Technopolis 28

Page 1

NUMERO 28 | MAGGIO 2017

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

I SEGRETI DELLA GUIDA AUTONOMA

Reti, sensori, intelligenza artificiale: la sicurezza delle auto senza conducente è legata alla capacità di elaborare enormi quantità di dati in tempo reale.

BIG DATA

16

Per le aziende è il momento di passare dalla fase pionieristica a quella "industriale" dell'analisi delle informazioni.

FINTECH

22

L'onda digitale ha investito in pieno gli istituti di credito, che stanno accelerando la ricerca e collaborando con le startup.

FOCUS SUL CLOUD

28

La flessibilità dell'informatica sulle "nuvole" ha ormai conquistato le imprese di tutte le dimensioni.


HAI MAI VISTO UNA LAVAGNA, UN MULTIFUNZIONE E UN VIDEOPROIETTORE CHE SI PARLANO?

WORKSTYLE INNOVATION TECHNOLOGY Change the way you work Tecnologie e servizi in grado di trasformare il modo di lavorare, integrando cloud e mobility: questo per noi significa Workstyle Innovation Technology. È un ambiente innovativo in cui i dispositivi “intelligenti” - stampanti, multifunzione, pc, lavagne interattive e videoproiettori - dialogano tra loro per rendere più semplice il lavoro in ufficio.

RICOH ITALIA www.ricoh.it


SOMMARIO STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 28 - MAGGIO 2017 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012.

4 STORIE DI COPERTINA

Conto alla rovescia per la guida autonoma

9 IN EVIDENZA

La “lezione” del G20 digitale

Trasformazione a portata di stampante

L’intervista: Le pmi e l’e-commerce: ecco perché non sono pronte Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Andrea Bacchetti, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Carlo Fontana, Paolo Galvani, Claudia Rossi, Massimo Zanardini. Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Istockphoto, Adobe Stock images, Martina Santimone

Per Teradata il futuro è nell’ecosistema

Passa dai servizi il business della banda larga

16 SCENARI

I grandi dati sono maturi?

Intelligenza umana e artificiale in tandem

Nella nuvola solo un’impresa UE su cinque

22 TECNOLOGIE

Affidarsi al digitale è un obbligo

Arriva blockchain per il recupero crediti

Si cambia al ritmo dell’innovazione

28 FOCUS CLOUD COMPUTING

Avanti tutta nella nuvola

L’infrastruttura accelera il business

AAA facilitatori affidabili cercansi

36 INNOVAZIONE Pro e contro di Industria 4.0 Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Correggio, 48 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.it

Il modello che fa scuola

40 ECCELLENZE.IT Gruppo Siram - Oracle Jobrapido - Cloudera

Stampa: Elcograf S.p.A. - Verona

Alpitour - Avanade

© Copyright 2017 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati.

44 ITALIA DIGITALE Cittadini e Stato, un dialogo imperfetto

L’open innovation c’è, ma è ancora per pochi


STORIA DI COPERTINA | Self Perpiciatis driving car

L’affidabilità delle auto senza conducente è legata alla capacità di elaborare milioni di dati in tempo reale. Per questo serve, alla base, un’adeguata infrastruttura informatica e di rete, che includa connettività mobile 5G, tecnologie di accelerazione hardware e intelligenza artificiale. Ecco come dovrà funzionare.

CONTO ALLA ROVESCIA PER LA GUIDA AUTONOMA

Q

uattromila gigabyte di traffico dati attraversano quotidianamente in media, già oggi, ciascun veicolo che rientra nella categoria delle automobili connesse. Una quantità enorme di informazioni provenienti da telecamere (al ritmo di 20-40 megabyte per secondo), radar, sonar, Gps e sensori Lidar, e riferite ai parametri del sistema di guida, alle apparecchiature interne ed esterne all’auto ma anche ai dati che entrano nell’abitacolo attraverso le app mobili (come Wave, che localizza i contatti della rubrica telefonica su una mappa) utilizzate da conducenti e passeggeri. Inquadrando il tema della “connected car”, e in particolare quello delle auto senza conducente, Riccardo Mariani, Intel fellow e chief 4

| MAGGIO 2017

functional safety technologist dell’Internet of Things Group del colosso dei microchip californiano, non immagina un unico futuro possibile. Perché questo ingegnere italiano che arriva da Yogitech, startup pisana specializzata in sensoristica applicata anche alle auto (sistemi frenanti, airbag e altri strumenti per la sicurezza di veicolo e passeggeri) e acquisita da Intel lo scorso anno, parla di milioni di scenari possibili? Per un motivo molto semplice. L’auto connessa e quella che si muoverà su strade e autostrade in modo (completamente) autonomo presuppongono una tale molteplicità di impieghi della tecnologia che oggi non è possibile ipotizzare quanti e quali potranno essere. Sicuramente tantissimi, milioni per l’appunto. E non è fantascienza.

“Da tempo”, osserva Mariani, entrando nel merito della sicurezza delle self driving car, “le case automobilistiche hanno integrato dispositivi embedded nei loro veicoli per meglio tutelare l’incolumità di chi sale a bordo. Un’auto nuova è dotata di sistemi avanzati di assistenza alla guida, i cosiddetti sistemi Adas (Advanced Driver Assistance System, ndr), completi, in grado di assicurare funzionalità come il rilevamento delle collisioni, il cruise control, il parcheggio automatico, il rilevamento dei colpi di sonno e molto altro”. Il passo logico successivo sono le auto senza conducente ovvero, a detta dell’esperto di Intel, una fra le tecnologie “più rivoluzionarie e significative del ventunesimo secolo, perché miglioreranno l’efficienza del


SMART CHIP PER LE AUTO DEL FUTURO

Da Bmw a Tesla, tutte le principali case automobilistiche al mondo sono impegnate nello sviluppo delle auto che si guideranno da sole. Al loro fianco anche i più grandi produttori di chip: Intel, Nvidia e Qualcomm.

Sul fronte dei veicoli a guida autonoma, le alleanze fioriscono. Nvidia e Bosch hanno stretto una partnership per sviluppare un computer dotato di intelligenza artificiale, che potrà essere prodotto su larga scala e utilizzato come “cervellone” delle auto senza conducente. La base di partenza del progetto sarà la piattaforma hardware e software Drive Px, dotata di algoritmi di deep learning e capacità di creare reti neurali. Un componente in silicio costituito da sette miliardi di transistor, otto core Arm a 64-bit e una scheda grafica basata sull’architettura Volta, prossima generazione di Gpu di Nvidia che dovrebbe arrivare sul mercato nella prima metà dell’anno. L’obiettivo di Drive Px è fornire ai veicoli capacità di guida autonoma di livello quattro. Questo grado della scala, che va da zero a cinque, significa che il sistema è in grado di controllare l’auto praticamente in tutte le situazioni, tranne nel caso di condizioni ambientali particolarmente sfavorevoli. Il conducente, quindi, dovrebbe attivare la tecnologia soltanto in contesti estremamente sicuri. Se questo parametro viene rispettato, non è più richiesta l’attenzione del guidatore. Un obiettivo, quello del livello quattro, che le principali case automobilistiche hanno dichiarato di voler raggiungere entro circa tre anni. Per Nvidia non è la prima collaborazione di peso nel settore dell’automotive. L’azienda californiana ha già siglato partnership con Volvo, Tesla, Audi, Mercedes-Benz, Bmw e Honda, oltre ad accordi con la cinese Baidu e il produttore di componenti tedesco Zf. Né Nvidia né Bosch hanno specificato una roadmap precisa per il rilascio di sistemi autonomi. Secondo il colosso di Gerlingen, la produzione di massa dovrebbe partire all’inizio del prossimo decennio. “Le aziende hi-tech riconoscono oggi che le tecnologie di guida autonoma saranno i driver del futuro, alimentando non solo le macchine, ma praticamente qualsiasi appliance elettronica”, come dice Paul Cuatrecasas, Ceo della società di investimenti Aquaa Partners. “Bosch sta difendendo se stessa dalla disruption e sta rivendicando una quota nel software che molto probabilmente sarà alla base di tutti i dispositivi intelligenti”.

flusso di traffico, potenzieranno la produttività dei passeggeri, ridurranno l’inquinamento abbattendo drasticamente il consumo di energia e, soprattutto, trasformeranno completamente la sicurezza delle nostre strade”. Ridurre la frequenza degli incidenti mortali fino al 90% (secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, se ne verificano ogni anno circa 1,2 milioni) e salvare dieci milioni di vite ogni decennio è un obiettivo molto ambizioso. Per mantenere questa promessa, le automobili driverless, cioè senza conducente, necessitano di avere alle spalle un’infrastruttura (hardware e software) e reti per la condivisione dei dati dall’auto 5


STORIA DI COPERTINA | Self driving car

al cloud (e viceversa) capaci di assicurare livelli senza precedenti di affidabilità, disponibilità e sicurezza funzionale. Il circolo virtuoso dei dati

“Per trasformarsi in passeggeri”, spiega ancora il fellow di Intel, “i conducenti dovranno potersi fidare dell’intelligenza artificiale che guida le auto. Per ridurre al minimo il rischio di incidenti, le case automobilistiche dovranno garantire che le vetture autonome siano in grado di comunicare tra di loro, riconoscere l’ambiente circostante, adattarsi alle condizioni meteo, ricevere gli aggiornamenti del sistema di mapping e respingere gli attacchi informatici. Tutto questo richiederà un’enorme potenza di calcolo e di elaborazione e genererà un volume di dati senza precedenti, per la cui gestione e analisi in tempo reale saranno necessari la connettività mobile 5G, tecnologie di accelerazione hardware per il deep learning e una robusta infrastruttura di data center”. Le informazioni in formato digitale trasferite su banda larghissima da e verso l’abitacolo sono, di fatto, il punto di partenza per regolare il funzionamento degli algoritmi implementati sul veicolo: i sensori producono dati e questi ultimi vengono analizzati e rimessi nel circolo virtuoso che alimenta il paradigma dell’auto connessa e (in futuro) quello dell’auto autonoma. Se manca un’adeguata infrastruttura tecnologica per indirizzare e gestire in modo veloce e sicuro le informazioni, non si può parlare di autonomous driving. “Per abilitare

6

| MAGGIO 2017

SULLE STRADE DELLA CALIFORNIA Nuovo segnale di vitalità per le ambizioni di guida driverless di Apple, già note ufficiosamente come Project Titan: la Department of Motor Vehicles californiana, l’agenzia deputata a concedere i permessi di circolazione, ha dato a metà aprile alla società di Cupertino il via libera per condurre alcuni test su strada pubblica (il permesso riguarderebbe tre crossover di Lexus). L’ente governativo ha quindi aggiunto Apple alla lista delle 29 aziende che già possono far circolare vetture sperimentali, equipaggiate con tecnologie di guida assistita e autonoma fra cui Tesla, Ford, Nissan, Mercedes Benz, Honda, ma anche l’immancabile Uber e ovviamente Google. Quest’ultima, come noto, è stata l’apripista dell’avventura driverless e oggi e già approdata alla creazio-

questo nuovo paradigma di guida serviranno risorse tecniche dedicate e grande scalabilità delle prestazioni, avanzate soluzioni di data management e strumenti all’avanguardia per la protezione della privacy dei dati personali”, sottolinea ancora Mariani. “Un apparato elettronico può avere dei guasti, per questo occorre intervenire preventivamente sui possibili errori a livello hardware e software e disegnare sistemi capaci di poter reagire

ne di una società ad hoc, Waymo, nonché alla produzione di minivan ibridi a quattro mani con Fca. Per Apple il percorso è stato più lento, nonostante l’azienda abbia messo un piede nel mondo automotive con il sistema di infotainment CarPlay. Solo di software, però, si tratta, e infatti nei mesi scorsi si sono succedute indiscrezioni (poi seguite da licenziamenti) su un ridimensionamento del Project Titan. Con la nuova autorizzazione si passerà, forse, alla fase successiva. Ma è prematuro immaginare una “Mela su quattro ruote” che possa sfrecciare sulle strade della California in tempi brevi. Piuttosto, è ipotizzabile che Apple abbia già stretto accordi con alcuni produttori di automobili e che presto porti su strada le vetture già testate su suolo privato.

La Google Car è stato uno dei primi “esperimenti” sul campo di auto self driving. In casa Volvo, i lavori in corso sulla guida autonoma passano dalla Concept 26 (a destra nelle foto) e dalla sperimentazione sulle strade di Goteborg del progetto DriveMe.


e ovviare al rischio di un bug, di un attacco hacker, di un malfunzionamento della rete, di un’errata valutazione degli elementi visualizzati sulla strada”. Intelligenza artificiale nell’abitacolo

Lo sforzo da fare per ottimizzare l’affidabilità dei sistemi self driving è grande. Le case automobilistiche non lo stanno sottovalutando, ma è impensabile che questi possano essere sicuri al 100%, e dunque dati e la capacità di calcolo saranno sfruttati proprio per colmare questo gap. L’intelligenza artificiale, per esempio, potrà anticipare e gestire tutte le possibili variabili che intervengono durante la guida e che sulla carta rischiano di creare falle pericolose. Come? Raccogliendo le informazioni dai cervelli di elaborazione al silicio presenti nell’auto, confrontandole con quelle già memorizzate nell’infrastruttura di cloud computing e provenienti da altri sistemi connessi (siano essi altri veicoli, segnaletica stradale o altro ancora). L’auto senza pilota, inoltre, deve poter funzionare in assenza di copertura

di rete mobile sfruttando l’intelligenza distribuita nella nuvola, e qui gli algoritmi dovranno aiutare il sistema a prendere le decisioni anche rispetto a principi etici: più aumenteranno le informazioni processate e disponibili, più si ridurrà il margine di errore relativo al comportamento dell’auto in situazioni limite. Di tempo per affinare le tecnologie, prima che i mezzi a guida autonoma “invadano” le strade ce n’è ancora. Il prossimo

triennio, secondo Mariani, sarà ancora dedicato ai test, mentre dal 2020 in poi i veicoli self driving (camion e mezzi pubblici compresi) arriveranno sul mercato in quantità diversa da produttore a produttore. Senza costare, si spera, cifre da capogiro, dal momento che per i costruttori i risparmi sui costi di progettazione, sviluppo e ingegnerizzazione dell’auto potrebbero essere, a tendere, a nove zeri. Gianni Rusconi

NUOVI OCCHI PER I VEICOLI INTELLIGENTI Dopo cinque anni di lavoro il nuovo sistema di sensori Lidar della startup Luminar è finalmente pronto per andare in scena. La giovane azienda di San Francisco, fondata dall’oggi 22enne Austin Russell e forte di investimenti pari a circa 36 milioni di dollari, ha voluto partire praticamente da zero per riprogettare una tecnologia “light detection and ranging” ad altissima risoluzione da utilizzare sui veicoli a guida autonoma o semiautonoma. Le macchine senza conducente si avvalgono sostanzialmente di due tipologie di sistemi che garantiscono l’incolumità dei passeggeri: le videocamere, per interpretare i segnali stradali e i semafori, e i sensori (come quelli Lidar) per “leggere” i movimenti degli altri soggetti presenti in strada (automobili, pedoni, ciclisti, ostacoli improvvisi e così via). La tecnologia crea in tempo reale una mappa a tre dimensioni dell’area circostante e trasmette i dati al “cervello” del veicolo, per informarlo sulle decisioni da prendere. A detta di Russell, il suo prodotto è in grado di surclassare le soluzioni di altri player come Quanergy e Velodyne, attuali leader di questo mercato. Il sistema di Luminar vanta in effetti una risoluzione 50 volte superiore e una profondità di visione 10 volte maggiore rispetto alle altre soluzioni. Non è dato sapere quanto costerà la tecnologia, ma Russell vuole commercializzare dispositivi dal prezzo competitivo, che possano essere utilizzati da tutte le case automobilistiche.

7



IN EVIDENZA

l’analisi

LA “LEZIONE” DEL G20 DIGITALE Dal meeting di inizio aprile arrivano le linee guida per i progetti relativi a Industry 4.0 e a un ecosistema aperto per il commercio transfrontaliero. Carlo Calenda ribadisce la centralità degli investimenti per l’innovazione.

Condivisione su scala globale di standard tecnologici legati a Industry 4.0 (protocolli di comunicazione wireless e per l’Internet of Things, cybersecurity) e programmi di educazione digitale permanenti per tutti, a cominciare dall’ambiente scolastico. Fra i tanti argomenti all’ordine del giorno dell’ultimo G20 in chiave digitale (“Digitising Industry”) tenutosi a Düsseldorf a inizio aprile, alla presenza dei ministri responsabili dello sviluppo economico e dell’innovazione, quelli appena elencati sono probabilmente i più rilevanti. Per molte ragioni e anche perché sono temi dettati da chi, la Germania, fa da portabandiera in Europa nel viaggio verso la nuova era dell’automazione industriale. La digitalizzazione come forza trainante per l’economia è un punto fermo, ma a condizione che la spinta alla crescita sia frutto di un disegno armonico a livello internazionale. Da qui l’esigenza e l’opportunità di un’agenda condivisa fra tutti i Paesi del G20, che regga sul principio di una rete Internet aperta e senza frontiere, funzionale alla creazione di un mercato “no border” basato sull’interscambio dei dati in formato digitale. Partendo, ovviamente, dall’e-commerce. Sulla carta, come spesso accade, non si può che registrare in accezione positiva questa ennesima dichiarazione d’intenti. Nella pratica, la velocità con la quale i singoli Paesi si muovono verso la nuova frontiera digitale, e di Industry 4.0 in modo particolare, è molto diversa e crea “naturalmente” divario e disequilibrio nei rapporti di forza. Al meeting tedesco ha presenziato anche il nostro mini-

stro per lo Sviluppo Economico, Carlo Calenda. I passaggi cardine del suo intervento, che torneranno d’attualità in occasione dell’incontro fra i Ministri dell’Industria del G7 in programma a Torino il prossimo 25 e 26 settembre, si possono riassumere lungo due direttrici: la grande attenzione alla governance dell’innovazione tecnologica, da un lato, e dall’altro il ruolo cruciale degli investimenti per rendere l’innovazione economicamente e socialmente sostenibile. Dallo stesso titolare del Mise, nei giorni successivi all’evento di Düsseldorf, sono arrivate altre importanti indicazioni rispetto alla strada da seguire per le aziende italiane che non vogliano perdere il treno del digitale. “Il 20% delle imprese”, queste le parole di Calenda, “esporta, innova e funziona. Al lato opposto c’è un altro 20% che non ce l’ha fatta e in mezzo c’è un 60% di imprese che in parte stanno combattendo per entrare nella catena del valore, mentre altre stanno per essere trascinate nel polo opposto”. In questo scenario si inquadra non a caso il piano Industria

4.0 (di cui parliamo in maniera approfondita a pag. 34), che secondo il ministro andrà a “premiare proprio le imprese che investono”. Se ci sarà un’inversione di tendenza in questa direzione, grazie agli incentivi previsti dal piano, lo vedremo fra qualche mese. Nel frattempo tocca purtroppo segnalare un nuovo ritardo nel varo di un importante tassello per la digitalizzazione del Paese: nel momenteo in cui scriviamo, il Piano Triennale dell’Agid in cui sono dettagliati i passi che la Pubblica Amministrazione dovrà compiere per raggiungere gli obiettivi previsti dall’Agenda Digitale, non si è ancora visto. Il commissario straordinario Diego Piacentini a metà febbraio ne aveva promesso la pubblicazione entro fine marzo. L’augurio è che si tratti sono di una breve lungaggine di natura tecnica (giustificata anche dalle varie festività in calendario) e non un nuovo intoppo nel programma di cambiamento che il Paese non può veramente più aspettare. Gianni Rusconi

