NUMERO 18 | FEBBRAIO 2016
STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE
MAGICO RETAIL ITALIANO Nel nuovo flagship store di Milano, Ovs ha concentrato il meglio della tecnologia per il commercio al dettaglio. Puntando sull'omnicanalità.
TREND 2016
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Le tendenze più forti della tecnologia per l'anno appena iniziato. L'importante, per oggetti e persone, è essere connessi.
BROADBAND
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Uno speciale dedicato alle nuove reti ultra-veloci, per capire come comunicheranno e lavoreranno cittadini e imprese.
OBBIETTIVO SU
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Nel settore della banda larga e della produzione di fibra ottica, l'asso nella manica del nostro Paese si chiama Prysmian.
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SOMMARIO 4 STORIE DI COPERTINA STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE
Ovs: la magia del nuovo retail omnicanale
N° 18 - FEBBRAIO 2016
9 IN EVIDENZA Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012.
Si investe abbastanza in innovazione? Giganti a braccetto nell’Iot Anche gli smartphone ballano il Project Tango
Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Carlo Fontana, Paolo Galvani, Stefano Guidotti Fabrizio Tittarelli
L’opinione: Il Devops non teme l’outsourcing Le auto del futuro e le fabbriche senza difetti L’elettronica di consumo segnerà il passo
16 SCENARI Dove ci porterà la tecnologia nel 2016?
Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Dollar Photo Club, Istockphoto, Martina Santimone
Il digitale entra in negozio e lo rinnova Pmi: la trasformazione giova al business
25 SPECIALE BROADBAND La fibra italiana contro il digital divide L’imperativo della trasformazione digitale Il cuore delle Ngn è in Italia
34 ECCELLENZE.IT Kunzi - Sap Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Faruffini, 13 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.com Stampa: RDS Webprinting - Arcore
Umbra Group - Microsoft Gruppo Marcegaglia - Cisco Twin Set Simona Barbieri - Vmware
38 ITALIA DIGITALE Traguardo comune: attuare l’agenda Un (piccolo) ecosistema che corre veloce
© Copyright 2016 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.
42 OBBIETTIVO SU Prysmian
47 VETRINA HI-TECH I nuovi Pc convertibili In prova: HP Envy 800
Pubblicazione ceduta gratuitamente.
STORIA DI COPERTINA | Ovs
LA MAGIA DEL NUOVO RETAIL OMNICANALE Ovs ha coronato la sua strategia digitale con l'apertura del nuovo flagship store di Milano, un concentrato di soluzioni tecnologiche innovative. Tutto perfettamente integrato con l'ambiente Web, l'app e i social network. 4
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l primo passo, nel 2013, è stato l’ecommerce. Poi, per Ovs, retailer leader nel settore dell’abbigliamento appartenente al Gruppo Coin, è iniziata la corsa all’hi-tech. Fino ad arrivare, lo scorso settembre, all’inaugurazione di quello che probabilmente è il punto vendita più tecnologico nel suo segmento, in grado di accontentare i più esigenti tra i clienti nativi digitali: il flagship store di corso Buenos Aires a Milano. “Con le vendite online”, dice Monica Gagliardi, direttore e-commerce,
Crm, Web & digital di Ovs, “la nostra intenzione era già quella di creare una vera e propria piattaforma digitale che ci permettesse di espandere le interazioni con i clienti anche nei negozi fisici”. Era l’inizio di un percorso che avrebbe portato a una multicanalità decisamente spinta, soprattutto se rapportata alle soluzioni realizzate fino a oggi in Italia nel settore. Una visione, che puntava sull’hi-tech per colpire il nuovo “omnicustomer”, il cui effetto collaterale (ovviamente voluto e pianificato) era anche quello di favorire il riposizionamento
ALL’ATTACCO DEL NATIVO DIGITALE Ovs appartiene al Gruppo Coin ed è tra i più importanti “value fast fashion retailer” in Italia. A livello mondiale i punti vendita sono circa 800. L’attenzione alla qualità e un continuo rinnovamento di prodotto ne caratterizzano l’assortimento, che si arricchisce periodicamente di collezioni frutto di collaborazioni con noti designer o talenti provenienti da famose scuole di moda interna-
zionali. Ovs offre oggi un’inedita esperienza di shopping con il suo online store e propone al cliente un’esperienza omnichannel sempre più innovativa grazie ai servizi di click&collect, ai camerini virtuali e ai totem interattivi presenti nei suoi store. Nel 2014 ha vinto il premio Innovative@retail Award come miglior webshop italiano e nel 2015 l’Innovative Customer Experience di Demandware.
SED UT PERSPICI ATIS PERSPICIATIS
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STORIA DI COPERTINA | Ovs
di un brand, Ovs, che avrebbe dovuto avvicinarsi di più al cliente ed essere più “fashion”. In soli due anni, il team di cui Gagliardi fa parte ha costruito un sito e un canale e-commerce moderni e integrati con il sistema retail, ha realizzato un’applicazione (per iOs e Android) che è una specie di passaporto digitale al mondo Ovs (con cui è possibile consultare il catalogo online ma anche, grazie alla geolocalizzazione, verificare in quale negozio è disponibile il prodotto desiderato) e ha creato una serie di soluzioni hi-tech che arricchiscono la customer experience in negozio, tutte visibili nel nuovo flagship store di Milano (e, in ordine sparso, in altri punti vendita). C’è un sistema di “proximity marketing” basato su tecnologia Beacon, integrato nella soluzione Ovs Connection Message, che prende sotto braccio il cliente all’ingresso del negozio e lo accompagna, attraverso il proprio smartphone, lungo un “racconto” studiato e personalizzato che procede anche senza l’intervento del personale di vendita. C’è un nuovo sistema di pagamento attivabile mediante l’applicazione (Ovs Powatag) che facilita la finalizzazione degli acquisti. Ci sono i “camerini magici”, i Magic Fitting Room, dove i clienti possono provare in modo virtuale tutti i capi che vogliono (chiedendo in tempo reale, se necessario, i prodotti “in carne e ossa” agli addetti alle vendite, anch’essi dotati di dispositivi mobili). Ci sono i chioschi interattivi dove si può verificare, attraverso i Qr Code stampati sulle etichette dei prodotti, la disponibilità a magazzino delle taglie. Ci sono le aree di intrattenimento dedicate ai più piccoli (un bambino su due in Italia, secondo le statistiche dell’azienda, veste Ovs) e c’è, naturalmente, la rete WiFi gratuita. In sintesi, il nuovo negozio meneghino è un vero e proprio laboratorio a cielo aperto che serve da campo scuola per il retail italiano (e non solo) del futuro. Emilio Mango 6
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TRA I PARTNER SPICCA GOOGLE I camerini virtuali realizzati all’interno del flagship store Ovs di corso Buenos Aires, a Milano, sono frutto della collaborazione con Injenia, che ha utilizzato la tecnologia Google For Work per migliorare la user experience dei clienti in un’ottica omni-canale. La soluzione “Play your look”, che permette ai bambini di sperimentare il proprio stile musicale facendo letteralmente suonare i capi di abbigliamento, è stata invece sviluppata dal gruppo europeo Econocom. Grazie alla piattaforma, il cliente sceglie gli articoli di suo gradimento e poi lascia che il tavolo interattivo presente in negozio legga i Qr Code dei capi. Sul plasma posizionato sulla parete antistante viene non solo visualizzato il risultato finale del look costruito con i vestiti scelti, ma anche eseguita la musica corrispondente agli articoli, con strumenti ed effetti differenti a seconda delle scelte compiute. La rete di sensori Beacon che permettono di identificare il cliente
nel corso della sua esperienza di acquisto in-store sono invece stati integrati da Ecods, società italiana specializzata nel marketing di prossimità. La piattaforma di e-commerce e i chioschi interattivi, infine, sono stati sviluppati insieme a H-farm Industry.
Una donna al timone della strategia digitale Coinvolgere e intrattenere il nuovo "omnicustomer". Questa la sfida raccolta da Ovs, che è diventato un vero laboratorio digitale a cielo aperto per la sperimentazione delle tecnologie retail più avanzate.
stra, non ci facciamo affiancare da nessuna società di consulenza in particolare, ma ci appoggiamo a diversi partner tecnologici, tra cui ad esempio Google, per avere a disposizione le soluzioni più innovative. Qual è il fine ultimo di questi investimenti in tecnologia?
Monica Gagliardi
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ntrata nel Gruppo Coin a marzo del 2007, Monica Gagliardi, direttore e-commerce, Crm, Web & digital di Ovs, ha premuto a fondo sull’acceleratore per favorire un’ulteriore ondata hi-tech nel panorama del retail italiano. Lei, insieme a un team che conta ormai 18 persone che si occupano di sviluppo digitale, è tra i protagonisti della realizzazione del nuovo flagship store Ovs milanese di corso Buenos Aires, ricco di soluzioni tecnologiche avanzate ma soprattutto integrato perfettamente nella strategia omnichannel dell’azienda.
Quali clienti avete voluto colpire con questo nuovo concept?
Abbiamo creato la nostra digital experience con l’obiettivo di andare a soddisfare un cliente che ormai si muove a suo agio tra online e offline, utilizzando tutte le tecnologie abilitanti, prima fra tutte la mobilità. Ovviamente
stiamo parlando in primis dei nativi digitali, ma anche della generazione dei quarantenni. Mi piace identificare questo nuovo cliente con il nome di “omnicustomer”. Qual è il filo rosso che lega le nuove esperienze digitali?
Che sia online o in negozio, il cliente vuole essere coinvolto. Da questo punto di vista i bambini (e i loro genitori) sono l’esempio più significativo. Oltre ai punti di interesse a loro dedicati all’interno dei negozi, abbiamo organizzato dei veri e propri laboratori digitali, chiamati Ovs Digital Camp, dove i più piccoli possono toccare con mano le innovazioni più affascinanti, come il nostro robottino Nao. Chi vi aiuta nella non facile scelta fra le tecnologie abilitanti?
Il nostro è una specie di cantiere aperto: facciamo scouting, sperimentiamo, misuriamo i risultati. La strategia è no-
Tutte le attività nascono con l’obiettivo di migliorare il tasso di conversione. Lo facciamo attraverso l’arricchimento e il miglioramento della customer experience. Un primo elemento fondamentale è l’intrattenimento: nessun negozio, online o meno, può funzionare se è triste e squallido. Nei nostri punti di vendita e di contatto (tra cui i social network) il cliente ha sempre un’esperienza intensa e divertente. Naturalmente, in questi ultimi anni, la tecnologia ci ha anche aiutati a riposizionare il brand, non ha avuto solo un ruolo funzionale ai risultati immediati di business. Quali sono, in ottica digitale, i programmi per il 2016?
Per il futuro abbiamo molti progetti. Sul sito, ad esempio, vogliamo migliorare ancora l’esperienza dell’omnicustomer, facendo in modo che a ogni azione online corrisponda una reazione offline, e ribaltando un po’ il paradigma privilegiato dal retail in questi anni. L’altra opzione è quella di fornire suggerimenti di look e stile ai nostri clienti, un’attività di produzione di contenuti che ci terrà molto occupati nel corso del 2016. Continueranno naturalmente le aperture dei nuovi punti vendita, tutti integrati nella nostra architettura omnichannel. E.M. 7
IN EVIDENZA
l’analisi
SI INVESTE ABBASTANZA IN INNOVAZIONE? Un terzo delle imprese italiane ha speso complessivamente, nell'arco di un triennio, 24 miliardi euro per migliorare prodotti e processi. Ma per l'Eurostat le Pmi nostrane sono ancora in forte ritardo sul digitale.
I dati sono “vecchiotti”, ma rimangono pur sempre una valida indicazione. Proviamo a interpretarli. Secondo l’Istat, nel 2012, la spesa totale per la ricerca e sviluppo sostenuta in Italia da imprese, enti pubblici, istituzioni private non profit e università è stata pari a 20,5 miliardi di euro. Rispetto all’anno precedente la crescita è del 3,5%. Le aziende hanno contribuito al 54% degli investimenti complessivi e nel triennio 2010-2012 oltre un terzo delle realtà italiane con almeno dieci addetti ha svolto attività di innovazione a livello di prodotto e/o processo, investendo 24 miliardi di euro. Il macrosettore più innovativo, corrispondente al 43% delle aziende totali, risulta essere quello industriale. Come vanno intesi questi numeri, alla luce delle possibili evoluzioni intercorse dal 2013 a oggi? In chiave positiva (perché comunque discreti e suscettibili di sensibili miglioramenti) oppure come l’ennesima conferma di un Paese che fa tremendamente fatica a sfruttare il volano delle
nuove tecnologie? Detto che la quasi totalità delle imprese (il 95%) disponeva a fine 2014 di una connessione in banda larga, fissa o mobile, e che il 32% utilizzava almeno un social network, lasciamo la risposta all’Istat e al rapporto che ci dirà come è andata nell’ultimo triennio. Se però ci prendiamo la briga di capire come ce la caviamo con la trasformazione digitale a livello di Paese e
sbirciamo ai dati rilasciati per il 2015 da Eurostat, diventa più facile essere pessimisti. E questo perché il quadro che emerge è quello di un generalizzato rallentamento del processo di evoluzione e di una regressione su alcuni indicatori (come quello dell’interazione online con il settore pubblico) più volte additati come vitali per la crescita socio-economica dell’Unione europea. L’Italia, come si può immaginare, non ne esce bene. Rimane ancora molto alta, 28%, la percentuale di chi non ha mai usato Internet, mentre si conferma limitato l’utilizzo dei servizi di e-government (interessa il 18% degli internauti italiani contro una media europea del 32%) e l’indice di adozione del digitale nelle piccole e medie imprese resta fra i più bassi della Ue. Il piano per la banda ultralarga e i programmi strategici dell’Agenda Digitale li conosciamo tutti, ma impatti significativi a valle di tali iniziative ancora non se ne vedono. Gianni Rusconi
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IN EVIDENZA
Wp Hong
FITNESS GLASS ALL’ITALIANA Si chiamano Radar Pace e sono stati presentati in anteprima mondiale dal Ceo di Intel, Brian Krzanich, durante il suo keynote all’ultimo Ces di Las Vegas. La peculiarità di questi gadget indossabili? Il loro design è tutto italiano. Si tratta, infatti, del primo frutto della collaborazione stretta tra Luxottica e il colosso di Santa Clara poco più di un anno fa: un paio di occhiali intelligenti dedicati agli sportivi, il cui compito è quello di fare da “coach virtuale” e il cui vantaggio è il poter essere comandati con la voce. Il lavoro di ricerca svolto nei laboratori californiani di Oakley (il marchio americano di Luxottica dedicato a sport e lifestyle) in coordinamento con il centro di sviluppo di Agordo, quartier generale della società veneta, ha quindi portato ai primi risultati concreti. A bordo dei Radar Pace, che rispondono ai comandi vocali attraverso un paio di auricolari collegati all’occhiale, ci dovrebbe essere il system on chip Curie di Intel, dotato di processore, accelerometro e modulo Bluetooth. In arrivo nella seconda parte del 2016, di loro ancora non si sa quanto costeranno, né se avranno l’aspetto del prototipo visto a Las Vegas. È quasi certo, però, che non dovrebbe trattarsi dell’unico prodotto che nascerà dalla collaborazione tra l’azienda italiana e quella californiana.
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GIGANTI A BRACCETTO NELL’IOT Samsung e Microsoft collaborano allo sviluppo di soluzioni per l’Internet delle cose. Al centro della strategia c'è Windows 10. La rinnovata partnership tra Microsoft e Samsung prova ad andare oltre la sfera del computing, guardando alla realtà – sempre più pervasiva – dell’Internet of Things. L’obiettivo della società di Redmond, in particolare, è convincere gli utenti che Windows 10 sia la piattaforma ideale per i dispositivi intelligenti e connessi. Sfruttando anche il nuovo Tabpro S, prima “tavoletta” del colosso sudcoreano ad abbandonare Android in favore del sistema operativo di Microsoft, le due compagnie hanno mostrato al Ces 2016 interessanti interazioni fra gli oggetti connessi (soprattutto domestici) e il tablet, passando per il “cervello” dell’assistente virtuale Cortana. Oltre a queste dimostrazioni a effetto, per ora si conoscono pochi dettagli sulla collaborazione. Teoricamente, il gigante statunitense dovrebbe entrare in gioco come sviluppatore di piattaforme abilitanti all’IoT, campo in cui Samsung al momento è carente. Windows 10 IoT, l’edizione del sistema operativo pensata per l’Internet of Things, dovrebbe essere parte integrante dell’accordo, anche se
per adesso la piattaforma è disponibile solo per schede programmabili e dispositivi di altri fornitori, come Intel, Qualcomm e Raspberry. Dal canto proprio, l’azienda sudcoreana punterebbe invece su altri aspetti, in cui può mostrare i muscoli: i chip, i dispositivi e la fornitura di servizi, con il valore aggiunto di essere parte attiva del framework open source Iotivity, nato per facilitare la connettività tra i device dell’Internet delle cose. A Las Vegas, questo è certo, Samsung non ha lesinato proclami nel rinnovare le proprie ambizioni di player a tutto tondo nell’universo IoT, promettendo anzi che entro il 2020 tutti i suoi prodotti saranno “connessi”. Wp Hong, presidente della solution business unit, si è detto sicuro su quali siano i tre fattori chiave del successo: piattaforme, device e security. Ecco quindi spiegata l’alleanza con Microsoft, ecco confermato lo sviluppo di una nuova generazione di batterie ultrasottili in grado di alimentare miliardi di oggetti connessi ed ecco ribadita la convinzione che – parole di Hong – “ci può essere un solo proprietario dei dati: gli utenti”. La piattaforma Knox per i device mobili, pensata per rispondere agli standard di protezione richiesti in campo enterprise e governativo, va in questa direzione e si affianca alle soluzioni prossimamente destinate alla smart home.
