Technopolis 29

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NUMERO 29 | GIUGNO-LUGLIO 2017

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

INNOVAZIONE DI FRONTIERA A Trieste si sperimenta un modello di collaborazione aperto che coinvolge startup, incubatori, università e aziende del territorio.

STAMPANTI

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Le soluzioni per la gestione dei documenti: sempre più aziende preferiscono ricorrere a servizi di terzi per contenere i costi.

CERVELLI DIGITALI

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Dalle banche agli smartphone, dalla sicurezza ai trasporti: ecco come entro il 2020 l'intelligenza artificiale cambierà la società.

TECH SHOWROOM

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Alla scoperta del nuovo centro Accenture di Milano dedicato alle tecnologie per i settori moda, retail e beni di consumo.



SOMMARIO STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 29 - LUGLIO 2017 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012.

4 STORIE DI COPERTINA

9 IN EVIDENZA

Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Giuseppe Anastasi, Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Carlo Fontana, Paolo Galvani, Claudia Rossi. Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Istockphoto, Adobe Stock Images, Martina Santimone

Industria 4.0 e la questione incentivi: le ombre da cancellare

Professioni digitali, è boom. Ma mancano le competenze

Direttore responsabile: Emilio Mango

Trieste nuova frontiera dell’open innovation

Sicurezza, investimenti per 100 miliardi

Cisco Visual Networking Index: uno tsunami di video

16 SCENARI

Il lavoro è flessibile, ma non un’anarchia

Prysmian Group è smart in Bicocca

L’Italia è dotata, ma troppo lenta

22 TECNOLOGIE

La rivoluzione dell’agrifood parte dal dato

Frutti ancora acerbi per l’Ict

25 FOCUS PRINTING

L’avanzata dei servizi

La nuova via della gestione documentale

Stampare “on the road”

34 INNOVAZIONE Intelligenza artificiale senza confini

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Correggio, 48 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.it

La corsa dei colossi tecnologici

38 ECCELLENZE.IT Ats Città Metropolitana di Milano - Sb Italia Prysmian - Sap 40 OBBIETTIVO SU

Stampa: Elcograf S.p.A. - Verona

Accenture nel cuore di Milano

© Copyright 2017 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati.

44 ITALIA DIGITALE Il grande salto di Piacentini

Le tecnologie per la fabbrica del futuro


STORIA DI COPERTINA | Tilt Perpiciatis

TRIESTE NUOVA FRONTIERA DELL’OPEN INNOVATION L’incubatore Tilt promuove un modello di collaborazione aperto per la trasformazione digitale. Partendo da una base di competenze scientifiche e tecnologiche che ha radici lontane e coinvolgendo le startup e le aziende del territorio.

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a necessità che l’innovazione tecnologica tocchi l’impresa è un passaggio fondamentale per il percorso di sviluppo del Friuli Venezia Giulia. Industria 4.0 è un’opportunità per vincere la sfida di creare un futuro diverso, ma non bisogna perdere tempo e occorre investire in modo adeguato le risorse”. Nelle parole di Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, si intuisce in modo chiaro lo spirito dei diversi soggetti (istituzionali e del mondo imprenditoriale) che hanno in mano i destini di

questo territorio. Territorio di cui Trieste, per ragioni storiche, è un crocevia fondamentale. E un evento organizzato a metà maggio da Tilt, il “digital hub” inaugurato nel marzo del 2016 da Teorema Engineering e Area Science Park in collaborazione con l’Università degli Studi di Trieste e con Microsoft, è stata l’occasione per approfondire da diverse prospettive le opportunità legate al digitale e proprie di un modello di innovazione aperto, che preveda una mirata integrazione fra startup tecnologiche e aziende affermate. “La collaborazione fra pubblico e privato”, ha detto in propo-


L’INTERNET DELLE COSE VA IN PORTO

Debora Serracchiani

Il protocollo di intesa fra Cisco Italia e la Regione Friuli Venezia Giulia per accelerare il processo di digitalizzazione di quest’ultima fu siglato poco più di un anno fa, il 29 aprile del 2016. A fine maggio scorso le due parti hanno annunciato i primi frutti di questo accordo alla presenza dei principali stakeholder del progetto: da una parte il direttore operativo e l’amministratore delegato della filiale italiana del colosso californiano, Rebecca Jacoby e Agostino Santoni; dall’altra il presidente della Regione, Debora Serracchiani, e il presidente di Insiel (la società Ict in house dello stesso ente), Simone Puksic. Gli avanzamenti delle iniziative previste dal protocollo hanno sostanzialmente toccato tutti gli ambiti d’azione del piano, fra cui spiccano la diffusione delle competenze digitali, lo sviluppo di nuovi servizi tecnologici in ambito sanità e Industria 4.0, nonché la trasformazione tecnologica del Porto di Trieste. Diversi i risultati già raggiunti nell’area portuale della città giuliana, oggetto di

un’importante e imponente opera di riqualificazione che conterà su finanziamenti europei (circa 50 milioni di euro in arrivo da Bruxelles) e sull’entrata in campo di aziende e investitori cinesi. Per rafforzare le infrastrutture tecnologiche del Porto, considerato un elemento centrale nel quadro economico della Regione, è stato studiato un piano strutturato su più fasi e incentrato sulla creazione di soluzioni innovative basate su tecnologie di connettività e di Internet delle cose. Finora è stata realizzata nell’area una rete Wi-Fi dedicata agli sbarchi delle grandi navi turistiche, che consente ai visitatori di potersi connettere immediatamente ai contenuti e a servizi dedicati alla città. Nell’area commerciale del porto, in parallelo, è stato avviato un progetto che sfrutta sistemi avanzati di sensoristica per tracciare le merci che si muovono, attraverso trasporto su rotaia, verso l’area doganale di Fernetti. E allo studio con Insiel c’è un ulteriore progetto che attiverà il tracciamento anche per le merci trasportate su gomma.

sito Serracchiani, “è imprescindibile per generare sviluppo, anche se il compito più difficile è proprio quello di mettere insieme tutti gli attori in gioco, università e imprese ovviamente incluse. La nostra Pa non è ancora pronta per vivere appieno la digitalizzazione”, ha concluso la presidente, “ma la strada per cambiare in questa direzione è stata intrapresa, attraverso un processo che deve essere quotidiano”. E quotidiano, in effetti, è il work in progress che sta portando avanti Maurizio Fermeglia, rettore dell’Università degli Studi di Trieste, nel provare a costruire “un sistema capace di ra5


STORIA DI COPERTINA | Tilt

zionalizzare l’output di figure con elevate competenze tecnologiche. Il 20% degli studenti universitari triestini”, ha spiegato in sede di evento, “è impegnato a imparare professioni che oggi ancora non sono diffuse, a formare abilità che rispondono al principio secondo cui la digitalizzazione è qualcosa di molto più penetrante rispetto all’Ict così come l’abbiamo conosciuto finora”. Da qui l’idea di guardare avanti e di lanciare, a partire da settembre, il primo corso in Data Science (in lingua inglese) focalizzato sulle tecniche di analisi dei Big Data. “Come Università”, ha rimarcato Fermeglia, “siamo il punto di convergenza fra la componente sociale, tecnologica e scientifica e dobbiamo sfruttare questo valore per accompagnare, in modo assolutamente trasversale, il processo di digitalizzazione”. Dalla teoria alla pratica

Il ruolo della ricerca, in questo percorso di innovazione allargato a più soggetti, è come facilmente immaginabile molto rilevante. Lo conferma la fotografia che ha scattato per Technopolis il direttore generale di Area Science Park, Stefano Casaleggi: “Trieste ha tutte le caratteristiche per essere uno degli hub più

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Michele Balbi

importanti per accogliere e far crescere le startup: l’ecosistema virtuoso si crea condividendo le eccellenze disponibili sul territorio. E condizioni indispensabili come l’accesso ai capitali, i servizi, le competenze e un ecosistema virtuoso aumentano la capacità di attrazione di nuove risorse economiche”. I presupposti per pensare in grande non mancano, ma il passo da compiere non è trascurabile. In Friuli Venezia Giulia, ha sottolineato Casaleggi, operano circa 700 imprese in ambito Ict, “ma vanno portate a un livello più alto, con una strategia che punti a valorizzare quelle aziende in grado di creare reale vantaggio per il tes-

suto industriale e di far crescere l’intero territorio”. Un’eccessiva proliferazione di incubatori, insomma, potrebbe anche essere controproducente, mentre l’ideale, nella visione del direttore del parco tecnologico triestino, sarebbe un sistema di innovazione composto da una decina di centri su scala nazionale, con alle spalle una regia capace di indirizzare al meglio le risorse e le specificità delle singole attività. Il principio che in questo scenario muove una realtà come Tilt è quello della concretezza. “Siamo nel mezzo della rivoluzione delle rivoluzioni, la più complessa”, ha spiegato Michele Balbi, presidente di Teorema Engineering e co-ideatore del digital hub. Le aziende a suo dire “non possono basarsi solo sulla propria capacità di ricerca e sviluppo, devono invece aprirsi ad advisor digitali in grado di guidarle nell’adozione dele tecnologie di domani”. Ma c’è un problema di tempi, perché l’esigenza di applicare la tecnologia disponibile richiede velocità. “Dobbiamo trovare startup che sappiano aiutare le imprese a diventare 4.0, realtà che dopo dodici mesi devono iniziare a fatturare e dopo diciotto devono essere monetizzabili. Il nostro”, ha proseguito Balbi, “è un modello di ecosistema dove la startup può crescere e proliferare per poi entrare solo quando è ormai avviata in un’azienda strutturata, portando a quest’ultima competenze e tecnologie per generare vantaggio competitivo attraverso soluzioni innovative”. Per raggiungere tale obiettivo serve cultura d’impresa e servono idee come il programma “Adotta una startup”, che Tilt ha avviato come modello di accelerazione della trasformazione digitale. Fra le aziende del territorio coinvolte nel progetto spiccano i nomi di colossi come Fincantieri e Illycaffè, marchi storici dell’agroalimentare come Principe San Daniele e realtà più piccole come Geoclima, specializzata nel campo degli impianti di climatizzazione, e come le aziende agricole Specogna e Sancin. Gianni Rusconi


TRACCIABILITÀ, EMOZIONI, ENERGIA: IDEE VINCENTI DA INCUBARE Con il programma “Adotta una startup”, Tilt ha selezionato trenta progetti innovativi. Foodchain, Emoji e Mysnowmaps le tre nuove imprese presentate alle aziende partner.

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l presupposto è esplicito: per le aziende non è possibile sviluppare “in casa” tutte le tecnologie di cui necessitano. Serve loro un aiuto, un intermediario di eccellenza che le metta in contatto con le realtà che vivono quotidianamente di innovazione. La missione di un digital hub come Tilt è per l’appunto quella di “pescare” sul territorio le startup meglio candidate per affiancarsi a imprese più grandi e ben avviate, per abilitare innovazione in modo virtuoso e, soprattutto, funzionale al business. Delle trenta realtà selezionate dal programma “Adotta una startup” su oltre 500 domande ricevute, tre sono quelle che hanno preso contatto con i partner industriali dell’incubatore ospitato all’interno dell’Area Science Park di Trieste. Foodchain è una startup comasca (è nata e risiede nel Parco Tecnologico ComoNext di Lomazzo) autrice di una piattaforma informatica basata sulla tecnologia blockchain, che può tracciare e rintracciare beni alimentari lungo tutta la filiera produttiva. L’intero sistema ruota intorno a un codice univoco applicato all’alimento e associato all’account del produttore, in cui sono inseriti tutti i dati che l’azienda cliente intende rendere noti sotto diverse forme (video, immagini, certificazioni). Tali informazioni diventano fruibili in maniera trasparente per il consumatore finale e inalterabile; durante il percorso compiuto dal prodotto lungo la filiera è possibile aggiornare o aggiungere nuovi dati, come la posizione. Da

qui, le possibili sinergie fra la startup e Illycaffè, il Gruppo Principe (che produce e vende il Prosciutto San Daniele Dop) e le aziende agricole Specogna e Sancin sono più che intuibili. Come sostiene Luca Giraldi, uno dei fondatori di Emoji, “la tecnologia di machine learning suggerisce comportamenti ideali di acquisto elaborando le reazioni facciali dell’utente raccolte dai sensori”. Questa startup ha concepito per i negozi una soluzione in grado di catturare e interpretare le emozioni del consumatore quando è in prossimità del prodotto o di un brand: il suo toolbox è costituito da un kit hardware e software il cui compito è quello di eseguire analisi e proporre soluzioni in tempo reale per migliorare l’esperienza del cliente e definire strategie di marketing più mirate. La soluzione è allo studio di Fincantieri, che potrebbe utilizzarla per i crocieristi

imbarcati sulle navi di sua costruzione. Mysnowmaps, infine, è una società di Trento fondata da ingegneri ambientali sensibili alle tematiche del risparmio energetico. La particolarità della sua soluzione di mapping risiede in un innovativo sistema di raccolta dati, che sfrutta un algoritmo per ovviare alla mancanza fisica di sensori. Si possono, così, controllare le risorse idriche di un determinato territorio, misurando l’innevamento e il livello di conservazione dell’acqua anche in assenza di rilevatori fisici. Il patrimonio di dati raccolto ha una valenza sia di tipo consumer, sia business: la condivisione delle informazioni fra gli utenti facilita, da una parte, la pianificazione di escursioni e viaggi, e dall’altra contribuisce a dare vita ad azioni orientate al monitoraggio del territorio, a beneficio della comunità scientifica. G.R.

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IN EVIDENZA

l’analisi INDUSTRIA 4.0 E LA QUESTIONE INCENTIVI: LE OMBRE DA CANCELLARE Se guardiamo a uno dei due principali manifesti della rincorsa italiana in fatto di innovazione digitale, il Piano Industria 4.0 (l’altro è il Piano Triennale della Pa, di cui parliamo in modo approfondito a pag. 44), gli elementi che inducono all’ottimismo sono parecchi. Ci sono però delle ombre che, per la presente e futura credibilità di questa manovra, sarebbe bene dissipare subito. Il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, a metà giugno ha metaforicamente piantato dei paletti in merito all’estensione dei benefici fiscali del piano, benefici che hanno indotto in questi mesi molti imprenditori ad accelerare il rinnovo di macchinari, impianti e relativi software a corredo. Non tutti gli incentivi del piano Industria 4.0, questo l’imput del titolare del Mise, vivranno nella prossima legge di Stabilità. “Dobbiamo fare una finanziaria seria”, ha detto Calenda all’assemblea di Assolombarda, “che non sarà lacrime e sangue ma che indirizzerà le risorse verso la continuazione di un percorso. Rafforzare Industria 4,0 non significa che tutti gli incentivi saranno confermati. Non funziona così, altrimenti sarebbero tagli fiscali”. Tradotto dal politichese, l’invito alle aziende ad affrettarsi per sfruttare gli sgravi previsti per gli investimenti conclusi entro il 2017 (il superammortamento al 140% e l’iperammortamento al 250%, la nuova Sabatini, il credito d’imposta del 50% sulle spese incrementali in ricerca e sviluppo) appare esplicito. Non si mette in discussione, bene specificarlo, la valenza dell’inizia-

Non tutti gli sgravi fiscali per la digitalizzazione del manifatturiero saranno confermati nella prossima legge di Stabilità. Investimenti e ordinativi a rischio? tiva per la quale il governo ha già preventivato di spendere circa la metà dei 18 miliardi di euro complessivamente stanziati per Industria 4.0 fino al 2027. Questa accelerazione dettata dalle istituzioni suona però un po’ anomala se riferita alla proiezione di medio-lungo termine del progetto. Sarà dettata dai primi buoni riscontri legati agli incentivi (ordinativi per nuovi macchinari in crescita del 13% nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2016) e dalla volontà di massimizzare subito gli effetti del piano? O è spiegabile con

ragioni di bilancio pubblico, che non permettono di destinare nuove risorse al tema industria 4.0? Le imprese, capitanate da Confindustria, spingono per ovvi motivi sulla proroga degli incentivi; il Mise sembra aver messo le mani avanti. La speranza è che entrambi i soggetti si stiano muovendo in una logica strategica e non di natura squisitamente tattica. Per scongiurare, da subito, il rischio di un improvviso e pericoloso rallentamento degli investimenti in nuovi macchinari e nuove tecnologie. Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

NUOVO ROUND PER SATISPAY

È una fra le startup antesignane del fintech italiano. Nata nel 2013 ma operativa solo da gennaio 2015, Satispay è prossima a un nuovo passo in avanti: questo mese chiuderà infatti un round di finanziamento da non meno di 14,5 milioni di euro (cifra raccolta già a inizio giugno) che servirà a “consolidare la presenza sul mercato italiano e a potenziare la strategia di internalizzazione”, come ha spiegato Alberto Dalmasso, cofondatore e amministratore delegato della società milanese. I risultati raggiunti finora sono i seguenti: oltre 130mila utenti attivi, più di 16mila negozi che supportano la piattaforma (fra grandi marchi e pic-

coli esercenti), circa tre milioni di euro di transato medio mensile e 250mila download dell’app. Per arrivarci, Satispay ha fatto leva su un modello che differisce dai borsellini elettronici dei grandi colossi tech (da Apple a Google passando per Samsung, Amazon e PayPal) e di altri operatori (banche e telco). La transazione via dispositivo mobile, infatti, non è appoggiata ad alcun circuito di carte di credito o debito, bensì all’Iban del conto corrente del singolo. La scommessa è quella di arrivare entro il 2018 a 1,2 milioni di utenti e a 100mila esercenti attivi. Come? Attaccando l’enorme bacino di clientela che ancora oggi effettua soprattutto pagamenti in contanti.

PRIMI DUE COLPI PER LENDIX Sono datati a fine maggio i primi finanziamenti erogati a piccole e medie imprese nostrane annunciate da Lendix, piattaforma francese, sbarcata quest’anno in Italia. I progetti, che potranno essere supportati sia da investitori istituzionali sia da privati, interessano Pr Distribuzioni e Tortora. La prima, azienda di medie dimensioni della Brianza attiva nel

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settore delle telecomunicazioni, ha ricevuto un prestito di 500mila euro a 24 mesi che costituisce ad oggi il più grande finanziamento erogato online in Italia con il crowd-lending. La seconda, piccola società di Salerno operante nel settore dell’energia, ha richiesto 63mila euro a 60 mesi e ha completato l’iter di accesso al credito in poche ore.