MAGGIO 2017 |

9


IN EVIDENZA

VADEMECUM PER LA RIVOLUZIONE 4.0 All’Executive Summit i vertici di Sap hanno spiegato l’essenza della digital transformation a oltre 130 manager delle più importanti imprese italiane. Ecco i passaggi chiave. È ruotata tutta attorno alle opportunità offerte dalla trasformazione digitale l’ultima edizione dell’Executive Summit di Sap, tradizionale evento che il gigante del software per le aziende organizza ogni anno alla Villa d’Este di Cernobbio, in provincia di Como. Oltre 130 i top manager delle più importanti imprese italiane che hanno preso parte alla due-giorni per discutere e confrontarsi su sfide e scenari tracciati dalla nuova rivoluzione 4.0. Una rivoluzione, come ha osservato Luisa Arienti, amministratore delegato di Sap Italia, “destinata a investire tutti i settori di mercato e le diverse aree aziendali, generando grandi opportunità. Ma anche la necessità di attivare percorsi di profonda trasformazione all’interno delle imprese, che dovranno

acquisire una visione ‘live’ dei propri processi di business per poter prendere decisioni vitali in tempo reale”. Parte integrante di questi percorsi è quindi un’evoluzione strutturale capace di garantire alle aziende nuovi livelli d’agilità, per sostenerle nella ridefinizione continua dei propri modelli organizzativi e di servizio. In questo senso sta aumentando, e lo ha detto il Ceo della società tedesca, Bill McDermott, la richiesta delle aziende di semplificare il modo in cui operano, attraverso tecnologie come il machine learning, l’intelligenza artificiale e l’Internet of Things. “I cicli d’innovazione sono sempre più veloci e i vecchi sistemi non sono in grado di gestirli”, ha dichiarato il Ceo. “Occorrono architetture digitali più agili, che sappiano gestire

quantità di dati destinate al raddoppio ogni dodici mesi e supportare analisi in tempo reale per aiutare a riformulare costantemente i modelli aziendali”. Questa trasformazione, a detta di Sap, passa attraverso le nuove tecnologie (come Hana, la piattaforma di database in-memory in grado di gestire enormi quantità di informazioni virtualmente provenienti da qualunque fonte) e anche attraverso il riscorso al “design thinking” come metodo per agevolare le decisioni d’impresa e ridurre la quota di rischio. Con una precisazione importante, così esplicitata da McDermott: “L’uso intelligente delle risorse è un tema che non interessa solo le grandi aziende, ma tutte le organizzazioni, anche quelle medio-piccole”. Claudia Rossi

PER IL BOLLETTINO BASTA IL SITO

L’AUTO È SMART

Pagare un bollettino online, che sia postale o bancario, senza però dover necessariamente disporre dell’home banking. È il sistema sviluppato dall’operatore postale privato Nexive in collaborazione con PayTipper, che permette alle imprese italiane di offrire ai propri clienti uno strumento sicuro per saldare bollette e fatture.

Grazie ai veicoli connessi, Huawei si avvicina a Reggio Emilia. L’azienda cinese ha siglato infatti un protocollo d’intesa con Meta System, società reggiana focalizzata nel mercato delle assicurazioni basate sull’effettivo utilizzo del mezzo. I due gruppi svilupperanno applicazioni per le connected car nel campo delle soluzioni Ubi (usage-based insurance).

10

| MAGGIO 2017

Si chiama BollettinoWeb e consente agli utenti di collegarsi a una sezione dedicata del sito dell’azienda, da computer o in mobilità, utilizzando la carta di debito o di credito per effettuare il pagamento. Le imprese non devono aprire conti correnti, né sottoscrivere contratti di Pos virtuali o stipulare accordi con altri intermediari.


TRASFORMAZIONE A PORTATA DI STAMPANTE Xerox cambia le modalità di lavoro: le periferiche diventano assistenti connessi e nel cloud. Innovation Centre di Uxbridge, periferia di Londra, quartier generale di Xerox in Europa. Qui la multinazionale americana ha tenuto a battesimo il più grande lancio di prodotto dei suoi 110 anni di storia, presentando ben 29 diversi nuovi modelli di apparecchi multifunzione, raggruppati nelle famiglie VersaLink e AltaLink e basati sulla tecnologia ConnectKey, che mirano a soddisfare le esigenze degli uffici impegnati nel processo di digitalizzazione. Con un preciso obiettivo: ridurre fino al 75% il tempo da dedicare alle attività manuali (la scansione e l’archiviazione di fatture e contratti, per esempio) a beneficio di una maggiore efficienza operativa e di un taglio dei costi di back office. Se fino a oggi la stampante è stata considerata una semplice periferica di produzione, un elemento “passivo” del workflow, ora diventa connessa, intelligente, parte integrante del sistema informativo dell’azienda. Lo schermo della macchina emula di fatto l’esperienza d’uso di un tablet (grande pannello touch capacitivo, supporto a gesture, swipe per ingrandire un dettaglio del documento processato), mentre le funzionalità cloud sono integrate nativamente nell’apparecchio: qualsiasi documento può essere quindi facilmente condiviso, in un solo tocco, dal gruppo di lavoro utilizzando Dropbox, Google Drive, Microsoft OneDrive e Office 365 e può essere stampato in modalità wireless da qualsiasi dispositivo portatile, smartphone ovviamente inclusi.

Tracey Koziol, senior Vp del Workplace Solutions Business Group di Xerox, ha parlato non a caso di “spazio di lavoro multifunzionale, nel segno del cloud e del mobile”. Un modello evoluto, in cui fanno la differenza anche un approccio alla sicurezza multilivello (dalla protezione da accessi non autorizzati alla cifratura delle immagini e alla crittografia del disco rigido), la disponibilità di una serie di app (installate di serie o sviluppate dai partner) e una user experience sempre più intuitiva, trasversale a tutti i nuovi prodotti e personalizzabile per singoli utenti e differenti ambienti di lavoro. Che guarda, in prospettiva, anche all’intelligenza artificiale di soluzioni come Amazon Alexa, per impartire alla macchina comandi vocali grazie a un’app che fa da ponte fra printer e smart device. “La tecnologia ConnectKey”, ha aggiunto la manager, “è una nuova pietra miliare della produttività in ufficio perché semplifica in pochi e veloci passi alcuni specifici processi, sfruttando flussi di lavoro digitali abilitati direttamente dal dispositivo”. Nelle grandi come nelle piccole e medie imprese. Gianni Rusconi

WINDOWS 10 È PIÙ CREATIVO Dal 3D alla mixed reality, passando per esperienze di gioco più immediate e una maggior sicurezza complessiva. È tutto quello che ha messo sul piatto il Creators Update, il primo aggiornamento di peso del 2017 di Windows 10 rilasciato in aprile da Microsoft. Una serie di novità molto attese e ampiamente dettagliate sin dall’inizio dell’anno, a partire da quelle che hanno investito Paint. La storica applicazione di disegno, presente sin dai primissimi Windows, ha ricevuto infatti nuovi strumenti di progettazione e modellazione in 3D: è ora possibile creare immagini a piacimento oppure prelevare modelli preconfezionati online. L’obiettivo a tendere di Microsoft è quello di ampliare le funzionalità, anche tramite app dedicate, ad architetti, designer, grafici e musicisti. Il secondo pilastro “tangibile” del Creators Update (escludendo quindi il pacchetto di migliorie software meno visibili, dal browser alla sicurezza) riguarda la “mixed reality”, che nel gergo di Microsoft riunisce realtà virtuale e realtà aumentata. Le esperienze “immersive” saranno a portata di testa con i primi visori low-cost basati su Windows 10 a firma di Acer, Asus, Dell, Hp e Lenovo, in commercio nei prossimi mesi a partire da 299 dollari.

11


IN EVIDENZA

PER TERADATA IL FUTURO È NELL’ECOSISTEMA Franco Vittone

Franco Vittone, amministratore delegato di Teradata in Italia, traccia le linee strategiche della multinazionale, tra open source e consulenza. Dai sistemi hardware e software alle piattaforme, accompagnate da una buona dose di consulenza. La metamorfosi di Teradata negli ultimi anni è andata di pari passo con la trasformazione digitale delle aziende clienti. Ma come in tutti i processi di cambia-

mento dell’era digitale, anche in questo caso è vietato fermarsi. Così, la multinazionale ora punta con decisione sul concetto di “ecosistema” e sulle architetture open source, per integrarsi con un mondo sempre più complesso di architetture, dati, analytics e competenze. “Oggi è fondamentale avere la capacità di integrare i componenti tecnologici”, dice Franco Vittone, amministratore delegato di Teradata Italia ai margini dell’evento europeo Teradata Universe, che ha avuto luogo a Nizza in aprile e che ha ospitato clienti e partner della multinazionale, “una competenza che noi abbiamo mostrato di padroneggia-

re da almeno vent’anni, anche quando la nostra offerta era prettamente composta da apparati e software”. Integrazione significa ad esempio far cooperare, ovviamente in modo efficiente, strumenti come i database relazionali tradizionali e i framework per i Big Data come Hadoop, ma significa anche mettere in campo competenze sufficienti a garantire che i requisiti di business delle aziende diventino soluzioni grazie alla tecnologia. “Il punto di svolta del nostro cambiamento più recente”, prosegue Vittone, “è stato sicuramente il supporto del mondo open source, tradotto fra le altre cose con la disponibilità della soluzione Teradata QueryGrid. In Italia, secondo la nostra esperienza, la sensibilità a questo tipo di architetture è piuttosto elevata; se qualche anno fa le architetture aperte erano viste solo in chiave tecnologica, oggi i responsabili It si interrogano più sul che cosa queste soluzioni possono offrire e su quali dati è ragionevole gestire con le diverse tipologie di sistemi. In questo scenario noi ci proponiamo come esperti di analytics, in grado di sfruttare in modo trasversale tutte le piattaforme”. Emilio Mango

DEEP LEARNING ED HEALTHCARE NEL MIRINO DI SAS “Molto probabilmente la nuova killer application in ambito analytics arriverà presto per il settore dell’healthcare”, esordisce così Oliver Schabenberger, Executive Vice President e Cto di Sas, in occasione del Sas Forum di aprile, tenutosi a Milano, “ma anche l’industria manifatturiera potrà beneficiare più di altre (forse perché più lenta nel recepirle in passato) delle tecnologie legate

12

| MAGGIO 2017

all’analisi dei Big Data”. Sas, che investe una significativa percentuale del proprio fatturato in ricerca e sviluppo, sta puntando con decisione sulle tecnologie Iot e blockchain, entrambe in grado di stravolgere (in senso buono) i delicati equilibri di un business ormai sempre più dipendente dall’innovazione, ma sta anche studiando a fondo la frontiera del deep learing: “per

noi è un’area relativamente nuova”, ha detto Schabenberger, “ma su cui stiamo investendo molto. Per alcuni ambiti come il riconoscimento vocale e il trattamento delle immagini, la frontiera più avanzata dell’intelligenza artificiale ci permetterà di costruire una serie di strumenti indispensabili come ora lo sono quelli di statistica nell’analisi dei dati strutturati”.


l’intervista

LE PMI E L’E-COMMERCE: ECCO PERCHÉ NON SONO ANCORA PRONTE Poca propensione a fare network, scarsa cultura tecnologica e spesa in digitale insufficiente: il canale Internet oggi è poco sfruttato.

Il NetcommForum andato in scena a Milano il 10 e 11 maggio è stata l’ennesima occasione per puntare la lente di ingrandimento sulle dinamiche che caratterizzano oggi il commercio elettronico in Italia. Si è parlato ovviamente di numeri e quelli che raccontano il fenomeno e-commerce sono ormai consistenti: gli acquirenti online abituali, cioè coloro che effettuano in media almeno un acquisto al mese, sono il 51,6% dell’utenza digitale, ovvero 15,9 milioni di persone; gli e-shopper che nel 2016 hanno acquistato almeno una volta su un canale digitale sono stati 20,7 milioni, il 10% più rispetto al 2015; il valore delle transazioni è invece ormai prossimo al tetto dei 20 miliardi di euro, con un incremento del 18% negli ultimi dodici mesi. Per il 2017 Netcomm prevede un ulteriore salto in avanti del 19% nel fatturato, salto che dovrebbe portare il volume delle transazioni a circa 23,5 miliardi di euro grazie al contributo di settori guida come l’arredamento & l’home living e il food & grocery. Eppure il mezzo digitale ancora non è sfruttato a dovere da molte piccole e medie imprese italiane. Technopolis ne ha chiesto “conto” a Roberto Liscia, presidente del Consorzio Netcomm.

Roberto Liscia

gestiscono quindi in proprio l’attività di marketing e rischiano di perdere il treno del digitale. E mancano programmi consortili per agevolare investimenti collettivi. Da dove si deve partire?

troppo una cultura lontana dalla tecnologia, più orientata alla vendita e alla relazione. Le aziende spendono quindi poco in informatica e soluzioni digitali, meno della metà rispetto alla media europea, e non sanno consorziarsi a dovere perché l’eccessiva “settorizzazione” ha limitato la propensione a fare network. Il problema, anche in questo caso, è la mancanza di competenze?

Non ce ne sono abbastanza su cui far leva per attuare il cambiamento. Manca un approccio integrale. Occorre fare cultura a tutti i livelli per insegnare alle imprese la strada del digitale.

Perché il matrimonio fra Pmi ed e-commerce ancora non si è consumato?

Una maggiore cultura digitale proietterebbe l’Italia ai vertici della classifica dell’e-commerce nella Ue?

Ci sono vari elementi che concorrono a spiegare il problema. Le dimensioni delle aziende, innanzitutto, e quindi la propensione all’investimento sulle tecnologie che cambiano i processi. L’imprenditore medio italiano ha pur-

Le imprese italiane vendono ancora troppo poco all’estero, abbiamo una bilancia commerciale negativa in quanto le importazioni sono superiori all’export e questo perché le imprese sono “ricattate” dal canale distributivo, non

Dal fare “digital transformation” a tutti i livelli: partendo dal rendere e dall’utilizzare tutti i propri contenuti in forma digitale e arrivando alla realizzazione di siti tecnologicamente idonei alla vendita online. In Europa i portali B2C “e-commerce ready” sono circa un milione e di questi 550mila sono attivi in Germania, 200mila in Francia e solo 30mila in Italia. C’è un vademecum da suggerire alle nostre Pmi per svoltare?

Il 70% dei consumatori, in media, compra dalla stessa azienda con la quale ha avuto un’esperienza positiva. E sono tre miliardi le persone che prima di acquistare si informano online. Questo significa che l’impresa guadagna sul cosiddetto “long term value” del cliente, nel solco della tendenza per cui il digitale ha abbassato i prezzi e allargato enormemente l’audience. Una possibilità è quella di appoggiarsi ad Amazon o ad altri marketplace?

Il marketplace è un’opzione ma non può essere l’unica. Serve soprattutto una strategia multicanale. Inoltre, la relazione diretta con il cliente è fondamentale e ancora di più lo è la sostenibilità, la capacità di produrre e gestire i margini. Gianni Rusconi

13


IN EVIDENZA

TORINO FA SCUOLA SUL 5G

PASSA DAI SERVIZI IL BUSINESS DELLA BANDA LARGA

Droni che volano sopra la Mole Antonelliana per effettuare riprese aeree e trasmetterle in tempo reale verso un server. Dentro le fabbriche, invece, applicazioni di robotica e processi di produzione monitorati con i sensori. E poi nuovi servizi a disposizione di cittadini e turisti, come per esempio occhiali di realtà aumentata che arricchiscono l’esperienza di visita, fra il Museo Egizio e piazza San Carlo. Torino sarà la prima città italiana tappezzata con la tecnologia di rete 5G di Tim, grazie a un accordo siglato fra l’operatore e il Comune del capoluogo piemontese. L’intesa prevede già per quest’anno l’installazione di un centinaio di small cell in diverse zone del centro. Nel 2018, invece, dovrà essere avviata la sperimentazione del servizio 5G vero e proprio che porterà con sé diversi vantaggi, come la capacità di trasmissione fino a decine di gigabit al secondo, ma anche latenze ridotte a un decimo rispetto a oggi e la possibilità di collegare fino a centomila terminali a una singola cella.

“OpenFiber ha vinto la prima gara Infratel superando un grande operatore come Tim. È sicuramente prevalso l’aspetto commerciale delle varie offerte e quella della società di Enel è stata di gran lunga la più competitiva. Non è un caso, quindi, che l’ultimo ricorso di Telecom abbia puntato sull’aspetto dell’aiuto di Stato. Per noi rimane un’esperienza positiva perché ci siamo certificati come operatore qualificato; sin dall’inizio non pensavamo di generare entrate sulla banda ultralarga nelle aree a fallimento di mercato”. In casa Retelit, attraverso le parole del suo presidente, Dario Pardi, hanno accolto senza tragedie l’esito del primo bando per l’assegnazione dei lotti relativi al piano ultrabroadband (nel momento in cui è stato scritto questo articolo ancora non erano stati ufficializzati i risultati del secondo bando). Dichiarandosi ottimisti, al cospetto dei media, circa l’opportunità di fare “new business” con la fibra ottica anche nelle cosiddette aree bianche se il programma di cablatura seguirà l’iter previsto dal piano. Un ottimismo del tutto giustificato, del resto, dai risultati che la società ha messo a bilancio per il 2016: ricavi pari a 49,6 milioni

di euro, in salita del 17,8% anno su anno, e utile netto di 2,9 milioni in forte ascesa rispetto ai 200mila euro del 2015. Questi risultati, ha confermato Pardi, sono in linea con il piano industriale presentato nel 2014 ed evidenziano la crescita sostanziale del business legato ai servizi per le imprese (connettività, data center hosting e housing, cloud, Vpn). Pesavano il 3% del giro d’affari nel 2014 e ora vi incidono per il 13%, ovvero per circa 6,5 milioni. La prospettiva è di arrivare a circa 20 milioni di euro entro il 2021, contribuendo al 25% delle entrate complessive. La possibilità di cavalcare l’innovazione delle medie imprese (di tutti i settori) attraverso soluzioni integrate proposte come “add on” alla fibra ottica quindi c’è, tanto che gli obiettivi di Retelit per il 2017 sono quelli di aumentare ulteriormente, fra il 20 e il 25%, i ricavi e del 45% la profittabilità operativa. Per riuscirci la società ha investito negli ultimi anni circa 35 milioni di euro per potenziare la propria infrastruttura in fibra sul territorio italiano (ora di 9.800 chilometri) e ha messo a budget altri 90 milioni per il quinquennio 2017-2021. G.R.

