale compito nostro lacerare l’involucro. Quando ci si riesce, una lucidità cambia il mondo e la vita. E ciò che apparentemente è banale germina in meraviglie». E Franco Arminio, pure lui scrittore, e poeta e paesologo, riferendosi proprio a Smerillo, annota: «Dove c’è poco in genere c’è molto. Le cose ti arrivano distinte, ti attraversano senza oltraggiarti e le attraversi con un filo di clemenza. Smerillo è un luogo pulito, un luogo senza aggiunte e mescolamenti. Come un albero, come un fiore. Tanto basta per avviarlo a una piccola beatificazione. Tanto basta per farci pellegrini e andarlo a trovare». «Quello che tròi magni», recita un rustico invito sopra un rustico stand il giorno della festa; ma qui veramente c’è di tutto, e non sai a che dar retta. Ma per me dire castagnata è dire caldarroste, e lì mi fermo, insieme a un paio di bicchieri di acquaticcio. Egidio, il sindaco, di caldarroste me ne fa portare un bel sacchetto, croccanti e fumanti. E cominciamo una calda chiacchierata; poi chiama Cesare, che sta attizzando, tutto arroventato, un enorme braciere. Cesare è uno di quelli tosti, e
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...Le Castagne pratica il pendolarismo pedestre: tutti i giorni, da Smerillo a Comunanza, e da Comunanza a Smerillo, in tuta da jogging per recarsi al lavoro, a piedi e di corsa, con «nubilo et sereno et onne tempo» (Cantico delle creature). Trenta chilometri fra andata e ritorno. È entrato nella settima dècade, ma non decàde. «Ha battuto le castagne de notte», mi fa Egidio. «A luce de luna?» «Macché, co’ ’na luce su la testa». Come i minatori. Se qualcuno, all’oscuro di queste cose, ha intravisto la scena, horrifice amplificata dalla cava ombra del silenzio, sarà scappato con le gambe sulle spalle; e avrà già messo in giro la storia del diavolo o del fantasma bacchiatore! All’arrivo, di bella mattina, mi accoglie un’aria tenera, come quella cantata da Luciano Erba: «Aria, che tu sia ben tornata, / vieni da ore che non hanno data». Quest’aria, l’odore umido del sottobosco, le foglie avvizzite che piovono sulla strada, il tono generale dell’ambiente, tutto mi trasmette qualcosa che ha sempre a che fare con la freschezza di un inizio; l’indizio di uno spirito di terra e di cielo che, respirando, infonde un po’ di voglia di vivere. Di gusto di vivere. Andando via, sul far del crepuscolo, mi accompagnano i perenni versi di Virgilio: «Sunt nobis mitia poma, / castaneae molles et pressi copia lactis; / et iam summa procul villarum culmina fumant, / maioresque cadunt altis de montibus umbrae» (Abbiamo mele mature, / fresche castagne e abbondanza di latte cagliato; / lontano fumano i camini sui tetti delle ville / e vaste ombre cadono dalle alte montagne). E mi giova Leopardi: «Nell’autunno par che il sole e gli oggetti sieno di un altro colore, le nubi d’un’altra forma, l’aria d’un altro sapore». Mentre De Gregori canta in sottofondo: «Mangiamo pane e castagne … / Ci sta una terra di nessuno / da qualche parte del cuore… / E ci si deve arrivare / aspettami ogni sera…».
...Piatti della Tradizione
LO STOCCAFISSO in Porchetta Prof. Stefano Isidori
Fino ad alcuni decenni fa, sulle colline dell’entroterra fermano, lo Stoccafisso, così come gli altri pesci conservati (baccalà, sgombro sott’olio, arringhe, sarde, ecc.) era considerato l’alimento per i giorni di “magro”, cioè quelli dove la religione cattolica vietava il mangiare grasso, la carne.
(sommelier AIS Sez. Fermo)
Stoccafisso delle isole Lofoten / Norvegia.