PIACENZA IN PUNTA DI APP
ANCHE GLI SMARTPHONE BALLANO IL PROJECT TANGO
Valorizzare Palazzo Farnese e la ricca offerta culturale di Piacenza. Questo l’intento che ha ispirato l’applicazione realizzata dalla startup Ultraviolet su commissione dell’Amministrazione comunale. Le dieci realtà museali cittadine sono state messe a sistema per offrire a residenti e turisti un percorso di visita articolato fra poco meno di 300 punti di interesse, all’aperto e al coperto. L’app, nata in occasione di Expo 2015, sfrutta la tecnologia Gps e circa 300 beacon (trasmettitori Bluetooth a basso consumo con un raggio d’azione fino a 40 metri) installati all’interno degli edifici, il cui compito è quello di rilevare lo smartphone con a bordo l’applicazione appena questo entra nel loro raggio. Il fine ultimo della soluzione, che si appoggia a una piattaforma tecnologica (iMApp) già collaudata con successo nel settembre del 2014 per il lancio del primo servizio dedicato ai Musei Civici, è quello di rendere facilmente accessibili itinerari tematici, schede informative dettagliate sui luoghi di visita e contenuti multimediali. Il progetto è costato nel complesso circa 40mila euro ed al momento conta circa tremila download, equamente ripartiti fra terminali iOs e Android.
Usare un tablet o uno smartphone come una sorta di “antenna” con cui captare e visualizzare in 3D lo spazio circostante. È l’idea di Google, riassunta in Project Tango: una piattaforma di computer vision che, su un terminale adeguatamente equipaggiato con sensori e fotocamere, ricrea un’esperienza di visione in 3D. Il dispositivo può reagire a ogni movimento dell’utente, percepire la profondità e riconoscere i luoghi già visitati. Se gli sviluppatori di app si daranno da fare, gli scenari saranno innumerevoli. Fino a ieri esisteva un “development kit” racchiuso in un tablet che Google vende tramite Play Store, ma grazie a Lenovo è in arrivo (in estate, a meno di 500 dollari) il primo smartphone Project Tango
destinato al grande pubblico. Chissà che, con questa innovazione, Lenovo non faccia dimenticare una mossa piaciuta poco ai nostalgici: il pensionamento del marchio Motorola (venduto da Google all’azienda cinese per 2,91 miliardi di dollari), che d’ora in poi su telefoni di fascia alta sarà sostituito dal più sintetico “Moto”. L’altro grande nome interessato al progetto di Google è Intel. Al Ces di Las Vegas l’azienda ha presentato uno smartphone da 400 dollari, lo Zr300, per ora riservato agli sviluppatori. Un modello da 6 pollici che supporterà le applicazioni di Project Tango, sfruttando come strumento di cattura tridimensionale delle immagini l’ultima generazione della videocamera RealSense, creata dalla stessa Intel. V.B.
IN EVIDENZA
l’opinione
IL DEVOPS NON TEME L'OUTSOURCING
CLOUD A QUOTA DIECIMILA
Affidare lo sviluppo a realtà esterne non deve compromettere la collaborazione.
Il 2015 si è chiuso con una pietra miliare, che indicherà la strada anche per i prossimi mesi. La divisione Tax&Accounting Italia di Wolters Kluwer, specializzata nello sviluppo software per il mondo del fisco e del lavoro, ha raggiunto quota diecimila installazioni delle proprie applicazioni in modalità Software-as-a-Service (SaaS). “Le nostre soluzioni liberano risorse importanti a beneficio delle Pmi, la spina dorsale dell’economia nazionale”, commenta Pierfrancesco Angeleri, managing director Wolters Kluver Tax&Accounting Italia. I risultati recenti sono il frutto di una capillare presenza territoriale e di un’eredità importante, che si riassume anche in mosse di mercato fondamentali come le acquisizioni di marchi noti agli addetti ai lavori (Ipsoa, Osra e Artel)”. L’offerta cloud del colosso olandese consente di non doversi più occupare della gestione di server, backup e aggiornamenti, mettendo a disposizione un portafoglio applicativo per tutti gli adempimenti contabili e fiscali, oltre che per la gestione degli studi professionali, delle risorse umane, delle paghe e di molto altro. Con un occhio di riguardo alla sicurezza. “I dati dei nostri clienti sono protetti da sofisticate tecnologie antiintrusione”, conclude Angeleri.
Si fa presto a dire DevOps. Come si può conciliare questa metodologia di collaborazione in ambito applicativo se la fase di sviluppo è data in outsourcing? Se l’azienda, cioè, non può avere pienamente sotto controllo tutti gli aspetti del processo, ma deve affidarsi a un partner esterno? A differenza di quanto si possa credere, in questi casi una solida pratica DevOps diventa ancora più importante. Al cuore di questa metodologia di lavoro risiede infatti una collaborazione accentuata fra team storicamente separati, vale a dire quello di sviluppo e quello delle operations, una collaborazione collocata all’interno di un elevato tasso di automazione dei processi. Il tutto dovrebbe portare a un rilascio più rapido e frequente di applicazioni, riducendo di conseguenza anche le inefficienze. È chiaro come una divisione ancora più accentuata tra la parte “dev” e quella “ops”, causata proprio dall’outsourcing, non faccia altro che incrinare il meccanismo. È necessario innanzitutto promuovere una cultura basata su obiettivi comuni: i partner non possono più limitarsi a curare il proprio giardino, eseguendo semplicemente quello che viene chiesto loro. Devono invece pensare alle possibili dipendenze delle applicazioni, caratterizzate sempre più da punti di integrazione multipli, che aumentano il rischio di fallimento. Se necessario, devono anche coinvolgere altri consulenti per eseguire al meglio il lavoro.
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Fabrizio Tittarelli
Ma il punto centrale rimane quello della comunicazione tra le parti in gioco. Una buona strategia è organizzare frequenti incontri fra tutti i responsabili dei team, inclusi quelli della fase di testing, per stabilire un processo comune di ciclo di vita e di delivery del software, condividere le pratiche migliori e supportare le tecnologie che favoriscano l’automazione ed eliminino l’errore umano. È anche utile promuovere una sana competizione tra i partner, incentivando quelli che sanno rispondere meglio alla velocità del mercato moderno con pratiche avanzate e disincentivando gli altri, ipotizzando anche la possibilità di un eventuale impatto sui rinnovi contrattuali. In sintesi, tutto quello che è lecito fare per costruire una relazione solida, basata sul giusto rapporto tra incentivi e metriche, incoraggiando la collaborazione a tutti i livelli. Fabrizio Tittarelli, business technology architect, CA Technologies
Pierfrancesco Angeleri
LA NUOVA FUJITSU PARLA IL LINGUAGGIO GLOBALE Più servizi e diversa struttura per aiutare meglio i clienti nel percorso della digital transformation. Così cambia la multinazionale, con importanti riflessi anche in Europa. Pochi trend, ben chiari: le sfide globali portate dalla digitalizzazione, l’incertezza della situazione economica mondiale, l’orientamento ai servizi. Da qui parte il rinnovamento di Fujitsu e da qui inizia anche la riflessione di Duncan Tait, executive vice president della multinazionale e responsabile del business per la regione Emeia (Europa, Medio Oriente, India e Africa), che Technopolis ha incontrato lo scorso novembre in occasione del Forum europeo organizzato dalla società. Tait ha il delicato compito di gestire la trasformazione di Fujitsu in uno dei mercati più importanti ma anche quello di rappresentare l’anima e il pensiero occidentale (è l’unico non giapponese nel board) di un’organizzazione che vuole essere sempre di più globale. “Stiamo mutando pelle”, dice Tait, “incrementando la componente dei servizi per aiutare le aziende a trovare il giusto equilibrio tra digitalizzazione ed efficienza. Contemporaneamente stiamo cambiando il nostro modello di go-to-market, con ancora più enfasi sulla dimensione globale dell’azienda e con un deciso orientamento verso
Duncan Tait
la co-creation”. Secondo Tait, il primo feedback dei clienti circa la svolta di Fujitsu è positivo. “Il cambiamento riguarda principalmente l’ottica globale e un diverso focus sul portafoglio di prodotti e servizi, non ha ricadute sulla struttura commerciale e sul canale. Per aiutare le aziende a digitalizzarsi e comunicare meglio con il loro ecosistema abbiamo noi per primi investito in una piattaforma strategica, denominata MetaArc, che abbiamo annunciato lo scorso settembre. MetaArc permette di gestire in modo efficace la doppia velocità dell’It, quella dei sistemi legacy da una parte e quella dei nuovi paradigmi del cloud e
del mobile dall’altra”. La nuova struttura europea, il cui dispiegamento verrà completato a marzo, prevede quattro distinte divisioni: prodotti, servizi per le infrastrutture gestite, business application ed Enterprise Platform Services (quest’ultima per continuare a gestire i processi e le attività legate ai mainframe). “Nella trasformazione di Fujitsu”, ha concluso Tait, “la regione Emeia e l’Europa in particolare hanno un ruolo fondamentale: i Paesi e i mercati dell’Europa Occidentale sono fra quelli in cui noi non saremo solo un mero fornitore di tecnologie, ma dove la nuova Fujitsu opererà a pieno regime come provider di soluzioni e servizi. Molti Paesi sono, poi, leader nei settori strategici che abbiamo scelto per concentrare la nostra offerta, vale a dire il retail, i trasporti, la finanza e la Pubblica Amministrazione. Naturalmente questo non vuol dire che trascureremo altri mercati verticali; stiamo, ad esempio, facendo grossi investimenti anche nel campo della salute così come in quello dell’Industry 4.0, che resta sempre nella nostra agenda”. E.M.
IN EVIDENZA
l’opinione
LE AUTO E LE FABBRICHE DEL FUTURO NON AVRANNO DIFETTI L’innovazione nell’automotive si fa anche a livello di bobine di accensione. Con l'elettronica. E in questo campo c’è un’azienda italiana che fa scuola.
Quello della componentistica per le auto connesse e intelligenti è un mercato dalle potenzialità di crescita decisamente significative. Prova ne siano, fra le tante, le intenzioni di Samsung di buttarsi seriamente in questo business. I fornitori di componenti che gestiscono le centraline telematiche e i sistemi di controllo motore installati a bordo giocheranno un ruolo sempre più importante nello scenario prossimo venturo delle quattro ruote. L’italianissima Eldor Corporation è uno di questi fornitori e nel campo delle bobine di iniezione per i propulsori a benzina ha conquistato la leadership mondiale, annoverando fra i suoi clienti i principali costruttori di auto. Celestino Badiali, sales and marketing director della società brianzola, ha spiegato a Technopolis le tendenze che caratterizzano questo settore. L’uso dell’elettronica nello sviluppo della componentistica per auto è una tendenza ormai consolidata?
Ritengo di sì, perché permette di aumentare l’efficienza e le prestazioni dei dispositivi elettromeccanici. L’elettronica costa relativamente poco, occupa poco spazio ed è “leggera”. Il continuo aumento delle temperature di esercizio dei motori impone per le bobine di accensione un’innovazione a livello di design e di integrazione di moduli elettronici. Il fabbisogno di energia e le avanzate funzionalità richieste nel sistema di accensione spingono, inoltre, verso un maggiore controllo legato all’elettronica. In alcune applicazioni si potrebbe anche
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Celestino Badiali
sore dell’evoluzione della combustione. E questa in Eldor è una tecnologia già consolidata, con le soluzioni “ion sensing” per l’analisi e l’ottimizzazione della combustione attraverso la misura della corrente ionica. Che cosa aspettarsi per il futuro?
pensare a unità di controllo della combustione separate dalla bobina, come quella che stiamo già presentando al mercato e denominata Eisb, cioè Eldor Ignition System Box. Incrementare l’efficienza energetica è l’imperativo. Che cosa comporta?
I sistemi diventano sempre più intelligenti, mentre i parametri imposti dalle normative internazionali per il 2020 in fatto di emissioni di CO2 sono la principale spinta per lo sviluppo delle nuove piattaforme motoristiche. I propulsori basati su tecnologie di iniezione diretta della benzina o i sistemi di ricircolo dei gas combusti richiedono elevata energia nella scintilla di accensione. Per questo motivo si stanno sviluppando sistemi per soddisfare queste nuove esigenze. Quali altri tendenze segneranno l’evoluzione dei sistemi di accensione?
L’elettronica aggiuntiva permetterà di avere un sistema ad anello chiuso. Gli elettrodi della candela possono essere utilizzati come un vero e proprio sen-
La visione di Eldor è che l’accensione con candela avrà lunga vita se correttamente supportata dallo sviluppo di tecnologie di pilotaggio e dei materiali. È ovvio che assisteremo a una crescita graduale dei veicoli elettrici, che conquisteranno la loro fetta di mercato crescendo anno dopo anno. E non a caso stiamo già investendo molto nell’area della componentistica e degli assiemi per l’auto elettrica. I piani per sviluppare globalmente il business legato alle bobine?
Ci siamo inizialmente focalizzati sulla Cina, il più grande produttore di motori e di auto al mondo e un Paese in cui Eldor produce bobine di accensione dall’inizio del 2013, e sul Brasile, dove una fabbrica di proprietà è stata avviata nel 2014 per servire il mercato dell’America Latina. Negli Stati Uniti, altro strategico mercato di sbocco, verrà introdotta una linea di produzione altamente automatizzata per le bobine di accensione di tipo “plug top”. Una struttura che inaugurerà il concetto di “defect free factory”: una fabbrica priva di difetti, concepita partendo dalla progettazione dei prodotti finali, delle linee automatiche e della scelta dei materiali. Gianni Rusconi
L’ELETTRONICA DI CONSUMO SEGNERÀ IL PASSO Il Consumer Electronic Show di Las Vegas non ha tradito le attese, almeno per la quantità e la varietà delle soluzioni sfilate in passerella. Di innovazioni straordinarie nessuna o quasi, ma tante conferme che il progresso digitale corre veloce e abbraccerà tutti e tutto all’insegna degli oggetti connessi, con i quali conviveremo ovunque, dai salotti alle cucine fino agli abitacoli delle auto. L’elettronica di consumo nel 2016 conoscerà però una flessione, seppur contenuta. Stando ai dati resi noti dalla Consumer Technology Association, infatti, il giro d’affari a fine anno su scala globale scenderà di due punti percentuali a 950 miliardi di dollari (di cui circa un decimo generato negli Usa). Tre sono gli elementi che caratterizzano questo scenario: la forza del dollaro, il rallentamento delle vendite in Cina e la prudenza sugli acquisti dei principali mercati occidentali. Guardando ai prodotti, è interessante notare come il computing mobile (tablet, Pc portatili e soprattutto smartphone) sia accreditato del 46% di tutta la spesa prevista in consumer technology e come per indossabili, droni e apparecchi per la realtà virtuale le stime di crescita siano decisamente al rialzo. Le vendite di dispositivi wea-
Droni, realtà virtuale e dispositivi indossabili hanno spopolato all'ultimo Ces di Las Vegas. Ma il mercato della tecnologia consumer è in calo. rable, per esempio, dovrebbero aumentare del 59% per arrivare a quota 25 miliardi di dollari, ringraziando soprattutto gli smartwatch. Quello dei visori è un segmento altrettanto frizzante, e basti pensare che al Ces gli espositori attivi nella realtà virtuale erano il 77% in più rispetto all’edizione precedente. Bisognerà aspettare però ancora un
po’ prima che i vari Oculus Rift (il prodotto di Facebook, già in preordine), Samsung Gear Vr, Htc Vive Pre, PlayStation Vr e via dicendo diventino gadget di massa. Per contro, si annuncia di nuovo in lieve flessione il mercato dei televisori che scenderà dai 232 milioni di pezzi venduti nel 2015 ai 230 milioni stimati per quest’anno. Parallelamente, aumenteranno le dimensioni: il formato medio dell’apparecchio domestico sarà il 42 pollici e un quinto del venduto sarà superiore ai 50 pollici. Il 20% sarà composto da Tv con schermi 4K Ultra Hd. Al Ces, infine, si sono ammirati droni di tutti i tipi, compresi quelli destinati al trasporto delle persone. Che sia un fenomeno pronto al boom lo dicono alcune cifre: nei soli Stati Uniti il mercato dei piccoli velivoli senza conducente ha superato i 100 milioni di dollari di fatturato nel 2015, con un aumento del 52% rispetto al 2014, per circa 700mila unità vendute. Numeri a parte, da Las Vegas arriva un messaggio molto esplicito: la tecnologia ci vuole sempre e comunque connessi, per fruire di contenuti digitali attraverso il dispositivo che abbiamo fra le mani o per gestire a distanza altri oggetti. Che siano un termostato, un elettrodomestico o un’automobile.
SCENARI | Trend Tech
Nuove soluzioni, modelli organizzativi e di business, competenze: i prossimi dodici mesi saranno segnati da innovazioni che promettono di essere “disruptive” rispetto al passato. Eccone alcune.
DOVE CI PORTERÀ LA TECNOLOGIA NEL 2016?