TUBATURE CONNESSE A breve anche la rete idrica italiana sarà connessa. Olivetti e Smat (Società Metropolitana Acque Torino Spa) hanno avviato una prima applicazione che sfrutta la tecnologia Nb-IoT per facilitare la misurazione dei consumi idrici e la gestione delle reti di distribuzione dell’acqua. Nel capoluogo piemontese sono già attivi i primi contatori

14

| MAGGIO 2017

capaci di inviare in automatico i dati sfruttando la rete Nb-IoT, realizzata in collaborazione con la cinese Huawei. Il progetto prevede due fasi: individuare innanzitutto i siti “problematici”, quelli che presentano difficoltà di installazione dei contatori e dei punti di monitoraggio, per raccogliere poi i dati prestazionali.


spunti

UNA NUVOLA PER I DATI

CULTURA DELLA SICUREZZA

FRA SOCIAL E SMARTPHONE

Secondo l’Eurostat circa il 20% delle imprese europee ricorre al cloud. Quattro aziende su dieci citano però i problemi di sicurezza come primo fattore che ne frena l’adozione. Fino a qualche tempo fa le organizzazioni erano totalmente restie a esternalizzare i propri dati. Timori ancora presenti. È quindi necessaria una campagna di sensibilizzazione che spieghi perché si tratta di remore infondate e perché, parallelamente, ci sia bisogno di dare ulteriori garanzie a chi le chiede. Quando si pensa all’affidabilità di un fornitore cloud si tengono in considerazione tre parametri: capacità di gestire nel modo più efficiente i dati; trasparenza a livello di costi del servizio; il fornitore di riferimento deve essere europeo. Su quest’ultimo punto si sta concentrando l’attenzione di provider e clienti, a causa dell’ormai prossimo avvento del regolamento comunitario sulla protezione dei dati (Gdpr), che scatterà il 25 maggio 2018. Da quel giorno le informazioni archiviate con provider non in linea con le nuove norme dovranno essere migrate, con perdite di tempo e denaro. Secondo il Politecnico di Milano, però, quasi la metà delle aziende italiane non conosce o non ha ancora affrontato le implicazioni del Gdpr. Anche se molte imprese stanno investendo in Europa per poter affrontare i competitor d’oltreoceano, non in grado di dare queste garanzie. Andrea Marchi, Cynny Space

Nello studio “Building Confidence – The Cybersecurity Conundrum”, Accenture ha intervistato 2.000 professionisti in merito alla percezione del livello di sicurezza complessivo della propria azienda. Il numero di coloro che si dice molto fiducioso nelle strategie adottate è impressionante. La maggior parte delle imprese conferma anche di essere riuscita a modificare la propria cultura, integrandovi con successo una maggior attenzione verso la sicurezza tramite il sostegno del top management. Premesse più che rosee, se non fosse per l’allarmante aumento dei casi di violazione. Questa dicotomia tra la sensazione di sicurezza percepita e la reale capacità di un’azienda di affrontare le minacce è probabilmente dovuta a un impiego errato degli strumenti di governance della sicurezza e a una errata allocazione del budget. La conseguenza è che le imprese hanno difficoltà nel bloccare attività fraudolente e nel prevenire attivamente le violazioni. Cosa si può fare quando ci si confronta con questi temi? Una valutazione approfondita dei rischi è l’unico modo per affrontare il problema, al contrario di strategie atte a risolvere singole criticità e prive di una visione d’insieme. Una moderna cultura della gestione del rischio permetterebbe di identificare i pericoli e di condurre una semplice analisi costi/benefici per valutare l’utilità degli investimenti. Giulio Vada, G Data Italia

Il consumatore è cambiato, e con lui le sue aspettative. Non cerca più una semplice relazione con il marchio, ma vuole essere riconosciuto per vivere un’esperienza emotiva e memorabile. È necessario sfruttare quindi le tracce che i consumatori di oggi, sempre “connessi”, lasciano durante il percorso di acquisto e nelle interazioni crosschannel, ricorrendo a un vero e proprio Digital Customer Hub: un centro di raccolta dell’esperienza che permetta di archiviare le informazioni su clienti e prospect identificati, anche nel caso in cui non vi sia stato un acquisto. L’hub conserva la navigazione sui siti, indicatori di soddisfazione, comportamenti e persino chiamate al servizio clienti, offrendo una panoramica a 360 gradi per creare strategie di marketing e fidelizzazione e customer journey personalizzati. Una miniera di dati ancora da esplorare a fondo è rappresentata da social media e smartphone. I primi sono ricchi di informazioni sul comportamento, le abitudini, i desideri e la propensione all’acquisto: abbinati a dati sociodemografici e di geolocalizzazione forniscono una conoscenza precisa per distinguersi dai competitor. Il cellulare è uno dei pochi oggetti al quale si dà piena fiducia e si è sempre pronti a immettervi informazioni. Sostenuto da servizi a valore aggiunto, potrebbe aiutare i marchi a progettare nuove e significative esperienze. Fabio Maglioni, Splio Italy 15


SCENARI | Big Data

I GRANDI DATI SONO MATURI? La crescita di investimenti prevista dagli esperti di Idc e di Gartner non basterà, da sola, a far progredire le iniziative aziendali sull'analisi delle informazioni. Si dovrà passare da una fase “artigianale” a una “industriale”.

P

arlare di Big Data e di Business Analytics è ancora di moda? Di certo, anche se non nuovissimi, questi fenomeni continuano a esercitare un forte ascendente sulle aziende, attraendo sostanziosi investimenti. Un nuovo studio di Idc (“Worldwide Semiannual Big Data and Analytics Spending Guide”), condotto in 53 Paesi su organizzazioni di 19 settori, conferma come l’analisi dei dati – tanti, provenienti da più fonti ed eterogenei, secondo la definizione di Big Data – giochi un ruolo importante all’interno delle strategie di trasformazione digitale delle imprese. In particolare di quelle dell’Europa Occidentale: qui, secondo la società di ricerca, quest’anno gli investimenti in hardware, software e servizi per i Big Data e le Business Analytics toccheranno i 34,1 miliardi di euro, per poi crescere a un tasso annuo aggregato del 9,2% fino al 2020. Anno in cui i livelli di spesa in Europa Occidentale avranno raggiunto i 43 miliardi di euro, su un totale mondiale di 203 miliardi di dollari. Imponenti anche i numeri che fotografano il trend su scala globale. La spesa per le tecnologie e i servizi di Business Analytics crescerà a un tasso composito annuo dell’11% fino al 2020, per superare i 210 miliardi di dollari. Senza investimenti di questo tipo, suggeriscono gli analisti, sarà inevitabile perdere terreno rispetto alla concorrenza. 16

| MAGGIO 2017

“La rivoluzione digitale sta obbligando molte aziende a rivalutare i propri bisogni legati alle informazioni, poiché la capacità di reagire in modo più rapido ed efficiente è diventata un fattore critico per chi vuol restare competitivo”, ha commentato Helena Schwenk, research manager Big Data and Analytics di Idc. A detta della società di ricerca, oggi molte organizzazioni europee stanno passando dalla fase di sperimentazione all’utilizzo vero e proprio,

Molte organizzazioni si trovano ancora in una fase artigianale. L’industrializzazione del fenomeno, e con essa le sue garanzie di efficacia e di stabilità, deve ancora diffondersi nella cultura dei Big Data

il che implica sia un allargamento dei progetti avviati sia la definizione di best practice interne. “Lo spostamento verso le implementazioni cloud, i maggiori livelli di automazione e la disponibilità di piattaforme di archiviazione e gestione dei dati più economiche stanno favorendo la riduzione delle barriere per chi voglia trarre valore e vantaggi dai Big Data su larga scala”. L’acquisto di hardware, insomma, non è più un problema insormontabile e sempre meno lo sarà, sia perché i sistemi di archivia-


zione diventano via via più economici, sia perché si moltiplicano le alternative offerte dal cloud. La strada da percorrere è comunque ancora lunga. Per dirla con le parole di Jim Hare, analista di Gartner, “Sui Big Data, molte organizzazioni si trovano ancora in una fase artigianale. L’industrializzazione del fenomeno, e con essa le sue garanzie di efficacia e di stabilità, devono ancora diffondersi nella cultura dei Big Data”. Vortici di dati, dalle banche al retail

Per trarre valore dai dati, a detta di Idc quest’anno si acquisteranno soprattutto servizi It e professionali (circa metà della spesa prevista per il 2017) ma in prospettiva la componente software è destinata a crescere molto: nel 2020 le aziende dell’Europa occidentale vi investiranno 17 miliardi di euro. In particolare, l’interesse sarà rivolto a strumenti per l’analisi dei comportamenti e bisogni dell’utente, per la creazione di report, per gli anaytics e per la gestione degli archivi. Anche l’hardware continuerà a fare la sua parte,

se è vero che la spesa destinata a server e sistemi di archiviazione salirà a un tasso annuo del 12,4%, fino a 4,4 miliardi di dollari all’inizio del prossimo decennio. Non tutte le aziende saranno disposte a metter mano al portafoglio con la stessa facilità. Le realtà da oltre mille dipendenti saranno responsabili del 60% dei volumi di spesa del 2020, mentre quelle piccolissime (da meno di dieci dipendenti, il 90% del tessuto imprenditoriale dell’Europa Ovest) si manterranno sotto l’1%. Quanto ai settori, i “big spender” di oggi saranno anche quelli di domani: innazitutto le banche, le società finanziarie e le compagnie assicurative, da cui nel 2016 sono giunti 4,5 miliardi di investimenti e da cui ne deriveranno 6,3 miliardi nel 2020. Si spenderà soprattutto per attività di studio del cliente, di gestione del rischio e di prevenzione delle frodi. Seguono, nell’elenco dei settori più intenzionati a investire, l’industria manifuatturiera, i servizi professionali e il retail. Valentina Bernocco

AZIENDE ITALIANE IN BILICO FRA CURIOSITÀ E IGNORANZA La strada che porta i Big Data verso progetti maturi, consapevoli e fruttuosi pare ancora in gran parte da percorrere. Specie se si guarda all’Italia e ai risultati di un’indagine condotta su 350 aziende nostrane (grandi, medie e piccole, appartenenti a diversi settori) da Gruppo Adecco e dall’Università Segli studi di Milano Bicocca: nel nostro Paese il 40% delle imprese non conosce minimamente questo tema, mentre il 48% è parzialmente informato a riguardo e solo il restante 12% ha già avviato dei progetti basati sull’analisi di grandi volumi di dati eterogenei. Eppure le informazioni sono riconosciute come materia preziosa, apparen-

temente: fra gli intervistati, il 63% circa indica l’esperto di analisi Big Data come una figura professionale cruciale del futuro; seguono, in ordine di citazione, lo specialista di contenuti e comunicazione (38% circa) e il Big Data architecht (33%). Una figura di profilo ancor più alto e completo, cioè il data scientist, è riconosciuta come fondamentale dal 29,5% dei professionisti coinvolti nell’indagine. Dove reperire tutte queste competenze, in buona parte nuove? Il 60% delle aziende ritiene di poterle trovare o sviluppare al proprio inerno, mentre il 40% pianifica di assumere nuovi dipendenti o collaboratori corrispondenti a questi profili.

17


SCENARI | Big Data

L'automazione software e il machine learning renderanno più veloce e democratica l'opera di interpretazione dei dati. Lo dicono sia gli analisti sia i vendor tecnologici.

INTELLIGENZA UMANA E ARTIFICIALE IN TANDEM

L

o scenario degli analytics continuerà a cambiare nei prossimi anni anche per merito dell’intelligenza artificiale. Uno studio di Gartner stima che entro il 2020 sarà automatizzato oltre il 40% delle attività attualmente compito dei data scientist e ciò consentirà di produrre report, indicazioni strategiche e previsioni con minori sforzi e scomodando un minor numero di cervelli. Ma non c’è nessun rischio per gli “scienziati dei dati”, figure di alto profilo che certo continueranno a essere molto richieste dalle aziende: l’automazione degli analytics riguarderà le operazioni a minor valore aggiunto, quelle più ripetitive e di manovalanza. Sveltendo e semplificando molti processi di preparazione dei dati, si consentirà a una più ampia platea di professionisti, anche non esperti di statistica, di comprendere e far fruttare una materia prima già parzialmente lavorata. 18

| MAGGIO 2017

“Molte organizzazioni”, ha spiegato l’analista di Gartner Joao Tapadinhas, “non hanno un sufficiente numero di data scientist al proprio interno, ma dispongono in abbondanza di persone competenti in analisi dei dati, che potrebbero acquisire la cittadinanza di data scientist”. Per “cittadinanza” la società di ricerca intende un concetto semplice: pur senza detenere competenze tecniche e statistiche particolari, grazie ai progressi del software molti professionisti potranno eseguire in autonomia compiti come la creazione di modelli analitici avanzati, per esempio quelli predittivi e prescrittivi che ipotizzano futuri scenari. In definitiva, l’automazione servirà a rendere la scienza dei analytics e dei Big Data più democratica, più accessibile anche alle piccole e medie aziende. Da Talend, società specializzata in soluzioni per l’integrazione dei dati, giunge una simile

indicazione sul fatto che uomini e intelligenza artificiale debbano muoversi in tandem: “La tecnologia da sola non rende l’azienda più orientata ai dati”, ha affermato il chief marketing officer Ashley Stirrup. “È fondamentale comprendere l’importanza del giusto mix di risorse umane, tecnologie e processi necessari per incrementare il valore strategico dei dati”. La stessa Talend, tuttavia, ci dice sulla base di un’indagine interna che oggi solo il 10% dei chief information officer ha già preso in considerazione l’intelligenza artificiale e il machine learning per i propri progetti. Questa minoranza ha comunque già riscontrato dei benefici: nel 27% dei casi, i Big Data sono serviti a migliorare le procedure interne all’azienda, mentre nel 20% hanno avuto un impatto positivo sul servizio clienti e nel 17% hanno contribuito a ridurre alcuni costi o a creare nuovo fatturato. V.B.


TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUWER TAX AND ACCOUNTING ITALIA

NUOVE SOLUZIONI PER IL PROFESSIONISTA DIGITALE Il lavoro del commercialista può oggi beneficiare di soluzioni tecnologiche che migliorano il dialogo con i clienti e incrementano la produttività. Ce ne parla Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia. “Il commercialista è un patrimonio per la sua clientela. È quella figura che, grazie all’esperienza e alla formazione, lo aiuta nello sviluppo imprenditoriale e professionale. Questo è quanto Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia tiene fermamente presente quando sviluppa nuovi software”, così esordisce Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia. La centralità del cliente professionista, la collaborazione tra studio e cliente, la capacità consulenziale sono gli elementi che Angeleri considera cruciali per lo sviluppo dell’azienda. “La soluzione digitale non deve escludere il commercialista, la sua competenza non è mai automatizzabile”, precisa il managing director. “Le nostre soluzioni, ad esempio quelle per la fatturazione elettronica B2B, coinvolgono il commercialista assegnandogli un ruolo di supervisione e di osservazione. Questo è un vantaggio per il cliente in termini di rassicurazione e precisione dell’adempimento, ma anche per il commercialista che, sgravato dall’operatività, resta centrale nell’attività mantenendo e anzi accrescendo la conoscenza del cliente e delle sue attività. Riuscendo, così, a essere sempre allineato nella propria funzione consulenziale”. Nel panorama imprenditoriale italiano il commercialista è molto spesso un chief financial officer in outsourcing. Così concepita, la professione esige un altissimo grado di collaborazione. “La nostra società”, spiega Angeleri, “si è impegnata tantissimo nello sviluppo di strumenti digitali collaborativi. Abbiamo portali, ad esempio webdesk, che creano le condizioni ideali per un dialogo efficace e produttivo fra tutte le componenti coinvolte. Ci siamo impegnati affinché l’integrazione e la semplificazione entrassero nel lavoro di ogni giorno. La collaborazione e la comunicazione tra studio e clienti devono viaggiare nel Web con la semplicità di un clic. Collaborazione e comunicazione digitale significano flessibilità, ubiquità, accessibilità, risparmio di tempo, di energia e di risorse.

Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia Significano anche avviare un processo mentale che porta inevitabilmente ai Big Data e, in prospettiva, all’affiancamento al concetto di Industry 4.0, che permeerà l’attività manifatturiera italiana, anche delle Pmi.” A sostegno della digitalizzazione diffusa, Angeleri indica la semplicità e l’usabilità. “Abbiamo lanciato il progetto Genya, che rivoluziona letteralmente il mondo delle soluzioni gestionali. Attraverso un nuovo modo di lavorare proposto da Genya, il professionista ottiene innumerevoli vantaggi in termini di capacità gestionale, velocità, precisione, mobilità, controllo. Gli offriamo lo strumento ideale per ottemperare ai suoi obblighi procedurali e guadagnare tempo da investire nella consulenza, aiutato dagli stessi strumenti che gli possono fornire elementi e dati di business intelligence indispensabili nell’aiutare a orientare la clientela”. Il progetto Genya ha visto l’introduzione della suite Bilancio e, come successiva logica conseguenza, della suite Dichiarativi per società. Il progetto si completerà a fine anno con la suite Dichiarativi Persone Fisiche e la suite Contabilità. “Un’enorme innovazione”, conclude Angeleri, “che costruisce un’autostrada digitale soprattutto facile e logica da percorrere anche per quel professionista che non si sente ancora un professionista ‘punto qualcosa”. 19


SCENARI | Data journalism

L’utilizzo dei servizi cloud nelle aziende europee 2014

E-MAIL

2016

ARCHIVIAZIONE HOSTING DEI DATABASE AZIENDALI APPLICAZIONI OFFICE SOFTWARE PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ SOFTWARE CRM

Fonte: Eurostat

0

10

20

30

40

50

60

70

80 100%

NELLA NUVOLA SOLO UN’IMPRESA UE SU CINQUE I dati Eurostat confermano la maturità delle aziende dell’Unione quanto a connettività Internet. Ma solo una piccola parte opera nel cloud e con l’e-commerce.

20

| MAGGIO 2017

D

iffusione degli accessi a banda larga, utilizzo del Web (come vetrina) e dei social network, ricorso ai servizi e alle soluzioni di cloud computing, adozione delle piattaforme e-commerce: secondo queste voci, mappate lo scorso marzo da un’analisi di Eurostat, lo stato di “salute digitale” dei 28 Paesi dell’Unione Europea – incluso il Regno Unito – non pare cattivo. In fatto di connessioni a Internet, ben il 92% delle imprese Ue con oltre dieci addetti sfrutta accessi di tipo broadband su linea fissa, confermando il livello di penetrazione di questa tecnologia registrato negli

ultimi tre anni. Siamo quindi vicini ormai al punto di saturazione, ma nel 2016 più di un quarto delle aziende (il 28% per la precisione) utilizzava ancora reti con capacità compresa fra i 2 e i 10 megabit al secondo, mentre solo il 19% impiegava linee da 30 a 100 Mbps. Per fare che cosa? A fine 2016, le aziende Ue attive su social network, corporate blog, siti “wiki” e portali di condivisione di contenuti multimediali erano il 45% del totale, ovvero il 15% in più rispetto al 2013. Da notare come l’incremento più rapido nell’adozione di Facebook, LinkedIn e simili in ottica enterprise, nel periodo 2013-2016, veda


primeggiare Cipro e la Danimarca (con una crescita del 26%) davanti alla Finlandia. Le infrastrutture cloud e le applicazioni fruite in modalità “as a service” sono considerate da anni come la panacea ai limiti di innovazione tecnologica (potenza di calcolo, scalabilità dei sistemi, velocità di accesso ai dati) che spesso e volentieri affliggono le medie imprese. Ebbene, a tutto il 2016, solo un quinto (il 21%, con una crescita di soli due punti dal 2014) delle aziende Ue utilizzava soluzioni di computing nella nuvola. Il dato sale al 45% nel caso delle grandi imprese e si ferma al 29% in quelle medie. Colpiscono, inoltre, le sostanziali differenze in fatto di adozione, con i Paesi nordici a guidare la classifica e quelli dell’Est (oltre alla Grecia) a chiuderla. Nel complesso, i servizi nella nuvola più sfruttati sono l’email hosting e l’archiviazione di file, cui ricorre oltre il 60% delle aziende. Quanto all’e-commerce, uno dei principali cavalli di battaglia dell’Unione nell’ambito dei progetti per la Digital Europe, le vendite condotte in via elettronica tramite sistemi Edi (Electronic Data Interchange, che muove i volumi di transato più elevati), portali Web e app mobili costituiscono il 16% del fatturato totale 2015 delle aziende comunitarie. Il dato è in discesa di un punto sull’anno precedente e in crescita di soli quattro punti rispetto al 2008, anno in cui è scoppiato il grosso bubbone della crisi economica. In ascesa, per quanto tutt’altro che eclatante, è invece la percentuale di aziende che hanno operato in forma digitale, salita nel complesso al 20% (dal 13% del 2008) e al 42% nel caso delle grandi organizzazioni. A guidare la classifica dei Paesi più virtuosi nel campo dell’e-commerce, con una percentuale di aziende attive superiore al 25%, ci sono nell’ordine Irlanda, Danimarca Germania e Svezia. In fondo alla classifica la Romania, mentre l’Italia è quart’ultima. Gianni Rusconi

NUOVI STIMOLI PER I CEO CON LA TRASFORMAZIONE 4.0 Realizzato da Sap in collaborazione con The European House - Ambrosetti, lo studio “I Ceo italiani di fronte alla rivoluzione 4.0” ha rivelato che quattro business leader italiani su cinque sono intenzionati a sfruttare questa trasformazione come leva strategica per ridurre i costi operativi e per riuscire a massimizzare l’efficienza dei processi aziendali. La quarta rivoluzione industriale è considerata anche un importante punto di partenza per un nuovo approccio cliente-centrico: a riconoscerne

l’opportunità è stato in media il 73% degli intervistati, percentuale che raggiunge addirittura il 100% nel settore bancario-assicurativo. Grazie a questa trasformazione il 69% dei business leader ha evidenziato, invece, la possibilità di offrire al mercato soluzioni integrate, generando nuovi flussi di ricavi. Solo tre rispondenti su cinque hanno, però, segnalato l’intenzione di ripensare il proprio modello di business/servizio alla luce delle potenzialità offerte dal digitale.