PMI: LA RICETTA PER CAMBIARE Che cosa cercano e che cosa vogliono fare le piccole e medie imprese italiane in materia di digitale? Le tre direttrici su cui sembrano muoversi, se guardiamo ai dati di uno studio realizzato da Tag Innovation School, Intesa Sanpaolo e Cisco, sono gli investimenti nelle soluzioni per i Big Data (39%), la contaminazione con le startup (39%) e il potenziamento dell’e-commerce (37%). Entro i prossimi tre anni, inoltre, le aziende coinvolte nell’indagine (550 nel complesso) andranno a caccia di nuove figure professionali che sappiano accompagnarle nel percorso di trasformazione. I ruoli più gettonati saranno quello di digital marketing specialist (60%), di analista dei dati (50%), di digital officer (32%) e di sviluppatore in campo mobile (31%). Le Pmi del nostro Paese sono abbastanza concordi sugli obiettivi da raggiungere, che dovranno essere riscontrabili quando sarà conclusa la traversata dell’oceano digitale. Per la grande maggioranza del campione, vale a dire il 78%, sarà obbligatorio ridurre i costi, ma quasi tre quarti degli intervistati (74%) sono convinti anche di poter aumentare la produttività e di migliorare le relazioni con i clienti. Queste le speranze. E la realtà? L’indagine sottolinea come le imprese italiane siano ancora indietro rispetto alla media internazionale: in particolar modo, latitano nella mancanza di un progetto di digitalizzazione ben più ampio, che abbracci tutti i processi, da quello produttivo a quello commerciale, passando per l’assistenza e il servizio clienti. Secondo lo studio sono soprattutto questi ultimi due aspetti, insieme a marketing, comunicazione e distribuzione, quelli che dovranno essere maggiormente interessati dalla trasformazione. A.A.


COOP CHATTA IN CINESE

PROFESSIONI DIGITALI, È BOOM. MA MANCANO LE COMPETENZE La domanda di addetti Ict non si arresta: 85mila i posti di lavoro che si creeranno in Italia nel triennio 2016-2018 . Nonostante il forte orientamento all’economia digitale, in Italia mancano ancora le competenze necessarie per affrontare il cambiamento. I grandi assenti non sono solo strategie concertate tra mondo imprenditoriale e formativo, ma anche (se non soprattutto) visioni d’insieme capaci di coordinare i possibili percorsi di trasformazione all’interno delle imprese e della Pubblica Amministrazione. A rilevarlo è l’ultimo Osservatorio delle Competenze Digitali, condotto dalle principali associazioni dell’Information e Communication Technology (Aica, Assinform, Assintel e Assinter Italia) e promosso da Miur e Agid. Dal rapporto emerge il dato positivo del costante incremento della domanda di addetti Ict: da tre anni si registra ormai un aumento medio del 26%, con picchi addirittura del 90% per le nuove figure legate alla trasformazione digitale, come quelle dei business analyst e degli specialisti in Big Data. Anche la richiesta di professionalità legate a cloud, cybersecurity, IoT, robotica e intelligenza artificiale stanno vivendo una crescita importante, con un salto in avanti complessivo

del 56%. Tra le professioni tecnologiche più tradizionali, invece, tengono gli analisti programmatori (in ascesa del 24% nel 2016), i system analyst (del 30%) e i digital media specialist (con un picco del 60% per gli sviluppatori Web). La domanda dunque c’è, ma la mancanza di competenze sta lasciando scoperte molte posizioni. Il rapporto stima, infatti, che tra il 2016 e il 2018 si potrebbero creare circa 85mila nuovi posti di lavoro in area Ict (28mila dei quali già riferibili al 2016). Posizioni rivolte nel 62% dei casi a laureati e nel 38% a diplomati, che oggi rappresentano il maggior bacino a cui attingere, con un eccesso di circa 8.400 risorse. Al contrario, i laureati in discipline tecnologiche soffrono un deficit di 4.400 unità rispetto alle richieste. Ci sono, però, due buone notizie di prospettiva: le immatricolazioni a facoltà attinenti all’ambito informatico crescono di anno in anno e, finalmente, nei percorsi universitari stanno entrando competenze legate a Big Data, data science e cybersecurity. Rimane ancora abbastanza trascurato, invece, il tema del cloud.

In Cina l’e-commerce su dispositivi mobili vale oltre 500 miliardi di dollari. Ecco perché Coop ha siglato un accordo con la popolare applicazione Wechat, una community da 880 milioni di utenti attivi, per promuovere i propri prodotti e per allargare la propria rete di business partner a cui affidare la commercializzazione. L’apertura e l’implementazione dell’account ufficiale, il primo tra le principali insegne della grande distribuzione organizzata italiana, sono state gestite da Digital Retex: una startup del nostro Paese, specializzata in progetti di digital retail e partner di riferimento di Wechat per l’Europa. L’applicazione sviluppata da Tencent e lanciata nel 2011 è anche un sistema integrato di servizi digitali che, oltre a configurarsi come un social media, permette agli utenti di acquistare prodotti ed effettuare pagamenti online, diventando di fatto per centinaia di milioni di cinesi un sinonimo di Internet.

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IN EVIDENZA

L’INDUSTRIA DEL FUTURO VARRÀ 500 MILIARDI Produzione più rapida e accurata, riduzione dei costi e delle inefficienze: i vantaggi del digitale in fabbrica, secondo uno studio di Capgemini. Industry 4.0 porterà benefici per tutti. L’economia globale, ad esempio, registrerà in cinque anni un surplus di ricchezza variabile fra i 500 e i 1.500 miliardi di dollari. Scendendo a livello del singolo produttore, si stima che una fabbrica intelligente sarà in grado di raddoppiare il profitto operativo e i margini di una casa automobilistica. Sono due dei numerosi spunti di riflessione offerti dallo “Smart Factories Report” di Capgemini, realizzato intervistando mille top manager di grandi aziende di diversi Paesi del mondo. Secondo la ricerca, tecnologie come l’Internet delle cose, l’intelligenza artificiale e la robotica avanzata velocizzeranno di 13 volte la consegna di prodotti finiti, mentre gli indicatori di qualità miglioreranno

a un tasso di 12 volte maggiore rispetto a quanto non accadesse nel 1990. In termini di produttività e qualità dell’output, i settori industriali che più beneficeranno della rivoluzione digitale in fabbrica saranno il manifatturiero, l’automotive, il farmaceutico e i beni di consumo. Entro il 2022, inoltre, il 21% degli stabilimenti sarà classificabile come “intelligente” e le aree geografiche più dinamiche saranno gli Stati Uniti e l’Europa occidentale. Secondo Capgemini, circa la metà dei produttori manifatturieri di Usa, Francia, Germania e Regno Unito ha avviato almeno un progetto di smart factory nella propria azienda. L’Italia è al settimo posto, con il 33% delle imprese che dichiara di avere un’iniziativa in corso e

il 42% che sta attualmente formulando un’ipotesi di lavoro. Soltanto il 18% non ha intenzione di muoversi in questa direzione in futuro. A livello globale, negli ultimi cinque anni il 56% delle realtà manifatturiere ha raccolto almeno 100 milioni di dollari da investire negli impianti smart. Industry 4.0 non rappresenterà una minaccia diretta al mercato del lavoro, in quanto gli intervistati considerano le nuove tecnologie come uno strumento per eliminare le inefficienze, riducendo i costi, ma non una mannaia da abbattere sui lavoratori. Non a caso il 54% degli executive sta formando i propri dipendenti e il 44% sta assumendo nuovi talenti per colmare le lacune di competenze interne. Alessandro Andriolo

LA STARTUP DEI MACCHINARI USATI

NUVOLA D’ORO

Si chiama TradeMachines, è nata a Berlino nel 2013 ed è sbarcata sul mercato nostrano da un paio di mesi. Il suo vanto dichiarato? Quello di essere una delle più grandi imprese al mondo nel campo dell’e-commerce B2B di macchinari industriali e agricoli usati (un settore destinato a crescere a quota 1,2 trilioni di euro entro il 2019) dai torni

Si chiama “BizBang” il nuovo programma per le startup ideato da Ibm Italia per permettere alle giovani aziende di utilizzare la piattaforma cloud Bluemix e le tecnologie cognitive per sviluppare e lanciare nuovi progetti. Le imprese possono anche ottenere crediti da spendere sulla nuvola di Ibm, per un valore massimo di 120mila euro l’anno.

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ai dosatori di mangime). Agendo come piattaforma di compravendita online per gli operatori dell’agricoltura, dell’edilizia e dell’industria agroalimentare, la società è attiva oggi in più di cento Paesi e dispone di un catalogo con oltre ottomila venditori certificati e con circa 1,9 milioni di articoli, afferenti a più di 860 categorie di prodotto.


DATA CENTER, GRANDE È MEGLIO

La più grande “sala macchine” presente nel nostro Paese si trova a Ponte San Pietro, alle porte di Bergamo. Si chiama Global Cloud Data Center ed è stata progettata e realizzata da Aruba. Si tratta a tutti gli effetti di un enorme campus tecnologico, distribuito su 200mila metri quadrati e progettato per soddisfare le esigenze informatiche di aziende italiane (grandi e piccole) e internazionali e della Pubblica Amministrazione. Un sistema di raffreddamento geotermico consente di ottenere la massima resa con un impiego di potenza energetica molto ridotto. L’inaugurazione ufficiale è prevista per il 5 ottobre.

SICUREZZA: PICCOLE E MEDIE IMPRESE IN RITARDO Il ransomware Wannacry ha riportato all’attenzione di tutti il tema della protezione dei sistemi informatici. L'Italia spende ancora troppo poco. Oltre 400mila computer infettati in 150 Paesi. Nel 98% dei casi sono stati colpiti Pc con una versione non aggiornata di Windows 7. Oltre 120mila dollari raccolti sotto forma di bitcoin. Fra le vittime anche colossi come FedEx, Telefonica e i sistemi del servizio sanitario britannico. Sono alcune cifre della diffusione di Wannacry, il ransomware che lo scorso maggio ha fatto temere il peggio per la sicurezza della rete mondiale. Definito da molti osservatori come il più grave attacco hacker della storia (valutazioni poi ridimensionate, soprattutto per l’esiguo numero di pagamenti effettuati dalle vittime per sbloccare i propri Pc), quanto realizzato dai pirati informatici con Wannacry ha comunque avuto il merito di

riportare al centro del dibattito il tema della cybersecurity. Perché la minaccia di maggio è soltanto l’ultima in ordine di tempo e si aggiunge a metodologie di attacco sempre più sofisticate, che solo nel 2016 hanno spinto aziende, enti e singoli individui a spendere 74 miliardi di dollari in soluzioni di sicurezza. E secondo Idc il mercato continuerà a crescere, fino a sfondare quota 100 miliardi nel 2020. E in Italia? La situazione non è proprio rosea. Secondo un’indagine dell’Osservatorio Information Security&Privacy del Politecnico di Milano, il mercato del nostro Paese è cresciuto nel 2016 del 5%, generando un valore di 972 milioni. Una buona notizia, ma solo parzialmente, perché i big spender sono nel 74% dei casi le grandi aziende, mentre alle Pmi restano le briciole. L’anno scorso il 93% delle piccole e medie imprese ha sì dedicato un budget alle soluzioni di sicurezza, ma senza saper utilizzare queste ultime in modo maturo e consapevole. Pesa soprattutto l’adeguamento normativo, con solo il 9% delle realtà fra 10 e 49 addetti

che ha avviato programmi di formazione specifici. Ma, secondo l’ultimo rapporto Clusit, gli hacker non sembrano guardare in faccia a nessuno, né alle grandi né alle piccole aziende. In sintesi, nessuno può stare tranquillo. L’Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica ha infatti sottolineato come il settore sanitario abbia subito il 102% di attacchi in più rispetto al 2015, una crescita che ha interessato anche banche (+64%) e infrastrutture critiche (+15%). Realtà che possono risultare particolarmente vulnerabili, e quindi appetibili per i pirati informatici, a causa dell’enorme mole di dati gestiti e per la possibilità di creare gravi disservizi. A.A.

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IN EVIDENZA

CANTIERE NAVALE 3D

È stampato in 3D, è completamente made in Italy e galleggia. La startup siciliana Livrea ha realizzato per la prima volta lo scafo di uno yacht da competizione ricorrendo esclusivamente all’additive manufacturing. Daniele Cevola e Francesco Belvisi, costruttori di barche e fondatori di Livrea, hanno lavorato con il team di ricerca avanzata di Autodesk attraverso tutte le fasi del progetto, dal disegno a mano alla modellazione in 3D in cloud. Hanno poi sfruttato la fabbricazione additiva per stampare lo scafo dello yatch con compositi polimerici avanzati e multi-materiale. Il nuovo processo ha ridotto i tempi di produzione da mesi a ore e parallelamente ha permesso di tagliare i costi dei materiali e gli sprechi. Ma non sono questi gli unici vantaggi: i componenti ottenuti con la stampa 3D sono risultati più leggeri e hanno permesso all’azienda di creare strutture e curvature complesse, che migliorano le prestazioni dello scafo e che non sarebbero state possibili con il legno o con metodi di fabbricazione tradizionali.

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UNO TSUNAMI DI VIDEO A detta di Cisco, nel 2021 l'82% del traffico Web deriverà dallo streaming. Internet nel 2021? Sarà praticamente sinonimo di streaming video, richieste di contenuti on demand e traffico generato dalle interazioni sui social network, con Facebook, Twitter e YouTube in prima linea. Sì, perché secondo l’ultimo rapporto “Visual Networking Index” di Cisco da qui a quattro anni l’82% del traffico di rete sarà dominato dalla circolazione di video, complice anche il progressivo spostamento sul Web dei canali televisivi “tradizionali”. L’indagine dell’azienda statunitense sottolinea come nel 2021 verranno prodotti 3,3 zettabyte di dati (per riportare l’unità di misura a dimensioni a noi più consone, corrisponde a 3,3 miliardi di terabyte) contro gli 1,2 zettabyte dell’anno scorso. Non aumenterà soltanto la produzione del singolo, dai 24 gigabyte quotidiani di oggi ai futuri 61 GB, ma anche il numero di individui collegati alla Rete: si passerà quindi dal 44% stimato nel 2016 al 58% del 2021, con una media di 3,5 dispositivi connessi pro capite.

I MILLENNIALS DI SHAREWOOD Agli ultimi Accenture ConsumerTech Awards, annunciati a inizio maggio a Londra, è stata l’unica startup italiana presente fra le 12 finaliste selezionate da 220 candidature inviate da tutto il mondo. Risultando vincente e meritandosi, dunque, per la durata di tre mesi uno spazio espositivo nell’Innovation

A contribuire all’ingorgo del Web non saranno, però, solo gli esseri umani, in quanto gli oggetti assumeranno un ruolo sempre più dominante. Secondo Cisco, su 27 miliardi di terminali in grado di scambiare dati sulla Rete, ben 13,7 miliardi saranno classificabili come dispositivi Internet delle cose. A trainare la crescita sarà la Sanità: terminali di telemedicina, robot da compagnia, ma anche semplici oggetti indossabili per il monitoraggio della salute. E l’Italia non farà eccezione. All’interno dello scenario mondiale, il nostro Paese contribuirà con un traffico medio mensile di 2,2 exabyte solo per la trasmissione di contenuti video, che rappresenteranno il 79% degli scambi di informazioni complessivi. La popolazione della Penisola collegata al Web salirà al 73% del totale, con una velocità di accesso in crescita da 10,8 a 24,3 megabit per secondo. Connessioni sempre più performanti e affidabili permetteranno agli italiani di fruire praticamente in qualunque luogo di contenuti in altissima qualità, triplicando così di fatto il traffico mensile pro capite, che passerà dagli attuali 17,3 gigabyte ai futuri 49,7 gigabyte.