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uali sono le tendenze tecnologiche che gli analisti hanno ipotizzato poter essere “dominanti” nei prossimi dodici mesi? Se parlare di “Information of Everything” e di “apprendimento automatico avanzato” (advanced machine learning) è oggi forse prematuro, la lista è, come sempre, lunga e chiama in causa elementi di tipo infrastrutturale quali reti, apparati e cloud, ma anche fattori di processo. Si va dagli algoritmi e dalle interconnessioni che incidono sui modelli decisionali e sulle attività di marketing, fino alle architetture per i dispositivi interconnessi e le piattaforme per l’Internet of Things. Il denominatore comune è la necessità di 16
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sfruttare, massimizzandoli, i benefici che l’innovazione digitale porta in dote al business. In mezzo al cambiamento ci sono temi che non passano mai di moda come la cybersecurity e le soluzioni di data analytics in tempo reale, oltre alle nuove regole in materia di protezione dei dati (che obbligano le aziende a rivedere le loro strategie di conformità) e alla crescente popolarità di fenomeni quali l’intelligenza artificiale, i droni e le applicazioni di realtà aumentata. Un ruolo sempre più pervasivo lo avrà lo smartphone, destinato a diventare lo strumento con cui gestire tutte le interazioni personali o lavorative, nonché la chiave tecnologica per accompagnare i consumatori nelle loro
esperienze di acquisto secondo i nuovi paradigmi della “customer experience multicanale”. Paradigmi basati sulla comprensione dei comportamenti e delle preferenze degli utenti attraverso qualsiasi punto di contatto, fisico o digitale che sia. Detto che le competenze per l’analisi statistica dei Big Data diventeranno sempre più un fattore di differenziazione (per aumentare la capacità di offrire un’esperienza utente ideale e personalizzata), l’abbattimento delle barriere fra “Io reale” e “Io digitale” sarà uno dei leitmotiv del nuovo anno. E questo costituirà una prima grande sfida per le aziende che ancora lavorano con silos organizzativi e informatici non più adeguati, e di conseguenza un
ostacolo tra le aspettative dei clienti e l’esperienza multicanale. In questo solco, anche la realtà virtuale è considerata da vari addetti ai lavori come pronta per fare breccia nel mondo professionale, attraverso applicazioni aziendali dedicate. Le nuove sfide dei Cio
David Cearley, vice president e fellow di Gartner, ne è convinto: il maggior potenziale d’impatto sulle organizzazioni, ciò che può trainare l’innovazione e il cambiamento, risiede nelle reti mesh (più solide ed ecomiche), nelle soluzioni di Internet delle cose e nel machine learning. Tre tecnologie annoverate dalla società di ricerca e consulenza americana fra le dieci che più andranno a generare opportunità di business digitale da qui fino al 2020. Il top management aziendale e in particolare i chief information officer dovranno, quindi, capire come valorizzare gli strumenti che indirizzano la convergenza tra mondi fisici e virtuali (attraverso i dispositivi mobili, gli indossabili e i sensori dell’Iot) e le capacità potenzialmente illimitate di algoritmi, tool semantici e smart machine per ciò che concerne le attività di raccolta, analisi ed elaborazione dei dati. La capacità delle macchine di apprendere sarà la nuova materia di studio per chi in azienda detiene il “potere” della tecnologia: reti neurali e sistemi in grado di percepire fenomeni e istantaneamente gestirne le informazioni diventeranno via via più comuni, di pari passo con l’affermazione dei cosiddetti “autonomous agent”, e cioè robot, strumenti software e assistenti digitali che si modellano in base alle azioni pregresse. Non mancheranno all’appello temi caldi degli anni passati come la stampa 3D, che non passerà di moda ma anzi si evolverà, dentro le aziende manifatturiere, con l’utilizzo di materiali di pregio come la fibra di carbonio, il vetro, gli inchiostri conduttivi e materiali biomedici. Gianni Rusconi
L’INNOVAZIONE IN CINQUE MOSSE
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icurezza, evoluzione dei data center, Big Data, Internet delle cose e mobility sono le direttrici lungo le quali si svilupperà, a detta degli esperti, il nuovo passo in avanti delle tecnologie Ict dei prossimi dodici mesi. Partiamo dalla componente security, considerata la base dalla quale scatteranno investimenti e progetti di riorganizzazione della dotazione informatica, progetti che impatteranno su tutte le operation di molte organizzazioni. Per questo motivo aumenterà l’importanza del chief security officer, a cui spetterà anche il compito di seguire le nuove regole internazionali in fatto di privacy e conformità. La trasformazione delle sale macchine è uno degli snodi cruciali per ottimizzare la resa delle applicazioni e massimizzare la gestione dei dati. Le proiezioni per il 2016 dicono che una delle nicchie a maggiore espansione sarà quella del “data center fabric”, ovvero l’insieme delle soluzioni hardware e software (switch, router, San, apparati di sicurezza della rete, ecc.) che abilitano le interconnessioni aziendali: la domanda su scala mondiale dovrebbe salire dai 5 miliardi di dollari del 2014 ai 15 miliardi del 2019, con una crescita composta del 24% annuo. Altri rivoli d’innovazione, come i “personal analytics” e come i contenuti video prodotti dai gadget indossabili, droni e videocamere intelligenti, contribuiranno a generare ulteriori volumi di dati non strutturati. La gestione dei Big Data rimarrà quindi una priorità per tutte le aziende, tanto che le figure del data scientist e del chief data officer conosceranno maggiore popolarità.
L’Internet of Things è una delle facce principali della rivoluzione digitale in atto. Collegare in Rete qualsiasi oggetto ai fini della raccolta di informazioni o del controllo remoto di apparati tramite applicazioni mobili è una sfida a cui sono chiamate, a diversi livelli, tutte le industry, dal retail ai trasporti. La sicurezza delle applicazioni e dei servizi IoT, al pari della loro interoperabilità con l’esistente, resta un punto chiave del processo di innovazione. Infine la mobility. Lo smartphone è ormai un’appendice funzionale indispensabile per (quasi) ogni individuo, sia nella vita personale sia in quella professionale. L’uso di questo dispositivo a supporto dei consumi è solo all’inizio del suo percorso: logiche di neuromarketing e di ambient proximity diventeranno via via il dogma delle strategie di vendita, l’espressione di una convergenza tra diversi mondi (e tra fisico e virtuale) sempre più spinta, che necessiterà di risorse e modelli infrastrutturali ben diversi rispetto a quelli del passato.
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SCENARI | Trend Tech
LA “NUOVA” INFORMATICA E IL VADEMECUM PER I CIO La trasformazione digitale chiede alle aziende un forte cambiamento a livello di infrastruttura It e di processi. Si deve agire sul sistema nervoso centrale, rivedendo i paradigmi d'uso delle tecnologie.
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Information Technology come veniva intesa sino a poco tempo fa non esiste più. Il software è al centro del business e il compito delle nuove tecnologie è quello di immettere miglioramenti in modo rapido e sicuro, soddisfacendo i “requisiti” imposti dalla trasformazione digitale. Secondo vari addetti ai lavori, come Hu Yoshida, chief technology officer di Hitachi Data Systems, fra le tendenze che segneranno l’It nel 2016 spiccano la focalizzazione su applicazioni, il DevOps e gli analytics. Social, mobile, cloud e nuove architetture convergenti saranno, invece, elementi chiave per favorire il passaggio a un modello aziendale di tipo “data-driven”. A impostazioni, insomma, capaci di generare vantaggio competitivo sfruttando il valore dei dati. A detta di Yoshida, accelerare lo sviluppo di nuove applicazioni, seguendo nuove metodologie di scrittura del software per garantire maggiori prestazioni dell’infrastruttura, è uno dei passaggi obbligati per i chief information officer al fine di massimizzare la resa dei sistemi e di aumentare con18
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seguentemente il livello di efficienza e produttività delle operations aziendali. Un altro compito chiave dei Cio sarà quello di elevare a risorsa strategica le piattaforme per gli analytics, cavalcando una vera e propria inversione di tendenza rispetto al cosiddetto “shadow It”, e cioè all’informatica sganciata dal controllo dei dipartimenti informatici aziendali. Il tutto sposando il concetto secondo cui ogni divisione di business sarà dotata di proprie applicazioni e di strumenti di apprendimento automatico per l’analisi dei dati. I prossimi dodici mesi terranno quindi a battesimo un’era in cui la “profilazione individualizzata” consentirà la personalizzazione in tempo reale di servizi, prezzi e prodotti rivolti al singolo anziché concepiti per segmenti più ampi. Altro fronte su cui le aziende dovranno misurarsi è quello dell’Internet of Things. La gestione dell’ecosistema
degli oggetti connessi si associa, ne è convinto Matthew Finnie, Cto di Interoute, con un’altra tendenza in atto: quella dell’hyper-convergence che diventa piattaforma. Superare alcuni ostacoli a livello di gestione della rete esistente e nel passaggio al cloud è l’esigenza principe. Fatto questo, l’iperconvergenza si potrà concretizzare con l’implementazione di soluzioni in grado di identificare e consolidare, in modo rapido, le infrastrutture informatiche delle aziende, abilitando al tempo stesso la necessaria scalabilità verso l’alto dei sistemi e le ormai indispensabili capacità DevOps. Nel 2016 – è questa l’opinione di Otto Berkes, Cto di Ca Technologies – si affermerà il modello di sviluppo basato su componenti, presupposto fondamentale per consentire alle organizzazioni di trasformarsi a un ritmo più veloce rispetto al passato. L’attenzione sarà
rivolta in particolare a “microservizi” implementabili in forma indipendente e con il preciso fine di erogare nuove funzionalità ai sistemi in modalità continua, eliminando le lungaggini proprie della revisione di intere applicazioni. La containerizzazione “as-a-platform” (cioè le infrastrutture basate su “contenitori” flessibili) e i nuovi servizi conferiranno maggiore adattabilità e scalabilità al processo di sviluppo e trasformeranno il modo in cui le applicazioni vengono implementate e aggiornate, nel segno di quell’agilità che all’It si chiede per soddisfare le mutevoli richieste del mercato. Tutto facile? No. La sicurezza e l’ottimizzazione della rete e dello storage saranno, come sempre, requisiti imprescindibili. E ai Cio serviranno ulteriori investimenti e specifiche competenze per gestire le complessità della “nuova” informatica. Piero Aprile
IL RISCHIO CYBERNETICO VOLERÀ FINO ALLO SPAZIO L’oroscopo del cybercrimine per il 2016 è decisamente movimentato. I vendor concordano su alcune tendenze, di cui peraltro si parla già da tempo, come l’ulteriore crescita degli attacchi transitanti dal mobile e in particolare quella dei ransomware, che prendono in “ostaggio” un dispositivo bloccandolo o crittografandone i dati fino al pagamento di un “riscatto”. “Nonostante gli attacchi ad Android siano diventati molto comuni negli ultimi anni”, spiega Luis Corrons, direttore tecnico dei PandaLabs di Panda Security, “la novità per il 2016 è il metodo con cui i device mobili verranno colpiti. Vedremo numerose minacce che effettueranno il root sul dispositivo, rendendo praticamente impossibile l’eliminazione da parte degli antivirus, eccetto per quelli installati di fabbrica”.
A detta di Ca Technologies, invece, sarà fondamentale proteggere non solo dispositivi e applicazioni, ma l’identità dell’utente: le organizzazioni, dunque, dovranno rafforzare le proprie competenze di Identity and Access Management. È concorde Gary Newe, direttore tecnico di F5 Networks, secondo cui “l’affermarsi del bring your own device continuerà nel 2016, ma le policy di sicurezza saranno sempre meno legate al dispositivo, focalizzandosi sulla combinazione utente-applicazioneaccesso ai dati”. Un passaggio obbligato per le aziende, in tempi di bring your own device. Fra gli altri temi caldi citati da F5, assisteremo a un incremento degli attacchi “politici”, sponsorizzati dai governi, ma anche di quelli a puro scopo di lucro. Questi ultimi andranno soprattutto alla ricerca di talloni di Achille nei meto-
di di pagamento tramite smartphone, come Apple Pay, Samsung Pay e le transazioni via app. Qualche spunto interessante lo fornisce Trend Micro, evidenziando l’attesa crescita degli attacchi diretti ai dispositivi mobili (con una stima di 20 milioni di malware) e le lacune di competenze ancora non colmate in azienda (meno di una su due, nel mondo, vanterà in organico la presenza di un esperto di cybersicurezza). Intel Security ci sprona, poi, ad alzare gli occhi al cielo per comprendere quanto i sistemi di comunicazione satellitare stiano diventando un volano di attacchi. A detta di Raj Samani, Cto dell’azienda per la regione Emea, esistono vulnerabilità “riguardanti elementi basilari della sicurezza, come le credenziali di autenticazione nella cache e l’utilizzo di protocolli sicuri”. V.B.
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SCENARI | Retail
Nell'era della omnicanalità crescono le esperienze di acquisto ibride, che integrano negozi, e-commerce e soluzioni "click and collect". E la tecnologia rivoluziona anche i punti vendita tradizionali.
IL DIGITALE ENTRA IN NEGOZIO E LO RINNOVA
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n mezzo a tanta tecnologia, l’attore protagonista sul palcoscenico del retail rimane il cliente. Lo dimostra una delle eccellenze mondiali del settore, Amazon, con il successo del servizio di consegna veloce Prime e con la sperimentazione dei droni. Che si tratti di hardware, di software o di servizi, il turbine delle innovazioni digitali applicate al retail non dev’essere fine a se stesso, bensì mirare al miglioramento del rapporto con il consumatore e della user experience. Da tempo il marketing parla di un’utenza “empowered”, più informata ed esigente, plasmata da anni di social media, scambi di opinioni e recensioni online. Amazon fa scuola, perché secondo l’American Customer Satisfaction Index negli ultimi quindici anni il livello di soddisfazione dei clienti statunitensi verso la piattaforma di 20
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e-commerce non è mai sceso sotto l’85%. La user experience prima di tutto
Uno dei concetti più citati quando si parla di “nuovo” retail è la multicanalità, che esprime il bisogno di aprirsi al digitale non dimenticando, però, i luoghi tradizionali della vendita. Il passo ulteriore è l’omnicanalità, secondo cui tutti i canali di interazione devono garantire una user experience coerente. Questo, per esempio, significa che un operatore di call center non può ignorare le precedenti interazioni del cliente su altri canali, quali il profilo Facebook o Twitter dell’azienda. Oppure che, se si invia una comunicazione promozionale via Sms o via email, i commessi del negozio non restino all’oscuro di questa operazione. Secondo una ricerca di Demandware (“Shopping Index”, che misura i com-
portamenti di 200 milioni di utenti che navigano su 1.300 siti), nel secondo trimestre del 2015 su scala internazionale gli smartphone hanno contribuito per il 94% all’aumento del traffico rilevato rispetto all’anno precedente, anche se nel 65% dei casi il processo di acquisto viene concluso da Pc o tablet. Questo significa che il cliente sta imparando a sfruttare più dispositivi, scegliendo quello a portata di tasca per curiosare fra i cataloghi dei siti di e-commerce e quello più comodo, con schermo ampio e magari tastiera, quando si tratta di compilare dati di pagamento. E l’Italia? Stando ai dati dell’Osservatorio B2c Netcomm-Politecnico di Milano, nel 2015 gli acquisti di e-commerce sono cresciuti del 16%. Solo nel 22% dei casi si compra con lo smartphone, ma la tendenza è in crescita (+66%). Un altro studio di Netcomm
svela invece che 21 milioni di italiani hanno fatto compere su Internet o via app almeno una volta nella vita, mentre gli “e-shopper” abituali sono 11 milioni.
IL SEGRETO È LA “RETAIL EXCELLENCE” Marco Di Dio Roccazzella
Punti vendita in trasformazione
Se è vero che il 62% degli utenti privilegia ancora i negozi (come afferma un’indagine di Epson), allora i luoghi tradizionali dello shopping non vanno lasciati al loro destino ma anzi devono rinnovarsi con la tecnologia. “Sfruttando come base le soluzioni già in uso nel punto vendita, come ad esempio una stampante per scontrini, è possibile supportare applicazioni e servizi innovativi volti a migliorare l’esperienza di acquisto”, suggerisce Adrian Clark, executive director vertical business di Epson Europe. Un’altra conferma delle “ibridazioni” tra fisico e digitale arriva da uno studio di Deloitte: nel 2015 in Europa i punti di ritiro per i prodotti acquistati online sono aumentati del 20%, raggiungendo 500mila location. Il modello “click and collect”, secondo Deloitte, diventerà un tassello sempre più importante nelle strategie di commercio omnicanale. Il “dietro le quinte” del nuovo retail
C’è un’altra faccia, più nascosta, nella medaglia della trasformazione digitale: le tecnologie che aiutano a ottimizzare i flussi della logistica, l’allestimento degli scaffali, prezzi e sconti. Le reti WiFi in-store aiutano a raccogliere dati, mentre software tradizionali, come i Crm e gli Erp, si arricchiscono di capacità di analytics. Citiamo a mo’ di esempio la catena di beauty store Sephora, che in oltre trecento punti vendita in Francia, Polonia, Cina e Stati Uniti ha adottato la soluzione TxtPlanning di Txt Retail per migliorare la previsione della domanda e la pianificazione dei rifornimenti. Obiettivi: vendere meglio, evitando le rotture di stock, ma anche coltivare la soddisfazione di chi entra in negozio. Il cerchio si chiude, ancora una volta, sul cliente. Valentina Bernocco
Accantonato per ovvi motivi congiunturali lo sviluppo, il nuovo obiettivo della maggior parte dei retailer oggi è far funzionare al meglio i punti vendita già attivi. Anche in questo caso la tecnologia, sotto forma di strumenti di back office come gli analytics o di soluzioni di front office come il marketing di prossimità, risulta essenziale per risolvere problemi complessi o per ingaggiare i clienti. “Il nuovo obiettivo dei leader”, spiega Marco Di Dio Roccazzella, equity partner e board member di Value Lab, “è raggiungere la cosiddetta Retail Excellence, un risultato che si può ottenere solo governando tutte le componenti del retail moderno e utilizzando al meglio gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione”. La parola d’ordine, ormai anche inflazionata nel settore, è “customer experience”, una locuzione che indica nella maniera più ampia possibile le sensazioni che il cliente riceve interagendo con i brand, usando tutti i canali possibili (online e offline) e tutte le fasi della vendita. L’omnicanalità non
è però l’unico nuovo elemento con cui le aziende devono fare i conti. C’è anche la nuova consapevolezza degli individui e la loro tendenza a giudicare i loro interlocutori commerciali in modo indifferenziato, valutando esclusivamente la loro capacità di soddisfare le esigenze. “In Value Lab abbiamo individuato almeno sei punti chiave, che i retailer devono curare per raggiungere l’eccellenza”, dice Di Dio Roccazzella, “cioè la produttività del singolo punto vendita (che si alza cercando l’efficienza di personale e prodotti), la digitalizzazione dei negozi in ottica omnichannel, il digital in-store (che permette, tra l’altro, di acquistare online in negozio prodotti che non sono in quel momento disponibili a scaffale), la cura della cerimonia di vendita (una pratica che è passata dal settore della moda e del lusso a tutto il retail), il category e merchandising (avere il prodotto giusto nel posto giusto) e soprattutto il post-vendita, un’area dove sono ancora pochi a investire significativamente e in cui si possono cercare oggi vantaggi competitivi”. Inutile dire che le tecnologie digitali possono aiutare i retailer a migliorare tutti i punti evidenziati da Di Dio Roccazzella. Possono però anche aiutare a formare il personale di vendita in modo che quest’ultimo riesca a colmare il gap di conoscenza con il nuovo cliente “digitale” e a farlo sentire più coccolato. La competizione, infatti, non si gioca più solo sulle classiche “4P” del marketing (prodotto, prezzo, posto e promozione) ma anche sulla “E” di esperienza. E.M.