La rivoluzione 4.0 per le aziende italiane è 100 % 80 70 60 50 40 30 20 10 0 UNA LEVA STRATEGICA PER RIDURRE I COSTI OPERATIVI E MASSIMIZZARE L’EFFICIENZA DEI PROCESSI UN NUOVO PARADIGMA PER ESSERE PIÙ VICINI ALLE ESIGENZE DEL CLIENTE UNA MODALITÀ PER OFFRIRE SOLUZIONI INTEGRATE E CREARE NUOVI FLUSSI DI RICAVI UN’OPPORTUNITÀ PER RIPENSARE IL PROPRIO MODELLO DI BUSINESS/SERVIZIO UNA TRASFORMAZIONE RADICALE DELLE LOGICHE DI COMPETIZIONE E COLLABORAZIONE FRA LE IMPRESE UN RISCHIO PER IL MANTENIMENTO DEGLI ATTUALI LIVELLI OCCUPAZIONALI

Fonte: The European House-Ambrosetti 21


| | Banking e Fintech TECNOLOGIE SCENARI

La crisi bancaria è sotto gli occhi di tutti: la trasformazione del settore sembra poter passare da una stretta cooperazione con le startup hi-tech della finanza. Una fruttuosa condivisione di tecnologia, talenti e know-how è possibile.

AFFIDARSI AL DIGITALE È UN OBBLIGO

A

cculturare una base di potenziali clienti enorme. Mettendoli al centro, offrendo loro soluzioni semplici, comode, rapide e di conseguenza anche più trasparenti. Rendendoli elementi attivi di un ecosistema il cui motore, inevitabilmente, deve essere alimentato dall’innovazione, sia tecnologica sia di modelli di business. Sono i cardini della rivoluzione fintech, che sta aprendo il campo a un numero crescente di nuovi attori portatori di cambiamento. Non è un caso, del resto, che dal 2011 a oggi siano nate a livello internazionale oltre 750 startup in questo settore, con più di 26,5 miliardi di dollari di finanziamenti raccolti e con una marcata focalizzazione sui servizi bancari di base come il financing e il lending. Le fintech italiane sono solo all’inizio del loro percorso, dimostrando di saper esercitare un fascino limitato sugli investitori: nel 2015 hanno raccolto soltanto 33,6 milioni di euro. 22

| MAGGIO 2017

Ma le opportunità di crescita non mancano. Il modo di fare banca sta mutando un pezzettino alla volta. Tendenza di cui è convinto Paolo Gesess, fondatore e managing partner di United Ventures. “Parliamo di un ecosistema in continua evoluzione, in cui le startup saranno sempre più appetite dagli operatori tradizionali”, ha spiegato in occasione della presentazione della “Fintech Bible”, una guida pratica (promossa da Moneyfarm e scaricabile gratuitamente online) in cui sono raccolti consigli e testimonianze di una trentina di aziende italiane ed europee attive nelle varie branche del fintech. “Quante imprese innovative finiranno in pancia alle banche nei prossimi anni? Credo molte”, conclude Gesess, “perché già entro la fine del 2019, e lo sostengono gli analisti di Gartner, almeno un quarto delle banche retail ricorrerà a queste realtà per sostituire i propri sistemi legacy di gestione delle operazioni online e su dispositivi mobili”.

Che il futuro del banking debba passare attraverso la tecnologia non è una novità, visto e considerato che, come fa giustamente fa notare Antonio Lafiosca, socio e chief operating officer di BorsadelCredito.it, l’innovazione It attraversa i sistemi bancari da decenni. Rispetto al recente passato, però, oggi è il modo stesso di operare, di servire i clienti, di far funzionare i processi operativi che richiede un ripensamento in chiave digitale, pena l’uscita dal mercato. Le difficoltà che il mondo della finanza sta attraversando da anni sono, del resto, note e si riflettono sui margini sempre più risicati e su requisiti di capitale sempre più stringenti, su ristrutturazioni (leggi: chiusure di sportelli) e interventi di ricapitalizzazione che toccano tutti. La sopravvivenza delle banche

Cambiare, per non soccombere, diventa non più solo necessario ma un passaggio obbligato. E la strada maestra,


dicono gli esperti, sta nella digitalizzazione. La disintermediazione in atto dell’attività bancaria tradizionale da parte della finanza tecnologica, osserva in proposito Lafiosca, sta costringendo le banche a reinventare i propri servizi, ad andare incontro alle aspettative del consumatore e ad avvicinarsi, in qualche modo, al fintech. Le banche, anche se tradizionalmente considerate pioniere dell’automazione dei processi, oggi rischiano di restare indietro nel panorama dei servizi finanziari, sempre più digitalizzato e orientato verso un approccio customer-centrico, fatto di soluzioni plug-and-play, multicanale e facili da usare (come i portafogli digitali e i pagamenti peer-to-peer). Questo rinnovamento di processi e servizi vede al centro della scena le startup, in una duplice veste. Pur essendo in tutto e per tutto una concreta alternativa agli operatori tradizionali (solo il 5% delle fintech si pone come fornitore o collaboratore degli istituti di

CON LENDIX SI PUNTA SULLE PMI Dopo la sbarco in Italia, la piattaforma di finanziamento online per le imprese numero uno in Francia ha aperto di recente i propri servizi agli investitori della Penisola, sia privati sia istituzionali, che desiderano dirigere i propri capitali anche su piccole e medie aziende transalpine e spagnole. Lendix punta a erogare circa 10 milioni di prestiti a società italiane (con un fatturato minimo superiore ai 250mila euro e in utile) nel corso del 2017 e complessivamente circa 100 milioni nei primi tre anni di attività. Il lancio del primo progetto di finanziamento è atteso entro fine giugno e potrà essere sottoscritto da tutta la community internazionale della piattaforma.

credito), le nuove imprese sono anche un valido partner per le banche (una su tre vanta almeno una collaborazione con un’azienda del settore), offrendo loro la capacità di innovarsi più rapidamente, testando nuove strade con investimenti limitati. Ma saranno in grado le banche, che hanno sempre gestito i loro servizi end-to-end integrando esperienza e prodotti, di adattarsi al cambiamento e di coglierne i vantaggi? La risposta, articolata ma esplicita, del Coo di BorsadelCredito è la seguente: “Per massimizzare queste collaborazioni, le banche devono essere disposte a condividere con i partner digitali i loro dati e affiliarsi a piattaforme su cui non hanno il controllo diretto della relazione con i clienti o della customer experience. Se la convergenza in atto tra fintech e banche tradizionali dovesse continuare, porterebbe a una fruttuosa e positiva condivisione della tecnologia, dei talenti e del know-how”. Gianni Rusconi

IL PRIVATE BANKING DIVENTA DEMOCRATICO Trasferire i benefici tipici del private banking, finora riservati ai detentori di grandi patrimoni, anche agli investimenti di taglio contenuto. È questa, in sintesi, la sfida portata avanti da Euclidea, startup italiana attiva sul mercato dallo scorso febbraio. Fondata a fine 2015, a novembre del 2016 ha completato l’iter di autorizzazioni da parte di Consob, per operare come società di gestione patrimoniale. E ora, come raccontano i suoi soci fondatori operativi (Mario Bortoli, Ceo, Luca Valaguzza, chief product officer, e Giovanni Folgori, chief investment officer), mira a ritagliarsi uno spazio nel fintech italiano e, prossimamente, in quello europeo, puntando tutto su nuove modalità di “ingaggio” della clien-

tela privata (a cominciare dai costi di commissione, dimezzati rispetto alle offerte tradizionali) e su una piattaforma digitale realizzata e sviluppata completamente in casa. Euclidea si propone di competere con realtà già affermate come Moneyfarm o CheBanca (Yellow Advice) e di fare propria una fetta del risparmio gestito, calcolato a fine 2016 in 1,9 trilioni di euro, il 6% in più rispetto al 2015. Il suo tratto distintivo? Quello di non essere un innovativo robo-advisor bensì il primo “digital private banker” italiano. Una curiosità: l’azienda non ha un neppure un server di proprietà, perché tutta la potenza di calcolo del suo sistema gira sul cloud di Amazon Web Services, a Francoforte.

23


| SCENARI | Banking e Fintech TECNOLOGIE

L'applicazione dei "registri distribuiti" alla gestione delle fatture è qualcosa di reale in Credito Valtellinese. Ecco come un'idea innovativa nata in un incubatore ha cambiato un tradizionale processo bancario.

ARRIVA BLOCKCHAIN PER IL RECUPERO CREDITI

D

all’incubatore di tecnologia al caso concreto di business. Obiettivo: applicare il blockchain all’anticipo fatture. È quanto hanno portato avanti in tandem Gft e Credito Valtellinese (Creval), con un progetto incentrato sui distributed ledger (libri mastri distribuiti) per valutare in termini reali la portata rivoluzionaria di questa tecnologia. L’iniziativa è nata grazie a Jupiter, incubatore lanciato due anni fa da Gft e diventato nel corso dei mesi una piattaforma che permette la selezione veloce delle idee e la loro prototipazione. Un framework architetturale, interoperabile e scalabile, che consente di coprire tutti gli aspetti per lo sviluppo di progetti grazie a componenti aperti. L’intero piano di lavoro in Creval è stato realizzato in sole nove settimane e la simulazione ha testato su 24

| MAGGIO 2017

rete blockchain la forma tecnica di anticipo fatture e la conseguente cessione del credito, con notifica e accettazione dal seller (cedente) verso il buyer (ceduto). Insieme alla banca, i due attori accedono alla rete blockchain via Web, mentre il quarto soggetto di tutto il processo è il provider di fatture digitali, integrato al sistema attraverso un multi-hub. Le operazioni così strutturate superano le criticità del modello tradizionale, in particolar modo dal punto di vista del rischio. Seller e buyer certificano la bontà della fattura creata, con immediati vantaggi di validità, mentre la fase manuale viene azzerata perché tutto è gestito online. Con le metodologie tradizionali i costi sono maggiori, così come più lunghi sono i tempi di lavorazione. Ma l’area dei crediti è solo l’inizio. All’interno dell’architettura nata in seno a Ju-

piter viene infatti costruito, per ogni banca, un nodo blockchain, con opportuna governance per il popolamento sicuro della rete. Su questa struttura si potranno innestare progressivamente ambiti di business verticali (come i pagamenti), accessibili con Api aperte, che consentiranno agli istituti partecipanti di scambiarsi dati, transazioni e contratti. In quest’ottica i distributed ledger sono visti come una delle componenti per soddisfare bisogni più complessi, un primo livello per mitigare i rischi di disintegrazione dei dati e per rivalutare il patrimonio informativo delle banche, con l’obiettivo di migliorare la collaborazione. Su questo primo livello vengono costruiti poi altri due strati, basati su Big Data, tecniche di intelligenza artificiale e analytics, per ottimizzare la conoscenza e perfezionare efficienza ed efficacia dei processi. G.R.


LE BANCHE SI AFFIDANO AL PEER-TO-PEER Pagamenti in formato digitale, processi di trading, erogazione del credito e fidelizzazione della clientela: sono alcune delle possibili applicazioni del blockchain.

U

na delle tecnologie su cui il settore finanziario sta mettendo maggiormente gli occhi è il blockchain. Affermatosi in parallelo con la diffusione della criptovaluta Bitcoin, questa sorta di “libri mastri distribuiti” permettono di condurre processi di scambio e negoziazione senza doversi affidare a un intermediario centrale. Seguendo la logica del blockchain, lo scambio di transazioni (non solo di denaro, ma anche di informazioni) tra due soggetti avviene con una certificazione distribuita, decentralizzata o meno, in grado di trasformare radicalmente lo scenario attuale. I tre principi alla base della tecnologia sono il fatto di essere una rete peer-to-peer, l’utilizzo di una firma elettronica crittografata per l’autenticazione del mittente e l’impiego di un algoritmo di consenso che assicura l’integrità dei dati. Gli istituti di credito sono sicuramente i soggetti più attratti dalla nuova tecnologia e stanno cercando di trovare una posizione nello scenario Fintech in diversi modi, sia unendosi a consorzi di riferimento come R3 Cev e Hyperledger Project, sia collaborando con le tante startup innovative che si stanno affacciando sul mercato o, ancora, acquisendole. Ma quali sono oggi i principali impieghi del blockchain nelle banche? Secondo Abi Lab, si va dalle applicazioni nell’ambito dei pagamenti digitali all’accelerazione dei processi di trading finanziario, passando per l’erogazione dei servizi di credito e la fideliz-

zazione dei clienti. Senza dimenticare la possibilità di ricorrere alla tecnologia per costituire uno strato informativo di gestione (e validazione) delle identità digitali: la creazione e la condivisione di un registro comune faciliterebbe, infatti, le attività di verifica di tipo “know your customer” (Kyc) per i provider di servizi finanziari. Per il momento l’ambito più coinvolto è probabilmente quello dei pagamenti perché qui, oltre alla possibilità di allargare l’offerta con servizi integrati direttamente nei circuiti valutari delle

criptomonete, il blockchain può snellire i processi sia a livello di istituto (trasferimenti intra/interbancari) sia a livello di business to customer (trasferimento di fondi in tempo reale con protocollo person-to-person o personto-merchant). Non va però sottovalutato l’impatto che la tecnologia potrà avere anche sulla catena del valore dei servizi finanziari, sul credito avanzato e sugli smart contract: applicazioni software incorporate in blockchain in grado di operare in autonomia. Alessandro Andriolo

25


TECNOLOGIE | Banking e Fintech

SI CAMBIA AL RITMO DELL’INNOVAZIONE La trasformazione digitale ha ormai investito in pieno gli istituti di credito, che stanno definendo priorità di investimento e di ricerca.

L

e banche sono immerse fino al collo nel processo di trasformazione digitale. Al punto che molti istituti stanno vivendo un cambiamento che non riguarda soltanto nuove tipologie di servizi offerti, ma

26

| MAGGIO 2017

proprio il modo di essere banca. Lo ha sottolineato l’ultimo rapporto Abi Lab, che ha preso in considerazione lo stato degli investimenti tecnologici del sistema creditizio italiano, coinvolgendo 23 istituti (e gruppi) e quattro fra i principali outsourcer interbancari. Il quadro uscito dall’indagine consente subito una valutazione di fondo: l’It non è più solo una funzione atta a garantire il corretto funzionamento dell’infrastruttura complessiva, ma si è ormai trasformatao in un centro di competenze specialistiche che aiuta l’azienda a crescere. Oltre

il 90% delle organizzazioni intervistate prevede infatti un budget costante (37%) o in aumento (55,5%) per gli investimenti It. Il rapporto Abi Lab ha definito sette aree di intervento (engage, transform, execute, strenghten, open, share e change), che spaziano dal finanziamento di nuove iniziative per la fruizione del servizio bancario all’evoluzione delle modalità di lavoro dei dipendenti. Ognuna di queste aree ha come protagonisti nuovi paradigmi e tecnologie differenti, che meglio si adattano a soddisfare determinati bisogni. Abi Lab ha diviso le iniziative a seconda delle priorità degli istituti in termini di investimento e di ricerca, ma sono diversi i progetti caratterizzati contemporaneamente da entrambe le priorità. È il caso, ad esempio, della gestione e della mitigazione del rischio cibernetico, dei pagamenti digitali e delle soluzioni mobili, oltre che dello sviluppo di nuovi sistemi Crm (customer relationship management) e di modernizzazione complessiva delle infrastrutture. Nella top 10 delle iniziative su cui le banche stanno già investendo spiccano anche la dematerializzazione dei documenti, progetti di data governance e data quality, il potenziamento dei servizi di Internet banking e l’automazione dei processi. Sono invece decisamente ancora ferme ai primi step di ricerca e innovazione tutte le soluzioni legate all’intelligenza artificiale e al computing cognitivo, mentre qualcosa si muove sul fronte delle Api, del blockchain e della definizione di nuove forme di assistenza al cliente con strumenti come i chatbot e la consulenza tramite robo-advisory. A.A.


TECHNOPOLIS PER FUJITSU

FUJITSU WORLD TOUR 2017: VA IN SCENA LA CO-CREAZIONE DIGITALE Il roadshow Fujitsu toccherà 22 Paesi di cinque continenti, per dimostrare come la co-creazione, realizzata insieme ai clienti, sia la chiave per il successo delle trasformazioni digitali. I visitatori potranno avere una panoramica completa dei prodotti, dei servizi e delle soluzioni Fujitsu e assistere agli interventi di relatori e partner esperti del settore. Per l’Italia, l’appuntamento è a Milano il 20 giugno. Al via il Fujitsu World Tour 2017: sviluppando il tema ‘Digital Co-creation’, quest’anno l’azienda vuole mettere in evidenza il modo in cui Fujitsu (www.fujitsu.com) collabora con i propri clienti per creare congiuntamente il futuro digitale e supportare la crescita del business. La rivoluzione digitale, infatti, sta cambiando gli scenari di business di ogni segmento di mercato, facendo nascere nuove sfide con cui tutte le aziende, prima o poi, dovranno confrontarsi, come la necessità che i processi e le infrastrutture IT debbano essere altamente adattabili, mobili, scalabili e sicuri. Fujitsu affronta queste sfide della digitalizzazione con decisione: il Fujitsu World Tour sarà l’occasione per illustrare le innovative soluzioni sulle quali la società sta lavorando con i suoi partner, come l’intelligenza artificiale, il cloud computing, l’Internet of Things e la cybersicurezza. “L’obiettivo è quello di proporre sempre validi risultati di digital business” ha dichiarato Bruno Sir-

letti, Presidente e Amministratore Delegato di Fujitsu Italia, nel dare appuntamento al Fujitsu World Tour italiano, che si terrà il prossimo 20 giugno, a Milano. “La crescente complessità del nostro mondo digitale rende più difficile per qualsiasi azienda la possibilità di procedere per conto proprio: durante il Fujitsu World Tour vogliamo mettere in evidenza i numerosi vantaggi che nascono da un approccio di co-creazione. Questo significa collaborare con esperti in tecnologia come Fujitsu e lavorare insieme a noi per progettare, implementare e gestire soluzioni business digitali”. Nella sessione plenaria del mattino, oltre all’intervento di Bruno Sirletti è prevista la partecipazione di Craig Baty, VP International, Global Marketing Group & Digital Business Platform Unit (MetaArc) e di Massimo Sideri, Innovation editor Corriere della Sera, che offrirà il suo punto di vista su come l’Italia può recuperare la leadership nel campo dell’innovazione. Nel Technology Showcase e nelle sessioni parallele del pomeriggio si affronteranno invece temi più specifici e di grande attualità per il mercato IT come l’Intelligenza Artificiale, l’IoT, il Cloud e le tecnologie e i servizi di Security. FUJITSU WORLD TOUR - MILANO - 20 GIUGNO 2017 NH Congress Centre, Assago (MI) 27


FOCUS | Cloud computing

AVANTI TUTTA NELLA NUVOLA La ricerca di un persistente time-to-market sta portando sempre più aziende ad abbracciare soluzioni infrastrutturali e applicative in modalità “a servizio”. La trasformazione digitale esige, infatti, strumenti flessibili e scalabili, che consentano sperimentazioni continue.