L’uso di pesci conservati era dovuto alla scarsità di sistemi di conservazione alternativi (frigoriferi) e così, gli unici pesci possibili da consumare sulle alture collinari erano quelli essiccati, salati o conservati sott’olio! L’utilizzo del pescato fresco, che naturalmente anche in tempi remoti si trovava in collina, era riservato alle famiglie più nobili o dell’alta borghesia, che avevano possibilità economiche per acquistare le prelibatezze fresche, che date le difficoltà di conservazione, avevano prezzi proibitivi per il paesano, il mezzadro o il piccolo artigiano. Ecco allora che tutte le “Vergare” di quel tempo, avevano modi e usanze diverse per preparare piatti con questi pesci anche in base alle loro disponibilità o meglio in base alla possibilità di acquistare elementi preziosi per arricchire la preparazione. A dire il vero, le ricette erano di solito semplici, o perlomeno erano semplici gli ingredienti, prevalentemente raccolti nell’orto o nei campi e conservati con quelle tecniche che erano proprie dei nostri avi, le conserve di pomodoro a “bagnomaria”, le verdure sott’olio o sottaceto, oppure essiccati. E questa sembra proprio l’origine della ricetta che riporto e che mi ha concesso Nonna Blandina, simpatica signora del 1925, nata in un’umile casa contadina delle colline di Fermo e che, come si usava in quel periodo nelle famiglie meno abbienti, le prime figlie femmine, era-
no obbligate a casa ed impegnate nelle faccende domestiche fin dalla tenera età, quando i genitori andavano nei campi a lavorare. Ebbe la possibilità di studiare, ma solo fino alla seconda elementare, poi, all’età di otto anni, iniziò, per così dire, la sua attività lavorativa. Tutto quello che sa fare in cucina, lo ha appreso da sua madre, che a sua volta, lo apprese dalla sua e così via dicendo … questo mi induce a pensare che la ricetta faccia parte di quella “Cultura Popolare” relativa ai nostri territori. La ricetta dello Stoccafisso in Porchetta prevede l’utilizzo, oltre che del pesce, rigorosamente “Ragno” e almeno di due o tre chilogrammi di peso, di tutto ciò che era a portata di mano in campagna, senza spendere altro denaro, quello che si poteva spendere era destinato allo Stocco!! E allora largo uso delle erbe aromatiche che crescevano spontanee nei nostri areali: rosmarino, timo, maggiorana, finocchio selvatico, aglio e cipolla conservate intrecciate nei sottotetti dei granai, olive in salamoia, pomodori a pezzi in vaso conservati a bagnomaria, pepe nero in grani (un po’ di quello comprato per la “salata”) olio extravergine d’oliva (che forse non era proprio extravergine, perché era consuetudine utilizzare quello dell’anno precedente e perciò in avanzato stato di “irrancidimento”), e vino bianco del territorio (l’antenato del Falerio) ottenuto da un “melange” di uve trebbiano, malvasia, verdicchio, passerina e pecorino.
Era un piatto comunque considerato ricco, anche se il costo dello Stoccafisso era piuttosto basso, ma per quel tipo di sopravvivenza contadina, la spesa era importante. Era considerato il piatto tradizionale della cena della vigilia di Natale, e la preparazione avveniva rispettando scrupolosamente un rituale che in alcune famiglie, dove sopravvivono ancora ottuagenari, viene meticolosamente rispettato!! Il lavoro era ripartito in compiti precisi e rituali, suddivisi in base alle competenze e le capacità, “lu Vergà” comprava e accudiva lo Stocco, trovava le erbe aromatiche, e “cacciava lo vì da la votte” e soprattutto assaggiava, durante la cottura, la preparazione. Il resto lo faceva la Vergara. Perciò, lo Stocco, comprato rigorosamente secco, si teneva a “bagno” almeno per due settimane. Nella prima, “lu Vergà” cambiava l’acqua, la mattina e la sera; nella seconda, il contenitore occupato dallo Stocco, era posto sotto il rubinetto costantemente aperto a “filo”. La mattina dell’antivigilia di Natale (il 23 dicembre), sempre Lui, andava nei campi a trovare il finocchio selvatico e le altre erbe aromatiche; la sera “la Vergara” iniziava la preparazione. Lo Stocco
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il Gusto...
...Piatti della Tradizione era mondato e tagliato a tocchi (trance); poi venivano preparate tutte le erbe aromatiche, lavate e spezzettate a mano, si spellava la cipolla e l’aglio che poi venivano tagliati grossolanamente. Si apriva il barattolo dei pomodori conservati a pezzi e quello delle olive in salamoia sciacquandole in abbondante acqua, si prendeva l’olio vecchio e il vino bianco. Utilizzando una pentola alta in terracotta o, per quelli che l’avevano in acciaio, si iniziava a stratificare tutti gli ingredienti. Sul fondo si faceva una base con gli stecchi del finocchio, aglio, cipolla, pepe in grani, le altre erbe aromatiche, olio, pezzi di pomodoro, olive e infine lo stocco tagliato. Si continuava l’alternanza fino alla fine degli ingredienti e poi si colmava la pentola con il vino bianco e abbondante olio. Il preparato era posto sul terrazzo e lasciato al freddo (specie di criomacerazione) per permettere alle erbe aromatiche di profumare i pezzi di Stocco, anche grazie alla presenza d’olio (le molecole odorifere sono liposolubili). Il giorno della Vigilia la Vergara si alzava di buon ora (le quattro), accendeva il fuoco e metteva la pentola su di esso fino a bollitura, poi abbassava la fiamma (chi aveva il gas) o allontanava la pentola dal fuoco e la poneva sulle braci, per mandare avanti la cottura, fino all’ora di pranzo. Qui si compieva un altro rito, quello dell’assaggio da parte de lu Vergà! Perché il piatto si consumava a cena, però a pranzo si assaggiava per vedere se il condimento era giusto … Puntualmente lo Stocco risultava “sciapu” (insipido). La Vergara toglieva la pentola dal fuoco, aggiungeva un pugno di sale grosso e imprecando usciva dalla cucina. Nel pomeriggio, verso le cinque, si sistemava di nuovo la pentola sul fuoco, a bollore si allontanava o si abbassava la fiamma e si lasciava sobbollire fino all’ora di cena!! Verso le otto tutta la famiglia si riuniva intorno al tavolo, dopo le preghiere di rito, la Vergara finalmente sistemava la ricca pentola sul desco, toglieva il coperchio e la stanza si riempiva del fragrante aroma dello Stocco in Porchetta!