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SCENARI | Piccole imprese digitali
PMI: LA TRASFORMAZIONE GIOVA AL BUSINESS
Strumento di sopravvivenza ma anche di vantaggio competitivo, il digitale è sempre più in voga anche tra le imprese di dimensioni minori. Per espandere il mercato e diversificarsi.
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uando si parla di digital transformation, il pensiero corre immediatamente alle grandi imprese, quelle che sulla carta traggono i maggiori benefici dall’efficienza portata dalle tecnologie e dai processi di nuova generazione. E non è un caso che la letteratura e le case history riportate in convegni e testate giornalistiche riguardino quasi sempre organizzazioni di grandi dimensioni, spesso multinazionali. Secondo una recente ricerca condotta da Microsoft e Ipsos Mori (per i 22
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dettagli, vedere il box a fianco) anche le Pmi italiane, notoriamente quelle di dimensioni minori tra le piccole imprese europee, sono però pronte ad adottare i nuovi strumenti digitali, anche se senza il battage e la visibilità delle loro sorelle maggiori. “Più del 70% del nostro mercato è formato da Pmi”, dice Franco Coin, amministratore delegato di Mht, società del gruppo Engineering, “possiamo quindi dire di conoscere bene questa realtà. Se fino a ieri questo comparto, con le dovute eccezioni, ha sofferto di nanismo e arretratezza tecnologica,
oggi possiamo dire che il trend si è invertito: le dimensioni medie stanno crescendo, anche grazie al fenomeno dell’export che ha avuto un netto incremento negli ultimi anni, e la cultura digitale sta prendendo piede. Molti collaboratori degli attuali imprenditori sono della generazione Erasmus, e sono quindi preparati sia davanti al cambiamento sia di fronte alle nuove tecnologie. Anche il ricambio generazionale degli stessi imprenditori, accelerato dalla crisi degli ultimi anni, ha portato forze fresche, in grado di fronteggiare meglio le sfide attuali”.
FRANCO COIN - MHT
GIUSEPPE PITARRESI - IRRITEC
Così come nel mondo del retail esiste la “customer experience”, un elemento che nessun operatore può più ignorare, in quello più generale del mondo del lavoro si parla di “workplace experience”. Fattore, anch’esso, oggi immancabilmente in primo piano nelle strategie di qualsiasi piccolo e medio imprenditore. “È passato il tempo in cui i responsabili delle Pmi si ponevano il dubbio se digitalizzare o meno”, prosegue Coin, “ora il 90% di loro si chiede come farlo, ed è già un passo significativo. In realtà, abbiamo visto già parecchie frecce arrivare a segno e molte aziende raggiungere l’eccellenza grazie a progetti digitali di prim’ordine, che han-
PICCOLE E MEDIE PRONTE A PARTIRE Una ricerca di Microsoft e Ipsos Mori, pubblicata lo scorso novembre, ha coinvolto le Pmi di 15 Paesi europei (tra cui l’Italia) e ha registrato le risposte di 5.500 dipendenti. Secondo lo studio, il 66% delle nostre piccole e medie aziende ha già rinnovato o sta rinnovando i propri sistemi It, mentre il 68% dei collaboratori vorrebbe puntare su cloud computing e mobility per supportare il business. Sorprendentemente, gli italiani sono quelli che danno più peso al ruolo della tecnologia come strumento per ottimizzare il lavoro e il
no permesso a tante realtà italiane di primeggiare nel mondo”. Sì, perché nel caso delle Pmi sposare la digital transformation significa soprattutto (ma non solo) poter giocare sulla dimensione geografica, spostare e ampliare il mercato di riferimento, un fattore che nel recente passato e oggi significa sopravvivenza, prima ancora che eccellenza. “Un secondo elemento importante quando si parla di digitalizzazione”, dice Coin, “è la fusione tra i sistemi Erp e Crm. I confini delle aziende diventano liquidi, molti ruoli chiave delle Pmi (agenti, manutentori, uomini di marketing) lavorano ormai in mobilità o comunque fuori dal perimetro
“work-life balance”. Sempre restringendo il campo alle realtà italiane, il 43% dei dipendenti ritiene che l’utilizzo della tecnologia debba essere una priorità per ridurre i costi, mentre una percentuale analoga (il 42%) pensa che in generale il digitale possa aiutare la propria azienda a crescere. La fotografia scattata dalla ricerca rivela che le Pmi italiane sono già in cammino sulla strada della trasformazione: il 33% lavora in aziende che seguono logiche “paperless” e che sono ben connesse online, un’identica quota dichiara di operare in realtà che stanno rinnovando i processi It, spesso passando a un modello cloud. Quanto all’utilizzo dei dispositivi, il 37% dei dipendenti
dell’impresa, e servono strumenti che supportino questo cambiamento. Su questo fronte le aziende sono curiose ma poco preparate, forse perché mancano gli stimoli di un tempo, rappresentati ad esempio dalle multinazionali che terziarizzavano. In compenso, molti usano la tecnologia per espandere e diversificare il proprio business, non solo in senso geografico, anche offrendo nuovi prodotti e servizi. In tutti i casi, quello che le Pmi ci chiedono è di aiutarle nell’orchestrare il cambiamento”. “Erp e collaboration sono le due aree dove stiamo correndo più velocemente nella trasformazione”, dice Giuseppe Pitarresi, It Manager di Irritec, Pmi siciliana specializzata nei sistemi per l’irrigazione che è riuscita a sfondare nel mercato mondiale, “sostenuti sia dalla proprietà, che pur non appartenendo alla generazione digitale ha sempre seguito con passione i progressi della tecnologia, sia da partner esterni come Mht senza i quali difficilmente avremmo potuto sfruttare soluzioni come la virtualizzazione e il cloud”. Emilio Mango
punterebbe, se potesse scegliere, su device mobili come notebook, smartphone e tablet, e il 31% lavorerebbe in cloud. Per quanto riguarda l’utilizzo di tali strumenti, la ricerca rivela un buon grado di adozione di logiche Byod (Bring Your Own Device) ma anche di impiego di strumenti aziendali a fini personali: sul lavoro il 61% dei dipendenti utilizza un Pc aziendale, mentre solo il 26% una propria apparecchiatura. Se si considerano i dispositivi mobili, la situazione si capovolge: il 40% usa lo smartphone personale e il 30% il proprio laptop; quote che crescono significativamente se si prendono in considerazione i dipendenti che lavorano regolarmente fuori ufficio.
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TECHNOPOLIS PER EPSON
CON L’INKJET SI RISPARMIANO 55,2 MILIONI DI EURO ALL’ANNO all’anno, grazie a minori costi energetici e a una significativa riduzione dei tempi di manutenzione e degli interventi da parte degli utenti. Un dato analogo è emerso dalla ricerca italiana eseguita presso il Comune di Padova da Punto 3, che ha confrontato diversi modelli di stampanti Epson WorkForce Pro RIPS con tradizionali laser, rivelando che se il Comune adottasse unicamente stampanti inkjet risparmierebbe 19.100 euro all’anno soltanto in costi gestionali. E se tutti i 34 Comuni italiani di dimensioni analoghe alla città veneta passassero a questa tecnologia, si avrebbe addirittura un risparmio di quasi mezzo milione di euro (esattamente, 451.635 euro). Non solo: a questi benefici economici si aggiungono anche importanti vantaggi ambientali, cioè riduzioni dell’84% nella produzione di rifiuti, del 95% nelle emissioni di C02 equivalente e del 78% negli ingombri dei consumabili. Riccardo Scalambra, Business Manager Prodotti Ufficio di Epson Italia
Una ricerca stima per le aziende europee un saving annuo di oltre 50 milioni di euro, oltre a un aumento di produttività tra i quattro e i dodici giorni. Con il passaggio dalla tecnologia laser a quella inkjet le aziende europee potrebbero risparmiare ottenendo enormi vantaggi in termini di tempo e denaro, secondo quanto emerso da due ricerche indipendenti commissionate da Epson ed eseguite da Punto 3 (www.punto3.info) presso il Settore Polizia Municipale e Protezione Civile del Comune di Padova e da Buyers Laboratory Llc (Bli, www.buyerslab.com) in laboratorio. I risultati giungono in un momento in cui Idc stima che si registrerà un aumento del 13% annuo nella domanda delle inkjet, fino a raggiungere il 34% del mercato totale delle stampanti aziendali entro il 2019. Ne parliamo con Riccardo Scalambra, business manager prodotti ufficio di Epson Italia, l’azienda che nel 2008 ha proposto per prima soluzioni inkjet per l’ufficio e che oggi con la linea WorkForce Pro offre sistemi in grado di scoprire una vasta gamma di esigenze. Le due ricerche hanno rivelato che passando dalla tecnologia laser al getto d’inchiostro le aziende e la Pubblica Amministrazione potrebbero ottenere notevoli risparmi. Può darci qualche numero? Dalla ricerca condotta dall’inglese Bli è emerso che le aziende dell’Europa occidentale con un numero di dipendenti compreso tra 100 e 499 potrebbero risparmiare complessivamente 4,6 milioni di euro al mese, cioè 55,2 24
Per quanto riguarda il risparmio in termini di tempo in ufficio, quali sono stati i risultati più significativi emersi? Nel complesso, i risultati dimostrano che i modelli WorkForce Pro testati sono fino a 3,5 volte più veloci delle fotocopiatrici laser a colori in termini di intervallo di uscita della prima pagina. Inoltre, sono in grado di ridurre i tempi di intervento da parte dell’utente fino al 100% su 40.000 stampe e permettono di risparmiare fino a dieci ore all’anno in termini di interventi. La ricerca italiana è arrivata a dimostrare che con alcuni modelli è addirittura possibile un risparmio di tempo del 30%. In conclusione, i risultati svelano che le aziende dell’Europa occidentale potrebbero guadagnare quasi un’intera settimana di produttività all’anno solo introducendo la tecnologia inkjet nei loro ambienti di lavoro. Quali cambiamenti state riscontrando nel mercato della stampa? Da circa due anni registriamo una crescita del 20% della stampa inkjet nelle aziende e prevediamo che il trend proseguirà. In questo momento i clienti sono sempre più attenti agli aspetti ecologici nella scelta dei dispositivi, e il settore della stampa si muove verso il contenimento dei costi di gestione grazie all’applicazione di queste tecnologie. Per questo prevediamo che sempre più aziende passeranno al getto d’inchiostro, traendo vantaggio dai notevoli vantaggi economici e ambientali che l’inkjet offre.
Grazie alla tecnologia RIPS di Epson, le stampanti inkjet possono produrre fino a 75.000 copie prima di dover sostituire le sacche di inchiostro.
SPECIALE | Ultrabroadband
LA FIBRA ALL’ITALIANA CONTRO IL DIGITAL DIVIDE Quattro miliardi di euro per portare connettività veloce nelle aree a fallimento di mercato entro il 2018. Soldi statali ed europei, reperiti senza l’appoggio degli operatori telco. Sarà la mossa vincente per colmare il gap infrastruttuale della Penisola?
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l quadro è noto, o almeno lo è agli addetti ai lavori. L’Italia veleggia intorno al 50esimo posto su scala mondiale e si piazza in 25esima posizione in Europa per lo sviluppo della banda larga. Due indicatori che ben rendono l’idea di come il Belpaese paghi ancora dazio in termini infrastrutturali, in un’era in cui il digitale e l’Internet delle cose sono condizioni vitali per essere efficienti, innovativi e competitivi. L’ultimo rapporto trimestrale stilato dall’AgCom (aggiornato a giugno 2015) ci dice che gli accessi
di tipo broadband in tutto il territorio italiano sono 14,6 milioni, il 70% sul totale dei 20,6 milioni di terminazioni attive sulla rete fissa. Meno del 6% di queste linee è catalogabile come Nga (Next generation access), e cioè come collegamento su fibra ottica in banda ultralarga. Numeri tutt’altro che incoraggianti, sebbene in crescita. Ma il problema è anche un altro e lo ha evidenziato di recente Asati, l’associazione dei piccoli azionisti di Telecom Italia, in una lettera inviata a governo e Parlamento. La missiva, che citava
come fonte l’ultimo rapporto sulla penetrazione di Internet a firma di Akamai, ricordava come i tre quarti degli utenti italiani preferiscano rimanere vincolato a contratti con un downlink nominale inferiore a 10 Megabit al secondo, sebbene siano disponibili su larga scala i servizi a 20 Megabit. La conclusione a cui è giunta Asati, discutibile ma non certo fuori luogo, è la seguente: i servizi oggi offerti in Italia non spingono i clienti che già hanno una connessione a banda larga a passare a una a velocità maggiore, a 30 o FEBBRAIO 2016 |
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anche a 100 Megabit. C’è realmente un ritardo, via via cresciuto in misura significativa, tra domanda e offerta di connessioni broadband? E perché le politiche adottate nei principali Paesi della Ue, basate su sistemi di accesso veloci a Internet non troppo diversi da quelli italiani, garantiscono a questi stessi Paesi livelli decisamente inferiori di digital divide? Domande che ricorrono da anni e per cui da Asati arriva una risposta spesso condivisa da altri soggetti dell’ecosistema pubblico e privato nazionale: governo, Regioni e amministrazioni pubbliche dovrebbero varare incentivi per accelerare l’offerta di nuovi servizi digitalizzati ai cittadini (e alle imprese) e, soprattutto, per promuovere molto più efficacemente il processo di alfabetizzazione della popolazione. Lanciare un progetto che porti a realizzare una rete a banda larga da parte del Governo nelle aree C e D (quelle a fallimento di mercato) va bene purché, così recita lo scritto di Asati, sia coinvolto l’operatore che già dispone di un network di accesso in tutte le abitazioni. Non serve duplicare la rete di accesso esistente, in altre parole, ma sarebbe più opportuno intervenire su di essa per convertirla in una a banda ultralarga.
comunitari gestiti dalle Regioni. Risorse a cui si aggiungerà, eventualmente, una parte dei ricavi generati dall’asta delle frequenze da 3,6-3,8 MHz dello spettro wireless. Secondo i piani dell’esecutivo Renzi, la nuova copertura in fibra sarà operativa entro il 2018 e andrà a riempire un tassello importante nel mosaico che dovrà completarsi entro il 2020 con un generalizzato “upgrade” delle infrastrutture di telecomunicazione italiane (banda larga a 30 megabit a tutti e a 100 Megabit per un cittadino su due).
re i servizi di connettività. Si tratterà dunque di una rete pubblica passiva, gestita in modo da favorire la concorrenza sull’offerta. “Abbiamo deciso di procedere così perché la nuova rete in fibra è strategica per il Paese e non potevamo lasciarla tutta in mano ai privati”: le parole scelte da Antonello Giacomelli, sottosegretario di Stato del ministero dello Sviluppo Economico con delega alle Comunicazioni, per illustrare il progetto convinceranno il partito degli scettici? Basterà la rassicurazione, dettata dallo
Questa, almeno, la promessa fatta dal Presidente del Consiglio e basata su una spesa prevista di oltre 12 miliardi di euro. I fondi destinati a portare la rete ottica nei 7.300 Comuni di cui sopra non saranno catalogati come aiuti di Stato, quali invece erano le risorse a fondo perduto destinate in passato allo sviluppo delle nuove reti. Si aggira così il rischio del blocco da parte della Ue, perché spetteranno a Infratel (la società in-house del Mise) la gestione delle gare, l’affidamento dei lavori per la realizzazione dell’infrastruttura e quello delle concessioni agli operatori telco che la prenderanno in affitto per offri-
stesso Giacomelli al quotidiano La Repubblica, secondo cui a spingere per il modello della rete pubblica (“come non se ne vedevano da vent’anni a questa parte, cioè da prima della privatizzazione di Telecom Italia”) è stata anche la Commissione Europea? Certo è che si comincerà da otto Regioni, cioè Abruzzo, Calabria, Marche, Lazio, Puglia, Sardegna, Lombardia e Toscana, e dai 700 Comuni in cui già nel 2015 è stato definito un progetto di sviluppo infrastrutturale. Se poi debba entrare in gioco una partnership pubblico-privata, dicono da Palazzo Chigi, lo si vedrà in un secondo momento.
La “rete di Stato” per le aree depresse
Il governo, da parte sua, ha battezzato il 2016 annunciando il piano di una nuova rete in fibra ottica “statale” per cablare 7.300 Comuni italiani (8,8 milioni le famiglie interessate) ubicati in zone a fallimento di mercato, dove cioè nessun operatore intende investire per ammodernare l’infrastruttura esistente. Per realizzare il progetto si investiranno circa quattro miliardi di euro, di cui 2,2 miliardi di fondi statali già stanziati nella programmazione economica 2014-2020 nel Fondo Sviluppo e coesione, 230 milioni dal Pom (Programma Operativo Nazionale) Imprese e Competitività e 1,6 miliardi di fondi 26
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Il ruolo di Enel
Posto che la rete di nuova generazione per le aree depresse resterà di proprietà pubblica anche se la realizzeranno i privati, chi scenderà in campo per portare la banda ultra larga nei Comuni interessati dal progetto? Alle gare potranno partecipare, con il parere vincolante dell’Antitrust che propende per il coinvolgimento di soggetti non verticalmente integrati, tutti gli operatori in grado di posare fibra ottica. E non è improbabile che Enel possa giocare un ruolo importante in questo scenario, forte della possibilità di costruire la rete a costi molto contenuti. Venuta meno, al momento, l’ipotesi della joint-venture con Vodafone e Wind, potrebbe essere la società elettrica colei che realizzerà l’infrastruttura passiva in veste di primo e privilegiato fornitore dello Stato. Ma Enel assolverà questo compito sia nelle “aree bianche” (quelle non profittevoli) sia in quelle “nere” aperte al mercato, dove vorrebbe portare la fibra ai nuovi contatori sfruttando le canaline già esistenti che trasportano la corrente elettrica? E come? Con una sola newco (Open Fiber) oppure con due? Come lavorerà di concerto con Infratel e con gli operatori di telecomunicazione interessati all’alleanza per gli interventi nelle aree A e B? Enel è al centro della questione, dunque, fermo restando che molta voce in capitolo (su prezzi e condizioni di accesso alla rete pubblica) ce l’avranno l’Agcom, l’Antitrust e l’Autorità per l’Energia. Nel frattempo i piani della ex Telecom Italia proseguono, tanto per la copertura di 1.600 comuni nelle aree C e D con fondi propri (entro marzo 2018) quanto per estendere la fibra nei cluster A e B, mentre gli operatori alternativi studiano le mosse per approfittare dell’opportunità di una rete pubblica che non comporta investimenti di capitale e – sulla carta – assicura quella parità di accesso che si insegue da molto tempo. Da vent’anni o giù di lì. Gianni Rusconi
L’EUROPA CORRE SUL 4G L’ASCESA NEL VECCHIO CONTINENTE
Nel 2020 il 60% delle connessioni mobili viaggerà sulle reti di quarta generazione e il contributo al Pil sarà nell’ordine dei 600 miliardi di euro. Lo dice uno studio della Gsma.