U

n mercato in piena espansione, destinato a un tasso d’incremento a doppia cifra da qui fino al 2020, quando bucherà il tetto dei 200 miliardi di dollari a livello mondiale. Queste le previsioni della società d’analisi Idc per il cloud, la “nuvola” di servizi che sempre più spesso accompagna le aziende nel necessario percorso di trasformazione digitale. Nel 2017 il giro d’affari complessivo delle sue tre principali componenti (vale a dire infrastruttura, piattaforme e applicazioni) si attesterà attorno ai 122,5 miliardi di dollari (+24,5% rispetto al 2016), con un contributo dell’Europa Occidentale pari a circa 24 miliardi. Il peso dell’Italia su questa cifra? A dettagliarlo a Technopolis è Sergio Patano, senior research and consulting manager di Idc Italia, convinto che il passaggio al cloud computing sia ormai un fenomeno a cui nessuna azienda moderna possa pensare di sottrarsi se vuole restare competitiva sul mercato.

Qual è oggi lo scenario d’adozione del cloud pubblico in Italia e quali le prospettive fino al 2020?

Gli investimenti delle aziende italiane continuano a essere decisamente alti. Secondo le ultime indagini di Idc, oltre l’85% delle organizzazioni intervistate dichiara di avere implementato il cloud in modalità pubblica, mentre si arriva a quasi il 90% nel caso del modello privato. In ambito public cloud, è a livello di piattaforma (Platform as a Service) e applicativo (Software as a Service) che si registrano i tassi di adozione più elevati, oltre il 70%. L’offerta infrastrut28

| MAGGIO 2017

turale, con una percentuale superiore comunque al 60%, risulta essere invece meno diffusa. Questi livelli d’adozione spingono gli investimenti tanto in public quanto in private cloud: per il 2017, infatti, prevediamo che in Italia i due mercati crescano rispettivamente del 25% e del 17%, arrivando a superare 1,5 miliardi di euro. E a tendere non sono previsti eccessivi rallentamenti, tanto che per il periodo 2016-2020 stimiamo un tasso di incremento medio annuo per il cloud pubblico pari al 22% e per quello privato un tasso del 15%. Complessivamente si arriverà, quindi, a superare il valore totale di 2,5 miliardi di euro. MAGGIO 2017 |

28


Quali sono le principali leve di crescita del cloud pubblico nel nostro Paese?

Da tempo le aziende hanno affiancato al semplice driver del risparmio altre motivazioni strettamente connesse alle effettive necessità di business. In particolare, sono le esigenze di flessibilità, agilità e scalabilità, oltre alla ricerca di un persistente time-to-market a guidarle verso il cloud pubblico. Anche la ricerca d’innovazione di prodotti e servizi gioca un ruolo fondamentale, soprattutto nell’ottica di un ritorno alla sperimentazione. Le aziende, infatti, hanno compreso che il cloud pubblico consente di sperimentare con maggior semplicità e con un livello di pressione

economica/finanziaria decisamente inferiore. Lo sviluppo, poi, di workload sempre più pesanti, quali i Big Data o l’IoT, costituisce un fattore altrettanto importante, che spinge le aziende verso la nuvola o meglio verso lo sviluppo di soluzioni ibride, in cui si sfruttano le potenzialità del cloud pubblico in termini di capacità e flessibilità, preservando però gli investimenti infrastrutturali passati. Si tratta di un fenomeno trasversale o che interessa solo specifiche tipologie di azienda?

Il cloud sta investendo le imprese di tutti i settori e di tutte le dimensioni.

Costituisce, infatti, un’evoluzione a cui le aziende moderne non possono sottrarsi se vogliono mantenersi competitive e rilevanti sul mercato. Oggi le organizzazioni sono consapevoli di questo, al punto che nella richiesta di sviluppo della propria infrastruttura It l’opzione “cloud first” è diventata una discriminante fondamentale nella scelta del proprio partner tecnologico. Quali sono i punti fondamentali da valutare nella scelta del fornitore?

Nella scelta del cloud service provider è opportuno che le organizzazioni tengano in considerazione alcuni aspetti fondamentali. I più importanti riguar29


FOCUS | Cloud computing

Sergio Patano

LA TOP TEN DEL SOFTWARE AS-A-SERVICE

Occorre diffidare dei service provider che vogliono portare tutto in cloud: non tutto, infatti, deve o può essere spostato sulla nuvola

dano l’aderenza agli standard, la chiarezza degli Sla (Service Level Agreement, ndr), la compliance e la distanza fra il data center aziendale e quello del provider. Esistono, infatti, limiti fisici legati alla velocità di trasmissione del dato, che potrebbero incidere sui tempi di latenza. L’adozione di soluzioni standard da parte del cloud service provider è, invece, fondamentale per assicurarsi non solo la completa interoperabilità tra gli ambienti, ma anche una “exit strategy” in caso non siano rispettati gli Sla concordati. A tal proposito, è opportuno che i livelli di servizio minimo siano definiti in fase di disegno della soluzione cloud, così come i Kpi da monitorare. Importante è anche richiedere la tracciabilità del dato all’interno del data center per garantirsi l’aderenza alla normativa sulla territorialità del dato. Infine, occorre diffidare di quei Csp che vogliono mettere tutto in cloud: non tutto, infatti, può o deve essere messo sulla nuvola. Claudia Rossi 30

| MAGGIO 2017

Posta elettronica e office automation: questi i due principali ambiti applicativi su cui si stanno concentrando le esperienze cloud delle aziende italiane. A evidenziarlo è un recente studio firmato da Red Reply e Oracle in collaborazione con NetConsulting Cube, la cui attenzione si è focalizzata soprattutto su un campione di imprese appartenenti all’area geografica del Veneto, del Friuli Venezia Giulia, del Trentino Alto Adige, della Lombardia, del Piemonte, della Liguria e dell’Emilia Romagna. Le due voci che oggi dominano l’offerta del Software-as-a-Service confermano un trend in corso da anni tra le componenti cosiddette “commodity”, registrando un forte gradimento soprattutto nelle aziende di dimensioni più contenute, in particolare per quanto ri-

guarda la posta elettronica. A parte il Crm (Customer Relationship Management, a tendere adottato in cloud dal 23% delle aziende intervistate), anche le soluzioni Erp stanno vivendo un importante passaggio al modello “as-a-Service”: il 20% delle realtà contattate ne fa, infatti, già uso o intende farlo a breve. Ancora una volta la propensione maggiore si registra tra le aziende di minori dimensioni (150-299 addetti), in considerazione dei notevoli vantaggi che il SaaS offre in termini di investimenti limitati in infrastrutture e risorse. Seguono nella classifica i siti Web classici e di e-commerce, le componenti di enterprise collaboration e la Business Intelligence/ Business Analytics, che evidenziano tassi di adozione prossimi al raddoppio nel medio periodo.

MAGGIO 2017 |

30


FOCUS | Cloud computing

L’INFRASTRUTTURA ACCELERA IL BUSINESS

Per tradurre velocemente le idee in azione, le aziende devono potersi appoggiare a un sistema It agile e scalabile. Ma in Italia paura, retaggio culturale e digital divide frenano ancora l'adozione del modello “asa-Service”.

O

ggi le aziende che vogliano continuare a operare sul mercato con successo devono poter liberare velocemente le proprie idee, traducendole in prodotti e servizi capaci di intercettare le esigenze dei clienti in tempi rapidi e certi: esigenze che trovano nei servizi cloud e nelle infrastrutture “as-a-Service” strumenti in grado di accelerare le sperimentazioni di business e di supportare le continue evoluzioni d’impresa. “Per concedersi il lusso di provare nuove strade, le aziende devono essere consapevoli che in questa ricerca possono commettere errori. Fondamentale è, quindi, procedere in modo “smart”, cercando di ridurre al massimo i rischi, aumentando la velocità d’azione”, esordisce Davide

Tammaro, cloud development di Retelit, spiegando che attraverso l’esternalizzazione delle infrastrutture It è possibile azzerare tutti i tempi necessari alla valutazione e all’autorizzazione di spese di capitale, ottenendo risposte certe in tempi pianificati con la certezza di attingere alle tecnologie senza mai preoccuparsi di dimensionarle. Del tutto concorde è Felice Leone, amministratore unico di Gway (società del Gruppo R1), che proprio nella scalabilità della capacità di calcolo riconosce uno dei punti centrali per garantire il successo commerciale delle iniziative di business. “Negli ultimi cinque anni”, illustra Leone, “si è assistito a un cambiamento copernicano, che ha trasformato in liquido e immateriale il rapporto fra consumatore e aziende. 31


FOCUS | Cloud computing

Questo ha comportato un profondo mutamento del customer journey, facendo delle applicazioni il focus centrale di ogni attività d’impresa. Per questo motivo, la possibilità di scalare velocemente all’interno della capacità computazionale così come quella di offrire servizi on demand e pay-per-use rappresentano oggi la chiave per il successo di ogni iniziativa”. Risale a un paio d’anni fa anche la messa a punto dell’offerta Gway, oggi impegnata sul fronte classico e ibrido del cloud IaaS pubblico e privato attraverso il Centro di Competenza di Perugia e una formazione continua di tutti i suoi collaboratori. “Siamo convinti che la flessibilità e l’efficienza raggiungibili con l’adozione dello Iaas rappresentino uno dei migliori acceleratori di competitività per il Paese”, ribadisce l’amministratore unico, che nell’infrastruttura tradizionale vede un forte freno a tutte quelle dinamiche di business in cerca di velocità d’esecuzione e modularità applicativa. L’esternalizzazione dell’It non crea solo efficienza per un migliore utilizzo delle risorse, è in grado di assicurare anche una gestione trasparente dei costi. “Scegliere il cloud consente alle aziende di concentrarsi solo sul core business, risparmiando tempo e denaro e mantenendo contemporaneamente standard di sicurezza elevatissimi”, commenta Dionigi Faccenda, sales & marketing director di Ovh Italia. La società storicamente opera sul mercato con un’offerta Private Cloud, cui ha affiancato dal 2015 anche una proposizione in ambito pubblico e, in tempi più recenti, un approccio ibrido, appoggiandosi a un’infrastruttura di venti data center dislocati in tutto il mondo e collegati tra loro da una rete proprietaria in fibra ottica che garantisce comunicazioni veloci e sicure. Attiva da un paio d’anni è anche la proposizione IaaS di Retelit. Società che, capitalizzando sul livello qualitativo della connettività su cui ha da sempre basato il proprio business, ha deciso di far evolvere in direzione cloud un portfolio già integrato di servizi dedicati alle aziende. 32

| MAGGIO 2017

“Oltre alla qualità e all’innovazione delle tecnologie, le peculiarità della nostra offerta sono legate soprattutto alle soluzioni di connettività, che permettono un’estensione reale e affidabile dei data center dei nostri clienti, cui è garantita una totale flessibilità e un minimo impatto in termini di operations e networking”, afferma Tammaro, sottolineando anche l’estrema importanza di ragionare in logica di data center ibrido. Superare le paure

Nonostante la maturità raggiunta dalle tante soluzioni infrastrutturali as-a-Service, sul mercato italiano sono ancora molti i nodi da sciogliere prima di una loro vera e propria adozione pervasiva: primo fra tutti, la paura di archiviare i dati in cloud. “Ancora oggi nel nostro Paese è radicata l’idea che tenere i dati in casa sia garanzia di salvaguardia”, osserva Leone. “Questa è una falsa convinzione: l’offerta IaaS, infatti, è pienamente matura e offre soluzioni di disaster recovery e backup normalmente inaccessibili alla piccola e media azienda italiana. Il contesto normativo, inoltre, ha reso conforme il quadro legislativo in tutto l’ambito comunitario, consentendo di superare i confini nazionali per

rivolgersi a un’offerta più ampia che sta permettendo una riduzione significativa dei costi”. Anche per Retelit paura, retaggio culturale e scarsa consapevolezza rappresentano i principali freni all’adozione delle infrastrutture cloud in Italia. “I clienti vogliono sicurezza, soprattutto sui livelli di servizio, ma spesso non trovano un provider capace di garantire Sla di connettività, di disponibilità dei sistemi e di disponibilità dei dati in un unico contratto”, afferma invece Tammaro, spiegando come la capacità di Retelit di operare come unico provider di connettività e cloud attraverso infrastrutture proprietarie offra alle aziende tutte le garanzie ricercate. E sul tema della connettività torna a battere anche Ovh, riconoscendo nello Stivale un digital divide ancora irrisolto, soprattutto in alcune aree geografiche. “Un problema tipicamente italiano è la pesante dipendenza del mercato da sistemi legacy, come S36, AS400 e Cobol”, sottolinea Faccenda. Per aiutare le aziende a rendere più moderne le proprie infrastrutture It, Ovh offre una serie di servizi di formazione e consulenza, mirati a semplificare la comprensione dei nuovi paradigmi e a rendere più semplice ed efficace la migrazione sulla nuvola. C.R. MAGGIO 2017 |

32


TECHNOPOLIS PER FUJITSU

DA FUJITSU UN MOTORE D’INNOVAZIONE Il nuovo Cloud Service K5 riduce la complessità e migliora il time to market nella creazione di nuovi servizi aziendali basati su cloud. La proposizione Infrastructure-as-a-Service rientra da tempo nell’offerta core di Fujitsu. Oggi, con Cloud Service K5 la società mette a disposizione del mercato un servizio IaaS e PaaS innovativo e di prossima generazione, in grado di abilitare la trasformazione digitale delle aziende attraverso una perfetta integrazione di ambienti It tradizionali con le nuove tecnologie basate sul cloud. “Grazie all’architettura aperta di K5 e alla capacità di MetaArc di gestire e amministrare il carico di lavoro di qualsiasi piattaforma, i nuovi sistemi possono funzionare sia su cloud pubblico sia negli ambienti privati delle aziende clienti”, illustra Federico Riboldi, business program manager di Fujitsu Italia. La piattaforma K5 permette di co-creare soluzioni che possono essere non solo di tipo public cloud, ma anche virtual private hosted, dedicated e dedicated on-premise, ovvero risiedere nel data center delle aziende clienti o in una delle infrastrutture di Fujitsu. Il tutto, in un’ottica di continuità e ottimizzazione degli investimenti già fatti dal cliente. “Implementare l’approccio Hybrid-It offerto da K5 permette di legare tra loro le componenti di ‘Robust It’ e ‘Fast It’, attraverso l’utilizzo di un ricco assortimento di tecnologie progettate per consentire alle organizzazioni di sviluppare e utilizzare nuove applicazioni nativamente cloud”, spiega il manager, evidenziando come l’integrazione tra esistente e futuro in modalità co-creation rappresenti un punto estremamente differenziante dell’offerta Iaas di Fujitsu. “Un’altra caratteristica che distingue K5 dagli altri servizi cloud oggi disponibili”, prosegue Riboldi, “è la coraggiosa decisione di allontanarsi dal software proprietario in

Federico Riboldi, business program manager di Fujitsu Italia favore di un’architettura open source, consentendo una notevole riduzione del vendor lock-in grazie all’utilizzo di un’architettura OpenStack”. In questo caso il vantaggio per le aziende è importante perché all’interno del rapporto di co-creation Fujitsu offre non solo competenza tecnologica, ma anche duttilità e proattività della soluzione, oltre a un’interessante flessibilità contrattuale che consente al cliente di focalizzarsi solo sugli aspetti più legati al business. “Sul mercato lavoriamo con più provider di soluzioni cloud, sia per ospitare le loro soluzioni nei nostri data center sia per gestire i servizi erogati. Con alcuni, in particolare, la collaborazione è di lunga data, come con Sap per esempio”, afferma il manager, chiarendo che tutte le partnership strette con i Managed Service Provider sono strategiche per Fujitsu “perché attraverso loro guidiamo un vero e proprio processo di implementazione del cloud all’interno delle aziende, lasciando ai clienti risorse ed energie per focalizzarsi sul proprio core business”.

CLOUD SERVICE K5 ACCELERA LO SVILUPPO DEI SERVIZI Fujitsu Cloud Service K5 è il servizio cloud IaaS e PaaS di Fujitsu. Si tratta della prima piattaforma di cloud computing che, attraverso la perfetta integrazione di ambienti It tradizionali con le nuove tecnologie basate sulla nuvola, accelera lo sviluppo delle applicazioni e combina l’affidabilità, la performance e la scalabilità di livello enterprise con l’efficienza dei costi di una tecnologia cloud open source.

La piattaforma, utilizzabile come cloud privato (su data center on premises oppure ospitati da Fujitsu) o pubblico con supporto per il virtual pivate cloud, è basata su MetaArc, la Digital Business Platform o Meta Architettura che Fujitsu offre ai clienti per trarre vantaggio dalle opportunità della dimensione digitale e abilitare l’erogazione di nuovi servizi sul mercato. 33


FOCUS | Cloud computing

AAA FACILITATORI AFFIDABILI CERCANSI

Proporre servizi standardizzati, ma personalizzabili. Garantire scalabilità, flessibilità e sicurezza. Orientare nella scelta della “nuvola” migliore per le esigenze del cliente. Ecco alcuni dei compiti dei cloud managed service provider

34

| MAGGIO 2017

L

a voglia di accedere a tecnologie innovative, di ridurre le inefficienze e di capitalizzare ogni euro investito sta spingendo sempre più aziende ad abbracciare il cloud. Corrono in loro aiuto un numero crescente di cloud managed service provider, operatori pronti a offrire competenze e metodologie pensate per semplificare i diversi percorsi di avvicinamento al modello as-a-Service. Ma chi sono, esattamente? “Si tratta di fornitori capaci di aiutare le aziende a trasformare in realtà tutte le promesse di agilità, performance e risparmio ti-

piche del cloud, garantendo un’orchestrazione ottimale dei diversi servizi dalla loro introduzione alla loro riorganizzazione fino a una loro completa sostituzione con versioni più innovative”, chiarisce Mauro Capo, cloud domain lead per l’Italia, l’Europa Centrale e la Grecia di Accenture. Questi operatori sono anche in grado di abilitare i modelli di sviluppo DevSecOps (Development, Security e Operations) e di supportare i clienti nel controllo della spesa attraverso gli analytics. “Sono facilitatori che mettono a disposizione il know-how, le risorse e l’esperienza neMAGGIO 2017 |

34


cessari per affrontare e sfruttare al meglio le opportunità offerte dal cloud”, aggiunge Giovanni D’Aprile, executive partner di Reply, sottolineando come avvalendosi di questi servizi le aziende non solo ottengano scalabilità, ottimizzazione e flessibilità, ma minimizzino anche tutti i rischi connessi. Per esempio quelli relativi alla sicurezza, alla privacy dei dati e all’integrazione con il mondo on premise. “Fondamentale è, però, affidarsi a service provider dalla provata esperienza, capaci di erogare servizi standardizzati magari presenti anche in un contesto internazionale”, precisa Enrico Brunero, data centre & ITaaS business unit manager di Dimension Data Italia, realtà che propone un’offerta completa di servizi cloud pubblici e privati, ma garantisce anche la capacità di operare su servizi multi cloud e in questo modo consente alle aziende un approccio di vero “It ibrido”. La proposizione a valore di Accenture è, invece, basata su un framework completo di servizi di consulenza, di migrazione e di gestione, offerti in Italia da oltre mille professionisti. “Non possedendo data center né prodotti, lavoriamo solo nell’interesse dei nostri clienti, restando agnostici rispetto a tecnologie e provider”, afferma Capo, sottolineando le importanti alleanze strategiche strette da Accenture con tutti i principali cloud provider globali: Amazon Web Services, Microsoft, Google e Oracle. Sulla capacità d’intermediazione nella selezione e fruizione dei cloud provider, in base alle specifiche esigenze dei clienti, pone l’accento anche D’Aprile. L’offerta di servizi di cloud brokerage di Reply, a suo dire attualmente unica sul mercato, è “caratterizzata da un approccio strategico completamente indipendente dalle tecnologie, ma è contemporaneamente arricchita da un know-how maturato su molteplici expertise verticali che garantiscono al cliente la massima qualità non solo nella progettazione, ma anche nella delivery”. C.R.