Buon appetito a tutti!
presidio: CICERCHIA
SERRA DE’ CONTI
di Meri Ruggeri Fiduciaria Slow Food Fermano
Sono i contadini, quelli di un tempo e non gli imprenditori agricoli di oggi, che hanno mantenuto vive le coltivazioni tradizionali che ora possiamo vantare. Si sa che l’agricoltura è cambiata e con essa il nostro modo di alimentarci. Spesso si rievocano i periodi in campagna quando la vita era più semplice e il pensiero più “genuino”. è forse vero che l’alimentazione era più sana perché non si spendevano soldi in sementi “speciali” e trattamenti di ogni sorta?. Si dava spazio a ciò che cresceva con naturalezza sul territorio perché assicurava il raccolto e quindi dava cibo alle famiglia numerose che lavoravano i campi. Le produzioni più rustiche, più radicate al territorio rappresentavano il cibo necessario al sostentamento quotidiano e non la prelibatezza. Molti prodotti, coltivati tempo fa, spesso snobbati ma oggi riscoperti e valorizzati, sono entrati a far parte della nostra alimentazione; la cicerchia, la roveja e le taccole, senza escludere il farro ne sono esempio. Nella Valle del Misa, a Serra Dè Conti, la volontà di pochi agricoltori di preservare tali prodotti, sta gratificando l’intero territorio. La cicerchia di Serra Dè Conti fà parlare di sé in maniera particolare dopo che lo Slow Food ne ha realizzato un Presidio, mezzo con cui ne ha favorito la tutela e l’incremento della produzione, attraverso un disciplinare che ne regola la coltivazione e la trasformazione. In principio quattro aziende, ora alcune in più, riunite nella Cooperativa "La Bona Usanza" dal 1998, (anno di nascita del Presidio), stanno producendo e distribuendo la “cicerchia di Serra Dè Conti”. Di antiche origini, già presente con molteplici varietà nelle zone del Medio Oriente e nel sud dell’Europa, oltre che nel centro-sud Italia comprese le Marche, la cicerchia ha sempre avuto poca importanza, al punto da essere abbandonata e dimenticata. Ogni contadino nel territorio di Serra Dè Conti, in primavera effettuava la semina abbinandola al granoturco così come avveniva per
DI
ZUPPA DI CICERCHIA CON CASTAGNE
fagioli e ceci. Nel mese di agosto raccoglieva ed essiccava al sole le piantine da cui poi si ricavava la granella, utile scorta per l’inverno visto l’elevato contenuto proteico (dal 25 al 27%). Con gli anni gli agricoltori, tra le varietà diffuse sul territorio, hanno selezionato le piante che meglio si adattavano riuscendo a recuperare una tipologia unica che si differenzia dalle altre, nonostante sia rimasta presente, una grande variabilità genetica. L’essere coltivazione marginale e per questo rustica, ne ha favorito la diffusione grazie alla capacità di adattamento al territorio, permettendo di ridurre gli interventi chimici ed avere coltivazioni in ambito biologico o di basso impatto ambientale. Le caratteristiche della Cicerchia di Serra Dè Conti sono quindi distinguibili e per questo oggetto del “Presidio Slow Food”. Il seme è di dimensioni medio-piccole con forma schiacciata, spigoli più o meno evidenti di colore giallo-grigiastro con sfumature marroni, buccia poco coriacea e un gusto meno amaro delle altre varietà; il numero medio di semi per baccello è 2,5. Analizzando l’utilizzo in cucina, non si può tralasciare il fatto che essendo una leguminosa, i processi per giungere alla cottura sono piuttosto lenti: un periodo di ammollo di circa 5 h infatti permette di raggiungere cotture ottimali in soli 40 minuti. Utilizzata principalmente per le zuppe, può essere macinata per ottenerne una farina da cui, la tradizione vuole si realizzino maltagliati o pappardelle condite con sughi di guanciale, innevati di pecorino locale. Localmente, su consiglio della citata Cooperativa di produttori, la cicerchia viene essiccata insieme a foglie di alloro e grani di pepe per assicurarne la conservazione. A voi la prova, con l’assoluta certezza che gustando un bel piatto di cicerchia, avrete riscoperto sapori dimenticati, che grazie all’impegno di alcuni appassionati, oggi resiste ai fenomeni di omologazione che attanagliano l’agroalimentare.