Hub londinese del colosso americano. La milanese Sharewood si è aggiudicata il premio per la categoria “Millennial consumer” grazie al proprio social network per la condivisione di attrezzature sportive, conquistando il favore della giuria di esperti. La società meneghina ha creato uno dei maggiori marketplace online in Europa dedicati alla vendita e al noleggio di attrezzature outdoor per il ciclismo, per gli sport invernali e acquatici.


spunti

SENZA MOBILE NON SI CAMBIA

APPLICAZIONI: SUPERARE IL 25%

LIBERARE I DATI PER IL CLIENTE

L’82% delle aziende (dati Forrester) ritiene che il mobile rappresenti il vero volto della trasformazione digitale. Le imprese vi ricorrono per migliorare l’accesso alle informazioni e l’efficienza dei processi, aumentare la produttività e ridurre i costi. Eppure, l’esperienza mobile non si dimostra all’altezza delle aspettative dell’utente. Molte applicazioni vengono abbandonate e, come indica una ricerca di Enterprise Mobility Exchange, questo avviene per tre motivi: sono troppo difficili o confuse da utilizzare, mancano delle funzionalità necessarie e i dati di backend non sono stati correttamente progettati per un utilizzo mobile. Occorre quindi prendere in considerazione alcuni elementi chiave, quali una forte focalizzazione sulla user experience, sull’impatto per i risultati di business e su un’architettura comune che includa tutti i processi. Non vanno tralasciati altri aspetti, come l’accesso ai dati in tempo reale oppure la qualità delle informazioni. Ma il mobile non si limita solo all’esperienza utente: le applicazioni rappresentano un ottimo modo per colmare il divario tra mondo fisico e digitale. Le app offrono un punto di partenza per il “viaggio digitale”, ma spesso questi percorsi di trasformazione sono lunghi. Con un paio di progetti di successo è però possibile dare l’input giusto e raggiungere immediatamente grandi risultati. Stefano Ceccarelli, Sap Italia

Definire un’applicazione “missioncritical” è una categorizzazione banale e datata. Suggerisce infatti che gli applicativi si dividano in due gruppi: critici e optional? Non necessari? È un modo di pensare inadeguato: i team It oggi non adottano applicazioni che non offrano valore, così l’idea che solo poche piattaforme, definite “missioncritical”, meritino di essere gestite è illogica. Anche l’email, che rappresenta l’anello inferiore della “catena alimentare”, è essenziale per il funzionamento dell’organizzazione. Per questo motivo sorprende constatare che la maggior parte delle aziende gestisca meno del 25% delle applicazioni. Quando le attività sono importanti per il buon funzionamento del business, le imprese investono per garantire continuità operativa ed efficienza. Nel mondo delle applicazioni si segue un ragionamento diverso: l’application management è visto come una spesa indesiderata, anche dannosa. Molte organizzazioni investono nella tecnologia di gestione per minimizzare i rischi e l’impatto solo per le applicazioni più importanti. Ma quando succede qualcosa di veramente grave? È necessario andare oltre la soglia del 25%, anche se è fondamentale affrontare due ostacoli: quantificare il rischio d’impresa come input di un costo da giustificare e definire le priorità rispetto alle applicazioni su cui investire. Susan Cole, Dynatrace

La distribuzione dei servizi omnicanale si è rivelata la soluzione maggiormente adottata dalle imprese per soddisfare le esigenze dei clienti. Ne è risultato un miscuglio di iniziative, molte delle quali rivelatesi dei veri insuccessi. Uno degli errori più comunemente commessi è sottovalutare le trasformazioni strutturali e culturali necessarie per una strategia realmente focalizzata sui clienti. A una sempre più dirompente “digital disruption” deve corrispondere una “structural disruption”. Per offrire esperienze all’avanguardia si devono allora individuare modalità nuove, che sfruttino al meglio i numerosi dati raccolti, interni ed esterni. Oggi non è più possibile restare chiusi nel proprio guscio: è necessario superare i limiti dell’omnicanale e adottare approcci innovativi che varchino i confini aziendali, lasciando così che il proprio ecosistema di dipendenti, fornitori e partner possa esprimere il suo potenziale in tutta libertà. Stabilendo questo nuovo tipo di relazione fra tutti i soggetti interessati in ecosistemi eterogenei, sarà possibile archiviare informazioni fruibili e sfruttare insight dettagliati per comprendere e anticipare meglio il percorso del cliente. Una strategia nuova, che offre l’accesso al cuore di una community dinamica basata sui partner e che consentirà di adattarsi continuamente ai cambiamenti del mercato. Giulio Ballarini, Axway Italia

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SCENARI | Smart working

IL LAVORO È FLESSIBILE, MA NON UN’ANARCHIA

È passato all'esame del Senato il Ddl che regolamenta libertà, diritti e doveri del lavoratore “agile”. Stabilendo equità di compenso, diritto alla dotazione tecnologica e limiti di orario.

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quilibrio fra diritti e doveri, flessibilità, orientamento all’obiettivo e, soprattutto, fiducia reciproca fra datore e dipendente, per “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. La declinazione tricolore del concetto di smart working dovrà ispirarsi a questi principi, secondo quanto previsto dal disegno di legge appro16

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vato a maggioranza dal Senato lo scorso maggio, a più di un anno di distanza dal varo del Ddl in sede di Consiglio dei ministri. Pur con tempistiche tipicamente italiane, ci stiamo allineando a una trasformazione che è in atto in tutto il mondo e che poggia, sì, su strumenti tecnologici e su servizi che rendono più semplice lavorare da remoto – pensiamo al cloud computing e alle applicazioni mobili – ma anche su un cambiamento culturale. Di certo la discussione sul lavoro “flessibile” o “agile” non è nuova, ma per la prima volta alle nostre latitudini ha trovato una più chiara definizione dei propri confini. Si tratta di una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti”, e che dunque esce dal tradizionale territorio dei freelance per coinvolgere anche il personale assunto. L’accordo contrattuale può prevedere

“forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”. In queste parole sono racchiusi diversi passaggi importanti: con lo smart working l’attenzione si sposta dal timbro del cartellino ai risultati, si ragiona pensando al risultato più che alle ore dedicate all’azienda, e si fa leva sulla tecnologia. . È quasi banale sottolineare come quest’ultima sia determinante ai fini della produttività da remoto: il sempreverde strumento della posta elettronica oggi si relaziona con le app degli smartphone, con le piattaforme social aziendali (come Workplace by Facebook e Microsoft Teams, per citare due prodotti di recente debutto), con servizi cloud di archiviazione e file sharing. Abbiamo nominato gli strumenti più comuni e di facile ac-


cesso, per lo più gratuiti, ma per le grandi aziende all’elenco si aggiungono i sistemi di telepresenza (allestimenti di terminali, connettività veloce e maxi-schermi, con cui realizzare riunioni virtuali in HD) e soluzioni di lusso come il display gigante Surface Hub di Microsoft o la lavagna interattiva Jamboard di Google. Nel Ddl si sottolinea come il datore di lavoro sia responsabile del buon funzionamento della dotazione tecnologica assegnata al dipendente (sebbene sia esperienza comune l’utilizzo di strumenti di proprietà individuale, Pc o smartphone che siano). E si specifica che gli incentivi fiscali e contributivi eventualmente riconosciuti dall’azienda valgono anche nei confronti del professionista “agile”. Lo stipendio e il trattamento normativo sono quelli previsti dal contratto collettivo, senza penalizzazioni rispetto a chi svolga analoghe mansioni in modalità tradizionale. E mentre non esistono vincoli di orario, nemmeno si può pretendere che il lavoratore sia a disposizione sempre: valgono, infatti, i “limiti di durata massima dell’orario giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”. Secondo l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2016 si potevano contare nel nostro Paese oltre 250mila smart worker nell’ambito dei contratti di lavoro subordinato. Il numero corrisponde a circa il 7% degli impiegati, quadri e dirigenti attivi nello Stivale. Nonostante la notevole crescita (+40% nell’arco di tre anni) il fenomeno è tutt’altro che assestato o uniforme: il “lavoratore agile” risiede al Nord nel 52% dei casi, nel 38% vive in Centro Italia e solo nel 10% nel Sud; è soprattutto uomo (nel 69% dei casi); per lo più è dipendente di una grande impresa e più raramente di una Pmi. Le realtà enterprise fanno certamente da apripista, dato che il 41% nel 2016 aveva già realizzato progetti di smart working più o meno strutturati. Valentina Bernocco

UN ITALIANO SU DUE SOFFRE DI “CLAUSTROFOBIA DA UFFICIO” Valanghe di telefonate, email, richieste dei superiori, lamentele dei colleghi. La giornata lavorativa tipo per il 47% dei dipendenti d’azienda italiani è spesso tutt’altro che favorevole alla produttività. Quasi metà dei 300 intervistati di un sondaggio di Regus (multinazionale specializzana in affitto di spazi individuali e di co-working) soffre di quella che potremmo definire come “claustrofobia da ufficio”, un male per cui esiste peraltro una facile cura: lavorare, anche solo di tanto in tanto, da un luogo diverso dall’ufficio. Per la maggior parte degli inter-

pellati, operare da remoto agevola la concentrazione (la pensa così il 55% del campione) e permette di dedicare più attenzioni a clienti o potenziali clienti (53%). Appurato che lo smart working piace ai dipendenti, che cosa ne pensano però i manager e i datori di lavoro? Una buona percentuale, il 43%, non ha preclusioni ideologiche e anzi intende concedere in un futuro vicino la possibilità di lavorare da remoto per uno o due giorni compresi fra lunedì e venerdì. Solo il 9%, tuttavia, accetterebbe di estendere l’opzione all’intera settimana.

PIÙ PRODUTTIVI E PIÙ LIBERI Lavorare lontani dalla scrivania non genera solo benefici personali – di libertà, flessibilità, facilità di gestione della giornata professionale e privata – ma anche vantaggi per l’azienda. Ne è convinta la quasi totalità, il 92%, degli intervistati di un sondaggio condotto da Morar Consulting su incarico di Polycom, società specializza in soluzioni di videoconferenza e telepresenza. L’indagine (“Changing Needs of the Workplace”, eseguita su oltre 25mila dipendenti di aziende di dodici Paesi, Italia esclusa) ha evidenziato differenze geografiche ma anche due tendenze di fondo. Una è proprio la convinzione che smart working faccia rima con produttività, purché il professionista disponga di soluzioni tecnologiche adeguate. Queste ultime devono includere non la sola strumentazione

hardware (Pc o smartphone) e l’accesso a Internet, ma anche strumenti utili per collaborare a distanza con colleghi o clienti. E questo ci porta alla seconda tendenza: l’importanza della comunicazione a mezzo video, ritenuta benefica ai fini del team working dal 92% degli intervistati. Il video, insomma, funziona bene come surrogato delle relazioni faccia a faccia e favorisce non solo la produttività, ma anche i buoni rapporti fra colleghi. Operare da remoto, quindi, non deve significare isolamento. “C’è una falsa credenza per cui i lavoratori da remoto sarebbero scollegati dal resto del team. Questo studio dimostra invece che essi sono più socievoli e proattivi nello sviluppare relazioni forti”, ha sottolineato Jeanne Meister, partner della società di ricerca e consulenza Future Workplace.

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SCENARI | Smart working

PRYSMIAN È SMART IN BICOCCA

L’headquarter del Gruppo è progettato in modo da favorire il lavoro intelligente: tutto open space e a basso consumo energetico.

Stefano Brandinali

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rima spin-off della galassia Pirelli, a opera di Goldman Sachs, ora quotata alla Borsa di Milano ma con un interessante e riuscito programma di acquisto delle azioni di parte dei dipendenti, Prysmian Group è leader mondiale nel settore della fibra ottica per telecomunicazioni. Con Stefano Brandinali, global Cio di Prysmian Group, alla guida di un rinnovamento tecnologico globale, la multinazionale ha scelto di ristrutturare un insediamento industriale di 14 mila metri quadrati nel quartiere Bicocca di Milano, realizzando impianti e infrastrutture allo stato dell’arte per i 700 dipendenti che gravitano intorno all’headquarter (dei circa 21mila a livello mondiale). “Abbiamo deciso di mettere il dipendente al centro del

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nostro business”, racconta Brandinali, “ed è per questo che, nell’ambito del programma Prysmart, abbiamo realizzato spazi attrezzati per il benessere a 360 gradi dei nostri impiegati senza trascurare aspetti meno legati alla sede fisica, come il percorso casa-lavoro e la sostenibilità ambientale”. La sede, al cui interno sono presenti due serre e dieci postazioni per la ricarica di macchine elettriche, accoglie dipendenti e collaboratori in uffici open-space, ma ci sono anche 94 sale riunioni corredate dalle tecnologie più innovative per la videoconferenza e in generale per esse-

re connessi sempre su banda larga con colleghi, partner e clienti. “In un anno abbiamo ridotto del 50% il consumo di carta ed eliminato i desktop dalle scrivanie, incentivando il lavoro da remoto e assegnando la massima priorità alla soddisfazione dei dipendenti”, dice Brandinali. “Per raggiungere questi risultati abbiamo scelto le tecnologie migliori, come Microsoft Yammer per la collaboration e tutte le applicazioni, sia office sia aziendali, in ottica cloud first o in mobilità, in modo da garantire la massima flessibilità”. E.M.


TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUWER TAX AND ACCOUNTING ITALIA

SEMPLICITÀ DIGITALE PER LE FORNITURE TELEMATICHE Per i professionisti da maggio a settembre i ritmi sono pressanti. Scadenze, verifiche, richieste, dubbi, meeting, mail, Sms, addirittura WhatsApp, telefonate, elenchi di cose da fare. L’ingrata stagione fa crescere l’ansia, che di conseguenza fa crescere lo stress. Sì, i professionisti soffrono di stress da carico di lavoro. È, di fatto, un circolo vizioso: più ci si sente sotto pressione e più la situazione peggiore. Questo spesso porta ad avere una visione meno lucida, anche nel coordinare i collaboratori, e ciò non fa che aumentare l’ansia, la preoccupazione e naturalmente i livelli di stress. È qui che entra in gioco Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia con una soluzione software completamente risolutiva, TuttoTel. Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia, sottolinea il modo in cui nascono le innovazioni dell’azienda: “Ancora una volta Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia offre le proprie capacità di ricerca & sviluppo partendo dall’analisi di una necessità dei professionisti e dall’anticipazione del futuro della propria clientela”. Sviluppare applicativi che comprimono le attività indispensabili ma a basso valore significa contribuire alla valorizzazione dei professionisti, significa sostenerli organizzativamente proponendo loro le automazioni digitali necessarie per l’ottimizzazione delle attività, soprattutto in periodi così lavorativamente densi. La semplicità è alla base dello sviluppo di questa proposta, mirata a ottimizzare le attività del professionista che debba fornire gli adempimenti elaborati all’Agenzia delle Entrate. La soluzione software TuttoTel di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia è stata sviluppata per la gestione automatica delle forniture telematiche di dichiarazioni e deleghe. L’applicativo consente ad esempio di collegare in automatico la ricevuta al modello, semplificando e accelerando il lavoro per la consegna al cliente, oppure di visualizzare e stampare le dichiarazioni contenute nelle forniture telematiche su modelli conformi a quelli ministeriali e, ancora, di visualizzare e stampare le ricevute delle dichiarazioni rilasciate dall’Agenzia delle Entrate. TuttoTel permette di essere già predisposti per la conservazione sostitutiva e comprende i software di base (Entratel, Java VM) e i programmi di controllo dei vari modelli che possono essere aggiornati, all’occorrenza, via Web. Il software è integrato con le soluzioni Wolters Kluwer e con

In tempi di “dichiarazioni”, Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia affianca i professionisti con una soluzione che consente la gestione automatica delle forniture telematiche. E che si distingue per semplicità, efficacia ed efficienza. qualsiasi procedura fiscale in grado di generare file con le caratteristiche standard necessarie alla presentazione delle dichiarazioni in via telematica. L’intero processo della fornitura telematica viene gestito in maniera completa e automatica, con la possibilità di seguire un percorso guidato per il controllo, l’invio e l’archiviazione contemporanea di una o più forniture telematiche e lo scaricamento e archiviazione delle relative ricevute. Ogni fornitura, dichiarazioni e ricevute, anche di più anni, è gestita in modo trasparente e in un unico contenitore posizionato sul server, dunque non più su uno o su diversi Pc. Ciò consente di non dover più ricercare i file da spedire e le ricevute da stampare, perché queste sono già pronte per la conservazione ottica sostitutiva. TuttoTel tiene traccia di tutti i file acquisiti, li trasmette usando la chiave dell’intermediario, acquisisce le ricevute e gli stati della trasmissione e li archivia con una logica semplice e intuitiva (classificandoli in base all’anno, al tipo di dichiarazione, al rapporto soggetto/fornitura). 19


SCENARI | Data journalism

INNOVAZIONE, ITALIA DOTATA MA TROPPO LENTA Ritardatari e pionieri del digitale 10 8 6 4 2 MEDIA

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Fonte: Ambrosetti Innosystem Index 2017 The European House-Ambrosetti

La Penisola è ancora in ritardo rispetto a molti Paesi. Diversi i buchi da colmare: investimenti insufficienti, competenze tecnico-scientifiche che mancano.

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a forza innovativa dell’Italia non eguaglia quella di altre nazioni o “ecosistemi”, come li definisce il rapporto (“L’ecosistema per l’innovazione: quali strade per la crescita delle imprese e del Paese”) presentato in occasione dell’ultimo Technology Forum organizzato da The European House Ambrosetti. Che l’innovazione italiana non raggiunga livelli sufficienti è opinione dei tre quarti della business community internazionale che fa capo ad Ambrosetti. Eppure la Penisola avrebbe degli asset importanti da spendere in tema di innovazione, come il fatto di essere il primo

Paese al mondo per produttività della ricerca (in termini di numero di pubblicazioni per ricercatore) o quello di essere al quarto posto in Europa per valore della produzione in settori ad alta tecnologia e al secondo per misure fiscali favorevoli all’innovazione, con venti posizioni guadagnate rispetto al 2016. Crescita e competitività delle imprese non sono però attributi così facili da mettere a sistema e per questo, secondo gli autori del rapporto, bisognerebbe affrontare e possibilmente risolvere con urgenza problemi quali la criticità del trasferimento tecnologico, il gap di competenze specializzato, il divario digitale nelle aziende e la li-


mitata propensione all’open innovation (oggi solo il 4,8% delle piccole e medie imprese italiane svolge attività in questa direzione, contro una media europea del 10,3%). Per invertire la tendenza, queste le raccomandazioni formulate da Ambrosetti, servirebbe puntare su una visione e su una strategia integrata del “progetto di innovazione” del Paese, attraverso un modello operativo che superi la frammentarietà degli attori e degli strumenti e con un unico “pivot” governativo responsabile dell’attuazione di questa strategia e dei suoi risultati. Le attuali mancanze si riflettono invece nel divario fra Nord e Sud e nelle posizioni di retroguardia a livello europeo occupate dalle Regioni del Mezzogiorno. La Lombardia si conferma l’eccellenza italiana ma è solo 17esima (l’unica della top 20) nel ranking europeo dell’Ambrosetti Regional Innosystem Index. La Calabria si piazza, invece, all’89esimo posto. Che cosa servirebbe all’Italia per recuperare il terreno perduto? Diverse cose. A cominciare dagli investimenti, sia pubblici sia privati, in innovazione. Lo Stivale, triste a sapersi, spende in ricerca quanto la sola regione tedesca del BadenWürttemberg. C’è inoltre, come peraltro ben noto, un problema di competenze, testimoniato dal fatto che i laureati italiani in materie tecnico-scientifiche siano solo il 7,6% del totale (rispetto al 14,4% della Germania e al 16,9% del Regno Unito) e che gli specialisti informatici rappresentino solo il 2,7% dell’occupazione, contro il 3,7% della media Ue a 28. A mancare sul mercato sono le professionalità richieste dalle imprese impegnate nella trasformazione digitale, nel solco di un gap che riguarda più in generale un’Europa in cui nel periodo 2015-2020 raddoppieranno le posizioni Ict vacanti. La Penisola è tra i Paesi messi peggio: al momento, secondo Assinform, sono circa 33mila i posti vacanti in ambito tecnologico e nel 2020 saliranno a 135mila. Gianni Rusconi

LAVORO IN PROPRIO, UN SOGNO CHE RESTA NEL CASSETTO La maggioranza dei dipendenti italiani di età compresa fra 18 e i 67 anni custodisce nel cassetto il desiderio di lavorare in proprio, ma il 64% ritiene troppo elevato il rischio di fallimento. E soltanto circa un terzo, il 34% per la precisione, pensa che lo Stato sostenga attivamente le nuove startup e che il nostro Paese sia un luogo adatto per avviare una nuova iniziativa imprenditoriale. Le indicazioni giunte da “Entrepreneurship Outlook 2017”, indagine trimestrale di Randstad Workmonitor, parlano chiaro. A detta del secondo operatore mondiale nel campo dei servizi per le risorse umane, in Italia persiste un clima di

generale sfiducia attorno alle opportunità del lavoro autonomo, del diventare imprenditori di sé stessi. Siamo al terzo posto in Europa tra i Paesi più timorosi, dopo Grecia e Spagna, e da noi solo il 31% del totale degli occupati sta seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi di lasciare il posto attuale per tentare nuove strade. Dal report di Randstad, oltretutto, si scopre che l’indice di mobilità dei lavoratori italiani è peggiorato di due punti (da 103 a 101, rispetto ai 110 della media globale) e che nell’arco di un semestre solo il 2% ha cambiato sia l’impresa sia la posizione ricoperta.