IL CROLLO DEI PREGIUDIZI Ultimamente nelle conversazioni tra managed service provider e clienti molti vecchi pregiudizi dimostrati nei confronti del cloud (soprattutto quelli relativi ai temi della sicurezza, della localizzazione del dato e della responsabilità) sembrano aver perso d’importanza. “Questo è dovuto sia alla maturazione dell’offerta sia a una maggiore consapevolezza dei clienti in merito alle opportunità del modello as-a-Service”, commenta Capo, pronto a riconoscere che buona parte del merito sia soprattutto da attribuire all’espansione dell’offerta Platform-as-a-Service e all’impatto che questo tipo di servizi stanno avendo sui cicli di sviluppo applicativo. “Se da un lato, però, queste piattaforme accelerano la migrazione, dall’altro spaventano le aziende che normalmente utilizzano applicazioni lontane dalle logiche cloud. Il nostro ‘journey to cloud’ le aiuta a superare questo conflitto, a selezionare i carichi di lavoro già pronti per la nuvola e ad attivare per i rimanenti un programma di migrazione assistito, capace di generare rapidamente familiarità con i nuovi strumenti e ritorni economici da reinvestire in fasi più avanzate della trasformazione”. Per nulla convinta che le preoccupazioni relative alla sicurezza siano state superate è, invece, Dimension Data: la società rileva anche importanti criticità legate alla necessità delle aziende di comprendere meglio l’impatto evolutivo di ambiti non prettamente applicativi e infrastrutturali, ma che vengono comunque toccati dalla trasformazione. “Per questo”, chiarisce Brunero, “nella fase di valutazione dei

percorsi di trasformazione siamo pronti ad affrontare con i clienti tutte le tematiche in modo olistico. Per noi l’aspetto della consulenza è fondamentale ed è l’unico modo per garantire una comprensione approfondita di tutte le reali necessità aziendali. Solo così l’It manager può diventare davvero rilevante all’interno della propria organizzazione, ponendosi come vero e proprio motore d’innovazione di cui può beneficiare tutta l’azienda, dipartimenti di business in primis”. Il nodo della sicurezza Sul tema della sicurezza torna a insistere anche Reply, che da tempo punta a risolvere questa criticità con approcci e strumenti specifici. “Per noi la sicurezza rappresenta una delle priorità principali per l’erogazione dei servizi, tanto da aver sviluppato soluzioni verticali per il monitoraggio e la protezione di servizi cloud, avvalendoci anche della collaborazione con i principali istituti di ricerca e della comunità europea”, chiarisce D’Aprile, che sottolinea anche le difficoltà ricorrenti delle aziende nel governare e gestire in maniera integrata un ecosistema dalle caratteristiche decisamente differenti da ciò a cui erano da sempre abituate. Per risolvere questo problema Reply mette a disposizione un servizio in grado di adattarsi ai processi e ai sistemi dei clienti senza soluzione di continuità, fornendo meccanismi di controllo e di integrazione standard, capaci di beneficiare dei processi continui di automazione e innovazione volti al miglioramento dei servizi e all’ottimizzazione dei costi.

35


INNOVAZIONE | Digital manufacturing

PRO E CONTRO DI INDUSTRIA 4.0 La rivoluzione del settore manifatturiero non è solo di natura tecnologica bensì di filiera, e come tale va trattata. Partendo dall’organizzazione interna e arrivando allo sviluppo di nuove competenze. Un'analisi del piano del Governo.

D

a quando è stato presentato per la prima volta a settembre 2016, il piano nazionale Industria 4.0 ha riscosso grande apprezzamento e giudizi quasi unanimemente positivi, sia dal mondo industriale sia da quello della ricerca. Dopo anni di politiche industriali votate al contenimento dei costi e alla riduzione dell’intervento pubblico a sostegno delle imprese, finalmente è stato presentato un programma organico, avente l’obiettivo primario di sviluppare e supportare l’adozione del paradigma 4.0 nelle nostre imprese. Attraverso misure orizzontali e non con interventi verticali e/o settoriali, senza ricorrere a proposte progettuali in specifici bandi di finanziamento. Da una sua analisi critica emergono infatti vari elementi positivi. Il piano, in primo luogo, è specifico per il tessuto industriale italiano e traspare molto chiaramente lo studio preliminare svolto nei mesi precedenti alla sua pubblicazione: sono stati analizzati i modelli proposti dagli altri Paesi industrializzati ed è stata cercata una configurazione che non fosse un “copia-incolla” acritico del lavoro di altri, bensì una soluzione cucita per il nostro sistema Paese. Il piano ha quindi ben compreso la portata del fenomeno Industry 4.0, che è una rivoluzione ampia, non solo tecnologica, e come tale va trattata. Non ha senso incentivare investimenti in tecnologie innovative se in parallelo non si 36

| MAGGIO 2017

contribuisce a sviluppare nuove competenze per gestirle. In questo senso, pare ideale il mix tra misure di breve (incentivi fiscali) e di medio-lungo (competenze e infrastrutture) termine. Il piano Calenda non si è dimenticato di nessuna tecnologia: anche sforzandosi, non si riesce a pensare ad ambiti che non siano almeno parzialmente inclusi in una delle nove aree abilitanti. Incentiva, inoltre, gli investimenti in hardware ma anche quelli nel software perché Industry 4.0 non comporta solo il rinnovo del parco macchine ma anche e soprattutto la gestione integrata del dato che proviene dalle linee di produzione. Il piano, infine, guarda alla catena del valore e non al singolo nodo: non si fa industry 4.0 reparto per reparto e nemmeno azienda per azienda. Industry 4.0 è una rivoluzione di filiera, che deve coinvolgere tutti i nodi della catena alla ricerca di sinergie super-additive. Margini di miglioramento

Tutto perfetto, quindi? Ovviamente no. Qualche elemento negativo emerge. Innanzitutto, non possiamo e non dobbiamo dimenticarci del colpevole ritardo con cui questo piano è stato elaborato. Partire quattro o cinque anni dopo i concorrenti tedeschi o statunitensi certamente non aiuta le nostre imprese, che hanno la necessità di muoversi presto (anzi, subito) e con minori margini di errore. La stessa circolare dell’Agenzia

delle entrate, arrivata tre mesi dopo il piano, ha avuto sì l’effetto di chiarire i dubbi interpretativi che erano sorti, ma di fatto ha ritardato ulteriormente l’avvio degli investimenti. Non pare ottimale nemmeno la scelta del doppio ente di riferimento. Di fatto, se un’azienda ha un dubbio contenutistico deve rivolgersi al Ministero dello Sviluppo Economico, mentre per quesiti di natura fiscale deve riferirsi all’Agenzia delle Entrate. Abbiamo il forte sospetto che questo (eventuale) doppio passaggio certo non contribuirà a velocizzare l’implementazione del piano. Non sarebbe forse stato preferibile pensare a una “task force” trasversale ai due enti, che potesse fungere da unico e reattivo punto di riferimento per le imprese interessate? Infine, ed è la nota più dolente, ben poche risorse sono state dedicate alle misure di medio-lungo termine. In altre parole, molti meno euro del previsto sono stati allocati per costruire le competenze digitali necessarie a pilotare le innovazioni stimolate dagli incentivi fiscali.


Massimo Zanardini

Andrea Bacchetti

SIAMO UN PAESE DI ROBOT Nella corsa all’Industria 4.0 sarà cruciale il tema delle tecnologie abilitanti come il cloud, la mobilità, l’intelligenza artificiale e l’Internet delle Cose o, in una parola, la robotica. Spetterà al Governo sviluppare un approccio integrato e sostenibile alla transizione. Sostenibilità economica e ambientale in questa rivoluzione andranno probabilmente assieme, anzi dovranno andare assieme. La Legge di Moore apparteneva alla terza rivoluzione industriale, mentre oggi è semplicemente finita, perché non possiamo miniaturizzare oltre la scala atomica. Per generare un nuovo ciclo espansivo occorre invece individuare una tecnologia che lo apra e sulla quale il capitale si potrà nuovamente concentrare. Quella tecnologia è nella robotica. Per questo non bisogna

avere paura delle macchine. La robotica applicata diventa sempre di più elettronica di consumo (basti pensare ai milioni di aspirapolveri automatiche già presenti nelle nostre abitazioni) e questo sancirà l’ingresso reale della robotica nella società: è un processo che è già avvenuto nell’industria e dove l’Italia è in prima fila. Siamo un Paese produttore di robot e di macchine di precisione, ai massimi livelli, e non dobbiamo diventare un Paese di semplici consumatori, coltivando un approccio autolesionista e antindustriale come quello che è alla base della proposta di una “tassa” sui robot. Maria Chiara Carrozza, Professore di Bioingegneria industriale alla Scuola Superiore Sant’Anna e Deputato della Repubblica

Il piano giustamente insiste sul tema della connessione tra gli impianti, possibile però solo a fronte di una connettività di base stabile. Che oggi in Italia esiste a macchia di leopardo. Idem dicasi per i protocolli di comunicazione e per gli standard di interoperabilità dell’Internet of Things, senza i quali si finisce con il tagliare le gambe a svariati progetti di innovazione centrati appunto sull’Internet delle cose. Gli incentivi fiscali che favoriscono l’introduzione di nuove tecnologie digitali nelle imprese italiane sono, in conclusione, una condizione necessaria ma non sufficiente per la piena concretizzazione del paradigma 4.0. Paradigma che le imprese hanno il dovere di affrontare con un approccio olistico, avendo l’umiltà di mettere in discussione l’attuale modo di fare business, con la consapevolezza che la rivoluzione dovrà partire dalle fondamenta. E cioè dall’organizzazione interna, dai processi e dalle persone. Andrea Bacchetti e Massimo Zanardini, laboratorio Rise, Università di Brescia 37


INNOVAZIONE | Digital Manufacturing

IL MODELLO CHE FA SCUOLA Ripensare i processi è il primo passo da compiere per trasformare l'industria, salvaguardando la centralità delle persone. Si parla di "Human Integrated Manufacturing", lo racconta il guru della produzione di Toyota.

S

atoshi Kuroiwa, massimo esperto di factory automation, consulente di Toyota Motor e “guru” del modello produttivo dell’azienda nipponica, è stato l’ospite d’onore di un incontro sul tema Industria 4.0 tenutosi durante l’ultima edizione di Mecspe, fiera del settore manifatturiero. Il suo intervento si è soffermato sulle ultime frontiere del metodo di produzione inventato dalla casa automobilistica (il Toyota Production System) e in particolare sul ruolo centrale del cambiamento culturale e delle persone nella gestione delle nuove tecnologie per la fabbrica 38

| MAGGIO 2017

digitale. Per il manifatturiero italiano, alle prese con le sfide della quarta rivoluzione industriale, la priorità suggerita dal consulente del governo di Tokyo è quella di accompagnare la trasformazione tecnologica sia con lo sviluppo di una diversa cultura all’interno delle aziende (per rendere semplici, stabili e intuibili i processi che portano ai nuovi prodotti e servizi intelligenti) sia con la formazione di nuovo capitale umano. Il rischio di interpretare la rivoluzione 4.0 solo attraverso gli strumenti necessari a digitalizzare, robotizzare e automatizzare è elevato. Serve per questo un cambiamento dettato dall’integrazio-

ALGORITMI NELLE FABBRICHE L’intelligenza artificiale “on demand” e nuovi software gestionali faranno progredire il settore industriale, seguendo la traccia dell’automazione e dei sensori. Secondo le stime di Gartner, entro il 2020 non meno del 30% dei progetti di manifattura smart sfrutterà l’impiego di algoritmi di machine learning acquistati da fornitori esterni per istruire le macchine, dotarle di capacità decisionale e affidare loro compiti “intelligenti”. La maggior parte delle realtà manifatturiere non dispone di competenze e mezzi sufficienti a sviluppare internamente modelli di apprendimento automatico per i propri impianti, e per questo il ricorso a un fornitore o a un marketplace esterno si rivelerà un’opzione accessibile, comoda e flessibile. Secondo l’analista Thomas Oestreich, gli algoritmi sono “il cuore pulsante delle iniziative di Industria 4.0”.


ne fra tecnologie e capitale umano. E Toyota Production System può essere una guida per le aziende italiane verso l’Industry 4.0. Da anni l’azienda giapponese sta promuovendo l’integrazione fra “l’arte di fare prodotti” per l’Internet delle cose e “l’arte di fare persone”, quale elemento alla base per una innovativa trasformazione industriale. In passato, ha spiegato Kuroiwa, “Toyota ha contrapposto al modello Cim (Computer Integrated Manufacturing, ndr) lo Human Integrated Manufacturing, interpretando la tecnologia come uno strumento a supporto delle persone. È stata una scelta vincente e anche in questa nuova era Toyota punta a ripensare i processi incentrati sulle persone con il supporto delle tecnologie abilitanti, a partire dall’intelligenza artificiale”. La governance rimane all’uomo

L’aspetto umano rimane quindi centrale anche nella nuova fabbrica digitale e flessibile, caratterizzata da un flusso di comunicazione in tempo reale fra le postazioni di lavoro. Un flusso che crea capacità autodiagnostica e consente il controllo a distanza della produzione. In questo ambiente la flessibilità dei sistemi permetterà di personalizzare i prodotti in funzione della domanda, la catena di produzione sarà ricostruita e simulata in un ambiente virtuale, per risolvere i problemi a monte e consentire la formazione del personale. In questo scenario ipertecnologico, all’uomo restano i compiti essenziali di portare creatività, di governare le tecnologie, di progettare i sistemi, di controllare e migliorare i processi produttivi e, di conseguenza, anche i prodotti e i servizi. La strada è tracciata e il consiglio che Kuroiwa rivolge alle aziende è esplicito: “Per affrontare con successo la quarta rivoluzione industriale è indispensabile ripensare al proprio modello di business e di conseguenza ai processi a esso correlati, e solamente dopo investire in nuovi strumenti tecnologici”. Piero Aprile

LA VIA ITALIANA ALL' AUTOMAZIONE

S

e c’è un via italiana per l’Industria 4.0, c’è anche un grande vendor tecnologico, Cisco, che non perde occasione per ribadire di volerne far parte. Durante un recente convegno (intitolato per l’appunto “La Via Italiana all’Industria 4.0”), la società californiana ha fatto quadrato intorno alla tematica e lanciato un “Customer Club” che riunisce aziende come Fca, Marcegaglia, Marzocco, Dallara, Inpeco, Fluid-O-Tech, 1177 - Calze Ileana e Aia. Uno dei messaggi forti e da tutti condiviso è il seguente: l’Industria 4.0 è un’occasione di sviluppo che le imprese italiane non devono lasciarsi sfuggire ed è alla portata di tutti. Da Diego Andreis, amministratore delegato di Fluid-OTech (azienda milanese produttrice di pompe e ingranaggi meccanici) e vicepresidente di Federmeccanica, è arrivata, in particolare, la testimonianza di come la qualità e il modello di open innovation, ancor prima dell’efficienza, rappresentino veri e propri pilastri su cui costruire la fabbrica del futuro. Fare innovazione in modo diverso e con team multidisciplinari è di importanza vitale e non a caso l’azienda ha investito sulle persone e sulle compe-

tenze, perché più che soldi, a detta del manager, “le imprese hanno bisogno di competenze specifiche per gestire l’innovazione”. Fluid-O-Tech si può quindi considerare un’eccellenza della manifattura italiana perché ha scommesso, investendo, sulle persone e sulle loro competenze, senza però vedere nella tecnologia un rischio per i posti di lavoro. “Con il percorso di automazione e robotizzazione che abbiamo affrontato”, ha spiegato Andreis, “non abbiamo ridotto la manodopera, ma abbiamo qualificato il nostro personale e lo abbiamo indirizzato su attività meno ripetitive, meno pericolose e più qualificanti”. I robot, insomma, non sostituiscono le persone ma ne cambiano la modalità di lavoro e diventano, nella visione di Fluid-OTech, una della parole chiave della manifattura 4.0 accanto a precisione, intelligenza, conoscenza, innovazione, condivisione. Quanto al rischio di una trasformazione a due velocità, Andreis osserva giustamente che in Italia “abbiamo tante Pmi e purtroppo ancora pochi campioni di filiera. Occorre dunque far crescere quelle aziende che sapranno poi trascinare le altre nei percorsi di innovazione”.

39


ECCELLENZE.IT | Gruppo

Siram

UN ALLEATO DIGITALE PER CHI LAVORA SUL CAMPO La storica società specializzata in gestione di servizi energetici e manutenzione degli impianti ha scelto il cloud e la tecnologia di Oracle per comunicare in tempo reale con il personale tecnico.

P

er chi lavora “sul campo”, digitale significa efficienza, velocità, ottimizzazione. Così racconta la storia di Gruppo Siram, realtà italiana (totalmente controllata da Veolia) che vanta quasi un secolo di esperienza nel campo dei servizi energetici e nella gestione e manutenzione di impianti. Attraverso i suoi tremila collaboratori e i 130 presidi sparsi sul territorio, copre i tre segmenti dell’acqua, dell’energia e dei rifiuti per clienti residenziali, dell’industria, del terziario e della Pubblica Amministrazione. Certificata come Esco (Energy Service Company), Siram si occupa anche di LA SOLUZIONE Il progetto di efficienza operativa basato su Oracle Field Services Cloud abbraccia tutti la “filiera” che parte dalla consegna degli ordini di lavoro alla squadra dei tecnici sul campo, fino alla rendicontazione finale. L’operaio riceve sul device a disposizione notifiche di invio e attraverso il browser Web accede alla descrizione delle mansioni da svolgere, gestendone direttamente la rendicontazione in tempo reale. Si prevede che il sistema a regime gestirà circa 1,3 milioni di ordini di lavoro annui.