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rriverà al 60% entro i prossimi quattro anni, salendo dal 40% del 2015, l’incidenza delle reti 4G sul totale delle connessioni mobile attive in Europa. L’adozione dei servizi di quarta generazione proseguirà quindi a ritmi elevati nell’immediato futuro, di pari passo con l’auspicata azione regolatoria che dovrà favorire gli investimenti in infrastrutture. Il quadro emerge dallo studio “The Mobile Economy: Europe 2015” reso pubblico dalla Gsm Association, secondo cui il contributo del’industria mobile sul prodotto interno lordo europeo arriverà nel 2020 a quota 600 miliardi di euro, rispetto ai 500 miliardi del 2014. Parte di questo “fatturato”, è bene ricordarlo, deriva dai canoni di licenza che gli operatori di telecomunicazione pagano ai rispettivi governi per l’uso dello spettro delle frequenze radio. Gli utenti mobili del Vecchio Continente, fa notare la Gsma, stanno beneficiando di una velocità di connessione in download che supera la
media mondiale mentre gli investimenti per lo sviluppo delle reti 4G (posa, capacità e spettro) nei prossimi anni continueranno a essere sostenuti, a dispetto delle difficoltà macroeconomiche e delle condizioni regolatorie. Oggi la copertura dei network di quarta generazione supera l’80% della popolazione europea, con la previsione di arrivare oltre il 95% entro la fine del decennio. I telefonini intelligenti compatibili con la tecnologia Lte, come ampiamente previsto, saranno la locomotiva che accompagnerà la migrazione alle nuove reti. Al punto che copriranno nel 2020 il 76% delle connessioni mobili europee, rispetto all’attuale 60%. Ma la rivoluzione tecnologica delle reti di quarta generazione si affiancherà a un cambiamento di approccio sul fronte dell’offerta, poiché molti operatori inseriranno popolari servizi normalmente a pagamento (come Netflix e Spotify Premium, per fare due esempi) all’interno dei loro pacchetti dati, senza costi aggiuntivi per i propri clienti.
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SPECIALE | Ultrabroadband
Investimenti, tecnologie, modelli di business e nuove esigenze di domanda: le connessioni a banda larghissima sono il punto di partenza per rendere più competitivo il Paese. Le opportunità sono enormi, ma non mancano le criticità. Ecco l'opinione di alcuni addetti ai lavori.
L’IMPERATIVO DELLA TRASFORMAZIONE DIGITALE
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l dibattito è più che mai aperto, e su diversi fronti. Quello istituzionale e politico, quello industriale (per le implicazioni che il processo di digitalizzazione ha sulle imprese) e naturalmente quello dei protagonisti del settore telco, e quindi operatori e fornitori di infrastruttura. Con alcuni di questi ultimi Technopolis ha condotto un giro di orizzonte per mettere a fuoco i temi legati al Piano per la banda ultralarga e al processo di digitalizzazione, fortissimamente voluti dal governo Renzi. A loro abbiamo chiesto, innanzitutto, quali tecnologie e investimenti siano necessari 28
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per rispondere alle esigenze di connettività di cittadini, aziende ed enti pubblici, nonché di quell’ecosistema dell’innovazione fatto di incubatori, startup, centri di ricerca, università. Per Simone Battiferri, direttore business della neonata Tim, “la domanda di connessioni in banda ultralarga legata alla trasformazione digitale di tutto il sistema Paese è in rapida crescita e rappresenta un’importante opportunità per lo sviluppo delle infrastrutture di rete. Noi abbiamo previsto investimenti complessivi, nel triennio 2015-2017, per oltre dieci miliardi di euro, di cui
cinque destinati alle tecnologie innovative”. Quali? Innanzitutto, l’espansione della copertura 4G Lte della rete mobile, partendo dall’attuale 87% di popolazione raggiunta dai servizi di quarta generazione e puntando ad arrivare al 95% entro il 2017. Parallelamente, l’operatore sta completando il piano di copertura della rete di accesso fissa in fibra ottica ad altissima velocità con l’idea di raggiungere, sempre entro il 2017, il 75% della popolazione. Secondo Roberto Chieppa, head of marketing di Fastweb, il punto di partenza è che “Oggi il mondo delle impre-
ROBERTO CHIEPPA - FASTWEB
vantaggi dalle nuove tecnologie che via via vengono rese disponibili e consentono la creazione di maggiore efficienza”. Il riferimento va alle soluzioni a banda ultralarga “fixed wireless” in tecnologia Lte-Tdd su frequenza 3,5 GHz (vedi il box di pagina 32), che permettono di raggiungere territori molto complessi dal punto di vista orografico e/o a bassa densità abitativa, e quindi aree che renderebbero difficilmente sostenibile l’investimento per una rete fissa. “La tecnologia 4G”, aggiunge, a tal proposito, Podda, “si integra con le reti in fibra ottica soprattutto per le aree periferiche
ANDREA PODDA - TISCALI
Per questo, quindi, diventano sempre più strategici gli investimenti in ambito security e nei data center di ultima generazione, come quello certificato Tier IV che Fastweb ha realizzato a Milano”. Un altro operatore telco che crede molto nel processo di digitalizzazione è Tiscali e le parole di Andrea Podda, chief technology officer della società sarda, lo confermano: “Un Paese moderno, che vuole competere a livello internazionale, ha bisogno di una rete di ultima generazione in grado, da un lato, di adattarsi alle caratteristiche peculiari del territorio e, dall’altro, di poter trarre tutti i
SIMONE BATTIFERRI - TELECOM ITALIA
se, così come quello delle startup e dei centri di ricerca, non può prescindere da collegamenti ultraveloci, sicuri e affidabili per potersi sviluppare, far crescere il proprio business e gestire enormi quantità di dati utilizzando tecnologie come il cloud computing. Per questo motivo Fastweb, dopo aver investito più di sette miliardi nello sviluppo di una rete nazionale in fibra ottica lunga circa 40mila chilometri, negli ultimi anni sta portando avanti un nuovo piano per l’ulteriore espansione dell’infrastruttura a banda ultralarga che si completerà a fine 2016”. Il progetto, nel dettaglio, prevede di raggiungere con tecnologia Fttc (Fiber to the cabinet) e Ftth (Fiber to the home) circa 7,5 milioni di famiglie e imprese, ovvero il 30% della popolazione, offrendo collegamenti fino a 100 Megabit al secondo. “Le esigenze delle aziende”, aggiunge Chieppa, “non si esauriscono con la velocità dei collegamenti. I clienti business richiedono infatti garanzie sempre più elevate dal punto di vista della sicurezza delle connessioni e dei servizi.
SI RITORNA AL PASSATO CON IL MODELLO DIRETTO Lo scorso agosto, con lo sblocco dei primi 2,2 miliardi di euro di risorse pubbliche, il Consiglio dei Ministri dava il via al Piano da 12 miliardi per la banda ultralarga, celebrando il progetto come (parole del premier Renzi) “l’infrastruttura più importante per l’Italia per i prossimi vent’anni”. In autunno Infratel iniziava a svolgere il compito, affidatole dal Mise, di soggetto attuatore del Piano, gestendo le gare per assegnare i lavori di posa delle nuove reti. Di metà gennaio è la decisione del governo di perseguire il modello diretto per portare la fibra nelle aree a fallimento di mercato dei cluster C e D, dando operatività all’idea di partenza del sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Gia-
comelli, e del vicesegretario alla presidenza del Consiglio, Raffaele Tiscar. E cioè quella di intervenire con denari pubblici abbandonando l’opzione degli incentivi (a fondo perduto). Tutti contenti, da Tim a Enel passando per gli operatori alternativi, davanti alla “nuova” strategia decisa dal governo? Non proprio. Di sicuro lo è Infratel, che gestirà su mandato del Cobul (il Comitato per la diffusione della Banda Ultralarga, rappresentato da presidenza del Consiglio, Mise, Agid, Agenzia per la Coesione e dalla stessa Infratel) i 2,2 miliardi di fondi stanziati dal Cipe. Venendo meno l’ipotesi del “condominio” fra operatori privati e in attesa di capire come si muoverà Enel, ecco che l’esecutivo sembra
aver trovato la soluzione a tutti i potenziali problemi, come le lungaggini sui tempi di posa della fibra e le critiche (politiche) di chi non vede di buon occhio l’utilizzo di soldi pubblici per finanziare un’infrastruttura che rimarrebbe in mano a società private. Il tutto con il plauso, ovviamente interessato, della in-house del ministero dello Sviluppo Economico, che già possiede una rete di circa 15mila chilometri di fibra con 3,5 milioni di utenti attivi. Dalla sua, come detto, Infratel ha i primi 2,2 miliardi del Cipe e i circa due miliardi che dovrebbero materializzarsi da fondi Ue. Risorse che ne fanno di colpo un attore di primo piano sulla scena delle telecomunicazioni italiane.
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e le aree turistiche, dove ci sono esigenze di costi più bassi. Tali soluzioni, inoltre, hanno una struttura di costo estremamente snella rispetto a quelle cablate in fibra ottica, sono molto più flessibili da un punto di vista del deployment e consentono di raggiungere coperture significative in tempi molto più rapidi rispetto alle infrastrutture di rete tradizionali”. Cresce la domanda di connettività
NUNZIO MIRTILLO - ERICSSON
ROBERTO LOIOLA - ALCATEL LUCENT
Nunzio Mirtillo, amministratore delegato di Ericsson in Italia, fa invece un’analisi a più ampio spettro della problematica, esordendo con il dire che “l’innovazione delle reti ha un ruolo sempre più strategico per sostenere lo
sviluppo economico del nostro Paese”. Tesi supportata dal fatto che l’impatto di tecnologie e infrastrutture sempre più evolute sull’economia è un dato consolidato. “Numerosi studi”, dice l’amministratore delegato, “dimostrano che a un aumento del 10% della diffusione della banda larga corrisponde una crescita del Pil dell’1% e che per ogni mille nuove connessioni a banda larga si creano ottanta posti di lavoro”. Il ragionamento si sposta quindi su piani complementari a quelli della pura disponibilità di banda e questo perché, secondo Mirtillo, “l’utilizzo pervasivo delle tecnologie di comunicazione è una leva vitale per lo sviluppo della società e lo sarà ancora di più nella risoluzione positiva delle importanti sfide che abbiamo davanti a noi, come ad esempio l’urbanizzazione, la sicurezza, l’istruzione e i cambiamenti climatici”. Per implemen30
tare i servizi digitali le reti diventano degli asset fondamentali, ma devono anche sapersi evolvere rapidamente per soddisfare una domanda sempre più in crescita. Secondo l’ultima edizione dell’Ericsson Mobility Report, infatti, da qui al 2021 il traffico dati su smartphone aumenterà di dieci volte. Già oggi nel mondo si contano venti nuove sottoscrizioni alla banda larga mobile ogni secondo e in Europa consumiamo mediamente 1,8 gigabyte di traffico dati al mese, con un trend che ci porterà a 13 GB nel 2021. Oltre alla connettività tra le persone, ricorda infine Mirtillo, “nella società digitale assume un ruolo sempre più importante l’Internet of Things, perché dai 15
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miliardi di dispositivi connessi di oggi si arriverà a 28 miliardi nel 2021, dei quali circa la metà saranno di tipo machineto-machine e relativi sia al mercato consumer sia al settore industriale”. La convinzione di Roberto Loiola, amministratore delegato di Alcatel-Lucent Italia, ci porta innanzitutto a fare un bilancio dell’anno appena concluso. “Il 2015 ha rappresentato per le esigenze di connettività ultrabroadband un grande passo in avanti per il nostro Paese. Come dimostrano i dati pubblicati a dicembre dall’AgCom, c’è stata una crescita di quasi il 100% degli accessi a banda larghissima rispetto al 2014, per un totale di 1,2 milioni di connessioni attive”. Un risultato reso possibile, secondo il manager, “grazie agli ingenti investimenti fatti dagli operatori privati sulle reti di nuova generazione, in particolare sfruttando le tecnologie Vdsl
che permettono di coprire velocemente le aree di mercato con soluzioni in fibra fino al cabinet e di offrire connettività ad almeno 30-50 Mbps”. La copertura media nazionale della banda ultralarga fissa – lo dicono le ultime rilevazioni del Rapporto annuale sulle Ngn dell’Istituto per la Competitività – è salita a circa il 38% del totale, una percentuale quasi doppia rispetto al 20,8% di fine 2013. E che, almeno sulla carta, è destinata a migliorare ancora. “Gli operatori privati”, dice Loiola, “continueranno anche nei prossimi anni a fare ingenti investimenti sia per espandere la copertura alle aree meno redditizie e a fallimento di mercato, in modo da arrivare ad una copertura totale del territorio ad almeno 30 Mbps, sia per ampliare la banda a 100 Mbps e offrire connettività in fibra ad altissime prestazioni, indicativamente tra i 300 e i 1.000 Mbps, di particolare interesse per i distretti industriali e per quelle realtà economiche/accademiche più esigenti”. L’obbligo della fibra e delle reti 4G
Dalle opinioni raccolte appare evidente come tanto le infrastrutture Ngn quanto i network mobili di nuova generazione siano componenti vitali per la trasformazione digitale delle imprese italiane e del Paese nel suo complesso. “Il motore dello sviluppo”, questo il parere di Battiferri, “è un ecosistema di imprese che genera valore per i cittadini. Il nostro tessuto produttivo si sta rapidamente evolvendo verso una trasformazione digitale attraverso la quale le imprese e la Pa che avranno un approccio orientato all’Ict potranno ridurre i costi, affacciarsi su nuovi mercati e nuovi business, sfruttare sinergie con altre imprese, costruire opportunità di consolidamento e acquisire potenzialmente un considerevole vantaggio competitivo”. Le tecnologie che abiliteranno questo circolo virtuoso sono note: si chiamano banda ultralarga fissa e mobile e cloud computing e, secondo Battiferri, “sono i pilastri sui quali si basa questa trasformazione digitale”. Sulla valenza strategica delle tecnologie di rete
IL CUORE DELLE NGN? SI FA IN ITALIA Nasce a Battipaglia la fibra ottica che Prysmian offre agli operatori telco di tutto il mondo. Un asset per l’innovazione del sistema Paese, che andrebbe sfruttato di più e meglio.
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n asso nella manica per realizzare la miglior infrastruttura possibile, qualsiasi sia il modello che verrà utilizzato per la posa delle reti di nuova generazione. Un asset strategico con il plus fondamentale di trovarsi in Italia. In Prysmian, per lo meno, di questo sono convinti, forti del fatto che la società può mettere in campo due fabbriche in Europa (le uniche che producono fibre ottiche per le aziende di tlc nel Vecchio Continente), l’esperienza maturata in tutti i contesti normativi che regolano lo sviluppo di infrastrutture di banda ultralarga e l’innovazione tecnologica derivata da investimenti in ricerca e sviluppo saliti negli ultimi cinque anni a 350 milioni di euro, oltre ai circa 30 milioni spesi per il centro d’eccellenza Fos (Fibre Ottiche Sud) di Battipaglia, in provincia di Salerno. Technopolis ne ha parlato con Philippe Vanhille, senior Vp telecom business worldwide di Prysmian. Il modello italiano per lo sviluppo delle Ngn è vincente?
Quello delle reti di nuova generazione è un tema complesso ovunque. Negli Usa vi sono leggi ad hoc più semplici per il rollout delle infrastrutture, che tutelano i margini di operatori come At&T e Verizon, stimolati quindi a realizzare reti di elevata qualità e in tempi rapidi. In Asia, Cina e Giappone compresi, sono i governi a costruire la rete e a garantire l’infrastruttura. Il modello europeo privilegia invece la concorrenza per garantire vantaggi all’utenza: i prezzi della connettività sono minori rispetto ad altri mercati, ma gli enormi investimenti richiesti
pregiudicano la marginalità. E così si creano i presupposti del digital divide nelle aree meno profittevoli.
Philippe Vanhille
Ma costa davvero così tanto costruire le reti in fibra ottica?
Sì. Costa lo sviluppo della tecnologia e costano, moltissimo, i lavori di installazione per la posa della rete. La fibra costituisce il 10%-15% del budget totale, il resto va nei componenti attivi, negli scavi e nel rollout dell’infrastruttura. La vostra tecnologia permette di ottimizzarli, questi costi?