Fare impresa: lavoratori della penisola scettici ITALIA

SUD EUROPA

32% 34%

33% 37%

NORD EUROPA

MEDIA GLOBALE

55% 67%

49% 55%

IL GOVERNO DEL PAESE IN CUI VIVO SOSTIENE ATTIVAMENTE LE NUOVE STARTUP RITENGO CHE IL PAESE IN CUI VIVO SIA UN BUON LUOGO PER AVVIARE UNA STARTUP

Fonte: Entrepreneurship Outlook 2017 Randstad Workmonitor 21


SCENARI | | Smart agriculture TECNOLOGIE

Le tecnologie digitali stanno cambiando i processi di produzione e di filiera, ricalcando il modello di Industria 4.0. Ma solo il 4% delle imprese agricole oggi è già informatizzato..

LA RIVOLUZIONE DEI CAMPI PARTE DAL DATO

“A

mio avviso l’agricoltura 4.0 ha opportunità applicative anche superiori a Industria 4.0: entrambi i modelli abbracciano soluzioni digitali e di processo da mettere a fattor comune per integrare e interconnettere risorse, impianti, sistemi e macchinari vari. Se proiettiamo questo schema sull’agricoltura, gli impatti dettati dalle nuove tecnologie possono incidere molto di più nel lungo termine e più strategicamente”. L’analisi di Andrea Bacchetti, direttore della ricerca dell’Osservatorio Smart Agrifood realizzata a 22

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quattro mani dal Politecnico di Milano e dal Laboratorio Rise dell’Università degli Studi di Brescia, è una chiave di lettura significativa per comprendere la rivoluzione che sta interessando il settore agricolo e tutta la filiera del food. Si parla di smart agricolture e di precision farming perché per monitorare allevamenti e colture entrano in gioco Big Data e sensori, strumenti di analytics e droni, Internet of Things e machine learning. Si parte dai dati raccolti nei campi, nelle serre e lungo la filiera per attivare un processo di sviluppo e di connessione che contempla vari elementi: il prodotto

e la produzione, il territorio e l’ambiente, le reti di logistica e quelle commerciali, le risorse umane dell’impresa e i servizi di delivery. L’agricoltura 4.0, insomma, non è finalizzata alla sola riduzione dei costi e all’aumento di efficienza, pur restando questi obiettivi sempre e comunque importanti. Le tecnologie digitali, dicono gli autori dello studio, hanno la capacità di alzare il livello di innovazione di tutta la filiera e di abilitare lo sviluppo di nuovi modelli di business. Così come sta succedendo (o dovrebbe succedere) nel mondo manifatturiero votato alle logiche 4.0.


DRONI IGIENISTI Fra gli 8.088 brevetti depositati da 8.500 inventori a nome di Ibm, lo scorso anno c’era anche lui: il drone “controllore”. Un robot volante che potrebbe diventare il principale responsabile dell’igiene e della sicurezza di ospedali, fabbriche e campi agricoli. Nel documento presentato all’ufficio brevetti si descrive un “sistema di analisi microbica basato su drone”, e composto dall’hardware dell’oggetto volante e da una stazionebase. Muovendosi in autonomia su una certa area (ospedale, zona infetta, campo agricolo, ecc.), può raccogliere campioni di materiale e confrontarli con i dati contenuti in una memoria integrata nella stazione-base, per esempio per verificare la presenza di contaminazioni batteriche.

L’agricoltura di precisione di oggi non è quella pionieristica degli anni Novanta, è molto più evoluta perché ha preso consistenza lo sviluppo del cosiddetto “Internet of Farming” per l’integrazione dell’intera filiera, grazie alla possibilità di raccogliere e scambiare i dati. Trattori self-driving dotati di sistemi Gps che rendeno più efficiente il processo di semina e raccolto; sensori installati a bordo delle attrezzature per gestire con le tecnologie IoT la manutenzione predittiva; algoritmi di intelligenza artificiale per l’analisi dei dati meteorologici; droni per mantenere lo stato di salute delle coltivazioni; dispositivi indossabili per gestire i dati legati alla salute degli animali nella zootecnia; soluzioni di tracciabilità basate sul blockchain: sono i pilastri dell’attuale paradigma 4.0, che ci proietteranno nell’era dell’agricoltura 5.0. “L’applicazione collettiva di tecnologie convergenti”, spiega Bacchetti, “facilita un’interpretazione armonica dei dati

provenienti da fonti diverse, a supporto delle poche ma grandi decisioni che un imprenditore di questo settore deve prendere nel corso dell’anno”. Come il mondo dell’industria, anche quello dell’agricoltura deve pensare in una logica di filiera “data centric”, basata cioè su una raccolta di informazioni che dev’essere “integrata, intelligente, funzionale e condivisa a livello di ecosistema”. Pochissime aziende informatizzate

Ma dove si concentra l’innovazione digitale nelle imprese agricole italiane? I dati dell’Osservatorio evidenziano una prevalenza delle tecnologie orientate alla gestione e all’analisi del dato mentre è ancora scarsa la diffusione di veicoli e attrezzature smart ed è molto marginale l’utilizzo del cloud. L’attenzione, oggi, è di gran lunga concentrata sulle fasi produttive nel campo (coltivazione, raccolta e semina) mentre pianificazione, logistica e gestione del magazzino (e quindi le applicazioni che attengono all’ambito dell’Internet of Farming) sono prese in

considerazione solo in modo sporadico e limitato. In generale, in un settore che conta di oltre un milione e 600mila imprese agricole (prevalentemente di piccole dimensioni) la percentuale di quelle informatizzate si ferma al 4%. “La domanda”, conclude Bacchetti, “non è ancora consapevole, difficile anche da quantificare perché parliamo di un universo gigantesco e ancora acerbo. Difficile che un’azienda individuale (sono il 96% del totale, ndr) possa sposare appieno il paradigma dell’agricoltura 4.0, ma è indubbio che via sia un grande spazio di crescita, soprattutto se si individua la modalità giusta per accompagnare l’introduzione delle nuove tecnologie”. L’auspicio, nello specifico, è che questo comparto apra all’ingresso di attori “nativi” del mondo digitale e sostenga la dinamica delle startup e dell’open innovation, sfruttando la necessaria evoluzione verso nuovi livelli di automazione dei produttori tradizionali di macchine e attrezzature. Gianni Rusconi

PRECISION FARMING E SERRE LED IN FIERA Nel mondo, le nuove imprese tecnologiche italiane impegnate nel settore agricolo sono circa il 10% del totale (poco meno di 200 quelle censite dall’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano e dell’Università degli studi di Brescia) e muovono poco più di 14 milioni di euro di investimenti sui 636 milioni di dollari raccolti globalmente nel 2016. Il movimento è agli albori, ma presenta grandi potenzialità per le startup. Fra le sette selezionate da Intesa Sanpaolo nell’ambito della sua ultima Startup Initiative spicca la fiorentina Agricolous, autrice di applicazioni software in cloud per l’agricoltura di precisione e di sistemi di allerta accessibili via Web e app mobile.

Durante Seeds&Chips – The Global Food Innovation Summit, tenutosi a Milano a inizio maggio, si è distinta Robonica: nella sua “serra domestica intelligente”, denominata “Linfa, piante di vario tipo crescono grazie all’illuminazione Led. Dalle erbe aromatiche, al peperoncino, all’insalata, in pochi giorni e anche senza luce solare.

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SCENARI | Smart agriculture

FRUTTI ANCORA ACERBI PER L'ICT Uno studio realizzato dal Digital Transformation Institute e da Cisco Italia racconta che, su oltre trecento imprese vitivinicole italiane, il 77% spende poco o nulla in innovazione tecnologica. Produzione e logistica spesso restano fuori dai progetti.

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uanta tecnologia si “coltiva” nell’agricoltura, quanta finisce nel piatto dove si consumano gli alimenti del made in Italy o nel bicchiere in cui si beve il nostro vino? Ci aiuta a capirlo un nuovo studio realizzato dal Digital Transformation Institute con la collaborazione di Cisco Italia. Si è partiti con la realizzazione di un modello di analisi, messo a punto con interviste approfondite e con il contributo di una trentina di esperti di associazioni di settore, università e ricerca, aziende. Dal modello si è passati alla definizione di un questionario, già inoltrato a un campione di 307 imprese vitivinicole (in futuro, l’indagine sarà estesa alle filiere della carne, del pesce, del latte, dell’ortofrutta e dell’olio). Il risultato non è troppo confortante: la percezione del bisogno di innovazione è scarsa, la spesa in tecnologia è spesso occasionale. Le nostre aziende esportano annualmente un miliardo di bottiglie, ma il 77,3% di esse negli ultimi cinque anni non ha compiuto investimenti a valore in Ict o lo ha fatto per meno di 5.000 euro. È incoraggiante l’intenzione del 52% delle imprese vitivinicole di investire una cifra superiore a tale soglia nel prossimo futuro, ma la strada da percorrere è lunga. Anche perché, laddove compiuti, gli investimenti non sempre hanno portato

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buoni frutti: il 47% delle aziende non ha osservato incrementi di fatturato. La tecnologia, quindi, serve a poco? Lo studio suggerisce qualcosa di diverso, ovvero che gli scarsi risultati si possano attribuire alla preponderante scelta di intervenire sulla distribuzione, sul Web e sull’e-commerce, senza invece considerare i processi retrostanti. Un esempio: solo il 19% delle aziende dispone di un sistema logistico informatizzato, mentre il 38% si affida a sistemi cartacei e il 40% non ha alcuna pianificazione logistica. L’interesse verso il digitale è comunque più alto fra le imprese di grandi dimensioni, mentre scarseggia nella massa delle medie e piccole. Dotate certo di minori budget, queste realtà sono anche quelle che più potrebbero beneficiare della digitalizzazione, per esempio per raggiungere nuovi mercati con l’e-commerce. Un cane che si morde la coda. “Il fattore chiave per modificare questo meccanismo è la diffusione capillare, in questo settore più che mai, di cultura e competenze digitali”, ha commentato Stefano Epifani, presidente del Digital Tran-

sformation Institute. Chi produce e vende vino oggi sta facendo leva sulla tecnologia per motivazioni corrette, ma non esaustive. Si investe per ampliare la clientela, cambiando le modalità di distribuzione (nel 41% dei progetti) o di vendita al pubblico (43%), e lo si fa attraverso soluzioni gestionali (usate nel 74% dei progetti), per la tracciabilità (57%), per la comunicazione in forma elettronica (53%). Il 41% delle aziende ha anche comprato tecnologie che permettono di essere in regola con i sistemi di controllo e autorizzazione previsti dagli enti pubblici. Gli investimenti futuri, invece, si preoccuperanno un po’ di più degli anelli “a monte” della filiera. Il 49% degli intervistati ha espresso interesse per le tecnologie di controllo e ottimizzazione della produzione, il 57% per quelle relative alla trasformazione della materia prima. Il tema della tracciabilità sarà sempre più rilevante, non solo perché soggetto a obblighi di legge ma perché un buon 31% di aziende riconosce come un’etichetta completa sia utile a promuovere commercialmente i beni. V.B.


FOCUS | Printing

L’AVANZATA DEI SERVIZI La possibilità di tenere sotto controllo i costi sta spingendo sempre più aziende ad abbracciare i "managed print services", anche in abbinamento al cloud e al supporto mobile. Ce ne parla Sergio Patano, senior research and consulting manager di Idc Italia.

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otto pressione da tempo, il mercato del printing è destinato a chiudere in frenata anche quest’anno. Un calo che, secondo Idc, in Italia sarà del 6,2% in unità consegnate e del 4,8% in valore generato, assestando i volumi a 2,2 milioni di pezzi e il giro d’affari a circa 1,1 miliardi di euro. Principale imputata dell’andamento è la contrazione della domanda nel segmento business, ancora soffocato da politiche di contenimento dei costi. Più effervescente il segmento consumer, che grazie alla sostituzione delle classiche stampanti con i sistemi multifunzione (dotati di scanner, fotocopiatrice e/o fax) è destinato a crescere quest’anno almeno del 4% sul 2016. Ma che cosa possiamo aspettarci nei prossimi anni? Ce

ne parla Sergio Patano, senior research and consulting manager di Idc Italia, che per il periodo 2015-2020 preconizza una decrescita media annua del 3,3% per il segmento consumer e addirittura del 4,5% per quello business. Lasciando però intravedere accelerazioni per quanto riguarda i servizi di stampa gestiti. In uno scenario complessivamente sottotono, esistono dei segmenti d’offerta ancora dinamici in ambito business?

Sulle scelte di questa fascia d’utenza stanno pesando molto la necessità di ridurre i costi e la crescente diffusione di soluzioni legate al cloud, al social, ai Big Data & analytics e alla mobility. Una situazione di mercato che spinge sempre più aziende a passare da soluzioni paper-

based a soluzioni digital-based, portando l’offerta printing a una generale contrazione tanto in termini di unità quanto di fatturato. Tranne che per la componente multifunzione, che continua a erodere quote alle monofunzione. Quale andamento registra in Italia l’offerta dei servizi di stampa gestiti? Quali driver spingono in questa direzione?

Il mercato dei servizi di stampa si compone di due proposizioni: i Basic Print Services, inclusivi di hardware, manutenzione, fornitura di consumabili, fatturazione combinata e monitoring da remoto; e Managed Print and Document Services, che ai citati servizi di base aggiungono l’assessment dell’ambiente di stampa e ottimizzazioni continue, LUGLIO 2017 |

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FOCUS | Printing

come i servizi di gestione documentale, attività di mailroom, print room e altro. Complessivamente, in Italia questo mercato valeva circa 1,3 miliardi di euro nel 2016, mentre da qui al 2020 è destinato a crescere a un tasso annuale medio del 5%. A spingere le aziende verso questi servizi è soprattutto la possibilità di ridurre il Total Cost of Ownership legato agli ambienti di stampa, esternalizzando alcune mansioni di supporto di base con la conseguente riallocazione di risorse interne su obiettivi strettamente legati al business. Una pressione in questo senso è esercitata anche dalla diffusione di soluzioni per la mobilità e in cloud, sviluppate per garantire alla forza lavoro l’accesso alle informazioni ovunque e in qualsiasi momento. Ma non solo. Spingono in questa direzione anche la necessità di migliorare la sicurezza dell’infrastruttura di stampa e l’esigenza di far aderire la gestione dei dati alle policy aziendali e alla normativa vigente. Quali sono le caratteristiche da valutare nella scelta di un fornitore di servizi di stampa gestiti?

Nel processo di selezione sono molti gli aspetti che un’azienda deve valutare. Innanzitutto, il service provider deve non solo essere in grado di gestire solo il parco hardware, ma anche saper fornire un contributo essenziale per l’implementazione, gestione ed evoluzione di tutto ciò che riguarda il flusso documentale. Inoltre, il fornitore di servizi di stampa gestiti deve saper effettuare un assessment dettagliato dello status quo, eliminando colli di bottiglia e inefficienze del parco installato in termini di dimensionamento, distribuzione e tipologia. Occorre, poi, che sappia prevedere un supporto che vada dal progetto all’implementazione, fino alla manutenzione. In aggiunta a questo, non possono mancare attività di monitoraggio e assistenza da remoto di dispositivi e consumabili, la definizione di livelli di servizio chiari e facilmente misurabili e attività di assessment continue, per garantire un miglioramento 26

costante dell’infrastruttura di stampa e dei flussi documentali. Nell’era del multidevice e dei contenuti multiformato è scontato, poi, che il service provider debba essere in grado di implementare e mantenere soluzioni di Enterprise Content Management, di archiviazione sostitutiva e di sicurezza dell’endpoint attraverso strumenti di autenticazione forte. In sostanza, occorre appoggiarsi

a realtà capaci di proporre soluzioni e soddisfare esigenze di controllo costi e di business. Con una precisazione dovuta: è importante ricordare che la perfetta riuscita di un progetto può avvenire solo in presenza di una forte sponsorizzazione da parte dei manager di alto livello e in abbinamento a un attento processo di change management. Claudia Rossi

CONSUMABILI: IL RISCHIO CONTRAFFAZIONE Che cosa distingue una cartuccia originale nuova da una rigenerata o da una contraffatta? Per fare chiarezza sul tema, Technopolis ha intervistato Massimo Pizzocri, presidente di Asso.it, l’associazione italiana che raccoglie i produttori di sistemi di stampa e gestione documentale. Da sempre ha rivestito un importante ruolo di comunicatore culturale, impegnandosi anche sul delicato tema dei materiali di consumo. Perché è meglio ricorrere a consumabili originali?

Qualità, sicurezza e certificazione vivono del binomio “motore dei sistemi di stampa/cartucce”. È importante ricordare che i prodotti originali sono quelli più performanti, perché concepiti all’interno di un unico processo progettuale pensato per dare i risultati migliori non solo in termini di stampa ma anche di sicurezza del luogo di lavoro e di rispetto ambientale. Si tratta, infatti, di materiali con etichette rilasciate da enti terzi accreditati, che attestano il rispetto dei livelli di emissione delle polveri sottili durante l’intero ciclo di vita della cartuccia e del sistema. Come dev’essere un rigenerato per preservare la certificazione dei sistemi?