40

| MAGGIO 2017

sviluppare e realizzare soluzioni tecnologicamente avanzate per la riduzione dei consumi e delle emissioni inquinanti. In passato tutti i tecnici inviati sul campo ricevevano ordini di lavoro su supporto cartaceo e poi, svolta la mansione, riconsegnavano tali documenti per la successiva rendicontazione e per le operazioni di data entry eseguite dal personale di backoffice. Fino alla decisione di cambiare strada. “La decisione di portare sul cloud la programmazione di tutti gli interventi”, racconta Pietro Canevari, responsabile efficienza operativa di Siram, “è stata presa direttamente dall’alta direzione aziendale, a seguito di valutazioni condotte in merito alla necessità di migliorare le prestazioni organizzative e rendere più affidabile la rendicontazione, raccogliendo esigenze in merito all’ottimizzazione delle disponibilità dei tecnici, oltre che di maggiore trasparenza. Questa attività si inserisce in un percorso più ampio intrapreso da Siram con l’obiettivo di favorire l’innovazione digitale”. Si è quindi puntato a trasformare da analogiche a digitali le comunicazioni fra la sede e i tecnici e la scelta è ricaduta su Oracle, già conosciuto dall’azienda per

precedenti rapporti di fornitura. È stata così implementata la soluzione Oracle Field Service Cloud (Ofsc), partendo inizialmente da quattro aree pilota e poi estendendola a tutto il personale una volta eseguite alcune modifiche e perfezionamenti. “L’applicazione di Ofsc”, spiega Canevari, “prevede quale struttura base la squadra di tecnici, sia essa operante all’interno di un presidio localizzato, come ad esempio una grossa commessa ospedaliera, sia essa costituita da operai itineranti sul territorio a servizio di numerosi contratti”. Il progetto è ancora in fieri: si è realizzato finora circa un quinto del lavoro di preparazione dei sistemi di asset management e si punta a completare l’opera entro la fine del 2018. Ma Siram sta già raccogliendo i primi frutti. Sul piano dell’efficienza operativa, l’azienda ha guadagnato rapidità nella distribuzione degli ordini di lavoro e ha drasticamente ridotto la produzione dei report cartacei, ora realizzati esclusivamente in caso di necessità normative o contabili. Grazie alla comunicazione in tempo reale fra il servizio di Oracle e i propri sistemi di asset management, l’azienda ha migliorato anche i rapporti con i clienti.


ECCELLENZE.IT | Jobrapido

DATI SENZA SEGRETI PER TROVARE IL CANDIDATO PERFETTO La piattaforma digitale dedicata agli annunci di lavoro utilizza la tecnologia Hadoop per analizzare in tempo reale una media di 50 GB di dati giornalieri. Un mare di curricula, ma non solo. LA SOLUZIONE Con la soluzione Data Lake sviluppata insieme a Cloudera, Jobrapido è in grado di memorizzare sull’Hadoop Distributed File System sia dati strutturati che sia strutturati, provenienti per esempio dai sondaggi o dai curricula e da altri documenti. Può, inoltre, interrogare una mole di circa 50GB di dati al giorno in modo più efficace rispetto al passato. Lo strumento Cloudera Manager permette di monitorare in modo automatizzato un intero cluster di dati.

A

iutare chi cerca lavoro a trovare le offerte più adatte al proprio profilo e, specularmente, dare la giusta visibilità agli annunci pubblicati dalle aziende è la duplice missione di Jobrapido. Fondata nel 2006, l’azienda milanese oggi è presente con il proprio motore di ricerca per il recruiting in 58 Paesi e conta 70 milioni di iscritti e 35 milioni di utenti unici mensili. La mole di dati, strutturati e non, processati quotidianamente è notevole: in media, 50 GB al giorno. Per incrociare al meglio domanda e offerta e per ottimizzare la presentazione dei contenuti sul sito in base al singolo navigante, la società si affida agli analytics e, in quest’ambito, due anni fa ha deciso di migrare sulla piattaforma open source Hadoop. “In Jobrapido i dati sono considerati un asset strategico”, ha commentato il direttore Business Intelligence, Raffaele Serrecchia, “e cerchiamo quindi di sfruttare al meglio

tutto il potenziale che offrono, concentrando sforzi, competenze e investimenti in tal senso, soprattutto in un’ottica di formazione delle persone che si occupano di Business Intelligence e data warehouse”. Restava da scegliere la soluzione tecnologica che materialmente si occupasse di memorizzare e analizzare il mare quotidiano di informazioni ovvero, in altre parole, la specifica distribuzione commerciale di Hadoop. L’esperienza individuale di un ingegnere del dipartimento ricerca&sviluppo ha indirizzato l’azienda su Cloudera, vendor peraltro già noto ad alcuni progettisti di Jobrapido. In seguito alla realizzazione di alcuni proof-of-concept, risultati sempre più apprezzati da vari dipartimenti, la soluzione è stata poi estesa a tutte le attività di data warehouse (conservazione dei dati) e di Business Intelligence (analisi mirata alla scoperta di correlazioni e indicazioni strategiche). È risultato prezioso, in par-

ticolare, lo strumento di monitoraggio automatizzato Cloudera Manager, che permette di controllare un intero cluster di dati. Oltre a questo vantaggio, il motore di ricerca ha potuto beneficiare di due miglioramenti operativi: la possibilità di arricchire eventi e definire nuovi tracciamenti in tempi molto più brevi che in precedenza e quella di costruire strutture di reporting ricalcolabili in minor tempo rispetto al passato. In sintesi, il progetto ha consentito a Jobrapido di interrogare i dati in modo più efficace, migliorando così il servizio: può ora proporre alle aziende che pubblicano inserzioni candidati più qualificati, e può farlo in tempi più rapidi. Tra i riscontri tangibili, sono aumentati sia la marginalità Sem (Search Engine Marketing) sia il numero di conversioni sul sito Web, grazie alla possibilità fornita da Cloudera di arricchire con maggiori dettagli gli eventi tracciati sul portale. MAGGIO 2017 |

41


ECCELLENZE.IT | Nexive

SPEDIZIONI SOTTO CONTROLLO CON L'ASSISTENTE VIRTUALE Grazie a Eva, un chatbot dotato di intelligenza artificiale, l'operatore postale privato è riuscito a migliorare il servizio clienti. Un maggior numero di rischieste può ora essere gestito con successo e minori sforzi.

P

er chi ogni giorno si occupa di recapitare, in lungo e in largo nello Stivale, 500 milioni di buste e 1,7 milioni di pacchi, poter tracciare in ogni momento le spedizioni è tanto importante quanto difficile. Nato nel 2014 dalle ceneri di Tnt Post e controllato dall’olandese PostNL, Nexive può dirsi oggi il primo operatore postale privato attivo in Italia: tra la sede di Milano e i 1.400 punti della sua rete (filiali dirette, indirette e retail point) lavorano settemila persone, a cui si affiancano duemila veicoli costantamente in viaggio. Per rispondere nel migliore dei modi alle richieste dei propri clienti, l’azienda ha puntato su una strategia di customer service multicanale, che oggi include l’assistenza telefonica, email, chat e Web, oltre agli Sms. L’introduzione del supporto tramite messaggi risale al 2015 ed è stata realizzata con l’aiuto del fornitore di servizi Assist: comunicando con un motore di riconoscimento semantico che a sua volta dialoga in tempo reale con la piattaforma logistica di Nexive, gli Sms forniscono ai clienti informazioni sullo stato della spedizione e sulla data di consegna 42

| MAGGIO 2017

LA SOLUZIONE Eva (Enhanced Virtual Assistant) è un chatbot dotato di intelligenza artificiale e basato sulla tecnologia di elaborazione del linguaggio naturale di Assist. L’assistente offre un primo livello di supporto automatico, al termine del quale l’utente che avesse ancora bisogno di aiuto può scegliere se inviare la sua richiesta tramite un form online oppure proseguire con un operatore all’interno della chat. Basandosi su elementi già funzionanti, come il tracking della spedizione disponibile via Sms, il progetto è stato portato a termine in un solo mese dal kickoff.

prevista. Con questo metodo lo scorso anno è stato gestito, in automatico, il 10% dei contatti. Il passo successivo è stato compiuto a dicembre 2016, anche per far fronte al picco di spedizioni tipico del periodo natalizio. L’operatore postale ha dato il benvenuto a Eva: l’acronimo sta per Enhanced Virtual Assistant e indica un’assistente virtuale che, via chat, offre al cliente un supporto automatico su richieste di facile risoluzione, per poi eventualmente passare la palla a un operatore in carne e ossa. Assist ha affiancato Nexive in tutte le fasi del progetto, dall’analisi dei contatti gestiti dagli operatori (per identificare quelli automatizzabili) allo studio delle funzionalità necessarie, fino alla progettazione della grafica e dell’interfaccia e, poi, all’implementazione e alla manutenzione di Eva. “Siamo molto soddisfatti di questo nuovo servizio e dei risultati che abbiamo ottenuto sin da subito”, ha spiegato il chief information officer di Nexive, Paolo Battarino. L’azienda può ora risolvere rapidamente e in automatico un maggior numero di richieste, potendo integrare il supporto di personale del customer service per i problemi più complessi. Nel primo mese di utilizzo Nexive ha gestito con l’assistente virtuale circa il 52% delle richieste (in media, cinquantamila al mese), nella maggior parte dei casi senza l’intervento di un operatore. “Stiamo lavorando per integrare nuovi servizi che consentano al cliente di gestire in autonomia le sue spedizioni”, ha aggiunto Battarino, “ad esempio offrendo la possibilità di pianificare una nuova consegna e di visualizzare la filiale in cui si trova il proprio pacco e il percorso per raggiungerla”.


ECCELLENZE.IT | Alpitour

LA CUSTOMER EXPERIENCE MIGLIORA CON IL CLOUD

La strategia orientata al cliente in modalità omnichannel del tour operator ha trovato nella nuvola un alleato fondamentale.

N

ato a Cuneo nel 1947 da una piccola agenzia di viaggi specializzata in brevi trasferimenti a bordo di treni e bus, oggi il Gruppo Alpitour è una delle principali aziende nel settore del turismo organizzato. Molti i marchi che compongono il suo portafoglio di offerta (oltre ad Alpitour, Francorosso, Villaggi Bravo, Karambola, Viaggidea, Press Tours e Swan Tour, a cui si aggiunge la catena alberghiera VOIhotels) e moltissime le proposte di viaggio offerte alla clientela. Per gestirle l’azienda si affida a migliaia di agenzie su tutto il territorio nazionale e a un insieme variegato e integrato di strumenti digitali, dall’app “My Alpitour World” alla piattaforma di prenotazione EasyBook. La digitalizzazione di alcuni processi chiave dell’azienda, come spiega il chief information officer della società, Francisco Souto, è un work in progress iniziato con Avanade nel 2012 e ispirato a una strategia orientata al cliente, in un’ottica omnichannel e focalizzata su un’esperienza utente, complementare a quella

gestita via call center o tramite le agenzie fisiche, finalizzata all’acquisto di servizi attraverso un portale Web. Il rinnovamento tecnologico operato dall’azienda nasce quindi dall’idea di far evolvere il modello di “go to market” e di essere più vicini al consumatore finale in un settore pesantemente impattato dalla rivoluzione digitale. Il primo step è coinciso con l’ideazione del nuovo sito www. alpitourworld.com e la creazione di una piattaforma di content management basata interamente su cloud per organizzare in modo coerente e funzionale tutte le informazioni presenti sui diversi siti del gruppo. Il risultato? Un’architettura in cui tutti i canali possono comunicare tra loro efficacemente, offrendo all’utente la massima libertà di scelta e alle agenzie di viaggio strumenti più affidabili per comprendere e rispondere in modo adeguato alle esigenze (preventivi in primis) dei clienti. Il tutto con l’obiettivo, raggiunto, di ottimizzare al massimo le tempistiche operative. Nell’ambito del progetto gestito da Avanade, Alpitour è inoltre intervenuta inoltre sul sistema di Crm, riadattandone l’interfaccia e dotandolo di avanzati tool di business intelligence, e spostato le applicazioni di analisi dei dati e il data warehouse in cloud (sulla piattaforma Azure di Microsoft). Così facendo, oggi i nuovi front end “appog-

giati” sulla nuvola sono direttamente interfacciati con il sistema di back end basato su mainframe in una logica di infrastruttura scalabile ed altamente flessibile. I diversi applicativi sviluppati internamente, conferma ancora proposito Souto, “li stiamo progressivamente abbandonando ritenendo il cloud ibrido la soluzione più intelligente e fruibile per un’azienda come la nostra che ha nella disponibilità di servizi in modalità 24x7 un fattore fondamentale”. Se la trasformazione di un sistema legacy e chiuso in un ecosistema aperto e in grado di integrarsi con il mondo digitale è un risultato acquisito, in casa Alpitour stanno già guardando avanti per migliorare ulteriormente il livello di customer engagement. “Stiamo pensando a un progetto pilota”, conferma infatti Souto, “che interesserà dapprima il nostro help desk It e quindi il call center dedicato ai clienti. Utilizzeremo tecnologie di intelligenza artificiale e software cognitivi per gestire un assistente virtuale strettamente correlato ai dati che processiamo ogni giorno. Si tratta di un’innovazione che richiederà un lungo lavoro di consolidamento, perché non vogliamo rischiare di bruciare una soluzione senza prima aver preparato in modo adeguato i clienti, interni ed esterni, che dovranno utilizzarla e sfruttarne le funzionalità”. MAGGIO 2017 |

43


ITALIA DIGITALE | Pubblica Amministrazione

CITTADINI E STATO, UN DIALOGO IMPERFETTO L'ultima edizione dell'osservatorio europeo Nifo ha evidenziato su molti aspetti il ritardo italiano rispetto alla media dell'Ue a 28: dall'accesso a Internet fino alle interazioni digitali con la Pubblica Amministrazione. I progressi ci sono, ma troppo lenti.

N

elle vite sempre più “digitalizzate” degli italiani, il principale vuoto da riempire riguarda ancora oggi il dialogo fra cittadino e Stato. È un vuoto che, va detto, piano piano si sta colmando con azioni istituzionali e sistemiche. Come per esempio, per citare la più recente, la nuova versione del portale degli open data governativi (lanciato originariamente nel 2015) presen44

| MAGGIO 2017

tata lo scorso marzo dall’AgID: sono attualmente circa 18mila gli archivi di dati catalogati e liberamente consultabili dal cittadino, nonché a disposizione sul portale open source GitHub. E poi, a ritroso, i progressi del sistema di pagamento dematerializzato PagoPA (a gennaio si conteggiavano oltre 15mila pubbliche amministrazioni affiliate, di cui però solo due terzi attive) e il superamento del milione di identità digitali

emesse da Spid (sempre a gennaio). Su scala locale, città come Milano, Torino, Venezia, Roma, Bari, e Palermo si sono impegnate a digitalizzare, entro la fine dell’anno, una parte o la totalità dei servizi riferibili all’amministrazione comunale tramite un “fascicolo del cittadino” (ne parliamo nel box alla pagina seguente). Il problema sta non tanto nella natura, quanto nella lentezza di questo proces-


IL “FASCICOLO DEL CITTADINO” DEBUTTA A MILANO Il nome “Fascicolo del cittadino” è altisonante. E non meno ambiziosa è stata l’affermazione del sindaco Giuseppe Sala durante l’evento di presentazione, lo scorso aprile: “Milano vuole essere il rompighiaccio dell’innovazione digitale nel Paese”. In effetti, il capoluogo lombardo è arrivato primo fra i sei Comuni (gli altri sono Roma, Torino, Bari, Palermo e Venezia) affiliati al progetto pilota varato a gennaio dal Team per la Trasformazione Digitale, Agenzia per l’Italia Digitale (AgID). Il “fascicolo” è sostanzialmente un raccoglitore digitale di dati, pratiche amministrative e

documenti del singolo cittadino: da qui si può accedere a diversi servizi, con un’unica procedura di autenticazione oppure attraverso Spid (il Sistema Pubblico di Identità Digitale), da computer o da smartphone. Per i residenti milanesi è attualmente già possibile consultare i dati anagrafici propri o del nucleo familiare, iscrizioni ai servizi scolastici, scadenze di pagamenti o multe, così come prendere appuntamenti con il Comune e richiedere e stampare un certificato anagrafico con valore legale. Entro la fine dell’anno il Fascicolo sarà completo di tutti i servizi.

SVILUPPATORI A RACCOLTA PER DIGITALIZZARE LA MACCHINA PUBBLICA È solo “il primo passo di una community che crea innovazione”, come da Twitter l’ha definita Diego Piacentini, commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale. Un passo però importante, perché la nuova piattaforma developers.italia.it porterà aria fresca e idee dentro ai progetti di digitalizzazione del settore pubblico italiano. Il portale in questione, nato

so, al punto che risulta quasi impossibile non citare il solito ritornello del ritardo italiano rispetto ai vicini di casa europei. La conferma che non si tratti di un luogo comune giunge dal National Interoperability Framework Observatory (Nifo), un osservatorio della Commissione Europea che annualmente misura gli avanzamenti dei Paesi membri nel campo della digitalizzazione della società. Nella sua

dalla collaborazione tra AgID e il Team per la Trasformazione Digitale, mette a disposizione degli sviluppatori codice sorgente, librerie open source, un forum e un sistema di gestione della documentazione. Tra i progetti già in corso spiccano Spid, il sistema per l’anagrafe digitale e il catalogo degli open data della Pubblica Amministrazione (dati.gov.it).

ultima versione, riferita al 2016, i dati Eurostat su cui si basa lo studio hanno evidenziato per l’Italia una percentuale di abitazioni connesse a Internet inferiore alll’80%, rispetto a una media europea superiore all’85%; di contro, è apprezzabile il fatto che la quasi totalità (98%) di aziende nostrane sia dotata di connettività, con sostanziale allineamento alla media comunitaria (97%). E coincide, sul 94%, anche il dato ri-

guardante la quota di imprese - italiane ed europee - che sfruttano collegamenti su banda larga. I veri dolori arrivano, però, quando si esaminano i livelli di e-government, cioè la gestione digitale del rapporto fra cittadini e Pubblica Amministrazione. Nell’Europa a 28, la fetta di persone che ricorre a Internet per interagire con uffici e autorità pubbliche è del 48% mentre nello Stivale si limita al 24% ovvero a soli quattro punti percentuali

La fetta di italiani che dialoga con la Pubblica Amministrazione tramite Web si limita al 24%, appena quattro punti percentuali in più rispetto alla situazione del 2008

in più rispetto alla situazione del 2008. In nove anni, insomma, il progresso pare chiaramente misero, anche senza voler scomodare paragoni con il picco europeo della Danimarca, dove l’88% dei residenti utilizza il Web per comunicare con gli enti pubblici centrali o locali. Tra chi si è mosso più rapidamente spicca invece la Lettonia, passata dal 20% del 2008 all’attuale 69%. La sostanza non cambia se si osservano indicatori più specifici, come per esempio l’abitudine di scaricare documenti ufficiali della Pubblica Amministrazione: riguarda quasi il 30% dei cittadini comunitari e solo il 15% degli italiani. Allargando lo sguardo, a considerare anche i livelli di partecipazione civica, il diritto all’informazione e l’accesso ai dati, l’indice “Wjp Open Government Index” del World Justice Project nel 2015 ci collocava solo al 28esimo posto (schiacciata fra Sud Africa e Georgia) nella classifica delle 102 nazioni valutate. In cima alla lista svettava la Svezia, seguita da Nuova Zelanda, Norvegia, Danimarca e Paesi Bassi, mentre la maglia nera è toccata allo Zimbabwe. Valentina Bernocco 45