Abbiamo integrato fino a tremila fibre ottiche per cavo, garantendo quindi elevatissime capacità di trasmissione in un supporto che può essere inserito in tubi esistenti. I backbone internazionali sono ormai completamente in fibra, il rame non esiste più o quasi. E anche gli anelli locali sono in fibra: solo a livello di rete di accesso all’utente finale entrano in gioco altre tecnologie, come l’Adsl su rame o la rete mobile. Abbassare il costo complessivo del rollout della fibra è possibile. Come azienda siamo pronti a contribuire alla nuova rete a banda ultralarga e siamo costantemente focalizzati sullo sviluppo di soluzioni innovative, come il cavo ibrido energia telecomunicazioni da 1 Gbps che stiamo sperimentando (Enel è fra i potenziali destinatari in Italia, ndr). C’è un collo di bottiglia a livello di capacità di banda disponibile?
La qualità dell’infrastruttura non è una variabile secondaria. Come Prysmian possiamo offrire anche soluzioni in rame ma il valore aggiunto maggiore è
su quelle in fibra. In Italia la rete di base esistente necessita di grandi risorse per essere gestita in modo adeguato, mentre altri Paesi stanno sfruttando il vantaggio di essere partiti da zero con le nuove infrastrutture. Le ambizioni del Piano banda ultralarga sono grandi...
L’obiettivo di coprire con i 100 Megabit l’80% della popolazione è sicuramente una grande sfida. In Italia si posano circa quattro milioni di chilometri di fibra ogni anno, ma la Francia è oltre i 7,5 milioni. Qual è lo scoglio principale da superare per abbattere il digital divide?
Le tecnologie sono disponibili ma spesso mancano governance strutturale e scelte tecnologiche che ottimizzano la componente capex degli investimenti. Le risorse finanziare pubbliche che supportano i progetti per la banda ultralarga non sono infinite. Serve un coordinamento di interesse nazionale e servono piani strategici che tengano conto di tutte le variabili in gioco. Gianni Rusconi
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fissa e mobile di nuova generazione per lo sviluppo e la diffusione di nuovi servizi concorda anche Chieppa. “La maggiore disponibilità di banda larga”, dice il manager di Fastweb, “si traduce in un maggiore utilizzo di Internet. Si crea così un circolo virtuoso tra domanda e offerta di connettività, e l’esplosione di fenomeni digitali come Netflix e Spotify ne rappresenta la manifestazione più evidente. Il fenomeno è destinato a crescere e sarà sempre più pressante la richiesta di connessioni con una velocità fino a cento volte superiore all’attuale nell’arco dei prossimi cinque anni, e di servizi basati sul cloud. Sarà pressante, inoltre, il bisogno di essere sempre connessi anche in mobilità da smartphone e tablet, sfruttando in particolare la rete WiFi”. In parallelo si assiste alla trasformazione dei provider di telecomunicazioni in fornitori di servizi It, percorso che per il manager di Fastweb è già in atto. “Questo cambiamento”, spiega infatti Chieppa, “è più evidente sul mercato delle grandi aziende ma il fenomeno si sta spostando anche sulle famiglie e sulle micro imprese, ambiti dove la competizione vede in gioco gli operatori over the top, con i
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UN MATRIMONIO TRA FISSO E MOBILE PER L’INNOVAZIONE L’operazione ha preso corpo a luglio dell’anno passato, quando il Consiglio di Amministrazione di Tiscali approvava la fusione con il Gruppo Aria, azienda operante nel campo dei servizi e titolare di una licenza su 40MHz di spettro sulla frequenza da 3,5 GHz “technology neutral”. Il plus di mercato di questa licenza? Essere la chiave per la fornitura di servizi di connettività a banda larga su reti Lte 4G in modalità “fixed wireless access”, con capacità superiori ai 50 Megabit per secondo. Il grande valore del matrimonio voluto da Tiscali risiede, in
particolare, nelle sinergie industriali e di business che potranno essere realizzate attraverso l’integrazione dell’infrastruttura di accesso in fibra ottica della società sarda con la rete di accesso wireless ad alta capacità di Aria. La tecnologia in questione è già ampliamente utilizzata da operatori giapponesi e cinesi, e di fatto consolidata nel mainstream tecnologico del 4G con vista sui servizi dati su mobile ad altissima capacità. Tiscali commercializzerà i prodotti di entrambi i gruppi attraverso il proprio brand, rivolgendosi a una clientela di oltre 700mila utenti attivi su tutto il territorio nazionale. L’intento è quello di focalizzare l’offerta di servizi ultrabroadband nelle aree soggette a digital divide.
quali i provider tradizionali stanno cercando di trovare un modello sostenibile. In futuro non ci si confronterà solo sulla velocità di accesso alla rete, ma sempre di più su altri fattori quali l’integrazione tra i servizi di telecomunicazione con quelli It e lo sviluppo di soluzioni verticali innovative in ambito smart city, utilities, sanità e via dicendo”. La partita del digitale si gioca quindi su più tavoli e le Ngn, a detta di Podda, “sono un driver straordinario per l’innovazione a cui tutti abbiamo assistito negli ultimi anni. Alcune fra le principali opportunità di sviluppo del nostro Paese non potranno che transitare da un network ad alta velocità e capillare, che contribuirà a cambiare radicalmente sia i servizi al cittadino sia le modalità di fare business delle imprese italiane”. La rivoluzione arriva dai servizi
Di passi in avanti da fare ce ne sono, però, ancora parecchi e l’auspicio di Mirtillo, in proposito, va nella direzione di una nuova rete ultra broadband “che si sviluppi con la piena integrazione tra l’infrastruttura in fibra ottica e quella mobile di ultima generazione. La fibra”,
continua l’Ad di Ericsson, “rappresenta solo una parte dell’evoluzione del network di accesso, che sarà accompagnata dallo sviluppo di una rete radio mobile dotata di strati sovrapposti e coordinati, in grado di adattarsi dinamicamente alle richieste di traffico istantaneo. Lo sviluppo delle Ngn e delle reti 4G, unito alla nascita di nuovi servizi e alla digitalizzazione di quelli esistenti, rappresenta un’opportunità senza precedenti per affrontare le sfide economiche e di sviluppo sostenibile delle imprese italiane e del sistema Paese”. I network di nuova generazione fisse e mobili (oggi 4G, domani 5G) sono quindi l’infrastruttura necessaria per abilitare la trasformazione digitale della Penisola. Giusto però ricordare, a detta di Loiola, come fino a oggi “questa trasformazione abbia avuto impatti significativi nel mondo finanziario/assicurativo, dei contenuti musicali e televisivi e dell’informazione, spiazzando gli intermediari tradizionali e creandone di nuovi. Nuovi player sfruttano reti a banda larga e piattaforme digitali per fornire servizi a costi inferiori, in modo più semplice e con elevata affidabilità. Nel contempo i provi-
der di connettività hanno l’opportunità di sviluppare infrastrutture e soluzioni che sono e sempre più saranno il sistema differenziante della società nel suo complesso”. Ma siamo solo all’inizio, perché la nuova ondata di “disruption digitale” è prossima ed è guidata dall’Internet delle Cose, in cui miliardi di oggetti e sistemi fisici di qualunque natura potranno essere parte della Rete e delle piattaforme di servizio che la utilizzano. Che cosa dobbiamo aspettarci? “Si avranno grandi impatti”, questa la proiezione dell’Ad di Alcatel-Lucent, “sulla modalità di produrre e commercializzare i beni fisici, mentre la disponibilità a basso costo di connettività ad alte prestazioni porterà alla trasformazione di molti prodotti, abilitando nuovi modelli di business basati sull’integrazione digitale dei sistemi e dei servizi. Le imprese e il sistema Paese devono comprendere e affrontare questa nuova sfida per potersi innovare e rilanciare”. Una sfida che, però, parte da presupposti poco vantaggiosi, visto e considerato che circa il 35% della popolazione italiana ancora non è “digital”. Piero Aprile
LE ALTERNATIVE NON MANCANO La tecnologia Fixed Wireless Broadband, con l’assegnazione nel 2008 della frequenza 3,5 GHz, ha già avuto un importante ruolo nel superamento del digital divide supportando la crescita della banda larga fino a 20 Megabit per secondo in downlink. Ancora più importante sarà il suo contributo nello sviluppo dell’ultrabroadband (con capacità oltre i 30 Mbps) grazie ai passi in avanti compiuti degli ultimi anni, che hanno permesso alla tecnologia 3,5 GHz di entrare a tutti gli effetti nell’ecosistema 4G Lte, diventandone una risorsa decisiva per
fornire grandi volumi di capacità in aree e siti specifici. Tutti i principali vendor di apparati di telecomunicazione oggi vantano una suite completa di apparati Lte-Tdd 3,5 GHz e stanno investendo per aumentarne le prestazioni. Già oggi sono disponibili soluzioni che consentono di sfruttare più di 200 Megabit al secondo per singolo settore di cella, con prospettive di un ulteriore significativo aumento. Stiamo parlando, quindi, di capacità paragonabili a quelle garantite dalla fibra e in particolare dalle soluzioni Fttc (Fiber to the cabinet). Vari addetti ai lavori considerano
la tecnologia “fixed wireless”, già oggi, uno strumento di supporto al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea e del Piano nazionale del governo italiano in tema di diffusione e fornitura di servizi a banda ultralarga, con particolare riferimento alle aree dei cluster C e D a fallimento di mercato. Una risorsa complementare, e non concorrente, alla fibra ottica, che in molte aree del territorio italiano (quelle più complesse in termini di ritorno economico) può avere un’utilità pubblica anche di mediolungo periodo.
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IN-MEMORY COMPUTING, SEGRETO PER VENDERE MEGLIO La storica azienda milanese importa e commercializza ottomila articoli per la cucina e il tempo libero. Con l’hardware di Fujitsu, ottimizzato per Sap Hana, ha dato ai dipendenti più velocità e nuovi strumenti per consultare i database.
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e hardware e software vanno perfettamente d’accordo, la produttività ci guadagna. Ne è dimostrazione Kunzi, azienda milanese specializzata in importazione e commercializzazione di articoli per la cucina e per il tempo libero, che con i server Fujitsu e l’applicazione Sap BusinessOne su piattaforma Hana nel giro di due anni ha incrementato del 30% il numero degli ordini evasi. Facciamo un passo indietro per chiarire quanto un sistema gestionale sia strategico per chi, come Kunzi, gestisce un enorme volume di documenti contabili e di dati commerciali. Nata nel 1936 a Milano e poi trasferitasi alle porte della città, a Bresso, oggi l’azienda ha a catalogo circa ottomila referenze di una sessantina di produttori, fra cui il più noto è certamente Victorinox. LA SOLUZIONE La soluzione gestionale rinnovata (Fujitsu Integrated System Primeflex for Sap Hana) è un’appliance funzionante su sistema operativo Suse Linux Enterprise Server e composta da un server Primergy RX300 S8 certificato da Sap, dal dabase in-memory Sap Hana e dal gestionale per piccole e medie imprese Sap Business One. Kunzi ha così velocizzato e reso più flessibile la reportistica, oltre a permettere al personale interno di realizzare analisi commerciali e finanziarie. L’azienda ha così ottenuto una maggiore capacità di negoziazione con fornitori e partner.
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Il marchio simbolo del coltellino svizzero è comunque solo la punta dell’iceberg di un’offerta proposta a operatori della grande distribuzione e rivenditori. E non pochi: i partner commerciali corrispondono a 14.500 schede anagrafiche. Per accedere a questo voluminoso archivio, nonché ai documenti amministrativi e contabili, Kunzi aveva bisogno di strumenti nuovi, più efficaci. Nel 2013 l’obsolescenza della soluzione gestionale usata fino ad allora, insieme a quella del relativo hardware, ha imposto un cambio di rotta: da qui la scelta di migrare verso l’ambiente Sap BusinessOne su piattaforma Hana. “Oltre la metà del nostro personale basa su questo sistema il proprio lavoro quotidiano”, sottolinea Mirco Raschetti, chief operating officer dell’azienda milanese, “e la possibilità di estrarre in tempo reale informazioni finanziarie e commerciali utili per orientare le nostre scelte operative era un prerequisito fondamentale per il cambiamento”.
Kunzi ha poi fatto il passo successivo, la selezione del fornitore hardware. Fujitsu è apparsa come scelta naturale, considerando il suo portfolio di server in grado di supportare Sap Hana (con certificazione ottenuta in largo anticipo sulla concorrenza) e le molte opzioni di preinstallazione e di personalizzazione. “In sei mesi abbiamo completato la migrazione”, ricorda il chief operating officer. “La velocità di interrogazione del database e le prestazioni del sistema implementato hanno già contribuito in modo significativo a migliorare la produttività”. Oggi, delle circa settanta persone in organico, 36 sono operative sull’ambiente Sap BusinessOne per gestire le più importanti procedure amministrative, commerciali e finanziarie, ma anche per dialogare con il sistema logistico di magazzino. “Superata la naturale paura iniziale per il cambiamento, il personale ha potuto apprezzare la possibilità di eseguire in proprio analisi e personalizzazioni in precedenza affidate a specialisti esterni”, conclude Raschetti.
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Umbra Group
L’ERP DA PRIMATO FRA LE COLLINE UMBRE La multinazionale di Foligno, leader nel campo delle viti a sfera per il settore aerospaziale, è la prima azienda al mondo ad aver adottato il nuovo Dynamics Ax. La soluzione sviluppata è frutto di un lavoro a quattro mani con gli ingegneri di Microsoft.
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Erp di domani già oggi fa “volare” un’azienda manifatturiera del settore aerospaziale, un’azienda tutta italiana. È Dynamics Ax 7, la prossima edizione della piattaforma di enterprise resource planning che Microsoft renderà disponibile nei primi mesi del 2016, introducendo novità come il supporto all’Html5 (in ottica di miglior utilizzo da dispositivi mobili), analytics integrati e una funzione che permette di tener traccia di ogni fase di un processo aziendale un po’ come si farebbe con una macro di Excel. In attesa della general availability, nei mesi scorsi diverse aziende (circa 35) nel mondo sono state selezionate da Microsoft per sperimentare in anteprima il nuovo Dynamics Ax e in Italia la prescelta è Umbra Group, specializzata nella fabbricazione di componenti per il settore aerospaziale e per l’industria.
Oggi una realtà multinazionale, il cui fulcro (accanto alle sedi in Germania e Stati Uniti) resta Foligno, dove è nata nel 1972 come Umbra Cuscinetti. Guidato dal Ceo Antonio Baldaccini, figlio del fondatore, il gruppo si compone di quattro unità produttive e di una dedicata alla ricerca. “È stato proprio il colosso americano a selezionare Umbra tra le altre aziende internazionali candidate per questo progetto”, dichiara Baldaccini. In effetti, sulle 35 prescelte, Umbra Group è l’unica organizzazione che finora ha già completato l’implementazione mentre altri progetti (come quello di Lotus) si sono arenati. Con un fatturato di 160 milioni di euro e circa mille dipendenti, l’azienda è fra i primi nomi mondiali nella produzione di viti a sfera aeronautiche per decine di costruttori di aeromobili (fra cui Airbus e Boeing), oltre a fabbricare viti a sfera,
cuscinetti, attuatori elettromeccanici per il settore industriale e per quello dell’energia. Oggi la sua strategia è focalizzata sull’efficientamento delle diverse sedi del gruppo e dei suoi processi, motivo per cui Umbra ha deciso di abbandonare il suo vecchio Erp. Un sistema che ormai “ci andava stretto”, come racconta Giacomo Bonora, Dynamics analyst e developer e responsabile Erp di Umbra Group. “Tutto è cominciato a dicembre del 2014, quando siamo stati invitati dal nostro partner Eos a visionare il nuovo prodotto in anteprima”. Dopo vari incontri in quel di Seattle è partita una fase di co-design in cui i tecnici della società di Foligno hanno lavorato con gli ingegneri di Microsoft, con un continuo scambio di indicazioni per l’adattamento di alcuni aspetti del software. Per testare la nuova soluzione è stata scelta l’azienda del gruppo con il minor profilo di rischio (sia per numero di utenti e sia per volumi di produzione) ovvero la Pke di Eltman, una delle due sedi tedesche. Lo scorso dicembre, terminata l’implementazione pilota, è cominciata la vera sfida: creare un “core model” valido per tutte le sedi, a cui dovrà essere esteso nell’arco di tre anni. Unificando le funzionalità Erp si potranno ottenere parametri di misurazione validi per tutte e cinque le unità operative, processi di engineering change management condivisi e procedure di risorse umane più efficienti grazie all’integrazione con Microsoft Power Bi. Umbra prevede anche di migliorare le attività di reportistica, contabilità e pianificazione delle risorse. FEBBRAIO 2016 |
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Gruppo Marcegaglia
SICUREZZA COMPLETA E SEMPLICE PER ANDARE PIÙ VELOCI LA SOLUZIONE L’appliance Cisco FirePower della serie 8000 assicura il blocco delle minacce con prestazioni affidabili, funzioni di visibilità e gestione automatizzata e intelligente della sicurezza. Il sistema si integra con i firewall Cisco Asa 5545 e viene gestito centralmente attraverso FireSight Management Center. Il Cisco Identity Services Engine permette di applicare le policy di accesso a tutti i dispositivi (anche mobile) che si connettono alla rete aziendale.
Dopo aver aggiornato il proprio data center con la connettività a 10 gigabit, il gruppo industriale si ritrovava con un sistema di prevenzione degli attacchi informatici ormai inadeguato. Cisco, già scelto per i firewall, è stata la risposta al problema.