Il rigenerato rappresenta un’opzione importante nell’approvvigiona-

mento dei materiali di consumo. A tutela del consumatore, deve però disporre di una certificazione in grado di garantire il rispetto della sicurezza e della qualità dei sistemi di stampa. Per essere conforme ai criteri ambientali minimi richiesti dalla legislazione, i sistemi devono infatti mantenere le caratteristiche misurate in fabbrica, anche quando si utilizzano materiali non originali. In altre parole, la certificazione di sistema deve essere garantita da chiunque produca o commercializzi materiali di consumo. Come associazione, quali azioni avete avviato nei confronti dei consumabili contraffatti?

Con il contraffatto ci troviamo di fronte a un vero e proprio mercato illegale: un’intera filiera criminale che distribuisce prodotti dannosi per tutti i soggetti interessati. Per contrastare questo fenomeno, Asso.it si è mobilitata da tempo. A livello istituzionale abbiamo illustrato il problema alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sui Fenomeni della Contraffazione e stiamo lavorando in cooperazione con la Guardia di Finanza e con il Sistema Informativo Anti Contraffazione per dare indicazioni su come riconoscere il materiale originale da quello che non lo è.

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FOCUS | Printing

LA NUOVA VIA DELLA GESTIONE DOCUMENTALE La trasformazione digitale guida le dinamiche evolutive della stampa, chiamata a diventare un servizio sempre più intelligente e sicuro. Da cui transitano molti processi di produzione e governance.

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iviamo nel pieno di una trasformazione digitale. Una metamorfosi che all’interno delle aziende sta spingendo verso la digitalizzazione di tutti processi (inclusi quelli documentali), senza però eliminare la necessità di stampare. “In realtà, quello che sta cambiando è il modo di intendere la stampa”, chiarisce Stefano Gelmetti, product marketing manager di Ricoh Italia. “Oggi il printing è ormai qualcosa di dinamico e slegato da un luogo fisico, complici alcune tendenze come il cloud e la mobility, che trasformano le modalità con cui le persone interagiscono con le informazioni”. Sostanzialmente d’accordo Federico Gentilucci, document management offer manager di Xerox Italia, che sottolinea come la trasformazione digitale stia guidando le dinamiche evolutive del printing in ambito lavorativo. “Le aziende hanno la necessità di affrontare la quarta rivoluzione digitale e l’infrastruttura di stampa è sicuramente uno dei principali punti impattati. Il loro obiettivo primario è rimanere competitive attraverso la digitalizzazione dei processi, dei flussi e dei relativi documenti, traguardando una maggiore dinamicità e reattività nei confronti del mercato”, spiega Gentilucci, gettando luce sui principali aspetti da tenere sott’occhio per centrare questi obiettivi, anche in ambito printing: riduzione dei costi, sicurezza dei dati, lavoro in mobilità, semplificazione dei processi, ma soprattutto capacità di analizzare solo le informazioni veramente importanti per prendere decisioni efficaci e tempestive. Batte sui temi dell’integrazione con i dispositivi mobile, della flessibilità e della sicurezza anche Davide Balladore, product buLUGLIO 2017 |

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FOCUS | Printing

siness developer manager del Business Imaging Group di Canon Italia, pronto a sottolineare come la conseguenza di tutto questo non sia solo un taglio dei costi, ma anche un’evidente riduzione degli errori manuali e una maggiore partecipazione degli utenti. “Il cloud”, ricorda invece Luca Motta, print business group director di Hp Italy, “porta una forte innovazione nel modo di lavorare delle persone e permette di usufruire di servizi di stampa in modo più smart: oggi non è più necessario un print server, si può lanciare una stampa nel cloud e ottenere il documento stampato dove si desidera, senza vincoli di luogo o di dispositivi specifici”. Un modo di lavorare più flessibile che richiede, però, un innalzamento del livello d’attenzione nei confronti della sicurezza. “Ormai le stampanti sono dispositivi intelligenti, collegati al sistema aziendale e in grado di gestire dati sensibili. Normalmente, però, sono meno protette di altri device: motivo per cui stanno diventando uno degli obiettivi più ricorrenti negli attacchi informatici”, chiarisce Motta. Di fronte a questo problema, il progressivo passaggio dall’acquisto dei dispositivi di stampa a un approccio più orientato al servizio sta garantendo notevoli passi avanti. In ambito Mps, Hp offre per esempio Secure Managed Print Service, un servizio che aiuta le aziende a salvaguardare l’ambiente di stampa attraverso efficaci sistemi di protezione e a mantenerlo sicuro nel tempo, garantendo anche tutti i requisiti di conformità. Attenzione al Change Management

Oltre a incrementare il livello di sicurezza, i servizi di stampa gestita offrono alle aziende anche la possibilità di raggiungere nuovi obiettivi di efficienza, abbattendo i tradizionali costi d’infrastruttura. “Sono proprio questi i motivi per cui un numero sempre maggiore di aziende sta rivedendo i processi di acquisto delle tecnologie printing in una nuova logica di outsourcing e di servizio, ulterior28

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mente arricchita da Ricoh con l’intera gestione del documento elettronico e dei processi” afferma Gelmetti. Illustrando l’offerta Mps della sua azienda, il manager evidenzia anche l’applicazione di una metodologia basata sull’analisi delle reali esigenze del cliente e delle tecnologie già esistenti per progettare un’infrastruttura su misura, in grado di potenziare la sicurezza delle informazioni e i livelli di servizio. Il tutto, in una logica di ottimizzazioni continue: la nuova infrastruttura tecnologica, infatti, viene costantemente monitorata per individuare aree di miglioramento e far evolvere il progetto parallelamente alle esigenze e agli obiettivi

L’adozione dei servizi di stampa gestiti necessita di metodologie certificate e del massimo coinvolgimento degli utenti

aziendali. L’aspetto del miglioramento continuo appresenta un punto d’attenzione anche per Canon. Secondo Balladore, infatti, i servizi gestiti non solo consentono alle aziende di avere una strategia unica e innovativa per rispondere a tutte le esigenze di stampa e scansione, ma garantiscono anche un miglioramento costante del servizio stesso. L’importante però è “appoggiarsi a un’offerta flessibile e modulare, capace di indirizzare qualsiasi tipo di cliente, avvalendosi di una proposta tecnologica sempre all’avanguardia”. Come quella di Canon, recentemente ampliata con la nuova piattaforma uniFlow Online, un servizio di stampa serverless basato sul cloud di Microsoft Azure. Attenta a mettere a punto un’offerta tecnologica costantemente all’avanguardia è anche Xerox, che nella propria offerta Mps ha da tempo inserito soluzioni e servizi di Document e Content Management, creando di fatto quei Managed Print and Document Services attualmente allo studio dei principali analisti. “Oggi

la maggiore criticità che riscontriamo sul mercato è far passare i clienti dai classici Basic Print Services ai veri e propri servizi di stampa gestiti, facendo comprendere in modo semplice e immediato le aree di miglioramento”, ammette Gentilucci, ricordando l’utilità di strumenti come il Maturity Analytics di Xerox per fotografare lo stato dei servizi e rendere ancora più chiare le possibili ottimizzazioni. Del medesimo parere è Canon, che sul mercato riscontra difficoltà addirittura nel passaggio al primo livello di semplificazione degli ambienti di stampa: spesso i clienti chiedono di sostituire vecchie stampanti con modelli più attuali, senza effettuare analisi sui costi o sulle nuove opportunità d’integrazione. “Per Canon, i Managed Print Services rappresentano il primo passo verso una gestione semplificata delle infrastrutture di stampa”, afferma Balladore. “Da qui si può passare al secondo e più importante livello, quello dei Managed Content Services, ovvero a una progressiva automazione di processi legacy con la digitalizzazione dei documenti attraverso la tecnologia multifunzione Canon e la piattaforma uniFlow”. Accompagnare la trasformazione delle aziende verso modelli più flessibili e innovativi con soluzioni e servizi in grado di ottimizzare l’intero processo di vita del documento è missione condivisa anche da Hp, che oltre alle proprie competenze e tecnologie mette a disposizione un Innovation Center in cui si possono sperimentare tutte le sue soluzioni. Ma se il change management risulta critico nei progetti Mps, ancora di più lo è in quelli Mds. “In questo caso il coinvolgimento degli utenti è fondamentale”, conclude Gelmetti. “Per questo Ricoh usa metodologie certificate per gestire tutti quei cambiamenti organizzativi che ogni innovazione tecnologica e di processo porta con sé”. Il manager di Ricoh Italia sottolinea come, in generale, la gestione del cambiamento migliori il ritorno sugli investimenti e contribuisca a generare valore grazie all’implementazione di procedure efficaci e collaudate. C.R. LUGLIO 2017 |

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SERVIZI A VALORE, LA PAROLA D’ORDINE DI CASA BROTHER

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pinto dalla domanda di dispositivi multifunzione e soluzioni per il mobile printing, il segmento business continua a registrare un certo dinamismo, sostenuto soprattutto da una richiesta crescente di servizi di stampa gestiti. Ambiti d’offerta in cui Brother vanta da tempo un ruolo da protagonista grazie a investimenti continui in qualità dei suoi prodotti, all’ottimizzazione dei costi d’esercizio e a strumenti di customizzazione. A spiegarne in dettaglio gli aspetti differenzianti è Daniela Durante, program manager Services & Solutions dello specialista giapponese. Che cosa distingue sul mercato la vostra offerta di servizi di stampa gestita?

Semplificazione, riduzione dei costi, visibilità sugli oneri e competenza sono gli elementi chiave che caratterizzano l’offerta Mps di Brother: in una parola, il servizio. Su questo pilastro abbiamo costruito la nostra differenziazione, fornendo una proposta di stampa gestita, Pagine+, in grado di distinguersi sul mercato per semplicità e flessibilità. La prima è garantita attraverso un portale che permette di monitorare costantemente costi e attività. La seconda risiede, invece, nella possibilità di personalizzare i servizi in funzione delle esigenze dei clienti. Un ulteriore punto di forza è, poi, rappresentato dal costo copia legato alle pagine eccedenti, che in Brother è valorizzato alla pari del costo pagina di base. Un elemento decisamente distintivo sul mercato. Come state accelerando la diffusione di questo paradigma?

È grazie alle relazioni con il territorio e con i suoi protagonisti che negli anni siamo riusciti a sviluppare importanti punti differenzianti nella nostra proposizione. Attraverso la rete dei nostri partner ci im-

Daniela Durante

pegniamo a fare costante cultura presso i clienti, accompagnandoli in tutte le fasi dei progetti di stampa gestita: dall’analisi delle esigenze a una corretta impostazione dei termini contrattuali, fino ai diversi aspetti implementativi. Che ruolo gioca oggi la stampa in mobilità nei modelli operativi delle aziende?

Ormai all’interno delle aziende moderne non è più possibile ignorare le esigenze di stampa in mobilità: necessità che nascono da un impiego sempre più diffuso di dispositivi personali e dalla progressiva smaterializzazione dei luoghi fisici di lavoro. La risposta più semplice alle nuove esigenze di mobile printing sono le app messe a disposizione da ogni vendor per le proprie periferiche. Ma ancora più semplice è la funzione cosiddetta “mail to print”. Da anni Brother ha sviluppato un software che, fra le tante opzioni, offre anche questa possibilità, riscuotendo un notevole successo negli ambienti professionali in cui il fattore della mobilità deve coniugarsi con necessità di sicurezza. La connessione diretta tra i dispositivi mobili e le nostre periferiche è garantita inoltre via cloud e attraverso la tecnologia Nfc, sfruttata anche per autenticare gli utenti tramite smart card.

Quanto è importante la personalizzazione all’interno della vostra offerta? In quali settori vantate più esperienza?

Il nostro approccio al mercato ci ha portati da sempre a un confronto continuo con le esigenze dei clienti, spingendoci a sviluppare soluzioni calate sulle loro necessità. La personalizzazione è, dunque, un elemento chiave della nostra proposizione a valore. In ambito medico, per esempio, abbiamo sviluppato soluzioni ad hoc per la vidimazione delle ricette e la loro scansione, ottimizzando due fasi critiche di un processo gestionale molto più ampio. Discorso analogo per i contesti di lavoro caratterizzati da un’estrema mobilità: in questo caso la risposta di Brother è rappresentata dall’intera gamma di stampanti A4 Pocket Jet, insostituibili alleate dei manutentori nella stampa dei rapporti e degli autotrasportatori (e tentata vendita) nella produzione di bolle e fatture. In ambito retail, abbiamo messo a punto invece soluzioni di stampa gestita su misura, dando impulso a importanti processi di automazione. L’approccio fortemente “green” di Brother sta trovando, poi, importanti riscontri nella Pubblica Amministrazione, da sempre attenta agli aspetti economici e ambientali. 29


| Sed ut perspiciatis SPECIALE FOCUS | Printing

STAMPARE ON THE ROAD La ricerca di efficienza e produttività spinge sempre più aziende verso il mobile printing. Aprendo, però, la porta a preoccupazioni sul piano della sicurezza.

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a mobility rappresenta oggi un tassello immancabile all’interno di qualsiasi strategia di sviluppo aziendale. Assecondando la mobilità di dipendenti e collaboratori, le organizzazioni possono aumentare la propria competitività, migliorando i tempi di risposta ai clienti, velocizzando le decisioni e permettendo una collaborazione più efficace. “All’interno di questo nuovo contesto di lavoro anche il mobile printing gioca un ruolo fondamentale” afferma Stefano Gelmetti, product marketing manager di Ricoh Italia. “Per questo all’interno del nuovo Digital Workplace di Ricoh sono incluse app che permettono ai dipendenti di stampare ovunque e da qualunque dispositivo, ottimizzandone la user experience”. L’abilitazione della stampa in mobilità è ovviamente connessa alla messa in sicurezza dei dati, aspetto che Ricoh garantisce attraverso soluzioni per la protezione dei documenti cartacei e digitali dotate di tecnologie crittografiche e di rilascio sicuro delle stampe inviate da dispositivi mobili. “Negli ultimi due anni sono sempre più frequenti i 30

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casi di aziende che inseriscono il mobile printing all’interno di progetti legati al rinnovamento dei servizi di stampa”, osserva Davide Balladore, product business developer manager del Business Imaging Group di Canon Italia. A suo dire, questa richiesta trae origine non solo da un approccio più aperto dell’It, ma anche dalla consapevolezza che la stampa mobile rappresenti un importante strumento per accelerare l’esecuzione dei processi aziendali e aumentare la condivisione delle informazioni. Fondamentale è, però, rispettare sempre le policy di sicurezza legate alla gestione dei documenti e le nuove normative del regolamento europeo Gdpr (General Data Protection Regulation). “Con la gamma multifunzione image Runner Advance siamo pronti a garantire tutto questo, attraverso un set di funzionalità di security che prevedono la comunicazione cifrata dei dati, la protezione completa dell’hard disk e l’occultamento del registro lavori, oltre a funzionalità di Ip filtering e firewall”, chiarisce Balladore. Batte sul tema della sicurezza anche Federico Gentilucci, document management offer manager di Xerox Italia, ricordando come stampa e distribuzione dei documenti in mobilità consentano di massimizzare la produttività di chi lavora lontano dall’ufficio e di tutti i processi che sovraintendono. Tutto questo richiede però maggiori livelli di sicurezza, e a tal fine Xerox propone opzioni di stampa protetta attraverso un codice di accesso, oltre a funzionalità avanzate di autenticazione e di gestione degli account per il monitoraggio degli utenti. C.R. LUGLIO 2017 |

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PERSONALIZZARE FA LA DIFFERENZA Ogni mercato ha le proprie esigenze di stampa. Anche qualora appartengano al medesimo settore, le aziende sviluppano spesso necessità molto diverse. Per indirizzarle al meglio l’unica risposta possibile è una personalizzazione o verticalizzazione d’offerta in grado di rispondere alle varie esigenze attraverso soluzioni opportunamente calate negli specifici contesti lavorativi. “Oggi siamo l’unico vendor capace di offrire tre differenti tecnologie di stampa: inkjet, laser e PageWide”, afferma Luca Motta di Hp Italy. “Questo ci consente di realizzare proposte altamente personalizzate, in grado di rispondere in maniera dinamica alle esigenze dei clienti: la possibilità di fare leva sulle infinite combinazioni della nostra offerta ci permette, infatti, di presentare proposte su misura in ogni settore di mercato”. La personalizzazione rappresenta un tassello particolarmente importante anche per Ricoh, che da sempre garantisce ai clienti un approccio consulenziale, analizzando le diverse esigenze per sviluppare soluzioni ad hoc. “Nel tempo abbiamo maturato una forte esperienza nei mercati verticali, creando offerte dedicate”, racconta Stefano Gelmetti di Ricoh Italia. “Tra i settori a cui ci rivolgiamo con più attenzione ci sono quello finanziario, con soluzioni per la digitalizzazione dei processi tipici delle banche, la Sanità, con tool che automatizzano i processi di registrazione e accettazione dei pazienti, e quello dell’Istruzione, che grazie alle soluzioni Ricoh può migliorare i servizi documentali agli studenti, introducendone anche di nuovi”. Più incentrata sui Managed Print Services è l’offerta customizzabile di Xerox, inclusiva di servizi concepiti per ri-

spondere alle esigenze delle grandi, piccole e medie imprese attraverso soluzioni pacchettizzate o tagliate su specifiche esigenze di ambito verticale. “Con la nostra proposta Mps siamo pronti a coprire tutti i settori di mercato, anche se da sempre abbiamo dedicato un’attenzione maggiore al manifatturiero, ai servizi finanziari e all’energia”, chiarisce Federico Gentilucci di Xerox Italia. Indirizzati alle organizzazioni di ogni dimensione e settore sono anche i servizi di stampa gestiti proposti da Canon attraverso i sistemi Canon imageRunner Advance, la piattaforma tecnologica uniFlow e i relativi servizi professionali. “Nel solo 2016 abbiamo realizzato oltre 150 personalizzazioni della piattaforma uniFlow, soddisfacendo tutte le richieste di integrazione che ci sono pervenute”, precisa Davide Balladore di Canon Italia, che evidenzia come le richieste più frequenti siano state registrate nella personalizzazione di flussi legati a stampa e scansione documentale, nelle integrazioni legate a piattaforme standard (come Microsoft SharePoint) e nelle messe a punto attraverso Web Services.