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della vita
...Diario di bordo
Ma quanti bei locali… di Adolfo Leoni
Inizio dalla Locanda di san Rocco. Si trova a Fermo, sotto i portici del 1400 dedicati all’omonimo santo. Proprio sotto quei portici, in un giovedì d’estate, quando in piazza del Popolo c’era il tradizionale “mercatino”, ci realizzai un’intervista con Giorgio Gaber. Il Signor G si diceva estasiato del luogo. Beh, ai piedi del loggiato più antico c’è la Locanda di cui dicevo. Mio figlio Carlo mi ha rivelato che la frequenta il venerdì sera e qualche volta anche di sabato. Ci va con gli amici sangiorgesi. Che, incredibile a dirsi, risalgono la collina per frequentare un pub fermano. Significa che ne vale proprio la pena. Ci ho fatto caso: le sere dei fine settimana è sempre pieno. Ci sono andato, curioso, in un tardo pomeriggio. Sono entrato nelle due nuove stanze sopra l’originario locale. “Posso dare uno sguardo?”. “Certamente: s’accomodi. Prende qualcosa?”. Ottimo l’approccio. Capisco il buon risultato. Lì, proprio a due passi, sotto gli stessi portici, c’è L’enoteca bar a vino. Un po’ vecchia trattoria, un po’ locale dei tempi andati, dal sapore di buono. E che cucina! Sempre pieno d’avventori. Sicuramente il luogo porta bene. Perché a fianco dei portici del Quattrocento, ci sono quelli del Cinquecento. E c'è la Bottega degli Alimentari di Roberto Cognigni. A parte il fatto che ci trovi ogni ben di Dio, il sig. Roberto ha la cultura ed il gusto di raccontare la provenienza dei suoi prodotti. Mentre incarta o mentre si lava le mani dopo ogni taglio di prosciutto, offre informazioni delle aziende ed anche riferimenti turistici della città. Un po' salumaio un po' guida. Molto ospitale!!! Mi sposto a Porto San Giorgio. Alcuni amici mi hanno segnalato il Caffè
dei Fiori. Si trova nei pressi dell’arena Europa. Entro. È un locale piccolo ma accogliente. 25 persone al massimo, tavolini quadrati, bell’esposizione di vini, ottimi i formaggi e i salumi. Prezzo onestissimo. Al bancone: due giovani. Un lui e una lei. Simpatici e pronti a raccontarti l’origine dei prodotti. Benito Ricci ha riaperto la Tavernetta all’interno del suo ristorante di Magliano di Tenna e l’ha consacrata alla pizza. Io ne sono fanatico. Ci vado con conoscenti e godiamo della leggerezza e del sapore. Bravo, Ben! Salgo a Montefalcone Appennino. Vorrei incontrare padre Marco Rubiu. È il parroco. Abbiamo fatto un convegno insieme sul tema della Cavalleria medievale. Lui ha parlato dei Templari. È un esperto di san Bernardo. È Cistercense. Non sta in canonica. Mi consolo con una ciambelle di mosto del vicino forno. Una delizia! Non la mangio tutta, perché scendendo voglio passare da quel Generi Alimentari che si trova al bivio con Monte San Martino: ha salsicce e salami di gran qualità. Il pane non vi dico! È domenica mattina. Prima di andare a messa, voglio acquistare paste fresche. Dove? 180° gradi è una garanzia. Si trova a Fermo dirimpetto allo storico Istituto Montani. Nel pomeriggio ci torno per un tè e dolcetti. Tre giovedì fa ha ospitato un incontro tra la filosofia e il Gusto. Come faccio a non parlarne su Il Gusto… della Vita? Sono a tavola con i miei, ora di cena. Sono un fan di Enrico Mentana e del su Tg su La7. Politicamente sono tempi difficili. Sarà per l’ora, ma i servizi televisivi abbondano di un gergo alimentare. I “bolliti” sono tra i più citati. Saluti a tutti e che… Il Gusto… sia con voi.
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il Gusto...