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ffidarsi a un unico vendor ha indubbi vantaggi di semplicità di gestione, integrazione, salvaguardia degli investimenti già compiuti: proprio questa è stata la strategia di Gruppo Marcegaglia di fronte alla necessità di rinnovare il sistema posto a difesa del suo data center. Un sistema che era ormai inadeguato, incapace di bloccare quasi un terzo (il 30%) degli attacchi informatici e delle minacce. Per sostenere la sua crescita, un giro d’affari superiore ai 4 miliardi di euro annui e una produzione giornaliera pari a 5.500 chilometri di manufatti in acciaio inossidabile e carbonio, il gruppo ha recentemente aggiornato il proprio data center, potenziandone la connettività fino a 10 gigabit. Con un effetto collaterale indesiderato: il vecchio Intrusion Prevention System (Ips) non era più all’altezza. 36
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Dopo una fase di test, in cui sono state messe a confronto le cinque soluzioni di Ips più diffuse sul mercato, la scelta è ricaduta su quella che ha garantito la migliore capacità di riconoscimento delle minacce, la migliore visibilità e le migliori funzioni di automazione: l’appliance FirePower 8250 di Cisco. Un oggetto che, fra l’altro, risultava perfettamente integrabile con i firewall già in dotazione, gli Asa 5545 della stessa Cisco. “Confermare la scelta di soluzioni Cisco ci ha permesso di strutturare una piattaforma di sicurezza It in linea con la strategia aziendale di security per il futuro”, spiega Livio Bonatti, information technology & network infrastructure manager del Gruppo Marcegaglia. Oltre alla qualità del sistema Ips e alla salvaguardia degli investimenti già compiuti, il colosso industriale ha ottenuto un ulteriore vantaggio: affi-
dandosi totalmente a Cisco, può ora utilizzare per le diverse soluzioni di sicurezza un’unica console di gestione, il FireSight Management Center. Così facendo, ha ridotto dell’80% le ore dedicate alle operazioni di manutenzione e di gestione della security. Manca ancora un passaggio per descrivere il rinnovamento tecnologico di Gruppo Marcegaglia: l’installazione del Cisco Identity Services Engine, una piattaforma per il controllo delle policy e la gestione degli accessi alla rete aziendale attraverso diversi tipi di dispositivo, dal Pc agli smartphone. “Con poche regole distribuite sull’intero ambiente It abbiamo il controllo completo”, sottolinea Bonatti, “mentre prima eravamo costretti a connetterci con ogni singolo apparato per gestire policy diverse, con un conseguente spreco di tempo e risorse non indifferente”.
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Twin Set Simona Barbieri
LA VIRTUALIZZAZIONE FA CRESCERE IL FASHION TRICOLORE L’azienda di Carpi, presente in tutto il mondo con i suoi capi di abbigliamento e accessori, ha adottato la tecnologia Vmware per ottenere efficienza e per prepararsi al trasloco del data center.
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a moda italiana va alla conquista del mondo, anche grazie alla tecnologia. Fondata nel 1987 nel “distretto della maglieria” di Carpi, nel modenese, Twin-Set Simona Barbieri lo ha fatto con un progetto di rinnovamento del data center e appoggiandosi a Vmware. Negli anni, collezione dopo collezione, l’azienda è cresciuta sia allargando l’offerta (dai jeans alla lingerie, fino alle calzature e alle borse) sia allungando il proprio raggio commerciale. Entrata nel 2012 nel fondo di private equity Carlyle, oggi conta 700 addetti, occupati fra la sede centrale e i negozi di proprietà, e distribuisce i suoi capi di abbigliamento e accessori in cinque continenti. Da questo scenario è nata una sfida tecnologica: ampliare l’infrastruttura It per sostenere la crescita del business e per fornire un adeguato livello di servizio ai software gestionali acquistati negli ultimi anni. E c’era anche un secondo obiettivo, più immediato, ovvero quello di spostare il data center verso un sito remoto, in attesa dell’inaugurazione della nuova sede attualmente in costruzione. In questa fase transitoria, la società modenese ha fatto ricorso a un’infrastruttura virtualizzata, poggiata su un data center remoto. La scelta di Vmware è risultata naturale, sia per-
LA SOLUZIONE Twin-Set Simona Barbieri è ricorsa a vSphere with Operations Management per creare una nuova infrastruttura di virtualizzazione sul data center remoto, per semplificarne la gestione e per ottimizzare prestazioni e servizi. Il progetto prevede l’utilizzo di un blade con sei lame, con due cluster di tre nodi. La virtualizzazione ha riguardato la quasi totalità delle applicazioni, eseguite da 68 macchine virtuali.
ché l’azienda fin dal 2013 disponeva di una un’infrastruttura vSphere, di dimensioni non rilevanti (su un hardware che risultava ormai datato), sia perché si tratta di un vendor che “consideriamo leader di mercato e che rappresenta una garanzia, quando si parla di gestione dei servizi di virtualizzazione”, come sottolineato da Pierluigi Sacchetti, infrastructure manager di Twin-Set Simona Barbieri. E mentre in passato la tecnologia di Vmware era stata utilizzata per il consolidamento dell’infrastruttura, nel nuovo progetto è servita a ottimizzare le prestazioni. Con il supporto del system integrator Netmind è stata, dunque, adottata vSphere with Operations Management, una soluzione che combina funzionalità di virtualizzazione e capacità di gestione unificata integrata. Con diversi vantaggi pratici: fra gli altri, un’allocazione efficiente dello storage, l’ottimizzazione dei servizi di rete, l’automazione di alcune attività e una maggiore disponibilità delle risorse. Nello specifico, Twin-Set Simona Barbieri ha ottenuto una migliore operatività dell’infrastruttura, una più semplice gestione delle macchine e una maggiore stabilità. Elemento, quest’ultimo, che ha permesso di passare rapidamente da 25 a 68 macchine virtuali. “La virtualizzazione ci ha consentito di far crescere l’It e i suoi servizi in parallelo alla crescita vissuta negli ultimi anni dall’azienda”, conferma Sacchetti. Il beneficio ulteriore riguarda l’ultimo step del progetto di rinnovamento It, cioè il “trasloco” nella nuova sede. I dati relativi all’utilizzo delle risorse dell’infrastruttura, raccolti in questo periodo di transizione, serviranno a dimensionare correttamente il nuovo data center. FEBBRAIO 2016 |
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ITALIA DIGITALE
UN OBIETTIVO COMUNE: ATTUARE L’ AGENDA I progetti di svecchiamento della Pubblica Amministrazione sono pronti da tempo, ma a fine 2015 era stata recepita solo la metà dei provvedimenti attuativi. L’anno appena iniziato deve portare all’esecuzione dei piani, fondi europei permettendo.
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l commitment a livello di Presidenza del Consiglio c’è. Le buone intenzioni dell’Agid, anche. E i progetti cardine dell’Agenda digitale, lo sappiamo ormai tutti, sono stati definiti da tempo. Perché, se queste sono le condizioni di partenza, a fine novembre erano stati recepiti solo 32 dei 65 provvedimenti attuativi previsti dai decreti legge di un programma che visto la luce nel 2012? Lungaggini burocratiche? Latenza di governance? Problemi di ordine economico? Probabilmente un po’ tutte queste cose insieme. Sta di fatto che la trasformazione digitale della Penisola è ancora un work in progress con diverse caselle da riempire. Per chi ha a cuore i destini dell’Agenda, il 2016 è annunciato da più parti come l’anno della svolta. 38
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Finiti gli alibi e sbrogliati (non definitivamente, ma quasi) molti dei troppi nodi “tecnici” finora venutisi a creare, è giunta l’ora di attuare quanto è previsto su carta. O almeno queste sono le intenzioni. Non va dimenticato infatti, e lo ha puntualizzato anche l’ultimo rapporto del Politecnico di Milano dedicato all’Agenda, che dei 32 provvedimenti pendenti 20 avevano a tutto novembre ritardi medi di oltre 700 giorni rispetto alla scadenza, mentre 14 necessitavano di ingenti sforzi di coordinamento. Ai cittadini, ai professionisti e alle impre-
se, per farla breve, di nuovi servizi ne sono stati resi disponibili ben pochi e fra questi non rientrano, o lo fanno solo parzialmente, elementi importanti come l’identità digitale Spid e PagoPa. I presupposti per accelerare nel segno del digitale ci sono, ma per passare alla fase concreta serve un deciso salto di qualità. Un ritornello condiviso più volte a livello istituzionale e fra i rappresentanti dell’industria. Dal 2014 al 2020 sono previsti investimenti pubblici per 10,6 miliardi di euro, fondi che il Governo dovrebbe poter attingere in toto o quasi da ri-
La roadmap del 2016
PIANI ANNUNCIATI E TAGLI ALLA SPESA Siamo fra i Paesi europei con la più elevata percentuale di cittadini che non hanno mai usato Internet (poco meno di un terzo), fra i meno virtuosi quanto a uso regolare della Rete (fanno peggio di noi solo Romania e Bulgaria) e soprattutto non brilliamo per la familiarità con i servizi disponibili online, a cominciare da quelli di e-government. I dati 2015 dell’Eurostat ci condannano ma, almeno all’apparenza, le misure correttive sono già pronte, vedi il piano per la banda ultralarga e i progetti previsti dall’Agenda Digitale come Spid o PagoPa, Italia. Misure che dovrebbero produrre effetti positivi per l’uso del digitale, al pari di altre iniziative come la strategia per Industry 4.0 o il Piano Nazionale Scuola Digitale. Detto che il problema delle competenze è stato forse affrontato con troppa leggerezza (e non solo da questo Governo) c’è una questione che aleggia in modo preoccupante sul nuovo corso della Pubblica Amministrazione italiana. Ed è quella del taglio alla spesa It previsto dall’articolo 29 della Legge di Stabilità e dal relativo emendamento. Ri-
sorse europee. Come osservano però gli esperti, le risorse che mette a disposizione la Ue (da fondi strutturali e da fondi a gestione diretta) vanno prima intercettate e quindi utilizzate in modo adeguato. Ma è necessario partecipare ai bandi, come a quelli di Horizon 2020 per fare un esempio, ed è necessario farlo con progetti e requisiti conformi agli obiettivi di Bruxelles. Dieci Regioni italiane, nel frattempo, hanno già formalizzato le proprie Agende Digitali e nel complesso dovrebbero contare fino al 2020 su circa 5,7 miliardi di euro di fondi Fesr e Fse per attua-
ducendosi del 50% nell’arco di tre anni il budget destinato alle tecnologie, c’è chi – come il presidente dell’Inps, Tito Boeri – prefigura effetti catastrofici. L’allarme lanciato tempo fa dall’economista è stato esplicito: “Rischiamo di non accendere le macchine”. Esagerazione? Forse, ma sta di fatto che l’Inps spende 350 milioni di euro l’anno per l’informatica e, di questi, 198 milioni sono (parole di Boeri) “spese incomprimibili e vitali per la sola operatività del sistema”. Il taglio previsto dal Governo lascerebbe insomma pochi margini per portare avanti il processo di digitalizzazione, dando per necessaria la manutenzione dell’hardware e l’estensione delle licenze d’uso del software. Senza dimenticare, inoltre, come la spesa Ict della Pa locale e centrale (i dati sono di Assinform) fosse già scesa nel 2014 a cinque miliardi di euro rispetto ai 5,7 miliardi del 2012 e come, fra le grandi economie europee, l’Italia mostri (insieme alla Spagna) il peggior rapporto fra spesa pubblica in Ict e Pil. Arriviamo, infatti, allo 0,3%, contro lo 0,9% del Regno Unito.
re i rispettivi programmi. Il problema – stando a un’indiscrezione trapelata a metà gennaio a margine della prima riunione dell’anno della Commissione Agenda Digitale, che riporta alla Conferenza delle Regioni – è che 3,8 miliardi di euro in arrivo dalla Ue non sono spendibili dagli enti regionali italiani senza il via libera della Commissione di Bruxelles. Che cosa significa? Significa che crescono i rischi di ennesimi ritardi sullo sviluppo del piano di trasformazione digitale e sull’attuazione di progetti come per esempio il Fascicolo Sanitario Elettronico.
Supportare e spingere la trasformazione digitale della Pa, da una parte, e favorire la creazione di un ecosistema digitale su misura di imprese, dall’altra. Due macro obiettivi, fra loro complementari, che rappresentano la scommessa da vincere per il Governo entro la fine di quest’anno. Il compito cui è chiamato il direttore generale dell’Agid, Antonio Samaritani, probabilmente, è di quelli che non suscitano le invidie di molti. Obiettivi chiari e poche ma strategiche priorità è il motto operativo del timoniere dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Spid, pagamenti digitali, anagrafe unica, notifiche e linee guida sono i cinque pilastri della “rivoluzione” e ne abbiamo avuto conferma anche in occasione dell’Italian Digital Day svoltosi a novembre a Venaria Reale. A fine 2015 i servizi disponibili del Sistema Pubblico per la gestione dell’identità digitale erano 300 e nel 2017, questa la promessa fatta a dicembre da Samaritani, ci sarà l’adesione di tutte le pubbliche amministrazioni. La piattaforma PagoPa sarà operativa su tutto il territorio a partire da quest’anno e parallelamente saranno avviati il monitoraggio delle azioni sul territorio da parte delle Regioni (attraverso un “Digital Economy and Society Index” regionale) e l’aggiornamento di tutti i siti Internet della Pa centrale con un unico mock-up. I lavori in corso contemplano infine la carta d’identità elettronica, per cui sono state confermate già diverse applicazioni in demo funzionanti, e la cittadinanza digitale. La nuova scommessa, resa pubblica dal Consigliere per l’innovazione Paolo Barberis, è un ecosistema di finanziamenti per affiancare il Paese al capitale di rischio. “Siamo ancora troppo indietro e bisogna recuperare per rendere competitive le nostre aziende”, ha detto l’esperto voluto da Matteo Renzi. La strada può essere quella giusta, ma bisognerà percorrerla nel migliore dei modi. Gianni Rusconi 39
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UN (PICCOLO) ECOSISTEMA CHE CORRE VELOCE Quali dinamiche regolano il fenomeno delle startup? Quali i criteri di selezione per ottenere ritorni a lungo termine? Ecco un’analisi della società di scouting U-Start. Stefano Guidotti
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l mondo in cui viviamo è in continua evoluzione e soggetto a profonde innovazioni che stanno rivoluzionando l’economia e anche, se non soprattutto, le nostre abitudini. Un contesto che ha favorito la nascita e l’affermazione di realtà come Facebook, Uber, Amazon, Airbnb e Yoox. Aziende che, facendo leva sulle tecnologie digitali, sono state capaci di trasformarsi in colossi globali nel giro di pochissimi anni. In futuro avremo modo di vedere numerose storie di successo in un settore che attrae una quantità crescente di
capitali, sia da parte di fondi sia da investitori privati e family office. Secondo PitchBook, nel 2015 il movimento dei venture capital ha registrato poco meno di 1.300 “exit” a livello globale, per un totale di 95 miliardi di dollari. Il mercato più sviluppato è sicuramente quello della Silicon Valley, senza dubbio l’ecosistema di riferimento su scala mondiale. Qui, solo nei primi nove mesi del 2015 sono stati investiti oltre 21 miliardi in startup tecnologiche. Altro polo in grande fermento è Tel Aviv, mentre in Europa le città più
attive sono Londra, Berlino e Parigi. E poi c’è la Cina, un mercato con logiche proprie e difficile da interpretare, il quale ha registrato nel terzo trimestre dell’anno passato investimenti per 14 miliardi di dollari. Il grande interesse per questo settore e gli ottimi ritorni riportati negli ultimi anni hanno attratto enormi quantità di capitali, generando un forte aumento nelle valutazioni delle nuove imprese specialmente Oltreoceano, dove le startup innovative quotate oltre il miliardo di dollari sono ormai più di 80, rispetto alle 30 dell’anno precedente. L’Europa si trova, invece, in una fase in cui il capitale investito in società tecnologiche è pari al 10% di quello speso negli Stati Uniti. Secondo un rapporto di Dow Jones, nel Vecchio Continente da gennaio a settembre 2014 i finanziamenti erogati hanno sfiorato i quattro miliardi di euro, oltre la metà dei quali concentrati in Gran Bretagna, Germania e Francia. Un gap evidente, rispetto agli Usa, che comporta però dinamiche di mercato più sane, con valutazioni
più vicine al valore intrinseco degli asset societari e una notevole potenzialità di crescita. Il contesto italiano è ancora lontano da questi volumi, ma il trend è positivo e destinato a migliorare. Secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2015 sono stati investiti in startup 133 milioni di euro, rispetto ai 120 milioni dell’anno precedente. Un interesse crescente si registra non solo dai fondi di investimento ma anche dagli investitori non istituzionali (family office e business angel), che hanno rappresentato più del 56% del valore complessivo. L’ecosistema tricolore è ancora agli albori ma ci sono stati segnali importanti come i finanziamenti record, rispettivamente di 16 e 10 milioni di euro, ottenuti da MoneyFarm (mercato fintech) e da Doveconviene.it. Cifre atipiche per società italiane, a dimostrazione di una crescente attenzione verso alcune nostre aziende da parte di investitori esteri di primissimo ordine. Nel 2015, inoltre, si è messa in luce Vi-
slab (startup nata in seno all’Università di Parma), per aver progettato un’auto a guida completamente autonoma e per essere stata acquisita lo scorso luglio dall’americana Ambrella per 30 milioni di euro. Scegliere e selezionare le opportunità di investimento richiede però tempo, relazioni consolidate a livello internazionale e molta conoscenza delle dinamiche di un mercato ricco di opportunità e in grado di offrire significativi ritorni a medio/lungo termine. Come U-Start riteniamo fondamentale che le società abbiano quattro requisiti: presenza di lead investor che possano accompagnarle anche nei round successivi e supportarle nel processo di exit; un mercato target con una dimensione di almeno 500 milioni di euro; metriche di business in rapida e costante crescita; e infine un imprenditore con solido background professionale in qualità di founder. Stefano Guidotti, Ceo di U-Start Venture Capital
GIOVANI IMPRESE INNOVATIVE OFFRESI Poco meno di 5.250: tante erano a inizio gennaio le nuove imprese e le Pmi innovative contabilizzate nel database ufficiale delle Camere di Commercio. Un numero in continua crescita e destinato a salire ancora, al ritmo di quasi una decina al giorno. Quando fu approvata la legge sulle startup, era il 17 dicembre del 2012, forse nessuno si aspettava questi risultati. Un indubbio miniboom per uno degli ecosistemi (ancora giovanissimo) alla base della scommessa della nuova fase di innovazione e digitalizzazione del Paese. Un ecosistema che presenta connotati ben precisi. Una startup su cinque ha sede in Lombardia ma è il Trentino-Alto Adige la Regione
con la più elevata incidenza di nuove imprese in rapporto alle società di capitali. Milano è la provincia più popolata ma superano le cento unità anche Modena, Firenze e Padova. Infocamere ci ricorda in ogni caso l’incidenza (molto marginale) delle nuove realtà sul milione e mezzo di società di capitali italiane: alla fine del terzo trimestre 2015 eravamo allo 0,31%. Oggi siamo poco più sopra. E ci sono altri parametri che frenano i facili entusiasmi: sei su dieci hanno un bilancio in rosso, mentre il valore medio del fatturato non supera i 131mila euro. Pensare a prossimi “unicorni”, e cioè aziende con valutazioni miliardarie come Uber, e ad exit di rilievo è insomma ancora
un’utopia o quasi. Per consolarci possiamo guardare all’indice di mortalità delle startup italiane, che è molto basso: Unioncamere riferisce che su oltre cinquemila società registrate meno di cento hanno cessato l’attività. Gli esperti fanno notare, però, come molte startup sopravvivano grazie a finanziamenti alternativi al venture capital, e quindi grazie a bandi pubblici e banche. L’accesso al credito, in altre parole, ha ritardato e sta ritardando l’inevitabile chiusura di progetti che non reggono alla prova del mercato e che non trovano ancora adeguato supporto nell’azione dei capitali di rischio specializzati.