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TECHNOPOLIS PER NEC DISPLAY SOLUTIONS

SALUTE IN AZIENDA: SICURI DI NON CORRERE RISCHI? I manager e gli imprenditori hanno una responsabilità enorme riguardo alla scelta degli strumenti da utilizzare in ufficio. L'importanza dei videoterminali per il benessere e la produttività dei lavoratori. Non è un caso se nella City di Londra, dove l’attenzione alla salute e alla qualità del lavoro è massima, il 60% dei monitor utilizzati dai broker è targato NEC Display Solutions. Ma la notizia, per chi si occupa di acquistare gli strumenti tecnologici da installare negli uffici o per chi ha la responsabilità (anche penale) della salute dei propri dipendenti, è che la differenza tra il rischio di danneggiare la salute di chi lavora e la possibilità di preservarla è di poche decine di euro. Il videoterminale (o monitor che dir si voglia) è infatti un elemento cardine del benessere e della salute del personale che opera in ufficio e le nuove leggi e regole, che hanno rimpiazzato la “vecchia” Legge 626, in particolare il DLgs 81/08, hanno introdotto concetti prima inespressi: si pensa al benessere del lavoratore e non più solo alla sua sicurezza. Per proteggersi da azioni legali future, manager e datori di lavoro (non sempre consapevoli di essere i responsabili diretti di fronte alla legge) possono rivolgersi a produttori che, in linea con i nuovi standard qualitativi dettati anche da norme europee non recepite in via obbligatoria in Italia, offrono prodotti in grado di rispettare sia il benessere del lavoratore sia la sua salute e quindi, in ultima analisi, la produttività e la soddisfazione. “Il panorama tecnico e legislativo è piuttosto complesso”, dice Enrico Sgarabottolo, Sales Director TIGI di NEC Display Solutions Division, “a partire dal fatto che la legge non fissa dei parametri precisi ma prescrive che si debbano adottare apparati idonei a preservare il lavoratore dai rischi legati alla vista e agli occhi, alla postura e all’affaticamento fisico e mentale. La complessità fa sì che, almeno in Italia, molti tendano a sottovalutare il problema o a pensare che la responsabilità sia in carico all’ufficio acquisti. Ma così non è: i lavoratori interessati sono moltissimi, per legge coloro che stanno più di venti ore alla settimana davanti a un terminale. E i responsabili sono i loro capi; manager o datori di lavoro”. Il Decreto Legislativo 81/08, nella sezione appositamente dedicata ai videoterminali, dice espressamente che l’im32

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magine sullo schermo deve essere stabile, quindi esente da sfarfallamento o tremolio, che lo schermo dev’essere orientabile e inclinabile liberamente per adeguarsi alle esigenze dell’utilizzatore. Infine, non devono essere presenti riflessi o riverberi. Sul fronte delle radiazioni elettromagnetiche che non fanno parte dello spettro visibile, queste vanno ridotte a livelli trascurabili, per la sicurezza e la salute dei lavoratori. “Le indagini epidemiologiche condotte sui possibili effetti sulla salute negli addetti al videoterminale (Vdt) evidenziano che i principali disturbi possono riguardare l’apparato oculo-visivo e quello muscolo-scheletrico,” spiega la dottoressa Annapaola Santoro, Medico Competente Specialista in Medicina del Lavoro, “l’astenopia occupazionale, indagata dal Medico Competente nel corso della sorveglianza sanitaria, comprende sintomi visivi (visione sfuocata, sdoppiata, fastidio/dolenzia perioculare), oculari (bruciore, prurito, lacrimazione, secchezza) e generali (cefalea). Tali effetti devono essere certamente interpretati nel contesto di tutte le variabili lavorative in gioco e risultano essere per lo più transitori e reversibili. L’applicazione sia di principi ergonomici nella progettazione


delle postazioni di lavoro e delle modalità di lavoro sia di comportamenti corretti da parte degli utilizzatori e una sorveglianza medica specifica rappresentano strumenti utili per un’efficace prevenzione”.

“I monitor NEC Display Solutions”, dice Sgarabottolo, “rispettano norme europee anche più severe del Decreto Legislativo 81/08, come la tedesca ISO 9241, e riducono al minimo sia il flickering (sfarfallio) sia le emissioni di luce blu, dannosa per la salute dell’apparato visivo. La base e lo schermo sono progettati per garantire la massima flessibilità nell’orientamento sia verticale sia orizzontale, risolvendo la maggior parte dei problemi legati alla postura”. Il momento più adatto per adeguarsi alle nuove normative e per togliersi il peso della responsabilità civile e penale introdotta dalle leggi è quello del ricambio del parco monitor: quando i videoterminali precedenti diventano obsoleti, con un minimo investimento aggiuntivo rispetto ai prodotti più economici e meno sicuri, è possibile procedere al rinnovo e garantire sicurezza e benessere per se stessi e per i propri dipendenti.

MONITOR SENZA EFFETTI COLLATERALI Consumi ridotti di energia e bassi costi operativi, ergonomia, connettività all’avanguardia e funzioni intelligenti sono le nuove specifiche che caratterizzano i monitor Desktop di NEC, dai modelli Entry Level Corporate fino a quelli per applicazioni professionali in ambito Colore oppure Medicali. La linea MultiSync, dedicata all’utilizzo in azienda, annovera schermi a bassissimo consumo come il nuovo E241N da 24 pollici, per arrivare ai 4K da 27 pollici MultiSync EA275UHD. Tutti sono caratterizzati da un flickering quasi nullo (lo sfarfallio tipico dei monitor di bassa qualità) e da una bassissima emissione di luce blu, che numerosi studi medici hanno verificato essere dannosa per la vista umana. 33


INNOVAZIONE | Intelligenza artificiale

ALGORITMI SENZA CONFINI Dalla finanza alla sicurezza informatica: il giro d'affari di prodotti e servizi basati sull'intelligenza artificiale, secondo Idc, crescerà di oltre il 50% all'anno da qui al 2020. Per salvaguardare il valore del lavoro umano, secondo Accenture, bisognerà puntare sulle competenze.

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che cosa serve, e a che cosa potrà servire, l’intelligenza artificiale di cui tanto si parla ultimamente? I campi di applicazione sono così eterogenei da suggerire di dover parlare piuttosto di “intelligenze”, al plurale. Dagli algoritmi che alimentano le applicazioni rivolte all’utente finale, come quelle di traduzione automatica e di riconoscimento immagini (Skype e Google Lens, per citare le più popolari), a quelli che rendono più pertinenti le ricerche Web di siti e fotografie, passando per i sistemi predittivi che consentono ai social network di personalizzare la visualizzazione dei contenuti o di abbinare un’inserzione pubblicitaria al suo miglior target. Diversi vendor di sicurezza informatica, invece, hanno cominciato a integrare capacità intelligenti all’interno dei propri sistemi di rilevamento delle minacce, per renderli meno soggetti a falsi negativi e più abili nello scovare comportamenti sospetti. E ancora va citato l’hardware dei supercomputer e delle grandi piattaforme (ora rese fruibili anche via cloud) come Watson di Ibm, o i robot umanoidi che in alcuni Paesi del mondo – Giappone in testa – si stanno sostituendo al personale in carne e ossa nei negozi o nelle reception degli hotel. Di ancora maggior impatto è l’uso degli algoritmi in ambiti come 34

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la finanza, quotidianamente alle prese con grandi volumi di dati da analizzare e monitorare (per esempio, per rilevare frodi su carte di credito o per calcolare il rischio di un investimento).. Secondo gli ultimi dati pubblicati da Idc, quest’anno i sistemi sistemi cognitivi e di Ai raggiungeranno un valore di 12,5 miliardi di dollari, il 60% in più rispetto al 2016, e si continuerà poi a ritmi non molto inferiori (54% medio) fino al 2020, quando il mercato toccherà i 46 miliardi di dollari. Nel solo 2017 gli investimenti delle aziende saranno rivolti soprattutto (per 4,5 miliardi di dollari) verso le applicazioni industriali in grado di apprendere, scoprire e offrire raccomandazioni o previsioni, seguiti dai servizi informatici “intelligenti”, (3,5 miliardi); seguiranno gli acquisti di piattaforme e servizi di computing cognitivo (2,5 miliardi) e quelli di server e sistemi storage in cui elaborare crescenti volumi di dati (1,9 miliardi di dollari). Da qui al 2020 buona parte del valore di mercato sarà generata da chi opera in settori fortemente regolamentati, come i servizi bancari e quelli di investimento. Minaccia od opportunità?

Le polemiche sul rapporto fra tecnologie innovative e lavoro sono all’ordine del giorno. Mentre i loro possibili im-

patti sui livelli occupazionali restano materia di studio, da Accenture arrivano buone notizie: l’Artificial Intelligence, unita alla definizione di nuovi mercati digitali, favorirà la creatività, il genio e la produttività. Altre tecnologie utili allo scopo saranno gli analytics applicati ai Big Data e all’Internet of Things, ovvero soluzioni che sapranno adattarsi ai bisogni delle persone, se non addirittura di anticiparli. È questo il risultato dello report “Technology Vision 2017”, realizzato da Accenture mettendo insieme le considerazioni di esperti e consulenti (inclusi luminari universitari, imprenditori, ricercatori) e le risposte raccolte in 31 Paesi da oltre 5.400 dirigenti ed executive It di aziende con fatturato non inferiore ai 500 milioni di dollari. Secondo lo studio, l’intelligenza artificiale potrebbe addirittura far raddoppiare il tasso di crescita delle economie sviluppate previsto da qui al 2035, nonché migliorare anche del 40% la produttività sul lavoro. Attenzione, però: si possono ottenere


AXÉL RAGIONA L’uso dell’apprendimento automatico nel settore finanziario, nel servizio clienti e nella Pubblica Amministrazione non è nuovo. Ma il “cervello” di Axél, nato dall’italiana Axélero e già adottato da Banca Mediolanum, si dinstigue per le particolari abilità di interpretazione del linguaggio. Basata su un algoritmo proprietario, questa tecnologia non solo affina nel tempo le proprie capacità di comprensione, ma (grazie al modo in cui viene “istruito” il suo motore Natural Language Processing) sa ragionare sulla base di concetti e non di esempi massivi. Può rispondere a domande multiple, cogliere errori grammaticali e conversare in più lingue.

benefici a patto di intervenire radicalmente su alcuni modelli produttivi e di rafforzare ruoli e competenze delle persone. C’è chi già si sta organizzando. Ben l’85% degli intervistati ha detto che la propria azienda farà significativi investimenti in Ai entro i prossimi tre anni; un 31% di avanguardisti, inoltre, sta pianificando di utilizzare estensivamente gli studi sul comportamento dell’uomo per creare nuove forme di user experience, sempre da qui a tre anni. L’85 delle realtà, invece, intende reclutare nuovi freelance già entro dodici mesi. A detta del 79% degli intervistati, il machine learning rivoluzionerà anche le modalità di raccolta dei dati e di interazione delle aziende con i clienti. Percentuali alte, motivate dalla lungimiranza, dalla cultura aziendale e dai budget a disposizione delle grandi imprese. E che però lasciano l’interrogativo su come si muoveranno le piccole e medie imprese. Valentina Bernocco

BUFALE ONLINE, FACEBOOK USA IL CERVELLO L’Ai è un valido strumento di lotta alle fake news, siano esse mirate al clickbaiting o alla disinformazione. Da mesi Facebook è corsa ai ripari creando nuovi strumenti di segnalazione di post “sospetti”, nonché arruolando giornalisti ed esperti di fact checking. L’ultima aggiunta all’impegno anti.bufala del social network sono proprio gli algoritmi: grazie a essi è stato possibile bloccare decine di migliaia di profili fomentatori di disinformazione tanto durante la campagna per le elezioni presidenziali francesi, quanto durante le politiche britanniche. Gli algoritmi, infatti, consentono di individuare in automatico gli account sospetti sulla base di alcune azioni, come la pubblicazione reiterata di un medesimo post o improvvisi picchi di messaggi inviati.

Un altro luogo 2.0, Twitter, è invece non la culla ma la fonte di un bizzarro esperimento basato sul machine learning e concretizzato in un’installazione artistica rimasta aperta al pubblico da maggio a giugno. I “cinguetti” in cui si cita Donald Trump su una selezione di account (i due ufficiali del presidente @realDonaldTrump e @potus, oltre a quelli del portavoce Sean Spicer , della consigliera Kellyanne Conway, di Cnn e di Fox) hanno alimentato una piantagione di lavanda creata a Manhattan, nel basement dell’Istituto Austriaco di Cultura. Qui l’artista Martin Roth, austriaco per nascita ma di adozione newyorkese, ha creato una serra la cui illuminazione si accende o spegne, intensifica o affievolisce in base alla quantità di tweet riguardanti il presidente.

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INNOVAZIONE | Intelligenza artificiale

LA CORSA INARRESTABILE DEI COLOSSI TECNOLOGICI Dalla Silicon Valley a Redmond, le strade dell'Ai sono sempre più battute. Apple, Microsoft, Google e Ibm, fra gli altri, fanno a gara per sviluppare i progetti più innovativi.

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e strade dell’intelligenza artificiale sono sempre più trafficate. Non c’è colosso tecnologico statunitense che non stia investendo in questo campo. Gli esempi abbondano, dalle piattaforme destinate agli sviluppatori e fruibili via cloud (per attingere a interfacce di programmazione, algoritmi e ambienti in cui testare le applicazioni), all’hardware utilizzato internamente per far funzionare servizi Web o per far compiere un salto evolutivo alla prossima generazione di dispositivi mobili. L’impegno di Apple fra Siri e chip

Non c’è una notizia ufficiale, ma sostanziose indiscrezioni riportate da Bloomberg suggeriscono che la Mela sia al la36

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voro su un nuovo processore che potrà rendere non solo più smart, ma anche più veloci e meno avidi di batteria i futuri iPhone: si farà onere della attività di riconoscimento vocale, facciale e delle immagini, alleggerendo il carico di lavoro del processore di calcolo e di quello grafico. Ma in quanto a intelligenza anche i melafonini attuali non scherzano, sebbeno l’antesignano degli assistenti virtuali, Siri, sia oggi sempre più accerchiato da valide alternative della concorrenza, come Cortana (di Microsoft) e Google Assistant. Di recente quest’ultimo è diventato anche un’app per iOS, sostanzialmente analoga nelle funzioni a quella nativa di Android.

Il machine learning di Microsoft abbraccia Azure e Office

L’anno scorso il Ceo di Microsoft, Satya Nadella, aveva promesso pubblicamente che l’intelligenza artificiale avrebbe presto permeato ogni prodotto e servizio della sua azienda. I primi frutti di questa strategia stanno già maturando, come dimostrano i numerosi nuovi servizi destinati agli sviluppatori e alle aziende, annunciati lo scorso aprile. Annunci riguardanti, per esempio, la possibilità di eseguire analisi “intelligenti” su grandi volumi di dati sfruttando il cloud di Azure. Oppure le interfacce di programmazione utili a portare in applicazioni indipendenti le capacità di riconoscimento delle immagini che Microsoft sta introducendo negli


applicativi di Office 365, in particolare in Word e in PowerPoint. Qui si nota anche il potere democratizzante dell’intelligenza artificiale: poter associare in automatico un tag e una descrizione testuale a una fotografia, per esempio, allarga la fruibilità di un contenuto multimediale anche ai non vedenti. Senza richiedere operazioni aggiuntive di scrittura di codice. Google ha i piedi per terra e la testa fra le nuvole

L’impegno della società di Mountain View nel campo dell’Ai è allo stesso tempo solido e visionario. Nella prima categoria rientrano prodotti destinati agli addetti ai lavori, come la libreria open source di software e algoritmi TensorFlow, già da anni impiegata internamente per far funzionare il motore di ricerca Web e altri servizi di Big G. Una sua più recente versione “light”, TensorFlowLite, consente agli sviluppatori di realizzare applicazioni mobili, che necessitino di inferiori requisiti hardware. Altro strumento

rivolto a questa categoria professionale è Google.ai, un piattaforma (cioè un contenitore di prodotti e servizi, accessibili tramite cloud) per la realizzazione di applicazioni con capacità di machine learning. La testa fra le nuvole, in senso più concreto che metaforico, la parent company di Google, Alphabet, ce l’ha fin dal 2013 con Project Loon: un progetto basato su palloni aerostatici che possano amplificare il segnale 3G ed Lte, portando connettività Internet nelle zone isolate del mondo. Dopo anni di test, oggi si studia come superare il digital divide utilizzando un minor numero di mongolfiere: gli algoritmi di intelligenza artificiale stanno dimostrando di poter orientare i palloni, forzandoli a compiere rotazioni a raggio ridotto e dunque a restare collocati nella propria sede più a lungo. Non troppo elementare, Watson

Ibm è un antesignano del computing cognitivo. La piattaforma Watson negli anni è stata non solo corredata di

nuovi servizi, ma anche resa più facilmente fruibile attrverso il cloud. Ora Big Blue ha fatto un passo ulteriore, rendendo disponibile a tutti l’accesso alle risorse di calcolo del suo computer quantistico di seconda generazione. Si tratta di una macchina che surclassa nettamente le prestazioni dei più potenti sistemi di High Performance Computing, basandosi su un sistema che utilizza come unità minima di informazione riconosciuta non il bit ma il qubit, dotato di proprietà vettoriali e soggetto ad alcune leggi della meccanica quantistica (come il principio di indeterminazione, l’entanglement e la sovrapposizione delle cause e degli effetti). Ibm ha già iniziato a testare due sistemi di terza generazione, basati su un volume quantico di 16 e 17 qubit, mentre la precedente macchina da 5 qubit è stata “aperta” al grande pubblico. Si può accedere alle sue risorse di calcolo tramite cloud oppure utilizzando un Software Development Kit disponibile sul portale GitHub. V.B.