ITALIA DIGITALE | Startup

L’OPEN INNOVATION C’È, MA È ANCORA PER POCHI Il Ceo e founder di LVenture, Luigi Capello, spiega perché il cammino della trasformazione è ancora lungo: servono molte risorse e sono poche le startup di qualità. Ecco chi sono quelle selezionate dal programma Android Factory 4.0 e raccomandate dall’acceleratore Luiss Enlabs. 46

| MAGGIO 2017

“L

e aziende stanno cambiando perché hanno bisogno di innovazione di prodotto e di processo. E una porzione di questa innovazione la possono offrire le startup”. Inquadra così il tema dell’open innovation in Italia Luigi Capello, founder e Ceo di LVenture Group, precisando come le imprese nostrane siano oggi ancora in uno stadio iniziale di interesse verso le nuove realtà tecnologiche. E siano, quindi, soggette a difetti di maturità. “Non molte imprese hanno le idee chiare su come intercettare innovazione sul mercato. Tante stanno partendo con delle iniziative, ma poche attraverso dei

progetti strutturati e concreti”, aggiunge il manager di uno dei principali venture capital italiani, che in joint venture con l’Università Luiss di Roma ha dato vita nel 2013 all’acceleratore Luiss Enlabs, oggi uno fra i maggiori “contenitori” di startup a livello europeo. Di strada da fare per aumentare dimensioni, opportunità e valore dell’ecosistema dell’innovazione, insomma, ce n’è ancora parecchia. “In questa fase”, spiega in proposito Capello, “la possibilità concreta di fare open innovation è ristretta a una fascia limitata di aziende italiane, diciamo a quelle con un giro d’affari non inferiore ai 200 milioni di euro. E questo perché fare seriamen-


te innovazione costa, servono risorse dedicate, e quindi persone, struttura, processi e, non da ultimo, partecipazione”. Il compito delle aziende non è comunque facile a prescindere da ciò, per un altro fattore legato alla giovane età del movimento delle startup italiane, e cioè “il valore” dei progetti imprenditoriali che le caratterizzano. “Nascono tante nuove imprese innovative”, conferma in proposito il Ceo di LVenture, “sulle quali occorre però lavorare molto per renderle sostenibili e guidarle a uno sbocco verso dei finanziamenti o partnership industriali strategiche, perché quelle di qualità sono poche e soprattutto poco preparate dal punto di vista del management e della delivery del prodotto”. Nuove idee sotto il segno di Big G

Il lavoro di un acceleratore come Luiss Enlabs, in quest’ottica, si pone come l’intermediario ideale fra aziende e startup, creando i presupposti affinché questi due mondi entrino più facilmente in contatto. L’ultima novità in tal senso è il recentissimo lancio di un programma di incubazione nel campo dell’intelligenza artificiale, che interessa le grandi organizzazioni di svariati settori. A inizio aprile invece era andato in scena, proprio negli spazi dell’acceleratore all’interno della Stazione Termini di Roma, l’evento conclusivo del programma per startup “Android Factory 4.0”, lanciato a quattro mani da LVenture Group e Google e dedicato a progetti imprenditoriali “made in Italy” basati sull’utilizzo del sistema operativo mobile di Big G. Su oltre duecento candidature ricevute, sono state selezionate dieci startup, premiate con un grant da 2.500 euro e supportate nella realizzazione delle proprie idee e nello sviluppo di prodotti rivolti a diverse applicazioni del digitale, dall’Internet of Things per arrivare all’agritech. Proprio all’agricoltura smart si dedica, per esempio Beeing: la giovane azienda ha creato strumenti

per poter salvaguardare le api, monitorandone gli spostamenti e verificandone a distanza (anche via smartphone) lo stato di salute. Al settore primario guarda inoltre Revotree, un sistema di irrigazione dei frutteti utilizzabile anche tramite app e che, integrandosi con gli impianti già presenti nei campo, promette maggiore efficienza nel consumo idrico e un facile monitoraggio dei parametri ambientali. Un software di tipo predittivo che utilizza algoritmi di intelligenza artificiale combina le informazioni raccolte dai sensori con le previsioni meteo per aumentare l’efficienza dell’irrigazione, classificare i terreni, profilare le coltivazioni ed elaborare tendenze idriche. Cambiando scenario e avvicinandoci di più al tema Industria 4.0, quello concepito da BiTrack è invece un dispositivo a basso consumo energetico, facilmente configurabile e gestibile da remoto grazie a un’applicazione cloud, progettato

per ottimizzare l’utilizzo di risorse industriali, minimizzando la perdita e il degrado dei materiali. L’applicazione di Electrician CS, invece, assiste gli operatori di impiantistica elettrica e della domotica negli interventi di manutenzione, evidenziando le zone di passaggio dei fili e quelle di intervento e fornendo indicazioni utili grazie alla tecnologia di realtà aumentata. Guarda, infine, al mondo degli oggetti connessi il progetto di Neeot: un dispositivo per la raccolta e l’analisi in tempo reale dei dati provenienti da sensori disposti lungo un’area di interesse molto ampia, anche di decine di chilometri. Con un software di analisi, un portale online e un app Android, il sistema fornisce indicazioni utili e attiva sistemi di automazione basati su modelli statistici e sull’intelligenza artificiale, che integreranno dati rilevati sul campo e Big Data disponibili online. Gianni Rusconi

RICERCA E SVILUPPO: CHI LA FINANZIA? In Italia l’81,6% delle attività di ricerca & sviluppo è coperto direttamente e interamente dalle imprese, per un valore superiore ai 10 miliardi di euro. Dal 2004 al 2014 la spesa in R&D è cresciuta complessivamente del 31% e nello stesso periodo l’incremento dei budget stanziati dalle aziende è stato del 52%. Sono alcuni dei dati presentati di recente da Anitec (l’Associazione Nazionale Industrie Informatica, Telecomunicazioni ed Elettronica di Consumo) e da Invitalia, dati che confermano come gli investimenti destinati all’innovazione nel senso più ampio del termine (ricerca, brevetti, fondi per le startup e infrastrutture digitali) siano ancora insufficienti. Mentre nel 2015 in Italia si spendeva in ricerca & sviluppo poco più

dell’1% del Pil, in Francia si andava oltre il 2% e in Germania si sfiorava il 3%. Non mancano per contro segnali positivi, alcuni dei quali provenienti proprio dal settore Ict. Per le aziende operanti nel campo dell’informatica e delle telecomunicazioni, infatti, l’incidenza della spesa in R&D sul fatturato arriva al 2,3% e pesa nell’ordine del 20% (circa 2,1 miliardi di euro) sul totale degli investimenti “intra-muros” effettuati dalle imprese in tutti i settori. Sui brevetti, invece, l’Italia paga un dazio ancora maggiore: nel 2016 ne sono stati registrati 4.166 (dato comunque in crescita del 4,5% sull’anno precedente), contro i 5.142 del Regno Unito, i 6.889 dei Paesi Bassi, i 7.293 della Svizzera, i 10.486 della Francia e i 25.086 della Germania.

47


VETRINA HI-TECH

I ROUTER INTELLIGENTI CAMBIANO FORMA I dispositivi di networking si sono adattati a case e uffici moderni, ormai invasi da terminali e oggetti connessi.

48

| MAGGIO 2017

A

nche un mercato come quello del networking domestico o per i cosiddetti small office home office (Soho) ha attraversato negli ultimi tempi una netta evoluzione, non più soltanto in termini di prestazioni, grazie al supporto dei più recenti standard di trasmissione, ma anche dal punto di vista del design e della praticità d’uso dei dispositivi. Modem e router, insomma, stanno lentamente cambiando la propria natura per soddisfare in particolar modo il crescente bisogno di connettività rapida e in mobilità degli utenti. Le soluzioni di networking in molti casi diventano sempre più oggetti dai profili ricercati

e piacevoli alla vista, da esporre in casa come veri e propri complementi d’arredo. Per capirlo è sufficiente, a titolo esemplificativo, prendere in considerazione uno dei due principali trend che stanno caratterizzando il mercato, vale a dire quello dei dispositivi per la creazione di mesh network. Di che cosa si tratta? Note anche come reti a maglie, sono particolari reti senza fili peer-topeer in cui ogni nodo (in questo caso router o access point) può fungere indistintamente da ricevitore, trasmettitore e ripetitore. In questo modo il segnale può essere trasmesso su distanze maggiori per coprire grandi superfici, senza lasciare in ombra nessun angolo della


casa o dell’ufficio. Diversi produttori hanno lanciato negli ultimi mesi sistemi WiFi composti da un’unità centrale accompagnata solitamente da due satelliti che, una volta messi in comunicazione, creano una rete unica (caratterizzata quindi da uno stesso nome Ssid) a cui i dispositivi mobili possono agganciarsi, passando in totale libertà da un’unità all’altra. Senza perdere ovviamente mai il segnale. Una caratteristica peculiare di alcune nuove soluzioni è la presenza di una tripla banda, solitamente composta da una a 2,4 GHz e da due a 5 GHz, una delle quali dedicata esclusivamente al passaggio di dati fra i satelliti e la base centrale. Una tecnologia che migliora ulteriormente la comunicazione. È il caso, per esempio, dei sistemi Velop di Linksys, che offrono fino a 867 Mbps di velocità sulle reti a 5 GHz e sino a 400 Mbps su quella a 2,4 GHz. Ogni unità integra sei antenne interne e un processore a quattro core per garantire il massimo delle prestazioni. Ma sono ormai abbastanza numerosi i prodotti caratterizzati da specifiche simili, pur divergendo dal punto di vista del design. Con risultati più o meno riusciti. Dall’essenziale Google Wifi al ricercatissimo Ubiquiti Amplifi Hd, nato dalla ricerca di un ex ingegnere Apple, passando per gli ingombranti (ma performanti) Netgear Orbi. Quest’ultima soluzione è in grado di coprire un’area di 350 metri quadrati e il satellite (nel kit ne è incluso uno soltanto) è dotato di luci led che cambiano colore e aiutano a trovare il giusto collocamento del dispositivo nella stanza. Sarà quindi possibile ottenere in pochi minuti una rete WiFi ad alta prestazione, unica e anche in questo caso con il medesimo Ssid. Per le persone che, invece, non riescono a rimanere senza connettività wireless nemmeno fuori casa è possibile fare ricorso ai sempre più numerosi hotspot dotati di Sim Card, che al pari dei router “classici” permettono di condividere il segnale con altri dispositivi. Compatibili con lo standard 4G Lte e

LUNGA VITA AI CAVI La necessità di essere connessi e operativi in qualunque luogo ha portato i dispositivi dotati di connettività senza fili a spopolare, ma le reti cablate mantengono comunque la loro importanza anche, e soprattutto, per due motivi: offrono ancora oggi velocità superiori al WiFi e sono potenzialmente più sicure, in quanto il traffico che passa sui cari e vecchi fili è più difficile da intercettare. Ecco quindi che i vendor continuano a offrire strumenti utili per gli ambienti ricchi di dispositivi cablati. È il caso degli switch, ideali anche in un contesto domestico: basti pensare agli appassionati di videogiochi. Uno dei prodotti più recenti e performanti di questa categoria è il Nighthawk S8000 di Netgear, il primo switch dell’azienda a fre-

con il protocollo 802.11ac, i prodotti più recenti toccano velocità fino a diverse centinaia di megabit al secondo e sostengono senza difficoltà il traffico generato da smartphone, tablet, notebook e così via. Ne è un perfetto esempio l’Aircard 810 di Netgear, compatibile con tutti gli operatori telefonici. L’hotspot integra un modem 4G Lte-A Cat 9 e 11, che porta la velocità di connessione massima teorica a 600 Mbps. Una volta scelto l’operatore, è sufficiente inserire la microSim e si è pronti per

giarsi dell’etichetta Nighthawk, utilizzata per le soluzioni consumer di fascia alta. Il dispositivo offre otto porte Gigabit Ethernet ed è stato pensato per il gaming estremo (anche in realtà virtuale), lo streaming multimediale in 4K e la connettività generale di tutta la rete domestica. Tra le principali caratteristiche e funzionalità si trovano bassa latenza, priorità delle porte e Quality of Service per gestire al meglio anche le applicazioni più pesanti. Basato su un’interfaccia di configurazione Web ottimizzata per device mobili, l’S8000 presenta un design avveniristico e supporta il port trunking: in questo modo è possibile aggregare più porte per creare una connessione con velocità massime di 4 Gbps per tutti i dispositivi compatibili.

navigare. Per gestire i device collegati (si arriva fino a 15) e per modificare le impostazioni è sufficiente interagire con l’applicazione gratuita sviluppata da Netgear, disponibile per cellulari e tablet Android, iOs e Windows Phone. Ma a fare compagnia all’Aircard 810 ci sono anche altri modelli di hotspot, tutti dalle caratteristiche molto simili: nell’elenco si trovano il Huawei E5786, l’Alcatel Onetouch Link 4G+ e lo Zyxel Wah 7706. Alessandro Andriolo 49


VETRINA HI-TECH

TP-LINK ARCHER C5400

AVM FRITZ!BOX 7590

La soluzione di Tp-Link è probabilmente una delle più avanzate della categoria. Specifiche di alto livello come tecnologia NitroQam (che aumenta le prestazioni del 25%), supporto tri-band, otto antenne esterne, processore a doppio core e tre coprocessori. La banda a 2,4 GHz offre velocità massime di 1.000 Mbps, mentre le due a 5 GHz toccano ognuna picchi teorici di 2.167 Mbps. Numeri sufficienti per qualsiasi operazione: dal semplice streaming audio al gaming, passando per il collegamento di smartphone, Pc smart Tv e altro.

Il nuovo top di gamma dell’azienda tedesca offre un design completamente rinnovato, velocità di connessione fino a 300 Mbps e dual-band con tecnologia Mu-Mimo 4x4 per collegare tutti i dispositivi della smart home o dell’ufficio. Il router sfrutta anche i vantaggi delle reti mesh, offrendo cambio di banda automatico, band steering, uplink dinamico e un display grafico di tutte le connessioni.

ASUS RP-AC68U Un ripetitore wireless che supporta lo standard 802.11ac con porta Usb 3.0 e cinque porte Gigabit Ethernet. La velocità massima dichiarata è di 1.900 Mbps (600 + 1.300 Mbps). L’indicatore Led della forza del segnale proveniente dal router, posto sul retro, permette di posizionare il dispositivo nel punto migliore della casa o dell’ufficio. È sufficiente poi collegare un’unità di memoria Usb per trasformare l’Rp-Ac68u in un server cloud personale tramite Asus AiCloud, app gratuita per iOs e Android.

NETGEAR ORBI Composto da un router e da un satellite, Orbi rappresenta la soluzione ideale per le piccole realtà aziendali che necessitano di una connessione internet ad alta velocità, senza però dover ricorrere a una complessa infrastruttura. Orbi crea un unico network tri-band in grado di offrire copertura fino a 350 metri quadrati.

D-LINK DIR-885L/R Pensato soprattutto per gli appassionati di gaming e per le persone che ricorrono allo streaming in Hd su più dispositivi, il colorato e avveniristico router di D-Link tocca velocità di trasmissione in dual-band fino a 3.165 Mbps, con funzionalità smart connect che

50

| MAGGIO 2017

impedisce ai device più datati di influenzare negativamente le performance. Presenta un processore a doppio core a 1,4 GHz e una porta Usb 3.0. Le quattro antenne esterne ad alte prestazioni garantiscono una copertura ottimale del segnale Wifi.


Non si tratta semplicemente di un’altra Non si tratta semplicemente di un’altra stampante laser monocromatica, ma di un stampante laser monocromatica, ma di un nuovo modo modo di nuovo di pensare. pensare.

Non si tratta semplicemente di un’altra stampante laser monocromatica, ma di un nuovo modo di pensare.

Nuova gamma laser monocromatica. Possibilità inaspettate, soluzioni infinite. Nuova gamma laser monocromatica. Possibilità soluzioni infinite. dei vostri In Brother ci piace giocare d’anticipo, soprattutto se inaspettate, si tratta di soddisfare le esigenze In Brother ci piace giocare d’anticipo, soprattutto se si tratta di soddisfare le esigenze dei vostri clienti per aiutarvi a incrementare la vostra attività. Ecco perché abbiamo ascoltato tutti: gli clienti per aiutarvi a incrementare la vostra attività. Ecco perché abbiamo ascoltato tutti: gli utenti, che richiedono volumi di stampa più elevati e più velocità; i responsabili IT, che reclamano utenti, che richiedono volumi di stampa più elevati e più velocità; i responsabili IT, che reclamano maggior controllo e sicurezza; i reparti contabili, che vogliono costi inferiori. maggior controllo e sicurezza; i reparti contabili, che vogliono costi inferiori. Ed ecco perché abbiamo realizzato una gamma professionale per gruppi di lavoro in grado di Ed ecco perché abbiamo realizzato una gamma professionale per gruppi di lavoro in grado di superarequesti questirequisiti requisitieeoffrire offrire ancora ancora di di più. superare più. Nuova gamma laser monocromatica. Possibilità inaspettate, soluzioni infinite.

In Brother ci piace giocare d’anticipo, soprattutto se si tratta di soddisfare le esigenze dei vostri 20,000 PAGINE clienti per aiutarvi20,000 a incrementare la vostra attività. Ecco perché abbiamo ascoltato tutti: gli PAGINE CON UN TONER CON UN TONER 80 più elevati e più velocità; 2650 2650i responsabili utenti, che richiedono volumi di 80 stampa reclamano 520 520IT, cheSupporto Caricamento Caricamento NFCNFC FOGLI Supporto maggior controllo e sicurezza; iautomatico repartidei contabili, che vogliono costi inferiori. automatico dei FOGLI ppm 5050 ppm capacità massima fogli 50ppm/100ipm scanner documenti documenti Ed ecco perché abbiamo realizzato una gamma professionale per gruppi di lavoro in grado di superare questi requisiti e offrire ancora di più. fino a fino a

**

**

fino a fino a

fino a fino a

50ppm/100ipm scanner

capacità massima fogli

IN UN VASSOIO IN UN VASSOIO

autenticazione sicura autenticazione sicura & mobile stampa/scanner & mobile stampa/scanner

** dichiarata in conformità con ISO/IEC19752 ** dichiarata in conformità con ISO/IEC19752

brother.it/L6000 brother.it/L6000 fino a

20,000** PAGINE

CON UN TONER fino a

80

Caricamento

2650

520 FOGLI

Supporto NFC


Perfectly Combined Powers FUJITSU Server PRIMERGY e Windows Server 2016

Raggiungi il massimo potenziale con Windows Server 2016 Fujitsu PRIMERGY server con Windows Server 2016 è in grado di gestire la vostra attività con sicurezza. Progettato con sistemi ispirati a tecnologie cloud destinate ad aiutare le aziende a raggiungere il loro massimo potenziale e operare con agilità pur mantenendo sicurezza, resilienza e buone prestazioni. Info: www.fujitsu.com/windowsserver2016 Numero verde: 800 466 820 blog.it.fujitsu.com © Copyright 2017 Fujitsu Technology Solutions Fujitsu, il logo Fujitsu e i marchi Fujitsu sono marchi di fabbrica o marchi registrati di Fujitsu Limited in Giappone e in altri paesi. Altri nomi di società, prodotti e servizi possono essere marchi di fabbrica o marchi registrati dei rispettivi proprietari e il loro uso da parte di terzi per scopi propri può violare i diritti di detti proprietari. I dati tecnici sono soggetti a modifica e la consegna è soggetta a disponibilità. Si esclude qualsiasi responsabilità sulla completezza, l’attualità o la correttezza di dati e illustrazioni.

FTS_PRIMERGYFamily_200x260.indd 1

04/04/17 10:23


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.