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OBBIETTIVO SU | Prysmian
L’ITALIA HA UNA FIBRA DECISAMENTE FORTE La domanda di servizi in banda ultralarga traina la realizzazione di nuove infrastrutture. Prysmian, unico produttore italiano, risponde con una capacità produttiva di oltre 30 milioni di chilometri l'anno, che arrivano anche dal nostro Paese. 42
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a posa di cavi ottici per reti di telecomunicazione viaggia a 300 milioni di chilometri di fibra l’anno, spinta dagli obiettivi ambiziosi dei piani per le New Generation Networks (Ngn) delle agende digitali di tutto il mondo. Il Gruppo Prysmian risponde a questa forte domanda di mercato con 25 impianti produttivi, dislocati in tutto il mondo e destinati alla manifattura di infrastrutture, dispositivi e strumenti per il settore delle telecomunicazioni.
Cinque di questi stabilimenti sono dedicati alla produzione di fibra ottica per cavi destinati alle reti a banda larga. Uno è in Italia e rappresenta un centro di eccellenza mondiale. Si trova a Battipaglia, in provincia di Salerno, dove 300 addetti specializzati producono circa 9 milioni di chilometri di fibra l’anno (23 volte la distanza dalla terra alla luna). La fibra ottica italiana, che rappresenta grosso modo un terzo di tutta quella prodotta da Prysmian a
IL FILAMENTO OTTICO HA SOLITAMENTE UN DIAMETRO DI 125 MICROMETRI ED È TALMENTE LEGGERO CHE UN CHILOMETRO DI CAVO PESA MENO DI DUE CHILOGRAMMI.
livello mondiale, viene utilizzata in progetti di connettività ultra-broadband in tutto il mondo, dalla Russia all’Australia, dall’Estremo Oriente agli Stati Uniti. Le fibre prodotte nello stabilimento Fibre Ottiche Sud di Battipaglia sono di tre tipologie: monomodali, multimodali e “specialty” (per settori specifici come il medicale, il marittimo e il petrolifero). In tutti casi, in Campania, dove l’azienda ha investito 30 milioni di euro per aumentare anche la competitività dei clienti attraverso l’incremento delle performance dei cavi, vengono utilizzate le tecnologie più innovative, risultato degli ingenti investimenti in ricerca e sviluppo, che a livello di gruppo ammontano a circa 350 milioni di euro negli ultimi cinque anni. 43
OBBIETTIVO SU | Prysmian
LA PRODUZIONE GLOBALE DI FIBRA DA PARTE DI PRYSMIAN È DI CIRCA 30 MILIONI DI CHILOMETRI ALL'ANNO.
Nelle foto di queste pagine, i diversi ambienti e le fasi di lavorazione della produzione nei centri Prysmian. 44
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LO STABILIMENTO DI BATTIPAGLIA È UNO DEI CINQUE IMPIANTI DI PRYSMIAN PER LA FABBRICAZIONE DI FIBRE OTTICHE, ECCELLENZA A LIVELLO MONDIALE.
In alto nella pagina di sinistra, il processo di deposizione del "core" della fibra ottica all'interno dello stabilimento Prysmian.
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VETRINA HI-TECH
L’ONDATA INARRESTABILE DEI CONVERTIBILI Il mercato dei tablet è in sofferenza, con vendite calate nell’ultimo anno dell'8%. Secondo gli analisti, la salvezza potrebbe venire dai dispositivi 2-in-1, che favoriscono la produttività.
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l 2016 sarà un anno di migrazioni tecnologiche. Almeno dal punto di vista dei tablet. La fotografia l’ha scattata Idc già a fine 2015 e la sentenza sembra essere scolpita nella pietra: lo spostamento verso le versioni “convertibili” di questi dispositivi è inevitabile e proseguirà nel corso dei prossimi 12 mesi, consolidandosi quindi in un trend ben preciso. Sono i numeri a parlare: a livello globale, nel 2015 le consegne di tablet si sono fermate a circa 211 milioni, con un calo dell’8% rispetto al 2014. “Ma stiamo assistendo a un’importante transizione di mercato, perché
gli utenti spostano la loro attenzione verso gli ibridi e, più, in generale, verso le proposte che favoriscono la produttività”, ha commentato Jean Philippe Bouchard, research director, tablets di Idc. E i modelli di “tavoletta” che più sembrano incontrare i desiderata degli utenti sono proprio loro, i 2-in-1, che possono offrire il classico comfort dei notebook alla versatilità dei tablet, grazie a tastiere che si sganciano in pochi secondi. Il mercato nel 2015 ha visto la commercializzazione di un numero sostanzioso di dispositivi convertibili, con un occhio di riguardo proprio al mon-
do aziendale. Uno dei pezzi da novanta, in grado di generare il maggior rumore mediatico, è stato sicuramente il Surface Book di Microsoft, ovvero il guanto di sfida diretto del colosso di Redmond ai Macbook Pro di Apple. Un laptop da 13,5 pollici, con processori Intel Core i5 o i7 di sesta generazione (Skylake), Gpu Nvidia Geforce e 12 ore di durata della batteria. Il richiamo ai prodotti della Mela è forte anche nel design, con un’estetica molto simile a quella dei Macbook. Il Surface Book, anche e soprattutto a causa del prezzo, non è sicuramente un device per tutti, ma è FEBBRAIO 2016 |
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stato pensato per professionisti come architetti, grafici, videomaker e ricercatori. Altri due dispositivi interessanti presentati di recente sono anch’essi statunitensi e arrivano dai laboratori di Dell e Hp. L’azienda texana ha svelato negli ultimi mesi, ma non ancora reso disponibile in Italia, l’Xps 12 2-in-1, tablet-laptop con l’opzione di un display 4K e due fotocamere ad alta risoluzione. La tastiera di serie è retroilluminata e si collega al corpo del device grazie a una cerniera magnetica. L’ampio portafoglio Hp ha invece sfornato l’Elite x2 1012, pensato appositamente per l’utenza business. Un dispositivo da 12 pollici con processori della famiglia Intel Core M e 8 GB massimi di Ram Ddr3L. Due le porte Usb disponibili sull’Elite x2 1012: una Usb 3.0 di tipo A e la nuova Usb di tipo C con supporto per la tecnologia Thunderbolt. Ricco il comparto di opzioni per la sicurezza, in quanto il 2-in-1 di Hp può essere dotato di lettore delle impronte digitali, lettore smart card integrato, crittografia del disco in fase
di pre-boot e altre soluzioni software di Hp e di terze parti. Volando dall’altra parte dell’Oceano Pacifico, si incontrano le nuove offerte dei colossi asiatici Lenovo, Acer e Asus. La casa cinese ha svelato il tablet 2-in1 Miix 700 da 12 pollici, con tastiera folio con aggancio magnetico, display da 12 pollici con risoluzione 2.160 per 1.440 pixel e processori della famiglia Intel Core M di sesta generazione. Lenovo mette a disposizione come optional anche la videocamera Intel Realsense 3D e il modulo Lte. Il Miix 700, arrivato da pochi giorni anche in Italia, non pesa nemmeno 800 grammi e offre nove ore di autonomia. L’Aspire Switch 11 V di Acer è invece un convertibile di 11,6 pollici di fascia medio-alta, che unisce uno schermo con risoluzione dicreta (si ferma a 1080p) a una più che buona capacità di storage, grazie soprattutto al disco fisso aggiuntivo (opzionale) inserito nella base dock. La tastiera ospita anche una porta Usb 3.0, che si aggiunge al connettore Usb 2.0 e alla micro Hdmi. Il
produttore ha lavorato per migliorare le specifiche di questo tablet rispetto al più datato Switch 11, rendendolo così più leggero (760 grammi senza tastiera) e sottile (9 millimetri). Prestazioni ed efficienza energetica sono ben bilanciate, in quanto il device ospita una batteria da 4.420 mAh che consente di arrivare anche a dieci ore di autonomia navigando sul Web. Per il proprio T100Ha, invece, Asus dichiara addirittura 12 ore di durata della batteria, grazie anche a una diagonale minore (10,1 pollici) e a processori meno performanti: si parla della famiglia Intel Cherry Trail a quattro core da 1,4 GHz, accoppiata a 2 o 4 GB di Ram. Un prodotto decisamente più abbordabile e dalle prestazioni contenute rispetto agli altri finora descritti, ma che mantiene comunque il pregio della maneggevolezza grazie alle dimensioni ridotte del display Wxga Ips da 1.280 per 800 pixel. Lo storage è invece affidato in questo caso alle card eMmc, con capacità massima di 128 GB. Alessandro Andriolo
ACER ASPIRE SWITCH 11 V
ASUS T100HA
DELL XPS 12 2-IN-1
Schermo: 11,6”, 1.920 x 1.080 px
Schermo: 10,1”, 1.280 x 800 px
Schermo: 12,5”, 3.840 x 2.160 px
S.O.: Windows 10 Home
S.O.: Windows 10
S.O.: Windows 10
Memoria/storage: 4 GB Ram,
Memoria/storage: 4 GB Ram,
Memoria/storage: 8 GB Ram,
128 GB Ssd
fino a 128 GB eMmc
256 GB Ssd
Peso (con tastiera): 1,46 Kg
Peso (con tastiera): 1,04 Kg
Peso (con tastiera): 1,27 Kg
PREZZO: 649 EURO
PREZZO: DA 299 DOLLARI
PREZZO: DA 999 DOLLARI
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| FEBBRAIO 2016
LE NOVITÀ DAL CES DI LAS VEGAS Dispositivi convertibili con schermi 4K o con tecnologia Oled e connettori Usb di tipo C. Sono questi i principali trend nel campo dei 2-in-1 notati al Ces 2016 di Las Vegas, la più importante kermesse mondiale dell’elettronica di consumo, che si è tenuta nella città del Nevada dal 6 al 9 gennaio. Tra le principali testimonianze dell’incredibile successo delle nuove interfacce Usb va citato il Galaxy TabPro S di Samsung, che verrà però ricordato anche per un altro motivo. È il primo tablet 2-in-1 del produttore sudcoreano ad abbandonare Android in favore di Windows 10. Un ibrido da 12 pollici con processori Intel Core M di sesta generazione e con dieci ore e mezza di autonomia. Il tutto in soli 6,3 millimetri di spessore. Dell ha invece proposto il Latitude 12 7000 Series: un disposi-
tivo per utenti business con interfaccia Usb 3.1 Type-C e schermo 4K Uhd da 12,5 pollici. Il peso della generosa diagonale è bilanciato dallo chassis in fibra di carbonio, che porta il peso del tablet a 730 grammi. Stesso numero di pollici e risoluzione anche per lo Switch 12 S di Acer, rivisitazione del noto Aspire Switch 12 che è stata dotata di una nuova antenna integrata ExoAmp, studiata per evitare le interferenze del sistema e conferire maggiore stabilità al modulo WiFi. Ha puntato invece sulla tecnologia Oled Lenovo, che ha scelto questa opzione per l’X1 Yoga, uno dei primi
convertibili da 14 pollici a presentare questa possibilità. Ma a pensare davvero in grande è stata Hp, che ha svelato una versione del convertibile Spectre x360 da 15,6 pollici, con display 4K opzionale e processori Core i5 o i7 di sesta generazione.
HP ELITE X2 1012
LENOVO MIIX 700
MICROSOFT SURFACE BOOK
Schermo: 12”, 1.920 x 1.080 px
Schermo: 12”, 2.160 x 1.440 px
Schermo: 13,5”, 3.000 x 2.000 px
S.O.: Windows 10
S.O.: Windows 10
S.O.: Windows 10 Pro
Memoria/storage: fino a 8 GB Ram,
Memoria/storage: fino a 8 GB Ram,
Memoria/storage: fino a 16 GB Ram,
fino a 256 GB Ssd
fino a 256 GB Ssd
fino a 1 TB Ssd
Peso (con tastiera): 1,3 Kg
Peso (senza tastiera): 0,78 Kg
Peso (con tastiera): 1,52 kg
PREZZO: DA 899 EURO
PREZZO: DA 999 EURO
PREZZO: DA 1.649 EURO
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VETRINA HI-TECH
IBRIDI AL PUNTO DI SVOLTA Secondo Hp, l'Envy 8 Note 5000 è il primo 8 pollici a garantire un vero multitasking. Di sicuro, siamo di fronte a un prodotto ben progettato e altrettanto ben realizzato.
Ibridi, convertibili, “2-in-1”. Nomi diversi per la stessa tipologia di dispositivi (con qualche sfumatura che ne traccia le sottili differenze), che da quando sono stati concepiti aspirano a diventare i personal computer del prossimo futuro. Fino a ora il cammino si è dimostrato più in salita di quanto i produttori avessero previsto, soprattutto per i limiti in termini di prestazioni e di produttività che questi device hanno mostrato. L’Envy 8 Note 5000, l’ultimo nato della famiglia dei 2-in-1 della multinazionale, vuole essere un punto di svolta in questo relativamente lungo cammino, sia per la qualità costruttiva sia per la ricerca di prestazioni e connettività di fascia alta. Così, a un prezzo che si può tranquillamente definire abbordabile, intorno ai 500 euro, Hp ha rilasciato recentemente (tanto che in Italia, al momento in cui scriviamo, non è ancora in vendita e non è nemmeno certa la sua disponibilità) questo interessante device, associato a una elegante tastiera in alluminio di dimensioni generose, 10 pollici. L’Envy Note 8 è costruito in alluminio e plastica (quest’ultima relegata nella cover posteriore), il che ha per-
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En HP vy 8 500 Not 0 e
messo di mantenere il peso del tablet sotto i 400 grammi, mentre con la tastiera e la cover (che contiene lo stilo) il carico totale sfiora il chilogrammo. Diciamo subito che il pregio maggiore del nuovo Envy è anche il suo principale limite: le dimensioni dello schermo. Da una parte, infatti, gli 8 pollici (Full Hd con Gorilla Glass e angolo di visualizzazione molto ampio) hanno permesso di realizzare un prodotto compatto ed estremamente maneggevole. Dall’altra, la produttività consentita dall’utilizzo dello stilo (preciso anche se leggermente ingombrante rispetto ad altri prodotti della stessa categoria) e dalle prestazioni di processore e memoria non può essere completamente “scaricata a terra” proprio a causa della diagonale limitata del tablet. A parte questo, il prodotto non sembra avere altri punti deboli. Windows 10 Home a 64 bit funziona con una discreta fluidità (gli strumenti di Microsoft Office sono preinstallati) e la duplice connettività WiFi e 4G consente di essere sempre online, condizione essenziale per mantenere alta la famosa produttività. Ottima, anche se ingombrante, la tastiera Bluetooth full-size a corredo, che
contiene una scanalatura in grado di supportare il tablet sia in orizzontale sia in verticale e che, ricaricabile tramite micro Usb, ha un’autonomia di alcune settimane. Completano il corredo dell’Envy Note 8 una fotocamera posteriore da 5 Megapixel e l’audio Bang & Olufsen. Pregi t 5BTUJFSB DPNQMFUB F QSFDJTB t "VUPOPNJB t $VSB DPTUSVUUJWB %JGFUUJ t 1FTP DPO UBTUJFSB
t 4DIFSNP QJDDPMP LE CARATTERISTICHE A COLPO D’OCCHIO Tipologia: tablet convertibile 2-in-1 Processore: Intel Atom x5 Dimensioni schermo: 8 pollici, 16:10 Risoluzione: 1.920x1.200 px Connettività: WiFi, 4G Autonomia: oltre 6 ore Sistema operativo: Windows 10 Dimensioni: 126,6x218x7,7 mm Peso: 368 grammi (solo tablet)
PREZZO: 449 EURO
IDC BANKING FORUM 2016
La banca dall’e-business al d-business 16 febbraio, Milano – Palazzo Clerici
Scenario La banca dall’e-business al d-business Tutte le banche mirano a diventare protagoniste nel mondo digitale perché è proprio lì che stanno andando i loro clienti. Ma avere successo nel digital banking non significa fornire un servizio online, comporta una profonda trasformazione della tecnologia, dei processi e della cultura interna per offrire una customer experience univoca e superiore in ottica omnichannel, mantenendo inalterati i valori di fiducia e sicurezza alla base del rapporto con i clienti. Per una banca che nasce digitale e che può fornire servizi end-to-end su piattaforme digitali, agilità e semplicità sono caratteristiche intrinseche. Per una banca consolidata, affrontare la digital transformation implica invece orchestrare tecnologie e processi diversi, integrare canali fisici e virtuali, adattare i modelli operativi a nuove opportunità di business non dimenticando i fronti di redditività tradizionali. In una parola, operare a due velocità.
Key Words Digital transformation, Mobile banking, Real-time banking, Customer-centricity, Mobile and P2P payments, Bitcoin, Crowdfunding, Modernization and core transformation, Big data analytics, Social. Main Partner
Sponsor PER INFORMAZIONI Nicoletta Puglisi, Senior Conference Manager, IDC Italia npuglisi@idc.com · 02 28457317
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