SISTEMI ANTI-TRAFFICO, DALLA CINA ALLA SPAGNA Combinati con videocamere, sensori, connettività, dialogo in tempo reale con il cloud, gli algoritmi di machine learning sono ingrediente essenziale degli attuali sistemi di guida semiassistita e delle future automobili driverless. Ma possono fare anche altro. Un’applicazione pratica della loro utilità arriva dalla Cina, o meglio da Pechino, dove Volkswagen sta mettendo alla prova la potenza di un computer quantistico D-Wave da 15 milioni di dollari. Per oltre sei mesi questo “cervellone”, affiancato da cinque data scientist in carne e ossa, ha analizzato ed elaborato su cloud i dati raccolti dai sistemi Gps di oltre diecimila taxi in servizio nella metropoli cinese. Obiettivo: confezionare un algoritmo di ottimizzazione

dei percorsi, con cui poter calcolare in una frazione di secondo quale sia la strada migliore da compiere per raggiungere, in un dato momento, una data destinazione. Il prossimo esperimento di Volkswagen riguar-

derà Barcellona: il machine learning, abbinato alle grandi capacità di calcolo del sistema D-Wave, permetterà di prevedere i picchi di traffico e di proporre percorsi alternativi.

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ECCELLENZE.IT | Ats

Città Metropolitana di Milano

LA FATTURAZIONE ELETTRONICA LIBERA GLI OSPEDALI DALLA CARTA Con la piattaforma di SB Italia, l'agenzia su cui sono confluite quattro aziende ospedaliere di Milano e Lodi gestisce in formato digitale un volume annuo di sessantamila fatture. LA SOLUZIONE Docsweb è una piattaforma di Document Management & Workflow che permette all’utente di svolgere in autonomia varie operazioni, incluse modifica e aggiunta di flussi di lavoro. Le fatture, caricate sul portale Sogei, vengono trasferite attraverso Lombardia Informatica sull’Erp di Ats Milano e poi autorizzate mediante Docsweb. Il sistema tiene in memoria tutti i passaggi compiuti dai documenti.

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on sempre sinonimo di innovazione tecnologica, specie per quanto riguarda gli aspetti amministrativi, gli ospedali italiani in qualche caso dimostrano di saper cogliere bene le opportunità della digitalizzazione. Così ha fatto, con un progetto nato nel 2015, Ats Città Metropolitana di Milano cioè l’ente in cui sono confluite tre Aziende Sanitarie Locali del capoluogo lombardo (Asl Milano, Milano 1 e Milano 2) e quella di Lodi. L’Agenzia di Tutela della Salute gestisce un’ottantina di sedi e presta servizio a 195 comuni: un impegno che si traduce in un volume annuo di decine di migliaia di fatture. In seguito all’entrata in vigore, dal 31 marzo 2015, dell’obbligo di fatturazione elettronica per le prestazioni usufruite dalla Pubblica Amministrazione, il polo sanitario ha deciso di sondare quale fosse lo strumento più indicato per le proprie esigenze. Indetta nell’agosto di due anni fa, la gara d’appalto pubblico è stata vinta da SB Italia, una società spe38

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cializzata in soluzioni tecnologiche per la gestione e per l’ottimizzazione delle procedure aziendali. La sua proposta si chiama Docsweb: una piattaforma per la gestione di documenti e flussi di lavoro, integrabile con il sistema informatico centrale del cliente, oltre che con i sistemi di office automation, posta elettronica e Web esistenti. In una prima fase SB Italia si è dedicata a personalizzare la soluzione in base alle necessità dell’agenzia, mentre dall’aprile del 2016 il nuovo sistema opera a pieno regime. “Fino a pochi mesi fa”, racconta Yuri Pasquinelli, responsabile Ss progetti software e Dwh di Ats Milano, “la gestione delle fatture in entrata, circa sessantamila all’anno, era per noi un compito davvero gravoso: tutte in formato digitale per obbligo di legge, dovevano essere stampate, spesso in più copie, distribuite fisicamente fino alla scrivania di chi doveva occuparsi dell’approvazione e, successivamente, riportate alla ragioneria per procedere

con il pagamento. Possiamo stimare un consumo di circa due risme di carta al giorno solo per espletare queste attività. Oggi, in seguito all’introduzione di Docsweb, non viene stampato più nemmeno un foglio. Inoltre, grazie alla funzionalità di autorizzazione massiva, anche il lavoro degli ‘approvatori’ risulta ora più fluido e veloce, a tutto vantaggio della produttività”. Attualmente si sta lavorando per integrare la parte di reportistica, che sarà utile per ottenere dall’analisi di informazioni come il tempo medio di evasione delle fatture o il numero di pagamenti rifiutati in un certo periodo. “L’esperienza positiva con la fatturazione sarà sicuramente da incentivo verso il passaggio al nuovo sistema anche per altre procedure”, aggiunge Pasquinelli. “Auspichiamo di digitalizzare progressivamente tutti i workflow cartacei che interessano il nostro lavoro, nell’ottica di un servizio sempre più agile, senza sprechi di tempo e di risorse”.


ECCELLENZE.IT | Prysmian

L'ERP DEL MANIFATTURIERO È UNA QUESTIONE DI VELOCITÀ La società produttrice di cavi e sistemi per i settori energia e telecomunicazioni ha realizzato con Sap un progetto di migrazione e ottimizzazione del proprio database transazionale. Riducendo notevolmente i tempi di risposta.

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rotagonista del mercato dei cavi e dei sistemi per l’energia e le telecomunicazioni, Prysmian Group è un nome italiano che conta però più di ottanta stabilimenti, 17 centri di ricerca e sviluppo e ventunomila dipendenti sparsi in una cinquantina di Paesi. Nata nel 2005 dall’acquisizione della divisione cavi e sistemi di Pirelli & C. da parte del gruppo Goldman Sachs, dal 2007 è una società quotata con azionariato diffuso e lo scorso anno ha fatturato oltre 7,5 miliardi di euro. La svolta nello sviluppo dei sistemi informativi di Prysmian è cominciata nel 2015, con l’ingresso di un nuovo chief information officer e con la definizione di una nuova strategia tesa a riposizionare il ruolo dell’Information Technology nel gruppo. Sotto la guida di Stefano Brandinali è stato creato un team tutto dedito all’innovazione ed è stata realizzata la migrazione e lo sviluppo sul cloud per gli applicativi Microsoft (ora su Office 365), per gli strumenti basati su Salesforce e per alcune tipologie di dato (allocate ora su OneDrive e su SharePoint 365). L’iniziativa più importante ha però riguardato la migrazione del database utilizzato dall’Erp di gruppo dalla soluzione di un altro vendor a Sap Hana: un progetto gestito senza intermediari e che ha richiesto un notevole lavoro di riscrittura di co-

LA SOLUZIONE Prysmian ha migrato su Sap Hana il proprio database transazionale, ottenendo contestualmente da Ibm un upgrade dei server dedicati. In media, si è riscontrato un miglioramento del 67% nei tempi di risposta su dati consultati dal 90% degli utenti. Il prossimo passo, da realizzarsi entro un paio d’anni, sarà il completamento del rollout del sistema Sap di gruppo, oggi già implementato in tre quarti delle sedi geografiche. Una futura espansione del progetto potrà riguardare il passaggio a Sap S/4 Hana.

dice. A fronte, però, di un esito definito dal Cio come un “grandissimo successo”. “Da sempre”, racconta Brandinali, “il nostro Erp è stato sviluppato appoggiandosi a risorse fisiche su server dedicati in hosting presso fornitori esterni. Non un modello cloud, quindi, ma un’architettura tradizionale basata su un outsourcing infrastrutturale”. La nuvola è entrata in gioco nel momento in cui l’It ha deciso di realizzare un proof of concept del nuovo database (Sap on Hana). “A fine 2015”, prosegue il Cio, “abbiamo eseguito un test sulle cento transazioni per noi più importanti, vuoi perché più complesse o più utilizzate o più critiche per il business. Volevamo capire se migrando Sap on Hana avremmo avuto i vantaggi di performance promessi”. Le cento transazioni sono state portate su una macchina affittata sul cloud di Sap, senza apportare ottimizzazioni così da non falsare la comparazione rispetto all’ambiente di partenza. “I risultati sono stati eccezionali”, assicura Brandinali. “Alcune transazioni hanno migliorato i tempi di risposta del 98%, scendendo da 20 minuti a 20 secondi”. Appurata l’opportunità del progetto, nel giro di pochi mesi – fra aprile e settembre 2016 – dal proof of concept si è passati all’implementazione, non prima di aver riscritto il codice di alcune transazioni (circa mille oggetti su settemila sono stati ritoccati). La user experience per l’utente finale è rimasta la stessa, fatta eccezione per l’incremento di velocità. “La maggior parte delle iniziative riguardanti Sap on Hana”, fa notare il Cio, “coinvolge dati di reporting o di Business Intelligence. Invece nel nostro caso il progetto ha generato valore per il 90% dei nostri utenti, compreso il personale amministrativo, logistico, industriale”. Un percorso a maggior rischio (pur calcolato e mitigato) ma con migliore ritorno dell’investimento. LUGLIO 2017 |

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OBBIETTIVO SU | Accenture Acin

INNOVAZIONE GLOBALE NEL CUORE DI MILANO Il nuovo Customer Innovation Network di piazza Gae Aulenti sarà il più grande centro di sviluppo di Accenture per progetti digitali in campo retail, fashion e beni di consumo.

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uattro ambienti tecnologici sempre attivi: smart home, digital bar, negozio di moda e supermercato. Più di 60 telecamere “always on”; 70 chilometri di cavi a garantire la connettività in banda larghissima per l’accesso alle applicazioni in cloud; una cinquantina di persone di varie nazionalità con età media sotto i 25 anni (il 60% sono donne) che vi lavorano in modo stanziale, a rotazione con i colleghi degli altri centri di Bangalore, Chicago, Manila e Singapore. Sono alcune delle caratteristiche che fanno dell’Acin (Accenture Customer Innovation Network) di Milano un “hub” di innovazione aperta unico, il più grande mai realizzato dal colosso americano per settori del retail, della moda e dei beni di consumo. Situato in piazza Gae Aulenti, fulcro del rinnovato quartiere di Porta Nuova, il centro eredita le attività della struttura realizzata ad Assago nel 2008 con l’obiettivo di dare continuità ai 300/400 concept sviluppati ogni anno e alle circa 300 aziende clienti (non solo italiane) ospitate da 40

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gennaio a dicembre. Non si tratta di un semplice showroom tecnologico, come ha spiegato in sede di inaugurazione (avvenuta lo scorso 31 maggio) Andrea Ruzzi, managing director products di Accenture e responsabile di Acin, ma di “un centro in cui le tecnologie si possono toccare con mano e sono utilizzate per concretizzare nuove idee”. Un luogo fisico dove si sperimenta ciò che, in futuro, troverà applicazione nella realtà di tutti i giorni. G.R.


Acin è un laboratorio d’avanguardia, dove è possibile immergersi in 140 "esperienze digitali" abilitate da intelligenza artificiale, robotica, tecnologia blockchain e Big Data analytics. Allo sviluppo dei progetti concorrono aziende clienti, università e startup.

PORTARE IN PRODUZIONE UN PROGETTO IN POCHI MESI: PER IL "SUPERMERCATO DEL FUTURO" COOP DI EXPO SONO BASTATE 12 SETTIMANE 41


OBBIETTIVO SU | Accenture Acin

LA MISSIONE: RISOLVERE LE SFIDE CHE ATTENDONO LE AZIENDE, DAI SOCIAL MEDIA ALLA NUOVA ONDATA DI APPLICAZIONI DI REALTÀ VIRTUALE E AUMENTATA

Il fashion store è uno spazio arredato con elementi di interior design e tappezzato di tecnologia nascosta. Qui viene raccontato il cambiamento delle modalità di ingaggio del cliente, mostrando come le funzionalità offerte dal digitale possano creare un’esperienza di acquisto interattiva e multicanale.

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La connected home è organizzata in tre spazi corrispondenti a tre momenti della giornata. Tutte le funzionalità degli apparecchi, dal frigorifero smart al forno con interfaccia touch, sono collegate tra loro e gestite da un sistema di intelligenza artificiale che raccoglie e analizza i dati sulle preferenze dell'utente. Il vantaggio? Fornire a chi abita nella casa intelligente servizi personalizzati e soddisfare i suoi bisogni ancor prima che siano manifestati.

NEL PUNTO VENDITA SONO ESPOSTI PRODOTTI FISICI E VIRTUALI, CON CUI SI INTERAGISCE ATTRAVERSO I GESTI

OPEN INNOVATION IN TUTTE LE FORME

Digital Bar, Jam cafè, Collaborate, Divergency, Liquid studio, Lab, Incubator: queste aree del centro sono dedicate allo scambio di idee, al confronto, allo sviluppo di nuovi prototipi e alla sperimentazione. In una visione “umano-centrica”.

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ITALIA DIGITALE | Pubblica Amministrazione

IL GRANDE SALTO DI PIACENTINI A inizio giugno il governo ha approvato il Piano Triennale stilato da Agid e dal Team guidato dal manager di Amazon. Fra le priorità, la riqualificazione della spesa It e il risparmio di 500 milioni grazie all’adozione di Spid, Anpr e Pago Pa.

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el presentare (con un post) il Piano Triennale 20172019 per la strategia e la spesa informatica della Pa, il commissario straordinario Diego Piacentini ha utilizzato questo titolo: “La strada verso la trasformazione digitale del Paese”. Di strada parla, giustamente, il manager di Amazon “in prestito sabbatico” al sistema Italia. Perché il cammino di cambiamento dei circa ventimila enti dalla macchina pubblica nostrana è ini-

ziato parecchio tempo fa, quando ancora il termine “digitale” non era sulla bocca di tutti ma già si discuteva di e-government e di e-procurement. C’è, ed è anche una nutrita rappresentanza, chi crede fermamente nel modello Piacentini, nel suo approccio collaborativo e aperto (anche a livello tecnologico e infrastrutturale), nel suo essere devoto al “pensare digitale” sempre e dovunque. Anche dentro le stanze dei Ministeri, dove la burocrazia in forma analogica regna spesso incontra-

POCO SOSTENIBILE E POCO VIRTUOSA La Pubblica Amministrazione soffre ancora di antichi vizi: è quanto emerso da alcune indagini presentate in occasione dell’ultima edizione di Forum Pa. Colpa della limitata componente “green”, che riguarda anche le pratiche di consumo sostenibile, oltre che della burocrazia, dell’età avanzata e della scarsa qualificazione degli addetti. Il voto di sintesi che si merita la macchina statale è ancora insufficiente (4,9 in una scala da 1 a 10) e a darlo sono gli stessi dipendenti pubblici (circa 700 quelli intervistati). Le Regioni, incaricate di eseguire il cosiddetto “Pan Green Public Procurement” per includere gli appalti verdi nella normativa lo-

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cale e di settore, ottengono il risultato migliore ma comunque al di sotto della sufficienza (5,3). A detta del 14,1% del campione, la propria amministrazione ha introdotto i Cam (Criteri Ambientali Minimi) nelle proprie procedure d’acquisto e per il 12,5% ha provveduto all’individuazione dei prodotti e servizi ai quali applicarli. Solo il 9,3% degli enti ha, però, già formalizzato la politica degli acquisti sostenibili. Eppure, come è stato calcolato, se tutti i dipendenti pubblici italiani (oltre tre milioni) acquisissero comportamenti di consumo responsabile, si otterrebbe una riduzione compresa fra il 5% e il 15% della spesa della Pa in bolletta.

stata. “Un piano tecnologico”, ha scritto Piacentini, “non è statico: la natura della tecnologia è in continua evoluzione e l’innovazione cambia nel tempo i paradigmi. Per questo stiamo introducendo una modalità di partecipazione completamente nuova”. Speriamo sia più efficace di quella utilizzata finora. Il Piano Triennale, come normale che sia, si presta a varie interpretazioni, positive ma anche critiche. Di certo è un nuovo passo in avanti rispetto all’Agenda Digitale varata dal governo Monti nell’autunno del 2013 e al Piano di Crescita Digitale presentato nel 2015. Passo piccolo o grande, lo vedremo forse fra qualche mese. Se governance e modalità di execution (le misure attuative che tanto hanno penalizzato l’applicazione dei principi dell’Agenda) troveranno presto concretezza, allora le convinzioni di Piacentini e Antonio Samaritani, il direttore generale dell’Agid (Agenzia per l’Italia Digitale), sono da avallare senza troppe indecisioni. Le due anime della Pa digitale hanno lavorato a stretto contatto per stendere un piano che deve ovviamente coinvolgere tutte le amministrazioni (Regioni e Comuni) che verranno incontrate per definire operatività e un percorso di monitoraggio atto a garantire massima trasparenza a tutte le attività. Samaritani ha più volte ricordato come il modello alla base del piano sia quello della sostenibilità, fondato su un sistema centrale a


Diego Piacentini

cui le Pa locali si collegano per implementare specifici servizi ai cittadini, sempre e comunque in una logica di interoperabilità. Il tutto, con l’obiettivo di massimizzare i benefici del digitale in termini di efficienza. L’entità di spesa pubblica per l’informatica, del resto, è molto importante: parliamo di circa 5,7 miliardi di euro, cifra che comprende gli 800 milioni di nuove risorse riferibili ai 4,6 miliardi previsti dal Piano Crescita Digitale 2020. L’effetto leva verso le aziende private, si dicono sicuri i bene informati, porterà a risultati molto più grandi. Ed è forse questa la vera, grande, scommessa da vincere. Evitando di depauperare le risorse provenienti dall’Unione Europea, così come è stato invece fatto dal 2007 al 2013. Le principali novità

Le linee d’azione per la trasformazione digitale consentiranno alle amministrazioni di pianificare investimenti e attività in maniera coordinata e rappresentano, inoltre, un quadro di riferimento organico rispetto allo sviluppo di politiche in materia Ict anche per il mercato. Il Piano Triennale, insomma, è un documento di indirizzo strategico ed economico che potrà guidare operativamente la trasformazione digitale della Pa. Il primo passo interessa la riqualificazione della spesa nazionale, per arrivare ad adeguarsi all’obiettivo di risparmio del 50% della cifra annuale per la gestione corrente in am-

bito informatico. Agid guiderà il coordinamento, l’attuazione e il monitoraggio delle amministrazioni nella fase di adeguamento alle indicazioni contenute nel Piano. Si stima, invece, di poter risparmiare circa 480 milioni di euro da qui al 2018 sia attravero l’adozione di piattaforme digitali standard per tutta la Pa (come il sistema unico di identità digitale Spid, la soluzione per i pagamenti elettronici PagoPa e la Fatturazione elettronica), sia attraverso l’ottimizzazione delle licenze software in essere. Il Piano, fra i suoi tanti capitoli, prevede che i costi sostenuti dalle amministrazioni per i canoni dei servizi di connettività non rientrino nell’obiettivo di contenimento della spesa per il triennio 2016-2018, e prevede che vengano privilegiate le forniture in cui il servizio di trasporto sia basato su tecnologia dual-stack. Quanto ai vecchi data center, viene vietata la costituzione di nuove sale macchine ma sono contentiti adeguamenti di quelli già esistenti con il solo scopo di evitare problemi di interruzione di pubblico servizio. Il nuovo verbo è il cloud e l’invito a tutti gli enti, al fine di ottenere economie di spesa, è quello di consolidare i propri servizi su data center di altre Pa nell’ambito del programma di razionalizzazione delle risorse Ict già definito in passato. A controllare che tutto proceda in modo corretto penserà, ovviamente, l’Agid. Piero Aprile

CENTO PROGETTI PER CAMBIARE Oltre 310 candidature ricevute, cento selezionate e nove vincitrici: questi i numeri del “Premio Forum PA 2017: 10×10=cento progetti per cambiare la Pa”, che ha eletto le migliori idee realizzate da enti centrali e locali. Il riconoscimento è andato ai comuni di Milano (sharing economy e social innovation, con il progetto Crowdfunding Civico), Mantova (nella categoria cybersecurity con il progetto D@to Sicuro), Bari (smart city, dati e IoT) e Campi Bisenzio (Pa senza carta), a Equitalia (servizi online, mobile e pagamenti elettronici, con la soluzione Equiclick), all’Istituto Comprensivo “Eleonora Duse” di Bari (scuola ed educazione digitale), alla startup Soonapse (il progetto di agricolutra intelligente WaterPlan), all’Agenzia delle Entrate (comunicazione a cittadini e stakeholder) e alla Provincia di Barletta-Andria-Trani (smart environment ed energy management). Nessun premiato nella categoria Industria 4.0: troppe poche proposte ricevute.

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ITALIA DIGITALE | Industria 4.0

LE TECNOLOGIE PER LA FABBRICA DEL FUTURO Dall’Internet of Things al fog computing (un’evoluzione del cloud), senza dimenticare dispositivi indossabili, realtà aumentata e automi intelligenti: la rivoluzione nelle fabbriche è iniziata. Il digitale è ancora poco sfruttato, ma potrà mutare in modo profondo i modelli dell’impresa manifatturiera.

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e tecnologie possono essere una risposta all’esigenza delle imprese di ottimizzare i processi produttivi e di supportare l’automazione industriale. In occasione di un recente convegno (“Ict e Industria 4.0: Sfide e Opportunità”, organizzato dal Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa in collaborazione con la Regione Toscana, ndr) abbiamo messo a confronto istituzioni, accademia e imprese su alcune delle competenze e delle tecnologie ritenute cruciali per la nuova rivoluzione industriale. La presentazione della Piattaforma Regionale Toscana su Industria 4.0, una struttura di coordinamento del sistema pubblico di competenze a supporto alle

imprese sulle materie del trasferimento e dell’innovazione tecnologica, va proprio in questa direzione. Con un duplice obiettivo strategico: quello di superare la frammentazione tra ricerca e impresa attraverso l’istituzione di centri di competenza, e quello di incentivare l’espansione industriale aumentando l’occupazione. La discussione sul trasferimento tecnologico riguarda anche l’analisi delle cosiddette “tecnologie abilitanti” per Industria 4.0 e il modo con cui vengono percepite da chi poi le dovrà usare. Molte delle imprese presenti hanno sottolineato come le soluzioni utili per un deciso rinnovamento già esistano e come non si limitino alla digitalizzazione della fabbrica, ma rendano perseguibile un sostanziale cambia-


L’OTTIMISMO DI CALENDA, LE RICHIESTE DI CONFINDUSTRIA Il primo vero bilancio del piano Industria 4.0 lo si potrà fare a fine anno. Nel frattempo avremo capito se e come verrà estesa la piattaforma degli incentivi fiscali e se, come sembra, la percezione del fenomeno stia crescendo bene e in modo sistemico nel tessuto imprenditoriale. Per Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo Economico e “padre spirituale” del progetto di digitalizzazione del manifatturiero, la via per ridare slancio a tutta l’economia italiana è una e una sola: “Giocare all’attacco per aumentare il numero di imprese che ce la fanno, anche se le risorse per sostenere la crescita saranno limitate. Per questo bisogna fare una scelta precisa e puntare sui fattori di competi-

mento di processo per creare una nuova società e un nuovo modo di concepire il lavoro. L’evoluzione verso Industria 4.0 sarebbe quindi quasi unicamente un cambiamento di mentalità. Tuttavia, le tecnologie in azienda oggi esistono grazie al grosso sforzo compiuto dalle imprese, negli anni passati, per implementarle in modo efficace. La ricerca può contribuire, oggi, e in modo decisivo, a definire i contorni e la finalità di aspetti fondamentali come quello dell’open source e dell’open innovation, dei Big Data e della standardizzazione, e quindi della possibilità di integrazione e comunicazione. Senza smettere di investire in tecnologie più avanzate ma altrettanto cruciali, come i sensori intelligenti, i robot collaborativi e la cybersecurity. Dai robot alle etichette elettroniche

Su queste tecnologie, che offrono la possibilità di un vero e proprio cambio di paradigma, si deve fondare l’innovazione nell’industria. I campi su cui attualmente viene portata avanti la ricerca nel Dipartimento di Ingegneria dell’Informa-

tività delle imprese, per consolidare i segnali positivi che possiamo leggere nella dinamica degli ordinativi dei macchinari (si parla di un aumento del 50% per le macchine oggetto del super ammortamento, ndr)”. La formula giusta, secondo il titolare del Mise, è fatta di “investimenti, pubblici e privati, a partire da un potenziamento del piano Industria 4.0. Gli incentivi sono a regime con gli strumenti di supporto, il fondo di garanzia e la legge Sabatini, mentre per il bando dei competence center digitali abbiamo trovato risorse aggiuntive, 15 milioni per il 2017 e 15 per il 2018”. Dall’altra parte del tavolo siede, in modo molto interessato, Confindustria, che per bocca del direttore delle Politiche In-

zione dell’Università di Pisa sono, in tal senso, diversi. L’Internet of Things, per esempio, e quindi reti di oggetti interconnessi che possono essere robot, veicoli autonomi o droni in comunicazione tra loro, utili per ottimizzare il processo produttivo e migliorare la logistica interna. Ma anche oggetti di uso comune dotati di sensori di nuova generazione: vere e proprie etichette elettroniche, in grado di memorizzare dati e comunicarli, che possono offrire un forte contributo sia nel campo della sicurezza dei lavoratori sia nel monitoraggio e nella tracciabilità dei prodotti. Altra tecnologia oggetto di studio sono i cosiddetti “cobot”, automi capaci di lavorare gomito a gomito con l’essere umano senza metterlo in pericolo e teleguidati per operazioni di manutenzione delicate, come per esempio lo svuotamento di cisterne. La realtà aumentata è un’altra componente della rivoluzione che può interessare l’industria italiana, sotto forma di dispositivi indossabili e interfacce uomo-macchina per l’aumento della percezione sensoriale e per il monitoraggio dei segnali fisiolo-

dustriali, Andrea Bianchi, un paio di mesi fa ha inviato pubblicamente al governo delle richieste molto precise in materia di Industria 4.0. Quali? Allungare i termini di consegna delle macchine oltre giugno 2018 per consentire alle imprese di smaltire gli ordini, estendere il sistema di incentivazione ad ambiti esterni alla fabbrica e finora marginali (come edilizia e mobilità) e, infine, valorizzare i Digital Innovation Hub. Questi ultimi dovranno diventare i poli di aggregazione di un’offerta di innovazione e di trasferimento tecnologico oggi ancora estremamente frammentata sul territorio. I compiti delle vacanze estive per il Ministro Calenda, insomma, non mancano. P.A.

gici: può essere un supporto fondamentale per la produzione e per il mondo manifatturiero in generale. Altre tecnologie più note e consolidate riguardano, infine, modelli analitici per i Big Data con cui sondare gli “umori” dei mercati e le tendenze che attraversano la società, e ancora le soluzioni di cloud computing con cui realizzare strumenti avanzati di gestione e analisi capillare dei processi di automazione industriale (il fog computing, in particolare, e quindi l’installazione di micro data center all’interno delle fabbriche) e i sistemi di cybersecurity. Oggi le tecnologie Ict, l’Internet of Things e la nuova robotica sono i pilastri su cui si regge la rivoluzione dei processi produttivi dell’industria. Costituiscono un potenziale nuovo e finora poco sfruttato, in grado però di mutare in modo profondo gli stessi modelli di impresa. Si tratta, insomma, di ripensare il modello di business delle aziende con la chiave abilitante del digitale. Giuseppe Anastasi, direttore del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa 47


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I NUOVI TREND DELL’IBRIDO Nel mercato dei personal computer l’unico segmento in crescita è quello business. Merito, soprattutto, di dispositivi 2-in-1 sempre più performanti.

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a confusione e l’incertezza che contraddistinguono il mercato dei computer sono state alimentate anche dai numeri diffusi di recente dalle società di ricerca Gartner e Idc. Le cifre del periodo gennaio-marzo 2017 erano infatti discordanti: mentre il primo istituto certificava un calo nelle consegne del 2,4% sul 2016, a quota 62,2 milioni di unità (riportando il settore ai livelli del 2007), Idc andava in controtendenza segnalando una crescita dello 0,6%. Le differenze sono presto spiegate: nei loro calcoli le società considerano questo segmento di mercato in 48

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modi diversi, includendo o meno nel conteggio desktop, notebook, workstation, tablet, 2-in-1 e addirittura server. Un arbitrio che rende lecito chiedersi: che cosa significa, al giorno d’oggi, la parola “computer”? L’avvento degli smartphone, e in misura minore quello delle “tavolette” hanno contribuito a far contrarre le vendite di Pc Windows e Mac, e hanno spinto i produttori a riprogettare questi dispositivi in modo radicale. Ecco quindi che sbocciano nuove soluzioni convertibili, sempre più sottili e votate alla multimedialità. Senza trascurare un elemento che, almeno

CHIP MOBILI NEL DNA Asus, Hp e Lenovo sono i primi partner ufficiali di Microsoft per la realizzazione di Pc con processori Arm. Le tre aziende daranno così corpo al progetto del colosso di Redmond, già anticipato nel 2016, di affrancamento dai chip Intel x86 per produrre dispositivi “ultra mobili” dal ridotto consumo energetico. I nuovi computer monteranno processori Qualcomm Snapdragon 835, gli stessi utilizzati anche negli smartphone più recenti e potenti (Samsung Galaxy S8), e dovrebbero teoricamente arrivare sul mercato entro la fine dell’anno. L’obiettivo di Qualcomm, dominatore nel segmento dei chip mobile, è penetrare anche nel campo dei Pc portatili cercando di infrangere il monopolio di Intel. Due le caratteristiche principali su cui si punterà: maggiore durata della batteria e connettività Lte. Proprio come negli smartphone.


finora, neanche i cellulari più evoluti sono riusciti a eguagliare, soprattutto nella fascia alta del mercato: la potenza di calcolo. Coniugare flessibilità, prestazioni e portabilità non è impresa facile, ma grazie al design 2-in-1 sembra che i produttori abbiano ormai raggiunto il punto di equilibrio. Anche nel segmento business. Non è un caso – e su questo Gartner e Idc sono d’accordo – che i modelli votati alla produttività siano gli unici ad aver registrato una crescita. Neutralizzata, però, dal tracollo sul fronte consumer. Per molti professionisti è ancora fondamentale affidarsi a desktop o notebook, con i secondi che hanno ormai vinto sui “fratelli maggiori”: i vendor hanno colto la palla al balzo e hanno iniziato a realizzare soluzioni ibride sempre più adatte alle aziende, quindi potenti e sicure, ma al tempo stesso belle da vedere. Ricercando quel concetto di esclusività diventato appannaggio degli smartphone, i produttori hanno puntato su materiali più pregevoli e leggeri, su display con cornici ridotte all’osso (che quindi lasciano più spazio allo schermo ma senza incidere sull’ingombo) e su altri elementi in grado di far brillare gli occhi ai consumatori. Fra tutte le grandi aziende, l’unica a non essersi ancora convertita al “credo” del 2-in-1 è Apple. La società di Cupertino continua imperterrita a rifiutarsi di realizzare computer con schermo touch e/o tastiera staccabile. Lo stesso Tim Cook, Ceo del colosso californiano, ha ripetuto più volte come display di questo genere non siano nelle corde della sua società, perché rischiano di sovrapporre dispositivi nati con scopi differenti, come tablet e notebook, generando confusione. Un modo come un altro per rimarcare ulteriormente la propria diversità dalla concorrenza. Anche se una timida apertura verso nuove forme di input si verificò nel 2015 con la presentazione dell’iPad Pro da 12,9 pollici, accompagnato dalla prima cover-tastiera (opzionale e acquistabile

separatamente) della Mela pensata appositamente per i tablet professionali. Ma Apple potrebbe anche avere ragione a non volersi sporcare le mani: i detrattori dei convertibili sono, infatti, più numerosi di quanto possa sembrare. In particolar modo quando si parla di lavoro. I motivi spaziano dalle tastiere

staccabili che non riescono a eguagliare quelle classiche, alle capacità di storage limitate. A meno che non si punti esclusivamente sui modelli top di gamma: in questo caso la musica cambia e si mettono le mani su prodotti di reale pregio. A voi la scelta. Alessandro Andriolo

APPLE-MICROSOFT: SFIDA INFINITA

Da qualche anno, cioè dal lancio dei primi prodotti Surface, Microsoft ha deciso di provare ad aggredire un mercato in cui fino ad allora non aveva voluto mettere piede. Pur sviluppando il sistema operativo desktop più diffuso al mondo, infatti, l’azienda si limitava alla componente software, affidando poi l’hardware ai partner Oem. Grazie all’accelerata voluta dall’attuale Ceo, Satya Nadella, Microsoft ha poi lanciato una serie di dispositivi di ottima fattura, salutati subito da analisti e media come un’alternativa credibile ai Macbook e iMac di Apple. È il caso di Surface Book e Surface Pro 4, del 2015, a cui si sono poi aggiunti il Surface Studio e, a completare l’offerta, il recente Surface Laptop. Più leggero di Macbook Pro e Macbook Air, il computer pesa 1,25 chili e può

contare su 14,5 ore di autonomia dichiarate. Il display Pixelsense da 13,5 pollici supporta il touch ed è compatibile con il pennino Microsoft. All’interno trovano posto processori Intel Core i7, fino a 512 GB di storage e 16 GB di Ram. Pensato soprattutto per il mondo della scuola, il laptop ha installato di serie Windows 10 S, nuova versione dell’ecosistema compatibile solo con le app del Windows Store. Si parte da 1.169 euro. Un prezzo in linea con i Macbook Air 2017, concorrenti ideali del prodotto di Microsoft, su cui Apple ha portato Cpu più veloci, rivedendo il listino al ribasso. Chi punta più in alto potrà affidarsi ai Macbook Pro aggiornati, con processori Intel di settima generazione, drive più veloci e scheda grafica dedicata. Ovviamente, preparatevi a spendere cifre maggiori.

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HUAWEI MATEBOOK E

HP SPECTRE X2 La versione 2017 di questo potente 2-in-1 di fascia business (da 1.600 euro) punta su prestazioni e qualità, grazie alla scocca in alluminio, penna N-Trig di serie e parte audio marcata Bang & Olufsen. Il display da 12,3 pollici ha una risoluzione di 3.000 x 2.000 pixel ed è protetto con la tecnologia Gorilla Glass.

Primi notebook in assoluto per Huawei. L’azienda prova a sfondare in questo mercato dopo i successi in campo smartphone con un dispositivo che riprende l’esperienza già fatta sul fronte dei tablet, arricchendola con Cpu Intel Core i5, grafica integrata, schermo touch 2K da 12 pollici, 4 GB di memoria e 256 GB di capacità di archiviazione a stato solido. Il peso del device senza tastiera è di circa 640 grammi, grazie alla leggera scocca in alluminio, mentre lo spessore è di 6,9 millimetri. Si parte da 1.200 euro. Chi vuole puntare più in alto può invece scegliere il Matebook X (1.400 euro), il primo vero portatile di Huawei. Un dispositivo senza ventole, con tecnologia di raffreddamento di derivazione aerospaziale, audio Dolby Atmos, porta Usb Type-C, lettore di impronte digitali e dieci ore di autonomia dichiarate.

MICROSOFT SURFACE PRO

Tutti si attendevano il Surface Pro 5 e invece Microsoft ha tolto il numerino e presentato questo convertibile, destinato a diventare il Surface Pro per antonomasia. Un dispositivo da 12,3 pollici, che nella sua migliore configurazione, con processori Intel Core i7, 16 GB di Ram e un 1 TB di storage, arriva a costare quasi 3.150 euro. Ma il modello base è venduto a 959 euro. Il punto di forza è l’autonomia dichiarata, 13,5 ore di lavoro ininterrotto, a cui si aggiunge una rinnovata Surface Pen (più precisa e veloce).

LENOVO THINKPAD X1 YOGA Il vanto del prodotto di Lenovo è lo schermo: un Oled da 14 pollici con 2.560 x 1.440 pixel (ma sono disponibili anche configurazioni con tecnologia Ips, Wqhd e Fhd), a cui si aggiungono processori Intel Core i7 vPro, a testimonianza delle specifiche business, e fino a 16 GB di Ram. Presenti anche lo stylus di serie, tre porte Usb 3.0 e connettori Onelink+ per collegare dock di espansione. I prezzi partono da 1.800 euro.

ACER SWITCH 5 Uno dei top di gamma di Acer in fatto di portabilità, lo Switch 5 dispone di processori Intel Core di settima generazione e del sistema di raffreddamento proprietario Liquidloop, senza ventole. Il convertibile presenta un supporto auto-retrattile che consente di regolare lo schermo (un Full Hd da 12 pollici, 2.160 x 1.440 pixel) con una mano sola. Prezzi a partire da circa 1.200 euro.

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